Archeologia Medievale XXIII, 1996, 225

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G IGLIO –
Archeologia Medievale
XXIII, 1996, 225-242
portunità di indagare stratificazioni e strutture comprese tra
il 500 ed il 1500 d.C., pur se frammentate, in particolare per
l’attività delle cave, in tre settori distinti:
a – la sommità del colle, ove sono conservati prevalentemente strati e strutture delle fasi di occupazione militare di età
bassomedievale. In questo settore, i problemi archeologici sono
sostanzialmente due: mettere in luce le strutture architettoniche basso medievali e ricercare i meno consistenti, ma assai
importanti, resti della stratificazione altomedievale. In particolare, il primo obiettivo avrà una ricaduta anche sulla musealizzazione, contribuendo a dare al futuro visitatore l’immagine di un palinsesto di edifici e strutture di complessa funzionalità, quale la Rocca è stata nel corso dei secoli.
b – a mezzacosta sono conservati due relitti importanti delle
mura bizantine di VI secolo. Ad esse è associata una stratificazione altomedievale di grande interesse, solo in piccola parte
già scavata. In particolare, al tratto inferiore, con andamento
parallelo alla curva di livello dei 100 metri, si appoggiano
strati databili al VI secolo (scavo 1989).
c – ai piedi del colle, tra Ca’ Marcello e la chiesa di S. Biagio,
sopravvive alla distruzione delle cave una stratificazione archeologica assai consistente con sequenze comprese tra la Preistoria ed il Basso Medioevo. È questa un’area da destinare a
future ricerche.
In alzato sono conservati edifici di XII e XIII secolo,
studiati dal punto di vista storico-artistico (BRESCIANO A LVAREZ
1994), ma che attendono ancora un’indagine archeologica.
Parimenti da studiare, da questo punto di vista, sono i resti
cospicui delle cinte difensive, sia di quelli che la cartografia
storica indica nell’area di Ca’ Marcello, sia pertinenti al perimetro difensivo urbano.
SCAVI SULLA ROCCA DI MONSELICE (1995-96)
RELAZIONE PRELIMINARE
1. IL
SITO E LE RICERCHE ARCHEOLOGICHE
Il monte della Rocca, che sovrasta l’abitato attuale di
Monselice, è un cocuzzolo vulcanico appartenente ai monti
Euganei, isolato verso la pianura rodigina, rispetto alla quale
si eleva fino ad una quota di 150 m s.l.m. Alla base ha un
diametro di ca. 500 metri che si restringe, in sommità, a ca.
80.
La cartografia storica di età moderna (in parte pubblicata come illustrazione della Storia di Monselice) mostra il
colle ed il sottostante abitato difesi da quattro cinte, una parte delle quali, pur se ancora rintracciabile sul terreno, non ha
avuto uno studio esauriente e complessivo.
Dopo la guerra del 1509, il sistema difensivo («ben
dirupto et mal condicionado» fin dalla fine del XV secolo:
SANUDO 1847, p. 33) perse la sua rilevanza militare e venne
ceduto dalla Repubblica di Venezia ad alcune ricche famiglie
veneziane: in primo luogo ai Marcello che acquisirono fin dal
1406 i beni pubblici e le residenze già carraresi (GALLO 1994,
p. 194) e i Duodo che, alla fine del XVI-inizi XVII secolo
(BRESCIANO ALVAREZ 1994, pp. 484-504) costruirono una villa
a mezzacosta sui resti di una fortificazione nota dalle fonti
come «castello di S. Giorgio».
I versanti del colle, anch’essi privatizzati, vennero terrazzati a giardino e incisi da scalinate scenografiche, rispettando tuttavia i resti delle fortificazioni. Solo dalla fine del
XVII secolo, cominciarono ad essere intaccati dalla cave di
trachite; nel 1717 se ne contavano sette inattive e cinque attive (VERGANI 1994, p. 404). Ma solo con l’introduzione delle
nuove tecniche di escavazione, alla metà del secolo scorso, la
devastazione divenne massiccia, in particolare tra il 1880 e il
1923, quando i Cini, dopo aver acquisito la proprietà di una
delle tre cave allora attive, quella sita a monte di Ca’ Marcello, attuarono la distruzione sistematica di una parte consistente del versante occidentale, ove dall’Alto al Basso Medioevo si era esteso l’insediamento militare e civile.
Grazie alla donazione dei Cini, ora gran parte della
Rocca è divenuta di proprietà pubblica e viene gestita da una
società della quale fanno parte la regione Veneto, la Provincia
di Padova ed il Comune di Monselice.
2.2 La musealizzazione dei resti archeologici
Le ricerche archeologiche, che si pongono l’obiettivo
prioritario di ricostruire nel modo più ampio possibile le vicende insediative sviluppatesi nell’arco di un millennio (5001500 d.C.) a Monselice e nel territorio circostante, debbono
peraltro coniugarsi, come si è già in parte accennato, con le
esigenze di restauro e di musealizzazione.
La complessità del sito e dei resti archeologici ed architettonici, nonché la varietà dei materiali e della documentazione già raccolta suggeriscono un’ipotesi di musealizzazione organizzata attorno a due temi principali: Monselice bizantina e longobarda (secc. VI-VIII), vale a dire il momento di
massima rilevanza e prestigio per questo centro, subentrato alla
decaduta Padova come centro amministrativo di un ampio territorio circostante, e Monselice sveva e carrarese, di cui rimangono cospicue testimonianze architettoniche.
Il progetto di ricerca e di valorizzazione avrà come effetto secondario, ma non trascurabile, quello di richiamare
l’attenzione degli studiosi e del pubblico per un periodo sufficientemente lungo. Se a questo assunto colleghiamo la grande potenzialità delle strutture museali e ricettive esistenti (Ca’
Marcello e villa Duodo) e di quelle che sono in via di realizzazione (il restauro del mastio ezzeliniano e l’allestimento di
un museo longobardo), non mi pare si debba rinunciare all’opportunità di organizzare anche strutture scientifiche e didattiche che assicurino una continuità di iniziative anche dopo
la conclusione delle ricerche.
Le ricerche archeologiche sono state avviate nel 1988
dalla Società Archeologica Veneta, con l’appoggio dell’Ente
Parco Colli Euganei, allora gestore della Rocca.
La valutazione, condotta in quell’anno, ha fornito informazioni (B ROGIOLO 1989) sulla cinta del castrum di VI secolo che circoscriveva un largo tratto della parte sommitale e
sui depositi stratigrafici conservati sulla sommità, a mezzacosta e nel pedemonte, che comprendono sequenze databili tra
l’età del Bronzo e l’età rinascimentale, con una soluzione di
continuità durante l’età romana.
Nel 1989 è stata scavata una torre addossata alla cinta
altomedievale e, in adiacenza alla stessa, sono venute alla luce
sette inumazioni con un ricco corredo della prima metà del
VII secolo.
Dopo un’ulteriore campagna, nel 1990, sempre a ridosso della cinta altomedievale, che non ha però prodotto
risultati significativi, le ricerche sono state sospese per cinque
anni, sia per mancanza di finanziamenti, sia per aver tempo
di pubblicare le importanti sequenze altomedievali. Una prima sintesi delle vicende archeologiche di Monselice tra età
bizantina e longobarda è stato proposta nella Storia di Monselice (BROGIOLO 1994) e siamo ora prossimi alla pubblicazione definitiva.
Nel 1995 gli scavi sono ripresi con un intervento sulla
sommità del colle, nell’ambito di un progetto finanziato dalla
CEE che prevede il restauro dei resti difensivi e la musealizzazione del sito.
3. LE
RICERCHE SULLA SOMMITÀ
3.1 La valutazione dei resti archeologici (1988)
Quello che attualmente corrisponde al pianoro sommitale, delimitato dal sistema difensivo del Basso Medio Evo,
era in origine un cocuzzolo dalla morfologia più accidentata,
con un massimo rilievo là dove venne poi innalzato, nel XIII
secolo, il mastio ezzeliniano e con un declivio più o meno
ripido ai bordi.
Anteriormente agli scavi archeologici, le strutture identificabili in alzato comprendevano: a) il grande mastio ezzeliniano (1230-1250), attualmente in corso di restauro; b) resti
di un circuito di difesa munito di rivellini e altri apprestamenti difensivi; c) resti del muro di fortificazione che, staccandosi dalla cinta sommitale scendeva a difendere l’abitato;
d) resti di alcuni edifici addossati alle cortine, di alcuni dei
quali si leggevano i limiti, in base all’ingombro degli strati di
crollo.
***
2. UN
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PROGETTO SULL ’ INSEDIAMENTO MEDIEVALE
2.1 La potenzialità del sito
In base ai risultati delle ricerche stratigrafiche sinora
condotte, sappiamo come la Rocca di Monselice offra l’op-
Gli scavi del 1988 hanno fornito informazioni su altri
elementi che non erano osservabili in superficie.
a) La stratificazione più antica è costituita da strati di terreno
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molto organico contenenti abbondanti reperti altomedievali
e preromani rimescolati. Il rimaneggiamento di questi strati è
avvenuto in epoca altomedievale o successiva, ma comunque
anteriormente ai secc. XIII-XIV, periodo al quale si può orientativamente datare la costruzione della cortina che taglia questi strati.
d) In prossimità del mastio, sono state individuate alcune tombe. Una di quelle a cassa aveva muretti e fondo costituiti da
mattoni di modulo altomedievale (0,29-30 x 0,43-45). La
presenza di un’area cimiteriale orientata poteva essere messa
in relazione con un luogo di culto, a detta di alcuni autori
identificabile con la chiesa di S. Giustina, parzialmente demolita al momento delle fortificazioni del Duecento.
e) Nell’angolo sud-ovest della cinta, sono osservabili, al fondo di un cunicolo scavato in epoca imprecisata a partire dal
piede esterno della cortina, strutture murarie connesse con
una soglia, che, per la tecnica costruttiva, possono essere datate ad età bassomedievale. Il forte dislivello (circa quattro
metri) tra il piano di calpestio attuale (calpestio che coincide
con la quota della risega di fondazione del mastio duecentesco) e la quota della soglia osservabile in fondo al cunicolo
suggeriva un rilevante interro delle strutture poste sul bordo
occidentale del pianoro sommitale.
f) Di un certo interesse era infine una cisterna per la raccolta
dell’acqua piovana, del diametro di una ventina di metri, individuata nel 1988; di tipo veneziano, è provvista di un bacino di filtraggio e di un pozzo centrale di raccolta.
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problemi, cui ho accennato, potranno essere superati, è invece incentrata su temi storici relativi al Basso Medioevo: il ruolo
e le trasformazioni di un centro «minore», per usare l’espressione che fa da sottotitolo alla Storia di Monselice pubblicata
nel 1994, tra Impero, Comune di Padova, Signorie e il definitivo passaggio alla Repubblica di Venezia (1405).
Nel XII secolo e fino alla morte di Ezzelino da Romano, Monselice è avamposto imperiale nella lotta contro i comuni; sconfitto il partito imperiale, gioca un ruolo più defilato, ma ancora rilevante, in una politica di rapporti tra le Signorie regionali emergenti, quella scaligera e quella carrarese
in particolare.
Con il passaggio a Venezia e la fine del suo ruolo militare, è ormai relegata a borgo rurale di pianura e la sua Rocca
si avvia a diventare un grande sito archeologico, che solo l’intervento distruttivo delle cave ridurrà nella dimensione, ma
non nella qualità.
In queste vicende, che la storiografia ha delineato nei
suoi aspetti istituzionali, non tralasciando, per alcuni periodi, un riferimento a temi economici, sociali ed urbanistici (a
tal proposito fondamentale è il contributo di Sante Bortolami
nella Storia di Monselice), il ruolo dell’archeologo è quello di
studiare sistematicamente i resti materiali, altrettanto cospicui quanto le fonti documentarie, per derivarne modelli interpretativi autonomi e, per quanto possibile, complementari
rispetto a quelli prodotti dagli storici. Le profonde trasformazioni urbanistiche ed architettoniche che investono questo
centro tra XII e XV secolo, sono state infatti solo accennate
dalla storiografia. A parte i preziosi riferimenti documentari
(in BORTOLAMI 1994 ) che richiedono peraltro una ricerca di
topografia storica, permane ancora una notevole incertezza
(BRESCIANO ALVAREZ 1994) nella ricostruzione di vicende, che
appaiono peraltro simili, in una certa misura, a quelle subite
da altri centri minori del Veneto. All’esterno del castello bizantino, ai piedi del colle, si sviluppa fin dall’Alto Medioevo
un insediamento che nella seconda metà del XII secolo appare già strutturato con porte in muratura, fossati, ponti di pietra (BORTOLAMI 1994, p. 126). Nel secolo successivo, la sommità del colle viene qualificandosi come centro esclusivamente militare, mentre l’insediamento al pedemonte si sviluppa
in una dimensione quasi urbana. Questo assetto permarrà fino
alla fine del XV secolo, quando perduta la funzione militare,
il colle diverrà semplice sfondo scenografico di un insediamento ormai pedecollinare.
Su tale linea di ricerca, che dovrà definire i contenuti
di questa che per ora è solamente una cornice, si innesteranno poi altri temi che i risultati degli scavi consentiranno di
approfondire.
In questa relazione preliminare, sulla scorta delle informazioni sinora ottenute, viene presentata una prima approssimazione che non vuol essere nulla più che una traccia
sulla quale si dovrà lavorare ancora a lungo, sia con scavi meno
condizionati di quelli eseguiti tra 1995 e 1996, sia con uno
studio urbanistico ed architettonico dell’intero centro storico, sia con riferimenti a situazioni di altri siti. L’obiettivo è
quello di costruire un modello a scala subregionale delle interazioni tra trasformazioni urbanistiche e architettoniche, cambiamenti nelle ideologie e nelle mentalità espresse dal potere, capacità di controllo e di influenza sulle maestranze specializzate
che realizzarono queste trasformazioni.
Il progetto su Monselice si pone d’altra parte in stretta
relazione con uno studio, avviato nel 1993, nell’ambito dell’insegnamento di Archeologia Medievale, che riguarda l’edilizia di potere bassomedievale a Padova.
3.2 La strategia di scavo 1995-96
Come si è detto, la ripresa degli scavi nel 1995 è collegata e condizionata dal progetto di restauro che riguarda, al
momento, le fortificazioni della sommità del colle. All’archeologo la committenza ha richiesto uno scavo in estensione
allo scopo di porre in luce strutture murarie ora sepolte, da
inserire nel circuito di visita come ulteriore elemento di attrazione, in modo da proporre all’opinione pubblica l’immagine di «una piccola Pompei», obiettivo di scarso interesse dal
punta di vista scientifico, ma giustificabile in rapporto alle
esigenze di musealizzazione. D’altra parte, la concomitanza
con il cantiere di restauro del mastio lasciava libero per gli
scavi il solo settore sud-ovest, appunto quello dove il forte
interro faceva supporre l’esistenza di strutture ancora ben conservate.
Un ulteriore e più grave elemento di disturbo per una
corretta gestione del progetto scientifico è venuto però dall’inopinata scelta, operata dalla committenza, di parcellizzare, con incarichi diversi «a compartimento stagno», lo scavo,
lo studio delle murature ed il progetto di restauro, proprio il
contrario di quella interdisciplinarietà e continuità tra conoscenza e progettazione che si è ormai affermata come la sola
in grado di produrre risultati meno distruttivi del nostro patrimonio culturale. Da questo punto di vista, il padovano non
brilla per posizioni avanzate e un altro castello, quello di Cervarese, ne costituisce un esempio altrettanto negativo: i risultati delle ricerche archeologiche e delle indagini stratigrafiche sulle murature non sono stati tenuti in alcun conto nel
progetto di restauro che ha alterato irrimediabilmente lo spessore storico del complesso.
Nel caso di Monselice, si è fatto un ulteriore passo indietro, tentando di separare lo scavo dei depositi medievali
dallo studio delle contemporanee murature conservate in alzato. Il non comprendere che, particolarmente in un sito medievale, le due sequenze non possono essere disgiunte, ma
vanno studiate parallelamente, significa non aver capito quali
sono gli obiettivi della ricerca archeologica.
Gestione e risultati non sono variabili indipendenti:
questi non si ottengono senza un corretto e orientato esercizio di un progetto che muova da un modello storiografico,
ossia da specifiche domande alle quali l’archeologo si propone di rispondere.
A. IL COLLE PRIMA DEL
XII SECOLO
Controversa è la presenza o meno di un sistema di difese a protezione dell’abitato sviluppatosi, fin dall’età longobarda, ai piedi del colle (BROGIOLO 1994), mentre appare certo che la cinta bizantina costituisse ancora, dopo il Mille, la
principale difesa di Monselice. L’area protetta, coincidente
con la parte sommitale del colle, a partire da quota 100 circa,
aveva un’estensione di circa tre ettari, non tutti utilizzabili, a
causa della acclività a tratti assai marcata, per attività insediative, ma certo sufficienti a contenere, oltre ad un manipolo di
soldati, anche parte della popolazione civile.
La duplice funzione del castello tardo antico (di caposaldo difensivo e di rifugio di popolazione civile) non si era
probabilmente mai modificata nel corso dell’Alto Medioevo.
Un elemento di continuità, in questo assetto, era rappresentato dalla Pieve; costruita «supra vertice montis ipsius loci»
(a. 1122: G LORIA 1879, 127, p. 104) venne demolita al momento della costruzione del mastio federiciano (DONDI DALL ’O ROLOGIO 1813, Diss. VII, p. 74; GLORIA 1862, IV, p. 133).
3.3 Un modello storiografico per Monselice dagli Svevi alla
Repubblica veneta
La prima fase delle ricerche (1988-90) aveva avuto
come tema storico centrale il castrum bizantino-longobardo e
la sua evoluzione in età bassomedievale, un tema che chi scrive ha inseguito per ormai quasi vent’anni attraverso gli scavi
in altre tre fortificazioni dello stesso periodo: Castelseprio
(1977-1988), Monte Barro (1986-1996) e Sirmione (198385), cercando di verificarne l’evoluzione in età longobarda
anche in rapporto con le città di antica fondazione (B ROGIOLO
1994b, c).
La nuova fase di ricerche, che avrà un seguito solo se i
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La sommità del colle, prima delle sistemazioni del XII e XIII
secolo, era più scoscesa e angusta di quanto attualmente appaia. Le cinte bassomedievali hanno operato da barriera di
contenimento per l’accumulo delle stratificazioni che hanno
attenuato i dislivelli; le demolizioni e i livellamenti di età moderna, interrando fino a sei metri gli edifici che sorgevano sui
bordi, hanno fatto il resto, restituendoci l’immagine odierna
di «pianoro sommitale».
Nell’XI secolo, poco spazio doveva invece rimanere
sulla cima del monte, oltre a quello occupato dalla chiesa che
con gli annessi: casa dei canonici (cinque o sei nel XII secolo:
RIGON 1994, p. 213), battistero, area cimiteriale, era insediata nella parte più alta del colle, quasi a sottolinearne lo scarso
significato militare. La difesa era infatti organizzata lungo la
cinta difensiva bizantina che correva alcune decine di metri
più in basso.
Del complesso ecclesiastico pensiamo di aver individuato alcune strutture pertinenti ad un edificio, sopravvissute alla radicale distruzione, seguita da livellamento, che ha
comportato l’asportazione integrale dei piani d’uso interni e
di quelli esterni più recenti. Purtroppo lo scavo non si è potuto estendere all’intera area presumibilmente interessata dal
complesso plebano, né si è avuto il tempo di scavare i lembi
di stratificazione superstite. La conoscenza che ne abbiamo è
dunque alquanto limitata. Vi sono tuttavia elementi sufficienti per proporne l’identificazione: a) si tratta delle strutture
più antiche, tra quelle rinvenute, precedenti stratigraficamente
le costruzioni che possiamo datare anteriormente al XIII secolo (infra); b) tutto attorno ai perimetrali, sia in adiacenza
che ortogonalmente, si distribuiscono sepolture a cassa che
utilizzano laterizi di esclusivo modulo romano e che per forma possono essere collocate in un ambito cronologico altomedievale; c) l’edificio, orientato est-ovest, ha una muratura
assai più larga nell’angolo sud-ovest, interpretabile come fondazione di una torre (campanaria, se la nostra ipotesi di identificare l’edificio con un luogo di culto è corretta), impostata
nell’angolo sud della facciata; d) l’edificio fu rispettato dalle
costruzioni anteriori al mastio, benché fosse d’intralcio ad un
loro corretto utilizzo; ciò significa che aveva un’importante
funzione, quale si addice appunto ad una chiesa; e) la sua demolizione venne decisa per creare spazio all’imponente mastio federiciano, l’edificio ideologicamente più caratterizzato
tra quelli costruiti sul colle poco prima della metà del XIII
secolo.
Riteniamo dunque di aver individuato la vecchia pieve
di S. Giustina, ricordata per la prima volta nel 968 (GLORIA
1877, n. 51, p. 75), ma certamente assai più antica; alcune
tessere di mosaico raccolte nei livelli di rimaneggiamento
posteriori alla demolizione potrebbero forse provenire dalla
sua decorazione musiva. Al di fuori delle sepolture, peraltro
databili solo genericamente in quanto sprovviste di corredo,
non abbiamo al momento dati archeologici più precisi, ma la
sua preminenza tra le chiese di Monselice ne potrebbe suggerire una contemporaneità con la costruzione del castrum, ossia una sua collocazione nel VI secolo, del tutto consentanea,
del resto, con l’intitolazione, che richiama quella della famosa basilica bizantina di Padova.
Purtroppo vi sono scarse possibilità di rinvenire altre
cospicue tracce del complesso plebano: la navata è andata irrimediabilmente distrutta dalla costruzione del mastio e il livellamento attuato in quella occasione ha asportato integralmente i piani d’uso interni. Potrebbero forse sopravvivere, a
livello di fondazione, resti dell’abside a est del mastio stesso e
una parte dell’area cimiteriale oltre che su quel lato, anche
verso sud, dove alcune sepolture, come si è detto, furono individuate nel 1988.
Sul lato opposto, l’estensione del mastio e la presenza
della grande cisterna lasciano poche speranze di rintracciare
altre strutture.
B. LE COSTRUZIONI DELLA PRIMA FASE ROMANICA (ANTE
PROBABILMENTE XII SECOLO)
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tecnica costruttiva è impiegata anche in un terzo edificio, posto
sul bordo settentrionale del pianoro sommitale e suddiviso in
due ambienti. Non sappiamo al momento (e sarà questo uno
degli obiettivi prioritari del proseguimento delle ricerche) se
si tratti di una torre (l’evidenza dei perimetrali che proseguono verso sud non appare decisiva: potrebbe trattarsi dell’inizio dei lati di un terzo vano) e, nel caso vi fosse una cinta
sommitale, come questa si collegasse alla torre e all’edificio
ad essa addossato. La posizione, lungo il bordo occidentale
della torre e del grande edificio messi in luce con gli scavi,
appare inoltre del tutto incongrua con una cinta difensiva.
Il radicale rinnovamento architettonico, con l’introduzione della tecnica costruttiva romanica, non riguardò solo la
sommità del colle, ma ebbe lo sviluppo più ragguardevole ai
piedi, nell’area pubblica a monte della chiesa altomedievale
di S. Paolo: qui fin dal 1013 (G LORIA 1877, n. 94, p. 125) in
una «mansione publica iuxta viam», Alberto Azzo e Ugo, forse antenati della casa estense (BORTOLAMI 1994) presiedettero
un pubblico giudizio e, nel XII-XIII secolo, è menzionato un
palazzo pubblico, dove risiedevano i rappresentanti del potere imperiale (BORTOLAMI 1994).
La zona è quella ora indicata come «Ca’ Marcello»
(supra), dove sopravvive in alzato un complesso edilizio di
straordinario interesse, costituito da quattro distinti corpi di
fabbrica e da una torre, databili tra XII e XIII secolo e trasformato in epoca successiva (particolarmente nel XIV, XV e XVII
secolo). Non è chiaro quale di questi edifici sia da identificare
con il palazzo imperiale cui faceva capo, nel XII secolo, l’amministrazione degli ancora notevoli beni fiscali. Tradizionalmente ad età federiciana è infatti datato il grandioso palazzo
di tre piani con aperture più tarde della fine del XIII secolo
(BRESCIANI A LVAREZ 1994, p. 445). Tutte le costruzioni, anche
quelle di dimensioni più ridotte, hanno un ragguardevole pregio architettonico, pur essendo state oggetto di pesanti restauri nel corso degli anni Trenta, quando il proprietario, Vittorio Cini, con un restauro affidato al Barbantini (B ARBANTINI
1940) volle ripristinarne l’immagine medievale, arricchendo
altresì gli interni con elementi architettonici e arredi acquistati
sul mercato dell’antiquariato.
Questi edifici si affiancavano ai lati della via, che venendo da sud, saliva costeggiando fino al castello di S. Pietro
per giungere infine alla sommità del monte. Oltre al palazzo
imperiale, erano in quest’area la sede del Comune, ricordato
per la prima volta attorno alla metà del XII secolo, e probabilmente anche le residenze della classe dirigente locale, quegli arimanni nei quali sarebbe da ravvisare «una sostanziale
coincidenza con il populus che dominava Monselice nel XII
secolo» (BORTOLAMI 1994, pp. 113-114).
Ma accanto alla classe dirigente locale, la forte presenza dei beni fiscali amministrati dalla «camera specialis Imperii»
costituiva un centro di potere le cui tracce materiali sono indubbiamente impressionanti. Le nuove tecniche costruttive e
il ripristino dei metodi di lavorazione della pietra, che non
erano stati più impiegati nel corso dell’Alto Medioevo, richiedevano infatti maestranze specializzate che in altre regioni
(BIANCHI 1995) venivano attivate dalla più alta feudalità e che,
nel caso di Monselice, possiamo pensare fossero al servizio
del potere imperiale.
Lo studio analitico di queste tecniche, accomunate dalla
regolarità dei conci e dei paramenti, ci dirà in quale arco cronologico vadano distribuite e se si possono riconoscere delle
varianti; per ora, in attesa di scavare i piani d’uso e di datare
con puntualità le costruzioni sommitali, dobbiamo accontentarci di una cronologia ante 1239, quando le difese sommitali
vennero riorganizzate per ordine di Federico II (R OLANDINO
p. 64: «montis cuius securitatem murari iussit»).
La trasformazione nelle tecniche costruttive merita d’altra parte di essere indagata in un’area quantomeno subregionale e in un ambito cronologico allargato che consenta di verificare i momenti principali di transizione da un periodo all’altro. Nel Veneto sud-orientale, dove predomina l’uso del
laterizio e dove non vi è evidentemente alcuna continuità con
le tecniche costruttive in pietra di età romana, con il romanico si torna ad impiegare la pietra in modo decisamente minoritario e solo in quelle aree dove il materiale era reperibile in
loco o facilmente trasportabile. Da questo dato di fatto occorre partire con l’obiettivo di individuare le aree di diffusione dei materiali e delle varianti tecniche, per risalire alle maestranze e alla ricostruzione del quadro economico sociale ed
ideologico all’interno del quale è stato realizzato questo radicale cambiamento.
C. IL NUOVO SISTEMA DI DIFESA (1239-METÀ XIII SECOLO)
Un rinnovato sistema difensivo, analogo a quello di altri
1239;
Gli scavi 1995-96, che hanno interessato il bordo occidentale della sommità, hanno messo in luce due imponenti
strutture: una torre di m 8 x 8 ed un grande edificio di m 19
x 7,5, suddiviso in due ambienti di ineguali dimensioni, addossato al lato sud della medesima, entrambi caratterizzati da
una apparecchiatura in conci squadrati nella faccia a vista e
disposti in opera con molta regolarità.
Purtroppo, anche in questo caso, lo scavo si è arrestato
prima di giungere ai piani d’uso e ci manca pertanto una datazione su base archeologica, anche se entrambe queste strutture sono stratigraficamente posteriori alla chiesa e con questa convissero fino all’edificazione del mastio. La medesima
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centri del Veneto cresciuti ai piedi di un colle, incentrato su
una Rocca posta al vertice del rilievo e con mura che, dipartendosi da questa, vanno ad inglobare l’abitato sottostante,
venne realizzato a partire dal 1239 per decisione di Federico
II, «qui castrum condidit» (bolla papale non posteriore al 1265:
GLORIA 1862, IV, p. 133, nota 5) e completato, almeno nella
parte sommitale, entro la metà del secolo. Lo si evince per
ora, in attesa di avere dati archeologici, dal racconto del cronista Rolandino che, descrivendo le vicende del 1256 (p. 125),
racconta come gli abitanti di Monselice, ricevuta la notizia
della conquista di Padova da parte dei federati contrari ad
Ezzelino, si ribellarono a Gerardo, capitano «in villa», costringendolo a ritirarsi sulla sommità del colle, dove peraltro il
«capitaneus castri» di nome Profeta, non fidandosi di lui, lo
trattenne «in cincta sive circuiti castri», vale a dire, come viene specificato in un altro passo (p. 140) «in cincta castri apud
summum montis inferius a Propheta». Dal che mi sembra si
possa arguire l’esistenza di una cinta sommitale indicata come
«castrum», in mano a Profeta, e un secondo circuito più basso, probabilmente coincidente con la cinta bizantina ancora
in uso.
Archeologicamente possiamo rilevare come sulla sommità i tre edifici della fase precedente siano stati raccordati
da una cinta disposta lungo il bordo e, al centro di questa
difesa ellittica, sia stato innalzato, come si è detto, un poderoso mastio, in luogo della demolita S. Giustina.
Dalla cinta sommitale venne poi fatto partire il muro
difeso da torri aperte verso l’interno, identiche a quelle di
Montagnana, le cui difese vennero ricostruite da Ezzelino
(ROLANDINO, p. 76). La nostra cortina scendeva a sud-ovest
fino ai piedi del colle e, dopo aver chiuso l’abitato, risaliva
sul lato opposto per raccordarsi alla cinta sommitale in prossimità del vertice nord. Il muro è stratigraficamente posteriore alla cinta sommitale e più antico dei rivellini (infra), che,
come vedremo, sono plausibilmente del XIV secolo. Una sua
datazione entro il XIII secolo appare dunque plausibile.
Le tecniche costruttive, impiegate in queste tre strutture, sono peraltro diverse e ci mancano per ora dati archeologici per stabilire se a tale diversità corrispondano o meno
fasi costruttive distanziate nel tempo o se più semplicemente
siano imputabili all’utilizzo di distinte maestranze o ancora
siano il frutto di una scelta consapevole.
Il mastio, dalla base piena a tronco di piramide, che
Bresciani Alvarez (1994, p. 445) ritiene sia stato progettato
dal medesimo magister di origine comasca Zilio, autore della
torre del castello di Padova, ha un paramento ancor romanico, esterno a conci di varia dimensione, interno in conci più
piccoli lavorati con meno cura. Il Sanudo (1847, p. 33) lo
descrive come «una torre altissima; si va entro di sora per uno
ponte di legno (...) et di soler in solero si va di sopra; la
fundamenta di dicta torre è grossissima et fin a la porta di
marmo». Una torre simile per forma, ma più piccola, con base
a tronco di piramide, si conserva sul monte Ricco, di fronte
alla Rocca di Monselice, resto di una fortificazione che si ritiene sia stata fatta erigere da Ezzelino (B ORTOLAMI 1994, p.
132).
Nella muratura della cortina sommitale monselicense,
che ritengo coeva al mastio per l’uso di un identico legante,
sono invece utilizzate pietre sbozzate in blocchi con faccia
esterna irregolarmente rettangolare, messe in opera in corsi
regolarizzati mediante l’impiego di corsature sottili di pietra,
assai raramente di laterizio. In queste murature, come anche
nelle parti più antiche del muro che scende al pedemonte,
permane il gusto romanico del paramento regolare, ma con
un’esecuzione nettamente più corsiva.
D. NUOVE CINTE DIFENSIVE (POST IN. XIV SECOLO)
L’abbandono delle tecniche romaniche è pienamente
avvertibile nella doppia cinta collegata ai rivellini, posteriore
stratigraficamente alle murature descritte nel paragrafo precedente. Ora le pietre vengono semplicemente spaccate e organizzate in opera incerta utilizzando abbondante malta; i
laterizi sono impiegati quasi esclusivamente negli stipiti e negli archivolti delle aperture, più raramente nei paramenti.
Questa tecnica si associa a cortine con merlature semicircolari e pareti esterne che nella parte superiore vengono intonacate
e decorate con stemmi (ora assai sbiaditi) nei quali sembra di
intravedere anche le ruote del carro, stemma dei Carraresi; se la
lettura è corretta, una datazione al pieno XIV secolo, suggerita
anche dai reperti rinvenuti in un saggio di scavo, ne verrebbe
confermata.
L’affermazione delle nuove, meno regolari tecniche
costruttive, anche in opere della committenza più elevata, è
un fenomeno generalizzato, probabilmente sviluppatosi per
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la nuova tendenza ad intonacare e decorare le superfici esterne degli edifici.
G IAN PIETRO BROGIOLO
4. LO
SCAVO 1
Fase 1
Le evidenze più antiche finora sono emerse soltanto in
un’area limitata della sommità della Rocca. Alla prima fase
sono pertinenti alcune murature rasate, la cui estensione non
è completa a causa di demolizioni posteriori o dei limiti di
scavo, e otto tombe 2 di varia tipologia e orientamento, che
contenevano in due casi più individui, e forse due piccole fosse comuni. Queste ultime potrebbero però essere riferibili a
successivi interventi edilizi, con il disturbo di sepolture della
prima fase e la re-inumazione dei resti scheletrici. Tombe e
strutture si concentrano in una ristretta zona tra il mastio federiciano, la torre CF 1 e il vano CF 2a, a sud di quest’ultima,
dove il substrato roccioso naturale era quasi affiorante ed è
stato messo in luce per una breve superficie, a quote varianti
tra i 151 e i 151,30 metri circa sul livello del mare (Fig. 5).
I rapporti stratigrafici indicano che queste strutture
sono anteriori alla fase romanica (fase 2), e i pochi materiali
nei riempimenti delle tombe testimoniano manomissioni di
epoca rinascimentale o posteriore. Soltanto nel riempimento
associato alla tomba con sepoltura bisoma, si sono rinvenuti
frammenti ceramici riferibili uniformemente all’altomedioevo (naturalmente ciò non è determinante di per sé per la datazione della tomba).
Tra le strutture spicca l’angolo sud ovest di un edificio
(CF 3, Fig. 6) le cui fondazioni (spessore m 1,70 circa), costruite fuori terra per quanto si può vedere finora da un campione del prospetto esterno, posano sulla roccia naturale livellata. La parte visibile è in grossi conci di trachite squadrati
con facce non spianate, emplecton di pietrame più piccolo e
irregolare, e con qualche grosso frammento di laterizio romano o altomedievale visibile sulla cortina ovest. L’angolo interno, visto soltanto sulla cresta, è curvo. Sia la tessitura che la
malta somigliano (ma non sono state effettuate analisi delle
malte) agli adiacenti lacerti di muratura verso nord; un altro
dato che lega questi elementi strutturali tra loro è l’identità
di orientamento.
Tutto ciò, compresa l’articolazione dei rapporti stratigrafici anche in relazione alle tombe con le quali entrano in
rapporto, induce a ritenere le murature pertinenti a più fasi
costruttive funzionalmente connesse tra di loro.
I livelli di frequentazione riferibili alla prima fase sono
scomparsi, perlomeno in questa zona, forse già a causa dei livellamenti operati per la fase edilizia successiva. Vi sono evidenze
sufficienti per affermare che, accanto all’uso degli affioramenti
trachitici livellati, fossero posti in opera livelli di riporto per
estendere e/o regolarizzare opportunamente il terrazzo sommitale, che è assai probabile presentasse a sua volta modifiche di
epoche precedenti a quella altomedievale. Sulla base delle tombe, dobbiamo supporre un livello d’uso altomedievale in questo
specifico punto intorno ai 151,50-151,80 metri. Invece, come
vedremo, almeno alcune delle costruzioni di fase 3 e 4 prevedono qui una frequentazione diretta sulla roccia livellata, spesso
nettamente più bassa rispetto al piano d’uso altomedievale.
La presenza delle tombe potrebbe far interpretare ipoteticamente CF 3 come ciò che rimane di un campanile, e i muri a
nord di questo come pertinenti ad una possibile chiesa, che in
questa ipotesi avrebbe occupato parte dell’area su cui oggi insiste il mastio (Fig. 7).
Fase 2
La costruzione di una torre quadrata CF 1, che si suppone originariamente isolata e non legata ad altre costruzioni, è da collocarsi in un momento nettamente distinto rispetto alla fase precedente; è piuttosto la tecnica costruttiva a
datarla ad epoca bassomedievale. Non è per ora verificabile
l’esistenza di altre fasi edilizie intermedie. Un altro problema
di fondo è quello di individuare dati certi per poter affermare
quale muro di cinta partecipasse dell’apparato difensivo di cui
questa torre faceva parte (BROGIOLO, Supra).
DESCRIZIONE DELLA TORRE CF 1
La torre, collocata sul pendio costituito dal margine
ovest del terrazzo sommitale della Rocca, è in buona parte
franata, soprattutto sul lato occidentale verso valle. Essa mostra un’apparecchiatura regolare di masselli di trachite rettangolari, con faccia piana e in corsi ben disposti, con riempimento a strati di elementi irregolari e di varie dimensioni e
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tro degli stipiti, e risulta in posizione centrale rispetto alla
parete, mentre quella inferiore è vicina al lato est.
Non vi sono attualmente elementi per interpretare
questo edificio, le cui dimensioni e tracce di più tarde e accurate ristrutturazioni indicano una destinazione di rilievo.
DESCRIZIONE DELLA FOSSA BIOLOGICA UF 2
Si è già accennato alla incerta posizione stratigrafica di
questa struttura fognaria, a pianta rettangolare, scavata solo
parzialmente 4. La tecnica costruttiva però la avvicina bene
tanto alla torre di fase 2 che all’edificio di fase 3, che in effetti non si discostano troppo tra loro in quanto a tipologia
muraria. Un piccolo saggio di scavo dei suoi riempimenti ha
restituito, alla base, un’associazione di materiali databile, in
via preliminare, alla metà del XIII-inizi XIV secolo, con un
uso quindi protratto rispetto alla datazione proposta per la
costruzione delle strutture, che è collocabile prudenzialmente tra il XII e i primi decenni del XIII secolo.
malta abbondante.
I suoi lati esterni misurano circa otto metri e presentano un ineguale numero di riseghe esterne: due ad est, una a
sud e forse a nord, nessuna ad ovest. I muri, conservati a quote diverse, sono spessi circa due metri; quello est misura 1,40
m al livello della soglia, ma con le due riseghe sottostanti raggiunge i 2 m; la soglia all’estremità sud del lato orientale, alla
quota di 152,54 m (e più alta di più di un metro dal piano
d’uso antistante) e una risega interna a 152,70 m sono gli
indicatori del solaio ligneo di un ambiente di 4,30 x 4 m,
sotto il cui livello è senz’altro da supporre l’esistenza di un
altro vano, oggi colmato da crolli e macerie.
Soltanto i lati sud e ovest sono stati esposti parzialmente fino alle fondazioni. Dalla conformazione inclinata della
base del paramento meridionale della torre si deduce una superficie d’uso esterna in pendenza verso ovest, con un dislivello di oltre 2 metri su otto di lunghezza, pendenza completamente cancellata dalla costruzione di CF 2 nella fase successiva. Il lato est, come quello nord, è parzialmente nascosto
da murature più tarde e le originarie modalità di accesso alla
porta sono per il momento ignote; si può senz’altro ipotizzare una breve scala lignea (o in muratura?) addossata a questo
lato della torre, e successivamente sostituita dalla struttura in
addosso, attualmente visibile lungo tutto questo lato.
Fase 4
Ad una considerevole quantità di elementi strutturali
attribuibili alle epoche successive alle fasi 1-3, fa riscontro
un’altrettanto considerevole frammentarietà delle nuove strutture, alcune peraltro ancora sostanzialmente non scavate.
Per comprendere l’evoluzione di questa zona, non si
può prescindere dall’inserimento, sicuramente collegato ad
una nuova riorganizzazione del colle, del grande mastio duecentesco e, con ogni probabilità, della sua cinta muraria che si
conserva lungo i lati sud ed est della sommità, e a nord della
torre CF 1. Forse a quest’epoca risale la distruzione dell’edificio
CF 3 della fase 1, mentre il lato ovest dell’edificio CF 2, mantenuto in opera e rinforzato, avrebbe esercitato in qualche
modo le funzioni di cinta per questo tratto.
Per ora possiamo riferire a questo momento anche la
struttura in addosso al lato est della torre CF 1, che presenta
tracce di gradini a sud, e un’analoga ma strutturalmente posteriore muratura di cui rimane un lacerto quadrangolare a
ridosso di quella. La sommità della struttura, che è cimata
fino alla quota della soglia della torre, non è ricavabile. Due
sono le ipotesi possibili: la prima che essa fosse di pochi centimetri più alta della quota conservata, per consentire un più
comodo e robusto accesso alla porta della torre, e poi eventualmente, tramite scale interne a quest’ultima, un’uscita che
dal piano superiore consentisse di accedere mediante passerella mobile all’unica porta del mastio, posta ad alcuni metri
d’altezza (non si spiegherebbe però perché la muratura occupasse tutta la lunghezza della torre e non si limitasse a raggiungere la soglia). La seconda ipotesi prevede che la struttura in oggetto sostenesse una doppia rampa di gradini che, rimanendo all’esterno della torre, saliva fino alla quota dell’accesso al mastio, a cui si sarebbe direttamente giunti, anche in
questo caso, mediante passerella mobile, senza passare all’interno della torre CF 1.
La fase 4 si colloca tra la metà del XIII secolo e gli inizi
del XIV.
Fase 3
Non vi sono elementi certi per collocare nella fase 3
piuttosto che nella 2 la fossa biologica UF 2, collocata in posizione – tanto stratigrafica che topografica – compatibile tanto
con la torre appena descritta che con l’edificio di fase 3 che
ora verrà descritto: ne discuteremo più avanti le caratteristiche, collocandola qui in via ipotetica.
Ad una fase costruttiva posteriore e distinta va invece
riferito il grande edificio CF 2, addossato al lato meridionale
della torre CF 1, il quale viene così ad assolvere anche la funzione di suo perimetrale nord.
Evidentemente una ridefinizione-strategico militare della sommità rese non più necessario mantenere isolata la torre;
non sappiamo poi se condizionamenti ulteriori a quelli morfologici indussero a costruire il fabbricato con orientamento diverso, e soprattutto con rapporti di appoggio alla torre così singolari (Fig. 8); la sua costruzione previde comunque una modifica sostanziale del pendio qui esistente all’epoca della torre, con un escavo che incise preesistenti riporti e altre stratificazioni, nonché la roccia naturale. In seguito a questo taglio di
terrazzamento si ricavò un piano interrato rispetto alla sommità del colle 3.
DESCRIZIONE DELL’EDIFICIO CF 2
Quanto è finora visibile dell’edificio, indagato solo in
minima parte e oggetto di modifiche nel corso della sua storia, mostra un’articolazione in almeno due ambienti, ciascuno dei quali con uno sviluppo verticale di almeno due piani.
Di forma irregolarmente rettangolare, la sua lunghezza interna è di circa 19-20 m per una larghezza di 7,5 m. I muri presentano un doppio paramento di masselli di trachite in corsi
regolari, più piccoli di quelli della torre, con faccia piana e
regolarmente lavorata, corpo a cuneo, con rare e sottili regolarizzazioni a scaglie di pietra, che spesso sono presenti orizzontalmente sopra i giunti. Il lato ovest, dove risulta più conservato, è in gran parte nascosto sia all’interno che all’esterno da due successivi muri di rifodera e altrove è coperto da
ricostruzioni più tarde. Lungo il lato est si individuano due
elementi strutturali inseriti in un secondo momento: una larga soglia (quota 151,58 m) ed un camino.
Sul lato sud, abbondantemente ricostruito con tipologia edilizia più tarda, si trova un’apertura probabilmente originaria, forse una porta con arco in mattoni ora scomparso,
che metteva in comunicazione un’area probabilmente scoperta a sud con l’interno, ad un livello di orizzontamento che
non era senz’altro quello basale, se guardiamo alle quote di
CF 2b, maggiormente liberato dai crolli con lo scavo.
Come si è detto l’edificio è diviso in almeno due ambienti, in entrambi i piani inferiori leggibili, da un muro est
ovest di tecnica in tutto analoga a quelli appena descritti. I
due ambienti risultano lunghi circa m 3,5-4 (CF 2a, quello
settentrionale) e m 14-15 (CF 2b), e sono collegati tra loro da
una porta per ogni piano dei due individuati. La porta del
piano inferiore (interrato rispetto alla sommità del colle) è
stata posta in luce solo parzialmente, ma appare integra, non
rimaneggiata e di fattura accurata, a due battenti testimoniati
da alloggiamenti simmetrici per cardini e con arco in mattoni
di formato romano sagomati a cuneo. La porta del piano superiore si conserva al livello della soglia e di circa mezzo me-
Fasi 5-8
In seguito sembra di poter cogliere indizi sia di modificazioni funzionali nelle strutture già esistenti, che tracce di
ricostruzioni e addizioni motivate da gravi guasti (aggressioni
militari, terremoti?).
In un arco di tempo non ancora ben definibile si variano e rinforzano alcuni edifici sulla sommità del colle. In ordine stratigrafico, tra i primi elementi va collocato un pilastro 5
in grossi conci di trachite parallelepipedi, che viene appoggiato all’interno del muro ovest di CF 2b. Dal pilastro, la cui
base non è visibile perché ancora interrata, partono, in aderenza alla stessa parete, due archi in mattoni quasi completamente crollati. In seguito viene costruito, presumibilmente a
guisa di rifodera di rinforzo, un muro che a partire dal pilastro «riveste» tutto il lato interno meridionale dell’ambiente
e prosegue verso sud, ricongiungendosi al lato meridionale
della cinta duecentesca. Il muro di rivestimento interno è composto dall’alternanza di un corso di masselli di trachite squadrati con un corso di mattoni; si conservano ampie tracce di
intonaco biancastro rasato che lascia in vista le parti più sporgenti dei conci.
A questo stesso momento di ristrutturazione si possono riferire tra l’altro la tamponatura dell’accesso dal lato sud
di CF 2b, l’apertura di una soglia a doppio battente sul lato
est, la parziale ricostruzione dell’angolo esterno sud est, e la
costruzione di un camino all’interno dell’estremo meridionale del lato est.
Una ulteriore rifodera a scarpa, probabilmente più tar-
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da, viene costruita in due riprese a ridosso del paramento esterno occidentale di CF 2. Quest’ultima muratura, conservata
per un’altezza di molti metri, è costruita con corsi alterni di
masselli in trachite e di laterizi e risulta palesemente un’opera
di sostegno e consolidamento di questo lato della Rocca, i cui
muri sono visibilmente inclinati verso l’esterno.
Successivamente assistiamo alla costruzione, o alla ricostruzione nella parte alta ora visibile, di due grandi pilastri
pentagonali, nell’area sud ovest della sommità della Rocca, e
di muri di analoga tecnica e materiali (corsi alterni di masselli
in trachite e di coppi o mattoni spezzati di regolarizzazione).
Nel quadro di una nuova riorganizzazione dell’area, si
assiste inoltre all’obliterazione, per colmatura mediante macerie e scarichi di manufatti, del piano inferiore di CF 2a e
alla contestuale costruzione di una fossa biologica UF 1, all’angolo nord occidentale dell’ambiente. I manufatti abbondanti contenuti nel riempimento di obliterazione del vano
inferiore di CF 2a sono databili dalla seconda metà del XV al
XVI secolo, mentre i riempimenti che obliterano la fogna UF
1 risultano, ad una prima visionatura, formarsi fino al XVII.
All’esterno del lato ovest della cinta superiore e con andamento variamente inclinato rispetto agli edifici principali, viene costruita una serie di muri che si susseguono in un arco di
tempo non ancora ben valutabile (Fig. 9).
Varie altre ristrutturazioni si susseguono forse fino alla
metà del XVII secolo. In seguito il sottoutilizzo e poi l’abbandono dell’area lasceranno qualche traccia strutturale in pochi
muri a secco, perlopiù di terrazzamento, ma soprattutto in
una serie di crolli, collassi di muri e colluvi, rimaneggiati in
più momenti.
NOTE
S TEFANO TUZZATO
1
Lo scavo è affidato in concessione alla Società Archeologica
Veneta, per la direzione scientifica di G.P. Brogiolo. A periodiche
discussioni e alle sue verifiche e supervisione si deve questo testo. La
campagna 1995-96 ha avuto inizio con due settimane di lavoro nel
settembre 1995, e ha avuto come oggetto il rilevamento della torre
CF 1, e lo scavo di alcuni elementi strutturali ad essa adiacenti. A
questo intervento, coordinato dal dott. Agostino Favaro, è seguito
un periodo di scavo più lungo, coordinato da chi scrive, tra il 20
novembre 1995 e la metà di marzo 1996.
2
Quattro di esse scavate nel 1988, in un saggio situato in
prossimità dello spigolo sud ovest del torrione (B ROGIOLO 1989).
3
Ciò si è potuto finora verificare puntualmente soltanto nel
fondo della fogna UF 1, descritta più avanti. L’escavo mise a nudo
per un’altezza considerevole anche le fondazioni molto grezze della
torre, che però non presentano tracce di rivestimento o regolarizzazione che ci si aspetterebbe di trovare in un edificio che per il resto
si presenta di accurata esecuzione, oltre che di dimensioni non comuni. La ragione va cercata nella destinazione (magazzino?) dei locali inferiori e particolarmente di quello a ridosso della torre, CF2a,
che sappiamo privo di finestre almeno nei suoi lati nord, est e sud.
4
Muratura esterna del lato sud costruita contro terra, paramento interno in masselli rettangolari a faccia piana di tessitura abbastanza buona; larga risega interna di appoggio per la volta originaria, quasi certamente in mattoni e poi sostituita da un’altra sempre
in mattoni, e prosecuzione verso l’alto della muratura con doppio
paramento fino alla quota di rasatura. Il lato ovest, con risega esterna posante direttamente su roccia, presenta un’apertura centrale successivamente tamponata; i lati est e nord per ora non sono visibili.
5
V. fig. 1 a p. 154 in B ROGIOLO 1989.
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6
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