TALETE, ANASSIMANDRO, ANASSIMENE Dei primi pensatori greci solo in pochi casi ci sono pervenuti scarni frammenti (come nel caso dell’unico frammento superstite di Anassimandro che viene analizzato nel seguito). Per la loro conoscenza ci dobbiamo affidare dunque a testimonianze, le più preziose delle quali si trovano nel I libro della Metafisica di Aristotele e nei Dialoghi di Platone, oltre che in Cicerone e nelle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio. Sottolineata la difficoltà di attingere l’autentico pensiero dei filosofi «presocratici», si è proceduto a distinguerli secondo la loro provenienza geografica: la filosofia scaturisce dapprima nelle colonie greche del Mediterraneo orientale (Ionia) e dell’Italia Meridionale (Magna Grecia), più aperte agli scambi e alle influenze con altri popoli, e solo con Anassagora inizia a fiorire nel centro della grecità: Atene. Delle colonie greche d’oriente sono originari Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito, gli atomisti Leucippo e Democrito, Anassagora (che poi si stabilì ad Atene); provengono dalla Magna Grecia Pitagora (di Samo, ma vissuto a Crotone), Senofane, Parmenide e Zenone (di Elea, l’odierna Ascea, a sud di Salerno), Empedocle di Agrigento. Secondo Hegel questa differenza di provenienza geografica si ripercuote anche nella storia del pensiero: nei pensatori delle colonie dell’Asia Minore prevarrebbe un pensiero ancora molto legato al sensibile (l’acqua di Talete, l’aria di Anassimene), mentre nei pensatori della Magna Grecia prevarrebbe il pensiero più astratto (il numero di Pitagora, l’essere di Parmenide). Il primo pensatore della Scuola di Mileto (nella Ionia, in Asia Minore) — chiamata «scuola» in senso improprio in quanto fra i suoi membri, Talete, Anassimandro e Anassimene, non ci furono chiari rapporti di maestro e discepolo — Talete, si distaccò dal senso comune, dalla superficie della realtà, dal mondo dell’apparenza, ponendosi il problema dell’archè, di ciò che conferisce unità alla realtà al di là della molteplicità che ci si presenta immediatamente ai sensi. Constatata infatti la presenza di innumerevoli entità distinte fra loro e ciascuna diversa dall’altra, Talete si domanda se non ci si sia una più profonda unità dietro l’apparente molteplicità. Se, nonostante il fatto che ci imbattiamo sempre in entità individuali dotate ciascuna di una propria precisa identità (piante, animali, uomini, etc.), le vediamo però come parti di un’unica realtà (ci riferiamo spesso spontaneamente al concetto di «mondo» o di «universo» come qualcosa di unitario), ciò vuol dire che tutte le cose devono avere qualcosa in comune e che ci deve essere un principio unificatore di tutta la realtà. Tale principio è identificato da Talete nell’acqua. Talete infatti, come tutti i primi pensatori greci, è ilozoista (= materia = vivente), considera cioè tutta la realtà (anche quella apparentemente inerte) come animata, come dotata di vita. Se la vita è presente dappertutto nella realtà, il principio unificatore della realtà dovrà coincidere col principio della vita. Ma la vita dipende dall’acqua (la natura diventa fertile dopo la pioggia; i corpi sono dotati di vita fino a quando sono impregnati di umore; piante e animali non sopravvivono nei deserti; il mare brulica di vita; etc.). Talete era convinto che c’è vita dove c’è acqua. L’acqua è dunque principio di vita, è inseparabile da questa; ma la vita è presente in tutta la realtà, dunque anche l’acqua è onnipresente, è l’elemento che unifica tutte le cose, è l’archè. Pur avendo compiuto il passo decisivo per superare l’apparenza sensibile (vedere Testi) e pur avendo scorto l’unità sostanziale della realtà (per cui nessuna entità particolare può dopo di lui essere considerata per sé stante, ma dovrà essere ricollegata al tutto di cui è parte), Talete aveva compiuto un percorso parziale: dalla molteplicità all’unità. Ma una volta raggiunta l’unità, come si spiega il processo inverso, il differenziarsi cioè dell’unità in molteplicità? Anassimene affronta questo problema identificando il principio unificatore nell’aria: anche l’aria è presente dovunque e anch’essa è principio di vita, infatti gli organismi vivono finché respirano (anche Anassimene è un ilozoista: il principio unificante della realtà deve coincidere col principio della vita).L’aria come archè è però concepita da Anassimene — a differenza dell’acqua di Talete — come un principio dinamico, che in quanto tale può dar conto, oltre che dell’unità, anche della molteplicità. Essa è infatti soggetta al dinamismo della rarefazione e condensazione: per la prima si trasforma in vapore e in fuoco, per la seconda in acqua e in terra (vedere Testi). L’aria dà dunque conto insieme della diversità degli esseri che si presentano ai nostri sensi e dell’esigenza del nostro intelletto di trovare una sostanza che unifichi la molteplicità dei fenomeni. Anassimandro ritrova il principio unificante della realtà in un principio più astratto, l’àpeiron (l’illimitato, l’indeterminato), che riesce a dar meglio conto della compresenza di unità e molteplicità. Tutte le cose finite partecipano dell’àpeiron, sono interne ad esso. Per cogliere il rapporto che passa fra l’indefinito e le cose individuali si può pensare all’attività di cartografo di Anassimandro: i segni che si stagliano sul foglio bianco a cui sono stati tracciati: tolto lo sfondo (l’àpeiron) è tolto anche il segno che questo contiene (il finito). Limitato e illimitato, molteplice e unità si implicano reciprocamente. L’illimitato è presente in tutte le cose finite, è l’archè. Nell’unico frammento pervenutoci, Anassimandro afferma che «da dove gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità». Da filosofo naturalista, Anassimandro osservava probabilmente l’emergere periodico (secondo necessità, secondo una legge naturale precisa) dalla massa indistinta di una zolla di terra di innumerevoli entità diverse (fiori, piante, germogli, etc.). Ma queste entità diverse, molteplici, individuali «secondo l’ordine del tempo» periscono, disgregandosi, perdendo i loro limiti, disfacendosi e rientrando così a far parte della massa indifferenziata della zolla di terra (l’indefinito, l’àpeiron). È importante rilevare l’introduzione del concetto di necessità: esplicitando la nozione greca di «cosmo», Anassimandro vede la realtà come dominata da un ordine e il divenire, il trasformarsi della realtà come svolgentesi secondo leggi necessarie. Il frammento prosegue sostenendo che gli esseri «debbono pagare (l’uno all’altro) la pena e l’espiazione dell’ingiustizia. Il frammento, mancante della parola “l’uno all’altro”, è stato interpretato nel senso che la colpa da espiare è l’esistenza stessa, in quanto distacco dal tutto, dall’àpeiron (si è rilevato che il tema dell’esistenza come colpa è presente in qualche modo anche nella dottrina cristiana del peccato originale). Testi: Talete Si raccontano vari aneddoti relativi alle sue [di Talete] conoscenze e occupazioni astronomiche: «Guardando in cielo per osservare le stelle, egli sarebbe caduto in un fosso, e la gente lo avrebbe canzonato, meravigliandosi come mai potesse conoscere le cose del cielo chi non vedeva neppure ciò che aveva davanti ai piedi». La gente ride di queste cose, e ha il vantaggio che i filosofi non possono ribatter nulla; ma non capisce che i filosofi ridono di essa, che certamente non può cadere in un fosso, giacché vi si trova in perpetuo, incapace com’è di guardare verso l’alto. (HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, I, 192) Talete suppone che tutto derivi dall’acqua e in essa si risolva, perché, allo stesso modo che il seme d’ogni vita come principio di questa è umido, così anche ogni altra cosa ha il suo principio dall’umidità; perché tutte le piante traggono dall’acqua il loro nutrimento, e se essa manca inaridiscono; perché perfino il fuoco del sole e delle stelle, e lo stesso mondo, sono alimentati dalle evaporazioni dell’acqua. (PLUTARCO, citato in Hegel, I, 196) [...] occorreva allo spirito una grande audacia per negar valore a questa immensa varietà d’esistenza del mondo naturale e ridurlo ad una sostanza semplice, che, nella sua permanenza, non nasce né muore, mentre gli Dei hanno pure una teogonia, hanno forme molteplici e sono soggetti a mutamento. Con l’affermazione che quest’essere è l’acqua è messa a tacere la sbrigliata fantasia omerica infinitamente variopinta, vengono superati questa molteplicità infinita di princìpi frammentari, tutto questo modo di rappresentarsi il mondo come se l’oggetto particolare sia una verità per sé stante, una potenza esistente per sé e indipendente al disopra delle altre; e si ammette quindi che vi è un unico universale, ciò che è universalmente in sé e per sé, l’intuizione semplice e senza più elementi fantastici, il pensiero, che soltanto l’uno è. (HEGEL, I, 199) Anassimene L’aria si distingue per via di rarefazione e di condensazione nelle varie sostanze. E rarefacendosi diventa fuoco, condensandosi invece diviene vento, poi nuvola, e ancora più condensata, acqua, poi terra, e quindi pietra. (TEOFRASTO in Simplicio, Fisica, 24, 26) Anassimandro [...] principio degli esseri è l’indeterminato (apeiron)... da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi debbono pagare [l’uno all’altro] la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo.