Massimo Brescia
Ottica dei telescopi
Parte I
Lezione n. 3
Parole chiave:
Sistemi ottici, fronte d’onda,
limite di diffrazione,
aberrazioni, montature e
configurazioni ottiche
Corso di Laurea:
Laurea magistrale in
Astrofisica e Scienze dello
Spazio
Insegnamento:
Tecnologie Astronomiche
Email Docente:
[email protected]
A.A. 2009-2010
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M. Brescia
Onda elettromagnetica = luce
Rappresentazione onda elettromagnetica
(o.e.) (campo elettromagnetico nel
vuoto). I vettori del campo elettrico (E)
e magnetico (H) sono mutuamente
perpendicolari (medesima dipendenza
dal tempo e quindi sempre in fase fra
loro in tutti i punti del campo).
le componenti scalari del campo
elettromagnetico (Ex, Ey, Ez, Bx, By,
Bz) obbediscono alla equazione
differenziale scalare dell’onda
Le costanti (permeabilità µ e dielettrica ɛ), ottenute sperimentalmente, furono la chiave per
verificare che la velocità V di propagazione dell’o.e. corrispondeva a quella della luce
la velocità di propagazione dell’onda elettromagnetica è così simile a quella della luce che
possiamo ragionevolmente pensare che la luce stessa è una alterazione elettromagnetica che si
propaga in modo ondulatorio attraverso il campo elettromagnetico [Maxwell]
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la luce in un mezzo diverso dal vuoto
Il comportamento del campo elettromagnetico in un mezzo diverso dal vuoto è ovviamente di
grande interesse per l’ottica. La presenza del mezzo si inserisce nelle equazioni di Maxwell
tramite i coefficienti ɛ≠ɛ0 e µ≠µ 0. La velocità di fase diventa quindi V = 1/ ɛµ
Il rapporto fra la velocità della luce nel vuoto e quella in un mezzo è detta indice di rifrazione
del mezzo:
Tutte le sostanze sono debolmente magnetiche,
eccetto le ferromagnetiche che lo sono in modo
elevato: Il rapporto µ/µ0 si può allora porre, a
parte condizioni molto particolari, pari circa ad
1. Il rapporto ɛ/ɛ0 è la costante dielettrica del
mezzo. A complicare il tutto si deve tener
presente che ɛ, e quindi n, è dipendente dalla
frequenza dell’onda; questo effetto è meglio noto
come dispersione (quando un mezzo dielettrico è
sottoposto ad un campo elettrico esterno le sue
cariche subiscono una distorsione).
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l’energia dei fotoni
Le grandezze radiometriche possono essere espresse in termini di numero di fotoni al secondo.
Infatti ogni fotone possiede una certa quantità di energia, che si può esprimere utilizzando i
concetti derivati dalla teoria quantistica della radiazione elettromagnetica (teoria dei quanti).
La quantità di energia associata ad un fotone di lunghezza d’onda λ è:
λ in µm, l’energia di un fotone vale 1.9863*10-19/λ J. Per esempio, l’energia di un fotone IR
di λ=5 µm è 3.97*10-20 J.
A volte si può trovare una descrizione del fotone basata sulla sua frequenza (ν), la cui unità di
misura è l’Hertz (Hz) anziché in λ. La relazione fra lunghezza d’onda e frequenza è ν=c/λ
cosicché, ad esempio, la frequenza di un fotone di λ=10 µm vale 3*1013 Hz. La costante h è la
costante di Planck, il cui valore misurato è dato da:
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la diffrazione
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La luce che attraversa una
fenditura non si propaga solo "in
avanti", come farebbe un
corpuscolo materiale, ma tende a
espandersi
nello
spazio,
coprendo una regione ben più
grande della fenditura attraverso
la quale è passata. Questo
fenomeno prende il nome di
diffrazione,, e si manifesta
quando le dimensioni degli
ostacoli che l'onda incontra
risultano paragonabili alla sua
lunghezza d'onda
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fronte d’onda
Identificando un fronte d’onda di un gruppo di onde come un fascio di particelle la cui fase
cambia con il tempo ma rimane costante su tutto il fronte, si può dunque definire fronte
d’onda il luogo dei punti in cui le onde elettromagnetiche hanno fase costante. Il raggio è
definito come la normale al fronte d’onda (analogamente alle linee di forza in un campo le
quali sono ortogonali al campo)
Il fronte d’onda unisce i due punti a uguale fase d’onda (φ1 = φ2). I raggi 1 e 2 sono
ortogonali localmente al fronte d’onda definito. Se le onde partono nel medesimo istante di
tempo, allora il fronte d’onda sarà rappresentato da una superficie sferica con centro nel
punto sorgente
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il cammino ottico e rifrazione
Siccome la velocità di un’onda elettromagnetica varia a seconda del mezzo in cui si propaga, è
utile definire il cosiddetto cammino ottico (OPL: optical path length), definito come il
prodotto della lunghezza fisica del sistema di ottiche per l’indice di rifrazione del mezzo in cui
l’onda si propaga: OPL=L x n
nel vuoto n =1 per definizione. La velocità di propagazione nell’aria si pone uguale a quella
nel vuoto, con una certa approssimazione. In riferimento ad applicazioni usuali (vedi ADC),
gli indici di rifrazioni dei comuni vetri ottici è maggiore di 1. Significa che la velocità dell’o.
e. all’interno del vetro è minore di quella nel vuoto
=> Il fronte d’onda ha un ritardo passando attraverso un mezzo
Quando un fronte d’onda viaggia
attraverso un mezzo ad indice di
rifrazione n’ maggiore di quello del
mezzo dove è stato generato n (n’>n),
esso subisce un ritardo di fase. Il
cammino ottico nel fronte d’onda si
mantiene però costante: OP1 = OP2. Si
noti che nella realtà l’onda è soggetta a
diffrazione e quella in figura è solo una
rappresentazione geometrica schematica
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sistema ottico
Partiamo da un postulato: “nessun sistema ottico è perfetto”. Ma cos’è un sistema ottico?
Esso si compone di:
1. oggetto (sorgente)
2. immagine dell’oggetto formata sul detector (rivelatore)
3. di un elemento reale (diaframma) il quale:
a) definisce la frazione di flusso e.m. (e quindi dell’energia) che raggiunge il
ricevitore (stop di apertura) oppure, in alternativa,
b) definisce l’area della sorgente che il rivelatore riesce a misurare (stop di campo).
Consideriamo il sistema ottico generico. Esso è costituito da una lente semplice la quale crea
l’immagine L’ dell’oggetto esteso L. Il rapporto fra le dimensioni fisiche L e L’ è
l’ingrandimento del sistema ottico.
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Sistemi diffraction limited - 1
Nel caso reale, l’immagine è sempre affetta da degrado.
Il segno + non è da intendersi in senso algebrico, ma
piuttosto come un operatore convoluzione fra
i singoli contributi.
Nel caso in cui Θimage= ΘAiry (diffraction limited) a
volte si preferisce mettere quattro pixel sul disco di
Airy in modo da campionare secondo il criterio di
Rayleigh.
due sorgenti puntiformi sono
distinguibili se la loro separazione
angolare è maggiore o uguale a:
λ
θ R = 1.22 × 206265
d
risoluzione angolare
dove λ è la lunghezza d'onda della
luce osservata e d è il diametro del
foro di osservazione (in mm)
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Sistemi diffraction limited - 2
Escludiamo per ora l’effetto delle aberrazioni. L’immagine di un punto oggetto, anche per uno
strumento ideale, ha una dimensione fisica finita, determinata dal diametro del disco di
diffrazione (disco di Airy), di dimensione angolare ΘAiry = 2.44 λ/D, con λ la lunghezza d’onda
a cui si osserva e D il diametro della pupilla d’ingresso. La dimensione fisica (ad es. in micron) si
trova moltiplicando la dimensione angolare per la focale dello strumento:
ΦAiry = foc × ΘAiry.
In un sistema di ottica geometrica, qualunque dimensione lineare si ottiene dal prodotto di
quella angolare per la focale del sistema.
Vediamo un esempio di disco di diffrazione
Disco di diffrazione
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Sistemi diffraction limited - 3
per la luce visibile (0.55µm), il diametro del disco di Airy (espresso in m) risulta
approssimativamente pari all’effettivo rapporto tra la focale e la pupilla di uscita (f# = f/D). Il
raggio del primo anello è dunque ottenibile dalla relazione = 1.22λ/D che definisce il potere
risolutivo angolare del telescopio. Ciò è dovuto al fatto che la frazione di energia totale
contenuta in un cerchio di raggio r attorno al centro della figura di diffrazione risulta essere:
π rf
2 π rf
FE = 1 − J (
) − J1 (
)
λD
λD
2
0
Dove con J si è indicata la funzione di Bessel di ordine specificato dal pedice. In questo caso
il rapporto relativo al primo anello risulta essere:
rf
= 1.22
λD
Le funzioni di Bessel sono le soluzioni canoniche y(z) delle equazioni differenziali seguenti
(con α generico che ne identifica l’ordine):
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Sistemi ottici reali - 1
La configurazione ottica prevalente nelle nostre considerazioni prevede un sistema basato su
due ottiche, dette primario (pupilla) e secondario. Questi sono anche detti specchi principali.
I due specchi principali devono mantenere un elevato grado di allineamento rispetto all’asse
ottico comune, in modo da garantire una corretta qualità ottica. Il disallineamento dello
specchio secondario rispetto al primario introduce alcuni effetti indesiderati, principalmente
aberrazioni legate a sfocamento (defocus), tilt e coma da decentramento (decentering coma)
con l’aumentare dell’ingrandimento, il problema delle aberrazioni deve essere affrontato
contemporaneamente su due fronti: da un lato un più preciso controllo del disallineamento
del secondario (controlli attivi) e dall’altro, una correzione modale delle distorsioni del
fronte d’onda indotte sul primario
Le principali sorgenti di degrado della qualità ottica dell’immagine di un telescopio, sono
rappresentate dalla turbolenza atmosferica, che si manifesta mediante il fenomeno
osservativo del seeing, e dai gradienti gravitazionali e termici (ipotizzando un perfetto
sistema di controllo delle parti attive e un adeguato accoppiamento opto-meccanico del
telescopio)
Questi fenomeni, agendo sulla struttura del telescopio, lo allontanano dalla configurazione
ottica ideale (sistema stigmatico: sistema ottico in cui tutti i raggi convergono in un solo
punto), generando disallineamenti delle ottiche
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Sistemi ottici reali - 2
Dunque l’immagine di un punto non è un punto, ma un disco luminoso più o meno grande e/o
deformato a seconda delle aberrazioni presenti (sicuramente maggiore del disco di diffrazione).
In tal caso possono presentarsi le seguenti aberrazioni:
ABERRAZIONI GEOMETRICHE (sistemi ottici centrati)
1. sferica;
2. astigmatismo;
3. coma;
4. curvatura di campo;
5. distorsione di campo.
ABERRAZIONI DA DISALLINEAMENTO (sistemi ottici decentrati)
1. decentering;
2. defocus;
3. tilt;
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Aberrazioni ottiche
L’aberrazione di un sistema ottico si descrive comparando un fronte d’onda sferico di riferimento
RS con quello aberrato AWF. RS è centrato sul punto immagine e tangente alla pupilla di uscita.
In generale dunque, il fronte d’onda non è una sfera perfetta, bensì aberrata, cioè parti differenti
del fronte convergono al fuoco in zone differenti.
W differenza di cammino ottico tra i due fronti
dW variazione di fase fra punti vicini nella
pupilla
T aberrazione trasversale o differenza di quota fra
il centro di curvatura di RS ed il punto del raggio
che interseca il piano del fuoco parassiale
R raggio di curvatura
 dW
T = − R 
 dy



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Aberrazioni ottiche
La figura mostra un fronte d’onda aberrato che può non avere un unico fuoco, ma che ha i raggi
in un’area racchiusa nel cerchio che interseca il piano immagine parassiale nel punto y0=-T.
∆W è allora la distanza tra RS e AWF e l’angolo AA tra i raggi e l’asse ottico è chiamato
aberrazione angolare. (l’aberrazione trasversa si ottiene da quella angolare moltiplicata per la
focale R).
AA = −
T
dW
∂∆ W ( x , y )
=
=−
R
dy
n∂y
AA
AA
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Classificazione analitica di un fronte d’onda
Un fronte d’onda nella sua forma più generale, può essere espresso analiticamente come somma
di monomi:
W (x, y) =
k
n
∑ ∑
n = 0 m = 0
c nm x
m
y
n − m
Ove k è il grado del polinomio. Nel caso di aberrazioni primarie si ottiene:
W ( x , y ) = A ( x 2 + y 2 ) + By ( x 2 + y 2 ) + C ( x 2 + 3 y 2 ) + D ( x 2 + y 2 ) + Ey + Fy
2
Ove i coefficienti rappresentano i contributi di:
A = aberrazione sferica
B = coma
C = astigmatismo
D = defocusing
E = inclinazione rispetto all’asse x
F = inclinazione rispetto all’asse y
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Aberrazione sferica - 1
L'aberrazione sferica è un difetto che in un sistema ottico porta alla formazione di una
immagine distorta. Essa è anche nota come aberrazione in asse, invariante cioè rispetto ad uno
shift angolare rispetto a direzioni ortogonali all’asse ottico. Ciò perché si manifesta per un effetto
di “sfocamento” lungo l’asse ottico, proporzionale a y4.
È provocato dal fatto che, in generale, la sfera non è la superficie ideale per realizzare una
lente/specchio, ma è comunemente usata per semplicità costruttiva.
I raggi distanti dall'asse vengono focalizzati ad una distanza differente dalla lente rispetto a quelli
più centrali. Per evitare il fenomeno si utilizzano particolari lenti non sferiche, chiamate
asferiche, più complesse da realizzare e molto costose. Il difetto può anche essere minimizzato
scegliendo opportunamente il tipo di lente adatto all'impiego specifico.
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Aberrazione sferica - 2
Consideriamo una superficie riflettente curva, come nella seguente figura. Consideriamo una
particolare famiglie di curve composta dalle curve coniche del tipo:
ρ
− 2 R z + (1 + e ) z
2
2
= 0
Ove R è il raggio di curvatura della sfera osculatrice della conica, e è l’eccentricità della conica.
Risolvendo l’equazione di secondo grado:
R −
R 2 − (1 + K ) ρ 2
z =
1 + K
K = −e2
dove K è la costante conica. Sviluppando in serie di Taylor si ottiene:
z =
ρ
2
2R
+
(1
+ K
)
ρ
8R
K < −1
ip e rb o lo id e
K = −1
p a ra b o lo id e
−1 < K < 0
4
3
+
e llis s o id e
K = 0
sfe ra
K > 0
e llis s o id e o b lu n g a
(1
+ K
z =
)
ρ
6
16R
ρ
2
2R
5
+ ...
s e e s o lo s e K = − 1
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M. Brescia
Ottica asferica
La superficie che produce un’immagine priva di aberrazione sferica è la parabola (supponendo la
sorgente posta all’infinito, caso astronomico). Le altre sono asferiche solo se sorgente ed
immagine sono all’interno dei fuochi (p e q) delle curve (cioè a distanza finita, che ci interessano
comunque per ottiche a due specchi, tipiche dei telescopi!)
la parabola fu (e rimane) la soluzione naturale per lo specchio primario di molti telescopi
Le coniche non sferiche producono immagini affette da aberrazioni fuori-asse. Ricordiamoci che,
rispetto ai due fuochi, vale l’utile relazione (m è l’ingrandimento):
 q + p 
K = − 

 q − p 
q
m =
p
2
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Aberrazioni fuori asse di sistemi centrati
Quando l’oggetto non giace sull’asse ottico si presentano aberrazioni definite fuori asse. Si
consideri un fascio collimato che incide con un angolo θ su una superficie conica. Si ha dunque:
θ
y 3θ
y 2θ 2
W = a1
R2
+ a2
R
+ a3 yθ 3 + ...
Sostituendo nell’equazione
AA = −
T  dW 
=

R  dy 
Si ottiene:
dW
y 2θ
yθ 2
AA =
= 3a1 2 + 2a2
+ a3θ 3 + ...
dy
R
R
I cui termini sono rispettivamente il coma, l’astigmatismo e
la distorsione. Il loro carattere dipende dalle rispettive
potenze con cui y e θ sono rappresentati.
y2θ
θ
y
D
R
f
dW
a
≅
/
2
e
=
2
→
=
3
≅
esempio:
coma
1
R2 16( f / D)2
y
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Coma
L’immagine in presenza di coma appare asimmetrica ed ha la forma di una cometa di cui il fuoco
parassiale costituisce la testa. La coda dell’immagine, ovvero la parte meno luminosa, è diretta
radialmente rispetto all’asse ottico. Il coma è positivo quando la coda è diretta dalla parte opposta
rispetto all’asse ottico ed aumenta in proporzione all’angolo di inclinazione del fascio incidente;
quindi risulta maggiore per oggetti più distanti dall’asse ottico. Il coma è proporzionale a y2θ e
quindi cambia segno con l’angolo d’inclinazione, ma è invariante per cambi di segno di y. Può
manifestarsi sia fuori asse o anche al centro del FOV (cioè in asse).
I raggi che passano per il centro di una lente
con distanza focale f, sono focalizzati alla
distanza f tanθ. I raggi che passano in periferia
sono focalizzati invece in un punto diverso
sull'asse, più lontano nel caso della coma
positiva e più vicino nella coma negativa
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M. Brescia
Astigmatismo
è proporzionale a yθ2 e quindi non cambia segno al variare di quello di θ, ma di y, per cui raggi
provenienti dalla parte opposta allo specchio giacciono da parti opposte rispetto al raggio centrale
vicino al fuoco parassiale. L’immagine in presenza di astigmatismo è pertanto traversa rispetto al
raggio centrale.
All’origine dell’astigmatismo vi può essere un errato montaggio degli elementi ottici o, peggio
ancora, una serie di errori più o meno grossolani di lavorazione degli stessi. Entrambi i motivi
sopraelencati portano alla presenza di più assi ottici nell’ambito dello schema del telescopio
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Distorsione di campo
è proporzionale a θ3 e non dipende da y. Per un insieme di punti oggetto equispaziati
perpendicolarmente all’asse ottico, l’insieme di immagini risulterà non equispaziata. Questo vuol
dire che la lunghezza focale cambia con l’angolo di campo. La distorsione è detta “a barilotto” o
“a menisco” in base alla forma caratteristica che assume rispettivamente quando è positiva e
negativa
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M. Brescia
Curvatura di campo
I fuochi corrispondenti a diversi angoli d’incidenza dei raggi, in assenza di altre aberrazioni,
giacciono su una superficie curva. E’ proporzionale a yθ2
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Riassunto aberrazioni per sistemi centrati
Delle cinque aberrazioni descritte, solo quella sferica non dipende dall’angolo di incidenza del
raggio sulla superficie, mentre le altre dipendono dalle potenze di θ. La distorsione e la curvatura
di campo hanno effetto sulla posizione dell’immagine.
Ciascuna aberrazione è proporzionale a ynθm, ove n + m = 3.
Quindi ciascuna di esse è chiamata del terzo ordine.
Oltre alle aberrazioni primarie o “acromatiche”, vi sono le aberrazioni “cromatiche”, legate
all’indice di rifrazione n del mezzo e dalla lunghezza d’onda λ della radiazione in esame. Poiché
l’indice di rifrazione del raggio, incidente e riflesso da uno specchio, è il medesimo, gli specchi
non sono affetti da questo tipo di aberrazione.
Delle cinque aberrazioni del terzo ordine, quella sferica non dipende dal campo; il coma vi
dipende linearmente; l’astigmatismo e la curvatura quadraticamente; la distorsione ha invece una
dipendenza cubica
dW
y 2θ
yθ 2
AA =
= 3 a1
+ 2a2
+ a 3θ
2
dy
R
R
3
+ ...
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Sistemi ottici a 2 specchi: telescopi
Ponendo uno specchio iperbolico con uno dei fuochi sul piano focale del primario M1
(parabolico) otteniamo un teleobiettivo con focale equivalente maggiore delle dimensioni fisiche
dello strumento con aberrazione sferica corretta. Un caso particolare di teleobiettivo è il
telescopio classico a due specchi. Un telescopio costruito in questo modo si chiama Cassegrain.
Sebbene l’aberrazione sferica per oggetti in asse è annullata, permangono tutte le altre
aberrazioni fuori asse
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Configurazioni standard di telescopi
cassegrain
nasmyth
gregoriano
Ritchey -Chrétien
coudè
Fuoco primario
Schmidt-cassegrain
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Alcune definizioni importanti
L’F-number (detto anche apertura numerica o F/#) esprime il diametro dell’apertura del
diaframma in termini dell’effettiva lunghezza focale e della lente. Ad esempio, F/16 rappresenta
un diametro di apertura del diaframma pari ad un sedicesimo delle lunghezza focale.
F / num ber =
f / D
Il parametro s = 206264.8/f è la scala angolare del telescopio (arcsec/mm)
(Non si confonda l'ingrandimento con la scala; l'ingrandimento è il rapporto tra la focale del
telescopio e quella dell’obiettivo, serve dunque per osservazioni visuali. E' facile avere
ingrandimenti di 1000 o oltre, ma in pratica la turbolenza atmosferica e la qualità delle ottiche
limitano i valori utili a 200, o 300)
Il parametro s va confrontato con le dimensioni dell’elemento di immagine (ad es. le dimensioni
del pixel del CCD in micron) sul piano focale del telescopio, per ottenere la scala spaziale dello
strumento. Ad es, se la focale f fornisce s = 10”/mm e il CCD ha pixel di lato 10µm, avremo scala
spaziale di 0”.1/px
S T el
206264.9805
=
["/ m m ]
f
S P F = S T el L pixel ["/ pixel ]
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Caratterizzazione telescopi
Il più banale telescopio è costituito da una lente convergente di focale f ed un rivelatore posto al
fuoco (punto di convergenza o “concentrazione” dei raggi della sorgente). Qualunque telescopio
permette quindi di misurare la brillanza del cielo B(α,δ), convogliando sul rivelatore la massima
potenza (flusso di energia) possibile.
Ciascun pixel di area AP del rivelatore riceve dunque radiazione e.m. da un angolo solido in cielo
quantificabile in:
La potenza luminosa totale raccolta dal rivelatore sarà
AP
Ω s =
allora: P = A Ω B α , δ
2
dove A è l’area della
f
l
s
(
)
l
lente
SENSIBILITA’
Risulta evidente dunque che un’alta risoluzione angolare (inversamente proporzionale a Ωs) ed
un’alta sensibilità P sono esigenze incompatibili e si deve trovare il giusto compromesso. Infatti:
Al =
π
4
F /# =
D2
f
D
P=
π
4
D2
AP
π AP
B
B (α , δ )
α
,
δ
=
(
)
2
f
4F / #
A parità di risoluzione angolare e brillanza, la potenza raccolta è proporzionale ad Ap
A parità di risoluzione angolare, telescopi con f più corta concentrano la stessa potenza su
rivelatori di area minore. La limitazione però è costruttiva (pixel molto piccoli).
Telescopi con grande F/# sono poco luminosi ma con alta risoluzione angolare. Piccola F/#
invece implica telescopi molto luminosi, ma con bassa risoluzione angolare.
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Parametri ottici di progettazione
M. Brescia
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Relazioni ottiche costruttive
ε =
D2
D1
Rapporto di ostruzione (sempre < 1, altrimenti tutto M1 ostruito!)
m =
q2
f
=
p2
f1
Ingrandimento (m di M1 = 1, quindi si considera quello di M2)
f =
R
2
Relazione tra focale e raggio di curvatura
BFD = β
f1
=
β Back Focal Distance: distanza tra vertice di M1 e piano focale del
f 1 telescopio
q 2 = m ε f1
È importante sottolineare che le relazioni di
ottica geometrica usate per disegnare i telescopi
(al primo ordine) valgono in tutte le bande dello
spettro elettromagnetico, ovvero i telescopi per
onde radio o raggi X (ad esempio) devono
obbedire sempre a queste relazioni
ρ =
k =
mε
R
= 2
m −1
R1
ρ (m − 1)
Relazioni utili
m
1 + β = ε (m + 1)
 m +1
K2 = −

 m −1
2
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Progettazione ottica di un telescopio - 1
ESEMPIO 1:
Si disegni un telescopio Cassegrain di apertura numerica F/#=5.5 con specchio primario di
diametro D1=2.65m e rapporto focale F1/# = 1.79 (specchi di questo diametro sono difficili da
fabbricare e da controllare in fase di utilizzo). Per motivi di posizionamento degli strumenti di
piano focale il piano focale del telescopio deve essere a 1.1914 metri dal vertice del primario e
sotto di esso.
SOLUZIONE 1:
Lo scopo è quello di trovare i parametri costruttivi del telescopio, ovvero i raggi di curvatura (R1
e R2), le dimensioni degli specchi (D2), le costanti coniche (K1 e K2) e la distanza fra gli
specchi.
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Progettazione ottica di un telescopio - 2
La focale del telescopio f è, dalla definizione di rapporto focale, f = F/# D1 = 9 1.8 = 14575mm
La focale del riflettore principale è: f1=F1/# D1 = 4743.5mm
troviamo quindi il primo parametro utile: R1 = 2 f1 = 9487mm
La back focal distance β (parametro adimensionale), essendo il fuoco 1.1914 metri sotto il
vertice del primario, vale : β = 1191.4/f1 = 1191.4/4743.5 = 0.2512
L’ingrandimento del telescopio è: m = f/f1 = 14575 /4743.5 = 3.0726
L’ostruzione ε vale: ε = (1+β)/(m+1) = (1+0.2512)/(3.0726+1) = 0.3072
La dimensione dello specchio secondario risulta D2 = e D1 = 814.14mm
Ricaviamo il parametro ρ = mε/(m-1) = 0.4554
si ricava dunque il secondo parametro utile: R2 = ρ R1 = 4320.57mm
q2 = mεf1 = 4477.40mm
Dall’ultima riga della tabella ricaviamo la distanza fra i riflettori D12 = q2 - βf1 = 3285.83 mm
Gli ultimi due parametri costruttivi sono le costanti coniche degli specchi.
Siccome vogliamo fare un Cassegrain il riflettore primario è parabolico: K1 = -1
Mentre la costante conica del secondario è: K2 = -[(m+1)/(m-1)]2 = -4
Con i parametri trovati si iniziano le ottimizzazioni del disegno utilizzando il codice di
simulazione (ray tracing).
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Progettazione ottica di un telescopio - 3
ESEMPIO 2:
Nella stazione spaziale orbitante uno spazio volumetrico a forma di parallelepipedo di dimensioni
500 x 500 x 700 mm può ospitare un telescopio per osservazioni UV a 0.4 µm di lunghezza
d’onda. Il pixel di campionamento è equivalente ad un quadrato di 1.6 µm di lato.
Per permettere l’alloggiamento della strumentazione è necessario lasciare 200 mm sul retro del
primario ed il rivelatore ha un ingombro di 8 mm.
Calcolare i parametri di disegno delle ottiche per un telescopio Cassegrain classico ed uno
aplanatico. Si considerino M1 e M2 di spessore trascurabile.
Tecnologie Astronomiche
M. Brescia
Progettazione ottica di un telescopio - 4
SOLUZIONE 2:
La distanza fra M1 e M2 può essere al massimo 500 mm (D12=500mm). Il piano focale del
telescopio è a 192 mm (200-8) dal vertice del primario (estrazione focale β=192mm). Il diametro
del telescopio sarà di 500 mm (D1=500mm). Il campionamento ideale corrisponde a quello del
disco di Airy su due pixel (per restare compatibile con il criterio di Rayleigh e con il vincolo di
Nyquist).
Φ

Φ
A IR Y
= 2 p i x S IZ E
A IR Y
= 2θ
A IR Y
⋅ f
⇒ f =
p i x S IZ E
θ
A IR Y
( 0 .0 0 1 6 ⋅ 5 0 0 )[ m m 2 ]
=
= 1639m m
(1 . 2 2 ⋅ 0 . 0 0 0 4 ) [ m m ]
Dalle relazioni note q2 = mεf1= (f/f1)εf1 = fε = D12+β si ha:
fε = 500+192 = 692 mm, da cui ε = 0.4222
ε = D2/D1 da cui D2 = εD1 = 211.1 mm
Per calcolare f1, occorrerebbe normalizzare β in unità di misura di f1, per cui:
Da: [1+β=ε(m+1)] e [m=f/f1] e [βf1=β/f1] si ottiene:
1+β=1+(β/f1)=ε(m+1)= ε((f/f1)+1) 1+(β/f1)= εf/f1)+ε) f1=(β-εf)/(ε-1)=865mm e m = 1.89
R1 = 2 f1 R1 = 1730 mm
ρ = R2/R1 = mε / (m-1) = 0.899, da cui R2 = ρR1 R2 = 1555.27mm
Per il telescopio classico: K1 = -1 e K2 = -[(m+1)/(m-1)]2 -> K2 = -10.38
La distinzione fra classico e aplanatico sta solamente nelle coniche degli specchi. Per un
telescopio aplanatico si applicano le equazioni viste: K1 = -1.40 e K2= -19.38