Rivista dell`arbitrato 3-2010 - Associazione Italiana per l`Arbitrato

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ISSN 1122-0147
ASSOCIAZIONE
ITALIANA
PER L’ARBITRATO
Pubblicazione trimestrale
Anno XX - N. 3/2010
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p.
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46)
art. 1, comma 1, DCB (VARESE)
RIVISTA
DELL’ARBITRATO
© Copyright - Giuffrè Editore
ASSOCIAZIONE
ITALIANA
PER L’ARBITRATO
Pubblicazione trimestrale
Anno XX - N. 3/2010
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p.
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46)
art. 1, comma 1, DCB (VARESE)
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DELL’ARBITRATO
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INDICE
DOTTRINA
LAURA SALVANESCHI, Le domande di arbitrato anomale e i loro effetti ......
PIERO BERNARDINI, Riconoscimento ed esecuzione dei lodi stranieri in Italia ........................................................................................................
ANDREA ATTERITANO, Anti-suit injunctions in ambito arbitrale: provvedimenti illeciti o semplicemente odiosi? ...............................................
415
429
441
GIURISPRUDENZA ORDINARIA
I)
Italiana
Sentenze annotate:
Cass. Sez. un. 6 settembre 2010, n. 19047, con nota di C. SANTINI, Regolamento di competenza avverso la pronuncia del giudice sulla
exceptio compromissi e procedimenti pendenti .................................
Trib. Genova 2 novembre 2009, con nota di M. PIAZZA, Sull’applicabilità
all’arbitrato irrituale societario derivante da clausola statutaria
della normativa speciale prevista dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 .
II)
463
481
Straniera
Sentenze annotate:
Germania - Bundersgerichtshof 5 febbraio 2009, con nota di E. D’ALESSANDRO, Ancora sui rapporti tra arbitrato, Convenzione di Bruxelles
del 1968 e Reg. n. 44/2001, alla luce delle ultime proposte di modifica ....................................................................................................
493
RASSEGNE E COMMENTI
FRANCESCO CAMPIONE, Il punto sull’arbitrato sportivo ................................
509
DOCUMENTI E NOTIZIE
La riforma francese dell’arbitrato .............................................................
533
III
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Proposte di modifica del Regolamento (CE) 44/2001 e arbitrato [Andrea
Atteritano] ...........................................................................................
La scomparsa di Edoardo Ricci [Laura Salvaneschi] ...............................
IV
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561
DOTTRINA
Le domande di arbitrato anomale
e i loro effetti
LAURA SALVANESCHI (*)
1. Domande arbitrali a struttura anomala. — 2. La domanda di arbitrato amministrato e le previsioni di alcuni regolamenti arbitrali. — 3. La pendenza
della domanda di arbitrato amministrato. — 4. La domanda di arbitrato amministrato e le formalità da compiersi entro un dato termine. — 5. Gli altri
effetti della domanda di arbitrato amministrato. — 6. La domanda di arbitrato
societario.
1. Per domande di arbitrato anomale intendo, ai fini di questo
scritto, le domande di arbitrato che, per legge o sulla base di un Regolamento arbitrale, introducono il giudizio arbitrale seguendo uno
schema diverso da quello delineato dal legislatore con riferimento
all’arbitrato ad hoc.
È ormai materia risalente nel tempo l’equiparazione, avvenuta
con Legge n. 25/1994 e sul punto non modificata dalla più recente
novellazione della disciplina dell’arbitrato, tra domanda di arbitrato
e domanda giudiziale con riferimento alla capacità della prima di
produrre quegli stessi effetti sostanziali e processuali che sono tipici
dell’atto introduttivo del giudizio ordinario, o almeno quelli espressamente regolati dalla legge. La produzione degli effetti in questione
è stata tuttavia collegata dal legislatore alla formulazione di un atto
più complesso di quello, più essenziale, ancor oggi regolato dall’art.
810 c.p.c., che, per dare avvio al procedimento arbitrale, richiede la
semplice notifica di un atto scritto contenente la designazione dell’arbitro di parte e l’invito alla controparte a designare il proprio. La
domanda di arbitrato capace di essere trascritta e di incidere sulla
(*)
Professore ordinario nell’Università Statale di Milano.
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prescrizione ai sensi di legge, nonché di salvaguardare l’efficacia di
una misura cautelare, deve infatti essere redatta secondo uno schema
formale tipico che richiede la compresenza di tre requisiti: la dichiarazione della parte istante della propria intenzione di promuovere il
procedimento arbitrale; la proposizione della domanda e la nomina
degli arbitri, per quanto quest’ultima attività spetti alla parte.
Tanta acqua è passata da allora sotto i ponti e nell’ultimo decennio si è andato sempre più affermando l’uso di introdurre il giudizio arbitrale con « Domanda di arbitrato », con un atto cioè che,
pur non essendo l’omologo dell’atto di citazione (1), contiene tuttavia l’esplicazione dell’oggetto del giudizio e delle sue ragioni; è
sempre meno utilizzato invece lo scarno « Atto di nomina di arbitro », col quale si procedeva un tempo a iniziare l’arbitrato sulla
scorta delle sole indicazioni essenziali contenute nell’art. 810 c.p.c.
Probabilmente le modifiche che si notano nella prassi dipendono
dalla consapevolezza che solo a un atto che contenga sufficienti indicazioni del tema del contendere è riconnessa la produzione degli
effetti regolati dalla legge, la cui verificazione deve altrimenti attendere momenti successivi dell’iter procedimentale di cui si compone
l’arbitrato.
Se tutto ciò appare in larga parte acquisito con riferimento all’arbitrato ad hoc, le problematiche degli effetti delle domande di arbitrato che abbiano forma anomala e non rispettino lo schema rafforzato precedentemente descritto sono invece meno analizzate. Esistono infatti domande di arbitrato il cui modello strutturale è informato a canoni diversi da quelli allora indicati dal legislatore del 1994
la cui disciplina non appare immediatamente riconducibile a quella
tipica allora introdotta. Mi riferisco, in particolare, ad almeno due tipologie di domande arbitrali che, pur tra loro profondamente diverse,
sono accomunate dalla caratteristica di discostarsi strutturalmente
dalla domanda qualificata di arbitrato precedentemente descritta (2).
(1) Cfr. Cass. 19 febbraio 2003, n. 1972 per la quale « In tema di giudizio arbitrale,
l’atto introduttivo del relativo procedimento può ritenersi soggetto alle disposizioni di cui all’art. 163 c.p.c. — dettate in tema di citazione dinanzi al giudice ordinario — soltanto nell’ipotesi in cui le parti o gli arbitri abbiano disposto che il procedimento stesso si svolga secondo la disciplina del processo ordinario, sicché, in mancanza di regole procedimentali
stabilite dalle parti o dagli arbitri a pena di nullità, può denunciarsi l’invalidità del lodo
soltanto se la formulazione dei quesiti, oggetto di giudizio, sia stata effettuata senza rispettare il principio del contraddittorio ».
(2) Mantengo la denominazione che alla domanda in questione ho dato successiva-
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La prima di esse è la domanda arbitrale introduttiva di un procedimento amministrato, qualora il Regolamento che la disciplina preveda che essa vada depositata presso una Istituzione prima di essere
resa nota alla controparte; la seconda è la domanda di arbitrato con
cui inizia il giudizio arbitrale societario che, salvato dalla recente
mannaia che ha abrogato il parallelo rito davanti al giudice ordinario, continua a prescrivere una forma introduttiva del giudizio arbitrale che si compone sia di un atto notificato alla controparte secondo
lo schema tipico degli artt. 806 s. c.p.c., che di un diverso atto, rivolto invece al soggetto terzo appositamente preposto alla nomina
degli arbitri, idoneo a stimolare la formazione del collegio.
In entrambi i casi siamo di fronte a domande arbitrali che si discostano dal modello disciplinato dal codice di rito e rispetto alle
quali non vi è, almeno in genere, una specifica disciplina relativa alle
modalità di produzione degli effetti sostanziali e processuali che ne
derivano. Nonostante ciò, almeno quando si tratti di forme di arbitrato rituale, non può negarsi a queste domande atipiche la capacità
di produrre quegli stessi effetti che sono connessi all’atto introduttivo
di un arbitrato ad hoc quando sia dotato dei tre specifici requisiti
formali precedentemente richiamati. Infatti, le norme che ricollegano
anche alla domanda di arbitrato specifici effetti tipici di quella giudiziale non si riferiscono al solo arbitrato disciplinato dagli artt. 806
ss. c.p.c., ma a tutte le ipotesi in cui la controversia sia oggetto di
compromesso o di clausola compromissoria. Non per niente, le
norme in questione non sono contenute nel titolo VIII del libro
quarto del codice di procedura civile, ma nelle disposizioni generali
che disciplinano ogni singolo effetto della domanda che il legislatore
ha voluto estendere al procedimento arbitrale (3).
Se deve allora ritenersi pacifico che anche le domande introduttive di arbitrati amministrati, salvo specifiche disposizioni regolamentari, e quelle volte ad iniziare un arbitrato societario, se dotate di
particolari caratteristiche formali, siano capaci di produrre gli effetti
sostanziali e processuali regolati dalla legge, è necessario individuare
quando e come gli effetti in questione si producano.
mente alla introduzione della Legge n. 25/1994, con riferimento alla domanda di arbitrato
produttiva di effetti specifici regolati dalla legge stessa, con modificazione delle norme sostanziali e processuali di riferimento. Cfr. per riferimenti più specifici il mio scritto, La domanda di arbitrato, in Riv. dir. proc., 1995, 645 s.
(3) E cioè negli artt. 669-octies c.p.c., 2652, 2653, 2690, 2691, 2943 e 2945 c.c.
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2. Venendo agli atti introduttivi degli arbitrati amministrati
secondo un Regolamento che preveda come forma propulsiva del
procedimento il deposito della domanda presso un’Istituzione arbitrale, in luogo della notificazione alla controparte, va rilevato che si
tratta di un fenomeno non certo marginale, ma, anzi, della preponderanza delle situazioni regolamentate.
Si pensi, per fare riferimento alla più nota forma di arbitrato
amministrato a livello internazionale, all’art. 4 del Regolamento
della ICC che dispone che « Chiunque desideri ricorrere all’arbitrato
disciplinato dal presente Regolamento deve indirizzare la propria
domanda di arbitrato (la “domanda”) al Segretariato, che notifica all’attore e al convenuto l’avvenuta ricezione della domanda e la data
di tale ricezione ». Solo dopo aver ricevuto tale domanda, la cui data
di ricezione da parte del Segretariato « costituisce a tutti gli effetti la
data d’inizio del procedimento arbitrale » e dopo averne notificato il
predetto avviso di ricevimento, il Segretariato provvede ad inviare
copia alla controparte, assieme ai documenti depositati. Si tratta
quindi di un sistema regolamentare che disciplina esplicitamente la
data di inizio del procedimento arbitrale a tutti gli effetti connessi
con tale inizio, ricollegandola alla ricezione della domanda da parte
dell’organo a ciò preposto, con previsione esplicita di conoscenza
della domanda arbitrale da parte del convenuto solo successivamente.
In modo simile a quello ora descritto, anche il Regolamento
Svizzero d’arbitrato internazionale unificato, adottato nel gennaio
2006 al fine di ridurre ad unità i precedenti plurimi Regolamenti
delle singole Camere elvetiche, dispone all’art. 3 che « La parte che
inizia l’arbitrato deposita una richiesta d’arbitrato presso le Camere ». Anche in questo caso si considera che il procedimento abbia
« inizio alla data in cui le Camere ricevono la richiesta di arbitrato »,
mentre il convenuto ha notizia della pendenza del procedimento ad
opera delle Camere stesse, tenute a trasmettergli immediatamente
una copia della richiesta d’arbitrato e dei documenti ivi allegati.
Sul piano interno, il Regolamento della Camera arbitrale nazionale e internazionale di Milano, nella sua ultima formulazione in vigore dal 1o gennaio 2010, contiene una disciplina maggiormente
complessa. Nella sostanza, infatti, anche il Regolamento in questione
prevede al suo art. 9 che la domanda di arbitrato sia depositata
presso la Segreteria Generale e che sia poi la stessa Segreteria, nel
termine di cinque giorni lavorativi dalla data del deposito, a trasmet418
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tere la domanda di arbitrato al convenuto. Evidentemente però, anche in considerazione delle problematiche che sono ora oggetto di
riflessione, il Regolamento in questione aggiunge tuttavia che « L’attore può anche trasmettere direttamente la domanda di arbitrato al
convenuto, fermo restando il deposito della domanda stessa presso la
Segreteria Generale, che ne cura in ogni caso la trasmissione al fine
della decorrenza dei termini regolamentari ».
Un sistema parzialmente diverso è quello adottato nei suoi Regolamenti dall’AIA, ove è previsto che la domanda di arbitrato, con
i documenti ad essa allegati, venga trasmessa dalla parte istante sia
alla Segreteria che direttamente alla controparte, mentre non vi è alcuna specificazione in ordine al momento della produzione degli effetti dell’atto introduttivo.
Si tratta, evidentemente, di un coacervo di discipline su cui occorre fare qualche riflessione al fine di individuare quale sia il momento, oppure i plurimi momenti, da cui decorrono i singoli effetti
della domanda arbitrale, laddove ovviamente non vi siano disposizioni regolamentari specifiche.
3. La convinzione ormai generalizzata (4) che la pendenza di
un arbitrato ad hoc si determini con la notificazione alla controparte
della domanda dotata dei crismi formali introdotti nel 1994 non è
evidentemente applicabile in modo automatico all’arbitrato amministrato. Infatti, il sommario esame effettuato di alcuni Regolamenti
arbitrali chiarisce che l’avvio del procedimento può, in questo caso,
essere regolato in modo non solo diverso da quello proprio dell’arbitrato ad hoc, ma anche in modo eterogeneo. Inutile dire che, in
ogni caso, ove la pendenza del procedimento sia disciplinata da apposite norme regolamentari è a queste ultime che occorre fare riferimento, posto che le parti hanno in proposito effettuato una scelta.
Quindi, laddove il Regolamento arbitrale sancisca espressamente il
decorso della pendenza della lite fin dal momento della ricezione
della domanda da parte della Istituzione, come fanno i Regolamenti
precedentemente richiamati della ICC e delle Camere svizzere, la
(4) Cfr. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2010, 97; BORGHESI, sub
art. 1, 25 e 26 Legge 5 gennaio 1994, n. 25, in Arbitrato, a cura di F. Carpi, Bologna, 2007,
312. s.. In giurisprudenza cfr. tra tante Cass. 25 luglio 2002, n. 10922; Cass. 28 maggio 2003,
n. 8532; Cass. 12 dicembre 2003, n. 19025.
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norma regolamentare si sovrappone in quanto tale ad ogni altra possibile considerazione.
Quando però non vi sia alcuna norma regolamentare che disciplini il momento di pendenza dell’arbitrato, per una sua determinazione si apre l’alternativa, tipica dei giudizi ordinari caratterizzati da
una fase iniziale che prevede il deposito dell’atto introduttivo prima
della sua notifica, di ricondurre la pendenza stessa alla ricezione ad
opera dell’organo competente della domanda di arbitrato, oppure alla
avvenuta conoscenza della domanda in questione da parte del convenuto.
A risolvere il quesito non può valere una soluzione astratta.
Con riferimento ad un modello arbitrale la cui fase introduttiva si
compone di elementi complessi, in cui gli oneri delle parti si intrecciano con quelli dell’Istituzione, non può infatti essere messo in
dubbio che con il deposito del ricorso si instauri per lo meno la fase
costitutiva dell’arbitrato amministrato, poiché dal deposito dell’atto
introduttivo presso l’Istituzione sorge il dovere degli organi a ciò
preposti di farsi carico dell’espletamento degli oneri regolamentari
che conseguono alla ricezione dell’atto con cui la parte promuove
l’arbitrato. Tuttavia, alla conoscenza dell’atto introduttivo da parte
del convenuto non può sicuramente togliersi ogni rilevanza, ma assumerà specifica importanza a seconda dell’effetto che si voglia
prendere in considerazione.
Dovrà allora in primo luogo escludersi ogni rilievo alla ricerca
del momento di pendenza di un procedimento arbitrale amministrato
ai fini e per gli effetti della litispendenza, intesa nel senso patologico
di pendenza contemporanea di due giudizi uguali di cui all’art. 39
c.p.c. Non è infatti possibile che quando l’arbitrato è presieduto dal
controllo di una Istituzione, cui deve comunque pervenire la domanda introduttiva del giudizio arbitrale, si verifichi la situazione di
litispendenza richiamata, che presuppone per definizione la possibilità di presentazione della domanda a almeno due organi diversi. Di
fronte ad un unico organismo che amministra l’arbitrato lo stesso attore non sarà infatti mai indotto a radicare due volte la stessa azione
alla ricerca del risultato migliore e, se lo facesse, la Camera ricondurrebbe comunque il procedimento ad unità prima della formazione
del collegio arbitrale; allo stesso modo, qualora fossero le due parti
contendenti a depositare autonomi atti introduttivi uguali e contrari,
la circostanza che vi sia un unico organismo che regolamenta la procedura consentirà in ogni caso di far sı̀ che i due arbitri nominati
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dalle parti divengano componenti di un unico collegio arbitrale,
senza che vi sia alcuna duplicazione dell’azione.
La data di pendenza di un procedimento arbitrale amministrato
rileva allora solo con riferimento ad altri fenomeni, diversi da quello
della prevenzione. Si pensi ad esempio all’ipotesi in cui in assenza
di specifiche disposizioni regolamentari, le parti recepissero nel patto
arbitrale (5) norme tipiche dell’arbitrato ad hoc come l’art. 819-ter,
ult. comma, c.p.c., o altre disposizioni che presuppongono per la loro
applicazione l’individuazione del momento di pendenza dell’arbitrato. Con riferimento a queste situazioni — che in relazione all’arbitrato ad hoc credo vadano risolte nel senso di conferire alla notifica della domanda qualificata di arbitrato la capacità di generare la
pendenza della lite — la normale dicotomia tra deposito della domanda presso l’Istituzione e sua successiva notifica, che caratterizza
in genere l’arbitrato amministrato, può creare più di un dubbio. L’art.
819-ter c.p.c. tende infatti a realizzare nei rapporti tra arbitri e giudice il principio c.d. del doppio binario, al fine di evitare interferenze
tra i due giudizi ribadisce inoltre il principio della signoria degli arbitri in tema di valutazione del loro potere decisorio. È in questa
prospettiva dunque che la norma da ultimo richiamata consente il
sindacato del giudice ordinario sulla validità e sull’efficacia della
convenzione di arbitrato solo fino a quando il relativo procedimento
non sia iniziato, momento dal quale la competenza degli arbitri in
materia diviene sovrana. Se un tale problema dovesse porsi con riferimento all’arbitrato amministrato, sarei propensa a ritenere che l’applicazione di una regola quale quella prevista dall’art. 819-ter, ult.
comma, c.p.c. in questa sede, debba portare a ritenere preclusa
l’azione giudiziale avente ad oggetto la validità o l’efficacia della
convenzione di arbitrato fin dal momento del deposito della domanda
introduttiva del procedimento davanti alla Istituzione che ne presiede
l’andamento. È in questo momento infatti che si mette in moto il
meccanismo che attribuisce agli arbitri il potere di decidere su quella
che è la fonte del loro potere di decidere la lite ed è a questo momento quindi che deve essere ricollegata la preclusione a iniziare
un’azione giurisdizionale avente ad oggetto una questione la cui decisione spetta ora solo al costituendo collegio arbitrale.
(5) Capace comunque di prevalere sulle disposizioni regolamentari ai sensi dell’art.
832, comma 2, c.p.c.
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4. La fattispecie dotata di maggior criticità è tuttavia quella in
cui la proposizione della domanda di arbitrato sia funzionale anche
alla salvezza di un termine, come può accadere quando vi sia un
provvedimento cautelare concesso ante causam e il giudizio di merito sia deferito ad arbitrato amministrato. Quando il compito propulsivo dello scambio delle memorie iniziali sia lasciato all’Istituzione
preposta alla regolamentazione dell’arbitrato, previo deposito presso
la Segreteria della stessa dell’atto introduttivo ad opera della parte
che intende promuovere l’arbitrato è evidente che sfugge al potere
della parte il controllo del momento in cui l’atto iniziale del giudizio
viene notificato o comunicato alla controparte e sfugge con questo
alla parte stessa anche la possibilità di ogni controllo sul rispetto del
termine per l’inizio del giudizio di merito di cui all’art. 669-octies
c.p.c.
La scarna giurisprudenza edita è orientata nel senso che nel termine per l’inizio del giudizio di merito è essenziale la notifica della
domanda di arbitrato amministrato alla controparte (6), con conseguente declaratoria di inefficacia della misura cautelare ottenuta ante
causam quando la domanda stessa sia stata solo depositata, presso
l’Istituzione, pur secondo le indicazioni del Regolamento prescelto.
Questa soluzione non può essere condivisa, in quanto quando è in
gioco la perdita di un termine non può valere altro principio che
quello per cui la decadenza consegue al compimento delle attività
volitive della parte che rientrano nella sua sfera di controllo (7), mentre la decadenza stessa non può derivare da elementi quali la notifica,
quando la sua data costituisca una variabile dipendente dall’Istituzione e non dall’attività della parte onerata del rispetto del termine
in questione.
Ove il Regolamento arbitrale preveda espressamente che l’inizio del procedimento è ricollegato al deposito della domanda intro(6) Cfr. Trib Milano, 13 marzo 1997, n. 2865, in Corr. giur., 1998, 819, con nota
adesiva di G. AVINO.
(7) È noto che tale soluzione è quella da tempo invalsa con riferimento al rispetto
del termine perentorio per i giudizi di impugnazione che iniziano con ricorso per i quali cfr.
Cass., Sez. un. 29 luglio 1996, n. 6841; Cass. 8 maggio 2003, n. 7032; Cass. 17 maggio
2002, n. 7219; Cass. 18 giugno 2001, n. 8248 con riferimento al rito del lavoro; Cass. 13 settembre 2002, n. 13423 con riferimento ai procedimenti di separazione e divorzio. Allo stesso
modo il solo deposito del ricorso è stato ritenuto idoneo al rispetto del termine annuale di cui
all’art. 1168 c.c., cfr. Cass. 3 aprile 2003, n. 5154. In tema di rapporto tra tutela cautelare e
procedimento di merito iniziato con ricorso Cfr. Pretura Saluzzo, 4 marzo 1996, in Giur. it.,
1997, I, 2, c. 186 con nota di E. DALMOTTO.
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duttiva presso l’organo preposto non vi è dunque ragione per discostarsi dalla regola per cui, esaurendosi gli oneri della parte con tale
deposito, l’inizio del procedimento arbitrale, che si determina con
tale deposito, vale anche a salvaguardare il rispetto del termine di cui
all’art. 669-octies, comma 5, c.p.c. La domanda di arbitrato depositata ha infatti tutti i requisiti necessari per ritenere la causa di merito
iniziata, posto che contiene in genere gli elementi tipici della domanda giudiziale, il suo deposito è di per sé indice dell’intenzione di
dare vita al procedimento arbitrale e contiene anche la nomina dell’arbitro designato dalla parte qualora questa attività competa alla
parte stessa. Il deposito presso l’organo preposto dall’Istituzione a
ricevere l’atto in questione dà quindi impulso al procedimento, mentre a mancare è il solo provvedimento di notifica che non compete
alla parte, ma a un organo terzo il cui ritardo non può essere imputato alle parti.
Ove il Regolamento arbitrale non ricolleghi invece espressamente al deposito della domanda introduttiva l’effetto dell’inizio del
giudizio arbitrale, la stessa soluzione può apparire meno immediata,
ma la sua validità resta ancorata al principio per cui una decadenza
posta a carico di una parte non può derivare dal compimento di formalità che non competono alla parte, ma a un terzo. Quando l’ordinamento richiede che un determinato atto sia compiuto entro un dato
termine, la finalità che viene perseguita non è la conoscenza del
compimento dell’atto stesso ad opera della controparte, ma lo svolgimento in termini delle attività che competono a chi è onerato della
tempestiva attuazione del comportamento richiesto, come dimostra
non solo la richiamata elaborazione giurisprudenziale concernente la
tempestività delle impugnazioni che vanno proposte con ricorso, ma
anche la nota presa di posizione della Consulta in tema di notificazioni (8), ove l’attività di cui viene onerato il notificante nei termini
prescritti a pena di decadenza è esclusivamente quella che è rimessa
al suo controllo, a prescindere dalla conoscenza che nello stesso termine ne abbia la controparte.
Solo ove il Regolamento arbitrale preveda la notifica della domanda introduttiva ad opera della parte, la soluzione dovrà essere
modificata, posto che in questo caso la notifica stessa diventa uno
(8) Cfr. Corte cost. 26 novembre 2002, n. 477, preceduta, con identica ratio da Corte
cost. 3 marzo 1994, n. 69. Sulla stessa linea di recente Cass. 13 gennaio 2010, n. 539.
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degli elementi della fattispecie ricompresi nelle attività che competono alla parte che promuove il procedimento arbitrale.
5. Quanto invece agli altri effetti che la legge ricollega alla
proposizione della domanda di arbitrato e in primo luogo a quelli che
riguardano l’interruzione della prescrizione e la sua sospensione fino
alla definitiva chiusura del giudizio, la logica non può invece che essere diversa. In questo caso infatti l’effetto che si vuole perseguire si
produce per definizione nel momento della presa di conoscenza della
controparte dell’atto col quale viene affermato il diritto di chi ne è
titolare. Il mero deposito della domanda di arbitrato presso l’Istituzione non può essere quindi atto idoneo all’interruzione della prescrizione nemmeno laddove vi sia un Regolamento che dispone
espressamente che il deposito stesso costituisce a tutti gli effetti data
di inizio del procedimento. Tra gli effetti indicati non vi può essere
infatti quello della interruzione della prescrizione che ben può realizzarsi anche in modi diversi dalla notificazione di una domanda
giudiziale o arbitrale, quali sono i semplici atti di costituzione in
mora, ma che presuppone sempre l’intervenuta conoscenza dell’atto
stesso ad opera della controparte. In questi casi il deposito costituirà
dunque data di inizio del procedimento, ma ai fini dell’interruzione
della prescrizione bisognerà attendere l’intervenuta comunicazione
della domanda arbitrale alla parte convenuta, anche con un mezzo
diverso dalla notificazione (9).
Quanto all’effetto interruttivo permanente di cui all’art. 2945
c.c., una volta interrotta la prescrizione attraverso la conoscenza che
il convenuto abbia avuto della domanda di arbitrato secondo le
forme regolamentari previste nella fattispecie, essa rimarrà sicuramente interrotta sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non sia più impugnabile, in applicazione della norma che regola l’effetto in questione.
Quanto poi alla trascrizione, è difficile immaginare che questo
effetto tipico anche della domanda arbitrale possa prodursi in assenza
di notificazione. Di ciò ci si avvale se solo si riflette sulla circostanza
che il non modificato art. 2658, comma 2, c.c. prescrive che per la
trascrizione di una domanda giudiziale è necessario presentare al
(9) Nello stesso senso SALETTI, La domanda di arbitrato e i suoi effetti, in questa Rivista, 2002, 665 s.
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conservatore copia autentica del documento che la contiene, munito
della relazione di notifica alla controparte. Anche qualora il Regolamento preveda forme di comunicazione della domanda di arbitrato
diverse dalla notificazione, esigenze burocratiche finiscono quindi
con il rendere necessaria questa formalità quando si vuole ottenere
che alla domanda di arbitrato amministrato sia ricollegato anche lo
specifico effetto in questione.
6. Problemi non dissimili a quelli esaminati pone poi la seconda domanda arbitrale dotata di forme anomale indicata in apertura: la domanda cioè che dà ingresso ad un arbitrato societario.
In questo caso è lo schema formale della domanda di arbitrato
a presentare una struttura diversa da quella tipica dell’arbitrato regolato dagli artt. 806 ss. c.p.c., perché gli elementi formali che caratterizzano l’atto introduttivo del procedimento sono ripartiti tra due atti
distinti: la domanda di arbitrato e l’atto con cui chi promuove il procedimento deve sollecitare la nomina degli arbitri al soggetto estraneo alla società cui è conferito dal patto compromissorio il potere in
questione. In questo caso non viene dunque in gioco la scansione tra
notifica e deposito dell’atto — posto che la disposizione dell’art. 35
D.Lgs. n. 5/2003 che prescrive il deposito della domanda presso il
registro delle imprese ha funzioni di pubblicità e non è certo momento determinativo né della pendenza dell’arbitrato, né della produzione di altri effetti se non quelli specificamente connessi con
l’onere stesso di pubblicità — ma la scissione in due atti diversi dei
requisiti che compongono la domanda di arbitrato.
Le norme che regolano l’arbitrato societario non contengono
alcuna disciplina esplicita né relativa alla forma dei due atti in questione, né la loro consecuzione temporale. Nessuna menzione vi è
poi del momento in cui si producono gli effetti sostanziali e processuali della domanda ora in discussione.
Quanto al primo profilo, la domanda di arbitrato societario, pur
connotata da un regime di libertà di forma, non potrà che presentare
le caratteristiche tipiche della domanda arbitrale qualificata, dato che
in questa materia la nomina degli arbitri è riservata a un soggetto
terzo e non vi è spazio quindi per un atto conformato secondo lo
schema dell’art. 810 c.p.c. Ovviamente però, poiché la nomina degli
arbitri non spetta mai alle parti, nell’atto di accesso all’arbitrato societario mancherà sempre ogni indicazione relativa alla nomina, la
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cui richiesta dovrà essere rivolta specificamente al soggetto designato, con un atto che, non avendo vincoli di forma, potrà assumere
la forma più idonea in relazione al tipo di autorità cui la richiesta
stessa è rivolta. Cosı̀ potrà trattarsi di un’istanza o di un ricorso, ma
nulla vieta che la richiesta di nomina sia apposta in calce alla domanda e che l’unico atto sia notificato sia alla controparte che all’autorità preposta alla nomina degli arbitri. Quello che conta è insomma
che alla fine vi sia una domanda di arbitrato notificata alla controparte, cui si sommi una richiesta, rivolta al terzo preposto alla nomina degli arbitri, di procedere alla nomina stessa.
Domanda di arbitrato e richiesta di nomina degli arbitri devono
essere tendenzialmente atti coevi. Tuttavia, se una priorità deve essere data ad un’attività rispetto all’altra, credo che la formulazione e
notificazione della domanda di arbitrato debba precedere la richiesta
di nomina degli arbitri. Ciò perché in questo modo si rende possibile
al soggetto chiamato alla nomina degli arbitri di tenere conto delle
caratteristiche dell’arbitrato in funzione della nomina stessa. Un’inversione delle due attività, da compiersi comunque in tempi ravvicinati, non potrà comportare però invalidità alcuna, posto che la stessa
non è desumibile dal sistema.
Con riferimento agli effetti della domanda di arbitrato societario questi ultimi potranno dirsi verificati con la notificazione alla
controparte della domanda e con il compimento delle attività necessarie alla richiesta all’autorità terza preposta alla nomina degli arbitri di procedere alla nomina stessa. I tempi per il procedimento di
nomina, sfuggendo alla disponibilità delle parti, non potranno invece
incidere sulla produzione degli effetti in questione, per i quali sarà
dunque sufficiente la notifica della domanda e il deposito dell’apposita istanza davanti all’autorità terza prevista nella clausola compromissoria, a prescindere dal momento successivo in cui la nomina
stessa verrà effettuata.
The Author examines the topic of « anomalous » requests for arbitration and
their relevant effects, intended as those requests which differ from the request for
ad hoc arbitrations, both in respect with their content and the effects arising therefrom.
The consolidated praxis to commencing ad hoc arbitral proceedings by serving the counterparty with a request that includes explanation of the subject matter
and the legal basis for the claim — rather than by mean of an act of appointment
under article 810 of the Italian Code of Civil Procedure — does not suit either the
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case of administered arbitrations or the request for company arbitration under article 35 of Legislative Decree no. 5 of 2003. Also, in such cases, it usually lacks a
specific regulation of the request’s substantive and procedural effects.
Regarding administered arbitrations, the Author recalls that arbitration rules
often provide for the filing of the request with the secretariat of the institution either as the only formality for introducing the arbitration or as the first act that precedes the service of the request upon the counterparty. The Author addresses separately the single effects of the request for arbitration — lis pendens, relations between arbitration and court proceedings, preservation of the interim order issued
ante causam, interruption of the limitation period and registration of the claim into
a public registry offıce — proposing a different solution for each case.
As to the request for company arbitration, the Author stresses that in this
case the mechanism does not provide for the filing and the service, since the filing
required solely fulfills a function of public disclosure. Rather two different acts are
required, i.e. the request for arbitration and the act to be addressed to the third
subject or authority that is deputed to appointing the arbitrator. Hence, the effects
of the request are produced at the time when both the service of the request upon
the counterparty and the communication to such appointing subject are performed,
whilst the proceeding for the appointment is irrelevant being not dependent on the
parties’ conduct.
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Riconoscimento ed esecuzione
dei lodi stranieri in Italia
PIERO BERNARDINI (*)
1. Il procedimento arbitrale si è concluso con la notifica alle
parti della decisione dell’arbitro. In Italia si parla di lodo (1). Con la
notifica del lodo, l’arbitro ha esaurito i suoi poteri (functus offıcio).
È nella stessa essenza dell’arbitrato internazionale che il lodo
sia considerato come atto che risolve in via definitiva la controversia
insorta tra le parti e che, quindi, ad esso debba essere data spontanea
esecuzione ad opera della parte soccombente. Vari regolamenti di arbitrato adottati dalle parti sanciscono la vincolatività del lodo per le
parti (2). Alcuni, tra i più diffusi, prevedono anche la rinuncia delle
parti ai mezzi di ricorso contro il lodo nella misura in cui tale rinuncia sia disponibile (3). Di fatto, molte delle decisioni arbitrali internazionali sono spontaneamente eseguite, anche se per l’arbitrato
commerciale i dati a questo riguardo emergono solo là dove è sollecitato l’intervento del giudice statale con la domanda di annullamento o di riconoscimento ed esecuzione del lodo.
In presenza del rifiuto della parte soccombente di adeguarsi alla
decisione dell’arbitro internazionale la situazione che si origina è totalmente nella competenza dei giudici nazionali e nella sfera di ap-
(*) Presidente della Associazione Italiana per l’Arbitrato. Il testo è la rielaborazione
di un intervento al Convegno della Camera Arbitrale di Milano del 1o luglio 2010 su « L’arbitrato internazionale in Italia: tendenze ed opportunità ».
(1) La legge italiana di ratifica della Convenzione di New York del 1958 del 19 gennaio 1968 n. 62 traduce « arbitral awards » con « sentenze arbitrali ».
(2) « All awards shall be made in writing and shall be final and binding on the parties » (Uncitral revised Arbitration Rules, art. 34(2)); « Every award shall be binding on the
parties... » (Regolamento di arbitrato CCI, art. 28(6)); « All awards shall be final and binding on the parties » (LCIA Arbitration Rules, art. 26(9)); (idem, Arbitration Rules dell’Istituto arbitrale di Stoccolma, art.40).
(3) È il caso del Regolamento di arbitrato CCI (art. 28(6)) e di quello della LCIA
(art. 26(9)).
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plicazione degli ordinamenti giuridici nazionali, incluse le convenzioni internazionali recepite da tali ordinamenti.
2. Due distinti problemi si pongono nella fase post-arbitrale:
a) quello del riconoscimento e dell’esecuzione della decisione
arbitrale nei confronti della parte soccombente che non vi abbia dato
spontanea attuazione, con l’intervento del giudice per iniziativa dell’altra parte sia come scelta del momento che del luogo dove aggredire i beni della parte soccombente;
b) quello del ricorso contro la decisione dell’arbitro, al fine di
rimuoverne validità ed effetti, nell’iniziativa della parte soccombente
anche se non è da escludere un interesse dell’altra parte ad attivare
un ricorso in annullamento al fine di conseguire, in un successivo arbitrato, un diverso e più favorevole riconoscimento dei propri diritti.
Esiste un collegamento tra le due situazioni in quanto, anche se
l’autorità chiamata a giudicare di un ricorso in annullamento di un
lodo internazionale è, normalmente, quella di uno Stato (quello della
sede dell’arbitrato) diverso da quello del giudice del riconoscimento
e della esecuzione, i motivi alla base del ricorso in annullamento e
quelli che fondano l’opposizione al riconoscimento e alla esecuzione
possono coincidere, come prevede la legge Modello dell’Uncitral (4)
(ma cosı̀ non è nel sistema processuale italiano). Mentre le sentenze
arbitrali straniere possono essere eseguite nel territorio di un determinato Stato anche se in un altro Stato l’esecuzione è stata rifiutata,
salvo limitate eccezioni (5) esse non sono suscettibili di riconoscimento ed esecuzione se annullate da un giudice dello Stato di origine (6). Questi principi valgono anche per l’ordinamento italiano, considerato che, come vedremo, i motivi di rifiuto del riconoscimento e
della esecuzione di un lodo straniero previsti dal codice di procedura
(4) Si vedano gli artt. 34(2) quanto ai motivi di annullamento e 36(1) quanto ai motivi di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione.
(5) Per le quali, con particolare riferimento agli ordinamenti francese e statunitense,
si rinvia a BERNARDINI, L’arbitrato nel commercio e negli investimenti internazionali, 2008,
238 ss. Per un successivo diverso orientamento negli Stati Uniti si veda la decisione della
Corte di Appello (District of Colombia) del 25 maggio 2007 nel caso TermoRio S.A. E.S.P.
(Colombia) and Leaseco Group LLC (US) v. Electranta S.P. (Colombia) and others, Yearbook, 2008, 955.
(6) Vale la pena di rilevare come mentre per la Convenzione di New York in questo
caso riconoscimento e esecuzione « may be refused » (art. V(1), il che fa supporre un potere
discrezionale del giudice), per l’art. 840 c.p.c. riconoscimento ed esecuzione « sono rifiutati ».
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civile (artt. 839-840) coincidono con quelli disciplinati dalla Convenzione di New York del 1985 (7).
3. Il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri in Italia
sono regolati in pratica dalle disposizioni della Convenzione di New
York. Il primo problema attiene alla qualificazione della decisione
arbitrale come straniera in quanto, come è noto, la Convenzione di
New York si applica solo alle sentenze arbitrali straniere.
Per il sistema italiano è straniera la decisione resa fuori del
territorio nazionale del giudice adito per il riconoscimento e l’esecuzione e, per converso, è nazionale quella resa in tale territorio, intendendosi per luogo dove la decisione è resa quello della sede dell’arbitrato. Questo criterio di identificazione della nazionalità di una decisione arbitrale è ormai largamente accolto dai sistemi giuridici nazionali, è recepito dalla Legge Modello dell’Uncitral (8) ed è conforme alla Convenzione di New York. L’art. I(1) della Convenzione
dichiara applicabili le sue disposizioni al riconoscimento ed esecuzione di « awards made in the territory of a State other than the
State where the recognition and enforcement of such awards are
sought ».
La stessa Convenzione, dando atto degli orientamenti all’epoca
prevalenti in varie legislazioni nazionali relativamente alla nazionalità della decisione arbitrale, ha previsto l’applicabilità delle sue
norme altresı̀ alle sentenze arbitrali « not considered as domestic
awards in the State where their recognition and enforcement are
sought » (art. I(1)). È il caso di un arbitrato con sede in Italia ma regolato da una procedura priva dei requisiti minimi per il conferimento di efficacia esecutoria diretta in Italia, ipotesi in ordine alla
quale, allo stato, non vi è riscontro nella giurisprudenza italiana.
4. Per essere riconosciuto ed eseguito in Italia il lodo straniero deve essere fornito di efficacia obbligatoria nell’ordinamento
d’origine, essere cioè « binding » secondo quanto prevede la Con-
(7) Salva l’applicabilità delle disposizioni di convenzioni bilaterali e multilaterali di
cui l’Italia sia parte ove prevedano condizioni più favorevoli per il riconoscimento e l’esecuzione di lodi provenienti da altro Stato contraente.
(8) Legge Modello, art. 34, in relazione agli artt. 6 e 1(2)).
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venzione. (9) Non avrebbe quindi rilievo la distinzione, propria dell’ordinamento italiano, tra lodi rituali e irrituali stante il carattere obbligatorio e vincolante per le parti anche di questi ultimi. Non sembra peraltro che ci si possa accontentare di un’efficacia meramente
« contrattuale » del lodo (10) estero (quale è quella che promana da
un arbitrato irrituale) in quanto, per essere eseguibile in Italia, il lodo
deve comunque avere un’efficacia tale da renderlo potenzialmente
suscettibile di esecuzione anche nell’ordinamento di provenienza.
5. Quanto alla procedura relativa al riconoscimento ed alla esecuzione dei lodi stranieri in Italia, il principio fondamentale è posto
dall’art. III della Convenzione: « Each Contracting State shall recognize arbitral awards as binding and enforce them in accordance with
the rules of procedure of the territory where the award is relied upon ».
Si riconosce pertanto la competenza della lex fori quanto al regime
procedurale applicabile, assimilandosi la sentenza arbitrale straniera a
quella nazionale quanto alle condizioni e agli oneri, anche di natura fiscale, previsti per il riconoscimento e l’esecuzione. In applicazione di
questo principio, con notevole ritardo rispetto alla data di entrata in vigore della Convenzione nel proprio ordinamento (1o maggio 1969),
l’Italia ha adeguato la normativa interna al dettato dell’art. III della
Convenzione con due articoli inseriti nel codice di procedura civile
dalla legge di riforma dell’arbitrato del 1994 (artt. 839-840, tuttora in
vigore dopo la riforma dell’arbitrato del 2006). Vale la pena di ricordare come, all’atto della ratifica della Convenzione, l’Italia non ha posto alcuna delle riserve previste dall’art. I(3) della Convenzione, relative l’una alla condizione di reciprocità e l’altra al carattere commerciale (secondo la legge nazionale) della relazione, contrattuale o non,
da cui origina la controversia.
I due articoli del c.p.c. che si sono richiamati prevedono un
procedimento di riconoscimento e di esecuzione dei lodi stranieri che
si sviluppa in due fasi.
6. In una prima fase, regolata dall’art. 839, la parte interessata
a far valere in Italia il lodo straniero propone ricorso al Presidente
(9) Convenzione di New York, art. III: « Each Contracting State shall recognise arbitral awards as binding... ».
(10) Il codice di procedura civile parla di « lodo contrattuale » (art. 808-ter, comma 2).
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della Corte di appello nella cui circoscrizione risiede l’altra parte o,
se questa non ha in Italia la sua residenza, al Presidente della Corte
di appello di Roma. La parte ricorrente dovrà produrre il lodo e la
convenzione arbitrale in originale o in copia conforme, in una con la
traduzione certificata conforme se tali documenti non sono in lingua
italiana. La produzione, in originale o in copia autenticata della convenzione arbitrale contestualmente alla presentazione della domanda
di delibazione costituisce un vero e proprio presupposto processuale
che deve sussistere al momento dell’introduzione del processo (11). Il
Presidente della Corte di appello, accertata la regolarità formale del
lodo, ne dichiara l’efficacia in Italia, tranne il caso in cui rilevi che
la controversia non poteva formare oggetto di compromesso o il lodo
contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico (12).
Il procedimento si svolge in questa fase in assenza dell’altra
parte, il decreto presidenziale che accoglie o nega la richiesta di riconoscimento ed esecuzione essendo emesso ex parte (inaudita altera parte). Poiché in base all’art. 111 della Costituzione tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati, si ritiene che anche il decreto presidenziale debba essere motivato, sia pure sommariamente (13). Il decreto che accoglie il ricorso ha natura essenzialmente dichiarativa e non attribuisce quindi al lodo straniero efficacia
esecutiva. Questa si otterrà a seguito del vittorioso giudizio di opposizione promosso dall’altra parte o per l’inutile decorso del termine
per l’opposizione.
7. La seconda fase, eventuale, del procedimento, disciplinata
dall’art. 840, inizia con l’opposizione al decreto presidenziale, proposta con citazione dalla parte interessata dinanzi alla stessa Corte di
appello il cui Presidente ha emanato il decreto, entro 30 giorni dalla
comunicazione (in caso di rigetto) o dalla notifica (in caso di acco-
(11) Cass. 23 luglio 2009 n. 17291, Microware S.r.l. in liquid c. Indicı̀a Diagnostics
S.A.; Cass. 8 ottobre 2008 n. 24856, Globtrade Italiana S.r.l. c. East Point Trading Ltd.
(12) Vale la pena di rilevare che la Convenzione di New York parla di contrarietà all’ordine pubblico non del lodo, come prevedono gli artt. 839-840 c.p.c., ma del suo riconoscimento ed esecuzione: « the recognition and enforcement of the award would be contrary
to the public policy of that country » (art. V(2)(b)).
(13) BRIGUGLIO, in BRIGUGLIO, FAZZALARI, MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato
- Commentario, 1994, 282; BIAVATI, Arbitrato (diretto da CARPI), 2008, 899; TAMPERI, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale (diretto da BENEDETTELLI,
CONSOLO e RADICATI DI BROZOLO), 2010, 1026.
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glimento) del decreto presidenziale. In questa fase il contradditorio è
pieno, la parte contro la quale è invocato il lodo (sia in caso di opposizione di questa al decreto di accoglimento che di opposizione
dell’altra parte al decreto di rigetto) dovendo provare l’esistenza di
uno o più dei motivi di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione
di cui all’art. 840, comma 3 (14). Anche in questa fase, il rifiuto del
riconoscimento e dell’esecuzione può essere disposto d’ufficio dalla
Corte di appello ove questa accerti che la controversia non poteva
formare oggetto di compromesso o il lodo contenga disposizioni
contrarie all’ordine pubblico (15). La decisione della Corte di appello
è pronunciata con sentenza, contro la quale è ammesso ricorso alla
Corte di cassazione.
8. La tassatività e il carattere di stretta interpretazione dei
motivi di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione, stante il favore per il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri proprio
della Convenzione di New York (16), comportano che il controllo
esercitato dal giudice adito è limitato ai vizi concernenti la validità
della convenzione arbitrale e la regolarità del procedimento e del
lodo, con l’esclusione di qualsiasi riesame nel merito del lodo.
Su ciascuno dei motivi di rifiuto del riconoscimento e della
esecuzione si è formata in Italia una giurisprudenza, in parte accessibile a livello internazionale nei volumi annuali dello Yearbook,
dell’ICCA. (17)
Emerge da questa giurisprudenza, come dato costante, il deciso
favore dei giudici italiani per l’arbitrato e per l’efficacia a fini esecutivi del lodo arbitrale straniero, salvo evidentemente il caso in cui il
procedimento o la decisione arbitrale risulti affetto da gravi vizi.
La maggior parte delle decisioni, anche della Corte di Cassa(14) Questi motivi sono gli stessi previsti all’art. V (1) della Convenzione di New
York, salvo alcune più liberali formulazioni.
(15) Art. 840, ult. comma, conforme all’art. V(2) della Convezione di New York.
(16) Questi principi sono stati affermati in modo conforme dalla giurisprudenza di
vari Stati, soprattutto con riguardo al motivo di rifiuto relativo all’ordine pubblico. Secondo
la decisione della Corte statunitense nel caso Parsons Whittemore Overseas Co. Inc. v. Société Générale de l’Industrie de Papier, Yearbook, 1976, 205, « The general pro-enforcement
bias informing the Convention and explaining its suppression of the Geneva Convention
points toward a narrow reading of the public policy defense ». Si veda anche POUDRET - BESSON, Droit comparé de l’arbitrage international, 2002, par. 902.
(17) Di seguito Yearbook, alla voce « Court Decisions on the New York Convention
1958 ».
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zione, hanno confermato l’efficacia del lodo straniero a fini esecutivi,
negando validità ai diversi motivi addotti dalla parte opponente.
9. È questo il caso in cui l’opponente aveva fatto valere come
motivo di rifiuto dell’esecuzione l’assenza della forma scritta della
convenzione arbitrale. Il rinvio dell’art. 840, comma 3, n. 1 (conforme all’art. V(1)(a) della Convenzione) alla validità della convenzione arbitrale secondo la legge della sede dell’arbitrato ha consentito alla Corte di Cassazione di confermare, nella maggior parte dei
casi, l’infondatezza di questa eccezione (18). Con altra decisione la
Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d’appello di Napoli che aveva revocato il decreto presidenziale con cui era stata dichiarata l’efficacia del lodo straniero ritenendo valida, contrariamente alla Corte di appello, la convenzione arbitrale conclusa con un
mezzo di trasmissione a distanza quale il telefax, ove ne sia accertata la effettiva provenienza dalla parte (circostanza ritenuta nella
specie indubbia) (19). Anche l’eccezione tratta dall’asserita mancanza
nel rappresentante del potere di concludere la convenzione arbitrale
in quanto atto di straordinaria amministrazione è stata respinta sull’assunto che, per la legge italiana (applicabile al caso), la clausola
compromissoria inserita in un contratto commerciale è atto di ordinaria amministrazione (20). Rileva per questo motivo di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione l’orientamento della Cassazione secondo cui l’invalidità formale della convenzione arbitrale può essere
eccepita solo nel corso del giudizio arbitrale o in sede di ricorso per
annullamento del lodo, e ciò in quanto l’art. 840 sul punto non rin-
(18) Cass. 20 gennaio 1977 n. 272, Ditta Nosengo e Morando c. Ditta Bohne Friedrich & Co. Import-Export, in Riv. dir. inter. priv. e proc., 1978, 341; Yearbook, 1979, 279
(l’applicabilità della legge tedesca ha consentito di richiamare la regola di tale legge secondo
cui la forma scritta non è richiesta per la convenzione arbitrale nei rapporti tra commercianti); Cass. 15 aprile 1980 n. 2448: Fall. Soc. Lanificio Banci c. Soc. Bobbie Brooks Inc.,
in Foro it., 1980, I, 2164; Yearbook, 1981, 233 (l’applicabilità della legge statunitense ha
permesso di concludere per la validità della convenzione arbitrale in quanto conclusa in conformità di tale legge).
(19) Cass. 14 giugno 2007 n. 13916, Rudston Products (Int) Ltd. c. Conceria F.lli
Buongiorno S.p.a.
(20) Cass. 23 aprile 1997 n. 10229, Dalmine S.p.a. c. M.&M. Sheet Metal Forming
Machinery AG, in questa Rivista, 1998, 41; Yearbook, 1999, 709.
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via all’art. II della Convenzione di New York che pone il requisito
della forma scritta (21).
10. Quanto al motivo di rifiuto del riconoscimento e della
esecuzione fondato sulla pretesa violazione del diritto di difesa (e
art. 840, comma 3, n. 2, conforme all’art. V(1)(b) della Convenzione), per il rilievo che i termini temporali concessi dall’arbitro fossero stati eccessivamente ridotti, la conferma dell’esecutività del
lodo è stata fondata dalla Suprema Corte ora sulla constatazione
della congruità dei termini ai fini dell’esercizio del diritto di difesa (22) ora sull’assenza di prova che tali termini avessero effettivamente reso impossibile alla parte di fare valere le proprie ragioni (23).
11. Con riguardo all’eccesso dai limiti della convenzione arbitrale (art. 840, comma 3, n. 3, corrispondente all’art. V(1)(c) della
Convenzione), alcune sentenze di corte d’appello hanno confermato
la possibilità di riconoscimento ed esecuzione del lodo straniero là
dove abbia deciso in modo definitivo una parte soltanto delle domande proposte dalle parti, stabilendo che l’impugnabilità del lodo
non definitivo solo unitamente al lodo definitivo non vale per il lodo
straniero e che, comunque, la stessa non è più prescritta dalla Legge
5 gennaio 1994 n. 25 (24).
12. In tema di composizione del tribunale arbitrale o di procedura arbitrale non conforme alla volontà delle parti o alla legge del
(21) Cass. 8 agosto 1990 n. 7995, Soc. Vento c. Soc. Edelmas; Cass. 13 luglio 1988
n. 4592 Meneghetti c. Topfer Co. GmbH.
(22) Cass. 7 ottobre 1980 n. 5378, Casillo c. Getreide Import Gesellschaft, in Giust.
civ., 1981, I, 2330; Cass. 27 giugno 1983 n. 4399, Tortora c. Tolimar S.A., in Riv. dir int.
priv. proc., 1984, 571; Yearbook, 1985, 470; Cass. 23 aprile 1997 n. 10229, cit. nota 16; Cass.
30 maggio 2006 n. 12873, Industrie Tecnofrigo Dell’Orto c. PS Profil Epitoipazi Kereskedelmi SS Szolgatatò KFT, Yearbook, 2007, 406.
(23) Cass. 21 gennaio 2000, n. 671, Conceria de Maio Giuseppe & Fratelli S.n.c. c.
Interskins Ltd., in Riv. dir. marit., 2002, 1241 (nota PIOTTO); Yearbook, 2002, 492; Cass. 8
aprile 2004 n. 6947, Vigel S.p.a. c. China National Machine Tool Corp., in Riv. dir. int. priv.
proc., 2005, 107; Yearbook, 2006, 802.
(24) App. Milano, 27 gennaio 1995, Neumann & Co. AG c. Brianza Plastica S.p.a.,
in Riv. dir. int. priv. proc., 1995, 742 (con nota di VISMARA); Cass. 7 giugno 1995 n. 6426,
Wtb Thosti Baswas Bankiengesellshaft c. Soc. Coop. Costruire.
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luogo dell’arbitrato (art. 840, comma 3, n. 4, conforme all’art.
V(1)(d) della Convenzione), alcune sentenze della Corte di Cassazione sono di particolare interesse. Con una di queste la Corte ha accolto il motivo di rifiuto dell’esecuzione fondato sul difetto di motivazione del lodo straniero, affermando in via preliminare che tale difetto non contrasta con l’ordine pubblico italiano visto che la Convenzione di Ginevra del 1961, ratificata dall’Italia, ammette che la
motivazione possa essere esclusa per concorde volontà delle parti.
Peraltro, poiché nel caso di specie una parte aveva richiesto in
udienza che il lodo fosse motivato, la procedura non era stata conforme alla volontà delle parti, e ciò anche se l’arbitrato si era svolto
a Londra, cioè in una sede dove, all’epoca, le regole di procedura
non richiedevano la motivazione del lodo (25). Con altra sentenza
sono stati dati riconoscimento ed efficacia esecutiva ad un lodo reso
a Londra da due arbitri soltanto, in contrasto con la convenzione arbitrale che prevedeva un collegio di tre arbitri, ciò in quanto nel sistema inglese dell’arbitrato l’intervento del terzo arbitro (superarbitro o umpire) è solo eventuale. Pertanto, il lodo era valido secondo
la legge di procedura del luogo dove era stato reso (26). Con altra decisione la Suprema Corte ha rifiutato il riconoscimento del lodo reso
a Pechino rilevando come sia la costituzione del collegio arbitrale
che lo svolgimento davanti a questo del procedimento non fossero
stati rispondenti alla convenzione arbitrale (27).
13. In applicazione dell’art. 840, comma 3, n. 5, secondo cui
(conformemente all’art. V(1)(e) della Convenzione) non può accordarsi l’esecuzione del lodo straniero se questo non è ancora divenuto
vincolante tra le parti o sia stato annullato o sospeso dal giudice
competente, la Suprema Corte ha respinto un ricorso in opposizione
fondato sull’assunto che un lodo straniero può essere delibato in Italia solo in quanto divenuto definitivo o, se impugnato, in quanto il
gravame sia stato rigettato. La Corte ha infatti affermato che non
compete al giudice della delibazione di accertare la sussistenza del
(25) Cass. 8 febbraio 1982 n. 722, F.lli Damiano S.n.c. c. August Toepfer & Co.
GmbH, in Riv. dir. marit., 1982, 644; Riv. dir. int., 1983, 470.
(26) Cass. 15 dicembre 1982 n. 6915, Soc. Rocco c. Federal Commerce and Navigation Ltd, in Foro it., 1983, I 2200; Yearbook, 1984, 418.
(27) Cass. 7 febbraio 2001 n. 1732, Tema Frugoli S.p.a. c. Hubel Space Quarry Industry Co. Ltd.
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requisito della definitività del lodo in assenza di prova al riguardo da
parte del ricorrente in opposizione (28).
14. Su uno dei motivi di rifiuto del riconoscimento e della
esecuzione vale la pena di soffermarsi, in ragione del particolare interesse per l’arbitrato internazionale. Ci riferiamo al motivo secondo
cui riconoscimento ed esecuzione del lodo arbitrale straniero sono
rifiutati dal Presidente o dalla Corte di appello, anche d’ufficio, ove
il lodo contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico, evidentemente del giudice dell’esecuzione dato che a tale giudice non è richiesto di preoccuparsi dell’ordine pubblico di altri Stati.
Come è noto, l’ordinamento italiano distingue tra ordine pubblico interno, dato dalla somma delle norme imperative (29) e operante come limite all’autonomia privata, e ordine pubblico internazionale. L’ordine pubblico richiamato dagli artt. 839 e 840 c.p.c. è
l’ordine pubblico internazionale dato il carattere transnazionale del
rapporto che ha dato origine alla controversia deferita in arbitrato (30). Secondo la Corte di Cassazione, nell’ordinamento italiano
l’ordine pubblico internazionale risulta « formato da quell’insieme di
principi, desumibili dalla Carta costituzionale o, comunque, pur non
trovando in essa collocazione, fondanti l’intero assetto dell’ordinamento, tali da caratterizzare l’ordinamento in un determinato momento storico e da formare il cardine della struttura etica, sociale ed
economica della comunità nazionale » (31). Si tratta quindi di una
concezione nazionale, non transnazionale, dell’ordine pubblico, suscettibile di modifica nel tempo con il mutare delle condizioni etiche,
sociali ed economiche della società. Oltre alle norme costituzionali (32), rilevano per il contenuto dell’ordine pubblico internazionale
italiano i principi fondamentali dell’Unione Europea, quali quelli in
materia di concorrenza (33). Altro principio fissato dalla Corte di
Cassazione è quello secondo cui il contrasto con l’ordine pubblico
(28) Cass. 10 novembre 1992 n. 12093, Le Swie Horny Steel Enterprise Co. Ltd c.
Guardian Shipping Corp.
(29) Cass. 6 dicembre 2002 n. 17349, Soc. Finleader c. Soc. Grant Thornton; Cass.
26 novembre 2004 n. 22332; Cass. 23 febbraio 2006 n. 4040; Cass. 4 maggio 2007 n. 10215.
(30) App. Milano, 4 dicembre 1992, Allsop Automatic Inc c. Tecnoski S.n.c., Yearbook, 1997, 725.
(31) Cass. 28 dicembre 2006 n. 27592, R.c. M., in Riv. dir. int., 2007, 886 ss.
(32) Cass. 6 dicembre 2002 n. 17349, cit. alla nota 29.
(33) App. Firenze, 21 marzo 2006.
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internazionale deve essere valutato con riguardo non alla motivazione del lodo ma alla sua parte dispositiva (34), ciò che rileva essendo « gli effetti concreti che deriverebbero in Italia dal riconoscimento e dall’attuazione di quella decisione » (35). Ciò, in quanto è
impedito al giudice dell’esecuzione il riesame del merito, cioè degli
elementi di fatto e di diritto posti a base della decisione dell’arbitro,
cui potrebbe condurre l’esame della motivazione del lodo.
Recentemente, la Cassazione ha ritenuto in contrasto con l’ordine pubblico internazionale la condanna ai « punitive damages », tipica del sistema statunitense, dato che nell’ordinamento italiano
« alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione » e
non già una funzione punitiva o sanzionatoria (36).
15. Questa rapida rassegna della giurisprudenza in materia di
riconoscimento ed esecuzione di lodi stranieri conferma che la giustizia italiana collabora ormai da tempo alla più piena circolazione
delle decisioni arbitrali internazionali, alla stessa stregua di quella di
altri paesi da tempo impegnati nel sostegno dell’arbitrato commerciale internazionale.
The Author examines the topic of recognition and enforcement of foreign arbitral awards within the Italian legal system, by addressing both some practical
and interpretative issues arising from the 1958 New York Convention, such as the
notion of foreign arbitral award or its binding character, as well as issues concerning the proceedings for enforcement provided for by articles 839 and 840 of the
Italian Code of Civil Procedure.
Particular attention is drawn to the analysis of the single grounds for refusing enforcement along with a review of recent case law, both Italian and foreign,
that would be capable of showing the commitment of Italian courts throughout the
years to ensuring the largest possible recognition of awards rendered abroad.
(34)
(35)
(36)
Cass. 8 aprile 2004 n. 6947, cit. nota 23.
Cass. 28 maggio 2004 n. 10378, Vitalini c. Vesel; Cass. 25 luglio 2006 n. 16978.
Cass. 19 gennaio 2007 n. 1183, Parrot c. Soc Fimez.
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Anti-suit injunctions in ambito arbitrale:
provvedimenti illeciti o semplicemente odiosi? (*)
ANDREA ATTERITANO (**)
1. Premessa. — 2. L’esperienza delle anti-suit injunctions negli ordinamenti
di common law maggiormente rappresentativi: cenni. — 3. Il problema della
compatibilità delle anti-suit injunctions con la Convenzione di New York del
1958. — 4. L’incompatibilità delle anti-suit injunctions a sostegno dell’arbitrato col Regolamento (CE) 44/2001: l’iter seguito dalla Corte di Giustizia.
— 5. Considerazioni conclusive: l’odiosità delle anti-suit injunctions.
1. L’arbitrato si regge sulla comune volontà dei litiganti, il più
delle volte espressa in una clausola compromissoria inserita in un
contratto volto a concretizzare il comune interesse delle parti: l’interesse di ottenere un profitto. Spesso, dunque, quando le parti scelgono la via dell’arbitrato, i loro rapporti sono buoni e l’ipotesi di una
controversia sembra remota. Ma quando la clausola compromissoria
esprime i suoi effetti, il rapporto tra le parti è già incrinato, e può accadere che anche la scelta dell’arbitrato sia oggetto di contestazione:
la parte chiamata in causa contesta la validità o l’efficacia della clausola compromissoria, a volte non provvede alla nomina del proprio
arbitro onde evitare l’avvio del procedimento, e l’arbitrato necessita
di un sostegno esterno per poter continuare. Un sostegno che in certi
casi può essere efficacemente offerto in seno agli arbitrati amministrati, ma che in altri necessita dell’intervento dell’autorità giudiziaria. È in questo contesto che alcuni giudici di common law intervengono con l’adozione delle c.d. anti-suit injunctions, provvedimenti di
carattere inibitorio che impongono specifici obblighi di non facere
(*) Il presente saggio costituisce la rielaborazione, alla luce delle Risoluzioni del
Parlamento europeo e della Commissione relative alla proposta di revisione del Regolamento
(CE) 44/2001 (vedile infra nella rubrica Documenti e notizie, di un precedente scritto apparso
negli Studi offerti a G. Verde).
(**) Assegnista di Ricerca nella Università LUISS Guido Carli.
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alla parte che ne è destinataria e che il più delle volte, anche se non
sempre, garantiscono l’effettività dell’arbitrato: l’effettività di quella
comune volontà dei litiganti, successivamente messa in discussione
per ragioni di convenienza.
Le anti-suit injunctions sono strumenti estremamente invasivi
attraverso i quali il giudice ordina alla parte a cui sono rivolte di non
compiere determinate attività in un altro processo, spesso in corso o
da celebrarsi in un altro Stato. Il più delle volte, si ordina alla parte
di non proseguire o non iniziare un processo all’estero (1), ovvero di
non compiere in tale processo determinate attività processuali (come
l’esibizione di documenti) (2), ma l’ordine può anche essere quello di
non chiedere il riconoscimento o l’esecuzione nello Stato di una
sentenza straniera (3). Si tratta quindi di provvedimenti che nascono
al fine di garantire una efficace gestione dei rapporti transnazionali
tra giudici di diversa nazionalità, una gestione che, tuttavia, per
come si dirà in seguito, sembra poco rispettosa dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici stranieri. Specie dei giudici di civil law
che non disponendo di un simile potere, subiscono gli effetti indiretti
delle anti-suit injunctions adottate dai colleghi di common law.
In ambito arbitrale, le anti-suit injunctions sono state impiegate,
in particolare dalle corti inglesi e statunitensi (ma anche canadesi e
australiane) (4), con l’intento di sostenere l’arbitrato. Nella maggior
parte dei casi, i giudici hanno inteso rendere effettiva la scelta arbitrale a suo tempo fatta dalle parti, ordinando alla parte recalcitrante
di non iniziare ovvero di non proseguire un processo statale all’estero (5). In sostanza, in presenza di una clausola compromissoria, i
(1) L’injunction può essere quindi anche preventiva. In arg. SHERIDAN, Injunctions in
General, Chichester, 1994; FENTIMAN, Antisuit Injunctions, in Current Legal Issues in International Commercial Litigation, Singapore, 1997, 44 ss.; DICEY, MORRIS, COLLINS, Conflicts of
Laws, XIV ed., London, 2006, 500 ss.; CHESHIRE, NORTH, FAWCETT, Private International Law,
XIV ed., London, 2008, 455 ss. Sulle anti-suit injunctions in generale, per la dottrina italiana,
v. LUPOI M.A., Conflitti transnazionali di giurisdizione, Milano, 2002, II, 861 ss.
(2) Queen’s Bench Division, 27 gennaio 1983, c. X AG v. A Bank, in All ER, 1983,
2, 464.
(3) Si tende invece a escludere l’uso di anti-suit injunctions per impedire il riconoscimento e l’esecuzione di una sentenza straniera in un foro diverso da quello nazionale.
(4) Sul fenomeno delle anti-suit injunctions in Canada, v. BLACK, The Antisuit Injunction Comes to Canada, in Queen’s L. J.,1988, 119 ss. Per l’Australia, v. MASON, CRAWFORD,
The Cross-Vesting Scheme, in Austr. L. J., 1988, 343 ss.
(5) Si tratta di un caso estremamente complesso anche in considerazione del numero
di procedimenti instaurato. Karaha e Pertamina avevano concluso due contratti contenenti
clausola compromissoria per arbitrato avente sede in Svizzera. Insorta la controversia, si
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giudici hanno imposto alla parte che tentava di liberarsi dal vincolo
arbitrale, di non adire un foro statale più propenso a dichiarare l’invalidità della clausola compromissoria, ovvero in grado di procedere
nel merito, per la contumacia della parte convenuta. Ma non è in
questo contesto che si esaurisce la spendibilità delle anti-suit injunctions rispetto all’arbitrato. Nel caso Karaha, per esempio, i giudici
USA sono intervenuti a sostegno del lodo, di cui era stato chiesto
l’enforcement negli Stati Uniti, ordinando alla parte soccombente di
non proseguire il giudizio di nullità instaurato dinnanzi ai giudici di
Giacarta. La decisione della District Court è stata poi annullata in
appello, ma il caso mostra come le anti-suit injunctions possano essere usate non soltanto a sostegno della procedura, ma anche della
sentenza arbitrale. In ogni caso, il fine è quello di rendere effettiva la
scelta dell’arbitrato.
Diversamente, non è finalizzata a sostenere l’arbitrato, l’adozione di una anti-arbitration injunction, con cui il giudice ordina alla
parte di non procedere nell’arbitrato ovvero all’esecuzione del lodo.
Non si tratta di un caso di scuola, ma di casi concreti che hanno declinato il fenomeno delle anti-suit injuntions in un modo del tutto
nuovo, e con l’intento di boicottare l’arbitrato. Proprio nel caso Karaha, i giudici indonesiani hanno ordinato alla parte vittoriosa di desistere dal procedimento di enforcement iniziato negli Stati Uniti,
tentando di evitare il concreto soddisfacimento del suo credito (6).
Alla luce di tali premesse, è evidente che la prassi delle antisuit injunctions in ambito arbitrale è ampia e variegata. Non è certo
intenzione di chi scrive esaminare nel dettaglio i casi in cui tali
svolge l’arbitrato, Karaha risulta vittoriosa e Pertamina propone, invano, l’impugnazione per
nullità in Svizzera. Il lodo diventa definitivo e Karaha ne chiede l’esecuzione in vari Paesi,
tra cui gli USA. Pertamina, compagnia indonesiana, chiede l’annullamento del lodo ai giudici di Giacarta, oltre all’adozione di una anti-arbitration injunction che impedisca a Karaha
l’enforcement del lodo all’estero. Karaha al contempo chiede ai giudici USA la concessione
di una anti-suit injunction nei confronti di Pertamina, per inibirle di continuare il giudizio di
nullità dinnanzi ai giudici indonesiani. L’anti-suit injunction viene concessa e l’adozione
confermata in appello. Anni a seguire, Pertamina inizia un nuovo procedimento per frode nei
confronti di Karaha, questa volta nelle Isole Cayman (ove Karaha è incorporata). Karaha
chiede ancora una volta l’adozione di una nuova anti-suit injunction nei confronti di Pertamina e in relazione al nuovo processo. Il provvedimento viene concesso e confermato in appello, mentre la Supreme Court rigetta la richiesta di certiorari avanzata dal Second Circuit.
(6) Se ne dà conto anche nella sentenza di appello del Second Circuit relativa al caso
Karaha Bodas Co., L.L.C. v. Perusahaan Pertambangan Minyak Dan Gas Bumi Negara, 313
F.3d 70 (2nd Cir. 2002). In arg. RUBINS, The Enforcement and Annulment of International Arbitration Awards in Indonesia, in Am. U. Int’l Rev., 2005, 359 ss. (spec. 389-398).
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provvedimenti possono essere adottati, visto che si tratta di un fenomeno tipico di ordinamenti di common law. Ma poiché è innegabile
che gli effetti di tali provvedimenti si fanno sentire anche in altri ordinamenti, occorre interrogarsi sulla loro compatibilità con gli obblighi internazionali assunti dagli Stati. A tal fine, tuttavia, una breve
analisi su come si atteggia il potere del giudice nella concessione
delle anti-suit injunctions, quanto meno nei sistemi giudiziari maggiormente rappresentativi, sembra essere indispensabile.
2. Per molto tempo le corti inglesi hanno negato l’adozione di
anti-suit injunctions rispetto a processi stranieri, poiché l’adozione di
tali provvedimenti avrebbe determinato un’ingerenza indebita nell’esercizio del potere giurisdizionale sovrano dei giudici di altri Stati.
Esigenze di comity ne impedivano l’adozione (7).
Un cambiamento di rotta a 180 gradi si è registrato dapprima
nelle corti di equity (8), e il nuovo orientamento si è poi diffuso tra
tutte le corti anglosassoni. Le esigenze di comity venivano superate
in virtù della natura personale dell’injunction, che essendo rivolta
alla parte, e non al giudice straniero, non poteva considerarsi lesiva
del potere giurisdizionale di quest’ultimo. L’adozione di anti-suit
injunctions è pertanto divenuta, con il tempo, una prassi consolidata,
e in estrema sintesi i giudici inglesi tendono a concederle in tre situazioni:
1) allorquando l’Inghilterra risulta essere il foro più appropriato
per la soluzione della controversia e il processo straniero è vessatorio e oppressivo nei confronti del convenuto;
2) se l’avvio del processo straniero è espressione di una condotta unconscionable dell’attore;
3) allorquando il processo straniero viene intentato in violazione di un diritto contrattuale delle parti, cioè in violazione di una
comune volontà negoziale che esclude la celebrazione del processo
in quel foro.
In riferimento all’arbitrato, il caso che viene in considerazione è
palesemente quello indicato sub 3). E infatti, in presenza di una clausola compromissoria, è evidente che le parti hanno rinunciato al loro
(7) V. MC CLEAN, Jurisdiction and Judicial Discretion, in ICLQ, 1969, 935 ss.
(8) Il primo caso di anti-suit injunction risale al 1821, Bushby v. Munday, in Madd.,
1821, 5, 287 ss.
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diritto di adire le corti statali, in favore di un meccanismo di giustizia
privata. Ed è evidente che qualsiasi azione intentata davanti a un giudice dello Stato, di qualunque nazionalità esso sia, è una violazione di
quella comune volontà negoziale cristallizzata nella convenzione arbitrale. La concessione dell’anti-suit injunction mira quindi a rendere effettiva tale volontà, e le corti inglesi si sentono più libere di inibire
eventuali processi stranieri. In tali casi, infatti, la lesione delle prerogative sovrane che i giudici stranieri esercitano per conto dello Stato in
cui sono incardinati è legata alla necessità di tutelare giudizialmente un
diritto contrattuale delle parti ed è, pertanto, considerata meno invasiva.
Ciononostante, le corti anglosassoni tendono a concedere il provvedimento solo se la sede dell’arbitrato è in Inghilterra, sul presupposto che
il radicamento dell’arbitrato nello Stato crea un forte collegamento tra
la procedura arbitrale e il proprio sistema giuridico. In altre parole, il
giudice inglese ritiene di avere in questo caso un titolo di giurisdizione
primario su tutti i procedimenti connessi all’arbitrato.
Quanto agli Stati Uniti, invece, l’adozione di anti-suit injunctions
a sostegno dell’arbitrato è subordinata alla presenza di alcune condizioni, che tuttavia cambiano a seconda dei circuiti aditi: alcuni (nello
specifico il secondo, il terzo, il sesto, l’ottavo e il District of Columbia)
seguono quello che viene detto il « conservative approach »), gli altri
(cioè il quinto, il settimo e il nono) il c.d. « liberal approach ». Invero,
tutte le corti USA sono concordi nel ritenere che le anti-suit injunctions
possano essere concesse solo se il processo straniero che viene inibito
si svolge (o si svolgerebbe) tra le stesse parti dell’arbitrato, e solo se le
questioni affrontate in ambo i procedimenti, arbitrale l’uno giudiziario
l’altro, sono identiche ovvero in un rapporto di pregiudizialitàdipendenza. In certi casi la parte che rifiutava l’arbitrato ha tentato di
evitare l’adozione di anti-suit injunctions statunitensi, citando dinnanzi
al giudice straniero, non la controparte arbitrale, ma una società controllata o controllante. Tuttavia, in virtù dei criteri di collegamento sostanziale elaborati nella giurisprudenza USA, il tentativo si è rivelato
infruttuoso (9).
Ora, al di là della sussistenza di questi due presupposti impre(9) Nel caso Paramedics Electromedicina Comercial, Ltda (Technimed) v. GE Medical System Information Technologies, Technimed cercò di evitare l’anti-suit injunction USA
sostenendo che il processo pendente in Brasile non era stato intentato nei confronti della GE
Medical ma della GE Brazil. L’argomentazione è stata respinta sia dalla District Court of
New York sia dal Second Circuit. V. Paramedics Electromedicina Comercial, Ltda (Technimed) v. GE Medical System Information Technologies, 369 F.3d 645, at 650 (2d Cir. 2004).
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scindibili, le valutazioni dei giudici nel decidere se concedere o
meno l’injunction variano in base all’approccio adottato: seguendo il
« liberal approach » (10), il provvedimento viene concesso se
l’azione intentata all’estero viene ritenuta « gratuitously duplicative ». Ciò si verifica allorché la prosecuzione del processo straniero:
a) frustra una policy del foro USA; b) è vessatoria e oppressiva per
il convenuto: c) minaccia la jurisdiction in rem o quasi in rem del
foro statunitense; d) pregiudica altre equitable considerations; e)
comporta ritardi, inconvenienze o spese inutili. Diversamente, seguendo il « conservative approach » (11), la concessione dell’injunction è possibile solo se a) serve a proteggere la giurisdizione in rem
o quasi in rem del giudice USA; ovvero se b) serve a impedire una
importante public policy del foro, e cioè se si ritiene che il giudice
straniero possa applicare una normativa diversa e in deroga a una
normativa di ordine pubblico statunitense.
È evidente che adottando l’approccio liberale in ambito arbitrale, l’adozione delle anti-suit injunctions è più semplice, poiché si
può far leva sulla necessità di tutelare la policy pro arbitrato
espressa dagli USA nel FAA e con la ratifica della Convenzione di
New York. Tuttavia, anche le corti che hanno adottato l’approccio liberale hanno mostrato, in ambito arbitrale, un approccio più rispettoso per le esigenze di comity connesse alla adozione delle anti-suit
injunctions. E ciò anche in virtù del fatto che la policy di favore per
l’arbitrato si dovrebbe imporre a tutti i giudici stranieri incardinati in
Paesi membri della Convenzione di New York. Alcuni Autori hanno
perfino sostenuto che in ambito arbitrale la distinzione tra approccio
liberale e conservativo è puramente nominale e non sostanziale (12).
Ma al di là di tale considerazione, ciò che è certo è che la partecipazione di moltissimi Stati alla Convenzione di New York garantisce
maggiormente la scelta dell’arbitrato fatta dalle parti e rende superfluo, in gran parte dei casi, l’intervento invasivo delle anti-suit injunctions.
Ciononostante, sebbene le anti-suit injunctions siano adottate
(10) L’orientamento è stato inaugurato dal Fifth Circuit col caso Zapata Off-Shore
Co. V. M/B Bremen (In re Unterweser Reederei Gmbh) 428 F.2d 888 (5th Cir. 1970).
(11) L’orientamento è stato inaugurato dal District of Columbia col caso Laker Airways Ltd. v. Sabena, Belgian World Airlines 731 F.2d 909 (D.C. Cir. 1984).
(12) V. SWANSON, Antisuit Injunctions in Support of International Arbitration, in Tul.
L. Rev., 2006, 395 ss. Dello stesso avviso la District Court dell’Illinois nel caso Affymax, Inc.
v. Johnson & Johnson, 420 F. Supp. 2d 876 (N.D. Ill. 2006).
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con estrema cautela in ambito arbitrale, esse restano una realtà consolidata. Occorre quindi interrogarsi sul se la loro concessione leda
o meno gli obblighi internazionali assunti dagli Stati.
3. La Convenzione di New York, come è noto, mira a rendere
più agevole la circolazione internazionale dei lodi arbitrali oltre che
l’attuazione degli accordi arbitrali. Il giudice di uno Stato membro è
tenuto a declinare la propria competenza a giudicare su una controversia, se essa rientra nell’ambito di applicazione di un accordo di
arbitrato, a meno che questo non sia invalido o inefficace. È tenuto
anche a garantire il riconoscimento e l’enforcement del lodo reso all’estero, a meno che non si riscontri la sussistenza di uno dei motivi
ostativi previsti dall’art. V della Convenzione. Ovviamente, per procedere in tal senso, il giudice necessita di giurisdizione, e il potere
giurisdizionale gli viene conferito proprio dalla Convenzione di New
York (13).
In pratica, tutti i giudici degli Stati membri della Convenzione
hanno il potere di pronunciarsi sulla validità di un accordo compromissorio e tutti i giudici hanno l’obbligo di declinare la cognizione
della controversia, se l’accordo risulta valido ed efficace. Ugualmente, tutti i giudici hanno il potere di riconoscere ed eseguire nel
proprio Stato il lodo straniero di cui viene chiesto il riconoscimento
o l’enforcement, e tutti hanno il dovere di farlo se non sussistono i
motivi ostativi tassativamente fissati dalla Convenzione. Tale obbligo
corrisponde al diritto delle parti che, accettando l’arbitrato, hanno rinunciato all’azione giudiziaria.
Ebbene, sicuramente la Convenzione di New York nulla dice in
merito all’adozione di anti-suit injunctions da parte dei giudici degli
Stati membri ed è più in generale silente sulla questione delle misure
cautelari. Ciò implica che un provvedimento del tipo non può circolare a livello internazionale sulla base della Convenzione, ma non
vuol dire che la sua adozione sia necessariamente a essa conforme.
Nel già citato caso Karaha, ad esempio, nella richiesta d’intervento,
(13) Parte della giurisprudenza USA ha negato che la Convenzione di New York
possa essa fonte della giurisdizione internazionale del giudice nazionale, quanto meno rationae personae. Su tale giurisprudenza e per una critica alla stessa, sia consentito il rinvio ad
ATTERITANO, La « jurisdiction » del giudice statale nei procedimenti di « enforcement » dei
lodi arbitrali stranieri disciplinati dalla Convenzione di New York del 1958, in RDIPP, 2007,
115 ss.
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come amicus curiae, fatta dalla Repubblica di Indonesia (14), si sostiene che l’adozione di un’anti-suit injunction da parte del giudice
USA, finalizzata a inibire il giudizio di nullità del lodo in uno Stato
estero, violerebbe la Convenzione. Ciò in quanto il giudice dell’enforcement eccederebbe i limiti di potere giurisdizionale garantiti
dalla Convenzione medesima (15). La tesi sembrerebbe essere avallata da autorevole dottrina (16).
In realtà, un simile ragionamento mi convince poco. È vero che
l’adozione di una anti-suit injunction necessita di una copertura giurisdizionale che indubbiamente non è data dalla Convenzione di New
York. Ma nulla esclude che il giudice possa rinvenire tale copertura
nella propria legge statale. Del resto, se cosı̀ non fosse, l’adozione di
qualsiasi misura cautelare sarebbe in violazione della Convenzione
di New York, il che è evidentemente un assurdo. Inoltre, non si capisce quale diritto degli altri Stati membri violerebbe la concessione
dell’injunction: le corti vincolate alla Convenzione hanno il poteredovere di pronunciarsi sulla validità di un patto arbitrale o su una richiesta di enforcement del lodo, ma non per questo sono titolari di
un diritto in tal senso. Il diritto che corrisponde a tale obbligo è
quello della parte che chiede e pretende l’effettività dell’arbitrato.
Ergo, la concessione dell’injunction non lede alcuna situazione giuridica soggettiva attiva in capo allo Stato membro della Convenzione.
(14) L’intervento della Repubblica di Indonesia riguardava l’instaurando procedimento davanti alla Supreme Court relativo alla richiesta del certiorari avanzata dal Second
Circuit, dopo l’adozione dell’injunction contro Pertamina e il nuovo processo avviato nelle
Isole Cayman (v. sub nota 5). Il 23 giugno 2008, la richiesta di certiorari veniva rigettata
travolgendo, cosı̀, anche la richiesta indonesiana di intervento — Pertamina (Persero), fka
Perusahaan Pertambangan Minyak Dan Gas Bumi Negara v. Karaha Bodas Co. L.L.C., 128
S.Ct. 2958 (S. Ct. 2008).
(15) Si legge, infatti, nella richiesta d’intervento della Repubblica di Indonesia:
« (t)he District Court went further — further than the New York Convention and U.S. law allows — when it issued the permanent anti-suit injunction against Pertamina... By overstepping its limited jurisdictional authority under the Convention... the District Court impinged
on the jurisdiction of the Cayman Islands court to decide Pertamina’s claims... In doing so,
the District Court asserted authority not contemplated by the New York Convention ». Punto
10 della richiesta d’intervento della Repubblica di Indonesia. La si veda su 2007 WL
4350777 (U.S.).
(16) Congiuntamente alla richiesta di intervento, la Repubblica di Indonesia, secondo
quanto si legge nella richiesta stessa, avrebbe depositato, a sostegno della sua tesi, due pareri
legali del Professor Albert Jan van den Berg e Michael Reisman, notoriamente autorevoli
commentatori della Convenzione di New York del 1958. Osservazioni critiche sulla presunta
incompatibilità delle anti-suit injunctions con la Convenzione di New York sono espresse da
GAJA, Convenzione di New York sull’arbitrato e anti-suit injunctions, in RDI, 2009, 503 ss.
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È vero però, che l’illecito internazionale si consuma anche in
violazione di un obbligo convenzionale cui corrisponde un diritto
dell’individuo, sia esso persona fisica o giuridica. Ma il diritto delle
parti all’arbitrato è maggiormente garantito in presenza di un’injunction che inibisca il ricorso alle autorità statali. Sicché, di incompatibilità con la Convenzione di New York si potrebbe, caso mai, parlare solo per le c.d. anti-arbitration injunctions.
Sembrerebbe, pertanto, che la Convenzione di New York non
vieti l’adozione di anti-suit injunctions a tutela dell’arbitrato, e che
anzi le stesse contribuiscano al conseguimento del suo scopo. Una
simile conclusione, però, sebbene mi sembri l’unica possibile, presenta una serie di punti oscuri.
Innanzi tutto, perché la stessa tipologia di provvedimento può
essere considerata compatibile o incompatibile con la Convenzione a
seconda del suo contenuto? E ancora, perché mai un giudice può ergersi a interprete privilegiato di un patto arbitrale o della stessa Convenzione di New York, allorché si tratti di dare esecuzione a un lodo
straniero? Perché il giudizio di una corte inglese dovrebbe prevalere
su quello di una corte francese? Sı̀, d’accordo, l’anti-suit injunction
è un provvedimento rivolto alla persona, non al giudice, ma si può
dire che per questo la sua adozione non lede l’esercizio del potere
giurisdizionale del giudice straniero di pronunciarsi sulla validità del
patto compromissorio? È come dire che c’è democrazia nei Paesi in
cui si vota ma, per legge, esiste un partito unico! Non dimentichiamoci che la parte che non si adegua all’anti-suit injunction rischia la
confisca dei beni e, in alcuni casi, e a certe condizioni, perfino l’arresto! Il che può significare il tracollo economico della società, ovvero la privazione di mezzi di sostentamento, e perfino della libertà
personale, per la persona fisica (17). Si può allora dire, con onestà,
che l’anti-suit injunction, poiché rivolta alla parte anziché al giudice,
non lede il potere giurisdizionale di quest’ultimo? Solo un approccio
estremamente formalistico potrebbe giustificare tale affermazione, e
tutto sommato della scarsa fondatezza del ragionamento sono consapevoli pure le corti di common law: i giudici USA, infatti, adottano
tali provvedimenti con estrema cautela; quelli inglesi, dopo avere rifiutato per molto tempo (come si diceva) l’idea della loro spendibilità nei rapporti con giurisdizioni straniere, tendono a concederli solo
(17) Sulle sanzioni in cui incorre la parte inadempiente all’anti-suit injunction v. la
dottrina citata sub nota 1.
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se la sede dell’arbitrato è in Inghilterra. E quindi sul presupposto
che, in questo caso, essi abbiano maggiore titolo a pronunciarsi. Ma
qual è lo strumento internazionale che garantisce un simile titolo
privilegiato di giurisdizione? Certo non la Convenzione di New
York, e in ambito arbitrale non vedo altri strumenti idonei. Non solo.
Non è mica detto che la corte dello Stato sede sia sempre la più adeguata a valutare la validità del patto arbitrale. A tale conclusione, a
volte preconcetta, si giunge per il tramite dell’art. V, para. 1, lett. a)
della Convenzione che individua la legge regolatrice dell’accordo
compromissorio nella legge dello Stato sede dell’arbitrato. E non v’è
dubbio che, in tal caso, il giudice dello Stato sede ha più dimestichezza con la propria legge nazionale. Non dimentichiamoci, però,
che la legge dello Stato sede non si applica se le parti hanno scelto
una diversa legge di autonomia. E in ogni caso, essa non trova applicazione per le questioni di validità relative alla capacità e al potere di compromettere delle parti, per le quali si fa riferimento alla
loro legge personale (18) (quasi mai coincidente con quella dello
Stato sede). Ancora, per i requisiti formali, la sua applicazione è
esclusa ex art. II della Convenzione di New York, considerata ormai
una norma materiale direttamente applicabile da qualsiasi giudice. Pertanto, perfino il tentativo di giustificare l’adozione dell’injunction facendo leva sul concetto di sede dell’arbitrato non è sempre efficace.
Infine, anche su un piano formalistico, la giustificazione della
natura personale della anti-suit injunction mi pare poco convincente.
Perché formalismo per formalismo, allora bisogna considerare che
l’esercizio della giurisdizione civile, specie in ambito commerciale,
è possibile solo su impulso di parte e non anche d’ufficio. Privare
dunque la parte della libertà piena di adire il giudice significa fare
venire meno un presupposto processuale indispensabile per l’esercizio della giurisdizione. D’accordo, come si diceva prima, ciò non
comporta la lesione del diritto del giudice, ma incide o no sulla reciproca fiducia che dovrebbe caratterizzare i rapporti tra corti di Stati
(18) Sulla legge regolatrice dell’accordo arbitrale, in base alla Convenzione di New
York, v. LEW, The Law Applicable to the Form and Substance of the Arbitration Clause, in
VAN DEN BERG (ed. by), Improving the Effıciency of Arbitration Agreements and Awards: 40
Years of Application of the New York Convention, ICCA Congress 9, The Hague-London-Boston, 1999, 114 ss.; BLESSING, The law Applicable to the Arbitration Clause and Arbitrability,
in VAN DEN BERG (ed. by), loc. ult. cit., 168 ss.; ATTERITANO, L’enforcement delle sentenze arbitrali del commercio internazionale - Il principio del rispetto della volontà delle parti, Milano, 2009, 158 ss.
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appartenenti a una medesima Convenzione come quella di New
York? Incide o no, su quel riparto di giurisdizione compiuto dalla
Convenzione di New York che ha garantito a tutti i giudici il potere
di verificare la validità di un accordo arbitrale e che viene limitato
solo a uno di essi per un intervento a gamba tesa di un solo giudice?
Può incidere o no sulle relazioni tra Stati?
Tutto sommato, a me pare che ammettere le cc.dd. anti-suit
injunctions a tutela dell’arbitrato crei una certa sperequazione tra i
giudici che non è giustificata dalla Convenzione di New York e che
crea anche una forte diseguaglianza tra le parti dell’arbitrato. E infatti, l’efficacia dell’anti-suit injunction presuppone la presenza della
parte a cui è rivolta, ovvero dei suoi beni, nel territorio dello Stato.
Sicché, per alcuni soggetti, e per gli arbitrati di cui sono parte, la
loro adozione sarebbe totalmente indifferente. Mentre per altri, potrebbe generare conseguenze catastrofiche.
Ciononostante, per quanto odioso possa essere considerato lo
strumento in questione, non mi sento di dire che la sua concessione
viola gli obblighi derivanti dalla Convenzione di New York. Anzi, su
un piano di stretto diritto, mi sentirei di dire che essa è piuttosto indifferente alla concessione di tali provvedimenti. Non mi sembra, infatti, che se ne possa affermare l’incompatibilità sul presupposto che
la Convenzione non conferisca il relativo potere giurisdizionale ai
giudici: e ciò perché tale potere può essere rinvenuto nella legge statale. Non mi pare neanche che se ne possa affermare l’incompatibilità per il pregiudizio del c.d. effetto utile: si è visto che, nella maggioranza dei casi, l’anti-suit injunction aiuta l’arbitrato, in piena sintonia con il pro enforcement bias della Convenzione. Non mi pare,
neppure, che l’incompatibilità si possa trarre dalla violazione del
rapporto fiduciario che lega i giudici dei vari Stati membri: e ciò in
quanto, tale rapporto fiduciario deve essere concepito più su un
piano di buone relazioni internazionali, che su un piano di stretto diritto, diversamente da quanto accade in ambito europeo. Ed infatti,
se in base al Regolamento 44/2001, la giurisdizione del giudice del
merito non può essere contestata in sede di esecuzione della sentenza, se non nei casi di giurisdizione inderogabile o speciale (19)
(19) In arg., BERAUDO, Le règlement (CE) du Conseil du 22 décembre 2000 concernant la compétence judiciaire, la reconnaissance et l’exécution des décisions en matière civile et commerciale, in JDI, 2001, 1035 ss.; SALERNO, Giurisdizione ed effıcacia delle decisioni straniere nel regolamento (CE) n. 44/2001, III ed., Padova, 2006, 320 ss.
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(dovendosi considerare vincolante la valutazione compiuta dal primo
giudice), non accade la stessa cosa nell’ambito della Convenzione di
New York: ex art. V, para. 1, lett. a), la giurisdizione arbitrale può
essere contestata dal giudice dell’enforcement sempre e comunque,
anche se sulla validità della convenzione arbitrale si è pronunciato il
giudice straniero in sede di exceptio compromissi.
In conclusione, quindi, non mi pare che la Convenzione di New
York vieti l’adozione di anti-suit injunctions a sostegno dell’arbitrato. E tutto sommato il provvedimento può persino essere garantista della volontà delle parti di arbitrare. È vero, però, che una certa
odiosità caratterizza tali provvedimenti, per la sottesa e autoproclamata supremazia di un giudice rispetto ad altri, e per la disuguaglianza che inevitabilmente crea tra le parti. La loro efficacia dipende, infatti, dalla presenza della parte destinataria e dei suoi beni
nel territorio dello Stato, ergo chi si trova in queste condizioni deve
temerne l’adozione. Gli altri possono dormire sonni tranquilli!
4. Se sulla questione della compatibilità delle anti-suit injunctions con la Convenzione di New York non abbiamo, tutto sommato, dei pronunciamenti chiari e idonei a mettere un punto fermo
al problema, rispetto alla loro incompatibilità con la normativa europea non si possono nutrire più dubbi: la Corte di Giustizia, con la
sentenza West Tankers (20), ha espresso a chiare lettere che la loro
adozione viola il Regolamento 44/2001.
Nel caso di specie la Corte ha dovuto affrontare due ordini di
questioni:
a) l’applicabilità del Reg. 44/2001 alle anti-suit injunctions
adottate a sostegno dell’arbitrato;
b) la loro compatibilità con il Reg. 44/2001.
Il problema della compatibilità delle anti-suit injunctions con la
normativa regolamentare si era posto dapprima per le injunctions
adottate dai giudici inglesi a sostegno dei propri processi statali,
(20) ECJ (grande sezione), 10 febbraio 2009, Allianz S.p.a. e Generali Assicurazioni
Generali S.p.a. v. West Tankers Inc. La si veda pubblicata, con nota di D’ALESSANDRO, La
Corte di giustizia dichiara le anti-suit injunctions a tutela dell’arbitrato inglese incompatibili con il sistema del Reg. 44/2001, in questa Rivista, 2009, 67 ss.; con nota di MUIR WATT,
in RCDIPriv., 2009, 379 ss.; WINKLER M.M., West Tankers: la Corte di Giustizia conferma
l’inammissibilità delle anti-suit injunctions anche in un ambito escluso dall’applicazione del
Regolamento Bruxelles I, in DCI, 2008, 735 ss. FENTIMAN, Arbitration and Antisuit Injunctions in Europe, in The Cambridge L. J., 2009, 278 ss.
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quindi non in ambito arbitrale. La Corte ne aveva dichiarato l’incompatibilità. Il percorso è iniziato nel 1991, con il noto caso Overseas
Union (21). In tale sentenza la Corte, seppure in riferimento all’art.
21 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (di cui il Regolamento
44/2001 è il sostituto), ha affermato che, in caso di litispendenza comunitaria, è il giudice adito per primo a doversi pronunciare sulla
competenza, mentre il giudice adito per secondo ha l’obbligo di sospendere il procedimento instaurato innanzi ad esso. Unica eccezione
è il caso in cui il giudice successivamente adito sia titolare di una
competenza inderogabile ex art. 16 della Convenzione di Bruxelles,
cui corrisponde, nella sostanza, l’attuale art. 22 del Regolamento (22).
Grazie a quest’eccezione, si è pensato bene di interrogare la
Corte di Giustizia sulla possibilità per il giudice adito per secondo di
evitare la sospensione del processo, ove la sua competenza sia fondata su un accordo tra le parti, e quindi ex art. 17 della Convenzione
di Bruxelles. Nel caso Gasser (23), la Corte ha risolto in senso negativo la questione, nonostante le diverse conclusioni dell’Avvocato
generale (24), mediante una interpretazione sistematica della Convenzione.
In entrambe le sentenze, la Corte ha inteso tutelare il principio
della reciproca fiducia tra le corti degli Stati membri. Sia la Convenzione di Bruxelles che il Regolamento hanno fatto proprio il principio del mero ordine cronologico, per cui, in caso di litispendenza,
decide il giudice adito per primo, e ciò in quanto tutti i giudici eu-
(21) ECJ (grande sezione), 27 giugno 1991, Overseas Union Ins. Ltd. et al. v. New
Hampshire Ins. Co. La si veda pubblicata con nota di GAUDEMET-TALLON, in RCDIPriv., 1991,
769 ss. In arg. BRIGGS, The Brussels Convention, in YEL, 1991, 521 ss.; DI BLASE, Connessione e litispendenza nella Convenzione di Bruxelles, Padova, 1993, 125 ss.; HARTLEY, Convention on Jurisdiction and the Enforcement of Judgments in Civil and Commercial Matters,
in Europ. L. R., 1992, 75 ss.
(22) Si veda il dispositivo della sentenza e le motivazioni addotte dalla ECJ nei para.
19 ss.
(23) ECJ (grande sezione), 9 dicembre 2003. La si veda pubblicata con nota di MUIR
WATT, in RCDIPriv., 2004, 459 ss. In arg., ANDREWS, Abuse of process and obstructive tactics under the Brussels jurisdictional system: Unresolved problems for the European authorities. Erich Gasser GmbH v. MISAT S.r.l. Case C-116/02 (9 December 2003) and Turner v.
Grovit Case C-159/02 (27 April 2004), in Zeitschrift für Gemeinschaftsprivatrecht, 2005, 8
ss.; HARTLEY, The Modern Approach to Private International Law. International Litigation
and Transactions from a Common Law Perspective, in RdC, 2006, 9 ss. (spec. 177 ss.).
(24) Conclusioni dell’Avvocato Generale PH. LÉGER, 9 settembre 2003, in Raccolta,
2003, I-14696 ss.
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ropei possono adeguatamente interpretare la Convenzione. In considerazione di ciò, il criterio dell’ordine cronologico non può essere
derogato neanche se la giurisdizione del giudice successivamente
adito si fonda su un accordo tra le parti: il fatto che la proroga sia in
suo favore non significa, infatti, che lo stesso abbia più autorità a
pronunciarsi. Derogare al principio del mero ordine cronologico farebbe venire meno la reciproca fiducia tra autorità giudiziarie su cui
la Convenzione (e il Regolamento) si fonda.
Ebbene, partendo da queste considerazioni, non è stato difficile
per la Corte affermare l’incompatibilità delle anti-suit injuctions a
sostegno dei processi nazionali con la Convenzione di Bruxelles (e
quindi anche con il Reg. 44/2001). Nel caso Turner (25), in cui i
provvedimenti in esame sono stati dichiarati appunto incompatibili
con la normativa europea, la Corte è partita proprio dal principio di
reciproca fiducia e dalla considerazione che tutti i giudici hanno la
medesima autorità di pronunciarsi sulle questioni di competenza giurisdizionale: la concessione di tali provvedimenti implica inevitabilmente l’impossibilità per la corte straniera di pronunciarsi e denota
una scarsa fiducia nella corretta interpretazione che della normativa
pattizia può essere data anche dal giudice di un altro Strato membro.
Tale dato di fatto non viene meno nemmeno se si considera la natura
personale dell’injunction, circostanza questa qualificata come irrilevante dalla Corte (26).
E allora, se le anti-suit injunctions sono incompatibili con la
Convenzione di Bruxelles del 1968, e quindi con il Reg. 44/2001,
una volta stabilito che il Regolamento trova applicazione anche per
le anti-suit injunctions a sostegno dell’arbitrato, l’incompatibilità
non può non valere anche per loro.
Ebbene, il problema della applicabilità del Regolamento alle
injuctions di supporto all’arbitrato si pone per l’esclusione di quest’ultimo dall’ambito di applicazione della normativa regolamentare (27). Ma sulla ampiezza di tale esclusione occorre intendersi. Sul
punto ci si era interrogati già in vigenza della Convenzione di Bruxelles, e in sede di negoziazione della convenzione per l’adesione di
(25) ECJ, 27 aprile 2004, Turner v. Grovit et al.. La si veda pubblicata con nota di
MUIR-WATT. in RCDIPriv., 2004, 659 ss. V. anche ANDREWS, Abuse of process, cit.; HARTLEY,
The Modern Approach, cit., 174 ss.; MERLIN, Le anti-suit injunctions e la loro incompatibilità
con il sistema processuale comunitario, in CG, 2005, 14 ss.
(26) V. punto 28 della sentenza della ECJ.
(27) Art. 1, par. 2 lett. d).
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Regno Unito, Irlanda e Danimarca, si sono formate due scuole di
pensiero: una, sostenuta dal Regno Unito, escludeva l’applicazione
della Convenzione anche per le procedure giudiziarie di sostegno all’arbitrato (es. nomina e revoca degli arbitri, determinazione della
sede, proroga del termine per la deliberazione del lodo, giudizi incidentali su questioni di carattere pregiudiziale non arbitrabili) (28);
l’altra, sostenuta dalle originarie Parti contraenti, limitava la portata
di tale esclusione alle sole domande giudiziali aventi direttamente ad
oggetto un procedimento arbitrale (29).
Nella sentenza sul caso Marc Rich (30), la Corte di Giustizia ha
sostanzialmente sposato il secondo orientamento indicato, confermando tale posizione con il caso Van Uden (31). La Corte ha in pratica stabilito che non rientrano nell’ambito di applicazione della
Convenzione di Bruxelles solo quei procedimenti giudiziari che
hanno l’arbitrato come oggetto principale, e non anche i procedimenti che presuppongono una valutazione esclusivamente incidentale sull’accordo compromissorio: nei due casi previamente citati,
quindi, sono stati considerati disciplinati dalla Convenzione, sia i
procedimenti di nomina giudiziaria degli arbitri sia quelli relativi alla
concessione di misure cautelari.
In sintesi, è il petitum l’elemento da prendere in considerazione
per stabilire se un procedimento giudiziario connesso all’arbitrato
(28) SI veda la Relazione sulla convenzione relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord alla convenzione concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, dovuta a SCHLOSSER, in G.U.C.E., C 59, 5 marzo
1979, 71 ss.
(29) Sull’argomento v. GAJA, Arbitrato e procedimento giudiziario in Stati diversi
dopo la sentenza della Corte di giustizia nella causa « Marc Rich c. Italimpianti », in questa Rivista, 1992, 417 ss.; HARTLEY, The Scope of the Convention: Proceedings for the Appointment of an Arbitrator, in Europ. L. R., 1991, 529 ss.
(30) ECJ, 25 luglio 1991, Marc Rich v. Società Italiana Impianti. La si veda pubblicata con nota di HASCHER, D. in Rev. Arb., 1991, 697 ss.; con nota di MAYER, in RCDIPriv.,
1993, 316 ss. Sulla questione, oltre agli A. citati nella nota precedente, v. MONACO R., Compétence arbitrale et compétence selon la Convention communautaire de 1968, in Etudes de
droit international en l’honneur de Pierre Lalive (Ed. Helbing & Lichtenhahn - Bǎle/Francfort-sur-le-Main), 1993, 587 ss.; RUBINO SAMMARTANO, L’arbitrato e la Convenzione di Bruxelles del 1968, in FP, 1991, 431-432.
(31) ECJ, 17 novembre 1998, Van Uden Maritime BV v. KG in Firma Deco-Line. La
si veda pubblicata con nota di NORMAND J., in RCDIPriv., 1999, 353 ss.; con nota di GAUDEMET-TALLON H., in Rev. Arb., 1999, 152 ss. In arg. CONSOLO, Van Uden e Mietz: un’evitabile
Babele, in CG, 2002, 30 ss.; PETTINATO, Provvedimenti provvisori ed arbitrato nella Convenzione di Bruxelles del 1968, in questa Rivista, 1999, 324 ss.
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rientri o meno nell’ambito di applicazione del Reg. 44/2001, da intendersi però, come spiega la Corte nel caso Van Uden, come la natura del diritto di cui si chiede la tutela giudiziaria (32).
Partendo da tale discrimen, la Corte ha, a mio avviso correttamente, escluso l’applicabilità del Reg. 44/2001 alle anti-suit injunctions adottate a sostegno dell’arbitrato. Al contrario, parte della dottrina ritiene che se la Corte si fosse soffermata sulla domanda della
parte che chiede l’anti-suit injunction, avrebbe rilevato che oggetto
immediato del provvedimento richiesto non è l’arbitrato, bensı̀ l’ottenimento di un divieto di iniziare un processo statale all’estero. Pertanto, in linea di continuità con il caso Van Uden, l’applicabilità del
Reg. 44/2001 non sarebbe stata messa in discussione (33).
Il ragionamento è avvincente e ben articolato, ma a me sembra
che il criterio della domanda sia stato adottato nel caso Van Uden
non in riferimento al tipo di misura richiesta, ma in riferimento alla
natura del diritto sotteso alla domanda. In quel caso, si chiedeva una
misura cautelare volta a garantire una situazione giuridica soggettiva
sostanziale, quindi strettamente connessa al merito, non all’arbitrato
in sé. Se si parla, invece, di anti-suit injunctions, il diritto che si pretende tutelare è il diritto all’arbitrato, quindi un diritto strettamente
connesso alla procedura (arbitrale), e non al merito (34). Di conseguenza, non mi sembra in contrasto col precedente Van Uden, il fatto
che la Corte abbia negato l’applicabilità del Reg. 44/2001 alle antisuit injunctions di sostegno all’arbitrato. Anzi, le due sentenze mi
sembrano sorrette da una comune ratio.
Il fatto, però, che il Reg. 44/2001 non si applichi alle anti-suit
injunctions di supporto all’arbitrato non ha impedito alla Corte di
Giustizia di dichiarare che la loro adozione viola, comunque, la normativa regolamentare. Esse, infatti, come affermato dalla Corte nel
citato caso West Tankers, pregiudicano il c.d. effetto utile del Regolamento, ossia impediscono « la realizzazione degli obiettivi di unificazione delle norme sui conflitti di competenza in materia civile e
(32) V. punto 33 della sentenza, dove si richiama la sentenza della ECJ del 26 marzo
1992, Reichert e Kockler, in Raccolta, I-2149, punto 32.
(33) MARONGIU BUONAIUTI F., Emanazione di Provvedimenti inibitori a sostegno della
competenza arbitrale e reciproca fiducia tra i sistemi giurisdizionali degli Stati membri dell’Unione Europea, in questa Rivista, 2009, 245 ss.
(34) In tal senso anche LUPOI M.A., Antisuit Injunctions e arbitrato: l’esperienza inglese, in questa Rivista, 2006, 441 ss. (spec. 461).
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commerciale e la libera circolazione delle decisioni in questa stessa
materia » (35).
Il caso analizzato dalla Corte nasceva da un evento dannoso
occorso in esecuzione di un contratto di noleggio di una nave adibita
al trasporto di idrocarburi. La nave, di cui la West Tankers Inc. era
armatrice, al momento dello sbarco presso il porto di Siracusa, aveva
urtato contro una banchina della Erg Petroli S.p.a., la quale era anche noleggiatrice della nave. Surrogatesi nei diritti di credito della
Erg, le compagnie assicuratrici Allianz S.p.a. e Assicurazioni Generali S.p.a. agivano in regresso, ex art. 1916 c.c., nei confronti della
West Tankers, davanti al Tribunale di Siracusa. Costituitasi in giudizio, la West Tankers eccepiva la carenza di giurisdizione del giudice
italiano per la presenza della clausola compromissoria nel contratto
di noleggio, ma allo stesso tempo chiedeva alla High Court l’adozione di una anti-suit injunction a sostegno della procedura arbitrale,
avente sede in Inghilterra. Il provvedimento veniva concesso ma la
decisione veniva impugnata dalle compagnie assicuratrici dinnanzi
alla House of Lords (36), la quale sollevava questione pregiudiziale
davanti alla Corte di Giustizia.
Ebbene, la controversia in cui è sorta la questione pregiudiziale
rientra a pieno titolo tra quelle disciplinate dal Reg. 44/2001. Ciò significa che l’adozione di un’anti-suit injunction impedirebbe al Tribunale di Siracusa di verificare la validità della convenzione arbitrale, ottenendosi cosı̀ un duplice risultato: l’applicazione del Regolamento verrebbe boicottata in quanto al Tribunale di Siracusa sarebbe impedita la possibilità di verificare la propria competenza in
base alla normativa regolamentare; la fiducia reciproca tra autorità
giudiziarie sarebbe compromessa in quanto i giudici inglesi manifesterebbero scarsa fiducia nei giudici italiani e nella loro capacità di
valutare la sussistenza o meno della competenza arbitrale. In un
colpo solo, verrebbero compromessi il principio dell’effetto utile
della normativa regolamentare e il principio di reciproca fiducia.
È per queste ragioni che la Corte di Giustizia ha dichiarato
l’incompatibilità con la normativa europea delle anti-suit injunctions
a tutela dell’arbitrato. Se è possibile tradurre liberamente, e in maniera ancora più netta, l’orientamento della Corte, è l’odiosità del
(35) V. punto 24 della sentenza della ECJ.
(36) Per una disamina dei fatti e dei passaggi processuali che hanno portato la questione davanti alla ECJ, v. la sentenza West Tankers ai punti 9-18.
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provvedimento, inutilmente invasivo e lesivo dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici stranieri, a renderlo del tutto incompatibile col sistema europeo, un sistema fortemente caratterizzato e pienamente ispirato al principio della reciproca fiducia.
Le corti inglesi si sono da subito adeguate all’insegnamento
della ECJ. Nel caso National Co. V. Endesa generacion SA, i giudici
di appello, in presenza di una pronuncia preliminare dei colleghi
spagnoli sulla invalidità della clausola arbitrale invocata da parte
convenuta, non solo hanno negato l’anti-suit injunction richiesta, ma
hanno perfino affermato che la pronuncia spagnola sulla clausola
compromissoria è automaticamente riconosciuta nell’ordinamento
inglese, in virtù del Reg. 44/2001. Ciò sul presupposto che, trattandosi di una pronuncia preliminare di un più ampio processo di merito disciplinato dalla normativa regolamentare, il Regolamento sarebbe a essa applicabile.
Mi pare quindi evidente che, a questo punto, non vi sono più
dubbi circa l’incompatibilità delle anti-suit injunctions con il Reg.
44/2001.
5. Francamente non riesco proprio a capire perché un giudice,
monocratico o collegiale che sia, inglese o americano, russo o cinese
che sia, possa pretendere di impedire o ostacolare l’esercizio del potere giurisdizionale che compete a un giudice di diversa nazionalità.
Soprattutto se tale interferenza è ammessa alla stregua del solo diritto nazionale e non sia prevista da uno strumento internazionale
condiviso. Se, infatti, fosse una convenzione internazionale a conferire un titolo speciale di giurisdizione a un determinato giudice; se
fosse un regolamento comunitario a permettere a un giudice di bloccare l’esercizio della giurisdizione di una corte di un altro Stato; se
ci fosse un protocollo d’intesa a consentire la prevalenza del giudizio di un giudice su quello di un giudice straniero, allora potrei capire. L’adozione delle anti-suit injunctions sarebbe giustificata da
una comune volontà degli Stati che, a seguito di accurate valutazioni,
hanno ritenuto di poterle considerare opportune a determinate condizioni. Ma se, invece, un giudice vanta questo diritto sulla base della
sua legge nazionale, o se, peggio ancora, questo diritto se lo crea da
sé, attraverso l’evoluzione della prassi giurisprudenziale, beh allora
il discorso cambia.
In questo caso si assiste a un’invasione di campo che è since458
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ramente inaccettabile. Si possono trovare tutte le giustificazioni possibili. Si può dire che il provvedimento è rivolto alla persona e non
al giudice; si può dire che l’adozione del provvedimento è giustificata da una maggiore vicinanza della controversia con il sistema
giudiziario in cui è incardinato quel giudice; si può dire che consentire l’adozione di anti-suit injunctions è di ausilio all’arbitrato, ma il
risultato finale non cambia: il giudice impone il proprio giudizio ad
un collega straniero! A parte l’odiosità di un simile atteggiamento,
l’adozione delle anti-suit injunction può essere considerata illecita?
La Corte di Giustizia ha ritenuto che tali provvedimenti, se
adottati a sostegno di un arbitrato, violano il Reg. 44/2001. Tale
conclusione non è stata raggiunta per l’applicabilità della disciplina
regolamentare ai provvedimenti di cui trattasi, che anzi sono considerati esclusi quando adottati a tutela di una procedura arbitrale. Tale
conclusione è stata raggiunta per l’odiosità che li contraddistingue,
un’odiosità che mette in discussione il principio della reciproca fiducia che caratterizza il Regolamento e che impedisce al Regolamento
di ottenere lo scopo per cui è stato adottato. È la violazione del principio di reciproca fiducia e dell’effetto utile a provocarne l’incompatibilità con la normativa europea, una normativa che a stretto rigore
non sarebbe loro applicabile.
Cosı̀ come non è a loro applicabile la Convenzione di New
York del 1958. E allora, è possibile affermare che anche rispetto alla
Convenzione di New York i principi di reciproca fiducia e dell’effetto utile sono pregiudicati dalla adozione delle anti-suit injunction?
La Corte di Giustizia sembra esserne convinta, secondo quanto
emerge da un obiter dictum della sentenza West Tankers. Ma tale
conclusione non mi pare persuasiva.
Innanzi tutto, è evidente che la Corte ha utilizzato l’argomento
a sostegno della sua tesi senza volere prendere effettivamente posizione sulla questione. E ciò anche perché la Corte non ha alcun titolo a pronunciarsi sulla interpretazione della Convenzione di New
York. Secondariamente, non vedo come la concessione di anti-suit
injunctions possa pregiudicare l’effetto utile della Convenzione e il
principio di reciproca fiducia.
L’anti-suit injunction a sostegno dell’arbitrato mira comunque
a garantire l’effettività del diritto di arbitrare delle parti, e tutto sommato è in piena sintonia con lo scopo della Convenzione. Parlare di
compromissione del principio dell’effetto utile mi pare fuori luogo,
salvo che non si parli di anti-arbitration injunction. In riferimento,
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invece, alla presunta compromissione del principio della reciproca
fiducia, anche in considerazione di quanto detto, a me non sembra
che questo principio abbia nell’ambito della Convenzione di New
York la stessa valenza che assume in ambito europeo. E del resto non
potrebbe essere diversamente, data la grande quantità di Stati che ne
sono parte. E se tale principio non assume una valenza di stretto diritto, come si può dire che la sua violazione comporta l’antigiuridicità del comportamento che lo lede?
In conclusione, a me pare che allo stato attuale un giudice inglese non può adottare una anti-suit injunction a sostegno dell’arbitrato rispetto a un processo italiano o francese, ma può farlo rispetto
a un processo russo o cinese. Ciò in quanto, se il Reg. 44/2001 glielo
proibisce nei rapporti tra giurisdizione di Paesi dell’UE, la Convenzione di New York non esprime analogo divieto. Ciò non vuol dire
che l’odiosità del provvedimento venga meno. L’odiosità resta e dovrebbe essere superata, ma ci sono solo due strade per seguirla: o le
corti statali che possono adottare anti-suit injunctions si autolimitano
o uno strumento internazionale condiviso individua i giudici e i criteri di concessione delle stesse. In materia arbitrale, tutto sommato,
sarebbe preferibile, ma di difficile concretizzazione, la seconda opzione: lo strumento in sé, infatti, può essere un ausilio importante per
l’arbitrato e, con l’adozione di uno strumento condiviso, la sua intrinseca odiosità verrebbe meno. Al contrario, senza uno strumento
condiviso, il rischio è quello di aprire la corsa a chi arriva prima ad
adottare l’anti-suit injunction, con conseguenze negative perfino per
l’effettività dell’arbitrato. E si badi che non si tratta del rischio paventato da una Sibilla: tra le argomentazioni a sostegno dell’adottabilità delle anti-suit injunctions da parte dei giudici inglesi, la House
of Lords ha affermato, davanti alla Corte di Giustizia, che consentirle
« contribuirebbe alla competitività della Comunità europea rispetto
ai centri mondiali di arbitrato quali New York, le Bermuda e Singapore ». Il rischio di una specie di lotta senza quartiere tra giudici sarebbe quindi concreto.
The Author examines the topic of anti-suit injunctions used in support of arbitration and assesses their compatibility both with the 1958 New York Convention
and the Council Regulation (EC) no. 44 of 2001.
The Author deems that anti-suit injunctions when adopted in support and not
to detriment of arbitration are not forbidden by the conventional law, being even
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capable to foster the international circulation of awards and arbitration agreements.
Conversely, Regulation (EC) no. 44 prevents the use of such injunctions
since they cast doubts on the principles of comity and mutual trust among courts,
on which the same Regulation is based.
In the Author’s view anti-suit injunctions are a loathsome instrument, because invasive and based upon a self-proclaimed superiority of a certain State’s
court upon the court of another State. Nevertheless, at the same time they make
sure that effectiveness of arbitration — and the respect of the parties’ consent —
are guaranteed, reason for which the Author suggests a legislative intervention introducing a proper alternative mean able to achieve, even if in another way, such
result.
The proposal of a reform of the Brussels I Regulation goes — in the Author’s
opinion — in the right direction.
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GIURISPRUDENZA ORDINARIA
I)
ITALIANA
Sentenze annotate
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un. civ., ordinanza 6 settembre 2010, n. 19047 —
CARBONE Pres.; SALMÈ Est.; MARTONE P.M. (conf.) — Deloitte Consulting S.p.a.
(avv.ti Alfonsi, Spolidoro, Venerando) c. Euweb Initiatives S.r.l. (avv. Sirena);
Illy Caffè S.p.a. (avv.ti Molteni, Zucchinali, Trifirò).
Arbitrato - Arbitrato rituale - Sentenza del giudice sulla eccezione di convenzione di arbitrato - Impugnazione - Regolamento di competenza - Art.
819-ter c.p.c. - Disciplina transitoria ex art. 27 comma 4 D.Lgs. n. 40/2006
- Momento determinante per l’entrata in vigore - Proposizione della domanda di arbitrato - Retroattività - Esclusione.
Il momento determinante per l’applicazione della nuova disciplina di cui all’art. 819-ter c.p.c. non è né l’inizio del procedimento davanti al giudice, né quello
in cui è pubblicata la sentenza, ma quello in cui la domanda di arbitrato è stata
proposta. Ne consegue che, come espressamente previsto dal D.Lgs. n. 40/2006,
art. 27, comma 4, il regolamento di competenza è ammissibile soltanto nei confronti di sentenze pronunciate con riferimento a procedimenti arbitrali iniziati dopo
il 2 marzo 2006.
CENNI DI FATTO. — Due società stipulano tra loro alcuni contratti di appalto per
l’installazione di sistemi informatici, nei quali è inserita una clausola per arbitrato
rituale. La ditta appaltatrice ha a sua volta sottoscritto due contratti di subappalto
del 94% dei lavori con una terza società, anche in tale sede prevedendo clausola
compromissoria. La committente, lamentando l’inadempimento della controparte,
in data 15 maggio 2005 promuove azione giudiziaria di risarcimento danni; la società appaltatrice convenuta e la subappaltatrice chiamata in manleva sollevano eccezione di patto compromissorio. Medio tempore queste ultime, nel novembre
2005, instaurano due processi arbitrali, regolarmente conclusisi con il deposito dei
lodi a marzo e maggio 2007.
Con sentenza non definitiva del 12 giugno 2007 il tribunale adito, ritenuto che
la clausola binaria invocata non possa applicarsi « nella specie in cui si contrapponevano tre parti con interessi autonomi anche se interdipendenti », dichiara la pro463
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pria competenza. Avverso tale pronuncia la convenuta propone regolamento di
competenza, sostenendo in via preliminare l’ammissibilità del mezzo anche in ordine a vicende innescatesi in epoca antecedente il 2 marzo 2006, data di entrata in
vigore del nuovo art. 819-ter c.p.c. e argomentando nel merito l’applicabilità della
clausola arbitrale. La subappaltatrice aderisce al proposto regolamento di competenza.
Il procedimento viene rimesso alle Sezioni unite su istanza della società ricorrente ex art. 376 comma 2 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE. — (Omissis).
2. Il regolamento di competenza è inammissibile.
Come è noto, con la sentenza di queste Sezioni unite n. 527/2000, che la ricorrente ha dichiarato di ben conoscere, si è affermato che anche nell’arbitrato rituale la pronunzia ha natura di atto di autonomia privata e correlativamente il compromesso si configura quale deroga alla giurisdizione; pertanto, il contrasto sulla
deferibilità agli arbitri di una controversia costituisce questione di merito, in quanto
inerente alla validità del compromesso o della clausola compromissoria. Tale affermazione è stata costantemente condivisa dalla giurisprudenza successiva (salvo iniziali dissensi, ben presto superati: Cass. n. 6710/2001, 12175/2000), anche con
espresso riferimento al regolamento di competenza ritenuto pacificamente inammissibile (ex multis: Cass. nn. 11315, 2524, 20351, 9760 del 2005; 14234 e 13516/
2004, 4478, 2501, 6165 e 12855/2003).
La ricorrente sostiene, tuttavia, che nella specie dovrebbe trovare applicazione
la nuova regola affermata dall’art. 819-ter c.p.c., introdotto con il D.Lgs. n. 40/
2006, art. 22, secondo la quale « La sentenza, con la quale il giudice afferma o nega
la propria competenza in relazione a una convenzione d’arbitrato, è impugnabile a
norma degli artt. 42 e 43 » sia perché si tratterebbe di norma interpretativa sia perché, comunque, sussisterebbe un’eadem ratio che ne giustificherebbe l’applicazione
analogica.
La tesa della ricorrente non è fondata.
2.1. Deve escludersi, innanzi tutto, che possa riconoscersi alla nuova norma
natura interpretativa e quindi efficacia retroattiva.
Secondo la giurisprudenza costituzionale (tra le più recenti v. Corte cost. n.
170/2008, 400/2007, 409/2005, 168/2004, 291/2003, 29 e 374 del 2002, 525 e 292/
2000), seguita anche da questa Corte (sent. n. 677/2008, 4070/2004, 12605/2002,
8539/2000, 12386/2000), pur non essendo richiesto che sia effettivamente insorto
un contrasto giurisprudenziale, per poter ritenere la natura interpretativa di una
norma di legge, e pur sempre necessario che esista un’obbiettiva incertezza nell’applicazione del dato normativo e un obbiettivo dubbio ermeneutico e che la nuova
norma sia diretta a chiarire il contenuto di norme preesistenti ovvero ad escludere
o ad enucleare uno dei significati tra quelli plausibilmente ascrivibili alle norme
stesse, purché la scelta imposta rientri tra le possibili varianti di senso del testo interpretato e sia compatibile con la sua formulazione. La discrezionalità del legislatore, peraltro, oltre a richiedere la sussistenza dei presupposti indicati, incontra, comunque, dei limiti, anche al di fuori della materia penale, identificati: a) nella salvaguardia dei principi generali di ragionevolezza e di eguaglianza; b) nella tutela
dell’affidamento legittimamente posto sulla sicurezza giuridica e cioè sulla certezza
dell’ordinamento giuridico, specialmente in materia processuale; c) nel rispetto
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della funzione giudiziaria (con il conseguente divieto di intervenire sugli effetti del
giudicato e sulle fattispecie sub judice) (Corte cost. n. 170/2008, cit., 416/1999,
111/1998, 211/1997, 311/1995, 397/1994).
Ora, come si è rilevato, sull’affermazione che la deferibilità agli arbitri di una
controversia costituisca questione di merito e non di rito si è formato un costante
e pacifico orientamento di questa corte che si è tradotto in un vero e proprio diritto
vivente a fronte del quale sono stati sollevati dubbi soltanto da una parte della dottrina, senza però che tali dubbi possano assumere carattere oggettivo e siano idonei a creare un’oggettiva situazione di incertezza applicativa. Sussisterebbe inoltre
l’esigenza di tutelare l’affidamento legittimamente posto sulla stabilità dell’orientamento giurisprudenziale di cui si è detto.
2.2. È, comunque, decisivo rilevare che la questione di diritto intertemporale
è espressamente risolta dal D.Lgs. n. 40/2006, art. 27, comma 4, il quale dispone
che « Le disposizioni degli artt. 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti
arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla
data di entrata in vigore del presente decreto ».
Non ha pregio, pertanto neppure la tesi, avanzata in via subordinata, che invoca l’applicazione analogica della nuova disciplina anche per il passato perché
non esiste alcuna lacuna normativa da colmare.
È vero, tuttavia che in ordine all’applicazione della norma transitoria nell’ambito della giurisprudenza della Corte si sono formati tre orientamenti e che sussiste
la necessità di risolvere il contrasto cosı̀ insorto.
Un primo orientamento (Cass. n. 16995 e 18761/2007, 12814/2008) richiama
direttamente la lettera del D.Lgs. n. 40/2006, art. 27, comma 4, affermando che il
nuovo testo dell’art. 819-ter c.p.c, non ha portata retroattiva e si applica soltanto ai
procedimenti arbitrali nei quali la domanda sia stata proposta successivamente al 2
marzo 2006, data di entrata in vigore della nuova disciplina.
L’ordinanza n. 12814/2008 precisa che a tale conclusione deve prevenirsi non
solo sulla base della lettera della norma transitoria, ma anche perché il nuovo art.
819-ter si riferisce alle « convenzioni di arbitrato » che formano oggetto della
nuova disciplina dettata con l’art. 20 dello stesso decreto legislativo, e pertanto riguardano pattuizioni sottoscritte dopo il 2 marzo 2006 e perché, inoltre, la nuova
disciplina detta regole processuali sui tempi e sui modi di proposizione dell’eccezione di competenza arbitrale che non può che riferirsi a situazioni processuali insorte dopo tale data.
In altro orientamento (Cass. n. 13128/2007 e più diffusamente n. 21926 e
587/2009) invece ritiene che momento determinante per l’applicazione della nuova
disciplina non sia quello in cui è proposta la domanda di arbitrato, ma quello di
inizio del giudizio davanti al giudice ordinario in cui la questione della deferibilità
della controversia agli arbitri si pone. La diversa tegola affermata con l’art. 27,
comma 4, ritenuta « strana », avrebbe ad oggetto solo i procedimenti arbitrali,
mentre i problemi che sorgono nell’ambito dei procedimenti davanti al giudice ordinario dovrebbero essere risolti sulla base dell’art. 5 c.p.c.. A ritenere il contrario
la nuova disciplina avrebbe efficacia retroattiva.
Un terzo orientamento (Cass. n. 26990/2007) ritiene rilevante, ai fini dell’applicazione della nuova disciplina, la data di pubblicazione della sentenza del giudice ordinario che risolve la questione di competenza.
2.3. Le Sezioni unite ritengono che debba essere seguito il primo orienta465
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mento e che pertanto, come espressamente previsto dal D.Lgs. n. 40/2006, art. 27,
comma 4, il regolamento di competenza sia ammissibile soltanto nei confronti di
sentenze pronunciate con riferimento a procedimenti arbitrali iniziati dopo il 2
marzo 2006.
La lettera della disposizione, infatti, è inequivoca e rappresenta un limite invalicabile in sede di interpretazione.
Certamente la soluzione legislativa è opinabile perché impone un’unica soluzione rispetto a situazioni tra loro diverse e per le quali l’art. 819-ter detta una pluralità di regole, una sola delle quali riguarda direttamente i procedimenti arbitrali e
cioè quella con la quale si dispone che la competenza degli arbitri non è esclusa
dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice o dalla connessione tra la controversia ad essi deferita e una causa pendente davanti al giudice. Tuttavia il legislatore, nella sua discrezionalità, ha seguito la soluzione di far dipendere anche
l’applicazione della nuova disciplina dei procedimenti ordinari da una circostanza
che attiene a vicende relative al procedimento arbitrale e non è possibile in sede interpretativa correggere un’impostazione rispetto alla quale neppure si pongono
dubbi di legittimità costituzionale, posto che l’eventuale applicazione retroattiva
non incontrerebbe alcun limite inderogabile.
Né il significato univoco della disposizione può essere obliterato in ossequio
al principio della garanzia della ragionevole durata dei giudizi, affermato con il
nuovo art. 111 Cost., principio che certamente costituisce uno dei cardini interpretativi delle norme processuali ma che non autorizza l’interprete a ignorare la voluntas legis. Tra l’altro la problematica di cui le Sezioni unite sono state chiamate ad
occuparsi ha una limitata portata temporale che non potrebbe giustificare una cosı̀
grave forzatura del dettato normativo.
Ne deriva che momento determinante per l’applicazione della nuova disciplina non è né l’inizio del procedimento davanti al giudice, né quello in cui è depositata la sentenza, ma quello in cui la domanda di arbitrato è stata proposta.
I contrari orientamenti che attribuiscono rilievo agli altri momenti processuali
finiscono per rendere inutile la norma di cui al D.Lgs. n. 40/2006, art. 27, comma
4, perché fanno dipendere la soluzione non dalla regola affermata con tale norma
ma da principi diversi, quali quello di cui all’art. 5 c.p.c., peraltro in una situazione
normativa in cui può anche dubitarsi che l’art. 22 del citato decreto legislativo, affermi un nuovo criterio di competenza in senso stretto, posto che la stessa norma
esclude l’applicazione di principi essenziali della disciplina della competenza,
come quelli desumibili dagli artt. 44, 45, 48 e 50 c.p.c.
L’unico problema che residua riguarda l’ipotesi in cui la sentenza del giudice
abbia risolto una questione di deferibilità della controversia agli arbitri, ma nessun
procedimento arbitrale sia ancora iniziato, né prima né dopo il 2 marzo 2006. È
evidente che in tal caso, ma solo in tal caso, non potrebbe trovare applicazione la
speciale norma transitoria dettata con il comma 4 dell’articolo, ma i principi generali della perpetuatio jurisdictionis e tempus regit actus.
In conclusione, poiché nella specie le domande di arbitrato sono state proposte prima del 2 marzo 2006 il regolamento di competenza è inammissibile.
L’esistenza di un obbiettivo contrasto all’interno della giurisprudenza della
Corte giustifica la compensazione delle spese.
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Regolamento di competenza avverso la pronuncia del giudice sulla
exceptio compromissi e procedimenti pendenti.
1. Con l’ordinanza n. 19047/2010, resa a Sezioni unite (1), la Corte di
cassazione affronta e risolve due questioni di diritto intertemporale, logicamente complementari, relative alla esperibilità del regolamento di competenza
avverso il provvedimento giurisdizionale (2) che affermi o neghi la competenza del giudice in relazione ad una convenzione di arbitrato (art. 819-ter
c.p.c.).; rimedio che, come noto, è stato introdotto con previsione normativa
espressa dal D.Lgs. n. 40/2006 (art. 22), in vigore dal 2 marzo 2006.
Sotto un primo profilo, la S.C. risolve definitivamente in senso negativo la questione della potenziale retroattività dell’art. 819-ter c.p.c. In secondo luogo, dirime il contrasto insorto in ordine alla c.d. « Disciplina
transitoria » di cui all’art. 27 comma 4 del D.Lgs. n. 40/2006 (3) ed in particolare in ordine all’individuazione del quid cui ancorare la sopravvenuta
(1) Nella pronuncia in commento resta sullo sfondo la questione concreta della praticabilità della via arbitrale in presenza di una pluralità di clausole binarie « intrecciate » in
quanto separatamente previste in contratti collegati. Si vedano sul tema: LICCI, La pluralità
di parti nel procedimento arbitrale: le soluzioni del passato, i problemi del presente, in questa Rivista, 2009, 381 ss.; LIPARI, Pluralità di parti, commento all’art. 816-quater, in Commentario alla riforma del codice di procedura civile a cura di BRIGUGLIO - CAPPONI, Vol. III,
Tomo II, 2009, 728 ss.; LUISO, Controversie societarie, clausola binaria e ruolo delle camere
arbitrali nelle controversie con pluralità di parti, su www.judicium.it; LUISO, Pluralità di
clausole compromissorie e unitarietà del processo arbitrale, in questa Rivista, 2007, 601 ss.
(2) Dopo iniziali ipotesi circa l’applicabilità anche al rapporto tra arbitro e giudice
delle innovazioni di cui alla Legge n. 69/2009 in tema di forma della decisione sulla competenza (DEMARCHI, Questioni pregiudiziali di rito, condanna alle spese e consulenza tecnica
nella miniriforma del processo civile, in www.ilcaso.it, 11), successive ricostruzioni e le
prime pronunce giurisprudenziali che è dato rintracciare optano decisamente per il mantenimento della qualificazione di sentenza, sulla scorta — fondamentalmente — della non piena
assimilabilità della questione circa la potestas judicandi arbitrale ad una questione di competenza in senso tecnico. Cfr. in tal senso anche DANOVI, La nuova disciplina dell’incompetenza,
in Riv. dir. proc., 2009, 1352; BOVE, Giurisdizione e competenza nella recente riforma del
processo civile (legge 18 giugno 2009 n. 69), su www.judicium.it e in Riv. dir. proc., 2009,
1312-1313. In giurisprudenza, Trib. Lamezia Terme, sent. 22 giugno 2010, su www.ilcaso.it;
Trib. Varese, sent. 16 giugno 2010, su www.tribunale.varese.it.
(3) Il comma 4 dell’art. 27 recita: « Le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25
si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta
successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto ». Nonostante la terminologia legale, trattasi non tanto di disciplina transitoria (per tale intendendosi una regolamentazione specifica delle fattispecie comprese nel periodo intermedio tra il pieno vigore di una
disciplina e di quella sopravvenuta), bensı̀ di norma di diritto intertemporale (deputata ad individuare volta per volta, in caso di successione di leggi nel tempo, le norme applicabili della
vecchia e della nuova disciplina). Su tale distinzione: CAPPONI, La legge processuale civile e
il tempo del processo, in Giust. proc. civ., 2008, 637 e su www.judicium.it; CAPONI, Tempus
regit processum. Un appunto sull’effıcacia delle norme processuali nel tempo, in Riv. dir.
proc., 2006, 449 ss.; RESCIGNO, voce Disposizione, IV) disposizioni transitorie, in Enc. dir.,
1964, vol. XIII, 219 s. spec. 233.
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applicabilità dell’art. 819-ter c.p.c. ai procedimenti giurisdizionali e arbitrali in corso. A tal proposito, detta una soluzione unica (cioè non differenziata a seconda del « canale » interessato) e conclusiva: l’applicazione della
norma de qua ai giudizi in corso dipende dal momento — anteriore o posteriore al 2 marzo 2006 — in cui la domanda di arbitrato è stata proposta.
2. Per trattare la prima questione, inerente la applicabilità « retroattiva » del rimedio di cui all’art. 819-ter c.p.c., va sottolineato un dato temporale essenziale: trattavasi nella specie di una sentenza non definitiva sulla
« competenza » resa in un processo instaurato in data anteriore all’entrata
in vigore dell’art. 819-ter c.p.c. e svoltosi parallelamente ad un arbitrato,
anch’esso avviato prima.
A sostegno dell’ammissibilità del regolamento di competenza, le parti
impugnanti invocavano l’applicazione retroattiva dell’art. 819-ter c.p.c., o
per via diretta, attraverso la qualificazione di esso come norma interpretativa, o quanto meno per via analogica, sulla scorta di una eadem ratio che
tra l’altro avrebbe implicato il recupero di un indirizzo seguito fino al 2000
— e poi drasticamente abbandonato — che equiparava l’exceptio compromissi ad una questione di competenza per territorio derogabile (4). Le Sezioni unite superano entrambe le prospettazioni della tesi delle società ricorrenti. In primo luogo, si chiarisce che alla nuova regola impugnatoria,
stabilita dall’art. 819-ter c.p.c., non può esser riconosciuta una natura interpretativa, per l’immediata constatazione che non v’era, prima del 2 marzo
2006, alcuna oggettiva situazione di incertezza applicativa. L’orientamento
pacifico della S.C. era sempre rimasto quello, inaugurato con Cass., Sez.
un. n. 527/2000, che una volta affermata la natura « privata » dell’arbitrato,
aveva qualificato la questione della deferibilità ad arbitri di una controversia come questione di merito, in quanto implicante un’indagine sulla esistenza, validità, efficacia ed estensione della clausola compromissoria o del
compromesso. La conseguenza sul tema che qui interessa era la costante
esclusione dell’ammissibilità del regolamento di competenza (5).
(4) Si vedano: VERDE, L’arbitrato e la giurisdizione ordinaria, in Diritto dell’arbitrato rituale, a cura di G. VERDE, 2000, 12 ss.; Cass. 8 febbraio 1999, n. 1079, in Foro it.,
2000, I, 2307 ss., con nota di DE SANTIS, In tema di rapporti tra giudice ordinario ed arbitri; ACONE, Arbitrato e competenza, in questa Rivista, 1996, 239 ss.; VACCARELLA, Questioni
di litispendenza e competenza nei rapporti tra arbitri e A.G.O., in Giust. civ., 1991, I, 269.
(5) La giurisprudenza ante riforma era compatta nel ritenere la natura di merito della
questione della sussistenza o meno di un potere arbitrale di decidere la controversia, escludendone la riconducibilità alle più classiche questioni di rito (giurisdizione e competenza).
L’indirizzo si radicava sulla svolta operata da Cass., Sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, in questa Rivista, 2000, 669 ss., con nota di FAZZALARI, Una svolta attesa in ordine alla « natura »
dell’arbitrato, che aveva negato su tali basi l’esperibilità del regolamento di giurisdizione.
Successive pronunce avevano poi espressamente escluso anche l’ammissibilità del regola-
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Se questa soluzione era indubbia prima del 2 marzo 2006, tanto da attestarsi come vero e proprio « diritto vivente », secondo la Corte non solo
non vi sarebbe stata la necessità, in sede di riforma, di un intervento interpretativo del legislatore, ma lo stesso sarebbe stato indebito ed eccedente
rispetto ai limiti di un corretto esercizio della discrezionalità legislativa. La
Corte richiama a tal proposito i precedenti della Corte costituzionale in
materia di interpretazione autentica, operazione tanto più delicata nella misura in cui, per la sua potenziale retroattività, è suscettibile di incidere su
affidamenti già maturati incolpevolmente e legittimamente consolidatisi (6).
Inoltre la S.C. rifiuta di riconoscere nel caso di specie l’ammissibilità
del regolamento in via « analogica ». L’indirizzo ante riforma non è ritenuto — cioè — meritevole di un ripensamento postumo, come invocato
dalle società ricorrenti. Anzi, la Corte sembra tra le pieghe ribadire la correttezza sostanziale di un’impostazione superata per volontà di legge, ma
non revocabile in dubbio quanto al contesto normativo previgente.
Da queste considerazioni discende linearmente che l’art. 819-ter,
comma 1, secondo inciso, c.p.c. non abbia portata interpretativa e non
possa esplicare alcun effetto (neppure indiretto) per il periodo anteriore alla
sua vigenza; del resto, deve ritenersi che tale disposizione fosse una esplicita innovazione della riforma, e come tale è stata percepita (nel bene e nel
male) fin dai primi commenti (7).
mento di competenza: Cass., Sez. un., ord. 25 giugno 2002, n. 9289, in questa Rivista, 2002,
511 ss., con nota di BRIGUGLIO, Le Sezioni unite ed il regime della eccezione fondata su accordo compromissorio e in Giust. civ. 2003, 1, 713 ss. con nota di PUNZI, Natura dell’arbitrato e regolamento di competenza; TOTA, Ancora sulla natura dell’eccezione di compromesso (e sull’ammissibilità del regolamento di competenza avverso la sentenza del giudice
ordinario che pronunci su di essa), su www.judicium.it.
(6) La Corte costituzionale ha dettato i requisiti per affermare la legittimità di una
norma interpretativa, ritenendo necessario 1) un preesistente ed obiettivo dubbio ermeneutico
o applicativo che giustifichi in termini di ragionevolezza l’intervento chiarificatore del legislatore; 2) la riconducibilità dell’interpretazione prescelta all’orizzonte di senso della formulazione normativa precedente; 3) il rispetto dei principi generali di ragionevolezza, uguaglianza, certezza e affidamento nonché delle funzioni costituzionalmente riservate al potere
giudiziario: cfr. Corte cost. n. 170/2008 e la giurisprudenza ivi richiamata. È anche vero peraltro che la giurisprudenza costituzionale, soprattutto in passato, aveva più volte affermato
che il legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative non solo quando sussista una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o vi
siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo « concorde o quasi
concorde » della Corte di cassazione, purché quello « imposto » sia un significato ascrivibile
alla norma anteriore (v., in particolare, sentenza n. 402/1993; nonché le sentenze n. 311/1995
e n. 397/1994 e l’ordinanza n. 480/1992).
(7) È ricorrente nei diversi commenti la considerazione che l’art. 819-ter abbia introdotto una novità (legata all’opportunità di mettere a disposizione delle parti del processo
uno strumento diretto ad ottenere immediatamente dalla Corte di cassazione un accertamento
definitivo e vincolante sulla validità ed interpretazione della convenzione di arbitrato: cosı̀
RUFFINI, Art. 819-ter: Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria, in La nuova disciplina del-
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In secondo luogo, con argomentazione ad abundantiam — ma in
realtà decisiva — la Corte recide ogni appiglio della tesi dell’ammissibilità
del regolamento di competenza avanzata dalle ricorrenti, facendo richiamo
all’art. 27 comma 4 del D.Lgs. n. 40/2006, che detta una « Disciplina transitoria » (8) apposita per le modifiche introdotte al codice di procedura civile dagli artt. 21, 22, 23, 24 e 25 del decreto medesimo, stabilendo che « le
nuove disposizioni si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in
vigore del presente decreto ». E per l’appunto l’art. 819-ter c.p.c. è stato
introdotto dall’art. 22 del D.Lgs. n. 40/2006, entrato in vigore il 2 marzo
2006.
La conseguenza che la S.C. ne trae, in ordine alla questione di diritto
intertemporale sull’ammissibilità del regolamento avverso la pronuncia del
giudice che decide sulla exceptio compromissi, è che se la controversia si è
radicata (in sede giurisdizionale o in sede arbitrale) prima di tale data (ancorché processo e arbitrato si siano svolti a cavallo e conclusi dopo) non
v’è lacuna normativa da colmare per via interpretativa. La nuova disciplina
di cui all’art. 819-ter c.p.c. si applica solo per il futuro, mentre per il passato si gioca ancora con le vecchie regole: se l’eccezione poneva una questione non di giurisdizione o di competenza, ma sostanzialmente di merito,
l’impugnazione esperibile avverso la decisione era l’appello.
Sia consentito a questo punto fare un’osservazione parentetica, che ci
introdurrà alla seconda questione oggetto della pronuncia in commento. A
prima vista, potrebbe sembrare che la presenza di una specifica norma di
l’arbitrato, a cura di MENCHINI, 2010, 365), contemporaneamente segnando però un « ritorno
al passato », ossia all’orientamento « tradizionale » che prima del 2000 aveva sempre equiparato l’eccezione di patto compromissorio all’eccezione di incompetenza per territorio derogabile: BOVE, Ancora sui rapporti tra arbitro e giudice statale, su www.judicium.it e in
questa Rivista, 2007, 360; CAPPONI, Rapporti tra arbitro e autorità giudiziaria secondo il
nuovo art. 819-ter c.p.c., su www.judicium.it e ID., Art. 819-ter, Rapporti tra arbitro e autorità giudiziaria, in Commentario alla riforma del codice di procedura civile a cura di BRIGUGLIO - CAPPONI, Vol. III, Tomo II, 2009, 879. L’ord. Cass. n. 587/2009 è ancor più netta: la
formulazione dell’art. 819-ter « esprimendo una soluzione del tutto contraria a quella costituente il “diritto vivente” per come ricostruito dalle Sezioni unite attraverso l’interpretazione
del tessuto normativo previgente ha introdotto norme del tutto nuove ». V’è peraltro anche
chi (COREA, Questioni di diritto intertemporale nei rapporti tra arbitro e giudice, in questa
Rivista, 2009, 480; VERDE, in questa Rivista, 2006, 413 ss.) ipotizza che il legislatore abbia
voluto meramente confermare l’orientamento tradizionale, divenuto minoritario ma mai totalmente scomparso, ricreando ex post una sorta di continuità nella natura di questione (lato
sensu) di competenza, cosı̀ da imporre, in via interpretativa, di considerare in tale prospettiva
i rapporti tra arbitri e giudice anche per il periodo intermedio tra il revirement del 2000 e la
Novella del 2006.
(8) Per un commento in generale si rinvia a PETRILLO, Entrata in vigore delle nuove
discipline sul giudizio di cassazione e sull’arbitrato, in Commentario alla riforma del codice
di procedura civile a cura di BRIGUGLIO - CAPPONI, vol. III Tomo II, 2009, 1087 ss.
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diritto intertemporale offra una soluzione tanto ovvia e cristallina, da rendere superfluo il ragionamento, svolto in prima battuta dalla Corte, circa
l’impossibilità di attribuire significato interpretativo, con connessa portata
retroattiva, all’art. 819-ter c.p.c. E si potrebbe pensare che in fondo, se esiste una norma che espressamente dispone l’applicabilità dell’art. 819-ter
c.p.c. solo per il futuro, la questione di diritto intertemporale, che la Corte
ha appena risolto, non aveva nemmeno ragione di porsi.
Per vero, invece, il problema aveva ragione di porsi eccome, visto che
nella vicenda in esame, dipanatasi a cavallo della riforma, il discrimine tra
il « prima » e il « dopo » non era poi cosı̀ ben delineato dalla norma transitoria come potrebbe a prima vista apparire. L’art. 27 comma 4, difatti, fa
riferimento all’applicabilità delle nuove norme, tra le quali l’art. 819-ter
c.p.c., ai « procedimenti arbitrali » avviati dopo il 2 marzo 2006. Quid juris, invece, per il versante giurisdizionale? a quale referente agganciare
l’entrata in vigore delle nuove norme, ed in particolare di quella (art. 819ter, comma. 1, secondo inciso) che introduce l’impugnabilità con regolamento di competenza delle sentenze rese a fronte della exceptio compromissi? L’operatività dell’art. 819-ter c.p.c. limitata « al futuro » resta incerta finché non si individua il quid che ne determina l’entrata in vigore: è
lo stesso rilevante per gli arbitrati? oppure un quid autonomo e specifico
della via giurisdizionale, da identificare alternativamente nella domanda
giudiziale ovvero nell’emanazione della sentenza?
È a causa di tale incertezza che la Corte ha scelto in prima battuta di
escludere che l’art. 819-ter c.p.c. potesse applicarsi al periodo anteriore al
2 marzo 2006 « per virtù propria »; poi ha comunque fatto tabula rasa del
problema, dichiarando l’applicabilità alla fattispecie concreta (e dunque a
tutti i procedimenti anche giurisdizionali) dell’art. 27, comma 4 del D.Lgs.
n. 40/2006. In altri termini, il momento discriminante per l’applicazione
dell’art. 819-ter, tanto agli arbitrati quanto ai processi, è la proposizione
della domanda di arbitrato.
3. Con la soluzione appena esposta, la S.C. a Sez. Unite dirime il
contrasto insorto in ordine alla portata applicativa della « disciplina transitoria » dettata dall’art. 27 del D.Lgs. n. 40/2006. La precedente giurisprudenza della Cassazione, difatti, pur concorde nel negare la retroattività dell’art. 819-ter c.p.c. (9), era venuta frastagliandosi in tre orientamenti che
proponevano altrettante indicazioni del quid discriminante per la sua entrata in vigore in relazione ai processi giurisdizionali, sulla base di pre-
(9) V’è da notare infatti che tutte e tre le impostazioni affermatesi prima della sentenza in commento tendono a precisare la non retroattività dell’art. 819-ter c.p.c. in conseguenza della soluzione proposta, imputando anzi tale « vizio » alla avversa impostazione
volta per volta criticata.
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messe teoriche difformi non solo in ordine — come ovvio — all’esegesi
della lettera dell’art. 27 comma 4 citato, ma soprattutto in ordine alla
attuale natura della questione inerente il rapporto tra arbitro e giudice statale.
Le due tesi scartate dalle Sezioni unite (il secondo e il terzo orientamento riepilogati nell’ordinanza) partono da un presupposto comune, in ciò
contrapponendosi alla ricostruzione data dalla decisione in commento: la
norma espressa di diritto intertemporale di cui all’art. 27 comma 4 del
D.Lgs. n. 40/2006, contemplando letteralmente i « procedimenti arbitrali »
si riferisce evidentemente al solo versante arbitrale della questione posta
dall’esistenza di una convenzione di arbitrato; quanto accade nel versante
giurisdizionale deve essere gestito con soluzioni proprie a tale settore, ricavate dai principi generali del diritto processuale. Più in generale, delle molteplici disposizioni che compongono il tessuto dell’art. 819-ter c.p.c., solo
quelle dedicate all’arbitrato trovano una apposta disciplina intertemporale;
e non sarebbe lecito alcun tentativo di applicazione analogica della norma
transitoria anche al settore giurisdizionale, sia perché le norme di diritto
transitorio devono soggiacere ad un’interpretazione restrittiva, sia perché
(ubi lex voluix, dixit) l’omesso riferimento ai procedimenti giurisdizionali
altro non potrebbe significare, se non che il legislatore non ha voluto regolamentare in maniera specifica tale ambito. Allora, tutti i problemi inerenti
l’efficacia della nuova norma riguardo ai procedimenti pendenti dinanzi ai
giudici, in mancanza di disciplina intertemporale apposita, restano de plano
risolvibili in base ai principi generali.
Da questo comune punto di partenza, i due orientamenti in esame
giungono a conclusioni pratiche differenti, orientate in radice dalla diversa
qualificazione data al nuovo regime dell’exceptio compromissi, quale risultante dalla Novella.
Secondo un indirizzo (10) il problema di diritto intertemporale dell’impugnabilità per regolamento di competenza delle sentenze rese a seguito
dell’exceptio compromissi deve esser risolto mediante il riferimento al principio di perpetuatio jurisdictionis di cui all’art. 5 c.p.c. Tale soluzione è ricavata come logico corollario di una precisa opzione interpretativa in ordine all’atteggiarsi del rapporto tra giudici e arbitri a seguito della riforma
del 2006: il secondo e il terzo inciso del comma 1 dell’art. 819-ter, seppur
non delineano un rapporto suscettibile di essere ricondotto a tutti gli effetti
nel modello del riparto di competenze, tuttavia, almeno nella prospettiva
del giudice che decide sull’esistenza o meno di un potere degli arbitri, pongono ex novo (quanto al regime e agli effetti) una questione di competenza
(10) L’orientamento in parola, inaugurato già dalla ord. n. 13128 del 5 giugno 2007,
è stato compiutamente sviluppato da Cass. ord. n. 21926 del 29 agosto 2008 e n. 587 del 14
gennaio 2009.
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per territorio derogabile (11). Si può dunque apprezzare una netta differenza
rispetto al contesto anteriore alla novella, nella vigenza del quale si era formato un compatto indirizzo giurisprudenziale, divenuto « diritto vivente »,
che aveva affermato la natura di merito della questione della sussistenza o
meno di un potere arbitrale di decidere la controversia.
Dall’innovazione apportata con il D.Lgs. n. 40/2006 discende un’importante conseguenza: se oggi la deferibilità o meno ad arbitri di una controversia si è trasformata in questione di competenza in senso tecnico, allora l’art. 819-ter c.p.c. integra un « mutamento della legge regolatrice
della disciplina della competenza »; evento che, ai sensi dell’art. 5 c.p.c.,
non può aver rilevanza nei giudizi pendenti, nei quali la competenza si sia
originariamente radicata in base al quadro normativo previgente. Se cosı̀ è,
l’art. 819-ter c.p.c., che non ha ex se portata retroattiva e per il quale il legislatore non ha introdotto alcun regime transitorio speciale in deroga all’art. 5 c.p.c., inizierà ad applicarsi solo ai processi instaurati dopo la sua
entrata in vigore: il momento discriminante sarà in altri termini la proposizione della domanda giudiziale a far data dal 3 marzo 2006. Solo in tali
giudizi, pertanto, la sentenza resa in ordine alla competenza arbitrale sarà
impugnabile con regolamento di competenza; per i giudizi promossi in data
anteriore e già pendenti, resterà applicabile il precedente regime, sia in termini di qualificazione e di disciplina della exceptio compromissi, sia in termini di impugnabilità della relativa decisione.
L’altro orientamento respinto dalla Cassazione, facendo leva sul mutamento del mezzo di impugnazione esperibile, enuncia una diversa regola:
nei processi pendenti è correttamente impugnata con regolamento di competenza la sentenza declinatoria o affermativa della competenza giudiziale
pubblicata in data successiva al 2 marzo 2006. La regola in parola ha trovato accoglimento, a quanto consta, solo in Cass., ord. n. 26990 del 20 dicembre 2007, la quale peraltro, come più volte ribadito nelle decisioni successive in chiave critica, non offriva alcun corredo motivazionale della soluzione prescelta in ordine al problema di diritto intertemporale. Si può tuttavia ricostruire in via « induttiva » il percorso logico-argomentativo impiegato per pervenire ad una tale conclusione.
(11) Sono sostanzialmente due gli indizi della trasformazione della questione della
« competenza arbitrale » in questione di competenza in senso tecnico o, almeno (e come pare
più plausibile), in una questione inerente la potestas judicandi su una certa controversia, che,
dal punto di vista del giudice, è sostanzialmente assimilabile ad una questione di competenza
per territorio derogabile: 1) il regime processuale: come per l’eccezione di incompetenza territoriale semplice, la esistenza di una convenzione di arbitrato deve essere eccepita, a pena di
decadenza, nella comparsa di risposta (art. 819-ter c.p.c. terzo inciso); 2) lo strumento impugnatorio: avverso la decisione dell’autorità giudiziaria sulla sussistenza o insussistenza della
competenza arbitrale si ammette il regolamento di competenza ex artt. 42 e 43 c.p.c. (art.
819-ter secondo inciso).
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Innanzitutto, l’orientamento in parola condivide con quello prima
esposto la premessa della irrilevanza, rispetto alla sede giurisdizionale,
delle disposizioni dettate dall’art. 27 del D.Lgs. n. 40/2006, con la conseguente necessità di attingere ai principi generali del diritto processuale. A
differenza del precedente, tuttavia, si esclude che a seguito della riforma i
rapporti tra arbitri e giudice siano da ricondurre ad una questione di competenza in senso tecnico (12). Si valorizza invece la circostanza che l’art.
819-ter, comma 1, secondo inciso, c.p.c. ha individuato un nuovo mezzo di
impugnazione per la sentenza con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato; di conseguenza devono trovare applicazione i principi generali della successione
delle leggi processuali nel tempo ed in particolare il principio di applicazione immediata e non retroattiva delle norme processuali sopravvenute,
salvi restando gli atti (e i relativi effetti) prodotti alla stregua della legge
previgente (tempus regit actum) (13). Ne discende che l’art. 819-ter c.p.c.
dovrebbe potersi applicare (consentendo la proposizione del regolamento di
competenza) alle decisioni intervenute dopo il 2 marzo 2006, a prescindere
dalla data di instaurazione del relativo processo (14).
(12) La dottrina maggioritaria tende ad escludere che i rapporti tra arbitro e giudice
possano essere inquadrati nel paradigma della competenza. Anche la sentenza in commento
esprime dubbi in ordine alla qualificazione come criterio di competenza in senso tecnico, osservando che la nuova disciplina (cfr. 819-ter comma 2) esclude espressamente l’estensione
alla materia de qua di alcuni istituti e regole coessenziali alla disciplina della competenza,
quali quelli desumibili dagli artt. 44, 45, 48 e 50. Inoltre, il regolamento di competenza è
ammissibile solo avverso la pronuncia del giudice ordinario, e non avverso il lodo declinatorio o dichiarativo della competenza degli arbitri; è esclusa la possibilità di translatio judicii dal giudice incompetente agli arbitri e viceversa; la stessa proponibilità dinanzi al giudice
ordinario di un’autonoma azione di accertamento della mera invalidità o inefficacia della
convenzione di arbitrato, senza che sia dedotta anche la controversia oggetto della convenzione, rivela come la questione sia diversa da una mera questione di competenza; e a ben vedere, anche la fisionomia del regolamento di competenza è assolutamente peculiare, perché
del regolamento è fatta salva soltanto la forma dell’impugnazione ed il giudice competente
a conoscerne; tanto che nulla sarebbe cambiato se il legislatore avesse previsto uno strumento
di controllo diverso: CAPPONI, Art. 819-ter, op. cit., 879. In questo senso anche LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, in questa Rivista, 2005, 785 ss. Per tutte le considerazioni suesposte si vedano anche: RUFFINI, Art. 819-ter, cit., 365 ss.; BOVE, Ancora sui rapporti tra arbitro e giudice statale, cit., 360 ss.; CAPPONI, Arbitrato e giurisdizione, su www.judicium.it.
(13) In tema: FAZZALARI, Effıcacia della legge processuale nel tempo, in Riv. trim dir.
proc. civ., 1989, 890; CAPPONI, La legge processuale civile e il tempo del processo, cit., 637;
CAPONI, Tempus regit processum, cit., 449 ss.
(14) A questa prospettiva aderisce COREA, Questioni di diritto intertemporale, cit.,
478 ss.: « sempreché il legislatore non disponga altrimenti, se la nuova norma modifica il
regime di impugnabilità di una sentenza, è alla data (di pubblicazione) di quest’ultima che
si deve far riferimento per verificare se si debba applicare il nuovo piuttosto che il vecchio
regime: ove tale data si collochi in epoca successiva all’entrata in vigore della nuova legge
sarà quest’ultima a regolare le modalità della proposizione dell’impugnazione ». In senso
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4. Secondo la pronuncia in commento, l’art. 27 comma 4 del D.Lgs.
n. 40/2006 si applica a tutte le vicende interessate da domande di arbitrato
proposte dopo il 2 marzo 2006; in altri termini, il regolamento di competenza è ammissibile soltanto nei confronti di sentenze pronunciate in parallelo a procedimenti arbitrali iniziati dopo il 2 marzo 2006.
Con tale affermazione, le Sezioni unite si collocano nel solco di quel
filone giurisprudenziale inaugurato con le ordinanze n. 16995 e n. 18761/
2007 e definito nelle sue linee essenziali dall’ordinanza n. 12814/2008, che
fa leva su due argomenti testuali: innanzitutto, l’inequivocabile lettera della
norma transitoria fissa senza distinguo un preciso referente temporale per
l’entrata in vigore dell’art. 22 del D.Lgs. n. 40/2006, che ha introdotto l’art.
819-ter c.p.c.; ad ulteriore sostegno, il riferimento che fa l’art. 819-ter
c.p.c., comma 1 secondo e terzo inciso, alle eccezioni di incompetenza del
giudice (e alle relative pronunce) « in ragione di una convenzione di arbitrato », con impiego dunque di una terminologia introdotta con la riforma
del 2006, rivelerebbe l’intento di designare clausole o patti stipulati in data
posteriore al 2 marzo 2006.
Le Sezioni unite confermano tale lettura, confortandola con una serie
di considerazioni volte a giustificare una scelta interpretativa che — si riconosce tra le righe — è la più giusta tra quelle ipotizzabili, ancorché non
sia pienamente soddisfacente in termini di opportunità, corretta in termini
astratti e risolutiva in termini pratici (difatti, vedremo, vi è almeno un caso
in cui la soluzione non funziona; la Corte si fa carico del problema e ne offre difatti una « di scorta »).
contrario, va ricordata la notazione critica contenuta in Cass. ord. n. 587 del 14 gennaio 2009,
la quale, nel negare che il problema di diritto intertemporale sia circoscrivibile al semplice
mutamento del mezzo di impugnazione esperibile, precisa che sul punto il principio tempus
regit actum « non è nemmeno richiamato correttamente, posto che la sua pura applicazione
comporterebbe che tutte le impugnazioni comunque proposte dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo debbano esserlo con il mezzo introdotto da esso, mentre l’applicazione della
norma nuova sul mezzo di impugnazione esperibile solo ai provvedimenti pronunciati dopo
di essa sarebbe, in realtà, espressione di un principio derogatorio di quello tempus regit actum rispetto a quelli pronunciati prima e per cui penda il termine per impugnare ». Per la
verità (si veda CAPONI, Tempus regit processum, cit., 449 ss. spec. 455.), vi è una variante
interpretativa della regola tempus regit actum che predica il rispetto degli effetti giuridici
astratti (poteri/doveri) sorti alla stregua della norma anteriore: cosicché la norma sopravvenuta che rende ammissibile un’impugnazione non potrebbe operare per sentenze già rese, e
per le quali penda ancora il termine di impugnazione, in quanto « il nuovo effetto previsto
dalla norma posteriore (potere di impugnare) non si sostituisce all’effetto disposto dalla
norma anteriore (inammissibilità dell’impugnazione) ». In tal senso anche Corte cost., sent.
n. 53/2008: « in caso di successione di leggi e in mancanza di una disciplina transitoria, il
regime di impugnabilità dei provvedimenti giurisdizionali va desunto dalla normativa vigente
quando essi sono venuti a giuridica esistenza (come osservato dalla giurisprudenza di legittimità: Cass., 12 maggio 2000, n. 6099, e 20 settembre 2006, n. 20414) ». Cfr., da ultimo,
Cass., ord. n. 20324 del 27 settembre 2010.
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La Corte osserva che nell’incertezza deve prevalere il dato letterale
dell’art. 27 comma 4 del D.Lgs. n. 40/2006, che aggancia l’entrata in vigore della norma che introduce l’art. 819-ter c.p.c., e dunque dell’intero art.
819-ter in tutti i suoi profili e contenuti, alla proposizione della domanda
di arbitrato. Soluzione della quale la Corte stessa ammette l’opinabilità, per
il fatto di prevedere una regola indifferenziata per problematiche difformi
poste da una norma dai molteplici contenuti; e tuttavia soluzione inequivoca, che il legislatore ha prescelto nella sua discrezionalità e che non può
essere messa in discussione in sede interpretativa né con riferimento a considerazioni di opportunità, né con riguardo al principio di irretroattività, né
in ossequio al principio di ragionevole durata del processo. Tutte le obiezioni impostate su tali argomenti di fondo, quand’anche condivisibili in linea di principio, non sarebbero insomma sufficienti « ad autorizzare l’interprete ad ignorare la voluntas legis », a « giustificare una cosı̀ grave forzatura del dettato normativo » come quella implicata dalle avverse tesi, che
ricercano nella prospettiva giurisdizionale una soluzione contrastante con il
dato letterale dell’art. 27 comma 4 e tale da obliterarlo.
È interessante notare che la tesi accolta parte dalla premessa della irretroattività dell’art. 819-ter c.p.c. ed in particolare della introdotta esperibilità del regolamento di competenza; premessa che come già detto è, con
diverse declinazioni, comune a tutte le impostazioni. Le Sez. unite ribadiscono in astratto tale principio, anche se poi affermano che l’eventuale applicazione retroattiva dell’art. 819-ter (si badi: non per virtù propria, ma per
effetto dell’art. 27 del D.Lgs. n. 40/2006) non incontrerebbe alcun limite
inderogabile di natura costituzionale (15). Per vero, una delle maggiori e più
penetranti critiche cui si espone la tesi fatta propria dalla S.C. è proprio
quella che, vedendo il problema dalla prospettiva giurisdizionale, nota che
la nuova regolamentazione dovrebbe intervenire nei processi pendenti in
dipendenza dalla circostanza extraprocessuale — tutto sommato casuale —
che vi sia stata la concomitanza con un procedimento arbitrale iniziato
dopo il 2 marzo 2006. Ma — precisa la Corte — quello appena descritto è
l’esito di una scelta legislativa certo non perfetta, ma neppure, in fondo,
sovvertibile o aggiustabile in sede interpretativa.
Si comprende infine che in quest’ottica la risposta data al problema
della qualificazione della vera natura della eccezione di convenzione di arbitrato è molto meno determinante che per le altre due tesi. Tuttavia le Sezioni unite, correggendo alcune affermazioni dei precedenti che avevano
(15) Nella sent. Corte cost. n. 397/1994 si legge che il principio di irretroattività delle
leggi ha ottenuto in sede costituzionale garanzia specifica soltanto con riguardo alla materia
penale (art. 25 Cost.), sebbene esso mantenga per le altre materie valore di principio generale (ex art. 11, comma 1, delle disposizioni preliminari del codice civile) cui il legislatore
deve in via preferenziale attenersi, pur non essendo ad esso vincolato in termini assoluti.
Sulla stessa linea, ex plurimis, le sentenze n. 374/2002 e n. 376/2004.
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sviluppato l’orientamento poi accolto (16), si preoccupano di precisare che
resta assai dubbio che la riforma abbia introdotto un criterio di competenza
in senso stretto, pur avendo sicuramente determinato il superamento della
pregressa qualificazione in termini di questione di merito.
5. Costretta dal vincolo testuale, « limite invalicabile in sede di interpretazione », la Corte si muove sul filo di una soluzione dichiaratamente
problematica. Residuano cosı̀ — al di là delle critiche direttamente afferenti
la tesi accolta — un caso applicativo « esorbitante » e una serie di dubbi
inerenti la portata sistematica della lettura dell’art. 27 comma 4 del D.Lgs,
n. 40/2006 offerta dalle Sezioni unite.
Intanto, come già si accennava, la regola di diritto intertemporale
enunciata dalle Sezioni unite non funziona in un caso, che la Corte espressamente prende in considerazione per fornire una soluzione per cosı̀ dire
succedanea: l’ipotesi in cui la sentenza abbia risolto una questione di deferibilità della controversia agli arbitri, ma nessun procedimento arbitrale sia
ancora iniziato, né prima né dopo il 2 marzo 2006. In tal caso, mancando
il referente temporale individuato dall’art. 27 comma 4 del D.Lgs. n. 40/
2006, la norma speciale transitoria non potrà operare. Ritornano allora necessariamente in campo i principi generali del diritto processuale, che la
Corte cita come equiordinati ed interscambiabili: il principio della perpetuatio jurisdictionis ed il principio tempus regit actum. Va detto peraltro
che questa alternativa, offerta in extremis e per un’ipotesi eccettiva che appare non cosı̀ remota, non convince non tanto perché « obbligata », ma
perché ambigua, visto che differenti impostazioni di fondo e differenti esiti
si ricollegano alla opzione per l’uno o l’altro dei principi. Nel merito, poi,
l’ipotetico ricorso al principio di perpetuatio si rivelerebbe incoerente con
le premesse sulle quali la Corte ha costruito il proprio ragionamento. Se la
deferibilità agli arbitri di una controversia non era questione di competenza
prima della riforma e, in senso stretto, non lo è divenuta neppure a seguito
della riforma; se a ben vedere si tratta non di una modificazione del contenuto o dell’estensione della potestas decidendi, ma di un nuovo regime di
rilevazione e di impugnazione della relativa questione; se, quindi, l’introduzione del regolamento di competenza è stata una scelta legislativa opportuna, ma non necessitata dalla natura della questione che ne è oggetto; se
tutto ciò è vero, l’art. 5 c.p.c. è fuori gioco. Si applica allora la regola generale di diritto intertemporale per il caso di introduzione di un nuovo
mezzo di impugnazione: il regime di impugnabilità dei provvedimenti va
(16) L’ord. Cass. n. 12814 del 20 maggio 2008 in un passaggio riconosceva « l’attuale riconduzione della questione relativa al rapporto tra arbitri e autorità giudiziaria all’istituto della competenza giurisdizionale », per escluderne la portata retroattiva.
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desunto dalla disciplina vigente « quando essi sono venuti a giuridica esistenza » (17), ossia dalla data di pubblicazione.
Venendo ai dubbi che residuano sul piano interpretativo, innanzitutto
pare poco plausibile ritenere — come adombra l’ordinanza — che in conseguenza della duplice prospettiva attribuita all’art. 27 comma 4 del D.Lgs.
n. 40/2006 (che non disciplinerebbe solo i giudizi arbitrali avviati dopo il
2 marzo 2006, ma anche tutte le vicende ove si sovrappongano un arbitrato
ed un processo giurisdizionale) anche le nuove disposizioni che regolano
aspetti dei procedimenti ordinari contenute negli articoli da 809 a 832 c.p.c.
vengano a dipendere da una circostanza che attiene esclusivamente al processo arbitrale. Inoltre si apre tutto un panorama di questioni di più ampio
raggio che scaturiscono dal rigido ossequio — secondo la Corte necessitato
— alla lettera dell’art. 27 comma 4 del D.Lgs. n. 40/2006.
V’è da chiedersi infatti se il vincolo testuale arrivi fino ad impedire
quelle esegesi « correttive » della disciplina transitoria, che la dottrina ha
avanzato per risolvere alcuni delicati nodi interpretativi sull’entrata in vigore delle nuove disposizioni nei procedimenti in corso. Si vuol far riferimento, in particolare, alla questione dell’impugnazione del lodo arbitrale
per error in judicando de jure, che il nuovo art 829 comma 3 c.p.c. limita
ai soli casi in cui le parti ne abbiano espressamente previsto l’esperibilità
(17) Cosı̀ Corte cost., sent. n. 53/2008; Cass. n. 20414/2006; n. 5342/2009; n. 9940/
2009; n. 20324/2010. Tali pronunce sono state rese in ordine alle alterne vicende che hanno
interessato l’art. 616 c.p.c., ultimo periodo, tra la Legge 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14,
comma 1, che qualificava « non impugnabile » la sentenza che definisce l’opposizione all’esecuzione e la novella di cui alla Legge n. 69/2009, entrata in vigore il 4 luglio 2009, che
ha soppresso tale ultimo inciso. Quanto al regime transitorio di quest’ultima, l’art. 58, comma
2, ha stabilito che ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della legge
suddetta si applica l’art. 616 c.p.c., come modificato dalla legge stessa, e dunque il ripristinato regime del doppio grado di impugnazione. La regola espressa di diritto intertemporale
conferma la soluzione già avanzata con le decisioni citate, che nel ritenere immediatamente
applicabile il nuovo regime impugnatorio, facevano salva però la permanenza del preesistente
regime per le sentenze già pubblicate al momento dell’entrata in vigore della novella, secondo la più corretta interpretazione del principio tempus regit actum; in tal senso CAPPONI,
La Consulta e il nuovo art. 616 c.p.c., su www.judicium.it e in Riv. es. forz., 2008, 571 ss.;
ID., Sull’appellabilità delle sentenze definitive di opposizioni di merito ex artt. 615 e 619
c.p.c., pubblicate anteriormente al 1o marzo 2006, su www.judicium.it e in Riv. es. forz.,
2006, 849 ss. Va precisato che la soluzione prescelta non interferisce con il diverso problema
dell’eventuale ricorso al principio desumibile dall’art. 5 c.p.c., in caso di successione di leggi
che comporti la sopravvenuta non compromettibilità della controversia (sostenuto da CAPPONI,
Il divieto di arbitrato in tema di controversie relative ad opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali tra potestas judicandi degli
arbitri e perpetuatio jurisdictionis, su www.judicium.it; criticato invece da IZZO, Di sopravvenuta incompromettibilità, sopravvenuta compromettibilità e ancora una volta sopravvenuta
incompromettibilità, su www.judicium.it e in questa Rivista, 2007, 50 ss.), dovendosi dar risalto, nel caso che ci interessa, al profilo della sopravvenuta esperibilità di un mezzo di impugnazione, prima inammissibile.
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nella convenzione di arbitrato. Se la norma transitoria di cui all’art. 27
comma 4 del D.Lgs. n. 40/2006 deve essere interpretata letteralmente, va
inderogabilmente assunta come referente temporale la domanda di arbitrato, indipendentemente dalla data di stipulazione della relativa convenzione. La conseguenza obbligata è che anche nelle ipotesi di patti compromissori stipulati prima del 2 marzo 2006 resterebbe preclusa l’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto qualora le parti (che nel
momento della stipulazione confidavano nel vecchio testo dell’art. 829,
comma 2 c.p.c.) non l’avessero espressamente prevista. È chiaro però come
una soluzione del genere sia inaccettabile sotto molteplici profili, anche di
rilevanza costituzionale (18).
CHIARA SANTINI
(18) Sulle problematiche di diritto intertemporale poste dall’entrata in vigore dell’art.
829 comma 3 c.p.c. si veda: NELA, Contro l’applicazione dell’art. 829, comma 3o, c.p.c. alle
convenzioni arbitrali concluse prima della riforma, in Riv. dir. proc. 2009, 919 ss.: l’Autore
rileva la contrarietà dell’esito interpretativo descritto nel testo non solo alla ratio complessiva della disciplina transitoria del D.Lgs. n. 40/2006, non solo ai principi della successione
delle leggi processuali nel tempo, ma soprattutto ai valori costituzionali. Si realizzerebbe nei
fatti una efficacia retroattiva della norma, contrastante con la Costituzione sotto il profilo
della ragionevolezza, e si avrebbe una ingiustificata compressione del diritto delle parti alla
tutela giurisdizionale. Concorde sul punto PETRILLO, Entrata in vigore, cit., 1092 ss. Tali Autori hanno proposto di correggere in via interpretativa il disposto legale, adottando una soluzione non solo più ragionevole, ma anche costituzionalmente orientata, che è quella di intendere l’art. 27 comma 4 nel senso che le disposizioni introdotte con l’art. 24 sull’impugnazione del lodo si applichino solo qualora il procedimento arbitrale scaturisca da convenzioni
di arbitrato stipulate nella vigenza della nuova disciplina (cioè dal 3 marzo 2006).
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TRIBUNALE DI GENOVA, sentenza 2 novembre 2009 — COLELLA Est. — Termex
S.p.a. (avv. De Gregori) c. Bertamino Paolo (avv.ti Magioncalda e Musso
Piantella).
Giudizio civile - Eccezione di estinzione - Eccezione di compromesso per arbitrato irrituale - Deliberazione della sentenza - Ordine e gradazione delle
questioni - Pregiudizialità logica dell’eccezione di compromesso rispetto a
quella di estinzione.
Arbitrato irrituale societario - Clausola compromissoria statutaria - Sindaci
della società - Opponibilità della clausola compromissoria - Sussiste.
In sede di deliberazione della sentenza l’eccezione di clausola compromissoria per arbitrato irrituale, siccome attinente alla verifica della competenza dell’Autorità Giudiziaria, va decisa prima dell’eccezione di estinzione del processo.
L’art. 34, comma 4 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 secondo il quale la
clausola compromissoria inserita nello statuto o nell’atto costitutivo delle società
è vincolante anche per gli amministratori, liquidatori e sindaci a seguito dell’accettazione dell’incarico, si applica anche alle clausole compromissorie per arbitrato irrituale in quanto l’art. 34 non fa alcuna distinzione tra arbitrato rituale ed
irrituale.
CENNI DI FATTO. — Il sindaco di una società per azioni agisce in via monitoria
contro la società stessa per il pagamento del compenso; l’intimata propone opposizione eccependo in via preliminare l’esistenza di una clausola compromissoria per
arbitrato irrituale. Costituendosi il sindaco eccepisce a sua volta l’estinzione del
giudizio di opposizione in quanto la società opponente aveva iscritto a ruolo la
causa oltre il termine di cinque giorni previsto dall’art. 3, comma 1, D.Lgs. 17
gennaio 2003 n. 5 cosı̀ come dimidiato automaticamente ope legis per tutti i processi di opposizione a decreto ingiuntivo. Il tribunale di Genova affronta per prima
la questione della « competenza » e dichiara l’opponibilità della clausola compromissoria al sindaco. Ciò in quanto il disposto dell’art. 34, comma 4, del decreto legislativo citato si applica anche all’arbitrato irrituale.
Il Tribunale afferma assorbite le altre questioni, ed in particolare quella relativa all’estinzione del giudizio di opposizione.
MOTIVI DELLA DECISIONE. — Va in via preliminare verificata la competenza dell’Autorità procedente.
Parte convenuta in opposizione ha eccepito a sua volta che la clausola di cui
all’ars 25 dello Statuto in forza della quale viene deferita ad arbitro irrituale di
equità ogni controversia promossa dagli organi sociali nei confronti della società,
non sarebbe opponibile al rag. Bertamino in quanto non avrebbe mai accettato alcuna deroga alla competenza dell’Autorità Giudiziaria e, comunque, tale possibilità
di deroga, disciplinata dall’art. 34 comma 4 del D.Lgs. n. 5/2003, sarebbe prevista
solo per l’arbitrato rituale come regolato dagli artt. 34 ss. decreto legislativo cit. e
non per quello irrituale, non disciplinato dal decreto legislativo medesimo.
Va ricordato subito che ai sensi dell’art. 34 comma 4 decreto legislativo cit.,
la clausola compromissoria è vincolante per Amministratori e sindaci a seguito del481
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l’accettazione dell’incarico: sul punto va richiamato il comma 4 del suddetto art.
25 dello Statuto, il quale prevede a chiare lettere che l’arbitro deciderà in via irrituale secondo equità e che sono soggette a tale disciplina anche le controversie
promosse da Amministratori, Liquidatori e Sindaci ovvero quelle promosse nei loro
confronti, che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.
Orbene, l’art. 34 del D.Lgs. n. 5/2003 non fa alcuna distinzione, per la materia societaria, tra arbitrato rituale ed irrituale. Inoltre, che sia ammissibile in materia societaria l’arbitrato irrituale, si desume anche dall’art 35 comma 5 che, a sua
volta, prevede l’ammissibilità di arbitrato irrituale nelle controversie soggette al rito
societario, laddove stabilisce che la devoluzione in arbitrato, anche irrituale, di una
controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare di cui all’art. 669quinquies c.p.c.
Infine, al successivo art. 36 decreto legislativo cit., il legislatore si limita a
precisare che gli arbitri possono decidere secondo diritto o equità, ma non che non
sia ammissibile l’arbitrato irrituale.
La stessa giurisprudenza riconosce pacificamente la legittimità dell’arbitrato
irrituale in materia societaria (cfr. Trib. Bari, 3 novembre 2008; Trib. Campobasso
31 ottobre 2007; App. Torino 4 aprile 2007; App. Torino 29 marzo 2007).
Va pertanto dichiarata l’incompetenza di questo Tribunale per essere competente l’Arbitro. Ciò esime dall’affrontare le altre eccezioni ed il merito della causa.
Parte attrice in opposizione, in quanto soccombente, si condanna alla rifusione
delle spese di lite, liquidate cosı̀ come in dispositivo, in favore di parte convenuta
in opposizione.
Sull’applicabilità all’arbitrato irrituale societario derivante da clausola
compromissoria statutaria della normativa speciale prevista dal
D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5.
1. Il caso esaminato dal tribunale di Genova ripropone all’attenzione
degli operatori del diritto la questione dell’applicabilità all’arbitrato irrituale societario derivante da clausola compromissoria statutaria (1) della
normativa speciale dettata dagli articoli da 34 a 36 del D.Lgs. 17 gennaio
2003 n. 5. Tale disciplina, come noto, a differenza delle norme sul processo
societario (di cognizione, cautelare e in camera di consiglio) non è stata
abrogata dalla Legge 18 giugno 2009 n. 69 ed è tuttora in vigore.
(1) La disciplina speciale prevista dagli articoli da 34 a 36 del D.Lgs. 5 gennaio
2003 n. 5 si applica alle controversie societarie oggetto di clausola compromissoria inserita
nello statuto o nell’atto costitutivo. Da notare che mentre la riforma del diritto societario sostanziale ha interessato solo le società di capitali e le cooperative, le norme in materia di arbitrato societario si applicano a tutte le società commerciali e quindi anche alle società di
persone con l’unica esclusione delle società semplici. Anche per le società commerciali restano, inoltre, escluse dall’ambito della disciplina in esame le controversie devolute in arbitrato mediante compromesso o mediante clausola compromissoria inserita nei patti parasociali o in un contratto di cessione di partecipazioni sociali.
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La fattispecie sottoposta al giudice ligure era alquanto lineare: un sindaco di una società per azioni aveva agito in via monitoria nei confronti
della società stessa per il pagamento del proprio compenso; ricevuta la notifica del decreto ingiuntivo l’intimata aveva proposto opposizione eccependo in via preliminare l’esistenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale e contestando, nel merito, l’effettivo svolgimento da parte
del professionista dell’attività di sindaco. Durante la fase di trattazione
scritta il sindaco aveva eccepito, in via pregiudiziale, l’estinzione del giudizio di opposizione in quanto la società opponente aveva iscritto a ruolo
la causa oltre il termine di cinque giorni previsto dall’art. 3, comma 1,
D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 cosı̀ come dimidiato automaticamente ope legis per tutti i processi di opposizione a decreto ingiuntivo dall’art. 2,
comma 3, D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5. Il tribunale di Genova ha affrontato per prima la questione della « competenza », ritenendo, con evidente
errore, che essa precedesse sul piano logico « le altre eccezioni [cioè quella
relativa all’estinzione del processo] ed il merito della causa ».
In realtà secondo giurisprudenza consolidata l’eccezione con la quale
si deduca l’esistenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale
non ha natura processuale ma sostanziale e introduce una questione preliminare di merito (2).
Infatti l’arbitrato libero comporta l’opzione delle parti a favore di una
risoluzione negoziale e non giurisdizionale della controversia (si veda l’art.
808-ter c.p.c. che definisce il lodo irrituale come « determinazione contrattuale ») e il giudice avanti al quale è sollevata la questione è chiamato a risolvere una questione di merito cioè l’esistenza della clausola compromissoria (che resta un contratto a sé stante anche quando inserita nel contesto
(2) Cass. civ., Sez. III, 14 aprile 2000, n. 4845: « L’eccezione con la quale si deduca
l’esistenza (o si discuta dell’ampiezza) di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale
non pone una questione di competenza dell’autorità giudiziaria (come nel diverso caso di
clausola compromissoria per arbitrato rituale), ma contesta la proponibilità della domanda per
avere i contraenti scelto la risoluzione negoziale della controversia rinunziando alla tutela
giurisdizionale; la suddetta eccezione non ha pertanto natura processuale ma sostanziale e introduce una questione preliminare di merito in relazione all’esistenza o meno della suddetta
rinuncia... ». Cass. civ., Sez. III, 12 ottobre 1998, n. 10086: « L’eccezione di arbitrato irrituale, che non è vincolata ai limiti dell’eccezione d’incompetenza, ma può essere fatta valere
in ogni momento del giudizio, dev’essere proposta sempre secondo le regole proprie delle
eccezioni di natura sostanziale ». Cass. civ., Sez. II, 10 aprile 1990, n. 2987: « La sentenza
con la quale il giudice dichiari l’improponibilità della domanda per essere stata la controversia deferita, in forza di clausola compromissoria, ad arbitrato irrituale, è impugnabile con
l’appello e non con il regolamento di competenza — il quale pertanto dichiarato inammissibile — poiché gli arbitri irrituali sono chiamati a comporre la controversia sul piano negoziale e tutte le contestazioni sull’efficacia, l’operatività e l’interpretazione della clausola
compromissoria danno luogo non già ad una questione di competenze ma a questioni di merito ed, in particolare, di interesse ad agire ».
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di una diversa pattuizione) (3) e la rinuncia delle parti alla giurisdizione in
essa contenuta.
Cosı̀ stando le cose ai sensi dell’art. 276, comma 2 c.p.c. la sentenza
avrebbe dovuto affrontare per prima l’eccezione di estinzione, che ha carattere pregiudiziale, rispetto a quella di arbitrato irrituale, che è un’eccezione
di merito.
2. Esaminando, invece, per prima la questione dell’opponibilità al
sindaco della società opponente della clausola compromissoria statutaria il
tribunale ha declinato la propria competenza rilevando da un lato la « ammissibilità dell’arbitrato irrituale nelle controversie soggette al rito societario » e dall’altro lato osservando, in maniera alquanto semplicistica e sostanzialmente inavvertita della problematica sottostante coinvolta, che
« l’art. 34 del D.Lgs. n. 5/2003 non fa alcuna distinzione, per la materia
societaria tra arbitrato rituale ed irrituale ».
Nella fattispecie la clausola compromissoria era contenuta nello statuto della società opponente ed aveva ad oggetto, come rileva la sentenza,
un arbitrato irrituale e di equità. Sotto la previgente disciplina ciò avrebbe
condotto de plano a far ritenere la clausola compromissoria statutaria res
inter alios acta (in quanto deliberata e voluta solo dai soci) e ad escluderne
l’opponibilità al sindaco che non è parte del contratto sociale. Oggi la questione va esaminata alla luce del disposto dell’art. 34 comma 4 D.Lgs. 17
gennaio 2003 n. 5 (4) secondo il quale la clausola compromissoria è vincolante anche per amministratori, liquidatori e sindaci « a seguito dell’accettazione dell’incarico ».
Sotto questo profilo la vera questione che il tribunale ligure era chiamato a risolvere era quella della portata applicativa del suddetto art. 34,
comma 4 e, in particolare, della sua estensione anche all’arbitrato libero
societario perché solo l’eventuale risposta positiva a tale quesito avrebbe
consentito di approdare alla conclusione dell’opponibilità della clausola
(3) Cass. civ., Sez. I, 26 giugno 1992, n. 8028: « La clausola non è un patto accessorio del contratto nel quale è inserita, ma ha propria individualità ed autonomia, nettamente
distinta da quella del contratto cui accede; da ciò consegue per un verso, che ad essa non si
estendono le cause di invalidità del negozio sostanziale, per altro verso, che rientrano nella
sua sfera di operatività anche le controversie che insorgono dopo la cessazione del contratto,
quando siano dipendenti da fatti pregressi ». Conformi in dottrina FAZZALARI, L’arbitrato, Torino, 1997, 34 e in senso conforme MIRABELLI e GIACOBBE: Diritto dell’arbitrato, Napoli,
1994, 20; SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, Milano, 1982: « In definitiva si può concludere che il
negozio in questione non ha della clausola che il nome dell’apparenza. In realtà é un autentico e autonomo negozio giuridico ».
(4) L’art. 34 quarto comma del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 prevede che: « Gli atti
costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, è vincolante per costoro ».
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compromissoria ad un soggetto che pur ricoprendo il ruolo di organo di
controllo della società restava nondimeno estraneo al contratto sociale. La
sentenza risolve la questione in modo piuttosto sbrigativo affermando che
« l’art. 34 del D.Lgs. n. 5/2003 non fa alcuna distinzione, per la materia
societaria tra arbitrato rituale ed irrituale ». A prescindere dal fatto che il
mero scrutinio letterale di una norma non sempre è sufficiente a farne comprendere il reale significato, il tribunale non si è reso conto che in realtà era
proprio la lettera dell’art. 35 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 a fornire un
primo, evidente e letterale conforto alla conclusione che la disciplina speciale dell’arbitrato societario si riferisce solo all’arbitrato rituale.
Il fatto stesso che il Legislatore abbia ritenuto necessario precisare,
all’art. 35, comma 5, D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, che il ricorso alla tutela
cautelare è assicurato anche per l’arbitrato irrituale è un chiaro indizio, con
ragionamento a contrario, che le altre norme sono dettate solo per l’arbitrato rituale (5). In altre parole proprio la constatazione che la disciplina
speciale dell’arbitrato societario si riferisce all’arbitrato rituale ha costretto
il Legislatore a precisare che l’accesso alla tutela cautelare è consentito anche in caso di arbitrato irrituale laddove tale espressa previsione sarebbe
stata del tutto superflua se le norme da 34 a 36 del D.Lgs. 17 gennaio 2003
n. 5 già si fossero riferite ad entrambi i tipi di arbitrato (6). Il tribunale di
Genova ha, quindi, frainteso il senso dell’estensione fatta dall’art. 35,
comma 5 all’arbitrato libero la quale nonché smentire conferma che la disciplina dell’arbitrato societario disciplinato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003 n.
5 è dettata solo per l’arbitrato rituale.
3. Sotto il profilo sistematico anche la lettura complessiva delle
norme in materia di arbitrato societario conferma che con esse il Legislatore ha inteso disciplinare una figura speciale di arbitrato rituale. L’apparente mancanza di distinzione tra arbitrato libero e rituale che si ricava
(5) L’art. 35, comma 5 del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 prevede che: « La devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela
cautelare a norma dell’articolo 669-quinquies del codice di procedura civile, ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la
validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell’efficacia della delibera ».
(6) In questo senso LUISO, in Commento agli artt. 34, 35, 36 in Il nuovo processo societario, a cura di LUISO, Torino, 2006, 556-557 secondo il quale le nuove norme in materia
di arbitrato societario disciplinano una figura speciale di arbitrato rituale in quanto il riferimento operato dall’art. 35, comma 5, D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 all’arbitrato irrituale dimostra che quando il Legislatore ha inteso riferirsi ad esso lo ha fatto espressamente. In giurisprudenza Trib. Genova, 7 marzo 2005 in Corriere del merito, 2005, 7, 759: « Con la riforma del diritto societario è stato previsto un nuovo modello di arbitrato rituale endosocietario che si è aggiunto, senza sostituirlo, all’arbitrato di diritto comune disciplinato dal codice di rito ».
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dalla lettura degli artt. 34, 35 e 36 non ha impedito alla dottrina di rilevare,
soprattutto a seguito dell’introduzione della novella di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, l’incompatibilità tra la disciplina dettata dalle norme in
parola e l’arbitrato irrituale. È stato, infatti, osservato che: « per il fatto
stesso che il Legislatore ora definisca il lodo irrituale una “determinazione
contrattuale”, applicare la disciplina dell’arbitrato endosocietario all’arbitrato irrituale è divenuto oltremodo difficile. L’arbitrato endosocietario,
com’è noto, ha fra le proprie caratteristiche di fondo il superamento delle
caratteristiche negoziali dell’arbitrato tradizionale, sicché la divaricazione
fra arbitrato endosocietario ed arbitrato irrituale si è accentuata sino ad apparire quale vera e propria incompatibilità » (7).
Fin dall’emanazione della disciplina speciale sull’arbitrato societario
parte della dottrina aveva negato l’applicabilità all’arbitrato irrituale dell’art. 35 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 dal momento che esso prevedeva inderogabilmente che il procedimento si concludesse con un lodo impugnabile con la querela nullitatis di cui all’art. 829 c.p.c. e con le impugnazioni
straordinarie di cui all’art. 831 c.p.c. (8). A seguito della novella di cui al
D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 la dottrina ha, poi, sollevato ulteriori perplessità anche sull’applicabilità all’arbitrato libero dell’art. 35, comma 2,
D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 che disciplina l’intervento di terzi nel giudizio arbitrale (9).
Va, poi, considerato che gli adempimenti pubblicitari previsti per la
domanda di arbitrato (art. 35, comma 1) e per l’ordinanza e il lodo che decidono sulla impugnazione della delibera dell’assemblea (art. 35, comma
5-bis) ictu oculi sono in contrasto con la riservatezza che da sempre caratterizza l’arbitrato irrituale e che spesso costituisce la ragione principale per
cui le parti optano per questa forma di risoluzione delle controversie (10).
(7) Cosı̀ NELA in Il nuovo processo societario, commentario a cura di S. CHIARLONI,
II ed., Bologna, 2008, 1252. A tale considerazione sistematica l’Autore, che modifica il contrario convincimento cui aveva aderito prima della novella del 2006, aggiunge, alla nota 114,
le ulteriori osservazioni che « un arbitrato irrituale nel quale si dovrebbe depositare la domanda, l’eventuale ordinanza che decide la sospensione e il lodo relativo all’impugnativa
della delibera, non sarebbe caratterizzato da quella riservatezza che spesso rappresenta il motivo preponderante per cui le parti scelgono la strada dell’arbitrato irrituale ».
(8) BIAVATI, Il procedimento nell’arbitrato societario, in questa Rivista, 2003, 46.
(9) NELA in Il nuovo processo societario, cit., 1253: « la recente riforma dell’arbitrato di diritto comune, con il nuovo art. 816-quinquies c.p.c. sottopone l’intervento o la
chiamata nel giudizio arbitrale di terzi a determinati limiti e l’ammette liberamente soltanto
per il caso di intervento adesivo dipendente o di intervento del litisconsorte necessario. Se la
disciplina dell’intervento prevista, invece, nell’art. 35, comma 2 fosse applicabile all’arbitrato
irrituale endosocietario, tale tipo di arbitrato godrebbe di regole sulla partecipazione di terzi
al giudizio più liberali di quelle previste per l’arbitrato rituale di diritto comune. Ciò costituirebbe una grave anomalia sistematica, anche secondo il comune sentire in materia ».
(10) Cosı̀ NELA in Il nuovo processo societario, cit., 1252, nota 114: « un arbitrato
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Senz’altro, però, il punto più rilevante dell’incompatibilità tra arbitrato irrituale e disciplina speciale è quello relativo alle controversie aventi
ad oggetto l’impugnativa di delibere assembleari. Al riguardo l’art. 36 del
D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 prevede che nonostante eventuale diversa disposizione della clausola compromissoria, in materia di validità delle delibere assembleari gli arbitri devono sempre decidere secondo diritto con
lodo impugnabile ai sensi dell’art. 829, comma 2 c.p.c. (11). Il richiamo, a
seguito della novella di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, è oggi da intendersi all’art. 829, comma 3 c.p.c. il quale consente l’impugnazione per
nullità del lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito della
controversia quando espressamente prevista dalle parti o dalla legge. Dunque per effetto del combinato disposto dell’art. 36 D.Lgs. 17 gennaio 2003
n. 5 e dell’art. 829, comma 3 c.p.c. le controversie in materia di validità
delle delibere assembleari possono essere decise solo con lodo impugnabile
per nullità per violazione delle norme di diritto relative al merito della controversia e soggetto a revocazione ex art. 831 c.p.c.
Ciò conduce ad escludere che le clausole compromissorie per arbitrato
irrituale possano avere ad oggetto controversie relative alla validità delle
delibere assembleari atteso che la decisione degli arbitri irrituali non è impugnabile per nullità ma è annullabile nei casi previsti dall’art. 808-ter,
comma 2, c.p.c. il quale, oltre tutto, non annovera, nel catalogo dei motivi
di annullamento, la violazione delle norme di diritto relative al merito della
controversia (12). Se si considera che uno dei principali motivi che hanno
irrituale nel quale si dovrebbe depositare la domanda, l’eventuale ordinanza che decide la sospensione e il lodo relativo all’impugnativa della delibera, non sarebbe caratterizzato da
quella riservatezza che spesso rappresenta il motivo preponderante per cui le parti scelgono
la strada dell’arbitrato irrituale ».
(11) L’art. 36 del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 prevede che: « Anche se la clausola
compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile, gli arbitri debbono decidere secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma
dell’art. 829, comma 2, del c.p.c. quando per decidere abbiano conosciuto di questioni non
compromettibili ovvero quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere
assembleari ».
(12) E.F. RICCI Il nuovo arbitrato societario in Riv. trim. dir. proc., 2003, 538: « le
clausole compromissorie per arbitrato irrituale non possono avere ad oggetto né le controversie relative alla validità di delibere assembleari né altre controversie insuscettibili di composizione negoziale tra le parti ». Conforme M. BOVE, L’arbitrato societario tra disciplina speciale e (nuova) disciplina di diritto comune, in Riv. dir. proc., 2008, 953: « mediante questo
tipo di arbitrato [scilicet— irrituale] non si possono risolvere le liti relative ad impugnative
di delibere assembleari posto che il chiaro dettato dell’art. 36 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5
esige per questo genere di controversie non solo che il lodo sia pronunciato secondo diritto,
ma anche che esso sia del tipo rituale. Ciò, a mio parere, emerge dalla necessità che al soccombente venga lasciata aperta la via dell’impugnazione di cui agli artt. 828-829 c.p.c. lamentando l’error in judicando in jure, via certamente diversa da quella dell’impugnazione
del lodo negozio a causa della nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c.per contrarietà a norme im-
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spinto il Legislatore a dettare una disciplina speciale per gli arbitrati societari va ricercato nella volontà di risolvere i precedenti contrasti sull’arbitrabilità delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere assembleari (13) ci si avvede che l’esclusione dell’arbitrato irrituale dall’ambito di applicazione dell’art. 36 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 implica
l’esclusione dello stesso dalla ratio legis della disciplina speciale dell’arbitrato societario.
Parte della dottrina muovendo dal presupposto che l’art. 36 D.Lgs. 17
gennaio 2003 n. 5 costituisca « il perno dell’intera normazione » che bilancia l’estensione delle controversie arbitrabili con l’introduzione di elementi
paragiurisdizionali che rendono l’arbitrato societario equivalente sul piano
funzionale al giudizio avanti al giudice ordinario (14), è giunta alla conclusione che in materia societaria « non è possibile un arbitrato irrituale da
clausola compromissoria statutaria (idonea a generare soltanto un arbitrato
di diritto, governato da norme inderogabili di procedimento) ma è certamente possibile un arbitrato irrituale in materia societaria, derivante da
compromesso o da clausola compromissoria atipica » (15). Quindi secondo
la tesi in commento il riferimento all’arbitrato libero, contenuto nell’art. 35,
comma 5, D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, starebbe a significare che in caso
di arbitrato in materia societaria si potrà sempre e in ogni caso chiedere la
tutela cautelare al giudice ordinario qualunque sia la fonte del potere degli
arbitri (clausola compromissoria statutaria per arbitrato rituale ovvero compromesso, che potrà anche prevedere un arbitrato libero) (16).
4. Altra parte della dottrina rilevato che l’art. 35, comma 5, D.Lgs.
17 gennaio 2003 n. 5 prevede espressamente la possibilità di un arbitrato
libero in materia societaria ritiene che esso, sia che derivi da compromesso
perative ». Si veda anche ZUCCONI GALLI FONSECA in Arbitrati speciali, commentario a cura di
F. CARPI, Bologna, 2008, 112: « se ci si cala nei profili endosocietari si scopre che, dal raffronto fra il modello rituale ed irrituale, emergono alcuni contrasti difficilmente sanabili: ad
esempio, la garanzia di impugnazione per violazione di norme anche non inderogabili sancita dall’art. 36 confligge con l’immunità del lodo irrituale rispetto alla legge ».
(13) BOVE, L’arbitrato societario cit., 934.
(14) BIAVATI, Arbitrato societario, in Arbitrati speciali, Bologna, 2008, 143 secondo
il quale « il legislatore del 2003 ha cercato di bilanciare l’estensione dell’arbitrato a materie
che lo jus receptum considerava non compromettibili mediante l’introduzione di forti elementi paragiurisdizionali, tali da rendere il giudizio arbitrale più possibile equivalente sul
piano funzionale a quello davanti al giudice ordinario ».
(15) BIAVATI, Arbitrato societario cit., 143 che già si era espresso nello stesso senso
in BIAVATI, Il procedimento nell’arbitrato societario, cit., 47.
(16) Ritengono inammissibile l’arbitrato irrituale da clausola compromissoria statutaria in materia societaria anche CARPI, Profili dell’arbitrato in materia di società, in questa
Rivista, 2003, 411 ss.; CORSINI, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur. it.,
2003, 1297; CONSOLO, Deleghe processuali e partecipazione alla riforma della Cassazione e
dell’arbitrato, in Corr. giur., 2005, 1189.
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o, ove la si ritenga ammissibile, da clausola statutaria, debba essere disciplinato da quelle norme speciali dell’arbitrato societario che non sono incompatibili con l’arbitrato irrituale (17). Posto in questi termini recessivi il
problema si concentra pressoché interamente sull’art. 34 D.Lgs. 17 gennaio
2003 n. 5 e sulla applicabilità, diretta o analogica, all’arbitrato irrituale
delle norme da esso dettate in materia di clausola compromissoria statutaria sia sotto il profilo del suo inserimento negli atti costitutivi sia sotto il
profilo del suo contenuto con particolare riguardo alla modalità di nomina
degli arbitri (18).
Autorevole dottrina ritiene che anche le clausole compromissorie statutarie per arbitrato irrituale siano « sottoposte alla disciplina prevista dalle
nuove norme, per quanto concerne il loro contenuto e le regole da prevedere circa la nomina degli arbitri (ivi compresa quella che affida tale nomina a soggetto estraneo alla compagine sociale) » (19). Altri Autori ammettono, ancor più restrittivamente, la possibilità di « prendere a prestito
talune regole dal gemello rituale per il caso di vicende omologhe » (20) per
colmare eventuali « lacune di gestione » dell’arbitrato libero tramite un’applicazione analogica dell’art. 34 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 limitata: a) al
divieto di clausole compromissorie statutarie per arbitrato libero nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 34, comma
1); b) al meccanismo di nomina degli arbitri (art. 34, comma 2); c) al di-
(17) Tesi respinta da BIAVATI, Arbitrato societario, cit., 134 nota 62: « non è neppure
possibile affermare che esista un arbitrato irrituale da clausola compromissoria a cui si applicherebbero solo talune delle regole di cui al D.Lgs. n. 5/2003: infatti il procedimento arbitrale societario è retto da un unico blocco di norme inderogabili, non separabili e non scindibili ».
(18) PICARONI, Limiti soggettivi all’applicazione dell’arbitrato societario, eccezione
di compromesso e compatibilità con l’arbitrato rituale, in Le società, 2008, 768 osserva giustamente come ridotto in questi angusti termini, l’intervento del Legislatore in materia di arbitrato irrituale sarebbe poco comprensibile e come sia preferibile « tentare di capovolgere la
prospettiva e prendere atto che il legislatore, prima nell’ambito societario, poi con il più recente intervento sull’arbitrato di diritto comune, attraverso la configurazione dell’arbitrato rituale come modulo procedimentale “giurisdizionalizzato”, ha operato nella direzione della
netta distinzione tra i due istituti e, perciò stesso, ha posto le basi per il superamento della
teoria unitaria ».
(19) E.F. RICCI, Il nuovo arbitrato societario, cit., 538. Conforme BOVE, L’arbitrato
societario, cit., 954 il quale osserva che la norma che prevede la nomina degli arbitri da parte
di un terzo « è stata dettata per il fatto che frequentemente le liti societarie assumono un carattere soggettivamente od oggettivamente complicato » e poiché la ratio della norma è
quello di superare questa complessità che è comune ad entrambi i tipi di arbitrato non si vede
la ragione per negarne l’applicabilità ad ogni tipo di arbitrato.
(20) DELLA PIETRA, La clausola compromissoria, in Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2006, 252. Nello stesso sembrerebbe anche LUISO, in Commento agli artt. 34, 35, 36, cit., 556-557 secondo il quale le norme della
disciplina speciale sarebbero « idonee a fornire elementi relativi a profili generali dell’arbitrato sia rituale sia irrituale ».
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ritto di recesso a seguito dell’introduzione della clausola compromissoria
per i soci assenti o dissenzienti (art. 34, comma 6).
Peraltro è proprio sul versante dell’applicabilità dell’art. 34 D.Lgs. 17
gennaio 2003 n. 5, in particolare del secondo comma che prescrive la nomina degli arbitri da parte di un soggetto estraneo alla società, che si sono
registrate le uniche pronunce giurisprudenziali che hanno affrontato ex professo il tema qui trattato e che hanno escluso la nullità delle clausole compromissorie che omettevano di demandare la nomine degli arbitri liberi a
soggetti estranei alla società proprio sul rilievo della non applicabilità dell’art. 34 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 alle clausole compromissorie per arbitrato irrituale (21).
In ogni caso, per tornare alla fattispecie decisa dal tribunale di Genova, anche coloro che ammettono un’applicazione parziale, diretta o analogica, della disciplina speciale societaria all’arbitrato libero escludono,
poi, l’art. 34, comma 4, D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 dal novero delle
norme applicabili. Ciò vuoi perché si dubita radicalmente della legittimità
costituzionale della norma (22) vuoi perché si esclude che vi sia al riguardo
(21) Trib. Biella, 28 febbraio 2005 in Giur. it., 2006, 1, 101, nota di NELA: « La
nuova disciplina dell’arbitrato societario, contenuta agli artt. 34, 35 e 36 D.Lgs. n. 5/2003,
non si occupa dell’arbitrato irrituale (salvo l’accenno contenuto all’art. 35, comma 5), ma introduce e disciplina una speciale forma di arbitrato rituale ». App. Torino, 4 aprile 2007, in
Giur. it., 2007 2240 secondo la quale alla clausola compromissoria per arbitrato irrituale non
si applica l’art. 34 D.Lgs. n. 5/2003 perché detta norma: « riguarda invero esclusivamente
l’arbitrato rituale... e non anche l’arbitrato libero; ciò si desume dall’art. 35 comma 2 D.Lgs.
n. 5/2003; il detto comma, infatti, facendo riferimento al “procedimento arbitrale promosso
a seguito della clausola compromissoria di cui all’art. 34” detta disposizioni che presuppongono un arbitrato rituale ed incompatibili con l’arbitrato libero (basti pensare al riferimento
ad una “udienza di trattazione” e alle ivi previste modalità di intervento in causa di terzi, ai
sensi degli artt. 105, 106, 107 c.p.c., il quale implica una struttura contenziosa del procedimento; la cosa risulta ancor più chiaramente dal comma successivo, il quale, ponendosi con
continuità di discorso nel trattare l’arbitrato di cui all’art. 34, fa riferimento a specifiche
norme del c.p.c. dettate per l’arbitrato rituale, tra cui l’impugnazione per nullità ex art. 829
c.p.c., chiaramente compatibili con il solo arbitrato rituale (come desumibile anche, “a contrario”, dalla necessità di espressa previsione normativa per estendere all’arbitrato libero la
specifica disposizione dettata in tema di provvedimenti cautelari, come da comma 5 dell’art.
35) ». App. Torino, 29 marzo 2007 in Giur. it., 2007, 10, 2237: « È valida la clausola compromissoria introdotta “ex novo” nello statuto di una società (nella specie: di persone) e non
conforme all’art. 34 D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (la clausola prevedeva un arbitrato irrituale
e stabiliva che i tre arbitri fossero nominati uno per ciascuno dei due contendenti ed il terzo
dai primi due ovvero, in mancanza di accordo, dal Presidente del Tribunale) ». Contra Trib.
Pordenone, 19 luglio 2005 consultabile in www.judicium.it. che ha ritenuto, senza però motivare sul punto, applicabile all’arbitrato libero l’art. 34 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5.
(22) BOVE, L’arbitrato societario, cit., 2008, 939 secondo il quale: « secondo i principi generali la convenzione di arbitrato può valere solo fra coloro che l’hanno sottoscritta,
né la via arbitrale può essere imposta, direttamente o indirettamente, ad un soggetto che non
l’abbia scelta consapevolmente... Se nel caso concreto non emergono indizi sulla consapevolezza... non credo che possa salvarsi la disciplina speciale costruendo una presunzione di vo-
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una lacuna normativa da colmare in via analogica (23) vuoi, infine, per la
ritenuta natura eccezionale dell’art. 34, comma 4, D.Lgs. 17 gennaio 2003
n. 5 (24). Alla luce di quanto sopra pare lecito affermare che, contrariamente
a quanto ritenuto dal giudice ligure, la clausola compromissoria statutaria
per arbitrato libero, anche ove se ne ammettesse la validità, non può essere
considerata opponibile agli amministratori, sindaci o liquidatori della società quale automatica conseguenza dell’accettazione da parte loro dell’incarico.
MASSIMO PIAZZA
lontà in capo all’amministratore, liquidatore o sindaco che abbia accettato l’incarico. Qui
siamo di fronte ad un arbitrato imposto e quindi siamo di fronte ad una violazione dell’art.
24 comma 1 Cost. considerando che non è lasciata alcuna possibilità di declinare la via arbitrale ». Nello stesso senso F.P. LUISO, in Commento agli artt. 34, 35, 36, cit., 571-572.
(23) DELLA PIETRA, La clausola compromissoria, cit., 253.
(24) Cosı̀ NELA, in Il nuovo processo societario, cit., 1194: « la nuova norma... si traduce nella deroga al principio fissato dall’art. 808 c.p.c. secondo cui la clausola compromissoria deve essere resa per iscritto. È ben vero che oggi prevale in giurisprudenza la tesi secondo cui detto principio è rispettato allorché l’accettazione della clausola avvenga attraverso
una dichiarazione scritta, la quale richiami la pattuizione in cui la clausola è stata posta ma
nel caso ipotizzato difetta proprio quest’ultima ».
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I)
STRANIERA
Sentenze annotate
BUNDESGERICHTSHOF, Beschluss 5 febbraio 2009-IXZB 89/06 — A c. B.
Arbitrato - Sentenza che ordina un provvedimento conservativo a tutela di
credito accertato da lodo arbitrale - Richiesta di exequatur - Convenzione
di Bruxelles del 1968 - Applicabilità.
La sentenza straniera che abbia ordinato la costituzione di una garanzia bancaria a tutela di un credito, la cui esistenza sia stata incontrovertibilmente accertata con lodo arbitrale non è per ciò solo esclusa dall’ambito di applicazione della
Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze straniere.
CENNI DI FATTO. — A viene condannata con sentenza dell’Arrondissementsrechtsbank di Rotterdam a costituire una garanzia bancaria presso una banca olandese
munita di buona reputazione per un importo pari all’ammontare di un credito vantato nei suoi confronti da B. L’esistenza di tale credito è stata incontrovertibilmente
accertata da un lodo arbitrale. A deve inoltre pagare una somma a titolo di penale
per ogni giorno di ritardo nella costituzione della garanzia. Il provvedimento viene
dichiarato esecutivo in Germania dal Landgericht di Monaco di Baviera in conformità a quanto disposto dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giurisdizionali provenienti da altro Stato membro. L’Oberlandesgericht di Monaco, dinanzi a cui
viene impugnato tale provvedimento, revoca l’exequatur in quanto si tratterebbe di
un dictum in materia arbitrale come tale escluso dall’ambito di applicazione della
Convenzione, ai sensi dell’art. 1, n. 4 Conv. Tale provvedimento è impugnato da B
dinanzi al Bundesgerichtshof.
I. — 1 Mit Urteil der Arrondissementsrechtsbank Rotterdam vom 4. Oktober 2001 (Aktenzeichen: 125645/ KG ZA 99-1313) wurde die Antragsgegnerin
verurteilt, innerhalb von zwei Werktagen nach Zustellung dieses Urteils als Sicherheit für die Bezahlung der Forderung der Antragstellerin, wie diese im Endurteil
des Schiedsgerichts vom 1. Oktober 1993 festgesetzt worden ist, die jedoch am 27.
September 2001 NLG 730. 211, 52 beträgt, von einer gut beleumundeten niederländischen Bank eine Bankgarantie in dieser Höhe zu leisten. Verbunden war dies
mit der Androhung eines an die Klägerin zu zahlenden Zwangsgeldes in Höhe von
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NLG 5. 000 für jeden Tag, den die Beklagte damit in Verzug ist, und zwar bis zu
einem Betrag von maximal NLG 1 Million. Die Antragsgegnerin wurde weiter verurteilt, die Kosten dieses summarischen Verfahrens zu tragen, die auf Seiten der
Klägerin mit NLG 587, 35 an Auslagen und mit NLG 3. 000 an Honorar für die
Prozessbevollmächtigten veranschlagt wurden.
2 Auf Antrag der Rechtsbeschwerdeführerin hat der Vorsitzende einer Zivilkammer des Landgerichts angeordnet, dass das Urteil mit der Vollstreckungsklausel
zu versehen ist.
3 Auf die hiergegen eingelegte sofortige Beschwerde hat das Oberlandesgericht den Beschluss des Landgerichts aufgehoben und den Antrag auf Vollstreckbarerklärung zurückgewiesen.
4 Mit der Rechtsbeschwerde verfolgt die Antragstellerin ihren Antrag auf
Vollstreckbarerklärung weiter.
II. — 5 Das gemäß § 15 Abs. 1 AVAG, § 574 Abs. 1 Satz 1 Nr. 1 ZPO statthafte Rechtsmittel ist zulässig, § 574 Abs. 2 Nr. 2 ZPO, weil die Entscheidung des
Beschwerdegerichts von der Rechtsprechung des Europäischen Gerichtshofs abweicht. Die Rechtsbeschwerde ist auch im Übrigen zulässig, insbesondere formund fristgerecht eingelegt und begründet worden, § 15 Abs. 2 und 3, § 16 AVAG,
§ 575 Abs. 2 bis 4 ZPO.
6 Die Rechtsbeschwerde ist auch begründet. Entgegen der Auffassung des
Beschwerdegerichts ist auf die beantragte Vollstreckbarerklärung das Brüsseler
EWG-Übereinkommen über die gerichtliche Zuständigkeit und die Vollstreckung
gerichtlicher Entscheidungen in Zivil- und Handelssachen (EuGVÜ) anwendbar.
7 1. Das Beschwerdegericht hat zutreffend gesehen, dass sich die Möglichkeit der Vollstreckbarerklärung des Urteils des Rotterdamer Gerichts, das vom 4.
Oktober 2001 stammt, nicht nach der Verordnung (EG) Nr. 44/ 2001 des Rates über
die gerichtliche Zuständigkeit und die Anerkennung und Vollstreckung von Entscheidungen in Zivil- und Handelssachen — im Folgenden: EuGV-VO — vom 22.
Dezember 2000 (Amtsblatt EG 2001 Nr. L 12 S. 1) richtet. Diese Verordnung ist
gemäß ihrem Art. 76 erst am 1. März 2002 in Kraft getreten. Gemäß Art. 66, 68
EuGVVO ist deshalb auf den Streitfall das zuvor geltende EuGVÜ anzuwenden.
8 2. Das Beschwerdegericht hat jedoch zu Unrecht angenommen, dass nach
Art. 1 Abs. 2 Nr. 4 EuGVÜ dieses Abkommen für den vorliegenden Fall nicht
gelte. Nach dieser Bestimmung ist dieses Übereinkommen nicht anwendbar auf die
Schiedsgerichtsbarkeit.
9 Das Beschwerdegericht hat gemeint, der Begriff der Schiedsgerichtsbarkeit sei weit auszulegen; darunter fielen auch Gerichtsentscheidungen,
die Schiedssprüche in sich einschlössen. Dies sei hier der Fall, weil das Urteil des
Rotterdamer Gerichts das Endurteil des Schiedsgerichts vom 1. Oktober 1993 in
sich mit aufnehme. Dies ergebe sich sowohl aus dem Tenor dieser Entscheidung
wie auch aus den Entscheidungsgründen. Diese Beurteilung hält rechtlicher Prüfung nicht stand.
10 a) Richtig ist allerdings der Ausgangspunkt des Beschwerdegerichts.
Art. 1 Abs. 2 Nr. 4 EuGVÜ ist — nicht anders als nunmehr Art. 1 Abs. 2
Buchst. d EuGVVO — weit auszulegen. Von der Ausnahmeregelung werden alle
staatsgerichtlichen Verfahren erfasst, die einem Schiedsverfahren dienen, ein
Schiedsgericht unterstützen oder seine Funktionsfähigkeit herstellen sollen. So
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greift die Ausnahme ein, wenn Gegenstand des Rechtsstreits die Wirksamkeit oder
Unwirksamkeit eines Schiedsvertrages ist, wenn ein Schiedsurteil für vollstreckbar
erklärt oder wenn es aufgehoben werden soll (vgl. Thomas/ Putzo/ Hüßtege, ZPO
29. Aufl. Art. 1 EuGVVO Rn. 9; Zöller/ Geimer, ZPO 27. Aufl. Art. 1 EuGVVO
Rn. 43; mit kritischer Bewertung Schlosser, EU-Zivilprozessrecht, 2. Aufl. Art. 1
Rn. 23; Kropholler, Europäisches Zivilprozessrecht 8. Aufl. Art. 1 Rn. 41 ff; Rauscher/ Mankowski, Europäisches Zivilprozessrecht 2. Aufl. Art. 1 Brüssel I-VO Rn.
27 ff; Geimer/ Schütze, Europäisches Zivilverfahrensrecht 2. Aufl. Art. 1 Rn. 150
ff).
11 Das EuGVÜ ist insbesondere dann nicht anwendbar, wenn Schiedsrichter ernannt oder abberufen werden sollen, selbst wenn das Bestehen oder die Gültigkeit einer Schiedsvereinbarung nur eine Vorfrage des Rechtsstreits ist (EuGH,
Urt. v. 25. Juli 1991 Rs C 190/ 89, NJW 1993, 189, 190).
12 Zum Umfang des Ausschlusses der Schiedsgerichtsbarkeit gibt der Bericht Schlosser folgende Erläuterungen: « Das EuGVÜ bezieht sich nicht auf gerichtliche Verfahren, die einem Schiedsverfahren dienen sollen, wie etwa Verfahren
zur Ernennung oder Abberufung von Schiedsrichtern. ... Dieses (gemeint: das
EuGVÜ) bezieht sich auch nicht auf Verfahren und Entscheidungen über Anträge
auf Aufhebung, Änderung, Anerkennung und Vollstreckung von Schiedssprüchen.
Das gilt auch für Gerichtsentscheidungen, die Schiedssprüche in sich inkorporieren.
... » (Schlosser Bericht Nr. 64 und 65; abgedruckt Amtsblatt Europäische Gemeinschaften 1979 Nr. C 59 S. 71, 93; hierauf Bezug nehmend auch EuGH, Urt. v. 17.
November 1998 Rs C 391/ 95, EuZW 1999, 413, 415 Rn. 32).
13 b) Bei dem Urteil des Rotterdamer Gerichts handelt es sich entgegen der
Auffassung des Beschwerdegerichts aber nicht um ein Urteil, das das Urteil eines
Schiedsgerichts in diesem Sinne unterstützte, seinen Inhalt für vollstreckbar erklärte oder das Schiedsurteil seinem Inhalt nach inkorporierte. Das Urteil lässt das
von ihm in Bezug genommene Schiedsurteil völlig unberührt. Es leitet vielmehr
aus dem den Rechtsbeziehungen zwischen den Parteien zugrunde liegenden Vertrag
eine Verpflichtung der Antragsgegnerin ab, auf erstes Ersuchen der Antragstellerin
Sicherheitsleistung für ihre vertraglichen Verpflichtungen zu erbringen (Urteil Nr.
4. 2. 1 Abs. 3). Die vom Schiedsgericht ausgesprochene Verpflichtung wird weder
auf Richtigkeit überprüft noch in das Urteil einbezogen. Lediglich im Hinblick auf
den Umstand, dass die Zahlung der Antragsgegnerin bisher ausgeblieben ist und
eine Vollstreckung des Schiedsspruchs in Deutschland möglicherweise noch viele
Jahre dauern könne, wurde die Erbringung einer Sicherheitsleistung in einem summarischen Verfahren angeordnet.
14 Die Entscheidung des Schiedsurteils soll mit dem hier in Frage stehenden Urteil des Rotterdamer Gerichts weder vollstreckt noch für vollstreckbar erklärt
werden. Auch gründet das Urteil den zu sichernden Anspruch nicht auf die Unanfechtbarkeit jenes Schiedsspruchs. Dieser wird vielmehr nur in Bezug genommen
zur näheren Bezeichnung der materiellen Forderung, für die Sicherheit geleistet
werden soll. Der Anspruch auf Sicherheitsleistung wird selbständig aus dem zugrunde liegenden Vertrag abgeleitet.
15 c) Von der Regelung des Art. 1 Abs. 2 Nr. 4 EuGVÜ werden nicht erfasst einstweilige Maßnahmen, die lediglich der Sicherung eines Anspruchs dienen,
nicht aber der Durchführung des Schiedsverfahrens oder der Vollstreckung des
Schiedsurteils (Thomas/ Putzo/ Hüßtege, aaO Art. 1 Rn. 9 a. E.; Zöller/ Geimer,
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aaO Art. 1 EuGVVO Rn. 45 a. E.; Geimer in Geimer/ Schütze, aaO Art. 1 Rn. 164;
Rauscher/ Mankowski, aaO Art. 1 Brüssel I-VO Rn. 28b; OLG München — 25 W
1067/ 00, OLG-Report 2000, 266, 267).
16 Dies ergibt sich entgegen der Auffassung des Beschwerdegerichts insbesondere auch aus dem Urteil des Europäischen Gerichtshofs vom 17. November
1998 (aaO S. 415; vgl. auch Urt. v. 27. April 1999 — Rs C 99/ 96, EuZW 1999,
727, 729 f). Danach sind einstweilige Maßnahmen grundsätzlich nicht auf die
Durchführung eines Schiedsverfahrens gerichtet; sie werden vielmehr parallel zu
einem solchen Verfahren angeordnet. Gegenstand einer solchen Maßnahme ist nicht
die Schiedsgerichtsbarkeit, sondern die Sicherung der Ansprüche. Daher bestimmt
sich die Anwendung des Übereinkommens auf eine einstweilige Maßnahme nicht
nach deren Rechtsnatur, sondern nach derjenigen der durch sie gesicherten Ansprüche (vgl. auch OLG München aaO).
17 Bei den gesicherten Ansprüchen handelt es sich um zivilgerichtliche Ansprüche nach Art. 1 Abs. 1 Satz 1 EuGVÜ. Entgegen der Auffassung des
Beschwerdegerichts geht es nicht um die Sicherung des Anspruchs aus einem bereits unanfechtbar gewordenen Schiedsspruch, sondern um die Sicherung der
Durchsetzung des materiell-rechtlichen Anspruchs, der daneben allerdings Gegenstand des schiedsgerichtlichen Verfahrens war. Auf die Vollstreckbarerklärung und
Klauselerteilung ist deshalb das Übereinkommen anwendbar.
18 3. Da das Beschwerdegericht die Anwendbarkeit des EuGVÜ zu Unrecht
verneint hat, ist die angefochtene Entscheidung aufzuheben und die Sache zur erneuten Entscheidung zurückzuverweisen. Das Beschwerdegericht wird nunmehr zu
prüfen haben, ob die Voraussetzungen für eine Vollstreckbarerklärung nach dem
Übereinkommen vorliegen.
Ancora sui rapporti tra arbitrato, Convenzione di Bruxelles del 1968 e
Reg. n. 44/2001, alla luce delle ultime proposte di modifica.
1. Con la pronuncia in epigrafe, il giudice di legittimità tedesco (di
seguito: BGH) affronta il delicato tema dei rapporti tra arbitrato e Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze nello spazio giudiziario europeo, vigente all’epoca dei fatti ma attualmente sostituita dal Reg. n. 44/2001.
Come noto, l’art. 1, par. 2, lett. d della Convenzione di Bruxelles del
1968 — senza soluzione di continuità rispetto a quanto attualmente contemplato dal Reg. n. 44/2001 — esclude(va) l’arbitrato dal campo di applicazione del regolamento. Poiché nel passaggio dal testo convenzionale a
quello regolamentare la normativa presa ad esame dal BGH è rimasta invariata, nel proseguo di questa nota affronteremo l’argomento riferendoci
alle disposizioni oggi vigenti ossia al Reg. n. 44/2001.
Nella vicenda che ha condotto all’emanazione della decisione che qui
si commenta si trattava di stabilire se una sentenza che ingiungeva al debitore di costituire una garanzia bancaria a tutela di un credito accertato come
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esistente da un lodo arbitrale fosse, per tale motivo, da escludere dal regime
circolatorio semplificato di cui al Reg. n. 44/2001 (1).
Sulla portata applicativa della clausola di esclusione di cui all’art. 1,
par. 2, lett. d) Reg. n. 44/2001 non vi è infatti chiarezza, ché anzi, nell’ambito della dottrina e della giurisprudenza nazionale, si contendono il campo
due differenti letture (2), essendo certo soltanto che la normativa europea
non si applica al riconoscimento ed all’esecuzione dei lodi arbitrali, cosı̀
come ai fini dell’individuazione del giudice munito di potestas judicandi
per le controversie relative all’arbitrato quale, ad esempio, l’impugnazione
del lodo (3).
Secondo i fautori dell’interpretazione ampia della clausola di esclusione (4) sarebbero da comprendere entro la sfera di operatività dell’art. 1, par.
(1) Nessun dubbio, infatti, sussiste in ordine al fatto che i provvedimenti che dispongono misure provvisorie siano idonei a circolare nello spazio giudiziario europeo secondo il
regime semplificato di cui al Reg. n. 44/2001 ed, in precedenza, di cui alla Convenzione di
Bruxelles del 1968. In proposito si veda per tutti MERLIN, Le misure provvisorie e cautelari nello
spazio giudiziario europeo, in Riv. dir. proc., 2002, 759 ss., spec. 764, testo e nota n. 10 nonché,
in giurisprudenza, OLG München, 5 aprile 2000, 25 W1067/00 (banca dati LexisNexis Recht).
(2) Come già avemmo modo di segnalare in D’ALESSANDRO, La Corte di giustizia dichiara le anti-suit injunctions a tutela dell’arbitrato incompatibili con il sistema del Reg. n.
44/2001, in questa Rivista, 2009, 74 ss., spec. 77 ss.
(3) Cosı̀, testualmente, si esprime la Relazione Jenard esplicativa della Convenzione
di Bruxelles del 1968, in POCAR, La Convenzione di Bruxelles sulla giurisdizione e l’esecuzione delle sentenze, III ed., Milano, 1995, 369 ss., spec. 381. A pag. 382 della Relazione Jenard si aggiunge che l’esclusione riguarderebbe a « maggior ragione » il riconoscimento
delle decisioni pronunciate all’esito dei giudizi intentati dinanzi al giudice statale ai fini dell’ottenimento dell’annullamento del lodo. Nel medesimo senso si è successivamente pronunciata la Relazione Evrigenis e Kerameus, in POCAR, op. cit., 535 ss., spec. 547, punto 35 ma
non anche la Relazione Schlosser, in POCAR, op. cit., 447 ss., spec. 467, punto 65, ove è stata
posta in essere una puntualizzazione che chi scrive condivide. Vi si afferma, cioè, che nel
caso in cui l’azione di annullamento del lodo venga accolta, occorre distinguere: A) se il lodo
è annullato in sede di impugnativa e l’autorità giurisdizionale provvede ella stessa al compimento della fase rescissoria, allora la normativa europea sarà pienamente applicabile trattandosi di decisione giurisdizionale in materia civile e commerciale, idonea ad integrare gli
estremi dell’(allora) art. 26 Conv.; B) diverso il caso in cui la fase rescissoria sia posta in
essere in sede in sede arbitrale. In tale eventualità a circolare sarà una decisione arbitrale, necessariamente al di fuori del regime della Convenzione di Bruxelles ed, attualmente, del Reg.
n. 44/2001. Lo stesso dovrebbe dirsi, secondo la Relazione Schlosser « per le decisioni giudiziarie in cui vengano incorporati lodi arbitrali, tecnica di riconoscimento abituale nel Regno Unito ».
(4) English Court of Appeal, Civil Division, 2 dicembre 2004, Through Transport
Mutual Insurance Association (Eurasia) Ltd v. New India Assurance Co Ltd [2005] 1 Lloyd’s
Rep. 67; High Court of Justice, Queen’s Bench Division, Commercial Court, 16 novembre
2000, Navigation Maritime Bulgare v. Rustal Trading Ltd [2002] 2 Lloyd’s Rep. 16. L’interpretazione è stata condivisa, in dottrina, da DICEY, MORRIS & COLINS, The Conflict of Laws, I,
London, 2007, spec. 746 ss.; POUDRET, Conflits entre juridictions étatiques en matière d’arbitrage international ou les lacunes des Conventions de Bruxelles et Lugano, in Festschrift
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2, lett. d) Reg. n. 44/2001 tutti i procedimenti giurisdizionali collegati, anche latamente, all’arbitrato, quale potrebbe essere, ad esempio, un provvedimento cautelare finalizzato a tutelare un diritto dedotto sub arbitri.
L’interpretazione restrittiva (5), invece, riconduce all’esclusione soltanto i procedimenti statali finalizzati al funzionamento della procedura arbitrale come, ad esempio, la richiesta al giudice statale della nomina di un
arbitro ovvero della sua revoca (6) o anche il giudizio avente quale esclusivo oggetto l’accertamento della validità della convenzione arbitrale (7).
Coloro i quali condividono questa lettura sottolineano che l’ipotesi in
cui il giudice nazionale tratti, solo incidentalmente, in sede di valutazione
della sussistenza della propria competenza giurisdizionale (e non già in via
principale, quale oggetto della controversia) della esistenza, validità ed efficacia di un accordo compromissorio rientra, viceversa, nell’ambito di applicazione della normativa europea (8).
für Otto Sandrock zum 70. Geburtstag, Heidelberg, 2000, 761 ss., spec. 766 e, recentemente,
anche SCHLOSSER, Anti-suit injunctions a sostegno dell’arbitrato internazionale (trad. it. di
MARINELLI), in Int’1 Lis, 2007, 96 ss., spec. 98 ss., andato di diverso avviso rispetto a quanto
precedentemente sostenuto in The 1968 Brussels Convention and Arbitration, in Arbitration
International, 1991, 227 ss., spec. 231-232. Questa stessa lettura fu peraltro suggerita dal
Governo italiano nelle osservazioni scritte presentate dinanzi alla Corte di giustizia nella
causa March Rich (per i cui riferimenti: infra, nota 9).
(5) Condivisa da KROPHOLLER, Europäisches Zivilprozessrecht, 5 Auflage, Frankfurt
am Main, 2005, 88-89; DUTTA, HEINZ, Prozessführungsverbote im englischen und europäischen Zivilverfahrensrecht, in ZEuP, 2005, 428 ss., spec. 460; MANKOWSKY, in RAUSCHER, Europäisches Zivilprozeßrecht, 2 Auflage, München, 2006, 99 ed, in giurisprudenza, da OLG
München, Beschluss 5 aprile 2010 - 25W1067/00 (banca dati LexisNexis Recht).
(6) Come chiarito dalle Relazioni esplicative della Convenzione di Bruxelles del
1968. Si vedano difatti la Relazione Schlosser, in POCAR, op. cit., 467, punto 62 e la Relazione Evrigenis e Kerameus, in POCAR, op. cit., 535 ss., spec. 547, punto 35.
(7) Su questo secondo profilo v. per tutti HESS, PFEIFFER, SCHLOSSER, The Brussels IRegulation (EC) No 44/2001. The Heidelberg Report on the Application of Regulation Brussels I in 25 Member States, München, 2008, 34-35 ed, in giurisprudenza, Cour d’appel de
Paris, 15 giugno 2006, in Rev. arb., 2007, 87 ss. con nota di BOLLÉE, la quale ha negato che
una decisione italiana avente ad oggetto l’accertamento dell’invalidità di un accordo compromissorio potesse circolare in Francia ai sensi della Convenzione di Bruxelles del 1968.
(8) Conf. Relazione Schlosser, in POCAR, op. cit., 467, punto 62; Relazione Evrigenis e Kerameus, in POCAR, op. cit., 547, punto 35. Si veda, tuttavia, la diversa opinione di
AUDIT, Arbitration and the Brussels Convention, in Arbitration International, 1993, 1 ss. cui
adde GAUDEMET TALLON, Compétence et exécution des jugements en Europe, Paris, 2010, 4344, i quali suggeriscono che la normativa europea debba essere viceversa dichiarata inapplicabile tutte le volte in cui sia eccepita la sussistenza di una convenzione di arbitrato da reputare esistente prima facie. Una simile lettura è evidentemente finalizzata a garantire l’applicazione, anche all’interno dello spazio giudiziario europeo, della regola di matrice francese
di cui all’art. 1458 NCPC (dal 1o marzo 2011: art. 1448 NCPC) in forza della quale soltanto
l’arbitro e non anche il giudice statale è il soggetto naturalmente deputato a decidere sulla
sussistenza di un valido accordo compromissorio. In proposito, se vuoi, D’ALESSANDRO, La
Corte di giustizia dichiara le anti-suit injunctions a tutela dell’arbitrato, cit., 86 nota 38. La
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L’organo giurisdizionale cui spetta la funzione di nomofilachia del diritto dell’Unione europea, ossia la Corte di giustizia, per ben tre volte è
stata chiamata a chiarire la portata dell’art. 1, n. 2, lett. d) Convenzione di
Bruxelles del 1968 (attualmente: Reg. n. 44/2001) optando, in linea di
principio, a favore della lettura restrittiva.
In primis, con la pronuncia March Rich (9) i giudici del Kirchberg ebbero ad affermare che, se la ragione dell’esclusione dell’arbitrato dall’ambito di applicazione dell’(allora) Convenzione di Bruxelles del 1968 era da
ravvisare nella sussistenza della Convenzione di New York del 1958, la
quale, nella misura in cui disciplina la circolazione degli accordi compromissori, si impone ai giudici statali, allora ciò significa che si è « inteso
escludere l’arbitrato in quanto materia nel suo complesso, comprese le
azioni intentate dinanzi agli organi giurisdizionali degli Stati » (10).
In tale contesto, si osservò altresı̀ che « Per stabilire se una controversia rientri nell’ambito di applicazione della convenzione, deve essere
preso in considerazione il solo oggetto (principale, N.d.A.) di tale controversia. Se, in virtù del suo oggetto, come la designazione di un arbitro, una
controversia è esclusa dall’ambito di applicazione della convenzione, l’esistenza di una questione preliminare, su cui il giudice deve pronunciarsi per
risolvere tale controversia, non può, indipendentemente dal contenuto di
tale questione, giustificare l’applicazione della convenzione » (11).
Se ne dedusse che l’art. 1, n. 2, lett. d) Conv. Bruxelles deve essere
interpretato « nel senso che l’esclusione..., si estende ad una controversia
soluzione suggerita dalla Relazione Schlosser non sembrerebbe creare problemi all’interno
del nostro ordinamento, almeno nel caso in cui si reputi che l’accertamento posto in essere
dall’autorità giurisdizionale onde accogliere o rigettare l’eccezione di patto compromissorio
abbia una valenza limitata al giudizio in corso, come del resto sostenuto dalla dottrina maggioritaria. Più complessa appare, invece, la situazione qualora si ritenga che tale accertamento sia idoneo a produrre un’efficacia extraprocessuale vincolante anche in sede arbitrale
(come ritiene, ad esempio, LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, in questa Rivista, 2005, 773
ss., spec. 790 ss.). Siffatto capo di pronuncia, difatti, non parrebbe suscettibile di circolare ai
sensi del Reg. 44/2001, proprio in forza del disposto di cui all’art. 1, n. 2, lett. d) Reg. 44/
2001 e della costante convinzione per cui le pronunce aventi ad oggetto l’accertamento extraprocessuale della validità dell’accordo compromissorio esorbitano dall’ambito di applicazione della indicata normativa. Su tali aspetti v. anche quanto si dirà nel testo al § 3.
(9) Corte di giustizia, sentenza 25 luglio 1991, in causa C-190/89, March Rich & Co.
c. Società italiana Impianti p.a., in questa Rivista, 1992, 111 con nota di MONACO, Convenzione di Bruxelles ed arbitrato ed in Rev. arb., 1991, 695 con nota senza titolo di HASCHER.
Ad ulteriore commento si vedano GAIA, Arbitrato e procedimento a giudiziario in Stati diversi dopo la sentenza della Corte di giustizia nella causa March Rich c. Italimpianti, in
questa Rivista, 1992, 417 ss.; GAUDEMET TALLON, Compétence et exécution des jugements en
Europe, Paris, 2010, spec. 43 ss.; HAAS, Der Ausschluß der Schiedsgerichtsbarkeit vom Anwendungsbereich des EuGVÜ, in IPRax, 1992, 292 ss.; WEIGAND, Die internationale Schiedsgerichtsbarkeit und das EuGVÜ, in EuZW, 1992, 529 ss.
(10) Ivi, punto 18 della motivazione.
(11) Ivi, punto 26 della motivazione.
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pendente dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno Stato che abbia ad
oggetto la designazione di un arbitro, anche se detta controversia solleva
la questione preliminare dell’esistenza o della validità di una clausola
compromissoria ».
Nel caso di specie, si trattava in effetti di risolvere una questione concreta concernente la sussumibilità sotto la disciplina comunitaria del procedimento di nomina di un arbitro da parte dell’autorità giurisdizionale statale.
Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Darmon aveva peraltro cercato di contrastare una lettura oltremodo restrittiva dell’art. 1, par. 1, lett.
d), Convenzione di Bruxelles del 1968, a mente della quale la normativa
europea non si applicherebbe ai soli procedimenti di riconoscimento ed
esecuzione dei lodi arbitrali (12). Infatti, osservava Darmon « se l’art. 1, secondo comma, della convenzione enumera ai nn. 1 (stato delle persone...),
2 (fallimento...), 3 (previdenza sociale...) materie che pur essendo soggette
ai giudici sono tuttavia escluse dalla convenzione, è logico che il n. 4, alla
fine della stessa norma, riguardi allo stesso modo le controversie sottoposte ai giudici degli Stati. Se l’esclusione dell’arbitrato avesse la portata
meramente dichiarativa che le attribuiscono la SII ed il sig. Schlosser —
vale a dire quella di ricordare qualcosa di evidente, cioè che una convenzione sulla competenza dei giudici e sul riconoscimento e l’esecuzione delle
decisioni giudiziarie non si applica ai procedimenti arbitrali ed al riconoscimento ed all’esecuzione dei lodi arbitrali — la ratio della disposizione
sarebbe allora assai poco coerente » (13).
In una seconda pronuncia, emessa all’esito della causa Van Uden (14)
la Corte di giustizia dichiarò che per stabilire se i provvedimenti provvisori
collegati all’arbitrato siano da considerare materia esclusa dalla normativa
europea, occorre avere riguardo alla natura dei diritti che essi mirano a tutelare. Se il diritto è compreso entro l’ambito di applicazione dell’(allora)
Convenzione di Bruxelles, oggi Reg. n. 44/2001, anche il provvedimento
provvisorio lo sarà e dunque potrà circolare in forza di un regime semplificato all’interno dello spazio giudiziario comune.
Ne deriva — come esplicitato dal BGH nella decisione che qui si
(12) Conclusioni dell’avv. generale Darmon presentate il 19 febbraio 1991, nella
causa C-190/89, March Rich & co., punto 53.
(13) Ivi, punto 55.
(14) Corte di giustizia, sentenza 17 novembre 1998, in causa C-391/95, Van Uden
Maritime BV c. Kommanditgesellschaft in Firma Deco-Line, spec. punto 33 della motivazione, commentata da PETTINATO, Provvedimenti provvisori ed arbitrato nella Convenzione di
Bruxelles del 1968, in questa Rivista, 1999, 324 ss.: da CONSOLO, Van Uden e Mietz: un’inevitabile Babele, in Int’l Lis, 2002, 30 ss. (ora anche in CONSOLO, DE CRISTOFARO, Il diritto
processuale internazionale visto da Int’1 Lis dal 2002 ad oggi, cit., 73 ss.); da GAUDEMET
TALLON, in Rev. arb., 1999, 152 ss.
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commenta — che sono da includere nella sfera applicativa del Reg. n. 44/
2001 le controversie in cui la questione concernente la validità di un accordo arbitrale assuma carattere meramente incidentale (Vorfrage), sia cioè
ponderata dal giudice al solo fine di determinare se sussiste la propria competenza giurisdizionale.
Da ultimo, nella sentenza West Tankers (15), la Corte del Lussemburgo, facendo applicazione del metodo di valutazione enunciato nella pronuncia Van Uden, ossia prendendo a riferimento la natura del diritto che il
procedimento mira a tutelare, ha concluso nel senso che un procedimento
di anti-suit injunction finalizzato a tutelare una procedura arbitrale esorbita
dall’ambito di applicazione del Reg. n. 44/2001 (16). L’opzione a favore
della lettura restrittiva delle materie escluse dal regolamento è stata tuttavia
alquanto mitigata dal richiamo all’effetto utile del diritto comunitario. Tale
richiamo ha difatti condotto la Corte del Lussemburgo a reputare la misura
de qua contrastante con i principi del Reg. n. 44/2001 e, segnatamente, con
il principio per cui ciascun giudice europeo deve poter valutare liberamente
la sussistenza della propria giurisdizione (17). Lo stesso risultato cui si sarebbe giunti interpretando in senso ampio l’art. 1, par. 2, lett. d), Reg. n.
44/2001.
Questo il contesto in cui si colloca la pronuncia in epigrafe.
2. Con il dictum che qui si commenta, il BGH — come già aveva
fatto prima di lui (l’impugnato dictum del)l’Oberlandesgericht di Monaco
di Baviera — ha aderito alla tesi per cui sarebbero da considerare materie
escluse dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 ed, attualmente, dal Reg.
(15) Corte di giustizia, 10 febbraio 2009, causa C-185/07, Allianz S.p.a., Generali
Assicurazioni S.p.a. c. West Tankers, in questa Rivista, 2009, 74 con nostra nota ed altresı̀
commentata da ARENAS GARCÌA, La inclusión progresiva del arbitraje en el Reglamento 44/
2001: de Van Uden a West Tankers y sus consecuencias, in Arbitraje, 2009, 401 ss.; WINKLER, West Tankers: la Corte di Giustizia conferma l’inammissibilità delle anti-suit injunctions
anche in un ambito escluso dall’applicazione del Regolamento Bruxelles I, in Dir. comm. int.,
2008, 735 ss.; FENTIMAN, Arbitration and Antisuit Injunctions in Europe, in The Cambridge
Law Journal, 2009, 278 ss.; BOLLÉE, in Rev. arb., 2009, 413 ss.; ILLMER, Anti-suit injunctions
zur Durchsetzung von Schiedsvereinbarungen in Europa - der letzte Vorhang ist gefallen, in
IPRax, 2010, 312 ss.; REQUEJO ISIDRO, West Tankers: otra vez no a las antisuit injunctions, in
Arbitraje, 2009, 429 ss.
(16) Ivi, punto 23 della motivazione. Sul punto v. anche ARENAS GARCÍA, La inclusión progresiva, cit., spec. 412.
(17) Non sembra, pertanto, aver riportato fedelmente le argomentazioni espresse
dalla Corte di giustizia nella pronuncia West Tankers, GAUDEMET TALLON, cit., Compétence et
exécution, 44 la quale afferma che, ad avviso dei giudici del Kirchberg, la fattispecie de qua
« tombe dans le champ d’application du règlement et donc... que l’injonction anti-suit est
impossible ». L’A., peraltro, prosegue sostenendo che una simile « inclusione » configge con
la regola della compétence-compétence pacificamente accolta in arbitrato internazionale (oltre che all’interno dell’ordinamento francese: supra nota 8).
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n. 44/2001, soltanto i procedimenti giurisdizionali finalizzati a garantire lo
svolgimento della procedura arbitrale, oltre a quelli concernenti la validità
dell’accordo arbitrale o l’esecuzione del lodo (la cui esclusione dall’ambito
applicativo della normativa europea abbiamo visto essere pacifica).
Tuttavia, mentre l’Oberlandesgericht di Monaco di Baviera aveva ritenuto di dover includere tra i provvedimenti esclusi dalla circolazione
« comunitaria » anche quello, di natura verosimilmente cautelare, finalizzato alla costituzione di una garanzia presso una banca olandese a tutela di
un diritto di credito accertato come esistente da un lodo arbitrale, il BGH
ha ragionevolmente respinto tale prospettiva.
La Corte di legittimità tedesca ha fatto correttamente notare che il
provvedimento cautelare in questione non era volto a garantire lo svolgimento della procedura arbitrale ma era piuttosto un procedimento autonomo finalizzato a tutelare un diritto di credito (rectius, la fruttuosità della
sua escussione); diritto che, in quanto tale, rientrava pienamente nella materia civile e commerciale di cui al Reg. n. 44/2001 secondo i criteri dettati
dalla giurisprudenza Van Uden. Ragion per cui, il dictum olandese poteva
essere munito di exequatur e circolare in via semplificata nello spazio giudiziario europeo ai sensi del menzionato regolamento e, prima ancora, ai
sensi della Convenzione di Bruxelles del 1968 (18).
Secondo i giudici tedeschi, non è idonea a confutare l’assunto la circostanza per cui si trattava di un credito, la cui esistenza era stata accertata
con un lodo arbitrale.
Infatti — stando a quanto risulta dalla motivazione della pronuncia
del BGH — il provvedimento olandese non faceva menzione della sentenza
arbitrale e neppure ne aveva recepito il contenuto dichiarativo. Ma se pure
cosı̀ fosse stato, il dictum giurisdizionale avrebbe potuto egualmente circolare ai sensi del Reg. n. 44/2001, non sostanziandosi in un award merged
into judgment che la Relazione Schlosser aveva escluso dal regime circolatorio della Convenzione di Bruxelles del 1968, in quanto tecnica anglosassone di riconoscimento dei lodi (19).
La soluzione adottata dal BGH sembra conseguentemente in linea con
la giurisprudenza della Corte di giustizia e con l’attuale tenore del Reg. n.
44/2001.
3. Ciò posto, non possono però considerarsi esaurite le considerazioni concernenti i rapporti tra arbitrato e Reg. n. 44/2001. Difatti, come
osservato dal Report sul Reg. n. 44/2001 (20) — la cui redazione, come
(18)
München, 5
(19)
(20)
In senso conforme, come ricordato anche dalla pronuncia in epigrafe; OLG
aprile 2000, 25 W 1067/00 (banca dati LexisNexis Recht).
Supra, nota 3.
HESS, PFEIFFER, SCHLOSSER, op. cit., spec. 33 ss.
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noto, era finalizzata ad un’eventuale modifica del regolamento medesimo
— e come testimonia la vicenda processuale che ha condotto all’emanazione della pronuncia in epigrafe, l’attuale disciplina delle relazioni tra arbitrato e Reg. n. 44/2001 non risulta pienamente soddisfacente.
Effettivamente, l’esclusione dell’arbitrato dall’ambito di operatività
del Reg. n. 44/2001, unita all’applicazione della regola, più volte richiamata dalla Corte di giustizia nelle proprie pronunce interpretative, per cui
ciascuna autorità giurisdizionale deve poter valutare autonomamente la sussistenza della propria competenza giurisdizionale, finisce per lasciare privi
di regole uniformi i seguenti aspetti:
a) circolazione delle decisioni giurisdizionali concernenti la mera validità della convenzione di arbitrato;
b) competenza ad emanare le misure giurisdizionali che consentono lo
svolgimento della procedura arbitrale;
c) riconoscibilità ed esecutività delle sentenze statali emesse nonostante la sussistenza di un valido patto compromissorio;
d) rapporti tra procedimento arbitrale pendente e giudicato proveniente da altro Stato membro avente il medesimo oggetto;
e) rapporti tra lodo arbitrale e giudicato proveniente da altro Stato
membro di tenore contrastante.
Tuttavia, dalla lettura del Report si evince che, nonostante le indicate
lacune, la maggioranza degli Stati membri si è dimostrata contraria alla totale abrogazione dell’art. 1, par. 1, lett. d) Reg. n. 44/2001 (21).
Nel tentativo di realizzare un coordinamento tra il principio secondo
cui ciascun giudice dello spazio giudiziario europeo deve poter autonomamente verificare la sussistenza della propria competenza giurisdizionale e la
regola, accolta dagli ordinamenti di matrice francese, della compétencecompétence, il Report suggeriva, per il futuro, di inserire nel corpo dell’art.
27 del Reg. n. 44/2001 una disposizione in virtù della quale il giudice di
uno Stato membro avrebbe avuto facoltà di sospendere il procedimento in
presenza di un’eccezione di patto compromissorio, nel caso in cui una
causa avente ad oggetto l’esistenza o la validità della convenzione arbitrale
fosse stata pendente dinanzi all’autorità giurisdizionale dello Stato membro
della sede dell’arbitrato (22).
La proposta pareva però inidonea a raggiungere lo scopo che si prefiggeva: in primo luogo, essa non si conformava alla regola della compé-
(21) HESS, PFEIFFER, SCHLOSSER, op. cit., spec. 32. Dei medesimi Autori v. Arbitrage et
droit communautaire: faut-il maintenir l’exclusion de l’arbitrage du champ d’application du
Règlement 44/2001?, in La Gazette du Palais, numero del 28 marzo 2008, 88, 5 ss. e Les
propositions du rapport Heidelberg concernant l’application de « Brussel I » à l’arbitrage una réponse à l’éditorial de Serge Lazareff, ivi, numero del 15 ottobre 2008, 289-290, 26 ss.
(22) HESS, PFEIFFER, SCHLOSSER, op. cit., 40.
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tence-compétence, in quanto sarebbe stato comunque un giudice statale a
valutare la validità o l’efficacia dell’accordo compromissorio.
In secondo luogo, posto che la decisione concernente la validità o
l’efficacia della convenzione di arbitrato (allo stato attuale) esorbita dall’ambito di applicazione del Reg. n. 44/2001 e la sua circolazione va dunque soggetta alla disciplina di diritto comune, non era affatto assicurato che
l’ordinamento di incardinazione del giudizio in cui era stato eccepito il
patto compromissorio fosse disposto a riconoscere il dictum proveniente
dallo Stato della sede dell’arbitrato. Questa è probabilmente la ragione per
cui la proposta contemplava una sospensione facoltativa e non già obbligatoria del giudizio pendente dinanzi all’autorità statale: si voleva, cioè, evitare di disporre una quiescenza inutile tutte le volte in cui una simile ricezione non potesse avere luogo.
Verosimilmente a causa di queste difficoltà, la proposta del Report non
è stata recepita dalla risoluzione del Parlamento europeo concernente la
proposta di modifica del Reg. n. 44/2001 (23).
Al punto 10 della risoluzione si legge infatti che il parlamento è « del
parere che l’articolo 1, paragrafo 2, lettera d) del regolamento debba chiarire che non solo i procedimenti arbitrali, ma anche i procedimenti giudiziari che decidono della validità o della misura della competenza arbitrale
in via principale o incidentale o pregiudiziale siano esclusi dal campo di
applicazione del regolamento; ritiene altresı̀ che sarebbe opportuno aggiungere un paragrafo all’articolo 31 che preveda che una sentenza non venga
riconosciuta qualora, nel pronunciare la propria decisione, il giudice dello
Stato membro di origine abbia ignorato, nel decidere una questione relativa
alla validità o alla portata di una clausola compromissoria, una norma della
legge in materia di arbitrato dello Stato membro in cui si chiede l’esecuzione, a meno che la sentenza di quello Stato membro produca lo stesso risultato che si sarebbe ottenuto se fosse stata applicata la legge in materia di
arbitrato dello Stato membro in cui si chiede l’esecuzione ».
Con tutta probabilità il primo suggerimento di modifica tende ad
esprimere expressis verbis ciò che già la giurisprudenza della Corte di giustizia aveva chiarito, ossia che l’esclusione di cui all’art. 1, par. 1, lett. d)
Reg. n. 44/2001 non riguarda soltanto il procedimento arbitrale — rectius
il riconoscimento e l’esecuzione del lodo — ma coinvolge pure i giudizi
(ovvero i procedimenti di volontaria giurisdizione) pendenti dinanzi al giudice statale e finalizzati a consentire lo svolgimento dell’arbitrato: ad esempio, quelli concernenti la validità o l’efficacia di un patto arbitrale o anche
la nomina o la sostituzione di un arbitro.
(23) Risoluzione del Parlamento europeo approvata il 7 settembre 2010, A7-0219/
2010 consultabile all’indirizzo: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//
EP//TEXT+TA+P7-TA-2010-0304+0+DOC+XML+VO//IT&language=IT.
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La risoluzione, tuttavia, prosegue affermando che sarebbero da escludere dall’ambito di applicazione del Reg. n. 44/2001 anche le controversie
in cui la questione concernente la validità della convenzione di arbitrato sia
stata esaminata e risolta « in via incidentale o pregiudiziale ».
Questo aspetto suscita incertezze interpretative poiché non è chiaro se
si intendano escludere dall’ambito di applicazione del Reg. n. 44/2001 anche i capi di pronuncia sulla validità ed efficacia del lodo arbitrale che siano
conseguenza di un accertamento incidentale, i.e. che siano stati emessi all’esito di un processo originariamente vertente in materia civile o commerciale e divenuto in itinere oggettivamente cumulato (con la domanda riguardante la validità o l’efficacia della convenzione arbitrale), ovvero se si
sia voluto più latamente suggerire di escludere dall’ambito di applicazione
della normativa europea e, dunque, dal suo regime circolatorio semplificato
qualunque procedimento in materia civile o commerciale in cui sia stata
sollevata un’eccezione di patto compromissorio poi esaminata (ed evidentemente rigettata); anche se, nello Stato in cui il giudizio fu instaurato, tale
accertamento ha una valenza limitata al giudizio in corso. L’ultima lettura
avrebbe l’effetto di sottrarre un numero ben maggiore di controversie dall’ambito di applicazione del Reg. n. 44/2001, affidandole, in caso di rigetto
dell’eccezione di patto compromissorio, alla disciplina di diritto comune.
Il testo della risoluzione, che distingue tra valutazione dell’accordo
compromissorio compiuta in via incidentale e valutazione compiuta in via
pregiudiziale (24) sembrerebbe deporre a favore dell’interpretazione più
lata.
L’argomento sistematico, viceversa, pare militare per l’opposta lettura: infatti, intanto ha un senso inserire una modifica all’art. 31 Reg. n.
44/2001 come indicato dalla risoluzione del Parlamento europeo, in quanto
le sentenze provenienti da altri Stati membri emesse all’esito di un procedimento in cui sia stata esaminata e rigettata un’eccezione di patto compromissorio (a condizione che in quell’ordinamento tale accertamento assuma
una mera valenza endoprocessuale) siano idonee a circolare ai sensi del
Reg. n. 44/2001 e, pertanto, da espungere dalle materie escluse dall’ambito
applicativo dell’art. 1, par. 1, lett. d).
In conclusione, sembra che neppure la risoluzione del Parlamento europeo riesca a sbrogliare la complessa matassa dei rapporti tra arbitrato e
Reg. n. 44/2001.
Anziché porre i presupposti per la creazione di ulteriori incertezze applicative, la risoluzione avrebbe potuto approfittare dell’occasione per fare
(24) La distinzione è presente anche nella versione francese (« à titre principal ou
incident ou à titre préjudiciel »), tedesca (« im Rahmen einer Neben-oder Vorabfrage um die
Wirksamkeit oder den Umfang einer Schiedsgerichtszuständigkeit geht ») ed inglese (« as a
principal issue or as an incidental or preliminary question »).
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chiarezza su almeno un aspetto riguardo al quale la Corte di giustizia non
si è ancora pronunciata e sul quale le tre Relazioni alla Convenzione di
Bruxelles non hanno assunto una posizione uniforme (25): la inclusione o
meno entro la sfera di applicazione della normativa europea della decisione
di annullamento del lodo arbitrale.
Si fa riferimento, in particolare, all’ipotesi in cui l’autorità giurisdizionale, oltre alla fase rescindente, ponga in essere anche quella rescissoria,
essendo viceversa evidente che esorbita dall’ambito di applicazione del
Reg. n. 44/2001 la circolazione del lodo emesso all’esito della fase rescissoria svoltasi dinanzi agli arbitri.
Per dissipare i dubbi su questo aspetto sarebbe stato sufficiente manifestare espressa preferenza per la soluzione contenuta nella Relazione
Schlosser, favorevole alla circolazione della decisione emessa dall’autorità
giurisdizionale in sede rescissoria ai sensi del Reg. n. 44/2001, in quanto
« pronuncia giurisdizionale in materia civile o commerciale ».
4. Da ultimo, a cercare di disciplinare i rapporti tra arbitrato e regime semplificato di circolazione delle sentenze, è stata la proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio COM (2010) 748/2 (26).
La proposta, al suo art. 29, riprende i suggerimenti del Report tentando di conciliarli con la regola della compétence-compétence. Il par. 4 del
medesimo articolo stabilisce, infatti, che « Qualora la sede dell’arbitrato
concordata o designata si trovi in uno Stato membro, il giudice di un altro
Stato membro la cui incompetenza sia eccepita in base ad una convenzione
arbitrale sospende il procedimento non appena il giudice dello Stato membro in cui si trova la sede dell’arbitrato o il tribunale arbitrale sia stato investito di un procedimento diretto ad accertare, in via principale o incidentale, l’esistenza, la validità o l’efficacia della convenzione arbitrale ».
Ove sia stata accertata l’esistenza, la validità e l’efficacia della convenzione arbitrale, il giudice che sospese il processo dinanzi a lui pendente
si dichiarerà incompetente.
Altresı̀, ai sensi dell’art. 33, par. 3 della proposta « il tribunale arbitrale s’intende adito quando una parte ha nominato un arbitro o ha chiesto
il sostegno di un’istituzione, di un’autorità o di un giudice per la costituzione del tribunale arbitrale ».
Le previsioni appena illustrate, le quali — come risulta dalla Relazione di accompagnamento — introducono una fattispecie di sospensione
obbligatoria del giudizio, appaiono prima facie idonee a superare le perplessità manifestate avverso il testo del Report.
(25)
(26)
Come abbiamo indicato supra, nota 3.
Della quale si è potuto tener conto solo in sede di correzione delle bozze.
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Invero, la circolazione delle pronunce statali o arbitrali concernenti la
validità dell’accordo compromissorio continuerebbe anche in futuro a non
avvenire secondo il regime di Bruxelles. Tuttavia, l’aver attribuito rilevanza
a tali dicta nel contesto dell’art. 29 come motivo ostativo della prosecuzione di un processo nazionale, dovrebbe essere circostanza idonea a prevenire la formazione di sentenze statali concernenti la medesima controversia dedotta in arbitri.
ELENA D’ALESSANDRO
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RASSEGNE E COMMENTI
Il punto sull’arbitrato sportivo
FRANCESCO CAMPIONE
1.
Sulla natura del vincolo di giustizia.
La Suprema Corte con sentenza del 27 settembre 2006, n. 21005 (1),
ha ribadito che il vincolo di giustizia (nel caso di specie l’art. 24 dello Statuto FIGC) integra « una clausola compromissoria fondata sul consenso
delle parti, che, aderendo in piena autonomia agli statuti federali, approvano anche la soggezione agli organi interni di giustizia. La legittimità di
tale vincolo deriva anche dal D.L. n. 220/2003, convertito con modificazioni nella Legge n. 280/2003, il quale, all’art. 2, comma 2, prevede l’onere
di adire gli organi di giustizia sportiva nelle materie di esclusiva competenza dell’ordinamento sportivo e cioè quelle aventi ad oggetto l’applicazione e l’osservanza delle norme regolamentari, organizzative e statutarie
dell’ordinamento sportivo, nonché i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e le relative sanzioni; mentre subordina al previo esaurimento
dei gradi di giustizia sportiva il ricorso a quella statuale nelle materie ad
essa riservate » (al G.O. le controversie patrimoniali sui diritti soggettivi,
al G.A. quelle relative agli altri provvedimenti federali o del CONI e dei
suoi organi). Inoltre è fatta salva, dalla suddetta legge, l’applicabilità di
eventuali clausole compromissorie inserite negli statuti o nei regolamenti
delle federazioni o del CONI, nonché quelle previste ai sensi dell’art. 4,
comma 5, Legge n. 91/1981.
Anche la giurisprudenza amministrativa (2) ha confermato la lettura in
base alla quale il vincolo di giustizia rappresenta una clausola compromissoria, precisando peraltro che essa può operare solo con riferimento a questioni tecnico-sportive oppure a diritti disponibili (ossia le controversie patrimoniali relative a diritti soggettivi). Del resto questo orientamento già da
tempo risultava consolidato non solo nella giurisprudenza ma anche nella
(1) In Corr. giur., 2007, 1108 ss.
(2) Per es. Cons. Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2006, n. 527, in Massima redazionale,
2006; in Foro it., Rep., 2006, voce Sport, n. 51.
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dottrina (3). In particolare, mettendo da parte l’ambito delle controversie
tecniche (che poco interessano nell’ottica dell’analisi della giustizia sportiva nel suo emergere nell’ordinamento statuale), l’impostazione prevalente
è sempre stata quella che riconosceva la natura di clausola compromissoria
al vincolo di giustizia con riferimento alle controversie economiche intraassociati, mentre si riportavano al piano del diritto pubblico le liti federazione-affiliato o tesserato, come ad esempio quelle sul piano disciplinare.
2.
Sulla legittimità del vincolo di giustizia.
Con ordinanza 21 aprile 2005, n. 2244, Sez. III-ter, il TAR del Lazio
ha accolto il ricorso presentato dal Cosenza 1914 contro i provvedimenti
con i quali gli organi di giustizia della FIGC gli avevano inflitto sanzioni
disciplinari (penalizzazione di alcuni punti in classifica, una multa e l’interdizione di un anno del legale rappresentante). Tali sanzioni erano la conseguenza della violazione del vincolo di giustizia, maturata nel momento in
cui la società aveva previamente adito il TAR Lazio per vedersi riconoscere
il titolo a partecipare al campionato di serie C1. In detta ordinanza il giudice amministrativo ha considerato il vincolo di giustizia atto presupposto
dei provvedimenti sanzionatori illegittimi, quindi ha ravvisato anche in relazione ad esso la difformità dai parametri normativi sovraordinati. Parametri che, ovviamente, sono la legge e la Costituzione. In particolare la Legge
n. 280/2003 consente di far valere i diritti nati nell’ordinamento sportivo
anche davanti ai giudici dello Stato; la carta fondamentale predispone il sistema di tutela nei confronti degli atti della P.A. (artt. 103 e 113) e, soprattutto, pone il diritto alla tutela giurisdizionale come inviolabile (art. 24). In
tale contesto, dunque, una norma federale che prevede sanzioni per chi si
rivolge direttamente ai giudici dello Stato senza aver previamente adito gli
organi giurisdizionali della federazione deve essere ritenuta illegittima.
Invero, come si è accennato, il vincolo di giustizia viene letto in due
modi. Nel caso del Cosenza 1914 la controversia era insorta nei confronti
della federazione, in relazione prima al potere di quest’ultima di ammettere
le società ai campionati (da qui il ricorso preventivo al TAR Lazio che ha
cagionato la violazione del vincolo di giustizia), e poi con riferimento alle
sanzioni disciplinari. Si tratta quindi di questioni che tanto la Legge n. 280/
2003, tanto la giurisprudenza, riconducono al piano del diritto amministrativo, nel senso che in tali settori si ritiene che le federazioni agiscano come
organi del CONI nell’esercizio di un potere amministrativo. In questo caso
quindi non ha senso analizzare i problemi sull’illegittimità del vincolo di
(3) LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975; SANINO, L’arbitrato sportivo in Italia,
in Riv. dir. sport., 1993, 352 ss.; PERSICHELLI, Le materie arbitrabili all’interno della competenza della giurisdizione sportiva, in questa Rivista, 1996, 702 ss.
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giustizia, poiché nella nostra prospettiva interessa l’altra lettura di tale regola federale, cioè quella in base alla quale essa costituisce una clausola
compromissoria.
Ora, a prescindere dalla circostanza che la giurisprudenza il più delle
volte usa il termine clausola compromissoria anche quando si tratti di controversie con la federazione, è solo con riferimento alle controversie economiche (oltreché a quelle tecnico-sportive) tra affiliati che si può parlare
di compromettibilità in arbitri. In tale ambito, con riferimento al problema
della legittimità del vincolo di giustizia, va segnalata la già menzionata
sentenza n. 21005/2006 della Suprema Corte, che per l’appunto si muove
nell’ottica dei rapporti privatistici. La Cassazione, in particolare, ha ritenuto
che:
— l’art. 24 (in base all’articolato di quel periodo) dello statuto FIGC,
che prevede in via regolamentare l’incondizionato impegno dei soggetti affiliati ad accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti e
decisioni adottati dalla federazioni e dai suoi organi, anche per ciò che attiene alle controversie di carattere economico su diritti soggettivi, prescindendo dall’accettazione specifica della clausola arbitrale;
— l’art. 5, ult. comma, Legge 16 febbraio 1942, n. 426, laddove prevede che « le federazioni sportive nazionali stabiliscono, con regolamenti
interni, approvati dal presidente del comitato olimpico nazionale, le norme
tecniche ed amministrative per il loro funzionamento e le norme sportive
per l’esercizio dello sport controllato »;
— gli artt. 4, comma 5, 12 e 14 Legge n. 91/1981 ove si ritenga che
siano la scaturigine della facoltà di prevedere il vincolo di giustizia;
— l’art. 10 della medesima legge laddove, prevedendo come obbligatoria l’affiliazione alla federazione per l’esercizio dell’attività sportiva professionistica, imporrebbe il rispetto del vincolo arbitrale e la conseguente
rinuncia alla tutela giurisdizionale,
in relazione all’inviolabilità del diritto di azione e di difesa sancito
dall’art. 24 Cost. e al principio del monopolio statale della giurisdizione ex
art. 102 Cost., diano luogo ad una questione di legittimità costituzionale
manifestamente infondata.
La Corte Suprema ha premesso che il fondamento dell’autonomia
dell’ordinamento sportivo va ravvisato nell’art. 18 Cost. (libertà di associazione) e nell’art. 2 (riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo e delle
formazioni sociali ove si svolge la personalità del singolo) ed ha affermato
che il vincolo di giustizia non comporta rinuncia a qualunque tutela, poiché l’ordinamento realizza il sistema dell’arbitrato ex art. 806 ss. c.p.c. che
è l’espressione dell’autonomia privata costituzionalmente garantita (si veda
Corte cost., n. 127/1977). L’istituto arbitrale non contrasta col principio di
unicità e statualità della giurisdizione (si veda anche Corte cost., n. 488/
1991). Il giudice delle leggi aveva infatti già messo in evidenza che solo le
parti, sempre che non si tratti di diritti fondamentali, possono scegliere la
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via dell’arbitrato in alternativa alla giurisdizione statuale, tale scelta essendo una modalità di esercizio del diritto di difesa ex art. 24 Cost.
3.
Sulla tipologia delle controversie arbitrabili nel diritto sportivo.
Il Consiglio di Stato, su questo punto, ha confermato, con la già citata
sentenza n. 527/2006 della VI Sezione, l’orientamento tradizionale in base
al quale il vincolo di giustizia (inteso come clausola compromissoria) può
operare nell’ambito delle contoversie di mera rilevanza sportiva, ovvero
laddove sia consentito anche dall’ordinamento statale e cioè rispetto ai diritti disponibili. Non può valere quindi con riferimento agli interessi legittimi che, ad avviso del supremo giudice amministrativo, a causa del loro
collegamento con l’interesse pubblico e in virtù dei principi sanciti dall’art.
113 Cost., non possono formare oggetto di rinunzia, preventiva, generale e
temporalmente illimitata, dalla tutela giurisdizionale.
La questione qui ricordata va segnalata anche alla luce della già ricordata Legge n. 280/2003 (di conversione del D.L. n. 220/2003) che, nel ridisciplinare la giustizia sportiva e i suoi rapporti con la giurisdizione statale, ha delineato tre tipi di controversie (quelle di rilevanza solo sportiva,
quelle patrimoniali di competenza del G.O. e quelle riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A., che generalmente hanno ad oggetto atti delle federazioni ovvero del CONI), facendo salva peraltro l’applicabilità di eventuali clausole compromissorie inserite nelle normative federali (o del
CONI) e nei contratti di lavoro sportivo ai sensi della Legge n. 91/1981.
4.
Sulla natura dell’arbitrato sportivo.
Si può premettere che, quando si parla di arbitrato sportivo, ci si riferisce alle procedure di risoluzione delle controversie (prevalentemente economiche) che sorgono, in ragione dell’attività agonistica, tra gli affiliati o
tesserati ad una federazione. In particolare, ci si riferisce alle procedure che
fanno capo a organi di giustizia istituiti in via permanente presso le federazioni ovvero a collegi arbitrali, bensı̀ previsti e disciplinati dalle norme
federali (statuti e regolamenti), ma non permanenti.
Infatti, muovendoci nell’analisi del sistema di giustizia sportiva dall’angolo visuale dell’ordinamento statale, occorre rilevare che i meccanismi
giurisdizionali delle federazioni, a prescindere dal fatto che la tutela sia impartita da organi specifici ovvero da collegi arbitrali, emergono nell’ordinamento generale come arbitrati. Invero, in base alla disciplina risultante dagli statuti e dai regolamenti interni e per ciò che attiene alle controversie
economiche (che interessano in questa sede), le federazioni normalmente
prevedono la competenza degli organi di giustizia permanenti, mentre ai
collegi arbitrali assegnano una competenza residuale.
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Inoltre, con la Legge n. 91/1981, all’art. 4, comma 5, è stata prevista
la possibilità di inserire, nel contratto di lavoro tra lo sportivo e la società,
una clausola compromissoria relativa alle controversie concernenti l’attuazione del contratto stesso. Questo significa che per le controversie di lavoro
sportivo è possibile instaurare arbitrati ad hoc, ossia costituiti per l’occasione dalle parti della controversia. In dottrina (4) tuttavia si è rilevato che
nella prassi è più frequente che, con riferimento a quello che è definito
l’arbitrato di lavoro sportivo, la controversia venga devoluta alla cognizione dei collegi arbitrali previsti dalle norme federali (normalmente sono
gli stessi accordi collettivi, raggiunti in seno alle associazioni di categoria
operanti nelle federazioni, che prevedono tale devoluzione. Peraltro, per ciò
che attiene al settore del calcio, gli accordi collettivi vigenti contemplano
l’istituzione di collegi arbitrali, formati secondo criteri prestabiliti, con sede
a Milano quando sono coinvolti soggetti di serie A o B, oppure a Firenze
per i soggetti di serie C, ora chiamata lega pro. Il rito è disciplinato da un
regolamento arbitrale concordato e recepito dalle intese collettive. La devoluzione è prevista da clausole compromissorie inserite nel testo del contratto tipo, anch’esso preparato dalle associazioni interessate).
Con riferimento alla natura dell’arbitrato sportivo come sopra delineato, molto si è discusso nel corso degli anni. L’orientamento che alla fine
ha prevalso e che da diverso tempo possiamo definire consolidato è quello
che ritiene tale modello di arbitrato irrituale.
L’irritualità si deduce dalla circostanza che l’arbitrato sportivo è, generalmente, disciplinato dai regolamenti di procedura previsti dalle federazioni stesse, secondo uno schema che si discosta da quello previsto dagli
artt. 806 ss c.p.c. per ciò che attiene all’arbitrato rituale. Del resto, le previsioni regolamentari interne alle federazioni, in relazione al deposito del
lodo (e al regime che ne consegue), che rappresenta l’elemento più rilevante ai fini della distinzione tra arbitrato rituale e irrituale, stabiliscono
costantemente che questo avvenga presso le federazioni stesse anziché
presso il tribunale nella cui circoscrizione si è svolto l’arbitrato. Accettando
una clausola compromissoria che prevede un arbitrato il cui lodo venga poi
depositato presso la federazione, le parti danno un chiaro segnale nel senso
di voler mantenere quella decisione arbitrale sul piano dell’autonomia negoziale (5). A favore dell’irritualità si era già pronunciata la Cassazione con
la sentenza n. 2889/1990 (6) in tema di arbitrato del lavoro sportivo, in
quanto questo si risolve con una pronunzia emessa in unica istanza secondo
equità e qualificata come definitiva e non impugnabile.
(4 )
( 5)
LUISO, Ancora intorno agli arbitrati sportivi, in questa Rivista, 1991, 270 ss.
In questo senso VECCHIO, L’arbitrato nel diritto sportivo, in L’arbitrato, a cura di
CECCHELLA, Milano, 2005, 597 ss.
(6) Cass., Sez. lav., 6 aprile 1990, n. 2889, in questa Rivista, 1991, 267 ss.
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Inoltre molto spesso gli stessi regolamenti federali richiedono che
l’arbitrato si svolga « senza formalità di procedura ».
Più avanti, con riferimento all’arbitrato disciplinato dallo statuto e dal
regolamento della FIP, la Suprema Corte con sentenza n. 12728/1999 (7) ha
confermato il carattere libero del procedimento arbitrale, in quanto da un
lato i tre componenti del collegio assumono, nel periodo di svolgimento
delle loro funzioni, la qualifica di dirigenti della Federazione, con conseguente soggezione ai poteri disciplinari della stessa; da altro lato perché il
procedimento arbitrale si svolge davanti agli organi della FIP, iniziando con
la proposizione della domanda ed un primo contraddittorio avanti al Consiglio Federale, cui segue la valutazione di ammissibilità della domanda
stessa da parte della suddetta commissione e la nomina del presidente del
collegio arbitrale (da scegliersi in un elenco tenuto dal Consiglio) e, quindi,
una fase istruttoria e decisoria dinanzi al collegio arbitrale, di guisa che il
lodo risulta imputabile al concorso di una pluralità di organi della Federazione, la cui azione si svolge all’interno del particolare ordinamento sportivo della medesima.
Di recente, ancora con riferimento all’arbitrato del lavoro sportivo
(del calcio), ha ribadito il carattere dell’irritualità la sentenza del Tribunale
di Milano del 28 febbraio 2006, n. 736 (8) che ha rilevato come, in applicazione della Legge n. 91/1981 le rappresentanze collettive (FIGC e AIC)
hanno stipulato un Accordo Collettivo che, all’art. 25, rimette a un collegio
arbitrale « la soluzione di tutte le controversie concernenti l’attuazione del
contratto ». Per il giudice milanese ciò rende evidente la natura negoziale
dell’arbitrato.
Infine, è opportuno ricordare ancora una volta la sentenza n. 21005/
2006 della Cassazione che, trattando della clausola compromissoria ex art.
24 dello statuto FIGC, ha specificato che l’arbitrato da essa integrato ha
natura irrituale.
Quanto detto rappresenta l’orientamento consolidato circa la natura
dell’arbitrato sportivo, con la doverosa precisazione che, per ciò che attiene
all’arbitrato del lavoro, laddove le parti nel contratto prevedano una clausola compromissoria che comporta la costituzione di un arbitrato ad hoc,
per valutarne la natura sarà necessario riferirsi ai normali criteri d’interpretazione della volontà negoziale.
5.
Sul rapporto con la giurisdizione statale.
Si riscontrano decisioni che toccano anche il tema del rapporto tra
l’arbitrato (sportivo, in questo caso) e la giurisdizione statale, più precisa(7) Cass. 17 novembre 1999, n. 12728, in Riv. dir. sport., 2000, 661 ss.
(8) In Giur. it., 2007, 961 ss.
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mente sulla possibilità o meno, avendo optato per la soluzione arbitrale, di
adire il giudice dello Stato (in particolare il G.O.) per la tutela di diritti di
cui si discuta in ragione del rapporto sportivo. Il problema appare tanto più
delicato con riferimento alle controversie nascenti dal contratto di lavoro
sportivo ex Legge n. 91/1981.
L’impostazione generale è quella secondo cui l’arbitrato può essere
solo volontario. Per legittimare l’arbitrato sportivo allora si deve ritenere
che esso sia sempre volontario, in ragione del consenso alla clausola compromissoria prevista dalle norme federali espresso al momento dell’affiliazione o del tesseramento alla federazione.
In tema di arbitrato del lavoro va considerato che le procedure arbitrali irrituali possono essere di due tipi: da un lato quella ex art. 5, comma
1, Legge n. 533/1973, dall’altro quella disciplinata nel c.p.c. agli artt. 412ter e quater. In questi casi è stabilito che deve essere fatta salva la facoltà
per le parti di adire il G.O. Tale facoltà si esaurisce con il compimento di
atti con essa incompatibili. Tutto ciò è messo in evidenza dalla sentenza del
Tribunale di Milano n. 736/2006 (già ricordata e che vedremo anche ad altri fini), la quale ha rilevato che le parti in lite (un calciatore e la società di
appartenenza) si erano costituite nel processo arbitrale, con ciò palesando
l’intenzione di rinunciare alla giurisdizione.
Inoltre, gli statuti federali vietano di ricorrere ai giudici statali contro
le decisioni degli organi di giustizia sportiva. Questa norma, vista dagli occhi dello Stato, deve ritenersi illegittima, e deve valere, cosı̀ come enunciato dalla Cassazione con sentenza n. 11751/2003 (9) il principio in base
al quale la clausola compromissoria (e quindi l’arbitrato sportivo) deve
rappresentare una volontaria alternativa al G.O., non già una rinuncia assoluta alla giurisdizione, che al contrario può successivamente sindacare la
validità del lodo irrituale ed, eventualmente, annullarlo.
6.
Sugli effetti processuali della clausola compromissoria per arbitrato
sportivo.
Su questo punto la giurisprudenza ha confermato l’orientamento ormai consolidato da circa nove anni (dalla sentenza n. 527/2000 delle Sezioni unite) (10), e cioè quello in base al quale l’eccezione di convenzione
di arbitrato, rituale come irrituale, introduce una questione di merito.
Di questo avviso è la Cassazione che, con la ordinanza del 20 maggio
2008, n. 12814 (11), ha affermato che, se la domanda arbitrale è fatta prima
del 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore dell’art. 819-ter, che prevede,
(9) Cass., Sez. lav., 1o agosto 2003, n. 11751, in Mass. Giur. it., 2003.
(10) In questa Rivista, 2001, 704 ss.
(11) In Mass., 2008.
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contro la sentenza che decide sull’eccezione di patto compromissorio per
arbitrato rituale, l’esperibilità dello strumento ex artt. 42 e 43 c.p.c.), il regolamento di competenza non è ammissibile, in quanto la questione che si
profila è comunque di merito.
In precedenza l’orientamento maggioritario andava nel senso che
l’esistenza della clausola compromissoria per arbitrato sportivo (irrituale)
rappresentava, nell’eventualità di un’azione esperita dinanzi al G.O., un’eccezione di merito che comportava, una volta rilevata, l’improponibilità
della domanda per via della volontaria rinuncia alla giurisdizione. L’improponibilità era dichiarata con sentenza soggetta ai normali mezzi d’impugnazione. Per esempio Cass. n. 3420/1998 (12) aderiva alla tesi dell’improponibilità della domanda al giudice, aggiungendo peraltro che la clausola
compromissoria ex art. 4, comma 5, Legge n. 91/1981 « esplica i suoi effetti solo tra le parti stipulanti e non può quindi precludere al terzo l’accertamento del proprio credito nei confronti dello sportivo professionista
nel procedimento instaurato ai sensi dell’art. 548 c.p.c., in contraddittorio
con le suddette parti ».
Per converso, una clausola compromissoria per arbitrato rituale integrava un’eccezione di rito che introduceva una questione di competenza.
Quindi, nel caso di un’azione dinanzi al G.O., avverso la sentenza che decideva sull’eccezione di clausola compromissoria per arbitrato rituale era
esperibile il regolamento di competenza. In questo senso statuiva la Cassazione con la sentenza del 18 dicembre 1990, n. 12002 (13).
Invero, parevano di diverso avviso le Sezioni unite nella sentenza del
21 luglio 1998 n. 7132 (14) laddove, dopo aver spiegato che le norme di
giustizia sportiva non deroga(va)no alla giurisdizione ordinaria sotto il profilo dell’istituzione di un giudice speciale né sotto quello dell’introduzione
di ricorsi amministrativi pregiudiziali all’azione davanti al G.O., avevano
ritenuto che tutt’al più esse potessero introdurre una questione di competenza, se si riteneva che rimettessero le controversie ad un giudizio arbitrale, come tale non proponibile in sede di regolamento di giurisdizione.
Con tale arresto la Suprema Corte non aveva distinto tra arbitrato rituale e
irrituale in punto di regime dell’exceptio compromissi.
Infine, con la ordinanza delle Sezioni unite n. 6423 dell’11 marzo
2008 (15), è stata confermata l’inammissibilità del regolamento di giurisdizione (poiché, appunto, non si tratta di questione di giurisdizione) nell’ambito di una controversia tra atleta e società sportiva pendente dinanzi al
G.O., in presenza di una clausola compromissoria che attribuisce la com-
(12)
(13)
(14)
(15)
In
In
In
In
Mass. Giur. it., 1998.
Foro it., Rep., 1990, voce Sport, 23.
Mass. Giur. it., 1998.
Mass., 2008.
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petenza ad un organo di giustizia sportiva (si tratta qui, come sappiamo, di
un arbitrato irrituale).
7.
Sull’applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c.
Circa la questione, un tempo dibatutta, realtiva all’applicabilità alla
clausola compromissoria che istituisce l’arbitrato sportivo degli artt. 1341 e
1342 c.c., la Suprema Corte ha confermato l’orientamento che già aveva
espresso chiaramente con la sentenza n. 4351/1993 (16) e, ancora prima,
con la sentenza n. 1367/1985 (17).
L’art. 1341 c.c., rubricato « condizioni generali di contratto », stabilisce, al comma 1, che « le condizioni generali di contratto predisposte da
uno dei contraenti sono effıcaci nei confronti dell’altro, se al momento
della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto
conoscerle usando l’ordinaria diligenza ». Prosegue il comma 2 dicendo
che « in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate
per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte (...), ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente (...) clausole
compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria ».
L’art. 1342, rubricato « contratto concluso mediante moduli o formulari » prevede al comma 1 che « nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, predisposti per disciplinare in maniera
uniforme determinati rapporti contrattuali, le clausola aggiunte al modulo
o al formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario qualora
siano incompatibili con esse, anche se queste ultime non sono state cancellate ». Il comma 2 stabilisce l’applicabilità a tale fattispecie dell’art. 1341,
comma 2, c.c.
Come accennato, la Cassazione, con la già ricordata sentenza n.
11751/2003, ha ribadito che ai fini della validità della clausola compromissoria (nel caso di specie, in tema di arbitrato del lavoro sportivo) « non rileva la mancanza di una specifica sottoscrizione di essa, giacché l’effıcacia
di detta clausola compromissoria non deriva dall’attuazione di condizioni
generali di contratto predisposte da una delle parti, ma dall’adesione di
entrambi i contraenti all’organizzazione sportiva e alla conseguente applicazione dei vincoli che ne nascono ». In sostanza, quindi, la clausola compromissoria vincola i soggetti dell’ordinamento sportivo anche in caso di
mancata specifica approvazione scritta, in virtù della semplice adesione all’organizzazione sportiva. Nel caso di specie, sulla scorta del principio
poc’anzi illustrato, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito
che aveva ritenuto valido il lodo irrituale emesso dal collegio arbitrale pre(16)
(17)
In Riv. dir. sport., 1993, 484.
In Foro it., Rep., 1985, voce Arbitrato, n. 68.
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visto dagli artt. 59 e 60 dello statuto FISG e dall’art. 189 del regolamento
organico della federazione stessa, nell’ambito di una controversia promossa
nei confronti una società di hockey.
8.
Su alcune problematiche relative all’arbitrato del lavoro nel mondo
del calcio.
Recentemente alcuni giudici di merito, tra cui il Tribunale di Milano
sopra richiamato, si sono occupati di specifiche questioni sorte in seno a
processi arbitrali relativi a controversie di lavoro calcistiche.
Il giudice milanese è intervenuto in materia di vizi del lodo e di impugnazione. In particolare, la parte ricorrente (una società calcistica) aveva
impugnato il lodo irrituale, tra l’altro, poiché lamentava la violazione di
norme imperative procedimentali, usando come paradigma l’arbitrato disciplinato dagli artt. 412-ter e quater c.p.c. (valevoli per gli arbitrati del lavoro
previsti da accordi collettivi come quello di cui si discute), con riferimento
al deposito delle motivazioni in epoca successiva a quella del deposito del
dispositivo. Il Tribunale lombardo ha rilevato che nel caso di specie la
prima norma regolatrice che viene in gioco è l’art. 8 del Regolamento arbitrale, il quale invero consente che la motivazione del lodo sia depositata
successivamente a quella del dispositivo. D’altro canto non è parso al giudice che la momentanea ignoranza dei motivi potesse pregiudicare, come
ritenuto dal ricorrente, l’esperimento di una completa impugnazione del
lodo, « giacché questa poteva essere avanzata con riserva d’integrazione
conseguente al deposito e alla conoscenza delle motivazioni ».
La suddetta sentenza si è occupata anche del problema relativo alla
decorrenza dei termini per la pronuncia del lodo. La situazione era la seguente: premesso che il Regolamento arbitrale prevede due tipi di procedimento, uno ordinario, ed uno d’urgenza, quest’ultimo utilizzabile quando la
durata del procedimento ordinario potrebbe causare alla parte un irreparabile pregiudizio, il calciatore ricorrente aveva chiesto la procedura accelerata. Il Collegio ne aveva ritenuti insussistenti i presupposti, dando cosı̀ disposizioni per il passaggio al rito ordinario. Al Tribunale allora è stato
chiesto di accertare che il dies a quo per la pronuncia del lodo decorreva
dalla data della seduta in cui si valutava l’urgenza, per poter cosı̀ dichiarare
la nullità del lodo stesso perché emesso successivamente all’esito della
procedura ordinaria. Il termine per la pronuncia del lodo è, ai sensi dell’art.
8 reg. arb., di 15 giorni dalla riunione ex art. 5 reg. arb., cioè la riunione di
discussione e trattazione, nonché dell’eventuale istruzione probatoria.
Il giudice milanese ha respinto la domanda della ricorrente, e quindi
neanche sotto questo profilo ha considerato il lodo invalido, in quanto, nel
caso di specie, il Collegio, nella prima seduta, si era limitato a esaminare
la sussistenza delle condizioni per la procedura d’urgenza ed esse erano
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state escluse convocando una nuova seduta per la trattazione in via ordinaria. Il termine andava quindi calcolato a partire dalla nuova riunione. In
dottrina (18) si è inoltre sostenuto che analoga soluzione andrebbe adottata
anche se nella riunione, volta ad accertare i presupposti per la procedura
d’urgenza, si espletasse attività di cognizione, finanche istruttoria. Questo
perché da un lato il regolamento non vieta tale attività nella riunione preliminare ed anzi, dispone che in sede d’urgenza il collegio operi con le
stesse modalità previste per il rito ordinario; da altro lato perché un eventuale lodo emesso dopo 15 giorni dalla riunione preliminare rischierebbe di
consegnare una decisione poco affidabile in punto di diritto, giungendosi
peraltro alla sostanziale abolizione del rito ordinario, dal momento che tutti
sarebbero incoraggiati a percorrere la strada più rapida per forzare i tempi
di decisione del Collegio.
La situazione appena prospettata è stata oggetto di una sentenza del
Tribunale di Firenze del 7 febbraio 2007 (19). Qui la controversia coinvolgeva una società ed un calciatore operanti nella serie C. In questo caso, tuttavia, il giudice toscano, dinanzi all’impugnativa della decisione presa dal
Collegio, ha dichiarato la nullità del lodo per essere stato emesso tardivamente. Ossia, il Tribunale fiorentino ha ritenuto che, dal momento che alla
riunione volta all’accertamento dei presupposti per adottare la procedura
d’urgenza è stata riscontrata l’insussistenza di questi ed altresı̀ è stata tentata la conciliazione nonché effettuata la precisazione delle conclusioni di
merito, il dies a quo rispetto al quale calcolare i 15 giorni fosse quello della
riunione stessa, anziché, come nella sentenza precedentemente analizzata,
quello della nuova riunione fissata nell’ambito della procedura ordinaria.
Ha poi argomentato tale decisione aggiungendo che nell’arbitrato non è applicabile l’art. 189, ult. comma, c.p.c., che impone di precisare le conclusioni di merito anche nella discussione sulle preliminari. In dottrina si è
criticato questo passaggio in quanto, essendo l’art. 189 c.p.c. espressione di
un principio generale, in assenza di una disposizione che chiaramente ne
impedisca l’applicazione all’arbitrato esso deve ritenersi pienamente operante in tale procedura arbitrale dinanzi al Collegio (20).
9.
Sulle problematiche relative al procedimento dinanzi alla Camera di
conciliazione e arbitrato del CONI: sul rapporto con la giurisdizione
statale (in particolare amministrativa).
In qualità di premessa alla seguente analisi occorre richiamare ancora
(18) VIGORITI, L’impugnazione dei lodi nel lavoro sportivo, in Giur. it., 2007, 961 ss.
(19) In questa Rivista, 2007, 415 ss.
(20) VALERINI, L’arbitrato di lavoro sportivo è un vero arbitrato?, in questa Rivista,
2007, 415 ss.
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una volta, adesso peraltro un po’ più analiticamente, il D.L. n. 220/2003
conv. con modif. nella Legge n. 280/2003, recante disposizioni urgenti in
materia di giustizia sportiva.
All’art. 1, comma 2, tale legge, dopo aver affermato al comma 1 il
principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, prevede che i rapporti
tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati
in base, appunto, al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per
l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive
connesse con l’ordinamento sportivo. L’art. 2 delinea quindi le controversie devolute alla giurisdizione dell’ordinamento sportivo. In particolare, il
comma 1 indica al punto a) le controversie relative a « l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive »; al punto b) le liti relative a « i
comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive ». Da segnalare inoltre che
il D.L. n. 220/2003 prevedeva anche un punto c) e un punto d) tuttavia non
riprodotti in sede di conversione. In particolare, alla lettera c) venivano indicate le controversie relative ai provvedimenti di ammissione e affiliazione
alla federazione, mentre alla lettera d) erano riportate le controversie relative all’organizzazione e lo svolgimento di attività agonistiche non programmate ed a programma limitato e l’ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti.
Il comma 1 del successivo art. 3 prevede che, una volta che siano
esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del
G.O. sui rapporti patrimoniali tra affiliati e tesserati (società e atleti), ogni
altra controversia avente ad oggetto atti del CONI o delle federazioni non
riservata (ai sensi dell’art. 2) agli organi di giustizia sportiva, è devoluta al
G.A. in sede di giurisdizione esclusiva. Fa salvo poi quanto eventualmente
stabilito dalle clausole compromissorie inserite negli statuti o nei regolamenti del CONI e delle federazioni, nonché quelle inserite nei contratti di
cui all’art. 4, comma 5, Legge n. 91/1981 di cui già ci siamo occupati.
Per ciò che interessa in questa sede si segnala, infine, che il comma 2
dell’art. 3 assegna la competenza di primo grado (finanche per le eventuali
misure cautelari), nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A. ex
comma 1, al TAR Lazio.
Pochi anni prima dell’emanazione del D.L. n. 220/2003, verso lo spirare dell’anno 2000, è stato approvato il nuovo Statuto del CONI, che ha
previsto, all’art. 12, l’introduzione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. Essa è competente a pronunciarsi in via definitiva sulle
controversie che contrappongono una federazione sportiva nazionale o una
disciplina associata o un ente di promozione ai soggetti ad essi affiliati, tesserati o licenziati, a condizione che siano previamente esauriti i gradi interni di giustizia federale ovvero si tratti di decisioni non soggette a impu520
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gnazione entro la federazione, con esclusione delle controversie di natura
tecnico-disciplinare che abbiano cagionato l’irrogazione di sanzioni non
superiori a centoventi giorni, nonché di quelle relative alle violazioni delle
norme antidoping. Sono inoltre escluse dalla competenza della Camera le
controversie tra affiliati, tesserati e licenziati per le quali siano istituiti appositi procedimenti arbitrali nell’ambito delle federazioni. S’intuisce che
rientrano nella competenza della Camera le impugnazioni contro le decisioni di ultima istanza degli organi di giustizia sportiva in materia lato
sensu disciplinare (tra cui vanno annoverati, ad esempio, anche i provvedimenti di non ammissione ai campionati). Si tratta in sostanza delle classiche controversie in cui vengono a trovarsi contrapposti la società o l’atleta
e la federazione di appartenenza, e che peraltro non vengono previamente
decise da veri e propri arbitrati.
Ora, i problemi maggiori si pongono con riferimento ai rapporti tra la
giurisdizione sportiva e la giurisdizione esclusiva amministrativa sulle controversie circa le quali è competente la Camera arbitrale e che assumono
rilevanza per l’ordinamento statale.
Si ha che: ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del CONI la Camera arbitrale può decidere sulle controversie disciplinari tra federazione e affiliati;
ai sensi dell’art. 2 Legge n. 280/2003 le controversie disciplinari sono appannaggio della giustizia sportiva. Che c’entra il G.A.?
Innanzitutto va segnalato che la mancata riproduzione, in sede di conversione del D.L. n. 220/2003, delle lettera c) e d) dell’art. 2, porta a concludere sulla riconducibilità alla giurisdizione amministrativa delle relative
controversie (tra cui è possibile ricomprendere quelle relative all’ammissione ai campionati). In più la Legge n. 280/2003 fa salvi i casi di rilevanza
per l’ordinamento statale delle situazioni giuridiche di cui si discuta in ragione del rapporto sportivo, ed assegna poi, in via residuale, alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie su altri atti del CONI e delle federazioni.
Su questi profili (ma anche su altri che si vedranno) i giudici amministrativi, aditi proprio in virtù di ricorsi contro decisioni emesse dalla Camera arbitrale (che è posta come organo di chiusura del sistema di giustizia sportiva e di raccordo con l’ordinamento statale), sono intervenuti in
diverse circostanze, ultimamente soprattutto nell’ambito del c.d. « scandalo
calciopoli ».
Il settore più problematico veniva ad essere costituito da quello delle
controversie disciplinari.
Mettendo insieme la norma che assegna le controversie disciplinari ai
giudici sportivi con la norma che fa salva la rilevanza a livello statale delle
situazioni sostanziali coinvolte, la giurisprudenza amministrativa ha propugnato un’interpretazione in base alla quale non tutte le sanzioni disciplinari
hanno una mera rilevanza sportiva.
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Cosı̀, il TAR Lazio, sez III-ter, con ordinanza del 22 agosto 2006, n.
4666 (21), ha affermato che la sanzione dell’inibizione per cinque anni nonché di un’ingente ammenda, inflitte ad un ex dirigente di una società di
calcio per la commissione di un illecito sportivo, assume rilevanza anche al
di fuori dell’ordinamento sportivo sia in quanto pregiudizievole della personalità del soggetto, sia in quanto egli potrebbe essere chiamato a rispondere a titolo risarcitorio alla società (che è quotata in borsa) ed agli azionisti; TAR Lazio, Sez. III-ter, 22 agosto 2006, con la sentenza n. 7331 (22),
ha riconosciuto la rilevanza esterna di una penalizzazione di dodici punti in
classifica da scontarsi nella stagione sportiva successiva. Tale sanzione, determinando l’esclusione di un’associazione sportiva dalla graduatoria delle
società ripescabili in un campionato nazionale e la conseguente retrocessione in un campionato regionale, risultava idonea ad incidere sullo status
dell’associazione in termini di onorabilità, oltreché, ovviamente, economici; TAR Lazio, Sez. III-ter, 14 dicembre 2005, con la sentenza n. 13616,
ha ritenuto rilevante per l’ordinamento della Repubblica la squalifica di un
atleta per la durata di un anno, che, data l’entità, rischiava di incidere in
modo rilevante sullo status di tesserato, con un impedimento notevole dell’attività agonistica che avrebbe potuto avere riflessi sulla sua immagine e
sulla sua carriera sportiva; la sentenza del TAR Lazio, Sez. III-ter, del 19
aprile 2005, n. 2801 (23), ha individuato la non mera rilevanza sportiva
nella sospensione da qualsiasi attività agonistica per quattro mesi, inflitta ad
un calciatore professionista per la violazione delle norme antidoping, unitamente ad una multa ed all’ulteriore sottoposizione a controlli senza preavviso per la durata di quattro mesi decorrenti dal termine della squalifica, in
ragione della valenza anche in termini economici della sospensione e del
contenuto patrimoniale della multa; la rilevanza extrasportiva è stata affermata anche da TAR Lazio, Sez. III-ter, 21 giugno 2007, n. 5645 (24), con
riferimento alla penalizzazione di alcuni punti in classifica inflitti ad una
società di calcio; da ultimo, lo stesso ragionamento espresso nell’ordinanza
4666/06 (ossia con riferimento all’ex dirigente cui è stata comminata l’inibizione e l’ammenda) è stata confermata nella sentenza n. 2472/2008, sempre del TAR Lazio, Sez. III-ter, del 19 marzo 2008 (25).
Per contro, va segnalato che il Cons. giust. amm. sic., con decisione
dell’8 novembre 2007, n. 1048 (26), ha sostenuto la totale « irrilevanza per
l’ordinamento statale di ogni applicazione di norme regolamentari o di san-
(21)
(22)
(23)
(24)
(25)
(26)
In
In
In
In
In
In
Corr. giur., 2007, 1112.
Foro amm.-Tar, 2006, 2562 e 2967 per esteso.
Foro amm.-Tar, 2005, 1095.
Foro it., 2007, III, 473 ss.
Foro it., 2008, III, 599 ss.
Foro it., 2008, III, 134.
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zioni disciplinari sportive, quali che ne siano le relative conseguenze indirette », tra cui anche quelle patrimoniali. Si è trattato tuttavia di un episodio isolato di dissenting opinion sul punto.
L’approccio della giurisprudenza circa la rilevanza esterna delle sanzioni disciplinari si è rivelato visibilmente empirico. In dottrina (27), del resto, si è messo in evidenza come la giurisprudenza amministrativa abbia
assunto un atteggiamento invasivo in materia, sostenendo praticamente l’incidenza extrasportiva di qualunque sanzione disciplinare. Si è allora proposta l’elaborazione di un criterio più concreto che riesca a contemperare meglio le posizioni soggettive e le esigenze di autonomia dell’ordinamento
sportivo, per esempio quello del grave pregiudizio, in mancanza del quale
la sanzione irrogata, al termine di ben tre procedimenti sportivi, resta nella
sfera del privato.
Per ciò che attiene alle controversie relative ai provvedimenti federali
che decidono sull’ammissione ai campionati, si può ricordare, tra le altre,
la sentenza del Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2004, n. 5025 (28), che argomentando anche sulla base della mancata riproduzione nella Legge n. 280/
2003, in sede di conversione, delle lettere c) e d) dell’art. 2 D.L. n. 220/
2003, ha affermato la loro riconducibilità alla giurisdizione del G.A.
10. (Segue): sulla c.d. pregiudizialità sportiva.
Sempre nell’intento di chiarire sui rapporti tra giurisdizione sportiva e
giurisdizione statale, è possibile ricordare che la Legge n. 280/2003 ha previsto la c.d. pregiudizialità sportiva, ossia la necessità, anche in riferimento
a controversie di rilevanza extrasportiva, di adire gli organi federali e infine la Camera arbitrale del CONI, prima di rivolgersi al giudice statale.
Questo concetto viene sviluppato ulteriormente dai giudici amministrativi. Ad esempio, TAR Lazio, Sez. III-ter, con la sentenza del 23 dicembre 2005, n. 14813 (29), dopo aver ricordato che un ricorso al G.A. è inammissibile laddove non risultino esperiti i rimedi interni all’ordinamento
sportivo e quindi non venga attivata la procedura dinanzi alla Camera arbitrale del CONI, ha sostenuto che la decisione di quest’ultima rappresenta
l’ultimo grado della giustizia sportiva e costituisce cosı̀ una condizione di
procedibilità ai fini del processo dinanzi al G.A. Sulla stessa linea si colloca TAR Lazio, sez III-ter, 7 aprile 2005, n. 2571 (30).
1124.
(27)
VIGORITI, Giustizia disciplinare e giudice amministrativo, in Corr. giur., 2007,
(28)
(29)
(30)
In Foro amm.-C.d.S., 2005, 1218 ss.
In Giur. it., 2006, 1756 ss.; in Foro it., Rep., 2005, voce Sport, n. 71.
In Giorn. dir. amm., 2005, 670; in Foro it., Rep., 2005, voce Sport, n. 95.
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Ancora prima la medesima sezione del TAR Lazio, con decisione del
30 luglio 2004, n. 7550 (31), aveva dichiarato inammissibile la domanda di
accertamento del diritto all’iscrizione al torneo di calcio di serie B di una
società sportiva, perché per la presentazione della stessa risultava necessario il previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva.
Peraltro già in precedenza aveva statuito in questo senso il supremo
consesso amministrativo, con la decisione della VI Sezione, n. 3917, del 15
giugno 2004 (32). Più avanti il Consiglio di Stato (Sez. VI) è tornato sul
punto, con la sentenza del 19 giugno 2006, n. 3559 (33), confermando che
la preventiva impugnazione della decisione federale presso la Camera arbitrale costituisce una condizione di procedibilità, spiegando inoltre che tale
regola, basata sull’esigenza di contemperare i principi sulla tutela giurisdizionale con quelli sull’autonomia dell’ordinamento sportivo, ha carattere
generale, in quanto tali principi concernono anche le norme che regolano le
conseguenze della mancata iscrizione di una società al campionato.
11. (Segue): sulle situazioni giuridiche coinvolte.
Una volta stabilito che nel mondo dello sport nascono controversie su
cui può decidere la Camera arbitrale e che possono essere oggetto di ricorso al G.A., diviene interessante capire quali siano le situazioni giuridiche di cui si discute nelle liti disciplinari cosı̀ come in quelle relative all’ammissione ai campionati. L’importanza del discorso emerge soprattutto
alla luce dell’art. 6 Legge n. 205/2000 sul processo amministrativo, che
consente l’arbitrato nelle controversie di cui è parte una P.A. che abbiano
ad oggetto diritti soggettivi, anche quando siano devolute alla giurisdizione
esclusiva del G.A. (dove appunto il giudice amministrativo può conoscere
degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi). Tale legge, quindi, conferma
la non arbitrabilità delle controversie relative a interessi legittimi.
La Legge n. 280/2003 assegna espressamente le controversie di rilevanza statale nascenti da atti del CONI o delle federazioni alla giurisdizione esclusiva del G.A., implicitamente ammettendo che in tali casi non
sempre è agevole distinguere tra diritti soggettivi ed interessi legittimi.
Ora, la giurisprudenza amministrativa, con particolare riferimento alle
controversie relative ai provvedimenti di non ammissione ai campionati
(nel calcio, soprattutto), ha precisato che le situazioni sostanziali che vengono in gioco sono interessi legittimi e non già diritti soggettivi. Cosı̀, ad
esempio, il già riportato Cons. Stato n. 5025/2004, ha respinto, nel caso di
1804.
(31) In Foro it., Rep., 2005, voce Sport, n. 63.
(32) Dal n. 3909 al n. 3925 tutte conformi al n. 3878, in Foro amm.-C.d.S., 2004,
(33) In Foro it., Rep. 2006, voce Sport, n. 62.
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specie, un’eccezione di difetto di giurisdizione del G.A. presentata dal
CONI (si discuteva, per l’appunto, di un provvedimento federale che non
ammetteva una società di calcio al campionato). Il supremo consesso amministrativo ha motivato tale reiezione ricordando la sua precedente giurisprudenza in materia di attività (e natura) delle federazioni le quali, pur
sorgendo come soggetti privati (associazioni non riconosciute), in determinate circostanze e in presenza di alcuni presupposti divengono organi del
CONI e partecipano alla natura pubblica di questo. In particolare, l’elemento discriminante tra dimensione privatistica e dimensione pubblicistica
delle federazioni è dato dal tipo di attività svolta: se si tratta di applicazione
di norme che attengono alla vita interna della federazione ed ai rapporti tra
società e tra queste e gli sportivi, esse operano come associazioni di diritto
privato; se invece si tratta di attività finalizzata alla realizzazione di interessi istituzionali e fondamentali dell’attività sportiva, devono essere considerate organi del CONI (sul punto i giudici di Palazzo Spada hanno richiamato Cass., Sez. III, 5 aprile 1993 n. 4063 (34); Cass., Sez. un., 26 ottobre 1989, n. 4399 (35); Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 1995, n.
1050 (36)).
Il Consiglio di Stato ha proseguito affermando che, nel secondo caso
appena visto, gli atti posti in essere dalle federazioni sono esplicazione di
un potere pubblico e sono soggetti alla giurisdizione del G.A. in quanto incidano su interessi legittimi. Tra questi atti vanno inclusi anche i provvedimenti di non ammissione di una società ad un determinato campionato,
poiché essi vengono adottati in applicazione di norme che perseguono finalità di pubblico interesse, quali il controllo della gestione economico-finanziaria delle leghe e delle società delegato dal CONI alla federazione. Ha
sottolineato poi che tale inquadramento è confermato dalla disciplina risultante dal D.Lgs. n. 242/1999 sul riordino del CONI. Ancora, ha rilevato
(come già s’è visto) che la soppressione, in sede di conversione, delle lettere c) e d) dell’art. 2, comma 1, D.L. n. 220/2003, costituisce chiaro segnale della volontà del legislatore di non considerare indifferenti per l’ordinamento statale controversie inerenti l’affiliazione delle società alle federazioni e l’ammissione ai campionati, trattandosi di provvedimenti di natura
amministrativa in cui le federazioni esercitano poteri di carattere pubblicistico in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI.
Più esplicita è stata la medesima sezione del supremo consesso (Cons.
Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2006, n. 527) qualche anno più avanti, quando
ha affermato che nell’ambito dell’iscrizione ad un campionato non vi è diritto soggettivo all’ammissione. Più precisamente, un provvedimento di non
(34)
(35)
(36)
In Foro it., 1994, I, 136.
In Foro it., 1990, I, 899.
In Foro amm., 1995, 1934.
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ammissione riveste i caratteri della discrezionalità ed è fondato su regole
discrezionali. Esso non attiene alla sfera dell’organizzazione interna e,
quindi, rilevante solo per l’ordinamento sportivo, sibbene a quella della discrezionalità amministrativa della FIGC, rispetto alla quale la posizione
giuridica della società si configura come interesse legittimo. Ancora, non
sussiste un diritto soggettivo all’ammissione al campionato perché, nel disporre in tal senso, la FIGC fa applicazione di regole volte a raggiungere
interessi pubblici rilevanti nel mondo sportivo, come l’ordinato svolgimento delle attività agonistiche e la solidità economico-finanziaria delle
società. Un provvedimento di non ammissione, quindi, quando non si fondi
sulla carenza del c.d. « titolo sportivo », non può non essere assoggettato al
regime degli atti amministrativi, con la conseguente impugnabilità dinanzi
al G.A.
Meno chiara è la posizione della giurisprudenza amministrativa circa
la natura della situazione giuridica soggettiva lesa da un provvedimento disciplinare rilevante per l’ordinamento statale.
Dalle decisioni emesse dai giudici amministrativi sulle questioni disciplinari nell’ambito di « calciopoli », ma non solo, è emersa la tendenza a
ritenere coinvolti, nelle concrete situazioni in cui il G.A. si è trovato a decidere, sempre interessi legittimi. Ciò lo si intuisce dai rilievi fatti a proposito del lodo della Camera arbitrale in cui si è detto che, sostanzialmente,
esso non è altro che un provvedimento amministrativo perché la posizione
giuridica su cui decide ha natura d’interesse legittimo (che, si sa, non è arbitrabile). In questo senso, ad esempio, ha statuito TAR Lazio n. 5645/
2007.
12. (Segue): sulla natura del lodo della Camera di Conciliazione e Arbitrato.
L’iter logico delle questioni ci ha condotti alla conclusione vista precedentemente, e cioè che il lodo emesso dalla Camera arbitrale in realtà è
un provvedimento amministrativo, circa il quale diviene legittimo un pieno
sindacato del G.A.
Invero, soprattutto nei primi anni di lavoro della Camera, la questione
non era cosı̀ chiara e scontata.
Da un lato, infatti, va comunque tenuto presente il dato letterale contenuto nella normativa sportiva, che parla di arbitrato e di lodo (rituale, peraltro, secondo la prima versione dell’art. 7, comma 7, del regolamento arbitrale della Camera).
Da altro lato poi, va considerata la giurisprudenza di segno contrario
all’impostazione, per cosı̀ dire, strettamente amministrativa. Cosı̀, ad esem526
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pio, TAR Lazio Sez. III-ter, 1o aprile 2004, n. 2987 (37) ha ritenuto che la
decisione dell’arbitro unico presso la Camera di conciliazione e arbitrato
per lo sport del CONI fosse qualificabile come lodo arbitrale rituale. Ad
avviso del G.A. si tratterebbe di un normale arbitrato alternativo alla giurisdizione statale e non obbligatorio, in quanto qualificato come facoltativo
dall’art. 12, comma 5, dello statuto del CONI. Nel caso di specie la controversia era relativa alla mancata ammissione al campionato di serie C/1
per l’anno agonistico 2003/2004 del Cosenza.
L’appello nei confronti della decisione del TAR è stato deciso dal già
citato Cons. Stato n. 5025/2004, il quale, pur avendo confermato la decisione di prime cure, sul punto relativo alla natura del lodo se ne è discostato. I giudici di Palazzo Spada hanno innanzitutto sostenuto che, ai sensi
della normativa risultante dallo statuto del CONI nonché dalle carte federali (ad es. art. 27 statuto FIGC), emerge che « i gradi della giustizia sportiva non si esauriscono con i ricorsi interni federali, ma comprendono anche l’ulteriore ricorso alla Camera di conciliazione e arbitrato (...) ». Il ricorso alla Camera costituisce quindi l’ultimo grado della giustizia sportiva
da adire obbligatoriamente, non già in via facoltativa. Tale ricostruzione,
allora, per il Consiglio di Stato, risulta contrastante con una lettura della
decisione della Camera in termini di lodo arbitrale alternativo alla giurisdizione statale. Lodo che, invece, integrerebbe « una decisione emessa dal
supremo organo della giustizia sportiva sulla base di principi e garanzie
tipiche del giudizio arbitrale, ma che resta soggetta agli ordinari strumenti
di tutela giurisdizionale per le fattispecie non riservate all’ordinamento
sportivo ».
Su questo discorso dell’obbligatorietà del giudizio della Camera arbitrale, sono stati formulati dei rilievi critici. Si è detto (38), in particolare, che
la facoltatività dell’arbitrato riconosciuta da TAR n. 2987/2004 non è tale
in quanto presuppone una istanza di parte (che è scontata), quanto perché
manca un’imposizione legislativa che precluda l’accesso al giudice statale
(peraltro siffatta norma sarebbe incostituzionale). Per altro verso, l’obbligatorietà riscontrata da Cons. Stato n. 5025/2004 è la stessa che sussiste in
qualsiasi arbitrato: un’obbligatorietà di origine contrattuale.
Il supremo consesso ha poi messo in evidenzia un ulteriore profilo, e
cioè che, richiamando inoltre l’orientamento consolidato sul punto, nelle
controversie cagionate da provvedimenti di non ammissione ai campionati
sono configurabili, per le ragioni già viste, posizioni di interesse legittimo.
Il Consiglio di Stato ha concluso, sul punto, affermando che la decisione
(37) In Massima redazionale, 2005; in Foro it., Rep., 2005, voce Sport, n. 64-67.
(38) FERRARA, L’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale si imparruccano di
fronte alla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport, in Foro amm.-C.d.S., 2004,
1241.
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della Camera arbitrale « non costituisce un vero e proprio lodo arbitrale,
ma rappresenta la decisione di ultimo grado della giustizia sportiva, avente
quindi il carattere sostanziale di provvedimento amministrativo, benché
emesso con le forme e le garanzie tratte dal giudizio arbitrale ».
In realtà, successivamente, in almeno un’altra occasione il TAR Lazio
ha dissentito dal Consiglio di Stato (39).
Nel frattempo (2004) veniva modificata la norma del regolamento arbitrale che prevedeva la natura rituale del lodo emessa dalla Camera, stabilendo espressamente che al contrario l’arbitrato ivi svolto aveva natura irrituale, salvo diversa volontà espressa dalle parti.
Ebbene, TAR Lazio da ultimo citato ha sostenuto, in particolare, che
la decisione della Camera arbitrale è un lodo irrituale, perché è lo stesso
statuto del CONI che lo dice, in quanto espressamente parla di organo arbitrale da costituirsi nel rispetto dei principi di terzietà, autonomia ed indipendenza di giudizio, e non già di organo amministrativo. Ha poi fatto presente che, per potersi parlare di provvedimento amministrativo, dovrebbe
esserci un soggetto pubblico cui riferire, appunto, il lodo-provvedimento,
circostanza che invece non sussiste.
In dottrina (40) è stata messa in dubbio la natura arbitrale della procedura in quanto sembrerebbe risultare mancante proprio il requisito della
terzietà dell’organo giudicante, ossia l’equidistanza dalle parti in causa. Le
perplessità derivano dal fatto che il regolamento della Camera (art. 11,
comma 4) prevede che gli arbitri possono essere nominati esclusivamente
tra i componenti del Consiglio di Presidenza e dell’Elenco di esperti in materia giuridica e sportiva, entrambi nominati dal Consiglio Nazionale del
CONI su proposta della Giunta Nazionale; ma tale sistema alla fine consegna ad una parte, nella individuazione del giudicante, un peso maggiore rispetto all’altra. Ed in effetti viene evidenziato che, tanto la Giunta quanto
il Consiglio Nazionale del CONI, sono costituiti prevalentemente dai presidenti delle federazioni e solo per il 30% circa da atleti e tecnici, con la
conseguenza che le federazioni stesse possono assumere un ruolo determinante nella nomina sia dei componenti fissi della Camera sia dei membri
dell’Elenco di esperti.
I giudici di Palazzo Spada, con la già citata sentenza n. 527/2006 (che
ha respinto l’appello a TAR n. 2571/2005), hanno ribadito invece il loro
orientamento. Più precisamente hanno messo in evidenza la necessità di affermare la natura amministrativa del giudizio della Camera del CONI, che
pure si svolge « in forma arbitrale », in quanto la posizione giuridica azionata assume, essenzialmente, i connotati dell’interesse legittimo.
(39) TAR Lazio, sez III-ter, 7 aprile 2005, n. 2571, cit.
(40) BATTAGLIA, La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport istituita presso
il CONI, in questa Rivista, 2004, 615 ss.
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Questo è l’indirizzo che ha prevalso e che è stato confermato, successivamente, anche dal TAR Lazio, ad esempio con la già ricordata sentenza
n. 5645/2007, e più recentemente con la sentenza 5 giugno 2008 n.
5492 (41). Per quanto riguarda il supremo consesso, l’orientamento è stato
ribadito, ancora una volta, con Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2007, n.
268 (42) il quale, in particolare, ha sottolineato che l’indicazione del regolamento della Camera in termini di arbitrato rituale ovvero irrituale è irrilevante ai fini della qualificazione del lodo come provvedimento amministrativo, mentre vale per indicare le norme da applicare alla procedura.
Indubbiamente quello della natura del lodo della Camera del CONI è
un argomento di contrasto non indifferente tra l’impostazione privatistica
della Suprema Corte (ampiamente analizzata) e quella pubblicistica dei
giudici di Palazzo Spada. Con riferimento, nello specifico, alle controversie
disciplinari, in dottrina (43) si è cercato di proporre un’opzione interpretativa per superare tale « impasse », ritenendo che davanti al G.A. non venga
impugnato il lodo irrituale in sé, ma gli atti federali che incorporano il contenuto del lodo stesso, che diverrebbe « la premessa » ottenuta attraverso
un procedimento para-arbitrale per la pronuncia di un conforme provvedimento amministrativo. Dal momento che il lodo non costituisce un atto di
natura negoziale, non sarebbe data nessuna azione impugnatoria presso un
tribunale civile di primo grado; esso servirebbe solo a forgiare, attraverso
la struttura procedimentale arbitrale, il giudizio che viene recepito poi nel
provvedimento amministrativo. D’altro canto, dallo stesso autore è stato altresı̀ ravvisato che tale impostazione non soddisfa (e il contrasto continua),
se non altro perché esistono norme (come l’art. 27, comma 4, statuto FIGC)
che sanciscono il diritto di agire presso i competenti organi giurisdizionali
— e sembrerebbe proprio davanti al G.O. — per impugnare i lodi arbitrali.
13. (Segue): sui profili relativi all’impugnazione del lodo.
Tar Lazio n. 2987/2004, dopo aver sostenuto la natura arbitrale (cioè
di lodo rituale) della decisione della Camera, è intervenuta su altri aspetti.
Dal momento che ha ritenuto la decisione della Camera arbitrale un lodo
rituale, ha rilevato che la relativa impugnazione dinanzi al G.A. (il Tar) può
avvenire, ai sensi dell’art. 827, comma 1, c.p.c, oltreché per revocazione od
opposizione di terzo, nei soli casi di nullità indicati dall’art. 829 c.p.c. Il
giudizio di appello che nasce dall’impugnazione non abilita il G.A. a riesaminare, in ogni caso, la decisione arbitrale nel merito, ma consente il mo(41)
(42)
(43)
nistrativo e,
TAR Lazio, Sez. III-ter, 5 giugno 2008, n. 5492, in Foro it., 2008, III, 598 ss.
In Massima redazionale, 2007; in Foro it., Rep., 2007, voce Sport, n. 67.
CONSOLO, Due Corti e la giustizia sportiva del calcio fra arbitrato e atto ammipiù ancora, tra pubblico e privato, in Corr. giur., 2007, 1113 ss.
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mento rescindente, volto ad accertare se sussistano o meno le cause di nullità previste dalla disposizione citata. Soltanto dopo che si sia conclusa
questa fase (con l’annullamento del lodo) è possibile, ai sensi dell’art. 830
c.p.c., il riesame nel merito della pronuncia del collegio arbitrale, che realizza quindi il momento rescissorio. Inoltre — ha aggiunto il TAR Lazio —
la regola della specifica formulazione dei motivi opera anche nel giudizio
d’impugnazione per nullità del lodo emesso dalla Camera, in quanto esso
ha natura rescindente, unitamente alla circostanza per cui solo l’osservanza
della suddetta regola può consentire al giudice dell’impugnazione ed alla
parte convenuta di appurare l’esatta corrispondenza ai casi di nullità contemplati dall’art. 829 c.p.c. delle contestazioni formulate. E visto quanto
appena considerato, nell’ambito del giudizio di nullità, sia il riesame del
merito in fase rescindente ad opera del G.A., sia la sostituzione della motivazione del lodo con quella resa dallo stesso giudice, devono essere considerati illegittimi.
Cons. Stato n. 5025/2004, attribuendo al lodo natura di provvedimento amministrativo, ha negato l’applicazione della regola ex art. 829
c.p.c., trattandosi invece il lodo di atto pienamente sindacabile dal G.A. Ha
aggiunto, quindi, che non è possibile l’applicazione analogica della disciplina sul rapporto tra impugnazione del dispositivo di una sentenza del
TAR e successiva omessa impugnazione delle motivazioni. Nel caso di
specie, tra l’altro, la FIGC aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso del
Cosenza poiché proposto solo contro il dispositivo del lodo, senza che venisse esteso con motivi aggiunti alle motivazioni. Il supremo consesso amministrativo ha ritenuto che il successivo deposito delle motivazioni consentisse, ma non imponesse, al Cosenza di presentare motivi aggiunti, in
quanto le questioni affrontate dall’arbitro erano state tutte trattate nel ricorso presentato dalla società. Non è stata individuata, quindi, alcuna ragione di inammissibilità del ricorso.
Come abbiamo visto, dopo la modifica al regolamento della Camera
del CONI, il TAR Lazio n. 2571/2005 ha riconosciuto alla decisione camerale natura di lodo irrituale. Coerentemente, ha sostenuto la sua impugnabilità (sembrerebbe dianzi al G.O.) per incapacità delle parti o degli arbitri,
per errore sostanziale, violenza, dolo o eccesso di potere con riferimento ai
limiti del mandato ricevuto. Peraltro — ad avviso del TAR — da tale rilievo non deriverebbe necessariamente un assoluto difetto di giurisdizione
per il G.A., poiché il diritto positivo stabilisce le modalità attraverso le
quali possono sindacarsi i provvedimenti dell’ordinamento sportivo che
producono effetti rilevanti anche per l’ordinamento statale. Risulta quindi
possibile impugnare dinanzi al G.A. il provvedimento originario adottato
dalle federazioni e dal CONI, nel caso in cui non sia condivisa la decisione
arbitrale.
Cons. Stato n. 527/2006, in punto di motivazione, ha affermato che
« la natura amministrativa della decisione della Camera di Conciliazione
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e Arbitrato per lo Sport non comporta l’ammissibilità dell’impugnativa dei
provvedimenti camerali per vizi propri (che non deve ritenersi ammissibile
al di fuori della deduzione di un autonomo interesse strumentale alla rinnovazione del giudizio camerale) ». Ha quindi ricordato l’orientamento
« per cui non sussiste l’interesse a proporre un gravame in sede giurisdizionale avverso il provvedimento che ha dichiarato inammissibile il ricorso
gerarchico, allorquando nel ricorso presentato al giudice amministrativo
siano proposti anche motivi contro l’originario provvedimento della P.A.
(...) pertanto vanno dichiarate inammissibili le censure proposte contro le
decisioni della Camera di Conciliazione per vizi propri di tali provvedimenti, avendo il Cosenza gravato i provvedimento sottostanti emessi dalla
FIGC la cui contestazione, in ipotesi di accoglimento, sarebbe integralmente satisfattiva dell’interesse azionato, mentre in ipotesi di reiezione,
renderebbe inutile la rinnovazione del giudizio camerale ».
Tar Lazio n. 5645/2007, coerentemente con la natura amministrativa
del lodo arbitrale, ha ritenuto inammissibili le censure relative a vizi procedimentali non previamente dedotti in sede amministrativo-arbitrale. Ciò
in quanto l’art. 2 della Legge n. 280/2003 ha previsto che gli atti delle federazioni possono essere impugnati in sede giurisdizionale solo dopo la
preventiva impugnazione presso la Camera arbitrale.
Il problema dell’impugnazione del lodo arbitrale della Camera è sicuramente uno dei più spinosi in questa materia, e si connette indubbiamente
alle difficoltà nascenti dalla mancanza di indicazioni legislative per ciò che
attiene all’impugnazione del lodo nell’arbitrato amministrativo.
In dottrina le posizioni sono molteplici. Per rimanere in tema di arbitrato del CONI, va segnalata l’opinione (44) per cui la decisione emessa
dalla camera arbitrale è un vero e proprio lodo irrituale che, in sede d’impugnazione, è oggi assoggettabile ad un controllo per motivi tipici ai sensi
dell’art. 808-ter c.p.c. dinanzi al « giudice competente », che ben può essere anche il G.A., senza peraltro che a questi sia automaticamente devoluto il potere di decidere la controversia nel merito. Anche altro autore (45)
ha riconosciuto che in particolari materie il giudizio sui « lodi-liberi negozi » attiene alla giurisdizione amministrativa esclusiva. Per contro, un’altra opinione (46) va nel senso che deve essere garantito avverso il lodo irrituale della Camera il ricorso al giudice civile, definendo peraltro le idee
della giurisprudenza amministrativa sulla natura del lodo del CONI « scelte
ermeneutiche discutibilissime ». Viene sostenuto, infatti, che avanti al G.A.
devono essere impugnati gli atti federali, non già il lodo.
(44) AULETTA, Un modello per la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport, in
questa Rivista, 2007, 145 ss.
(45) CONSOLO, Due Corti, cit., 1114.
(46) V. VIGORITI, Giustizia disciplinare, cit., 1123.
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14. (Segue): sulla legittimazione passiva nel giudizio d’impugnazione.
Tar Lazio n. 5492/2008 si è limitato a negare la legittimazione passiva
del CONI poiché ad esso non sono imputabili gli atti che vengono impugnati dinanzi al G.A. in siffatte ipotesi di contenzioso. Invero, l’art. 12 dello
statuto del CONI letteralmente configura la Camera come organo non amministrativo ma arbitrale, rispettoso dei principi di autonomia indipendenza
e terzietà. Inoltre l’art. 20 del relativo regolamento precisa che « il lodo è
imputabile esclusivamente all’organo arbitrale. In nessun caso può essere
considerato atto della Camera o del CONI ».
Tar Lazio n. 5645/2007 ha sviluppato una riflessione più ampia, che
si riallaccia peraltro a quanto già sottolineato nel 2006 dal supremo collegio amministrativo. Ha affermato, cioè, che la configurazione in termini di
provvedimento amministrativo del lodo del collegio arbitrale, non comporta
l’inammissibilità del ricorso giurisdizionale per la mancata evocazione in
giudizio della Camera arbitrale oppure del collegio. Ed infatti, ancorché il
regolamento della Camera disponga che il lodo è imputabile esclusivamente al giudice-arbitro (unico oppure collegiale) e che non può essere
considerato atto della Camera o del CONI, ciò non può valere a configurare detto organo come autorità resistente (in quanto occorrerebbe, per il
G.A., un’autorizzazione legislativa atta a conferire una potestà pubblicistica
allo scopo). Analogamente a Cons. Stato n. 527/2006, la sentenza in commento ha argomentato con riferimento alla disciplina dei ricorsi gerarchici.
Ossia, ha ricordato che, per pacifica giurisprudenza, quando a seguito di un
ricorso gerarchico (specialmente se confermativo del provvedimento impugnato) viene richiesta la tutela al giudice, si determinano effetti devolutivi
che consentono a quest’ultimo di pronunciarsi non solo sulla decisione gerarchica, ma altresı̀ di sindacare il provvedimento sottostante (con la conseguente carenza d’interesse alla contestazione dei vizi propri della decisione camerale di cui s’è detto), considerando cosı̀ legittimo contraddittore
l’autorità che ha emanato il provvedimento impugnato (cioè, nel caso di
specie, la FIGC) e non quella che ha emesso la decisione giustiziale.
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DOCUMENTI E NOTIZIE
La riforma francese dell’arbitrato
Si pubblica qui di seguito il testo dell’ultima riforma della disciplina francese
dell’arbitrato, intervenuta con Décret n. 2011/48 del 13 gennaio 2011.
A tale importante novità la Rivista dedicherà nei prossimi fascicoli adeguato
commento.
Article 1
Les articles 1508 à 1519 du code de procédure civile deviennent respectivement les articles 1570 à 1582.
Article 2
Le livre IV du code de procédure civile est rédigé comme suit:
LIVRE IV
L’ARBITRAGE
TITRE Ier
L’ARBITRAGE INTERNE
Chapitre Ier
La convention d’arbitrage
Art. 1442. — La convention d’arbitrage prend la forme d’une clause compromissoire ou d’un compromis.
La clause compromissoire est la convention par laquelle les parties à un ou
plusieurs contrats s’engagent à soumettre à l’arbitrage les litiges qui pourraient naı̂tre relativement à ce ou à ces contrats.
Le compromis est la convention par laquelle les parties à un litige né soumettent celui-ci à l’arbitrage.
Art. 1443. — A peine de nullité, la convention d’arbitrage est écrite. Elle peut
résulter d’un échange d’écrits ou d’un document auquel il est fait référence dans la
convention principale.
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Art. 1444. — La convention d’arbitrage désigne, le cas échéant par référence
à un règlement d’arbitrage, le ou les arbitres, ou prévoit les modalités de leur désignation.A défaut, il est procédé conformément aux dispositions des articles 1451
à 1454.
Art. 1445. — A peine de nullité, le compromis détermine l’objet du litige.
Art. 1446. — Les parties peuvent compromettre même au cours d’une instance déjà engagée devant une juridiction.
Art. 1447. — La convention d’arbitrage est indépendante du contrat auquel
elle se rapporte. Elle n’est pas affectée par l’inefficacité de celui-ci.
Lorsqu’elle est nulle, la clause compromissoire est réputée non écrite.
Art. 1448. — Lorsqu’un litige relevant d’une convention d’arbitrage est porté
devant une juridiction de l’Etat, celle-ci se déclare incompétente sauf si le tribunal
arbitral n’est pas encore saisi et si la convention d’arbitrage est manifestement nulle
ou manifestement inapplicable.
La juridiction de l’Etat ne peut relever d’office son incompétence.
Toute stipulation contraire au présent article est réputée non écrite.
Art. 1449. — L’existence d’une convention d’arbitrage ne fait pas obstacle,
tant que le tribunal arbitral n’est pas constitué, à ce qu’une partie saisisse une juridiction de l’Etat aux fins d’obtenir une mesure d’instruction ou une mesure provisoire ou conservatoire.
Sous réserve des dispositions régissant les saisies conservatoires et les sûretés
judiciaires, la demande est portée devant le président du tribunal de grande instance
ou de commerce, qui statue sur les mesures d’instruction dans les conditions prévues à l’article 145 et, en cas d’urgence, sur les mesures provisoires ou conservatoires sollicitées par les parties à la convention d’arbitrage.
Chapitre II
Le tribunal arbitral
Art. 1450. — La mission d’arbitre ne peut être exercée que par une personne
physique jouissant du plein exercice de ses droits.
Si la convention d’arbitrage désigne une personne morale, celle-ci ne dispose
que du pouvoir d’organiser l’arbitrage.
Art. 1451. — Le tribunal arbitral est composé d’un ou de plusieurs arbitres en
nombre impair.
Il est complété si la convention d’arbitrage prévoit la désignation d’arbitres en
nombre pair.
Si les parties ne s’accordent pas sur la désignation d’un arbitre complémentaire, le tribunal arbitral est complété dans un délai d’un mois à compter de l’acceptation de leur désignation par les arbitres choisis ou, à défaut, par le juge d’appui mentionné à l’article 1459.
Art. 1452. — En l’absence d’accord des parties sur les modalités de désignation du ou des arbitres:
1o En cas d’arbitrage par un arbitre unique, si les parties ne s’accordent pas
sur le choix de l’arbitre, celui-ci est désigné par la personne chargée d’organiser
l’arbitrage ou, à défaut, par le juge d’appui;
2o En cas d’arbitrage par trois arbitres, chaque partie en choisit un et les deux
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arbitres ainsi choisis désignent le troisième; si une partie ne choisit pas d’arbitre
dans un délai d’un mois à compter de la réception de la demande qui lui en est faite
par l’autre partie ou si les deux arbitres ne s’accordent pas sur le choix du troisième
dans un délai d’un mois à compter de l’acceptation de leur désignation, la personne
chargée d’organiser l’arbitrage ou, à défaut, le juge d’appui procède à cette désignation.
Art. 1453. — Lorsque le litige oppose plus de deux parties et que celles-ci ne
s’accordent pas sur les modalités de constitution du tribunal arbitral, la personne
chargée d’organiser l’arbitrage ou, à défaut, le juge d’appui, désigne le ou les arbitres.
Art. 1454. — Tout autre différend lié à la constitution du tribunal arbitral est
réglé, faute d’accord des parties, par la personne chargée d’organiser l’arbitrage ou,
à défaut, tranché par le juge d’appui.
Art. 1455. — Si la convention d’arbitrage est manifestement nulle ou manifestement inapplicable, le juge d’appui déclare n’y avoir lieu à désignation.
Art. 1456. — Le tribunal arbitral est constitué lorsque le ou les arbitres ont
accepté la mission qui leur est confiée.A cette date, il est saisi du litige.
Il appartient à l’arbitre, avant d’accepter sa mission, de révéler toute circonstance susceptible d’affecter son indépendance ou son impartialité. Il lui est également fait obligation de révéler sans délai toute circonstance de même nature qui
pourrait naı̂tre après l’acceptation de sa mission.
En cas de différend sur le maintien de l’arbitre, la difficulté est réglée par la
personne chargée d’organiser l’arbitrage ou, à défaut, tranchée par le juge d’appui,
saisi dans le mois qui suit la révélation ou la découverte du fait litigieux.
Art. 1457. — Il appartient à l’arbitre de poursuivre sa mission jusqu’au terme
de celle-ci à moins qu’il justifie d’un empêchement ou d’une cause légitime d’abstention ou de démission.
En cas de différend sur la réalité du motif invoqué, la difficulté est réglée par
la personne chargée d’organiser l’arbitrage ou, à défaut, tranchée par le juge d’appui saisi dans le mois qui suit l’empêchement, l’abstention ou la démission.
Art. 1458. — L’arbitre ne peut être révoqué que du consentement unanime des
parties.A défaut d’unanimité, il est procédé conformément aux dispositions du dernier alinéa de l’article 1456.
Art. 1459. — Le juge d’appui compétent est le président du tribunal de grande
instance.
Toutefois, si la convention d’arbitrage le prévoit expressément, le président du
tribunal de commerce est compétent pour connaı̂tre des demandes formées en application des articles 1451 à 1454. Dans ce cas, il peut faire application de l’article 1455.
Le juge territorialement compétent est celui désigné par la convention d’arbitrage ou, à défaut, celui dans le ressort duquel le siège du tribunal arbitral a été fixé.
En l’absence de toute stipulation de la convention d’arbitrage, le juge territorialement compétent est celui du lieu où demeure le ou l’un des défendeurs à l’incident
ou, si le défendeur ne demeure pas en France, du lieu où demeure le demandeur.
Art. 1460. — Le juge d’appui est saisi soit par une partie, soit par le tribunal
arbitral ou l’un de ses membres.
La demande est formée, instruite et jugée comme en matière de référé.
Le juge d’appui statue par ordonnance non susceptible de recours. Toutefois,
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cette ordonnance peut être frappée d’appel lorsque le juge déclare n’y avoir lieu à
désignation pour une des causes prévues à l’article 1455.
Art. 1461. — Sous réserve des dispositions du premier alinéa de l’article
1456, toute stipulation contraire aux règles édictées au présent chapitre est réputée
non écrite.
Chapitre III
L’instance arbitrale
Art. 1462. — Le litige est soumis au tribunal arbitral soit conjointement par
les parties, soit par la partie la plus diligente.
Art. 1463. — Si la convention d’arbitrage ne fixe pas de délai, la durée de la
mission du tribunal arbitral est limitée à six mois à compter de sa saisine.
Le délai légal ou conventionnel peut être prorogé par accord des parties ou, à
défaut, par le juge d’appui.
Art. 1464. — A moins que les parties n’en soient convenues autrement, le tribunal arbitral détermine la procédure arbitrale sans être tenu de suivre les règles
établies pour les tribunaux étatiques.
Toutefois, sont toujours applicables les principes directeurs du procès énoncés
aux articles 4 à 10, au premier alinéa de l’article 11, aux deuxième et troisième alinéas de l’article 12 et aux articles 13 à 21, 23 et 23-1.
Les parties et les arbitres agissent avec célérité et loyauté dans la conduite de
la procédure.
Sous réserve des obligations légales et à moins que les parties n’en disposent
autrement, la procédure arbitrale est soumise au principe de confidentialité.
Art. 1465. — Le tribunal arbitral est seul compétent pour statuer sur les
contestations relatives à son pouvoir juridictionnel.
Art. 1466. — La partie qui, en connaissance de cause et sans motif légitime,
s’abstient d’invoquer en temps utile une irrégularité devant le tribunal arbitral est
réputée avoir renoncé à s’en prévaloir.
Art. 1467. — Le tribunal arbitral procède aux actes d’instruction nécessaires
à moins que les parties ne l’autorisent à commettre l’un de ses membres.
Le tribunal arbitral peut entendre toute personne. Cette audition a lieu sans
prestation de serment.
Si une partie détient un élément de preuve, le tribunal arbitral peut lui enjoindre de le produire selon les modalités qu’il détermine et au besoin à peine d’astreinte.
Art. 1468. — Le tribunal arbitral peut ordonner aux parties, dans les conditions qu’il détermine et au besoin à peine d’astreinte, toute mesure conservatoire
ou provisoire qu’il juge opportune. Toutefois, la juridiction de l’Etat est seule compétente pour ordonner des saisies conservatoires et sûretés judiciaires.
Le tribunal arbitral peut modifier ou compléter la mesure provisoire ou
conservatoire qu’il a ordonnée.
Art. 1469. — Si une partie à l’instance arbitrale entend faire état d’un acte
authentique ou sous seing privé auquel elle n’a pas été partie ou d’une pièce détenue par un tiers, elle peut, sur invitation du tribunal arbitral, faire assigner ce tiers
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devant le président du tribunal de grande instance aux fins d’obtenir la délivrance
d’une expédition ou la production de l’acte ou de la pièce.
La compétence territoriale du président du tribunal de grande instance est déterminée conformément aux articles 42 à 48.
La demande est formée, instruite et jugée comme en matière de référé.
Le président, s’il estime la demande fondée, ordonne la délivrance ou la production de l’acte ou de la pièce, en original, en copie ou en extrait, selon le cas,
dans les conditions et sous les garanties qu’il fixe, au besoin à peine d’astreinte.
Cette décision n’est pas exécutoire de plein droit.
Elle est susceptible d’appel dans un délai de quinze jours suivant la signification de la décision.
Art. 1470. — Sauf stipulation contraire, le tribunal arbitral a le pouvoir de
trancher l’incident de vérification d’écriture ou de faux conformément aux dispositions des articles 287 à 294 et de l’article 299.
En cas d’inscription de faux incident, il est fait application de l’article 313.
Art. 1471. — L’interruption de l’instance est régie par les dispositions des articles 369 à 372.
Art. 1472. — Le tribunal arbitral peut, s’il y a lieu, surseoir à statuer. Cette
décision suspend le cours de l’instance pour le temps ou jusqu’à la survenance de
l’événement qu’elle détermine.
Le tribunal arbitral peut, suivant les circonstances, révoquer le sursis ou en
abréger le délai.
Art. 1473. — Sauf stipulation contraire, l’instance arbitrale est également suspendue en cas de décès, d’empêchement, d’abstention, de démission, de récusation
ou de révocation d’un arbitre jusqu’à l’acceptation de sa mission par l’arbitre désigné en remplacement.
Le nouvel arbitre est désigné suivant les modalités convenues entre les parties
ou, à défaut, suivant celles qui ont présidé à la désignation de l’arbitre qu’il remplace.
Art. 1474. — L’interruption ou la suspension de l’instance ne dessaisit pas le
tribunal arbitral.
Le tribunal arbitral peut inviter les parties à lui faire part de leurs initiatives
en vue de reprendre l’instance ou de mettre un terme aux causes d’interruption ou
de suspension. En cas de carence des parties, il peut mettre fin à l’instance.
Art. 1475. — L’instance reprend son cours en l’état où elle se trouvait au moment où elle a été interrompue ou suspendue lorsque les causes de son interruption
ou de sa suspension cessent d’exister.
Au moment de la reprise de l’instance et par exception à l’article 1463, le tribunal arbitral peut décider que le délai de l’instance sera prorogé pour une durée
qui n’excède pas six mois.
Art. 1476. — Le tribunal arbitral fixe la date à laquelle le délibéré sera prononcé.
Au cours du délibéré, aucune demande ne peut être formée, aucun moyen
soulevé et aucune pièce produite, si ce n’est à la demande du tribunal arbitral.
Art. 1477. — L’expiration du délai d’arbitrage entraı̂ne la fin de l’instance arbitrale.
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Chapitre IV
La sentence arbitrale
Art. 1478. — Le tribunal arbitral tranche le litige conformément aux règles de
droit, à moins que les parties lui aient confié la mission de statuer en amiable composition.
Art. 1479. — Les délibérations du tribunal arbitral sont secrètes.
Art. 1480. — La sentence arbitrale est rendue à la majorité des voix.
Elle est signée par tous les arbitres.
Si une minorité d’entre eux refuse de la signer, la sentence en fait mention et
celle-ci produit le même effet que si elle avait été signée par tous les arbitres.
Art. 1481. — La sentence arbitrale contient l’indication:
1o Des nom, prénoms ou dénomination des parties ainsi que de leur domicile
ou siège social;
2o Le cas échéant, du nom des avocats ou de toute personne ayant représenté
ou assisté les parties;
3o Du nom des arbitres qui l’ont rendue;
4o De sa date;
5o Du lieu où la sentence a été rendue.
Art. 1482. — La sentence arbitrale expose succinctement les prétentions respectives des parties et leurs moyens.
Elle est motivée.
Art. 1483. — Les dispositions de l’article 1480, celles de l’article 1481 relatives au nom des arbitres et à la date de la sentence et celles de l’article 1482
concernant la motivation de la sentence sont prescrites à peine de nullité de celleci.
Toutefois, l’omission ou l’inexactitude d’une mention destinée à établir la régularité de la sentence ne peut entraı̂ner la nullité de celle-ci s’il est établi, par les
pièces de la procédure ou par tout autre moyen, que les prescriptions légales ont
été, en fait, observées.
Art. 1484. — La sentence arbitrale a, dès qu’elle est rendue, l’autorité de la
chose jugée relativement à la contestation qu’elle tranche.
Elle peut être assortie de l’exécution provisoire.
Elle est notifiée par voie de signification à moins que les parties en conviennent autrement.
Art. 1485. — La sentence dessaisit le tribunal arbitral de la contestation
qu’elle tranche.
Toutefois, à la demande d’une partie, le tribunal arbitral peut interpréter la
sentence, réparer les erreurs et omissions matérielles qui l’affectent ou la compléter lorsqu’il a omis de statuer sur un chef de demande. Il statue après avoir entendu
les parties ou celles-ci appelées.
Si le tribunal arbitral ne peut être à nouveau réuni et si les parties ne peuvent
s’accorder pour le reconstituer, ce pouvoir appartient à la juridiction qui eût été
compétente à défaut d’arbitrage.
Art. 1486. — Les demandes formées en application du deuxième alinéa de
l’article 1485 sont présentées dans un délai de trois mois à compter de la notification de la sentence.
Sauf convention contraire, la sentence rectificative ou complétée est rendue
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dans un délai de trois mois à compter de la saisine du tribunal arbitral. Ce délai
peut être prorogé conformément au second alinéa de l’article 1463.
La sentence rectificative ou complétée est notifiée dans les mêmes formes que
la sentence initiale.
Chapitre V
L’exequatur
Art. 1487. — La sentence arbitrale n’est susceptible d’exécution forcée qu’en
vertu d’une ordonnance d’exequatur émanant du tribunal de grande instance dans
le ressort duquel cette sentence a été rendue.
La procédure relative à la demande d’exequatur n’est pas contradictoire.
La requête est déposée par la partie la plus diligente au greffe de la juridiction
accompagnée de l’original de la sentence et d’un exemplaire de la convention d’arbitrage ou de leurs copies réunissant les conditions requises pour leur authenticité.
L’exequatur est apposé sur l’original ou, si celui-ci n’est pas produit, sur la
copie de la sentence arbitrale répondant aux conditions prévues à l’alinéa précédent.
Art. 1488. — L’exequatur ne peut être accordé si la sentence est manifestement contraire à l’ordre public.
L’ordonnance qui refuse l’exequatur est motivée.
Chapitre VI
Les voies de recours
Section 1
L’appel
Art. 1489. — La sentence n’est pas susceptible d’appel sauf volonté contraire
des parties.
Art. 1490. — L’appel tend à la réformation ou à l’annulation de la sentence.
La cour statue en droit ou en amiable composition dans les limites de la mission du tribunal arbitral.
Section 2
Le recours en annulation
Art. 1491. — La sentence peut toujours faire l’objet d’un recours en annulation à moins que la voie de l’appel soit ouverte conformément à l’accord des parties.
Toute stipulation contraire est réputée non écrite.
Art. 1492. — Le recours en annulation n’est ouvert que si:
1o Le tribunal arbitral s’est déclaré à tort compétent ou incompétent ou
2o Le tribunal arbitral a été irrégulièrement constitué ou
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3o Le tribunal arbitral a statué sans se conformer à la mission qui lui avait été
confiée ou
4o Le principe de la contradiction n’a pas été respecté ou
5o La sentence est contraire à l’ordre public ou
6o La sentence n’est pas motivée ou n’indique pas la date à laquelle elle a été
rendue ou le nom du ou des arbitres qui l’ont rendue ou ne comporte pas la ou les
signatures requises ou n’a pas été rendue à la majorité des voix.
Art. 1493. — Lorsque la juridiction annule la sentence arbitrale, elle statue sur
le fond dans les limites de la mission de l’arbitre, sauf volonté contraire des parties.
Section 3
Dispositions communes à l’appel
et au recours en annulation
Art. 1494. — L’appel et le recours en annulation sont portés devant la cour
d’appel dans le ressort de laquelle la sentence a été rendue.
Ces recours sont recevables dès le prononcé de la sentence. Ils cessent de l’être s’ils n’ont pas été exercés dans le mois de la notification de la sentence.
Art. 1495. — L’appel et le recours en annulation sont formés, instruits et jugés selon les règles relatives à la procédure en matière contentieuse prévues aux
articles 900 à 930-1.
Art. 1496. — Le délai pour exercer l’appel ou le recours en annulation ainsi
que l’appel ou le recours exercé dans ce délai suspendent l’exécution de la sentence
arbitrale à moins qu’elle soit assortie de l’exécution provisoire.
Art. 1497. — Le premier président statuant en référé ou, dès qu’il est saisi, le
conseiller de la mise en état peut:
1o Lorsque la sentence est assortie de l’exécution provisoire, arrêter ou aménager son exécution lorsqu’elle risque d’entraı̂ner des conséquences manifestement
excessives ou
2o Lorsque la sentence n’est pas assortie de l’exécution provisoire, ordonner
l’exécution provisoire de tout ou partie de cette sentence.
Art. 1498. — Lorsque la sentence est assortie de l’exécution provisoire ou
qu’il est fait application du 2o de l’article 1497, le premier président ou, dès qu’il
est saisi, le conseiller de la mise en état peut conférer l’exequatur à la sentence arbitrale.
Le rejet de l’appel ou du recours en annulation confère l’exequatur à la sentence arbitrale ou à celles de ses dispositions qui ne sont pas atteintes par la censure de la cour.
Section 4
Recours contre l’ordonnance statuant
sur la demande d’exequatur
Art. 1499. — L’ordonnance qui accorde l’exequatur n’est susceptible d’aucun
recours.
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Toutefois, l’appel ou le recours en annulation de la sentence emporte de plein
droit, dans les limites de la saisine de la cour, recours contre l’ordonnance du juge
ayant statué sur l’exequatur ou dessaisissement de ce juge.
Art. 1500. — L’ordonnance qui refuse l’exequatur peut être frappée d’appel
dans le délai d’un mois à compter de sa signification.
Dans ce cas, la cour d’appel connaı̂t, à la demande d’une partie, de l’appel ou
du recours en annulation formé à l’encontre de la sentence arbitrale, si le délai pour
l’exercer n’est pas expiré.
Section 5
Autres voies de recours
Art. 1501. — La sentence arbitrale peut être frappée de tierce opposition devant la juridiction qui eût été compétente à défaut d’arbitrage, sous réserve des dispositions du premier alinéa de l’article 588.
Art. 1502. — Le recours en révision est ouvert contre la sentence arbitrale
dans les cas prévus pour les jugements à l’article 595 et sous les conditions prévues aux articles 594, 596, 597 et 601 à 603.
Le recours est porté devant le tribunal arbitral.
Toutefois, si le tribunal arbitral ne peut à nouveau être réuni, le recours est
porté devant la cour d’appel qui eût été compétente pour connaı̂tre des autres recours contre la sentence.
Art. 1503. — La sentence arbitrale n’est pas susceptible d’opposition et de
pourvoi en cassation.
TITRE II
L’ARBITRAGE INTERNATIONAL
Art. 1504. — Est international l’arbitrage qui met en cause des intérêts du
commerce international.
Art. 1505. — En matière d’arbitrage international, le juge d’appui de la procédure arbitrale est, sauf clause contraire, le président du tribunal de grande instance de Paris lorsque:
1o L’arbitrage se déroule en France ou
2o Les parties sont convenues de soumettre l’arbitrage à la loi de procédure
française ou
3o Les parties ont expressément donné compétence aux juridictions étatiques
françaises pour connaı̂tre des différends relatifs à la procédure arbitrale ou
4o L’une des parties est exposée à un risque de déni de justice.
Art. 1506. — A moins que les parties en soient convenues autrement et sous
réserve des dispositions du présent titre, s’appliquent à l’arbitrage international les
articles:
1o 1446, 1447, 1448 (alinéas 1 et 2) et 1449, relatifs à la convention d’arbitrage;
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2o 1452 à 1458 et 1460, relatifs à la constitution du tribunal arbitral et à la
procédure applicable devant le juge d’appui;
3o 1462, 1463 (alinéa 2), 1464 (alinéa 3), 1465 à 1470 et 1472 relatifs à l’instance arbitrale;
4o 1479, 1481, 1482, 1484 (alinéas 1 et 2), 1485 (alinéas 1 et 2) et 1486 relatifs à la sentence arbitrale;
5o 1502 (alinéas 1 et 2) et 1503 relatifs aux voies de recours autres que l’appel et le recours en annulation.
Chapitre Ier
La convention d’arbitrage international
Art. 1507. — La convention d’arbitrage n’est soumise à aucune condition de
forme.
Art. 1508. — La convention d’arbitrage peut, directement ou par référence à
un règlement d’arbitrage ou à des règles de procédure, désigner le ou les arbitres
ou prévoir les modalités de leur désignation.
Chapitre II
L’instance et la sentence arbitrales
Art. 1509. — La convention d’arbitrage peut, directement ou par référence à
un règlement d’arbitrage ou à des règles de procédure, régler la procédure à suivre
dans l’instance arbitrale.
Dans le silence de la convention d’arbitrage, le tribunal arbitral règle la procédure autant qu’il est besoin, soit directement, soit par référence à un règlement
d’arbitrage ou à des règles de procédure.
Art. 1510. — Quelle que soit la procédure choisie, le tribunal arbitral garantit l’égalité des parties et respecte le principe de la contradiction.
Art. 1511. — Le tribunal arbitral tranche le litige conformément aux règles de
droit que les parties ont choisies ou, à défaut, conformément à celles qu’il estime
appropriées.
Il tient compte, dans tous les cas, des usages du commerce.
Art. 1512. — Le tribunal arbitral statue en amiable composition si les parties
lui ont confié cette mission.
Art. 1513. — Dans le silence de la convention d’arbitrage, la sentence est
rendue à la majorité des voix. Elle est signée par tous les arbitres.
Toutefois, si une minorité d’entre eux refuse de la signer, les autres en font
mention dans la sentence.
A défaut de majorité, le président du tribunal arbitral statue seul. En cas de
refus de signature des autres arbitres, le président en fait mention dans la sentence
qu’il signe alors seul.
La sentence rendue dans les conditions prévues à l’un ou l’autre des deux alinéas précédents produit les mêmes effets que si elle avait été signée par tous les
arbitres ou rendue à la majorité des voix.
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Chapitre III
La reconnaissance et l’exécution des sentences arbitrales
rendues à l’étranger ou en matière d’arbitrage international
Art. 1514. — Les sentences arbitrales sont reconnues ou exécutées en France
si leur existence est établie par celui qui s’en prévaut et si cette reconnaissance ou
cette exécution n’est pas manifestement contraire à l’ordre public international.
Art. 1515. — L’existence d’une sentence arbitrale est établie par la production de l’original accompagné de la convention d’arbitrage ou des copies de ces
documents réunissant les conditions requises pour leur authenticité.
Si ces documents ne sont pas rédigés en langue française, la partie requérante
en produit une traduction. Elle peut être invitée à produire une traduction établie
par un traducteur inscrit sur une liste d’experts judiciaires ou par un traducteur habilité à intervenir auprès des autorités judiciaires ou administratives d’un autre Etat
membre de l’Union européenne, d’un Etat partie à l’accord sur l’Espace économique européen ou de la Confédération suisse.
Art. 1516. — La sentence arbitrale n’est susceptible d’exécution forcée qu’en
vertu d’une ordonnance d’exequatur émanant du tribunal de grande instance dans
le ressort duquel elle été rendue ou du tribunal de grande instance de Paris
lorsqu’elle a été rendue à l’étranger.
La procédure relative à la demande d’exequatur n’est pas contradictoire.
La requête est déposée par la partie la plus diligente au greffe de la juridiction
accompagnée de l’original de la sentence et d’un exemplaire de la convention d’arbitrage ou de leurs copies réunissant les conditions requises pour leur authenticité.
Art. 1517. — L’exequatur est apposé sur l’original ou, si celui-ci n’est pas
produit, sur la copie de la sentence arbitrale répondant aux conditions prévues au
dernier alinéa de l’article 1516.
Lorsque la sentence arbitrale n’est pas rédigée en langue française, l’exequatur est également apposé sur la traduction opérée dans les conditions prévues à
l’article 1515.
L’ordonnance qui refuse d’accorder l’exequatur à la sentence arbitrale est motivée.
Chapitre IV
Les voies de recours
Section 1
Sentences rendues en France
Art. 1518. — La sentence rendue en France en matière d’arbitrage international ne peut faire l’objet que d’un recours en annulation.
Art. 1519. — Le recours en annulation est porté devant la cour d’appel dans
le ressort de laquelle la sentence a été rendue.
Ce recours est recevable dès le prononcé de la sentence. Il cesse de l’être s’il
n’a pas été exercé dans le mois de la notification de la sentence.
La notification est faite par voie de signification à moins que les parties en
conviennent autrement.
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Art. 1520. — Le recours en annulation n’est ouvert que si:
1o Le tribunal arbitral s’est déclaré à tort compétent ou incompétent ou
2o Le tribunal arbitral a été irrégulièrement constitué ou
3o Le tribunal arbitral a statué sans se conformer à la mission qui lui avait été
confiée ou
4o Le principe de la contradiction n’a pas été respecté ou
5o La reconnaissance ou l’exécution de la sentence est contraire à l’ordre public international.
Art. 1521. — Le premier président ou, dès qu’il est saisi, le conseiller de la
mise en état peut conférer l’exequatur à la sentence.
Art. 1522. — Par convention spéciale, les parties peuvent à tout moment renoncer expressément au recours en annulation.
Dans ce cas, elles peuvent toujours faire appel de l’ordonnance d’exequatur
pour l’un des motifs prévus à l’article 1520.
L’appel est formé dans le délai d’un mois à compter de la notification de la
sentence revêtue de l’exequatur. La notification est faite par voie de signification à
moins que les parties en conviennent autrement.
Art. 1523. — La décision qui refuse la reconnaissance ou l’exequatur d’une
sentence arbitrale internationale rendue en France est susceptible d’appel.
L’appel est formé dans le délai d’un mois à compter de la signification de la
décision.
Dans ce cas, la cour d’appel connaı̂t, à la demande d’une partie, du recours en
annulation à l’encontre de la sentence à moins qu’elle ait renoncé à celui-ci ou que
le délai pour l’exercer soit expiré.
Art. 1524. — L’ordonnance qui accorde l’exequatur n’est susceptible d’aucun
recours sauf dans le cas prévu au deuxième alinéa de l’article 1522.
Toutefois, le recours en annulation de la sentence emporte de plein droit, dans
les limites de la saisine de la cour, recours contre l’ordonnance du juge ayant statué sur l’exequatur ou dessaisissement de ce juge.
Section 2
Sentences rendues à l’étranger
Art. 1525. — La décision qui statue sur une demande de reconnaissance ou
d’exequatur d’une sentence arbitrale rendue à l’étranger est susceptible d’appel.
L’appel est formé dans le délai d’un mois à compter de la signification de la
décision.
Les parties peuvent toutefois convenir d’un autre mode de notification lorsque
l’appel est formé à l’encontre de la sentence revêtue de l’exequatur.
La cour d’appel ne peut refuser la reconnaissance ou l’exequatur de la sentence arbitrale que dans les cas prévus à l’article 1520.
Section 3
Dispositions communes aux sentences
rendues en France et à l’étranger
Art. 1526. — Le recours en annulation formé contre la sentence et l’appel de
l’ordonnance ayant accordé l’exequatur ne sont pas suspensifs.
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Toutefois, le premier président statuant en référé ou, dès qu’il est saisi, le
conseiller de la mise en état peut arrêter ou aménager l’exécution de la sentence si
cette exécution est susceptible de léser gravement les droits de l’une des parties.
Art. 1527. — L’appel de l’ordonnance ayant statué sur l’exequatur et le recours en annulation de la sentence sont formés, instruits et jugés selon les règles
relatives à la procédure contentieuse prévues aux articles 900 à 930-1.
Le rejet de l’appel ou du recours en annulation confère l’exequatur à la sentence arbitrale ou à celles de ses dispositions qui ne sont pas atteintes par la censure de la cour. »
Article 3
Les dispositions du présent décret entrent en vigueur le premier jour du quatrième mois suivant celui de sa publication, sous réserve des dispositions suivantes:
1o Les dispositions des articles 1442 à 1445, 1489 et des 2o et 3o de l’article
1505 du code de procédure civile s’appliquent lorsque la convention d’arbitrage a
été conclue après la date mentionnée au premier alinéa;
2o Les dispositions des articles 1456 à 1458, 1486, 1502, 1513 et 1522 du
même code s’appliquent lorsque le tribunal a été constitué postérieurement à la date
mentionnée au premier alinéa;
3o Les dispositions de l’article 1526 du même code s’appliquent aux sentences arbitrales rendues après la date mentionnée au premier alinéa.
Article 4
Le présent décret est applicable dans les ı̂les Wallis-et-Futuna.
Article 5
Le garde des sceaux, ministre de la justice et des libertés, et le ministre de
l’intérieur, de l’outre-mer, des collectivités territoriales et de l’immigration sont
chargés, chacun en ce qui le concerne, de l’exécution du présent décret, qui sera
publié au Journal officiel de la République française.
Fait à Paris, le 13 janvier 2011.
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Proposte di modifica del Regolamento (CE) 44/2001 e arbitrato
L’iter di riforma del Regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000,
concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle
decisioni in materia civile e commerciale, ha avuto una forte accelerazione negli
ultimi mesi del 2010, grazie all’intervento del Parlamento e della Commissione
Europea.
Il 7 settembre 2010, il Parlamento Europeo, su proposta del Committee on
Legal Affairs (proposta del 23 giugno 2010), ha approvato una mozione sull’« implementation and review » del suddetto Regolamento, mentre la proposta di revisione della Commissione Europea è stata formalizzata il 14 dicembre 2010 (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on Jurisdiction and the Recognition and Enforcement of Judgments in Civil and Commercial
Matter). Entrambi i documenti — di seguito riproposti per estratti — contengono
indicazioni significative in materia di arbitrato, allo stato notoriamente escluso dall’ambito di applicazione del Reg. 44/2001.
La questione dell’inclusione dell’arbitrato nell’ambito di applicazione del Regolamento è stata oggetto di ampie discussioni in dottrina e in seno alle Istituzioni
europee, specie a seguito della pubblicazione, ad opera della stessa Commissione,
del Libro Verde sulla revisione della disciplina comunitaria in materia di giurisdizione e riconoscimento ed esecuzione delle sentenze straniere del 21 aprile 2009
(COM(2009) 175 def.). In effetti, il tema presenta implicazioni di notevole rilevanza e dall’esclusione dell’arbitrato dall’ambito di operatività della normativa regolamentare, la giurisprudenza comunitaria ha tratto importanti conseguenze. In
estrema sintesi, la posizione degli autori può essere sintetizzata in due filoni contrapposti, uno dei quali favorevole alla revisione del Reg. 44/2001 e all’inclusione
dell’arbitrato nel suo ambito operativo, l’altro, diametralmente opposto, contrario a
una riforma in tal senso (per una sommaria descrizione delle diverse posizioni assunte in dottrina, v. VAGENHEIM, Should Arbitration Be Included in EC Regulation
44/2001, ASA Bulletin, 2009, 588 ss. ed HESS - PFEIFFER - SCHLOSSER, The Brussels
I Regulation 44/2001. Application and Enforcement in the EU (National Reports),
Munchen, 2008).
La posizione che sul tema è stata adottata dal Parlamento Europeo nella risoluzione dello scorso settembre pare sposare in pieno, almeno in linea di principio,
la posizione di coloro che si oppongono all’inclusione dell’arbitrato tra le materie
disciplinate dal Regolamento 44/2001, sul presupposto che « arbitration is satisfactorily dealt with by the 1958 New York Convention and the 1961 Geneva Convention on International Commercial Arbitration ». A scanso di equivoci, poi, la risoluzione parlamentare precisa che il Reg. 44/2001 non trova applicazione neanche
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rispetto ai procedimenti giudiziari volti ad accertare validità ed efficacia di clausole
compromissorie.
Diversa, invece, la posizione della Commissione Europea, che adotta una soluzione di compromesso evidenziata già nel Preambolo: in base al capoverso n. 11,
la normativa regolamentare « does not apply to arbitration, save in the limited case
proivided for therein », precisandosi in seguito — capoverso n. 20 — che la stessa
normativa « should... contain special rules aimed at avaoiding parallel proceedings
and abusive litigation tactics ». In conformità a tali premesse, la proposta di modifica dell’art. 1 del Regolamento prevede che l’esclusione dell’arbitrato dall’ambito
di applicazione del Regolamento — che pur rimane la regola generale — non sia
assoluta, essendo derogata da quanto previsto dai successivi artt. 29 para. 4 e 33
para. 3. Sicché, se per il Parlamento Europeo la disciplina comunitaria non dovrebbe occuparsi neanche dei procedimenti giudiziari in cui, in via principale o incidentale, sia sollevata la presenza dell’accordo arbitrale, la proposta di modifica
avanzata dalla Commissione va in una direzione opposta, imponendo al giudice di
sospendere il processo, « once the Court of the Member State where the seat of the
arbitration is located or the arbitral tribunal have been sised of proceedings to determine, as their main object or as an incidental question, the existence, validity or
effects of that arbitration agreement ».
Andando più nel dettaglio, il giudice statale — la cui giurisdizione sia contestata per la presenza di un accordo arbitrale — deve sospendere il processo, ove
una delle parti della controversia abbia dato esecuzione all’accordo compromissorio previamente sottoscritto con l’avvio del relativo procedimento ovvero abbia
sollevato la questione della competenza arbitrale, in via principale o in via incidentale, davanti alla corte dello Stato sede dell’arbitrato. In altre parole, la Commissione parte dalla presunzione che gli arbitri e i giudici dello Stato sede dell’arbitrato sono maggiormente « titolati » — rispetto a qualsiasi altra corte — ad affrontare questioni concernenti la validità, l’efficacia e l’operatività dell’accordo arbitrale. E partendo da questa premessa, impone al giudice di uno Stato diverso, la cui
giurisdizione sia contestata per la sussistenza del patto arbitrale, di sospendere il
processo, ove il « foro naturale » — ossia l’arbitro o il giudice dello Stato sede —
sia stato adito da una delle parti. La sospensione del processo — precisa la Commissione Europea nella relazione che accompagna la proposta di modifica — è obbligatoria. Si legge, infatti, nella suddetta relazione che la proposta di modifica del
Regolamento « obliges a court seised of a dispute to stay proceedings if its jurisdiction is contested on the basis of an arbitration agreement and an arbitral tribunal has been seised of the case or court proceedings relating to the arbitration
agreement have been commenced in the Member State of the seat of the arbitration ». È tuttavia previsto dall’art. 29 para. 4, secondo capoverso, che il giudice
adito può declinare la sua giurisdizione se le norme del suo ordinamento nazionale
lo consentono. La declinatoria della giurisdizione — facoltativa dal punto di vista
della disciplina europea in pendenza del giudizio arbitrale o del giudizio instaurato
dinanzi al giudice dello Stato sede — diventa obbligatoria per tutti i giudici, e a
prescindere da quanto in materia dispongono le norme della lex fori, nel momento
in cui il Tribunale arbitrale o il giudice dello Stato sede accerta la validità e operatività del patto arbitrale dedotto in giudizio.
La proposta della Commissione Europea è chiaramente ispirata al favor arbitrati. La mancanza di una norma in tal senso ha consentito in passato — e consente
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tutt’ora — alla parte che intende sottrarsi al vincolo arbitrale di adire il giudice statale per la soluzione nel merito della lite e indirettamente deferire a quest’ultimo
l’accertamento della validità, efficacia e operatività dell’accordo arbitrale. Comportamento questo che, pur essendo perfettamente lecito nell’attuale contesto normativo, comporta la duplicazione di procedimenti e il connesso rischio di pronunce
contrastanti sulla stessa controversia. L’opportunità di affrontare una tale diseconomia, e tutelare al contempo la scelta arbitrale effettuata dalle parti, è stata avvertita
da tutti gli operatori del diritto — giudici, istituzioni europee e dottrina —, che sul
punto hanno tuttavia offerto soluzioni divergenti.
I giudici inglesi, per esempio, hanno fatto ricorso allo strumento delle antisuit injunctions, provvedimenti con cui il giudice inibisce alla parte che intende
boicottare l’arbitrato di adire il giudice di un altro Stato per la soluzione nel merito
della controversia. Il trend delle corti inglesi è stato, tuttavia, bocciato dalla Corte
di Giustizia europea, in considerazione del fatto che tali provvedimenti — con cui
un giudice di fatto inibisce al collega di un diverso Stato membro, ma egualmente
competente, di pronunciarsi su una determinata questione — si contraddistinguono
per una intrinseca odiosità, posto che il foro che adotta l’injunction di fatto impone
la propria decisione a un altro foro, pur in assenza di una norma che stabilisca la
prevalenza della competenza del primo su quella del secondo. Per dirla in termini
tecnici, l’anti-suit injunciton a sostegno dell’arbitrato, pur non rientrando l’arbitrato
tra le materie regolate dalla disciplina comunitaria, compromette la corretta operatività dei titoli di giurisdizione dalla stessa previsti, e la Corte di Giustizia ne ha
impedito l’adozione per garantire il c.d. « l’effetto utile » del Regolamento.
La Commissione Europea sembra condividere le preoccupazioni della Corte,
tanto da proporre uno strumento correttivo diverso dalle anti-suit injunctions, la cui
introduzione nell’ambito della normativa regolamentare è invece caldeggiata dal
Parlamento Europeo. La risoluzione parlamentare, infatti, pur partendo dal principio secondo cui le procedure giudiziali aventi ad oggetto validità e operatività dell’accordo arbitrale sono escluse dal Regolamento 44/2001, non ritiene che le antisuit injunctions siano provvedimenti odiosi — lesivi dell’effetto utile e della reciproca fiducia tra giudici europei — e suggerisce di ammetterne l’adozione.
Sul tema delle anti-suit injunctions le istituzioni europee sono quindi in aperto
contrasto. Concordi sull’opportunità di garantire l’arbitrato ed evitare pratiche dilatorie che comportano la duplicazione di procedimenti, l’aumento dei costi per la
giustizia e per le parti, una maggiore incertezza del diritto e dell’effettivo soddisfacimento dei diritti per cui si chiede tutela, si dividono sugli strumenti più idonei al
raggiungimento dello scopo. Per Parlamento e giudici inglesi le anti-suit injunctions costituiscono lo strumento più efficace, nonostante le preoccupazioni espresse
al riguardo dalla Corte di Giustizia, ma personalmente ritengo più soddisfacente la
scelta fatta dalla Commissione. Le ragioni di ciò sono illustrate nel saggio sulle
Anti-suit injunctions pubblicato in questo fascicolo nella rubrica Dottrina. Ad esse
vanno già aggiunti altri due argomenti.
Il fatto che la costituzione del Tribunale arbitrale implichi la sospensione del
procedimento giudiziario pendente di fronte al giudice la cui giurisdizione sia contestata per effetto della convenzione arbitrale — e poi la declinatoria di giurisdizione se il Tribunale dichiara la propria competenza — va nel senso di rendere diritto positivo il principio, di ampia diffusione, della Kompetenz-Kompetenz. Il che
non può che essere valutato positivamente, anche alla luce del fatto che l’eventuale
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errore dell’arbitro potrebbe essere comunque rilevato in sede di impugnazione per
nullità. Inoltre, l’idea di conferire una « competenza privilegiata » — ma non esclusiva — ai giudici dello Stato che è sede dell’arbitrato valorizza il criterio della
« localizzazione geografica » dell’arbitrato, a discapito del criterio della legge processuale applicabile, criterio quest’ultimo caro alla cultura francese ma non condiviso all’interno della comunità internazionale. Del resto, il criterio della sede è più
rispettoso del principio della volontà delle parti su cui l’arbitrato si basa, come sottolinea la stessa Commissione nel dare la definizione del concetto di sede: « the
seat selected by the parties or the seat designated by an arbitral tribunal, by an
arbitral institution or by any other authority directly or indirectly chosen by the
parties ».
Certo anche la scelta della Commissione presenta dei limiti, ma poiché scegliere significa perdere ed acquistare contemporaneamente, non poteva che essere
altrimenti (sulle criticità della proposta della Commissione, in parte non condivise
da chi scrive, v. LEANDRO, La proposta per la riforma del regolamento « Bruxelles
I » e l’arbitrato, in www.sidi-isil.org e per una panoramica generale sulla proposta,
v. FRANZINA, La garanzia dell’osservanza delle regole sulla competenza giurisdizionale nella proposta di revisione del regolamento « Bruxelles I », ibidem). Ad esempio, il coordinamento tra le giurisdizioni di Stati membri diversi e la giurisdizione
arbitrale opera nei limiti in cui la sede dell’arbitrato sia stata fissata dalle parti —
o da chi per loro — nel territorio di uno Stato membro. Il che costituisce il presupposto necessario perché operi la « competenza privilegiata » prevista dalla proposta
di modifica del Regolamento. Una simile scelta si spiega forse in virtù di quella reciproca fiducia che caratterizza i rapporti tra le corti degli Stati europei e che nasce dall’esistenza di uno spazio giudiziario unico, europeo, mancante, invece, nei
rapporti con giudici di altri Stati. In altre parole, il giudice consente che l’accertamento di validità ed efficacia della clausola compromissoria sia rimesso a un arbitro o ad un altro giudice, solo se questi ultimi sono vincolati dagli stessi criteri di
riparto della giurisdizione internazionale cui egli stesso deve attenersi. Tuttavia, se
un tale ragionamento ha senso quando a venire in considerazione è il difetto di giurisdizione derivante dalla sussistenza della giurisdizione del giudice di un altro
Stato, non ha senso quando si discute di riparto della giurisdizione tra giudici statali ed arbitri. In questo caso, infatti, il valore giuridico che occorre tutelare non è
la reciproca fiducia tra corti o il corretto funzionamento di titoli di giurisdizione
comuni, bensı̀ la volontà delle parti di compromettere per arbitri. E poiché la volontà di arbitrare include la volontà di farlo in quel determinato Stato, garantire
l’attuazione del principio della Kompetenz-Kompetenz e della « competenza privilegiata » del giudice dello Stato della sede, a prescindere dalla localizzazione geografica dell’arbitrato, sembrerebbe una via percorribile. La sua limitazione allo
spazio giudiziario europeo potrebbe essere giustificata solo da considerazioni di
opportunità di politica legislativa (che in effetti sussistono). Su un piano tecnico,
invece, ciò che rischia di mettere fortemente in crisi il sistema di coordinamento
messo a punto dalla Commissione europea è la mancata indicazione nella clausola
arbitrale della sede dell’arbitrato, posto che in tal caso difetterebbe il presupposto
necessario della « competenza privilegiata » prevista. Infine, lo strumento di coordinamento proposto dalla Commissione non opera, per espressa previsione normativa, nei casi in cui l’arbitrato riguardi contratti di consumo, assicurazione e lavoro
dipendente.
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Nonostante tali criticità, la proposta della Commissione sembra andare nella
giusta direzione, diversamente dalla risoluzione del Parlamento europeo, le cui indicazioni si spera non siano accolte se e quando il Regolamento sarà revisionato. E
ciò non solo per quanto riguarda la questione delle anti-suit injunctions. Desta, infatti, perplessità perfino maggiori la proposta di emendare la normativa europea con
l’introduzione di una norma che consenta di non riconoscere la sentenza con cui il
giudice straniero, statuendo sulla validità dell’accordo arbitrale, non abbia rispettato le norme di legge che in materia di arbitrato si applicano nello Stato dove è
chiesto il riconoscimento. Ciò significa che se in Italia viene riconosciuta la validità di un patto compromissorio — invalido secondo la legge francese — il giudice
francese potrebbe non riconoscere la sentenza italiana. Tale proposta di emendamento non è in linea con la Convenzione di New York del 1958, pur richiamata
dalla risoluzione parlamentare come normativa di riferimento dell’arbitrato. Il suo
art. V, I par., lett. a) prevede criteri omogenei per l’individuazione della legge che
regola i profili di validità dell’accordo arbitrale. E posto che gli Stati europei sono
parte della Convenzione di New York, e che quindi la legge regolante il patto di
compromesso dovrebbe essere per tutti la stessa (tranne secondo alcuni per la compromettibilità, da valutarsi in base alla lex fori), come è possibile consentire al giudice francese di negare il riconoscimento di una sentenza italiana non in linea con
le norme francesi sulla validità dell’accordo arbitrale? Tale disconoscimento sembra partire dall’erroneo presupposto che sia la lex fori a disciplinare l’accordo di
arbitrato. Ma è evidente che, alla luce della Convenzione di New York, non è cosı̀,
posto che ai sensi del suo art. V(1) lett. a), la validità del patto arbitrale va accertata in base alla legge di autonomia scelta dalle parti ovvero, in mancanza, della
legge dello Stato sede dell’arbitrato (sul punto sia consentito il rinvio ad ATTERITANO, Arbitrato estero, in DDPriv.).
Fortunatamente, una simile indicazione non compare nella proposta della
Commissione che, invece, si preoccupa di precisare che la presenza del patto arbitrale non inibisce la possibilità di chiedere la tutela cautelare al giudice competente.
Il contrasto tra le Istituzioni europee sul tema del coordinamento tra arbitrato
e giurisdizioni statali appare oramai evidente e le anti-suit injunctions costituiscono
l’espressione di un nodo giuridico complesso di fondo che si spera possa essere risolto seguendo le orme della Commissione. [Andrea Atteritano]
European Commission proposal of 14 December 2010 for a Regulation of the
European Parliament and of the Council on jurisdiction and the recognition
and enforcement of judgments in civil and commercial matters
Explanatory memorandum
1.
1.1.
Context of the Proposal
General context
This proposal is a recasting of Council Regulation (EC) No 44/2001 of 22
December 2001 on jurisdiction and the recognition and enforcement of judgments
in civil and commercial matters (hereafter « Brussels I »).
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Regulation Brussels I is the matrix of civil judicial cooperation in the European Union. It applies in a broad range of matters, covering not only contractual
but also delictual and proprietary claims. It identifies the most appropriate jurisdiction for solving a cross-border dispute and ensures the smooth recognition and enforcement of judgments issued in another Member State. The Regulation replaced
the 1968 Brussels Convention which had been concluded between the then Member States and been successively amended to reflect the Union’s successive enlargements. It applies in all Member States, including, by way of a separate international agreement, to Denmark which has a special regime for judicial cooperation
under the Treaty on the Functioning of the European Union.
The Regulation entered into force in March 2002. Eight years afterwards, the
Commission has reviewed its operation in practice and considered necessary amendments to the instrument.
1.2.
Grounds for and objectives of the proposal
While the Regulation is overall considered to work successfully, the consultation of stakeholders and a number of legal and empirical studies commissioned
by the Commission revealed a number of deficiencies in the current operation of
the Regulation which should be remedied. Essentially, four main shortcomings can
be identified:
— The procedure for recognition and enforcement of a judgment in another
Member State (« exequatur ») remains an obstacle to the free circulation of judgments which entails unnecessary costs and delays for the parties involved and deters companies and citizens from making full use of the internal market.
— Access to justice in the EU is overall unsatisfactory in disputes involving
defendants from outside the EU. With some exceptions, the current Regulation only
applies where the defendant is domiciled inside the EU. Otherwise jurisdiction is
governed by national law. The diversity of national law leads to unequal access to
justice for EU companies in transactions with partners from third countries: some
can easily litigate in the EU, others cannot, even in situations where no other court
guaranteeing a fair trial is competent. In addition, where national legislation does
not grant access to court in disputes with parties outside the EU, the enforcement
of mandatory EU law protecting e.g. consumers, employees or commercial agents
is not guaranteed.
— The efficiency of choice of court agreements needs to be improved. Currently, the Regulation obliges the court designated by the parties in a choice of
court agreement to stay proceedings if another court has been seised first. This rule
enables litigants acting in bad faith to delay the resolution of the dispute in the
agreed forum by first seizing a noncompetent court. This possibility creates additional costs and delays and undermines the legal certainty and predictability of dispute resolution which choice of court agreements should bring about.
— The interface between arbitration and litigation needs to be improved. Arbitration is excluded from the scope of the Regulation. However, by challenging an
arbitration agreement before a court, a party may effectively undermine the arbitration agreement and create a situation of inefficient parallel court proceedings which
may lead to irreconcilable resolutions of the dispute. This leads to additional costs
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and delays, undermines the predictability of dispute resolution and creates incentives for abusive litigation tactics.
A detailed analysis of the problems of the current system as well as the impacts of the different options considered for addressing them can be found in the
Impact Assessment accompanying this proposal.
The overall objective of the revision is to further develop the European area
of justice by removing the remaining obstacles to the free movement of judicial
decisions in line with the principle of mutual recognition. The importance of this
aim has been emphasised by the European Council in its 2009 Stockholm Programme1. More specifically, the proposal aims at facilitating cross-border litigation and
the free circulation of judgments in the European Union. The revision should also
contribute to create the necessary legal environment for the European economy to
recover.
2.
Consultation and Impact Assessment
This proposal was preceded by an extensive consultation of the interested public, Member States, other institutions and experts on the existing problems of the
current system and possible solutions to it. On 21 April 2009, the Commission
adopted a report on the application of the Regulation and a Green Paper putting
forward suggestions for its review on which a total of 130 responses was received.
The Commission took into account the results of several studies on different aspects of the revision, notably a 2007 study on the practical application of the Regulation2 and a 2006 study on residual jurisdiction3. Empirical data on the impact
of the different options for reform were collected by two further external studies.
Two conferences on the revision were co-organised by the Commission in 20095
and 20106. A meeting with national experts was held in July 2010. A separate
expert group was constituted on the issue of arbitration and three meetings were
held in July, September and October 2010.
It results from the consultation process that views of stakeholders on the main
elements of the reform are as follows. With respect to the abolition of exequatur, a
large majority of stakeholders and all Member States supported the objective of a
free movement of judgments within the European Union. There was also a general
support for the abolition of the exequatur procedure as a means to achieve that
objective. A very large majority of stakeholders opined that the abolition of exequatur should be accompanied by safeguards, in particular to protect the rights of
defence of the party against whom the enforcement is sought. Views differed on the
extent of such safeguards and on the place where such safeguards should be available (Member State of enforcement or Member State of origin).
Specific concerns were expressed with respect to the abolition of the exequatur in defamation cases and in collective redress proceedings. With respect to the
operation of the Regulation in the international legal order, there was a general
opinion that multilateral negotiations at international level would constitute the
most appropriate framework for regulation. Failing such framework, views diverged on the best way forward. While a number of stakeholders and Member States
supported the extension of the jurisdiction rules to third State defendants, particularly with the aim of ensuring access to justice before the courts in Europe, most
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stakeholders thought that the recognition and enforcement of third State judgments
should be left to a multilateral framework which would ensure reciprocity at international level. With respect to choice of court agreements, there was a large support from stakeholders and Member States to improve the effectiveness of such
agreements. Among the various ways to achieve that objective, preference was expressed for granting priority to the chosen court to decide on its jurisdiction. Such
a mechanism would largely accord with the system established in the 2005 Hague
Choice of Court Agreements Convention, thus ensuring a coherent approach within
the Union and at international level were the Union to decide to conclude the 2005
Convention in the future. With respect to the interface between the Regulation and
arbitration, while many stakeholders recognised the problem and supported future
action, several arbitrators’ associations expressed concern on the impact of any regulation on the leading role of European arbitration centres at world-wide level.
Views diverged on whether the best way forward, i.e. either to actively promote arbitration agreements by avoiding parallel proceedings and abusive litigation tactics
or to exclude arbitration more broadly from the scope of the Regulation. In any
event, most stakeholders expressed general satisfaction with the operation of the
1958 New York Convention which should not be undermined by any Union action
on the matter.
The Commission analysed the costs and benefits of the main aspects of the
proposed reform in its Impact Assessment which accompanies this proposal.
3.
1.3.
Legal Elements of the Proposal
Summary of the proposed action
The proposed elements of the reform are as follows:
...
— Improvement of the interface between the Regulation and arbitration
...
The proposal includes a specific rule on the relation between arbitration and
court proceedings. It obliges a court seised of a dispute to stay proceedings if its
jurisdiction is contested on the basis of an arbitration agreement and an arbitral tribunal has been seised of the case or court proceedings relating to the arbitration
agreement have been commenced in the Member State of the seat of the arbitration. This modification will enhance the effectiveness of arbitration agreements in
Europe, prevent parallel court and arbitration proceedings, and eliminate the incentive for abusive litigation tactics.
...
1.5.
Subsidiarity and Proportionality
... As concerns finally the interface with arbitration, Member States cannot by
themselves ensure that arbitration proceedings in their Member State are properly
coordinated with court proceedings going on in another Member State because the
554
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effect of national legislation is limited by the territoriality principle. Action at EU
level is therefore necessary.
The impact assessment attached to this proposal demonstrates that the benefits of each of the proposed amendments outweigh their costs and the proposed
measures are therefore proportionate.
The elimination of the possibilities of circumventing a choice of court or arbitration agreement reduces the risk of parallel proceedings, thereby improving the
general efficiency of justice and the freedom to conduct a business as referred to in
Article 16 of the Charter. Finally, nothing in this Regulation affects the fundamental right of workers and employers, or their respective organisations, to negotiate
and conclude collective agreements and, in cases of conflicts of interests, to take
collective action to defend their interests, including strike action, as referred to in
Article 28 of the Charter.
Proposal for a
COUNCIL REGULATION (EC) No 44/2001
OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL
of 22 December 2000
on jurisdiction and the recognition and enforcement
of judgments in civil and commercial matters
(Recast)
The European Parliament and the Council of the European Union,
Having regard to the Treaty establishing the European Community on the
Functioning of the European Union, and in particular Article 61(c) 67(4) and Article 67(1) 81(2)(a), (c), and (e) thereof,
Having regard to the proposal from the European Commission,
After transmission of the draft legislative act to the national Parliaments,
Having regard to the opinion of the European Parliament,
Having regard to the opinion of the European Economic and Social Committee,
Acting in accordance with the ordinary legislative procedure,
Whereas:
...
(11) This Regulation does not apply to arbitration, save in the limited case
provided for therein. In particular, it does not apply to the form, existence, validity
or effects of arbitration agreements, the powers of the arbitrators, the procedure before arbitral tribunals, and the validity, annulment, and recognition and enforcement
of arbitral awards.
...
(20) The effectiveness of arbitration agreements should also be improved in
order to give full effect to the will of the parties. This should be the case, in particular, where the agreed or designated seat of an arbitration is in a Member State.
This Regulation should therefore contain special rules aimed at avoiding parallel
proceedings and abusive litigation tactics in those circumstances. The seat of the
arbitration should refer to the seat selected by the parties or the seat designated by
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an arbitral tribunal, by an arbitral institution or by any other authority directly or
indirectly chosen by the parties.
....
Have adopted this Regulation:
Chapter I
SCOPE AND DEFINITIONS
Article 1
1. This Regulation shall apply in civil and commercial matters whatever the
nature of the court or tribunal. It shall not extend, in particular, to revenue, customs
or administrative matters.
2. This Regulation shall not apply to:
(a) the status or legal capacity of natural persons, rights in property arising out
of a matrimonial relationship, wills and succession;
(b) bankruptcy, proceedings relating to the winding-up of insolvent companies
or other legal persons, judicial arrangements, compositions and analogous proceedings;
(c) social security;
(d) arbitration, save as provided for in Articles 29, paragraph 4 and 33, paragraph 3;
(e) maintenance obligations arising from a family relationship, parentage,
marriage or affinity.
3. In this Regulation, the term “Member State” shall mean Member States
with the exception of Denmark.
...
Section 910
LIS PENDENS - RELATED ACTIONS
Article 29
...
4. Where the agreed or designated seat of an arbitration is in a Member State,
the courts of another Member State whose jurisdiction is contested on the basis of
an arbitration agreement shall stay proceedings once the courts of the Member
State where the seat of the arbitration is located or the arbitral tribunal have been
seised of proceedings to determine, as their main object or as an incidental question, the existence, validity or effects of that arbitration agreement.
This paragraph does not prevent the court whose jurisdiction is contested from
declining jurisdiction in the situation referred to above if its national law so prescribes.
Where the existence, validity or effects of the arbitration agreement are established, the court seised shall decline jurisdiction.
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This paragraph does not apply in disputes concerning matters referred to in
Sections 3, 4, and 5 of Chapter II.
...
Article 33
1. For the purposes of this Section, a court shall be deemed to be seised:
1.(a) at the time when the document instituting the proceedings or an equivalent document is lodged with the court, provided that the plaintiff has not subsequently failed to take the steps he was required to take to have service effected on
the defendant, or
2.(b) if the document has to be served before being lodged with the court, at
the time when it is received by the authority responsible for service, provided that
the plaintiff has not subsequently failed to take the steps he was required to take to
have the document lodged with the court.
The authority responsible for service referred to in point (b) shall be the first
authority receiving the documents to be served.
2. The courts and authorities responsible for service referred to in paragraph
1 shall note, as applicable, the date and time of lodging of the document instituting
proceedings or of receipt of the documents to be served.
3. For the purposes of this Section, an arbitral tribunal is deemed to be seised
when a party has nominated an arbitrator or when a party has requested the support
of an institution, authority or a court for the tribunal’s constitution
...
Article 36
Application may be made to the courts of a Member State for such provisional, including protective, measures as may be available under the law of that State,
even if, under this Regulation, the courts of another Member State or an arbitral
tribunal have jurisdiction as to the substance of the matter.
European Parliament resolution of 7 September 2010 on the implementation
and review of Council Regulation (EC) No 44/2001 on jurisdiction and the recognition and enforcement of judgments in civil and commercial matters
The European Parliament,
— having regard to Article 81 of the Treaty on the Functioning of the European Union,
— having regard to Council Regulation (EC) No 44/2001 on jurisdiction and
the recognition and enforcement of judgments in civil and commercial matters (hereinafter « the Brussels I Regulation » or « the Regulation »),
— having regard to the Commission’s report on the application of that regulation,
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— having regard to the Commission’s Green Paper of 21 April 2009 on the
review of the Brussels I Regulation,
— having regard to the Heidelberg Report (JLS/2004/C4/03) on the application of the Brussels I Regulation in the Member States and the responses to the
Commission’s Green Paper,
— having regard to its resolution of 25 November 2009 on the Communication from the Commission to the European Parliament and the Council — An area
of freedom, security and justice serving the citizen — Stockholm programme, specifically the sections « Greater access to civil justice for citizens and business » and
« Building a European judicial culture »,
— having regard to the Union’s accession to the Hague Conference on private international law on 3 April 2007,
— having regard to the signature, on behalf of the Union, of the Hague Convention of 30 June 2005 on Choice of Court Agreements on 1 April 2009,
— having regard to the case law of the Court of Justice, in particular Gambazzi v. DaimlerChrysler Canada, the Lugano opinion, West Tankers, Gasser v.
MISAT, Owusu v. Jackson, Shevill, Owens Bank v. Bracco, Denilauer, St Paul
Dairy Industries and Van Uden;
— having regard to the Brussels Convention of 27 September 1968 on jurisdiction and the enforcement of judgments in civil and commercial matters, Regulation (EC) No 805/2004 of the European Parliament and of the Council of 21 April
2004 creating a European Enforcement Order for uncontested claims, Regulation
(EC) No 1896/2006 of the European Parliament and of the Council of 12 December 2006 creating a European order for payment procedure, Regulation (EC) No
861/2007 of the European Parliament and of the Council of 11 July 2007 establishing a European Small Claims Procedure, Council Regulation (EC) No 4/2009
of 18 December 2008 on jurisdiction, applicable law, recognition and enforcement
of decisions and cooperation in matters relating to maintenance obligations and
Council Regulation (EC) No 2201/2003 of 27 November 2003 concerning jurisdiction and the recognition and enforcement of judgments in matrimonial matters and
the matters of parental responsibility, repealing Regulation (EC) No 1347/2000,
— having regard to Regulation (EC) No 864/2007 of the European Parliament
and of the Council of 11 July 2007 on the law applicable to non-contractual obligations (Rome II),
— having regard to the opinion of the European Economic and Social Committee of 16 December 2009,
— having regard to Rules 48 and 119(2) of its Rules of Procedure,
— having regard to the report of the Committee on Legal Affairs,
A. whereas Regulation No 44/2001, with its predecessor the Brussels Convention, is one of the most successful pieces of EU legislation; whereas it laid the
foundations for a European judicial area, has served citizens and business well by
promoting legal certainty and predictability of decisions through uniform European
rules — supplemented by a substantial body of case-law,— and avoiding parallel
proceedings, and is used as a reference and a tool for other instruments,
B. whereas, notwithstanding this, it has been criticised following a number of
rulings of the Court of Justice and is in need of modernisation,
(omissis)
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I. whereas arbitration is satisfactorily dealt with by the 1958 New York Convention and the 1961 Geneva Convention on International Commercial Arbitration,
to which all Member States are parties, and the exclusion of arbitration from the
scope of the Regulation must remain in place,
J. whereas the rules of the New York Convention are minimum rules and the
law of the Contracting States may be more favourable to arbitral competence and
arbitration awards,
K. whereas, moreover, a rule providing that the courts of the Member State of
the seat of the arbitration should have exclusive jurisdiction could give rise to considerable perturbations,
L. whereas it appears from the intense debate raised by the proposal to create
an exclusive head of jurisdiction for court proceedings supporting arbitration in the
civil courts of the Member States that the Member States have not reached a common position thereon and that it would be counterproductive, having regard to
world competition in this area, to try to force their hand,
M. whereas the various national procedural devices developed to protect arbitral jurisdiction (anti-suit injunctions so long as they are in conformity with free
movement of persons and fundamental rights, declaration of validity of an arbitration clause, grant of damages for breach of an arbitration clause, the negative effect
of the “Kompetenz-Kompetenz principle”, etc.) must continue to be available and
the effect of such procedures and the ensuing court decisions in the other Member
States must be left to the law of those Member States as was the position prior to
the judgment in West Tankers,
(omissis)
1. Encourages the Commission to review the interrelationship between the
different regulations addressing jurisdiction, enforcement and applicable law; considers that the general aim should be a legal framework which is consistently structured and easily accessible; considers that for this purpose, the terminology in all
subject-matters and all the concepts and requirements for similar rules in all subject-matters should be unified and harmonised (e.g. lis pendens, jurisdiction clauses, etc.) and the final aim might be a comprehensive codification of private international law;
(omissis)
9. Strongly opposes the (even partial) abolition of the exclusion of arbitration
from the scope;
10. Considers that Article 1(2)(d) of the Regulation should make it clear that
not only arbitration proceedings, but also judicial procedures ruling on the validity
or extent of arbitral competence as a principal issue or as an incidental or preliminary question, are excluded from the scope of the Regulation; further considers that
a paragraph should be added to Article 31 providing that a judgment shall not be
recognised if, in giving its decision, the court in the Member State of origin has, in
deciding a question relating to the validity or extent of an arbitration clause, disregarded a rule of the law of arbitration in the Member State in which enforcement
is sought, unless the judgment of that Member State produces the same result as if
the law of arbitration of the Member State in which enforcement is sought had been
applied;
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11. Considers that this should also be clarified in a recital;
(omissis)
34. Instructs its President to forward this resolution to the Council and the
Commission.
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La scomparsa di Edoardo Ricci
Il 2010 ha privato il mondo dell’arbitrato e tutti coloro che di questo mondo
fanno parte di un grande Maestro, di una vera guida, di un caro amico: Edoardo
Flavio Ricci, professore emerito di diritto processuale civile nell’Università degli
Studi di Milano.
La passione e l’entusiasmo con cui Edoardo Ricci ha portato avanti negli anni,
attraverso le diverse riforme, l’idea che il lodo arbitrale abbia effetti uguali a quelli
della sentenza di un giudice dello Stato sono stati uno dei motori dell’evoluzione
dell’arbitrato in Italia ed è quindi anche al suo pensiero profondo e alla sua voce
forte e chiara che dobbiamo ciò che oggi è pienamente acquisito.
Studioso in primo luogo del processo civile e del diritto fallimentare, Edoardo
Ricci ha dedicato enorme e specifica attenzione anche all’arbitrato. Dall’opera monografica « La prova nell’arbitrato rituale » ai numerosi saggi pubblicati sulle maggiori riviste giuridiche ed anche su questa Rivista, Edoardo Ricci non ha mancato
di volgere il suo sguardo acuto anche all’arbitrato estero e all’arbitrato regolamentato.
Arbitro equilibrato, ma deciso, difensore sempre attento e preparato in procedure arbitrali di grande rilievo, Edoardo ha lasciato un’impronta indelebile in ogni
settore e ruolo tipici del diritto dell’arbitrato e ancor più ha lasciato un segno nel
cuore di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo come uomo e come
amico. [Laura Salvaneschi]
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