L’USO DELLA LINGUA MINORITARIA ITALIANA NEI RAPPORTI CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E NELL’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA IN ISTRIA, FIUME E DALMAZIA di Massimiliano De Ciuceis Dottore di ricerca in Diritto Costituzionale – Università di Bologna Sommario: 1.- Il plurilinguismo, in particolare nei rapporti con l’amministrazione e con le autorità giurisdizionali, quale fondamento della convivenza nelle società multietniche. 2.- Il bilinguismo croato-italiano. 3.- Le vicende del primo statuto istriano. 4.- Le innovazioni legislative degli anni duemila. Il secondo statuto dell’Istria ed il bilinguismo nei rapporti con l’amministrazione. 5.- Analisi delle disposizioni legislative più rilevanti sull’uso della lingua minoritaria nei rapporti con l’amministrazione e nell’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale. 6.- Il bilinguismo sloveno-italiano in Istria. 7.- Conclusioni 1. Il plurilinguismo, in particolare nei rapporti con l’amministrazione e con le autorità giurisdizionali, quale fondamento della convivenza nelle società multietniche Secondo una delle definizioni più diffuse, il plurilinguismo consiste nell’uso corrente di più lingue, o anche dialetti, da parte di un individuo o di una popolazione1. È intuitivo come il plurilinguismo rappresenti la base su cui costruire una forma avanzata di convivenza all’interno di una realtà plurietnica, plurilinguistica. Appare altrettanto chiaro che esso costituisce, da un lato, un presupposto essenziale di quell’ordinamento statale, il quale persegua il fine della pari dignità giuridica di ogni sua componente nazionale, nonché, dall’altro, il requisito più efficace per l’esercizio effettivo dei diversi diritti soggettivi e per la salvaguardia delle peculiarità etniche storicamente presenti su un determinato territorio. Così, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, vieta (art. 14) la discriminazione fondata, tra l’altro, sulla lingua e sull’appartenenza a una minoranza nazionale. E va ricordato anche il Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966. Esso sancisce (art. 27) come in quegli Stati, in cui esistano minoranze etniche, religiose o linguistiche, le persone che appartengono a tali minoranze potranno esercitare, in comune con gli altri componenti del gruppo minoritario, il diritto di diffondere la 1 Cfr. voce Plurilinguismo, ne La piccola Treccani, IX, Roma, 1996, pag. 292. 1 propria cultura, di professare e praticare la propria religione e di usare la loro propria lingua. Certo, il plurilinguismo è un fenomeno complesso. Esso riguarda tutti gli aspetti della dinamica sociale, dalle relazioni quotidiane fra gli individui, fino alla produzione letteraria più sofisticata. La sua importanza non va ricercata solo nel bisogno di assicurare ad ogni cittadino la libertà di usare il codice di comunicazione a lui più congeniale, senza che egli sia costretto a sacrificare la propria identità; la rilevanza del plurilinguismo risiede soprattutto nella sua funzione culturale e sociale, che consiste nell’esaltazione e nella conservazione dei valori culturali e sociali dell’area nazionalmente mista, nella formazione di una mentalità e nella promozione di comportamenti plurilingui, che imprimano all’interazione linguistica, si badi bene, un automatismo naturale. Ne consegue che il plurilinguismo comporta la piena equivalenza dell’uso della lingua ufficiale, con quello della lingua minoritaria. O, quanto meno, implica la parità delle diverse lingue nei rapporti con la pubblica Amministrazione e con le Autorità giurisdizionali2. Si noti, infatti, come tali rapporti pervadano e qualifichino la vita di ciascun consociato. Il plurilinguismo è un tratto caratteristico delle aree geografiche nazionalmente miste, qual è l’Istria. L’Istria rappresenta un territorio molto particolare, per ragioni geografiche, storiche e politiche3. Dal punto di vista geografico, essa oggi è divisa fra tre Stati sovrani. Questi sono la Croazia, la Slovenia, con i comuni di Capodistria, Pirano ed Isola e l’Italia, con il comune di Muggia. L’Istria croata è, a sua volta, amministrativamente ripartita tra la Contea istriana, in cui il capoluogo è Pisino, mentre Parenzo rappresenta la capitale storica e Pola il centro dei commerci e degli eventi culturali e la Contea litoranea-montagnosa, che ha per città principale Fiume. 2. Il bilinguismo croato-italiano Il bilinguismo croato-italiano, in Istria, è davvero vitale. Sono attive moltissime associazioni, esistono riviste specializzate ed opera un prestigioso istituto di ricerca scientifica nel campo della storiografia, della sociologia, dell’etnografia, il Centro di ricerche storiche di Rovigno, che dal novembre 1995 ha anche assunto lo status di 2 Cfr. de Vergottini G., Diritto costituzionale, Padova, 2001, pag. 333. Cfr., per quanto concerne gli accenni alle particolarità geografiche, nonché alle vicende storiche ed ai recenti avvenimenti politici dell’Istria, con precipuo riferimento all’Istria croata, Veljak L., Istria: tra Croazia ed Europa, in Osservatorio sui Balcani – Per uno sviluppo umano, democratico e sostenibile nel sud est Europa, Dossier/approfondimenti, 8/10/2001, consultabile on line al sito http://www.osservatoriobalcani.org; Idem, La questione del bilinguismo in Istria e i rapporti con la Croazia, ivi, 2/7/2001. 3 2 Biblioteca depositaria del Consiglio d’Europa, con una particolare sezione dedicata ai diritti umani ed alle minoranze. Certo, si tratta di un fenomeno numericamente più vasto dell’entità della comunità italiana, la quale conta, nella piccola penisola, poco più di quattordicimila membri e rappresenta appena il 6,92 per cento della popolazione4. Nella Repubblica socialista federativa di Jugoslavia ( RsfJ ), subito dopo la seconda guerra mondiale, ci fu una forte pressione sulla minoranza italiana, che portò all’esodo della maggior parte del gruppo etnico italiano. Negli anni settanta e ottanta del secolo scorso non si sono più registrati tentativi di discriminazione o isolamento. Dopo la conquista dell’indipendenza da parte della Croazia e l’ascesa al potere della Comunità democratica croata (Hdz), in Istria si è verificato il rifiuto dell’omologazione con la cultura maggioritaria ed il numero dei voti per l’Hdz è sempre corrisposto, più o meno, al numero degli appartenenti alla nazionalità croata. Nella regione si è affermato, conseguentemente, un nuovo partito, la Dieta democratica istriana ( Ids/Ddi ). Con le elezioni politiche del 1992 e quelle per l’autogoverno locale dell’anno successivo, la Dieta ha ottenuto rilevanti successi elettorali. La Dieta democratica istriana è, ancora oggi, un soggetto politico di primaria importanza. L’azione politica della Ddi si è caratterizzata subito per l’adozione di statuti comunali e cittadini, con i quali, tra l’altro, si sono tutelate le particolarità etniche e culturali della minoranza italiana e dei suoi appartenenti e si è stabilita la pariteticità della lingua croata e di quella italiana. Si consideri, a mo’ d’esempio, lo statuto della città di Rovigno, approvato ed emanato nella seduta del Consiglio municipale del 7 ottobre 1993, in forza del quale, sul territorio cittadino, le lingue croata ed italiana erano considerate paritetiche. Il medesimo statuto garantiva agli appartenenti alla comunità nazionale italiana il diritto all’uso pubblico della propria lingua e scrittura, il diritto alla salvaguardia dell’identità nazionale, il diritto alla fondazione di società culturali autonome e di altro tipo, il diritto all’educazione e all’istruzione nella propria lingua e il diritto ad esporre i simboli nazionali. Quindi, si trattava di una tutela particolarmente intensa. L’uso paritetico delle lingue croata e italiana sancito, come si è visto, già all’inizio degli anni novanta, negli statuti locali, non suscitò nessuna perplessità dal punto di vista giuridico. 4 Cfr. Ufficio Croato di Statistica, Censimento della popolazione, delle famiglie e delle abitazioni del 3 marzo 2001, consultabile on line alla pagina http://www.dzs.hr/Eng/Census/census2001.htm 3 Esso fu previsto in quei comuni ed in quelle città in cui già era riconosciuto dall’ordinamento giuridico della RsfJ e dunque venne considerato diritto acquisito dalle popolazioni locali. A proposito di tale ordinamento previgente nei comuni e nelle città della RsfJ, merita di essere citato, per la stretta connessione con l’argomento specifico del presente scritto, il decreto sulle modalità e le condizioni d’uso della lingua e della scrittura delle nazionalità nei procedimenti dinanzi agli organi amministrativi e alle organizzazioni che esercitano pubblici poteri, emanato dal Consiglio esecutivo del Sabor dell’allora Repubblica socialista di Croazia. L’articolo 6 del decreto prescriveva espressamente che, con lo Statuto del comune, si stabilisse l’uso paritetico della lingua e della scrittura della nazionalità nel procedimento dinanzi agli organi statali e alle persone giuridiche pubbliche5. D’altra parte, numerose convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dalla Repubblica jugoslava contemplavano il bilinguismo. In particolare, lo statuto speciale, allegato al Memorandum d’intesa tra i Governi d’Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e di Jugoslavia, relativo al solo Territorio Libero di Trieste, firmato a Londra il 5 ottobre 1954, sanciva (art. 5) che gli appartenenti al gruppo etnico italiano, nella zona amministrata dalla Jugoslavia, erano liberi di usare la propria lingua nei rapporti personali ed in quelli ufficiali con le autorità amministrative e giudiziarie. Essi avevano, altresì, il diritto di ricevere risposta nella lingua madre da parte degli Uffici: nelle risposte verbali, direttamente o per il 5 Il Decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica socialista di Croazia del 10 febbraio 1981, n. 5. Il testo del citato art. 6 recitava letteralmente: “Sul territorio in cui, con lo Statuto comunale, è stabilito l’uso paritetico delle lingua e scrittura della nazionalità, gli organi amministrativi e le organizzazioni conducono il procedimento nella lingua degli appartenenti a tali nazionalità. Gli organi amministrativi e le organizzazioni assicurano l’uso paritetico delle lingua e scrittura della nazionalità in special modo: nella conduzione del procedimento, nelle comunicazioni orali e scritte con le parti, nella pubblicazione di delibere e di altri atti da essi emanati”. D’altra parte, prima ancora delle prescrizioni in ordine all’uso paritetico della lingua e della scrittura della nazionalità nel territorio comunale, il decreto in parola definiva le modalità e le condizioni d’uso della lingua e della scrittura delle nazionalità nei procedimenti dinanzi agli organi amministrativi in generale. Così, l’art. 2 recitava: “Gli organi amministrativi e le organizzazioni hanno l’obbligo di assicurare agli appartenenti alla nazionalità, che realizzano i propri diritti e doveri presso di loro: l’uso delle proprie lingua e scrittura nei vari procedimenti; la possibilità di presentare istanze, domande, ricorsi, opposizioni, proposte, petizioni e altri esposti, e che vengano inviati, a richiesta, nella lingua della nazionalità, decreti e altri documenti in cui si deliberi sui loro diritti e doveri, nonché pagelle, attestati, certificati, spiegazioni e altro. Si riterrà che è stata avanzata la richiesta, di cui al comma precedente, se l’esposto della parte è stato scritto o dettato a verbale nella lingua della nazionalità”. 4 tramite di un interprete, mentre, in quelle per iscritto, le stesse autorità avrebbero dovuto provvedere alla traduzione. Ancora, secondo il medesimo statuto speciale, gli atti pubblici concernenti gli appartenenti ai due gruppi etnici, comprese le sentenze dei tribunali, sarebbero stati accompagnati da una traduzione nella rispettiva lingua. Il medesimo principio si sarebbe applicato agli avvisi ufficiali, alle pubbliche ordinanze ed alle pubblicazioni ufficiali. Tali rilevanti misure di tutela del bilinguismo furono poi confermate (art. 8) dal Trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, firmato ad Osimo il 10 novembre 1975. E bisogna ricordare che la legge costituzionale sui diritti e le libertà dell’uomo e sui diritti delle comunità etniche e nazionali o minoranze del 1992 tutelava espressamente (art. 64) quei diritti che la Repubblica di Croazia avesse assunto per successione, in quanto legittima erede della RsfJ, con accordi internazionali, quali, appunto, i diritti delle minoranze linguistiche. Insomma, la Dieta democratica istriana non ebbe difficoltà nel richiedere di codificare, a livello di amministrazioni locali, l’equivalenza della lingua maggioritaria, croata, con quella minoritaria, italiana. Al contrario, quando la Ddi cercò di estendere il bilinguismo all’intero territorio della regione, reputando che i tempi per un simile passo fossero ormai maturi, incontrò la ferma opposizione del governo, dominato dall’Hdz, e della corte costituzionale. Ma la Dieta democratica istriana e l’Istria tutta non dovevano attendere molto, perché l’aspirazione ad uno statuto regionale bilingue divenisse realtà. Infatti, grazie ad un significativo mutamento del quadro legislativo, avvenuto negli anni duemila, è stato finalmente possibile approdare ad un documento moderno, in cui le istanze della minoranza linguistica italiana trovassero soddisfazione. Ebbene, ripercorrere le tappe attraverso le quali si è giunti all’adozione del nuovo statuto, analizzare le norme legislative che hanno reso possibile la sua approvazione, nonché le disposizioni contenute nello statuto medesimo, appare il modo migliore per ricostruire con precisione il sistema delle tutele di cui godono gli appartenenti alla comunità italiana dell’Istria croata e nella Croazia intera nei loro rapporti con la pubblica amministrazione e nell’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale. 3. Le vicende del primo statuto istriano Il primo testo dello statuto fu approvato dall’assemblea della regione istriana il 30 marzo 1994. Il governo della Repubblica di Croazia decise, con ricorso del 14 aprile 1994, di avviare, presso la corte costituzionale, il procedimento di valutazione della conformità di ben trentacinque articoli dello statuto medesimo con la Costituzione e con la legge 5 costituzionale sui diritti e le libertà dell’uomo e sui diritti delle comunità etniche e nazionali o minoranze. La corte costituzionale, riunitasi in camera di consiglio il 2 febbraio 1995, emanò la delibera con la quale venivano annullate diciotto disposizioni, di cui nove concernenti la tutela della comunità nazionale italiana. Desta grande interesse l’annullamento dell’art. 3 statuto. L’articolo 3 stabiliva che (comma 1) tutti i cittadini della regione Istria godessero uguali diritti, fondati sui principi del rispetto dei diritti umani, delle libertà, parità di diritti e uguaglianza, del diritto al lavoro ed alla tutela sociale; che (comma 2) le caratteristiche etniche, culturali ed altre particolarità autoctone dell’Istria fossero salvaguardate in conformità con le disposizioni dello statuto e con le norme della regione; che (comma 3), nella regione, la lingua croata e la lingua italiana fossero paritetiche, e che (comma 4) la modalità per la realizzazione del bilinguismo venissero stabilite dallo statuto e dagli atti della regione, in conformità con la Costituzione, con la legge e con altre norme. La corte annullò le norme di cui ai commi 1 e 2, in quanto ritenne che la regione non fosse legittimata a disciplinare, né con il proprio statuto, né con altri atti, quei diritti, tantomeno quelli delle comunità etniche, autoctone e nazionali o delle minoranze. Essi erano tutelati direttamente dalla Costituzione, nonché dalla legge costituzionale sui diritti umani. Le disposizioni di cui ai commi 3 e 4 vennero annullate, invece, per contrarietà all’articolo 12 della Costituzione, il quale sancisce che nella Repubblica di Croazia sono in uso ufficiale la lingua croata e la scrittura latina e che può essere introdotto nell’uso ufficiale, nelle singole unità locali, oltre alla lingua croata ed alla scrittura latina, anche un’altra lingua e la scrittura cirillica od altra scrittura. Conformemente, gli articoli 7 e 8 della legge costituzionale sui diritti e le libertà dell’uomo, stabiliscono che gli appartenenti a tutte le comunità etniche e nazionali possono far uso libero, nella vita privata e pubblica, della propria lingua e scrittura. Queste disposizioni sanciscono parimenti che, nei comuni in cui gli appartenenti a minoranze rappresentino la maggioranza della popolazione complessiva, sarà in uso ufficiale, accanto alla lingua croata ed alla scrittura latina, anche la lingua e la scrittura di tali comunità etniche. Ed inoltre, viene stabilito che le unità di autogoverno locale possono sancire l’uso ufficiale di due o più lingue e scritture, tenendo conto del numero degli appartenenti e degli interessi dei gruppi minoritari. In altri termini, osservò la corte, il potere di introdurre, accanto alla lingua croata, un’altra lingua ufficiale, appartiene unicamente a quelle unità di autogoverno locale definite come tali dalla Costituzione. E la Carta fondamentale, all’articolo 133, stabilisce che solo il comune ed il distretto o la città sono unità di autogoverno locale, non la regione. Conseguentemente, essa, fintantoché con un’apposita legge non venga 6 stabilito diversamente, non può disciplinare, con il proprio statuto, l’uso della lingua croata e della lingua della minoranza. È appena il caso di notare come la corte costituzionale abbia ribadito questo suo orientamento anche successivamente, con decisione adottata in camera di consiglio il 23 gennaio 2003. L’alto Giudice era chiamato a pronunciarsi sulla conformità alla Costituzione del provvedimento del ministero della pubblica amministrazione, con cui si ordinava la rimozione della targa bilingue, in croato ed in italiano, dalla facciata del palazzo della regione a Pisino, capoluogo dell’Istria croata. Orbene, la corte ha dichiarato la conformità dell’atto alla Costituzione. Le motivazioni riecheggiano quelle precedentemente esaminate. Esse si sviluppano attorno all’art. 12 ed all’art. 133, per cui i comuni e le città sono unità di governo locale mentre le contee, qual è l’Istria, sono unità di governo regionale. Quindi, si è affermato, la regione non è autorizzata ad esporre alcuna tabella in cui compaiano, con il medesimo carattere di ufficialità, entrambe le lingue. In conclusione, il bilinguismo sembrava destinato a rimanere relegato negli angusti confini degli enti locali. Peraltro, ciò corrispondeva ad una ben precisa tendenza, tipica degli ordinamenti dell’Europa centro-orientale, a privilegiare, anche ai fini della tutela delle minoranze etnico-linguistiche, gli enti locali di base, piuttosto che i livelli intermedi dell’amministrazione6. Tuttavia, sarebbero sopravvenute rilevanti innovazioni legislative, destinate a dischiudere nuovi spazi all’iniziativa riformatrice di coloro i quali ambivano ad uno statuto bilingue per l’Istria. Tali modificazioni normative meritano un attento esame. 4. Le innovazioni legislative degli anni duemila. Il secondo statuto dell’Istria ed il bilinguismo nei rapporti con l’amministrazione. Negli anni duemila, si è assistito ad un significativo mutamento del quadro normativo concernente i diritti delle minoranze. In particolare, sono entrate in vigore la nuova legge costituzionale sui diritti e le libertà dell’uomo e sui diritti delle comunità etniche e nazionali del 13 dicembre 2002 (legge cost. n. 155/2002) e sostitutiva di quella del 1992, nonché la legge sull’uso delle lingue e delle scritture degli appartenenti alle minoranze nazionali e la legge 6 Cfr. Piergigli V., Decentramento territoriale e minoranze linguistiche: un’analisi comparata, in Federalismi. it – Osservatorio sul Federalismo e i processi di governo, 10 luglio 2003, pagg. 14 ss., consultabile on line alla paginahttp://www.federalismi.it/federalismi/document/08072003234526.pdf e riferimenti bibliografici ivi contenuti . 7 sull’educazione e l’istruzione nella lingua e nella scrittura delle minoranze nazionali medesime. Ora, la citata legge costituzionale non ha avuto altro merito, se non quello di specificare ulteriormente quanto statuito dalla Costituzione. Infatti, l’art. 7, comma 2 sancisce che, nei comuni ove gli appartenenti alla comunità etnica costituiscono la maggioranza, tenendo conto del numero complessivo degli abitanti, la lingua e la scrittura minoritarie saranno in uso quali lingua e scrittura ufficiali, accanto alla lingua croata ed alla scrittura latina. Ai sensi dell’art 8, poi, le unità dell’autogoverno locale possono stabilire l’uso ufficiale di due o più lingue e scritture minoritarie, prendendo in considerazione il numero degli appartenenti alle comunità nazionali e gli interessi delle stesse. In buona sostanza, viene ribadito come solo negli enti locali minori, e non anche nelle regioni, sia possibile l’uso ufficiale di altre lingue e scritture. Sul punto, la nuova legge non si è discostata affatto dal testo del 1992. La legge sull’uso delle lingue e delle scritture appariva, invece, di altro avviso. Per l’art. 5, sul territorio del comune, della città o, si badi bene, della Regione, gli appartenenti alla minoranza nazionale hanno il diritto all’uso ufficiale e paritetico della propria lingua e scrittura, alle modalità previste dalla legge. Per la prima volta, viene riconosciuta la possibilità che, a livello regionale, una lingua ed una scrittura minoritarie ricevano il crisma dell’ufficialità ed addirittura quello della pariteticità. Dello stesso tenore l’art 8, per il quale nei comuni, nelle città e, si noti ancora, nelle regioni, dove è in uso ufficiale paritetico la lingua e la scrittura della minoranza nazionale, l’attività dei consigli comunali e cittadini, delle giunte cittadine, nonché delle assemblee e delle giunte regionali viene svolta in lingua croata ed in caratteri latini, nonchè nella lingua e nella scrittura degli appartenenti alla minoranza nazionale. L’art. 9 prosegue nel senso che i comuni, le città e, di nuovo, le regioni, dove vige l’uso ufficiale paritetico della lingua e della scrittura della minoranza nazionale, assicureranno ai cittadini il diritto ai documenti pubblici bilingui o plurilingui ed alla stampa dei moduli ad uso ufficiale bilingui o plurilingui. Merita attenzione anche l’art 13, per cui nei comuni, nelle città e nelle regioni dove vige l’uso ufficiale paritetico anche della lingua e della scrittura della minoranza nazionale, il primo atto scritto del procedimento viene inviato alla parte in lingua croata e caratteri latini e in lingua e scrittura in uso ufficiale e paritetico della minoranza nazionale. L’art. 24 dispone addirittura che, se il comune, la città o la regione non stabilissero, con lo statuto, l’uso della lingua e della scrittura della minoranza nazionale, ossia lo stabilissero contrariamente alle disposizioni della legge in parola, il dirigente dell’organismo centrale dell’amministrazione statale, di cui all’articolo 23 della legge medesima, sospenderebbe l’attuazione dello statuto, ossia alcune sue disposizioni, disporrebbe l’applicazione diretta della legge e presenterebbe al governo una proposta 8 di apertura del procedimento di valutazione della costituzionalità e legalità dello statuto o di un altro atto generale del comune, della città o della regione. Insomma, le disposizioni appena citate avevano indotto a ritenere che l’atteggiamento del potere centrale, in merito alla possibilità di introdurre l’uso ufficiale della lingua minoritaria a livello regionale, fosse in via di superamento. Ebbene, è stato proprio all’interno di questo rinnovato quadro legislativo che, nell’aprile del 2001, l’assemblea della regione istriana ha emanato il nuovo statuto7. Il nuovo statuto intendeva realizzare la piena equivalenza della lingua croata con quella italiana. Così, l’articolo 6 dichiarava solennemente che, nella regione istriana, la lingua croata e quella italiana erano paritetiche. Sennonché, inaspettatamente, anche il nuovo statuto ha trovato l’opposizione del governo della Repubblica di Croazia. Si apriva una nuova turbolenta stagione per il bilinguismo istriano. Infatti, nel maggio 2001, il governo disponeva la sospensione di tredici articoli, costituenti il cuore della tutela della minoranza italiana ed impugnava gli articoli medesimi dinnanzi alla corte costituzionale. Il governo, si noti bene, sosteneva che la regione potesse prescrivere l’uso ufficiale della lingua minoritaria soltanto nell’ambito degli uffici serventi le competenze che le spettavano in quanto unità di autogoverno regionale, e non a livello regionale in senso ampio, e cioè anche per tutte le diramazioni amministrative periferiche dello stato operanti in località non bilingui8. Così, nell’ottobre successivo, l’assemblea della regione istriana ed il ministero della giustizia concordavano alcune modifiche agli articoli impugnati. Tali modifiche circoscrivevano alquanto la tutela della minoranza italiana. Si consideri proprio l’art. 6 statuto. Nella formulazione antecedente alla riscrittura concordata col ministero, l’art. 6, comma 1 disponeva, come si è più sopra ricordato, che “nella regione istriana la lingua croata e quella italiana sono paritetiche [tout court]”. Nella formulazione successiva alla modifica, l’art. 6, comma 1 medesimo recita, invece, che “nella Regione istriana la lingua croata e quella italiana sono equiparate [esclusivamente, ecco il punto] nell’uso ufficiale per quello che concerne il lavoro degli organi regionali nell’ambito dell’autogoverno locale”. Non veniva concesso che la Carta fondamentale dell’Istria prevedesse, sic et simpliciter, il bilinguismo per ogni ufficio pubblico sito sul suo territorio. Per quanto concerne l’uso della lingua croata e di quella minoritaria 7 Sul nuovo statuto istriano, cfr. anche il contributo di Seppi M., nel presente volume. Cfr. la proposta d’avvio del procedimento di conformità alla Costituzione ed alle Leggi dello statuto della Regione istriana, approvata dal governo della Repubblica di Croazia nella sua 88esima seduta, tenutasi a Zagrabria il 22 maggio 2001 e consultabile on line alla pagina http://www.vlada.hr/Default.asp?ru=188&sid=&jezik=1 8 9 all’interno delle amministrazioni statali, occorrerà esaminare la legge sull’uso delle scritture. A questo proposito, si rimanda al paragrafo successivo. Nel novembre dello stesso anno, l’assemblea approvava tali modifiche; il ministro della giustizia informava il governo che lo statuto istriano non era più in alcun modo in contrasto con la Costituzione; il governo medesimo rinunciava formalmente all’impugnazione e chiedeva alla corte costituzionale di archiviare il relativo procedimento. Ora, l’impugnazione del secondo statuto dell’Istria suscita numerose perplessità. Infatti, sono le disposizioni statali succitate che, semmai, avrebbero dovuto essere considerate incostituzionali. Esse, infatti, costituiscono norme di legge ordinaria, subordinata alla Costituzione. L’accusa di incostituzionalità, in altri termini, non doveva essere rivolta al documento in cui si è concretizzato l’esercizio dell’autonomia statutaria della regione istriana9. Certo, lo statuto oggi vigente rappresenta una rilevante vittoria per la comunità italiana. Notevoli progressi nella tutela della comunità italiana si sono registrati anche a livello di autonomie locali, soprattutto per ciò che riguarda i rapporti di questa con la pubblica amministrazione. Si consideri l’art. 21 dello statuto della città di Umago, approvato dal consiglio municipale nella sessione del 4 dicembre 2001, per il quale, nel comprensorio cittadino vengono utilizzate, quali lingue ufficiali, la lingua croata e la lingua italiana. A tale scopo, sono creati i presupposti atti a garantire lo svolgimento di tutte le attività pubbliche ed amministrative mediante l’uso delle due lingue, sia nella comunicazione scritta che orale. L’art. 23, poi, disciplina un aspetto particolarmente rilevante. In forza di questo articolo, in seno agli organi dell’amministrazione statale, dell’autogoverno e dell’amministrazione locale, delle autorità forensi, delle società e degli enti che gestiscono servizi pubblici, l’organigramma della dotazione del personale deve includere quadri per cui sussiste l’obbligo di conoscenza delle lingue croata ed italiana. Si pensi, ancora, allo statuto della città Rovigno, emendato il 3 giugno 2002. Secondo l’art. 28, sul territorio della città la lingua croata e la lingua italiana sono paritetiche. A tal fine, vengono create le condizioni indispensabili a garantire che la completa vita pubblica ed ufficiale della città si svolga nella parità di tutte e due le lingue e scritture. Ai sensi dell’art. 29, poi, nell’abitato della città di Rovigno, l’uso paritetico ufficiale della lingua e della scrittura della minoranza nazionale italiana viene realizzato nell’attività degli organismi rappresentativi ed esecutivi della città, come nel procedimento dinanzi agli organismi amministrativi. Per l’art. 34, infine, onde realizzare la pariteticità delle lingue croata e italiana, negli organismi 9 Cfr. Piergigli V., Lo Statuto istriano e il bilinguismo al vaglio delle autorità croate, in Quad. cost., 2001, pag. 632. 10 dell’amministrazione municipale, nelle istituzioni e persone giuridiche partecipate dal comune, che nella propria attività comunicano direttamente con i cittadini, devono essere previsti posti di lavoro per i quali sia d’obbligo la conoscenza attiva della lingua croata e di quella italiana. 5. Analisi delle disposizioni legislative più rilevanti sull’uso della lingua minoritaria nei rapporti con l’amministrazione e nell’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale La legge sull’uso delle lingue e delle scritture degli appartenenti alle minoranze nazionali contiene disposizioni generali di capitale importanza per quanto concerne i rapporti delle minoranze medesime con la pubblica amministrazione e l’accesso di queste al sistema della giustizia. Così, nelle località bilingui10, gli appartenenti alle minoranze nazionali hanno il diritto all’uso ufficiale e paritetico della propria lingua e scrittura nel procedimento dinanzi agli organismi dell’amministrazione statale di prima istanza, dinanzi alle unità organizzative degli organismi centrali dell’amministrazione statale di prima istanza, ai tribunali di prima istanza, alle procure della Repubblica, alle avvocature dello stato di prima istanza, nonchè davanti ai notai ed alle persone giuridiche con poteri pubblici, autorizzati a procedere sul territorio del comune o della città che hanno introdotto nell’uso ufficiale paritetico la lingua e la scrittura degli appartenenti alla minoranza nazionale. Per quanto concerne, poi, il procedimento di seconda istanza, esso si svolge nella lingua croata e con i caratteri latini. Tuttavia, se nella fase di primo grado si erano usate la lingua e la scrittura della minoranza nazionale, il procedimento successivo si svolgerà secondo le medesime regole, ma solo a seguito di espressa richiesta delle parti. Le disposizioni della legge in parola non vengono applicate, invece, nei procedimenti presso gli organismi centrali dell’amministrazione statale, presso i tribunali commerciali, il tribunale amministrativo, il tribunale superiore per le trasgressioni, presso la corte suprema della Repubblica di Croazia e la corte 10 Si noti bene come le disposizioni della legge sull’uso delle lingue e delle scritture degli appartenenti alle minoranze nazionali si applichino unicamente nel territorio dei comuni o delle città in cui gli appartenenti ad una singola minoranza costituiscano la maggioranza degli abitanti (art. 4, comma 1), ovvero nei comuni e nelle città in cui il bilinguismo sia previsto nello statuto. La legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali n. 155/2002 ha parzialmente innovato sul punto, prescrivendo che l’uso paritetico ufficiale della lingua e della scrittura di cui si servono gli appartenenti alla comunità nazionale viene realizzato nel territorio dell’unità dell’autogoverno locale quando gli appartenenti ad una singola minoranza nazionale costituiscono almeno un terzo degli abitanti di tale unità (art. 12, comma 1). 11 costituzionale, nonchè nei procedimenti presso gli altri organismi centrali dell’autorità statale. La legge sull’uso delle lingue e delle scritture minoritarie prescrive espressamente che gli organismi dell’amministrazione di prima istanza, i tribunali, le procure della Repubblica e le avvocature, le persone giuridiche con poteri pubblici, nonchè i comuni, le città e le regioni dove sono in uso ufficiale paritetico la lingua e scrittura della minoranza, assicurino un numero adeguato di impiegati che possano svolgere i procedimenti e intraprendere le operazioni necessarie anche nella lingua e nella scrittura della minoranza nazionale. Com’è facilmente intuibile, le succitate disposizioni in favore dei gruppi minoritari rimarrebbero lettera morta, se, all’atto pratico, all’interno degli uffici, i funzionari non fossero in grado di esprimersi e di comprendere lingue e scritture diverse da quelle nazionali. In generale, la formazione culturale degli impiegati pubblici costituisce un presupposto fondamentale della reale tutela di ogni minoranza. Questo punto rappresenta una nota dolente per la Croazia. A tale proposito, appare indicativo come il Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite abbia recentemente osservato, nientemeno, che l’ordine giudiziario croato è inadeguato a realizzare una effettiva protezione delle posizioni giuridiche soggettive sancite nel Patto sui diritti civili e politici, il quale contempla, come si è più sopra ricordato, la pretesa degli appartenenti ai gruppi minoritari di usare la propria lingua11. La scarsa preparazione dei magistrati croati è evidenziata altresì nell’ultimo Rapporto sul rispetto dei diritti umani del Dipartimento di stato americano12. Peraltro, il governo della Repubblica di Croazia ha annunciato l’istituzione di un Centro di alta formazione professionale per i giudici e per tutti gli altri funzionari dell’amministrazione della giustizia13. Il Centro ha iniziato la propria attività nel marzo 2003. S’impone un’ultima osservazione sulla legge sull’uso delle lingue e delle scritture degli appartenenti alle minoranze nazionali. 11 Cfr. le osservazioni conclusive del Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite sulla Croazia, del 30 aprile 2001, punto 7, consultabile on line alla pagina http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/(symbol)/7c3306a53f34ff43c1256a2a0036d955?opendoc ument 12 Cfr. il Rapporto 2003 sul rispetto dei diritti umani del Dipartimento di stato americano, licenziato dall’Ufficio per la democrazia, i diritti umani ed il lavoro il 25 febbraio 2004 e consultabile on line alla pagina http://www.state.gov/g/drl/rls/hrrpt/2003/27831.htm 13 Cfr. le note di commento del governo della Croazia sulle osservazioni conclusive del Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, del 22 aprile 2003, punto 7, consultabile on line alla pagina http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/385c2add1632f4a8c12565a9004dc311/e235ea3f7e08e96 cc1256d7c002801ab/$FILE/G0342496.pdf 12 Essa stabilisce che, ove non si applicasse l’uso ufficiale paritetico della lingua e della scrittura minoritarie nei comuni, nelle città o nelle regioni in cui è stato introdotto, ossia se tale applicazione si realizzasse contrariamente alle disposizioni della legge stessa, questo rappresenterebbe una sostanziale violazione del procedimento. Più precisamente, una simile mancanza dell’uso della lingua della nazionalità, all’interno di una procedura giudiziaria o amministrativa, costituirebbe, di per sé, legittimo motivo d’appello, come ha chiarito lo stesso governo croato, affermando altresì che ciò rappresenta, a ben vedere, la forma più avanzata di tutela dei diritti delle minoranze nel paese14. Certo, il sistema di tutele delineato dalla legge sulle scritture appare più efficace e moderno di quello disciplinato dai codici di procedura penale e di procedura civile, basato sostanzialmente sulle traduzioni. Così, l’art. 119 c.p.p. garantisce semplicemente che le persone obbligate a sostenere le spese processuali, sono esentate dal pagamento delle spese per le traduzioni nelle lingue minoritarie. D’altra parte, l’art. 6 c.p.c. afferma solennemente che il procedimento civile è condotto in lingua croata e con l’uso della scrittura latina, semprechè un’altra lingua od una diversa scrittura non sia introdotta dalla legge nell’uso di determinate corti. Ai sensi dell’art. 102 del medesimo codice, poi, se il processo non è condotto nella lingua della parte, quest’ultima può seguire le udienze con l’assistenza di un interprete. Ai sensi del successivo art. 103, le pronunce giudiziarie e gli altri documenti sono redatti e notificati alle parti in croato. Se l’altra lingua o scrittura è in uso ufficiale presso la corte, la corte stessa produrrà gli atti giuridici in quella lingua a quelle parti che abbiano usato la lingua minoritaria. In ogni caso, le spese delle traduzioni nella lingua minoritaria sono poste a carico delle corti. 6. Il bilinguismo sloveno-italiano in Istria In Slovenia coesistono molti gruppi etnici minoritari. Le comunità numericamente più rilevanti sono quelle dei bosniaci, dei croati, dei musulmani e dei serbi. Inoltre, si registra una modesta presenza di ungheresi e di italiani. L’etnia italiana 14 Cfr. Governo della Repubblica di Croazia – Informazioni fornite dal governo in base al questionario della Commissione europea, pag. 409, consultabile on line alla pagina http://www.vlada.hr/zakoni/mei/ChpI/ChpI.pdf. Tali informazioni sono state consegnate dall'ex presidente del Governo croato, Ivica Racan, al presidente della Commissione europea, Romano Prodi, il 9 ottobre 2003. 13 conta poco più di duemiladuecento membri e rappresenta appena lo 0,11 per cento della popolazione15. Nonostante le minoranze ungherese ed italiana siano davvero esigue, la Costituzione riconosce (art. 64, comma 1) soltanto a loro lo status di comunità autoctone nazionali e garantisce ad entrambe ed ai rispettivi componenti diritti speciali, quali quello di usare i propri simboli nazionali, di ricevere un’educazione nella lingua madre, di potere operare, nella lingua che essi parlano correntemente, nel campo dei mezzi di comunicazione di massa e dell’editoria. Soprattutto, la Costituzione medesima sancisce (artt. 11 e 64, comma 4) come, accanto alla lingua ufficiale della Repubblica, cioè lo sloveno, siano parimenti ufficiali l’ungherese e l’italiano in quei comuni dove gli ungheresi e gli italiani vivono. La tutela di queste minoranze è stata da taluno definita esemplare16. Dalla previsione costituzionale dell’uso paritetico delle lingue delle comunità autoctone, deriva direttamente il diritto alla redazione dei documenti pubblici e delle certificazioni in forma bilingue, nonché quello all’uso delle lingua minoritaria nei rapporti con le autorità amministrative e giudiziarie17. Così, la legge sulla pubblica amministrazione, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica slovena n. 52/2002, stabilisce (art. 4, comma 2) che, nelle aree d’insediamento delle comunità italiana ed ungherese, le operazioni, i procedimenti e tutti gli altri atti amministrativi sono condotti in sloveno o nella lingua minoritaria. Inoltre, viene sancito (art. 4, comma 3) che, quando l’organo amministrativo di prima istanza abbia condotto il procedimento in italiano od in ungherese, a tanto è tenuto l’organo di seconda istanza. Le comunità autoctone hanno il diritto di usare la propria lingua anche nei rapporti con gli uffici dell’anagrafe e dello stato civile. I moduli per richiedere la carta d’identità sono stampati in sloveno ed in inglese ed anche in italiano o in ungherese, quando ciò sia stabilito dagli statuti locali delle zone in cui risiedano i due gruppi minoritari (legge sulle carte d’identità personali n. 75/97, art. 6); nelle zone dove i membri della minoranza italiana o ungherese risiedono, gli ufficiali dello stato civile sono obbligati ad emettere gli estratti ed i certificati dei registri anche nella lingua italiana od ungherese (legge sul registro delle nascite, delle morti e delle unioni n. 2/87, mantenuta in vigore, art. 30, par. 2). Disposizioni simili sono riscontrabili per quanto concerne il rilascio dei passaporti e l’attività dei notai. 15 Cfr. Ufficio statistico della Repubblica Slovena – Censimento della popolazione 2002, consultabile on line alla pagina http://www.stat.si/popis2002/en/rezultati/rezultati_red.asp?ter=SLO&st=7 16 Cfr. Blair Ph., The protection of regional or minority languages in Europe, in Euroregions, n. 5/1993, pag. 38. 17 Cfr. Piergigli V., Lingue minoritarie e identità culturali, Milano, 2001, pag. 321. 14 La legge sulle corti di giustizia n. 19/94 disciplina l’uso delle lingue minoritarie nell’accesso agli uffici giudiziari. Secondo tale testo normativo (art. 5), l’attività di ciascuna corte è svolta in sloveno. Tuttavia, nei territori in cui vivono le comunità etniche autoctone italiana ed ungherese, l’attività medesima viene condotta in italiano o ungherese. Ancora, se una corte di secondo grado giudica in appello una causa trattata in una delle due lingue minoritarie, essa deve rendere la propria decisione tradotta in italiano o in ungherese; le relative spese sono poste a carico del bilancio dello stato. Infine, la medesima legge (art. 45, comma 3) prescrive che, nelle zone dove si trovano le due comunità etniche, il presidente della corte d’appello applichi il necessario numero di giudici che abbiano una conoscenza effettiva della lingua italiana o ungherese. Ancora più particolareggiata è, poi, la disciplina regolamentare di funzionamento delle corti di giustizia (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Slovenia n. 17/95)18. Per quanto concerne la tutela della comunità italiana a livello locale, con particolare riguardo, come sempre, ai rapporti con la pubblica amministrazione e con gli uffici giudiziari, notevole interesse destano gli statuti dei comuni di Capodistria e di Pirano. Ai sensi dell’art. 108 dello statuto della città di Capodistria, adottato dal consiglio comunale nelle sedute del 13 luglio 2000 e del 28 settembre 2000, gli organi dello stato, dell’amministrazione comunale e gli altri organi comunali, le aziende e gli enti pubblici, oltre ad altre persone giuridiche e fisiche che esercitino un’attività pubblica nel territorio nazionalmente misto, hanno l’obbligo di operare e rispondere in entrambe le lingue alle istanze inoltrate dai cittadini in lingua italiana. In forza del successivo art. 112, poi, nel territorio etnicamente eterogeneo del comune, i procedimenti penali si svolgono in entrambe le lingue, in armonia con quanto stabilito dalle apposite leggi. I procedimenti nei quali intervengono più parti di entrambe le nazionalità, si svolgono, secondo il caso, in lingua slovena od in lingua italiana, oppure in entrambe le lingue. Ancora, gli organi dello stato e del comune, i tribunali ed altri uffici e funzionari pubblici sono tenuti a rilasciare gli atti in entrambe le lingue, qualora si tratti di cittadini 18 Cfr. tale dettagliatissima disciplina nel Rapporto inviato dalla Repubblica di Slovenia ai sensi dell’art. 25, paragrafo 1 dell’Accordo quadro sulla protezione delle minoranze nazionali e ricevuto dal Consiglio europeo il 29 novembre 2000, consultabile on line alla pagina http://www.humanrights.coe.int/minorities/Eng/FrameworkConvention/StateReports/2000/ slovenia/slovenia.html#annex2 15 di nazionalità italiana, e su loro specifica richiesta, anche ad altri cittadini. In questi casi, entrambi gli atti hanno valore di originale. Per l’art. 113, infine, negli organi dello stato, in quelli dell’amministrazione comunale e nelle altre comunità dell’autonomia locale, nelle aziende e negli enti pubblici che svolgono funzioni pubbliche, devono essere previsti ed occupati posti di lavoro, per i quali sia obbligatoria la conoscenza delle lingue slovena e italiana. Secondo quanto dispone l’art. 69 dello statuto del comune di Pirano, nel territorio nazionalmente misto del comune, le lingue ufficiali sono lo sloveno e l’italiano. I procedimenti giudiziari ed amministrativi, nonché i procedimenti inerenti le trasgressioni, vengono condotti anche in lingua italiana, quando la parte, che è appartenete alla nazionalità italiana, lo richiede. L’organo che conduce il procedimento ha il dovere di informare l’appartenente alla nazionalità italiana in merito ai diritti relativi all’uso della lingua. Per l’art. 71, tutti gli atti dei procedimenti a cui partecipa per lo meno un appartenente alla nazionalità italiana, si rilasciano anche in lingua italiana. L’atto rilasciato in lingua italiana si reputa originale. Infine, ai sensi dell’art. 73, negli organi comunali, nelle aziende e negli enti pubblici, nonché nei pubblici uffici, devono essere previsti e occupati posti di lavoro, per i quali è prevista la conoscenza obbligatoria della lingua slovena ed italiana. 7. Conclusioni Il 1° maggio 2004 l’Unione europea si è aperta a dieci nuove nazioni. Quello che ha avuto luogo è stato il più rilevante allargamento nella storia del vecchio continente, che oggi conta una popolazione di più di quattrocentocinquanta milioni di persone e vanta straordinarie potenzialità in campo politico ed economico. Purtroppo, questa esaltante fase d’integrazione non ha riguardato i Balcani, o, per la precisione, non li ha riguardati, se non marginalmente. Fra tutti i Paesi del sud est Europa, infatti, solo la Slovenia è membro a pieno titolo dell’Unione; per gli altri, l’adesione è rimandata ad un futuro lontano ed incerto. L’area balcanica, che già molto ha sofferto, non può però essere lasciata troppo a lungo a se stessa, col rischio d’essere nuovamente teatro di tensioni e instabilità. Da questo punto di vista, grande rilevanza assume la posizione della Croazia. La Commissione europea ha recentemente comunicato il proprio parere sulla domanda di adesione della Croazia all’Unione, raccomandando al Consiglio di avviare gli appositi negoziati19. La Commissione ha concluso che la Croazia è una democrazia 19 Cfr. il Parere della Commissione sulla domanda di adesione della Croazia all’Unione europea, dato a Bruxelles il 20 aprile 2004 e consultabile on line alla pagina http://europa.eu.int/cgi-bin/eur-lex/udl.pl?REQUEST=Service- 16 funzionante, dove lo stato di diritto è garantito da istituzioni stabili e il rispetto dei diritti fondamentali non reca particolari problemi. La Commissione ha approvato altresì una proposta di decisione del Consiglio, relativa al partenariato europeo con la Croazia, che ricalca i partenariati già utilizzati per preparare altri Paesi a diventare membri dell’ U. E.20. Ebbene, in data 13 settembre 2004, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la decisione di attuare il partenariato con la piccola Repubblica balcanica, fissando i principi, le priorità e le condizioni specifiche del partenariato medesimo21. Il Consiglio ha anche deciso di convocare una conferenza intergovernativa bilaterale con la Croazia, all’inizio del 2005, al fine dell’avvio vero e proprio dei negoziati per l’adesione22. Tutto ciò non può che essere riguardato favorevolmente. Il dossier più delicato sul governo di Zagabria riguarda la tutela dei diritti delle minoranze, come si è rimarcato più volte nel corso del presente scritto, con specifico riferimento alle minoranze linguistiche23. C’è davvero da augurarsi che le riforme, Search&LANGUAGE=it&GUILANGUAGE=it&SERVICE=all&COLLECTION=com&D OCID=504PC0257 20 Cfr. la Proposta di Decisione del Consiglio relativa ai principi, alle priorità e alle condizioni specificate nel partenariato europeo con la Croazia, presentata dalla Commissione, data a Bruxelles il 20 aprile 2004 e consultabile on line alla pagina http://europa.eu.int/cgi-bin/eur-lex/udl.pl?REQUEST=ServiceSearch&LANGUAGE=it&GUILANGUAGE=it&SERVICE=all&COLLECTION=com&D OCID=504PC0275 21 La decisione del Consiglio è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 22 settembre 2004, n. L 297. 22 Cfr. il Bollettino dell’Unione europea UE 6-2004, Conclusioni della Presidenza ( 6/23 ), punto 1.7.31., consultabile on line alla pagina http://europa.eu.int/abc/doc/off/bull/it/200406/i1007.htm 23 Cfr. il Parere della Commissione sulla domanda di adesione della Croazia all’Unione europea, cit., pag. 18, circa il Centro di alta formazione professionale per i giudici e per tutti gli altri funzionari dell’amministrazione della giustizia, cui si è accennato più sopra, nel testo. Secondo la Commissione, il Centro non dispone ancora delle risorse necessarie per svolgere le sue funzioni, poiché è composto solo da quattro persone, compreso il direttore, e non può contare su un bilancio permanente. D’altra parte, i docenti non vengono selezionati per concorso, né valutati sulla base delle rispettive prestazioni. Pertanto, il Centro deve definire urgentemente una strategia di formazione. A tale proposito, sebbene il Centro medesimo abbia organizzato seminari ad hoc ( finanziati principalmente dai donatori internazionali ) riguardanti, ad esempio, le procedure e la giurisprudenza della Corte europea per i diritti umani, la didattica sulla normativa U.E. non è ancora iniziata. Il Centro dovrebbe inoltre avviare una cooperazione istituzionalizzata con la Corte suprema, a cui la legge sui tribunali affida l’incarico di sorvegliare la formazione dei giudici. La Commissione, poi, osserva come l’adeguata preparazione dei magistrati sia ostacolata dalle scarse risorse finanziarie di cui dispongono gli uffici giudiziari. In ultima analisi, il governo si deve adoperare attivamente per potenziare il Centro o per creare un’accademia giudiziaria. 17 avviate allo scopo di eliminare le zone d’ombra che ancora permangono sulla condizione dei gruppi minoritari, giungano presto a compimento, cosicché la Croazia possa entrare a testa alta nel posto che le spetta, nel cuore dell’Europa. Cfr., ancora, il Parere della Commissione, pag. 26, per cui le minoranze sono rappresentate in misura insufficiente negli organi amministrativi e giudiziari dello stato, rispetto ai livelli indicati nella legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali del 2002. Il governo non ha ancora elaborato un programma per ovviare, nemmeno a lungo termine, al problema, giustificando il ritardo con pretesti di varia natura, quali i vincoli di bilancio e, nel caso del settore giudiziario, invocando l’indipendenza dei tribunali nella selezione dei giudici. In realtà, sono vacanti numerosi posti, sia nella pubblica amministrazione in generale, che in quella della giustizia in particolare, ma non si è ancora in grado di comprendere se, fra i nuovi assunti, figureranno membri delle minoranze nazionali. Cfr., infine, sui medesimi punti, la decisione del Consiglio relativa ai principi, alle priorità e alle condizioni specificate nel partenariato europeo con la Croazia, cit., paragrafo 3.1. Fra le priorità a breve termine, viene individuata l’elaborazione e l’attuazione di una strategia globale di riforma del sistema giudiziario, che contempli l’istituzione di un meccanismo trasparente di selezione, valutazione e mobilità del personale. Si rileva, inoltre, come sia urgente promuovere la professionalità del settore, tramite adeguati finanziamenti pubblici, a beneficio degli istituti per la formazione dei magistrati e di tutti gli altri funzionari appartenenti all’amministrazione della giustizia. Fra le priorità a breve termine, viene individuata, ancora, la puntuale applicazione della legge costituzionale sulle minoranze nazionali, in particolare per quanto riguarda la rappresentanza proporzionale delle minoranze nelle sedi di autogoverno locali e regionali, negli enti amministrativi e giurisdizionali dello stato, nonché negli organismi della pubblica amministrazione, come contemplato dalla legge stessa. 18