1 di Massimiliano De Ciuceis Dottore di ricerca in Diritto

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L’USO DELLA LINGUA MINORITARIA ITALIANA NEI RAPPORTI CON LA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE E NELL’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA IN ISTRIA, FIUME E
DALMAZIA
di Massimiliano De Ciuceis
Dottore di ricerca in Diritto Costituzionale – Università di Bologna
Sommario: 1.- Il plurilinguismo, in particolare nei rapporti con l’amministrazione e con
le autorità giurisdizionali, quale fondamento della convivenza nelle società
multietniche. 2.- Il bilinguismo croato-italiano. 3.- Le vicende del primo statuto
istriano. 4.- Le innovazioni legislative degli anni duemila. Il secondo statuto dell’Istria
ed il bilinguismo nei rapporti con l’amministrazione. 5.- Analisi delle disposizioni
legislative più rilevanti sull’uso della lingua minoritaria nei rapporti con
l’amministrazione e nell’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale. 6.- Il
bilinguismo sloveno-italiano in Istria. 7.- Conclusioni
1. Il plurilinguismo, in particolare nei rapporti con l’amministrazione e con le
autorità giurisdizionali, quale fondamento della convivenza nelle società
multietniche
Secondo una delle definizioni più diffuse, il plurilinguismo consiste nell’uso
corrente di più lingue, o anche dialetti, da parte di un individuo o di una popolazione1.
È intuitivo come il plurilinguismo rappresenti la base su cui costruire una forma
avanzata di convivenza all’interno di una realtà plurietnica, plurilinguistica.
Appare altrettanto chiaro che esso costituisce, da un lato, un presupposto
essenziale di quell’ordinamento statale, il quale persegua il fine della pari dignità
giuridica di ogni sua componente nazionale, nonché, dall’altro, il requisito più efficace
per l’esercizio effettivo dei diversi diritti soggettivi e per la salvaguardia delle
peculiarità etniche storicamente presenti su un determinato territorio.
Così, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, vieta (art. 14) la
discriminazione fondata, tra l’altro, sulla lingua e sull’appartenenza a una minoranza
nazionale. E va ricordato anche il Patto internazionale sui diritti civili e politici,
adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966. Esso
sancisce (art. 27) come in quegli Stati, in cui esistano minoranze etniche, religiose o
linguistiche, le persone che appartengono a tali minoranze potranno esercitare, in
comune con gli altri componenti del gruppo minoritario, il diritto di diffondere la
1
Cfr. voce Plurilinguismo, ne La piccola Treccani, IX, Roma, 1996, pag. 292.
1
propria cultura, di professare e praticare la propria religione e di usare la loro propria
lingua.
Certo, il plurilinguismo è un fenomeno complesso. Esso riguarda tutti gli aspetti
della dinamica sociale, dalle relazioni quotidiane fra gli individui, fino alla produzione
letteraria più sofisticata. La sua importanza non va ricercata solo nel bisogno di
assicurare ad ogni cittadino la libertà di usare il codice di comunicazione a lui più
congeniale, senza che egli sia costretto a sacrificare la propria identità; la rilevanza del
plurilinguismo risiede soprattutto nella sua funzione culturale e sociale, che consiste
nell’esaltazione e nella conservazione dei valori culturali e sociali dell’area
nazionalmente mista, nella formazione di una mentalità e nella promozione di
comportamenti plurilingui, che imprimano all’interazione linguistica, si badi bene, un
automatismo naturale.
Ne consegue che il plurilinguismo comporta la piena equivalenza dell’uso della
lingua ufficiale, con quello della lingua minoritaria. O, quanto meno, implica la parità
delle diverse lingue nei rapporti con la pubblica Amministrazione e con le Autorità
giurisdizionali2. Si noti, infatti, come tali rapporti pervadano e qualifichino la vita di
ciascun consociato.
Il plurilinguismo è un tratto caratteristico delle aree geografiche nazionalmente
miste, qual è l’Istria.
L’Istria rappresenta un territorio molto particolare, per ragioni geografiche,
storiche e politiche3. Dal punto di vista geografico, essa oggi è divisa fra tre Stati
sovrani. Questi sono la Croazia, la Slovenia, con i comuni di Capodistria, Pirano ed
Isola e l’Italia, con il comune di Muggia. L’Istria croata è, a sua volta,
amministrativamente ripartita tra la Contea istriana, in cui il capoluogo è Pisino, mentre
Parenzo rappresenta la capitale storica e Pola il centro dei commerci e degli eventi
culturali e la Contea litoranea-montagnosa, che ha per città principale Fiume.
2. Il bilinguismo croato-italiano
Il bilinguismo croato-italiano, in Istria, è davvero vitale. Sono attive moltissime
associazioni, esistono riviste specializzate ed opera un prestigioso istituto di ricerca
scientifica nel campo della storiografia, della sociologia, dell’etnografia, il Centro di
ricerche storiche di Rovigno, che dal novembre 1995 ha anche assunto lo status di
2
Cfr. de Vergottini G., Diritto costituzionale, Padova, 2001, pag. 333.
Cfr., per quanto concerne gli accenni alle particolarità geografiche, nonché alle vicende
storiche ed ai recenti avvenimenti politici dell’Istria, con precipuo riferimento all’Istria
croata, Veljak L., Istria: tra Croazia ed Europa, in Osservatorio sui Balcani – Per uno
sviluppo umano, democratico e sostenibile nel sud est Europa, Dossier/approfondimenti,
8/10/2001, consultabile on line al sito http://www.osservatoriobalcani.org; Idem, La
questione del bilinguismo in Istria e i rapporti con la Croazia, ivi, 2/7/2001.
3
2
Biblioteca depositaria del Consiglio d’Europa, con una particolare sezione dedicata ai
diritti umani ed alle minoranze.
Certo, si tratta di un fenomeno numericamente più vasto dell’entità della
comunità italiana, la quale conta, nella piccola penisola, poco più di quattordicimila
membri e rappresenta appena il 6,92 per cento della popolazione4.
Nella Repubblica socialista federativa di Jugoslavia ( RsfJ ), subito dopo la
seconda guerra mondiale, ci fu una forte pressione sulla minoranza italiana, che portò
all’esodo della maggior parte del gruppo etnico italiano.
Negli anni settanta e ottanta del secolo scorso non si sono più registrati tentativi
di discriminazione o isolamento.
Dopo la conquista dell’indipendenza da parte della Croazia e l’ascesa al potere
della Comunità democratica croata (Hdz), in Istria si è verificato il rifiuto
dell’omologazione con la cultura maggioritaria ed il numero dei voti per l’Hdz è
sempre corrisposto, più o meno, al numero degli appartenenti alla nazionalità croata.
Nella regione si è affermato, conseguentemente, un nuovo partito, la Dieta
democratica istriana ( Ids/Ddi ). Con le elezioni politiche del 1992 e quelle per
l’autogoverno locale dell’anno successivo, la Dieta ha ottenuto rilevanti successi
elettorali. La Dieta democratica istriana è, ancora oggi, un soggetto politico di primaria
importanza.
L’azione politica della Ddi si è caratterizzata subito per l’adozione di statuti
comunali e cittadini, con i quali, tra l’altro, si sono tutelate le particolarità etniche e
culturali della minoranza italiana e dei suoi appartenenti e si è stabilita la pariteticità
della lingua croata e di quella italiana. Si consideri, a mo’ d’esempio, lo statuto della
città di Rovigno, approvato ed emanato nella seduta del Consiglio municipale del 7
ottobre 1993, in forza del quale, sul territorio cittadino, le lingue croata ed italiana
erano considerate paritetiche. Il medesimo statuto garantiva agli appartenenti alla
comunità nazionale italiana il diritto all’uso pubblico della propria lingua e scrittura, il
diritto alla salvaguardia dell’identità nazionale, il diritto alla fondazione di società
culturali autonome e di altro tipo, il diritto all’educazione e all’istruzione nella propria
lingua e il diritto ad esporre i simboli nazionali. Quindi, si trattava di una tutela
particolarmente intensa.
L’uso paritetico delle lingue croata e italiana sancito, come si è visto, già
all’inizio degli anni novanta, negli statuti locali, non suscitò nessuna perplessità dal
punto di vista giuridico.
4
Cfr. Ufficio Croato di Statistica, Censimento della popolazione, delle famiglie e delle
abitazioni
del
3
marzo
2001,
consultabile
on
line
alla
pagina
http://www.dzs.hr/Eng/Census/census2001.htm
3
Esso fu previsto in quei comuni ed in quelle città in cui già era riconosciuto
dall’ordinamento giuridico della RsfJ e dunque venne considerato diritto acquisito dalle
popolazioni locali.
A proposito di tale ordinamento previgente nei comuni e nelle città della RsfJ,
merita di essere citato, per la stretta connessione con l’argomento specifico del presente
scritto, il decreto sulle modalità e le condizioni d’uso della lingua e della scrittura delle
nazionalità nei procedimenti dinanzi agli organi amministrativi e alle organizzazioni
che esercitano pubblici poteri, emanato dal Consiglio esecutivo del Sabor dell’allora
Repubblica socialista di Croazia. L’articolo 6 del decreto prescriveva espressamente
che, con lo Statuto del comune, si stabilisse l’uso paritetico della lingua e della scrittura
della nazionalità nel procedimento dinanzi agli organi statali e alle persone giuridiche
pubbliche5.
D’altra parte, numerose convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dalla
Repubblica jugoslava contemplavano il bilinguismo.
In particolare, lo statuto speciale, allegato al Memorandum d’intesa tra i Governi
d’Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e di Jugoslavia, relativo al solo Territorio
Libero di Trieste, firmato a Londra il 5 ottobre 1954, sanciva (art. 5) che gli
appartenenti al gruppo etnico italiano, nella zona amministrata dalla Jugoslavia, erano
liberi di usare la propria lingua nei rapporti personali ed in quelli ufficiali con le
autorità amministrative e giudiziarie. Essi avevano, altresì, il diritto di ricevere risposta
nella lingua madre da parte degli Uffici: nelle risposte verbali, direttamente o per il
5
Il Decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica socialista di Croazia
del 10 febbraio 1981, n. 5. Il testo del citato art. 6 recitava letteralmente: “Sul territorio in
cui, con lo Statuto comunale, è stabilito l’uso paritetico delle lingua e scrittura della
nazionalità, gli organi amministrativi e le organizzazioni conducono il procedimento nella
lingua degli appartenenti a tali nazionalità. Gli organi amministrativi e le organizzazioni
assicurano l’uso paritetico delle lingua e scrittura della nazionalità in special modo: nella
conduzione del procedimento, nelle comunicazioni orali e scritte con le parti, nella
pubblicazione di delibere e di altri atti da essi emanati”. D’altra parte, prima ancora delle
prescrizioni in ordine all’uso paritetico della lingua e della scrittura della nazionalità nel
territorio comunale, il decreto in parola definiva le modalità e le condizioni d’uso della
lingua e della scrittura delle nazionalità nei procedimenti dinanzi agli organi amministrativi
in generale. Così, l’art. 2 recitava: “Gli organi amministrativi e le organizzazioni hanno
l’obbligo di assicurare agli appartenenti alla nazionalità, che realizzano i propri diritti e
doveri presso di loro: l’uso delle proprie lingua e scrittura nei vari procedimenti; la
possibilità di presentare istanze, domande, ricorsi, opposizioni, proposte, petizioni e altri
esposti, e che vengano inviati, a richiesta, nella lingua della nazionalità, decreti e altri
documenti in cui si deliberi sui loro diritti e doveri, nonché pagelle, attestati, certificati,
spiegazioni e altro. Si riterrà che è stata avanzata la richiesta, di cui al comma precedente,
se l’esposto della parte è stato scritto o dettato a verbale nella lingua della nazionalità”.
4
tramite di un interprete, mentre, in quelle per iscritto, le stesse autorità avrebbero
dovuto provvedere alla traduzione.
Ancora, secondo il medesimo statuto speciale, gli atti pubblici concernenti gli
appartenenti ai due gruppi etnici, comprese le sentenze dei tribunali, sarebbero stati
accompagnati da una traduzione nella rispettiva lingua. Il medesimo principio si
sarebbe applicato agli avvisi ufficiali, alle pubbliche ordinanze ed alle pubblicazioni
ufficiali.
Tali rilevanti misure di tutela del bilinguismo furono poi confermate (art. 8) dal
Trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia,
firmato ad Osimo il 10 novembre 1975. E bisogna ricordare che la legge costituzionale
sui diritti e le libertà dell’uomo e sui diritti delle comunità etniche e nazionali o
minoranze del 1992 tutelava espressamente (art. 64) quei diritti che la Repubblica di
Croazia avesse assunto per successione, in quanto legittima erede della RsfJ, con
accordi internazionali, quali, appunto, i diritti delle minoranze linguistiche.
Insomma, la Dieta democratica istriana non ebbe difficoltà nel richiedere di
codificare, a livello di amministrazioni locali, l’equivalenza della lingua maggioritaria,
croata, con quella minoritaria, italiana.
Al contrario, quando la Ddi cercò di estendere il bilinguismo all’intero territorio
della regione, reputando che i tempi per un simile passo fossero ormai maturi, incontrò
la ferma opposizione del governo, dominato dall’Hdz, e della corte costituzionale.
Ma la Dieta democratica istriana e l’Istria tutta non dovevano attendere molto,
perché l’aspirazione ad uno statuto regionale bilingue divenisse realtà.
Infatti, grazie ad un significativo mutamento del quadro legislativo, avvenuto
negli anni duemila, è stato finalmente possibile approdare ad un documento moderno,
in cui le istanze della minoranza linguistica italiana trovassero soddisfazione.
Ebbene, ripercorrere le tappe attraverso le quali si è giunti all’adozione del
nuovo statuto, analizzare le norme legislative che hanno reso possibile la sua
approvazione, nonché le disposizioni contenute nello statuto medesimo, appare il modo
migliore per ricostruire con precisione il sistema delle tutele di cui godono gli
appartenenti alla comunità italiana dell’Istria croata e nella Croazia intera nei loro
rapporti con la pubblica amministrazione e nell’esercizio del diritto alla tutela
giurisdizionale.
3. Le vicende del primo statuto istriano
Il primo testo dello statuto fu approvato dall’assemblea della regione istriana il
30 marzo 1994.
Il governo della Repubblica di Croazia decise, con ricorso del 14 aprile 1994, di
avviare, presso la corte costituzionale, il procedimento di valutazione della conformità
di ben trentacinque articoli dello statuto medesimo con la Costituzione e con la legge
5
costituzionale sui diritti e le libertà dell’uomo e sui diritti delle comunità etniche e
nazionali o minoranze.
La corte costituzionale, riunitasi in camera di consiglio il 2 febbraio 1995,
emanò la delibera con la quale venivano annullate diciotto disposizioni, di cui nove
concernenti la tutela della comunità nazionale italiana.
Desta grande interesse l’annullamento dell’art. 3 statuto.
L’articolo 3 stabiliva che (comma 1) tutti i cittadini della regione Istria
godessero uguali diritti, fondati sui principi del rispetto dei diritti umani, delle libertà,
parità di diritti e uguaglianza, del diritto al lavoro ed alla tutela sociale; che (comma 2)
le caratteristiche etniche, culturali ed altre particolarità autoctone dell’Istria fossero
salvaguardate in conformità con le disposizioni dello statuto e con le norme della
regione; che (comma 3), nella regione, la lingua croata e la lingua italiana fossero
paritetiche, e che (comma 4) la modalità per la realizzazione del bilinguismo venissero
stabilite dallo statuto e dagli atti della regione, in conformità con la Costituzione, con la
legge e con altre norme.
La corte annullò le norme di cui ai commi 1 e 2, in quanto ritenne che la regione
non fosse legittimata a disciplinare, né con il proprio statuto, né con altri atti, quei
diritti, tantomeno quelli delle comunità etniche, autoctone e nazionali o delle
minoranze. Essi erano tutelati direttamente dalla Costituzione, nonché dalla legge
costituzionale sui diritti umani.
Le disposizioni di cui ai commi 3 e 4 vennero annullate, invece, per contrarietà
all’articolo 12 della Costituzione, il quale sancisce che nella Repubblica di Croazia
sono in uso ufficiale la lingua croata e la scrittura latina e che può essere introdotto
nell’uso ufficiale, nelle singole unità locali, oltre alla lingua croata ed alla scrittura
latina, anche un’altra lingua e la scrittura cirillica od altra scrittura.
Conformemente, gli articoli 7 e 8 della legge costituzionale sui diritti e le libertà
dell’uomo, stabiliscono che gli appartenenti a tutte le comunità etniche e nazionali
possono far uso libero, nella vita privata e pubblica, della propria lingua e scrittura.
Queste disposizioni sanciscono parimenti che, nei comuni in cui gli appartenenti a
minoranze rappresentino la maggioranza della popolazione complessiva, sarà in uso
ufficiale, accanto alla lingua croata ed alla scrittura latina, anche la lingua e la scrittura
di tali comunità etniche. Ed inoltre, viene stabilito che le unità di autogoverno locale
possono sancire l’uso ufficiale di due o più lingue e scritture, tenendo conto del numero
degli appartenenti e degli interessi dei gruppi minoritari.
In altri termini, osservò la corte, il potere di introdurre, accanto alla lingua
croata, un’altra lingua ufficiale, appartiene unicamente a quelle unità di autogoverno
locale definite come tali dalla Costituzione. E la Carta fondamentale, all’articolo 133,
stabilisce che solo il comune ed il distretto o la città sono unità di autogoverno locale,
non la regione. Conseguentemente, essa, fintantoché con un’apposita legge non venga
6
stabilito diversamente, non può disciplinare, con il proprio statuto, l’uso della lingua
croata e della lingua della minoranza.
È appena il caso di notare come la corte costituzionale abbia ribadito questo suo
orientamento anche successivamente, con decisione adottata in camera di consiglio il
23 gennaio 2003.
L’alto Giudice era chiamato a pronunciarsi sulla conformità alla Costituzione
del provvedimento del ministero della pubblica amministrazione, con cui si ordinava la
rimozione della targa bilingue, in croato ed in italiano, dalla facciata del palazzo della
regione a Pisino, capoluogo dell’Istria croata.
Orbene, la corte ha dichiarato la conformità dell’atto alla Costituzione. Le
motivazioni riecheggiano quelle precedentemente esaminate. Esse si sviluppano attorno
all’art. 12 ed all’art. 133, per cui i comuni e le città sono unità di governo locale mentre
le contee, qual è l’Istria, sono unità di governo regionale. Quindi, si è affermato, la
regione non è autorizzata ad esporre alcuna tabella in cui compaiano, con il medesimo
carattere di ufficialità, entrambe le lingue.
In conclusione, il bilinguismo sembrava destinato a rimanere relegato negli
angusti confini degli enti locali.
Peraltro, ciò corrispondeva ad una ben precisa tendenza, tipica degli
ordinamenti dell’Europa centro-orientale, a privilegiare, anche ai fini della tutela delle
minoranze etnico-linguistiche, gli enti locali di base, piuttosto che i livelli intermedi
dell’amministrazione6.
Tuttavia, sarebbero sopravvenute rilevanti innovazioni legislative, destinate a
dischiudere nuovi spazi all’iniziativa riformatrice di coloro i quali ambivano ad uno
statuto bilingue per l’Istria. Tali modificazioni normative meritano un attento esame.
4. Le innovazioni legislative degli anni duemila. Il secondo statuto dell’Istria ed il
bilinguismo nei rapporti con l’amministrazione.
Negli anni duemila, si è assistito ad un significativo mutamento del quadro
normativo concernente i diritti delle minoranze.
In particolare, sono entrate in vigore la nuova legge costituzionale sui diritti e le
libertà dell’uomo e sui diritti delle comunità etniche e nazionali del 13 dicembre 2002
(legge cost. n. 155/2002) e sostitutiva di quella del 1992, nonché la legge sull’uso delle
lingue e delle scritture degli appartenenti alle minoranze nazionali e la legge
6
Cfr. Piergigli V., Decentramento territoriale e minoranze linguistiche: un’analisi
comparata, in Federalismi. it – Osservatorio sul Federalismo e i processi di governo, 10
luglio
2003,
pagg.
14
ss.,
consultabile
on
line
alla
paginahttp://www.federalismi.it/federalismi/document/08072003234526.pdf e riferimenti
bibliografici ivi contenuti .
7
sull’educazione e l’istruzione nella lingua e nella scrittura delle minoranze nazionali
medesime.
Ora, la citata legge costituzionale non ha avuto altro merito, se non quello di
specificare ulteriormente quanto statuito dalla Costituzione. Infatti, l’art. 7, comma 2
sancisce che, nei comuni ove gli appartenenti alla comunità etnica costituiscono la
maggioranza, tenendo conto del numero complessivo degli abitanti, la lingua e la
scrittura minoritarie saranno in uso quali lingua e scrittura ufficiali, accanto alla lingua
croata ed alla scrittura latina. Ai sensi dell’art 8, poi, le unità dell’autogoverno locale
possono stabilire l’uso ufficiale di due o più lingue e scritture minoritarie, prendendo in
considerazione il numero degli appartenenti alle comunità nazionali e gli interessi delle
stesse.
In buona sostanza, viene ribadito come solo negli enti locali minori, e non anche
nelle regioni, sia possibile l’uso ufficiale di altre lingue e scritture. Sul punto, la nuova
legge non si è discostata affatto dal testo del 1992.
La legge sull’uso delle lingue e delle scritture appariva, invece, di altro avviso.
Per l’art. 5, sul territorio del comune, della città o, si badi bene, della Regione,
gli appartenenti alla minoranza nazionale hanno il diritto all’uso ufficiale e paritetico
della propria lingua e scrittura, alle modalità previste dalla legge. Per la prima volta,
viene riconosciuta la possibilità che, a livello regionale, una lingua ed una scrittura
minoritarie ricevano il crisma dell’ufficialità ed addirittura quello della pariteticità.
Dello stesso tenore l’art 8, per il quale nei comuni, nelle città e, si noti ancora,
nelle regioni, dove è in uso ufficiale paritetico la lingua e la scrittura della minoranza
nazionale, l’attività dei consigli comunali e cittadini, delle giunte cittadine, nonché
delle assemblee e delle giunte regionali viene svolta in lingua croata ed in caratteri
latini, nonchè nella lingua e nella scrittura degli appartenenti alla minoranza nazionale.
L’art. 9 prosegue nel senso che i comuni, le città e, di nuovo, le regioni, dove
vige l’uso ufficiale paritetico della lingua e della scrittura della minoranza nazionale,
assicureranno ai cittadini il diritto ai documenti pubblici bilingui o plurilingui ed alla
stampa dei moduli ad uso ufficiale bilingui o plurilingui.
Merita attenzione anche l’art 13, per cui nei comuni, nelle città e nelle regioni
dove vige l’uso ufficiale paritetico anche della lingua e della scrittura della minoranza
nazionale, il primo atto scritto del procedimento viene inviato alla parte in lingua croata
e caratteri latini e in lingua e scrittura in uso ufficiale e paritetico della minoranza
nazionale.
L’art. 24 dispone addirittura che, se il comune, la città o la regione non
stabilissero, con lo statuto, l’uso della lingua e della scrittura della minoranza nazionale,
ossia lo stabilissero contrariamente alle disposizioni della legge in parola, il dirigente
dell’organismo centrale dell’amministrazione statale, di cui all’articolo 23 della legge
medesima, sospenderebbe l’attuazione dello statuto, ossia alcune sue disposizioni,
disporrebbe l’applicazione diretta della legge e presenterebbe al governo una proposta
8
di apertura del procedimento di valutazione della costituzionalità e legalità dello statuto
o di un altro atto generale del comune, della città o della regione.
Insomma, le disposizioni appena citate avevano indotto a ritenere che
l’atteggiamento del potere centrale, in merito alla possibilità di introdurre l’uso ufficiale
della lingua minoritaria a livello regionale, fosse in via di superamento.
Ebbene, è stato proprio all’interno di questo rinnovato quadro legislativo che,
nell’aprile del 2001, l’assemblea della regione istriana ha emanato il nuovo statuto7.
Il nuovo statuto intendeva realizzare la piena equivalenza della lingua croata con
quella italiana.
Così, l’articolo 6 dichiarava solennemente che, nella regione istriana, la lingua
croata e quella italiana erano paritetiche.
Sennonché, inaspettatamente, anche il nuovo statuto ha trovato l’opposizione
del governo della Repubblica di Croazia. Si apriva una nuova turbolenta stagione per il
bilinguismo istriano.
Infatti, nel maggio 2001, il governo disponeva la sospensione di tredici articoli,
costituenti il cuore della tutela della minoranza italiana ed impugnava gli articoli
medesimi dinnanzi alla corte costituzionale.
Il governo, si noti bene, sosteneva che la regione potesse prescrivere l’uso
ufficiale della lingua minoritaria soltanto nell’ambito degli uffici serventi le
competenze che le spettavano in quanto unità di autogoverno regionale, e non a livello
regionale in senso ampio, e cioè anche per tutte le diramazioni amministrative
periferiche dello stato operanti in località non bilingui8.
Così, nell’ottobre successivo, l’assemblea della regione istriana ed il ministero
della giustizia concordavano alcune modifiche agli articoli impugnati. Tali modifiche
circoscrivevano alquanto la tutela della minoranza italiana. Si consideri proprio l’art. 6
statuto. Nella formulazione antecedente alla riscrittura concordata col ministero, l’art.
6, comma 1 disponeva, come si è più sopra ricordato, che “nella regione istriana la
lingua croata e quella italiana sono paritetiche [tout court]”. Nella formulazione
successiva alla modifica, l’art. 6, comma 1 medesimo recita, invece, che “nella Regione
istriana la lingua croata e quella italiana sono equiparate [esclusivamente, ecco il punto]
nell’uso ufficiale per quello che concerne il lavoro degli organi regionali nell’ambito
dell’autogoverno locale”. Non veniva concesso che la Carta fondamentale dell’Istria
prevedesse, sic et simpliciter, il bilinguismo per ogni ufficio pubblico sito sul suo
territorio. Per quanto concerne l’uso della lingua croata e di quella minoritaria
7
Sul nuovo statuto istriano, cfr. anche il contributo di Seppi M., nel presente volume.
Cfr. la proposta d’avvio del procedimento di conformità alla Costituzione ed alle Leggi
dello statuto della Regione istriana, approvata dal governo della Repubblica di Croazia
nella sua 88esima seduta, tenutasi a Zagrabria il 22 maggio 2001 e consultabile on line alla
pagina http://www.vlada.hr/Default.asp?ru=188&sid=&jezik=1
8
9
all’interno delle amministrazioni statali, occorrerà esaminare la legge sull’uso delle
scritture. A questo proposito, si rimanda al paragrafo successivo.
Nel novembre dello stesso anno, l’assemblea approvava tali modifiche; il
ministro della giustizia informava il governo che lo statuto istriano non era più in alcun
modo in contrasto con la Costituzione; il governo medesimo rinunciava formalmente
all’impugnazione e chiedeva alla corte costituzionale di archiviare il relativo
procedimento.
Ora, l’impugnazione del secondo statuto dell’Istria suscita numerose perplessità.
Infatti, sono le disposizioni statali succitate che, semmai, avrebbero dovuto essere
considerate incostituzionali. Esse, infatti, costituiscono norme di legge ordinaria,
subordinata alla Costituzione. L’accusa di incostituzionalità, in altri termini, non
doveva essere rivolta al documento in cui si è concretizzato l’esercizio dell’autonomia
statutaria della regione istriana9.
Certo, lo statuto oggi vigente rappresenta una rilevante vittoria per la comunità
italiana.
Notevoli progressi nella tutela della comunità italiana si sono registrati anche a
livello di autonomie locali, soprattutto per ciò che riguarda i rapporti di questa con la
pubblica amministrazione.
Si consideri l’art. 21 dello statuto della città di Umago, approvato dal consiglio
municipale nella sessione del 4 dicembre 2001, per il quale, nel comprensorio cittadino
vengono utilizzate, quali lingue ufficiali, la lingua croata e la lingua italiana. A tale
scopo, sono creati i presupposti atti a garantire lo svolgimento di tutte le attività
pubbliche ed amministrative mediante l’uso delle due lingue, sia nella comunicazione
scritta che orale. L’art. 23, poi, disciplina un aspetto particolarmente rilevante. In forza
di questo articolo, in seno agli organi dell’amministrazione statale, dell’autogoverno e
dell’amministrazione locale, delle autorità forensi, delle società e degli enti che
gestiscono servizi pubblici, l’organigramma della dotazione del personale deve
includere quadri per cui sussiste l’obbligo di conoscenza delle lingue croata ed italiana.
Si pensi, ancora, allo statuto della città Rovigno, emendato il 3 giugno 2002.
Secondo l’art. 28, sul territorio della città la lingua croata e la lingua italiana sono
paritetiche. A tal fine, vengono create le condizioni indispensabili a garantire che la
completa vita pubblica ed ufficiale della città si svolga nella parità di tutte e due le
lingue e scritture. Ai sensi dell’art. 29, poi, nell’abitato della città di Rovigno, l’uso
paritetico ufficiale della lingua e della scrittura della minoranza nazionale italiana viene
realizzato nell’attività degli organismi rappresentativi ed esecutivi della città, come nel
procedimento dinanzi agli organismi amministrativi. Per l’art. 34, infine, onde
realizzare la pariteticità delle lingue croata e italiana, negli organismi
9
Cfr. Piergigli V., Lo Statuto istriano e il bilinguismo al vaglio delle autorità croate, in
Quad. cost., 2001, pag. 632.
10
dell’amministrazione municipale, nelle istituzioni e persone giuridiche partecipate dal
comune, che nella propria attività comunicano direttamente con i cittadini, devono
essere previsti posti di lavoro per i quali sia d’obbligo la conoscenza attiva della lingua
croata e di quella italiana.
5. Analisi delle disposizioni legislative più rilevanti sull’uso della lingua
minoritaria nei rapporti con l’amministrazione e nell’esercizio del diritto alla
tutela giurisdizionale
La legge sull’uso delle lingue e delle scritture degli appartenenti alle minoranze
nazionali contiene disposizioni generali di capitale importanza per quanto concerne i
rapporti delle minoranze medesime con la pubblica amministrazione e l’accesso di
queste al sistema della giustizia.
Così, nelle località bilingui10, gli appartenenti alle minoranze nazionali hanno il
diritto all’uso ufficiale e paritetico della propria lingua e scrittura nel procedimento
dinanzi agli organismi dell’amministrazione statale di prima istanza, dinanzi alle unità
organizzative degli organismi centrali dell’amministrazione statale di prima istanza, ai
tribunali di prima istanza, alle procure della Repubblica, alle avvocature dello stato di
prima istanza, nonchè davanti ai notai ed alle persone giuridiche con poteri pubblici,
autorizzati a procedere sul territorio del comune o della città che hanno introdotto
nell’uso ufficiale paritetico la lingua e la scrittura degli appartenenti alla minoranza
nazionale.
Per quanto concerne, poi, il procedimento di seconda istanza, esso si svolge
nella lingua croata e con i caratteri latini. Tuttavia, se nella fase di primo grado si erano
usate la lingua e la scrittura della minoranza nazionale, il procedimento successivo si
svolgerà secondo le medesime regole, ma solo a seguito di espressa richiesta delle parti.
Le disposizioni della legge in parola non vengono applicate, invece, nei
procedimenti presso gli organismi centrali dell’amministrazione statale, presso i
tribunali commerciali, il tribunale amministrativo, il tribunale superiore per le
trasgressioni, presso la corte suprema della Repubblica di Croazia e la corte
10
Si noti bene come le disposizioni della legge sull’uso delle lingue e delle scritture degli
appartenenti alle minoranze nazionali si applichino unicamente nel territorio dei comuni o
delle città in cui gli appartenenti ad una singola minoranza costituiscano la maggioranza
degli abitanti (art. 4, comma 1), ovvero nei comuni e nelle città in cui il bilinguismo sia
previsto nello statuto. La legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali n.
155/2002 ha parzialmente innovato sul punto, prescrivendo che l’uso paritetico ufficiale
della lingua e della scrittura di cui si servono gli appartenenti alla comunità nazionale viene
realizzato nel territorio dell’unità dell’autogoverno locale quando gli appartenenti ad una
singola minoranza nazionale costituiscono almeno un terzo degli abitanti di tale unità (art.
12, comma 1).
11
costituzionale, nonchè nei procedimenti presso gli altri organismi centrali dell’autorità
statale.
La legge sull’uso delle lingue e delle scritture minoritarie prescrive
espressamente che gli organismi dell’amministrazione di prima istanza, i tribunali, le
procure della Repubblica e le avvocature, le persone giuridiche con poteri pubblici,
nonchè i comuni, le città e le regioni dove sono in uso ufficiale paritetico la lingua e
scrittura della minoranza, assicurino un numero adeguato di impiegati che possano
svolgere i procedimenti e intraprendere le operazioni necessarie anche nella lingua e
nella scrittura della minoranza nazionale.
Com’è facilmente intuibile, le succitate disposizioni in favore dei gruppi
minoritari rimarrebbero lettera morta, se, all’atto pratico, all’interno degli uffici, i
funzionari non fossero in grado di esprimersi e di comprendere lingue e scritture
diverse da quelle nazionali.
In generale, la formazione culturale degli impiegati pubblici costituisce un
presupposto fondamentale della reale tutela di ogni minoranza. Questo punto
rappresenta una nota dolente per la Croazia.
A tale proposito, appare indicativo come il Comitato dei diritti dell’uomo delle
Nazioni Unite abbia recentemente osservato, nientemeno, che l’ordine giudiziario
croato è inadeguato a realizzare una effettiva protezione delle posizioni giuridiche
soggettive sancite nel Patto sui diritti civili e politici, il quale contempla, come si è più
sopra ricordato, la pretesa degli appartenenti ai gruppi minoritari di usare la propria
lingua11. La scarsa preparazione dei magistrati croati è evidenziata altresì nell’ultimo
Rapporto sul rispetto dei diritti umani del Dipartimento di stato americano12.
Peraltro, il governo della Repubblica di Croazia ha annunciato l’istituzione di un
Centro di alta formazione professionale per i giudici e per tutti gli altri funzionari
dell’amministrazione della giustizia13. Il Centro ha iniziato la propria attività nel marzo
2003.
S’impone un’ultima osservazione sulla legge sull’uso delle lingue e delle
scritture degli appartenenti alle minoranze nazionali.
11
Cfr. le osservazioni conclusive del Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite
sulla Croazia, del 30 aprile 2001, punto 7, consultabile on line alla pagina
http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/(symbol)/7c3306a53f34ff43c1256a2a0036d955?opendoc
ument
12
Cfr. il Rapporto 2003 sul rispetto dei diritti umani del Dipartimento di stato americano,
licenziato dall’Ufficio per la democrazia, i diritti umani ed il lavoro il 25 febbraio 2004 e
consultabile on line alla pagina http://www.state.gov/g/drl/rls/hrrpt/2003/27831.htm
13
Cfr. le note di commento del governo della Croazia sulle osservazioni conclusive del
Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, del 22 aprile 2003, punto 7, consultabile
on
line
alla
pagina
http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/385c2add1632f4a8c12565a9004dc311/e235ea3f7e08e96
cc1256d7c002801ab/$FILE/G0342496.pdf
12
Essa stabilisce che, ove non si applicasse l’uso ufficiale paritetico della lingua e
della scrittura minoritarie nei comuni, nelle città o nelle regioni in cui è stato introdotto,
ossia se tale applicazione si realizzasse contrariamente alle disposizioni della legge
stessa, questo rappresenterebbe una sostanziale violazione del procedimento. Più
precisamente, una simile mancanza dell’uso della lingua della nazionalità, all’interno di
una procedura giudiziaria o amministrativa, costituirebbe, di per sé, legittimo motivo
d’appello, come ha chiarito lo stesso governo croato, affermando altresì che ciò
rappresenta, a ben vedere, la forma più avanzata di tutela dei diritti delle minoranze nel
paese14.
Certo, il sistema di tutele delineato dalla legge sulle scritture appare più efficace
e moderno di quello disciplinato dai codici di procedura penale e di procedura civile,
basato sostanzialmente sulle traduzioni.
Così, l’art. 119 c.p.p. garantisce semplicemente che le persone obbligate a
sostenere le spese processuali, sono esentate dal pagamento delle spese per le traduzioni
nelle lingue minoritarie.
D’altra parte, l’art. 6 c.p.c. afferma solennemente che il procedimento civile è
condotto in lingua croata e con l’uso della scrittura latina, semprechè un’altra lingua od
una diversa scrittura non sia introdotta dalla legge nell’uso di determinate corti. Ai
sensi dell’art. 102 del medesimo codice, poi, se il processo non è condotto nella lingua
della parte, quest’ultima può seguire le udienze con l’assistenza di un interprete. Ai
sensi del successivo art. 103, le pronunce giudiziarie e gli altri documenti sono redatti e
notificati alle parti in croato. Se l’altra lingua o scrittura è in uso ufficiale presso la
corte, la corte stessa produrrà gli atti giuridici in quella lingua a quelle parti che abbiano
usato la lingua minoritaria. In ogni caso, le spese delle traduzioni nella lingua
minoritaria sono poste a carico delle corti.
6. Il bilinguismo sloveno-italiano in Istria
In Slovenia coesistono molti gruppi etnici minoritari. Le comunità
numericamente più rilevanti sono quelle dei bosniaci, dei croati, dei musulmani e dei
serbi. Inoltre, si registra una modesta presenza di ungheresi e di italiani. L’etnia italiana
14
Cfr. Governo della Repubblica di Croazia – Informazioni fornite dal governo in base al
questionario della Commissione europea, pag. 409, consultabile on line alla pagina
http://www.vlada.hr/zakoni/mei/ChpI/ChpI.pdf. Tali informazioni sono state consegnate
dall'ex presidente del Governo croato, Ivica Racan, al presidente della Commissione
europea, Romano Prodi, il 9 ottobre 2003.
13
conta poco più di duemiladuecento membri e rappresenta appena lo 0,11 per cento della
popolazione15.
Nonostante le minoranze ungherese ed italiana siano davvero esigue, la
Costituzione riconosce (art. 64, comma 1) soltanto a loro lo status di comunità
autoctone nazionali e garantisce ad entrambe ed ai rispettivi componenti diritti speciali,
quali quello di usare i propri simboli nazionali, di ricevere un’educazione nella lingua
madre, di potere operare, nella lingua che essi parlano correntemente, nel campo dei
mezzi di comunicazione di massa e dell’editoria.
Soprattutto, la Costituzione medesima sancisce (artt. 11 e 64, comma 4) come,
accanto alla lingua ufficiale della Repubblica, cioè lo sloveno, siano parimenti ufficiali
l’ungherese e l’italiano in quei comuni dove gli ungheresi e gli italiani vivono. La tutela
di queste minoranze è stata da taluno definita esemplare16.
Dalla previsione costituzionale dell’uso paritetico delle lingue delle comunità
autoctone, deriva direttamente il diritto alla redazione dei documenti pubblici e delle
certificazioni in forma bilingue, nonché quello all’uso delle lingua minoritaria nei
rapporti con le autorità amministrative e giudiziarie17.
Così, la legge sulla pubblica amministrazione, pubblicata sulla Gazzetta
ufficiale della Repubblica slovena n. 52/2002, stabilisce (art. 4, comma 2) che, nelle
aree d’insediamento delle comunità italiana ed ungherese, le operazioni, i procedimenti
e tutti gli altri atti amministrativi sono condotti in sloveno o nella lingua minoritaria.
Inoltre, viene sancito (art. 4, comma 3) che, quando l’organo amministrativo di prima
istanza abbia condotto il procedimento in italiano od in ungherese, a tanto è tenuto
l’organo di seconda istanza.
Le comunità autoctone hanno il diritto di usare la propria lingua anche nei
rapporti con gli uffici dell’anagrafe e dello stato civile. I moduli per richiedere la carta
d’identità sono stampati in sloveno ed in inglese ed anche in italiano o in ungherese,
quando ciò sia stabilito dagli statuti locali delle zone in cui risiedano i due gruppi
minoritari (legge sulle carte d’identità personali n. 75/97, art. 6); nelle zone dove i
membri della minoranza italiana o ungherese risiedono, gli ufficiali dello stato civile
sono obbligati ad emettere gli estratti ed i certificati dei registri anche nella lingua
italiana od ungherese (legge sul registro delle nascite, delle morti e delle unioni n. 2/87,
mantenuta in vigore, art. 30, par. 2).
Disposizioni simili sono riscontrabili per quanto concerne il rilascio dei
passaporti e l’attività dei notai.
15
Cfr. Ufficio statistico della Repubblica Slovena – Censimento della popolazione 2002,
consultabile
on
line
alla
pagina
http://www.stat.si/popis2002/en/rezultati/rezultati_red.asp?ter=SLO&st=7
16
Cfr. Blair Ph., The protection of regional or minority languages in Europe, in
Euroregions, n. 5/1993, pag. 38.
17
Cfr. Piergigli V., Lingue minoritarie e identità culturali, Milano, 2001, pag. 321.
14
La legge sulle corti di giustizia n. 19/94 disciplina l’uso delle lingue minoritarie
nell’accesso agli uffici giudiziari. Secondo tale testo normativo (art. 5), l’attività di
ciascuna corte è svolta in sloveno. Tuttavia, nei territori in cui vivono le comunità
etniche autoctone italiana ed ungherese, l’attività medesima viene condotta in italiano o
ungherese. Ancora, se una corte di secondo grado giudica in appello una causa trattata
in una delle due lingue minoritarie, essa deve rendere la propria decisione tradotta in
italiano o in ungherese; le relative spese sono poste a carico del bilancio dello stato.
Infine, la medesima legge (art. 45, comma 3) prescrive che, nelle zone dove si trovano
le due comunità etniche, il presidente della corte d’appello applichi il necessario
numero di giudici che abbiano una conoscenza effettiva della lingua italiana o
ungherese.
Ancora più particolareggiata è, poi, la disciplina regolamentare di
funzionamento delle corti di giustizia (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Slovenia
n. 17/95)18.
Per quanto concerne la tutela della comunità italiana a livello locale, con
particolare riguardo, come sempre, ai rapporti con la pubblica amministrazione e con
gli uffici giudiziari, notevole interesse destano gli statuti dei comuni di Capodistria e di
Pirano.
Ai sensi dell’art. 108 dello statuto della città di Capodistria, adottato dal
consiglio comunale nelle sedute del 13 luglio 2000 e del 28 settembre 2000, gli organi
dello stato, dell’amministrazione comunale e gli altri organi comunali, le aziende e gli
enti pubblici, oltre ad altre persone giuridiche e fisiche che esercitino un’attività
pubblica nel territorio nazionalmente misto, hanno l’obbligo di operare e rispondere in
entrambe le lingue alle istanze inoltrate dai cittadini in lingua italiana.
In forza del successivo art. 112, poi, nel territorio etnicamente eterogeneo del
comune, i procedimenti penali si svolgono in entrambe le lingue, in armonia con quanto
stabilito dalle apposite leggi. I procedimenti nei quali intervengono più parti di
entrambe le nazionalità, si svolgono, secondo il caso, in lingua slovena od in lingua
italiana, oppure in entrambe le lingue.
Ancora, gli organi dello stato e del comune, i tribunali ed altri uffici e funzionari
pubblici sono tenuti a rilasciare gli atti in entrambe le lingue, qualora si tratti di cittadini
18
Cfr. tale dettagliatissima disciplina nel Rapporto inviato dalla Repubblica di Slovenia ai
sensi dell’art. 25, paragrafo 1 dell’Accordo quadro sulla protezione delle minoranze
nazionali e ricevuto dal Consiglio europeo il 29 novembre 2000, consultabile on line alla
pagina
http://www.humanrights.coe.int/minorities/Eng/FrameworkConvention/StateReports/2000/
slovenia/slovenia.html#annex2
15
di nazionalità italiana, e su loro specifica richiesta, anche ad altri cittadini. In questi
casi, entrambi gli atti hanno valore di originale.
Per l’art. 113, infine, negli organi dello stato, in quelli dell’amministrazione
comunale e nelle altre comunità dell’autonomia locale, nelle aziende e negli enti
pubblici che svolgono funzioni pubbliche, devono essere previsti ed occupati posti di
lavoro, per i quali sia obbligatoria la conoscenza delle lingue slovena e italiana.
Secondo quanto dispone l’art. 69 dello statuto del comune di Pirano, nel
territorio nazionalmente misto del comune, le lingue ufficiali sono lo sloveno e
l’italiano. I procedimenti giudiziari ed amministrativi, nonché i procedimenti inerenti le
trasgressioni, vengono condotti anche in lingua italiana, quando la parte, che è
appartenete alla nazionalità italiana, lo richiede. L’organo che conduce il procedimento
ha il dovere di informare l’appartenente alla nazionalità italiana in merito ai diritti
relativi all’uso della lingua.
Per l’art. 71, tutti gli atti dei procedimenti a cui partecipa per lo meno un
appartenente alla nazionalità italiana, si rilasciano anche in lingua italiana. L’atto
rilasciato in lingua italiana si reputa originale.
Infine, ai sensi dell’art. 73, negli organi comunali, nelle aziende e negli enti
pubblici, nonché nei pubblici uffici, devono essere previsti e occupati posti di lavoro,
per i quali è prevista la conoscenza obbligatoria della lingua slovena ed italiana.
7. Conclusioni
Il 1° maggio 2004 l’Unione europea si è aperta a dieci nuove nazioni. Quello
che ha avuto luogo è stato il più rilevante allargamento nella storia del vecchio
continente, che oggi conta una popolazione di più di quattrocentocinquanta milioni di
persone e vanta straordinarie potenzialità in campo politico ed economico.
Purtroppo, questa esaltante fase d’integrazione non ha riguardato i Balcani, o,
per la precisione, non li ha riguardati, se non marginalmente. Fra tutti i Paesi del sud est
Europa, infatti, solo la Slovenia è membro a pieno titolo dell’Unione; per gli altri,
l’adesione è rimandata ad un futuro lontano ed incerto.
L’area balcanica, che già molto ha sofferto, non può però essere lasciata troppo
a lungo a se stessa, col rischio d’essere nuovamente teatro di tensioni e instabilità. Da
questo punto di vista, grande rilevanza assume la posizione della Croazia.
La Commissione europea ha recentemente comunicato il proprio parere sulla
domanda di adesione della Croazia all’Unione, raccomandando al Consiglio di avviare
gli appositi negoziati19. La Commissione ha concluso che la Croazia è una democrazia
19
Cfr. il Parere della Commissione sulla domanda di adesione della Croazia all’Unione
europea, dato a Bruxelles il 20 aprile 2004 e consultabile on line alla pagina
http://europa.eu.int/cgi-bin/eur-lex/udl.pl?REQUEST=Service-
16
funzionante, dove lo stato di diritto è garantito da istituzioni stabili e il rispetto dei
diritti fondamentali non reca particolari problemi.
La Commissione ha approvato altresì una proposta di decisione del Consiglio,
relativa al partenariato europeo con la Croazia, che ricalca i partenariati già utilizzati
per preparare altri Paesi a diventare membri dell’ U. E.20. Ebbene, in data 13 settembre
2004, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la decisione di attuare il partenariato
con la piccola Repubblica balcanica, fissando i principi, le priorità e le condizioni
specifiche del partenariato medesimo21. Il Consiglio ha anche deciso di convocare una
conferenza intergovernativa bilaterale con la Croazia, all’inizio del 2005, al fine
dell’avvio vero e proprio dei negoziati per l’adesione22. Tutto ciò non può che essere
riguardato favorevolmente.
Il dossier più delicato sul governo di Zagabria riguarda la tutela dei diritti delle
minoranze, come si è rimarcato più volte nel corso del presente scritto, con specifico
riferimento alle minoranze linguistiche23. C’è davvero da augurarsi che le riforme,
Search&LANGUAGE=it&GUILANGUAGE=it&SERVICE=all&COLLECTION=com&D
OCID=504PC0257
20
Cfr. la Proposta di Decisione del Consiglio relativa ai principi, alle priorità e alle
condizioni specificate nel partenariato europeo con la Croazia, presentata dalla
Commissione, data a Bruxelles il 20 aprile 2004 e consultabile on line alla pagina
http://europa.eu.int/cgi-bin/eur-lex/udl.pl?REQUEST=ServiceSearch&LANGUAGE=it&GUILANGUAGE=it&SERVICE=all&COLLECTION=com&D
OCID=504PC0275
21
La decisione del Consiglio è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea
del 22 settembre 2004, n. L 297.
22
Cfr. il Bollettino dell’Unione europea UE 6-2004, Conclusioni della Presidenza ( 6/23 ),
punto
1.7.31.,
consultabile
on
line
alla
pagina
http://europa.eu.int/abc/doc/off/bull/it/200406/i1007.htm
23
Cfr. il Parere della Commissione sulla domanda di adesione della Croazia all’Unione
europea, cit., pag. 18, circa il Centro di alta formazione professionale per i giudici e per tutti
gli altri funzionari dell’amministrazione della giustizia, cui si è accennato più sopra, nel
testo. Secondo la Commissione, il Centro non dispone ancora delle risorse necessarie per
svolgere le sue funzioni, poiché è composto solo da quattro persone, compreso il direttore,
e non può contare su un bilancio permanente. D’altra parte, i docenti non vengono
selezionati per concorso, né valutati sulla base delle rispettive prestazioni. Pertanto, il
Centro deve definire urgentemente una strategia di formazione. A tale proposito, sebbene il
Centro medesimo abbia organizzato seminari ad hoc ( finanziati principalmente dai
donatori internazionali ) riguardanti, ad esempio, le procedure e la giurisprudenza della
Corte europea per i diritti umani, la didattica sulla normativa U.E. non è ancora iniziata. Il
Centro dovrebbe inoltre avviare una cooperazione istituzionalizzata con la Corte suprema, a
cui la legge sui tribunali affida l’incarico di sorvegliare la formazione dei giudici. La
Commissione, poi, osserva come l’adeguata preparazione dei magistrati sia ostacolata dalle
scarse risorse finanziarie di cui dispongono gli uffici giudiziari. In ultima analisi, il governo
si deve adoperare attivamente per potenziare il Centro o per creare un’accademia
giudiziaria.
17
avviate allo scopo di eliminare le zone d’ombra che ancora permangono sulla
condizione dei gruppi minoritari, giungano presto a compimento, cosicché la Croazia
possa entrare a testa alta nel posto che le spetta, nel cuore dell’Europa.
Cfr., ancora, il Parere della Commissione, pag. 26, per cui le minoranze sono rappresentate
in misura insufficiente negli organi amministrativi e giudiziari dello stato, rispetto ai livelli
indicati nella legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali del 2002. Il governo
non ha ancora elaborato un programma per ovviare, nemmeno a lungo termine, al
problema, giustificando il ritardo con pretesti di varia natura, quali i vincoli di bilancio e,
nel caso del settore giudiziario, invocando l’indipendenza dei tribunali nella selezione dei
giudici. In realtà, sono vacanti numerosi posti, sia nella pubblica amministrazione in
generale, che in quella della giustizia in particolare, ma non si è ancora in grado di
comprendere se, fra i nuovi assunti, figureranno membri delle minoranze nazionali.
Cfr., infine, sui medesimi punti, la decisione del Consiglio relativa ai principi, alle priorità e
alle condizioni specificate nel partenariato europeo con la Croazia, cit., paragrafo 3.1. Fra le
priorità a breve termine, viene individuata l’elaborazione e l’attuazione di una strategia
globale di riforma del sistema giudiziario, che contempli l’istituzione di un meccanismo
trasparente di selezione, valutazione e mobilità del personale. Si rileva, inoltre, come sia
urgente promuovere la professionalità del settore, tramite adeguati finanziamenti pubblici, a
beneficio degli istituti per la formazione dei magistrati e di tutti gli altri funzionari
appartenenti all’amministrazione della giustizia. Fra le priorità a breve termine, viene
individuata, ancora, la puntuale applicazione della legge costituzionale sulle minoranze
nazionali, in particolare per quanto riguarda la rappresentanza proporzionale delle
minoranze nelle sedi di autogoverno locali e regionali, negli enti amministrativi e
giurisdizionali dello stato, nonché negli organismi della pubblica amministrazione, come
contemplato dalla legge stessa.
18
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