Relazione - Ordine Assistenti Sociali Friuli Venezia Giulia

Giornata di studio “La programmazione partecipata: ruolo del Servizio sociale
nella costruzione del nuovo welfare locale” - Udine 1° dicembre 2006
Relazione
Ricerca e servizio sociale:
l’esperienza del Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale nell’Unità di Trieste
Francesco Lazzari, Università degli Studi di Trieste e
coordinatore dell’Unità di ricerca locale
In questi ultimi lustri il servizio sociale, e i servizi sociali, hanno conosciuto profondi sommovimenti quali il superamento del paradigma del cittadino bisognoso assistito, l’avvio del decentramento amministrativo e delle competenze assistenziali,
l’introduzione dei principi del welfare state universalistico, l’emersione della società
civile, la crisi del modello di welfare pubblico totale (Mishra, 1977), la valorizzazione delle espressioni organizzate dai cittadini, i processi di esternalizzazione di alcuni
servizi, l’affermazione del principio di sussidiarietà, l’integrazione dei servizi in particolare tra sistemi socio-assistenziale e sanitario, la libertà di scelta del cittadino nel
quasi-mercato dei servizi secondo il paradigma del cittadino cliente (Gui, 2003).
Da una situazione caratterizzata prevalentemente da un modello reattivo dei servizi, si spazia ad un modello proattivo per giungere, oggi, alla necessità di mantenere al
centro del lavoro sociale il cittadino-utente-cliente, nella sua globale realtà di “attorepartecipe” di un contesto relazionale e territoriale, e nella sua relazione reale e potenziale con il sistema dei servizi.
Negli attuali sistemi di welfare pare riconfigurarsi una costruzione relazionale tra
soggetti richiedenti e soggetti agenti di aiuto nella quale non sono rigidamente fissati
né i bisogni esprimibili, né le prestazioni erogabili, né i soggetti-attori ed i loro ruoli.
Emergono i temi della soggettività particolare, dell’autodeterminazione, della titolarità ed assunzione di iniziativa, della concertazione (Lazzari, Merler, 2003), della pianificazione territoriale, anche e soprattutto nella prospettiva organizzativo-metodologica dei “piani di zona”.
Emerge un’idea che cerca di ri-orientare gli interventi dello Stato in modo da integrarli
(pensiamo al welfare mix) (Ascoli, Pasquinelli, 1993) attraverso anche un’opportuna e necessaria applicazione del principio di sussidiarietà (verticale ed orizzontale), in sinergia
con le capacità e le potenzialità di autotutela delle famiglie, dei sistemi informali e del terzo settore in una prospettiva di welfare society (Vittadini, 2002). E ciò proprio al fine di
incoraggiare e sostenere tutte quelle occasioni di governo il più possibile vicine ai cittadini
(Bagnasco, Barbagli, Cavalli, 1997).
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È all’interno di questo quadro, qui pennellato in estrema sintesi, che si è collocato
il Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale (Prin) realizzato dall’Unità di Trieste 1,
una ricerca sul ruolo e sulle modalità d’espressione del servizio sociale nella sua triplice attenzione al cliente-utente, all’istituzione e al territorio.
In questo lavoro si è ritenuto opportuno e qualificante coinvolgere gli operatori sia
nelle forme di rappresentanza che nella realizzazione stessa della ricerca, per cui l’università ha lavorato congiuntamente all’Ordine regionale e nazionale degli assistenti
sociali, agli assistenti sociali stessi, all’Irsses (Istituto regionale per gli studi di servizio sociale), oltre ovviamente alla rete di università di cui faceva parte e alle diverse
istituzioni implicate.
Un’impostazione che non risponde unicamente a criteri di opportunità bensì soprattutto ad una ben precisa visione del sapere e della ricerca, epistemologicamente
intesi. Una visione che vede la costruzione di modelli conoscitivi unitari con il superamento dell’interdisciplinarità (perché come ricorda Morin, non ha consentito di
uscire dagli ambiti delle discipline e di realizzare quell’unità del sapere che oggi
appare necessaria per affrontare i problemi dell’uomo e del sociale) e il superamento
della circolarità del sapere per abbracciare invece, come sottolinea sempre Morin, una
conoscenza pertinente (Morin, 2001) in grado di riallacciare quel “legame tra parti e
totalità” tra teoria e pratica, secondo una nuova epistemologia che tenda alla costruzione di sintesi di conoscenze e di procedure per andare oltre la distinzione tra teoria
e pratica, categorie che non di rado ancora oggi si ignorano a vicenda.
La complessità della pratica ha oggi reso coscienti gli epistemologi che nessuna
teoria è in grado di risolvere i molteplici problemi della pratica, e che, d’altro canto,
nessuna pratica è riportabile integralmente ad una teoria. L’operatore sociale deve
cioè fare ricorso a più teorie di impostazione filosofica o scientifica, etc. (fenomenologica, relazionale, neo-comportamentista, psicoanalitica, cognitiva). Con ciò, tuttavia, il problema del rapporto resta in piedi anche nelle più recenti formulazioni teoriapratica-teoria o pratica-teoria-pratica che tendono a risolvere il problema attraverso
una presentazione circolare e non più lineare del rapporto. In tali formule i due estremi sono consequenziali, nel senso che l’uno rinvia continuamente all’altro. Sono
strettamente interdipendenti, ma la distinzione resta.
La risposta più recente alla questione del rapporto tra teoria e pratica è che si debba
pensare questo rapporto inserendovi un’apposita mediazione. Nel rapporto tra i due
estremi della teoria e della pratica esiste uno spazio vuoto che può essere occupato
appunto da una “teoria pratica” che nasce e viene rielaborata di continuo di fronte alla
varietà delle situazioni oggettive in cui ci si trova e avendo come riferimento, alle
. La ricerca nazionale Cofin, Servizio sociale e territorio. I cambiamenti del servizio sociale nel processo
di regionalizzazione delle politiche sociali, cofinanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito dei Programmi di ricerca scientifica di rilevante interesse nazionale per l’anno 2003, comprendeva
le Università degli Studi di Bologna (università capofila), Catania, Macerata, Napoli Federico II, Sassari,
Siena, Trento e Trieste. Oltre al prevalente finanziamento ministeriale, l’Unità di ricerca di Trieste si è avvalsa anche di contributi offerti dall’Irsses e dall’Ordine degli assistenti sociali del Friuli Venezia Giulia. L’Unità di ricerca dell’Università degli Studi di Trieste era composta da: Carlo Beraldo, Rita Bressani, Stefano Chicco,
Alessandra Francescutto, Luigi Gui, Elisabetta Kolar, Francesco Lazzari (coordinatore dell’Unità di ricerca locale), Carmen Prizzon, Alessandro Sicora, Nicoletta Stradi, Anna Zenarolla.
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spalle, le già preesistenti elaborazioni teoretiche. Una “teoria pratica”, spiega O. Galatanu, che utilizza elementi tratti dalle “teorie teoretiche” ed è imbevuta di esperienza e di operatività ed è tesa alla soluzione dei problemi della pratica (Galatanu, 1998:
101-118; Desinan, 2003). In questo modo, la “teoria pratica” (savoirs d’actions) diventa parte integrante dell’operatività, viene formulata e si sviluppa non già “in rapporto” con la pratica, o in senso circolare con la pratica, ma “dentro” la pratica stessa.
L’operatività non è più un “fare” che nasce dopo il “pensare”, ma è riflessione connaturata con lo stesso agire e volta specificatamente a risolvere i problemi multiformi
che l’agire incontra in ogni fase dell’operatività.
Stiamo cioè parlando di ricerca-azione. Suo scopo primario è la formulazione di
ipotesi di intervento strettamente correlate con il caso-evento affrontato, e la loro
applicazione è flessibile. Forse come dice A. M. Mariani sarebbe più utile rovesciare
i due termini e parlare di azione-ricerca in modo da segnalare la stretta unità di questi
due elementi (Chiosso, 2002: 157; Desinan, 2003). Meglio ancora, bisognerebbe dire
un’azione-ricerca costituita da, e costitutiva di, altrettanti “saperi di azione”.
Su questa tela di fondo, che caratterizza o dovrebbe caratterizzare una prospettiva di welfare society, la ricerca ha considerato il servizio sociale, la comunità territoriale, l’esercizio
dei diritti di cittadinanza, focalizzandosi su alcuni punti chiave del processo di cambiamento
nelle politiche sociali in Italia, accelerato dalla recente introduzione della legge quadro nazionale n.328/2000, per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali,
le modifiche del titolo quinto della Costituzione (in particolare l’art.117 con il trasferimento
alle regioni della potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata allo Stato) (ma poco dopo la conclusione della ricerca) e la legge regionale n.6 del
31/03/2006, Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei
diritti di cittadinanza sociale.
Si è cioè condotta un’analisi congiunta delle politiche sociali regionali formulate nei diversi ambiti territoriali, delle modalità organizzative progettuali e gestionali dei servizi, delle
competenze e delle motivazioni all’azione degli assistenti sociali, nell’ipotesi:
a) di cogliere la dimensione e la qualità reale del mutamento del servizio sociale;
b) di rilevare se il sistema integrato dei servizi sociali si articolasse secondo le prassi più
consolidate di risposta codificata alla domanda di aiuto dei cittadini o se si fossero sviluppate (e come) pratiche di concertazione su obiettivi comuni fra soggetti differenti;
c) di registrare eventuali discrasie tra mandato sociale (la missione degli operatori socialmente legittimata) e mandato istituzionale (il concreto esercizio di ruolo entro strutture organizzate ed istituzionalmente preposte a perseguire gli obiettivi formalmente dichiarati) anche al fine di comprendere la dialettica che orienta le competenze di aiuto sociale
realmente richieste, a livello del singolo, della collettività e dell’istituzione.
L’ambito geografico dei piani di zona (nella gran parte dei casi in Friuli Venezia Giulia
coincide con il bacino d’utenza dei distretti sanitari) ha rappresentato lo spazio entro cui si
sono rilevate e comparate le informazioni proprio in virtù del fatto che la legge quadro nazionale - come pure quella regionale - indica nell’ambito territoriale2 locale lo spazio di co2
. Si consideri che nella Regione Friuli Venezia Giulia la nozione di ambito è stata ben codificata dalla normativa regionale (Legge regionale n.33/1988 e successive modifiche ed integrazioni, con esplicita denominazione nella legge regionale n.49/1996): designa
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struzione dei sistemi integrati di servizi sociali e la partecipazione e la concertazione le modalità essenziali di costruzione dei piani d’azione.
Tra le diverse risultanze evidenziate dalla ricerca, emerge l’importanza della funzione
svolta dalla società civile nell’attuale crisi del modello di welfare (Mishra, 1977). Assumono importanza tutte quelle iniziative organizzate di cittadini “privati” (volontariato, associazionismo, cooperazione sociale, self help), espressione anche di quel processo di esternalizzazione di alcuni servizi parallelo al principio di sussidiarietà (Giorio, Lazzari, Merler, 1999;
Gui, infra). Emerge come strategica l’integrazione dei servizi, in particolare tra sistemi socio-assistenziale e sanitario, tra operatori, tra ambiti territoriali, etc.
La ricerca ha evidenziato il ruolo di agente di benessere svolto dalla comunità in quanto
tale (Giorio, Lazzari, Merler, 1999). Comunità come capitale sociale che può rivelarsi utilissimo, nonché indispensabile, nell’implementazione delle politiche sociali. Capitale che non
si produce per partogenesi o per autocombustione, ma che esige un corale impegno ed esplicite scelte da parte dei diversi attori formali e informali implicati.
Una comunità - o meglio frammenti di comunità, come la ricerca sembra aver messo in
evidenza - intesa come agente di benessere in quanto riesce ad intervenire laddove il servizio sociale non riesce a dare agli interventi quel surplus relazionale (Donati, 1993) e di
continuità necessario soprattutto in certi percorsi di recupero o di reinserimento sociale che
richiedono accompagnamento e affiancamento (Landuzzi e Pieretti, 2003) che il servizio
sociale pubblico non sembra in grado di sostenere da solo.
Un percorso che Donati definirebbe di bene comune, del vantaggio dell’essere uniti, così da trarre dal sistema delle forze - come nella fisica - la risultante che muove
oggettivamente la società verso il progresso” (Donati, 1993: 114).
Traspare una nuova cultura dei servizi (sociali, sanitari e di altro tipo) in cui ci si
prenda “cura della persona nell’ottica specifica della vita umana. Se cioè la vita umana è un bene relazionale (ricorda Donati) questi servizi debbono essere intesi e praticati essi stessi come beni relazionali. Mentre i servizi sociali generali sono standardizzabili e impersonali (seguono la legge del comando e della pianificazione condizionale, oppure le leggi del mercato), i servizi alla persona non possono essere standardizzati, non possono essere mercificati. Devono essere personalizzati, devono seguire le qualità proprie della relazione come scambio sociale altamente intersoggettivo)” (Donati, 2003: 113) possono essere espressi solo da gruppi primari, associazioni, comunità, etc. nei quali la solidarietà acquista senso nuovo (Donati, 2003: 117).
Un’idea che trova nei percorsi indicati dalla legge nazionale n.328/2000 e dalla legge regionale n.6/2006 un opportuno e necessario percorso applicativo. Un percorso che fa
esplicito e indispensabile riferimento alla dimensione universale coniugata nel locale,
sia esso l’ambito, il piano di zona o la dimensione municipale.
Non a caso l’elemento che sembra caratterizzare una comunità, ovunque essa si
presenti, è la condivisione, la messa in comune di interessi, di problemi, di valori, ma
soprattutto il riconoscersi in questa condivisione.
un territorio comprendente all’incirca 50.000 abitanti.
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Secondo Weber la comunità si basa su una “comune appartenenza soggettivamente
sentita” dei soggetti che ne fanno parte; si contrappone all’associazione in cui l’elemento fondante è l’identità di interessi (Weber, 1995: 38).
Comunità funzionanti, dunque, ma anche comunità caratterizzate da processi di dissoluzione di quei principi che Bauman (2001; 2002) definisce le “basi morali” del welfare, ossia
l’interiorizzazione e la condivisione di atteggiamenti di solidarietà da parte dei cittadini nei
confronti dei soggetti più deboli: sono alcuni aspetti che la ns. ricerca ha evidenziato.
In particolare gli intervistati hanno sottolineato come si sia notevolmente allentato il senso di solidarietà tra i cittadini facendo emergere l’esigenza di strutture che suppliscano a
quelli che erano spontanei e naturali meccanismi di reciproca tutela ed aiuto. Si è cioè innescato un processo di delega ad altri - alle istituzioni o alla collettività - di quello che era il
senso di responsabilità primario.
Meglio quindi parlare di tracce di comunità più che di comunità tout-cour. Tracce che si
devono imporre al desiderio di delega, di non impegno, di separatezza, etc. Ed è proprio in
un tale contesto di frammenti di comunità che il ruolo dell’assistente sociale sembra porsi, o
dovrebbe porsi, come l’elemento in grado di aiutare a ritrovare le diverse tracce di comunità
che la società civile e il terzo settore possono ancora esprimere.
Società civile intesa come moltiplicatore di risorse perché in grado di mettere in gioco con opportuni e necessari investimenti - le reti sociali e quindi di produrre essa stessa capitale sociale vissuto come rete di legami fiduciari (Franzoni, Anconelli, 2003) in cui lo stesso
concetto di solidarietà può farsi processo di reciprocità e di costruzione del bene comune,
intesi come condivisione nella diversità.
Da parte degli operatori sociali intervistati emerge anche la consapevolezza che, attraverso l’esercizio del proprio ruolo professionale, possono concorre alla promozione (con la
partecipazione) del tessuto sociale di una comunità.
Si tratta quindi di tentare di coniugare, in una società sempre più complessa e globalizzata, saperi e valori, conoscenze e competenze, di posizionare la propria identità
professionale accanto a quella degli altri operatori sociali (Lazzari, 2000), di orientarsi criticamente negli spazi d’intervento proposti e riformulati dalla ricerca azione professionale in sinergia con la ricerca azione del territorio e dei suoi numerosi attori.
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