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Incontri
Il nuovo umanesimo cambia
marketing: la Human satisfaction
di Franco Manzitti
Che sia una nuova scienza quella che ha inventato Marzio Bonferroni, il vate della comunicazione d’impresa, economista-psicologo, docente universitario, toscano fluente
e genialoide, figlio di un un grande statistico, Carlo Emilio Bonferroni, un bagaglio di
esperienze impressionante in Università,
aziende, comunità scientifiche?
Lui l’ha battezzata Human satisfaction e la
inquadra, questa capacità di generare interesse nei prodotti da vendere, in un mercato
globale e profondamente modificato dai nuovi mezzi di comunicazione, come un “nuovo umanesimo”.
Bonferroni che è un toscano aperto, diretto, sorridente, lo dice non a caso con un’aria seria e compresa, salvo passare all’ironia, definendosi provocatoriamente “attentatore culturale” per la sua dirompente provocazione “umana” in un territorio regolato dalle leggi spietate del mercato: il fatturato, il marketing, il profitto.
E come capire questa definizione di Human
satisfaction, se la si attribuisce a un personaggio, studioso dell’asse delicatissimo economia-psicologia, cresciuto nei recinti dei mercati pubblicitari. Recinti chiusi che lui ha spalancato con la sua Human Satisfaction, stravolgendo il concetto di emozione da suscitare nel cittadino-consumatore con una vera rivoluzione multidisciplinare, che mobilita una
squadra di esperti pronti non a convincere,
Marzio Bonferroni
vendere, piazzare il prodotto, ma a portare in
fondo un’operazione molto più complessa.
Lavorare umanamente sulla comunicazione
d’impresa. “Gli slogan pubblicitari erano come urli di guerra - ti spiega Bonferroni, ta-
Professore, come parte tutto questo? Con una specie di
rivoluzione copernicana della comunicazione d’impresa?
“Da quindici, venti anni si capiva che il pubblico voleva
altro che non la classica comunicazione d’impresa. La
pubblicità non poteva essere più figlia del consumatore.
In quel modo si considerava solo un aspetto del problema, mentre l’homo economicus presentava più facce, più
esigenze. Bisognava finirla con lo slogan pubblicitario-urlo di guerra, lampo per cogliere quella che noi chiamavamo la bolla emotiva. Insomma non ci si poteva fermare a quell’aspetto, che ancora negli anni Ottanta veniva
coperto per l’80 per cento, mentre oggi solo il 30 per cento si lascia convincere facendo dentro a se stesso lavorare una scelta istintiva.”
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gliente come una lama nella sua analisi - roba vecchia, pre Sessantotto, che puntava solo all’emozione, all’orgasmo dell’acquisto mentre ora tutto è cambiato e bisogna colpire non
solo la parte destra del cervello, ma altre aree
della percezione umana”.
E oggi allora che si fa? Marzio Bonferroni ha
scritto libri, fondamenti della nuova disciplina come “La nuova era della comunicazione” nel 2006, ha conquistato pareri favorevoli tra manager, imprenditori, banchieri, studiosi raffinati come il mitico Philip Kotler.
Lui non accetterebbe mai la definizione di
scienziato e a chi insiste, chiedendogli la storia del suo celebre padre, che scienziato di
fama mondiale lo è stato, risponde alla toscana, schernendosi: “Io assomiglio tutto a
mia madre.”
Lui è l’uomo e il professore che dalla sua frontiera economico-psicologica sta puntando a
cambiare il concetto stesso di profitto. E per
farlo non è un caso che ha chiamato Architetture il proprio ufficio multidisciplinare, dove si lavora per costruire, appunto, un principio che cancella il consumatore e lo sostituisce con un cliente-persona humana, con
la acca, la cui ricchezza individuale va colta in tutti i suoi aspetti.
Scopo finale: creare le tribù di quelli che “prima” avremmo chiamato consumatori e che
con la Human satisfaction si chiamano “comunità di marca”.
Avete codificato che l’emozione non bastava più ed ecco
la ricerca della Human satisfaction. Come si è arrivati a
questo concetto e come la possiamo definire?
“Si parte dal cervello e dalla convinzione che il nuovo
messaggio della comunicazione deve riguardare tre aree
di attenzione, non solo quella emotiva che creava la famosa bolla, unico destinatario degli “urli di guerra degli slogan”. Le altre aree sono quella etica e quella della ragione, parte sinistra del cervello. Molti sondaggi ci
dicono che la leva dell’etica è diventata importante nella scelta... Allora a quale definizione di Human satisfaction
si arriva con questa base di partenza? È una visione che
estende il concetto di misurare scientificamente l’esigenza
dell’ex cittadino consumatore calcolando le distanze del-
la sua sensibilità dalle proposte
delle comunicazione d’impresa.
Spunta così fuori la necessità di costruire un managment in grado di
preparare complessivamente queste
valutazioni.”
Mi faccia capire professore: questo
diventa un tipo di lavoro ermeneutico che riguarda il cittadino che prima era soltanto il consumatore, ma
anche l’azienda che produce?
“Il lavoro base
della Human
satisfaction
è di tirare fuori
dall’impresa
le necessità
dell’azienda
e poi confrontarle
con le esigenze
del pubblico”.
“Il lavoro base della Human satisfaction è di tirare fuori dall’impresa le necessità dell’azienda e poi
confrontarle con le esigenze del pubblico. Prima si produceva e poi si
cercava di vendere “a prescindere”.
Potremmo dire che si lavorava con
la “moviola in campo”, sperando che
una visione rallentata avvicinasse due tempi assolutamente non coordinati tra loro. Ovviamente senza dimenticare che in queste operazioni c’è sempre stato il
fattore imponderabile, ma fondamentale, dell’intuito dell’imprenditore.
Oggi è tutto diverso: la complessità del mercato e delle
sensibilità umane rendono l’istinto, l’intuito non più sufficiente. Diventa essenziale un lavoro in team che misuri bene la distanza tra chi produce e chi aspetta. Ed è
un team complesso che deve lavorare nelle imprese o per
le imprese: un buon psicologo, un sociologo, perfino un
buon giornalista, orientato nel settore di produzione. E
nella testa pensante dell’impresa ci vuole sempre chi pensi al business, ma anche all’aspetto umano.”
E tutto questo percorso dove porta?
“A raggiungere la Human satisfaction, attraverso un team
multidisciplinare che non sbagli la misura e che - ecco la grande svolta - consideri il profitto non più l’uni-
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co elemento possibile da ottenere
ma che vi aggiunga la ricerca di soddisfacimento, il servizio da rendere.
Per questo parliamo di nuovo umanesimo.”
Ok professore, questa visione rivoluzionaria potrebbe funzionare nel
mondo sviluppato, commercialmente maturo, dove quegli “urli di guerra” dei vecchi slogan magari si sono attutiti, ma come la mettiamo nel
resto del mondo, quello che si sta sviluppando, che cresce ora, che è embrionalmente primitivo, che assaggia
adesso il consumismo, che produce
a basso costo eccetera eccetera? E
che magari viene usato per accelerare i vecchi processi emotivi, fornendo prodotti a prezzo più basso?
“L’essere umano è globale e quelle aree di ricerca - emotiva, etica,razionale - che abbiamo messo alla base dei nostri studi esistono ovunque, seppure con paradigmi declinati
diversamente, a seconda delle differenti situazioni economico-psicologiche. I filosofi, i sociologi, dovranno lavorare in modo diverso e magari dare anche più peso all’aspetto etico. Lo schema, però, rimane quello della multidisciplinarietà, anzi ancora più puntato sull’orizzonte del
new umanesimo. La ricetta è ancora di più, sotto queste
nuove latitudini, orientata a privilegiare il servizio, a dimostrare più amore verso il mio pubblico. Non esagero,
dico amore e sottolineo, io produco e vendo meglio se amo
il mio pubblico. E questo non è nuovo umanesimo?”
Sembra una soluzione quasi commovente, ma potrebbe
scontrarsi violentemente contro uno dei sistemi chiave del
consumismo moderno, dallo shopping sfrenato ai diktat di
seguire la moda, di essere obbligatoriamente trendy, se
no sei tagliato fuori. Allora governa il trendy o l’Human
satisfaction?
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“Non bisogna farsi deviare; ci sarà sempre una funzione “educativa”- sociale nei messaggi, che viene metabolizzata e lo sarà sempre di più. Le mode, il trendy si
brucia rapidamente, sempre di più. Quante tendenze
cambiano in un anno e con quale velocità? I mass media mandano messaggi orribili, spesso travolgenti. Basta pensare a trasmissioni come “Il Grande Fatello”, che
creano mode, manie, sconvolgimenti molto discutibili.
Vogliamo dirlo chiaro e forte: viviamo in una società dell’orgasmo che ricerca il piacere immediato di possedere, di usare subito, di consumare, di soddisfarsi in tempo reale. È un ragionamento che vale per il sesso, ma
anche per molto altro. La human satisfaction come si
pone di fronte a questo? Non bisogna certo rifiutare il
momento dell’orgasmo, ma è necessario far passare il
processo di una razionalità e di una eticità che si aggiungono allo scatto orgasmatico-emozionale. Allora comunicare vuole dire innestare un processo che soddisfi non solo nel momento topico dell’orgasmo ma che
prepari una fidelizzazione tra un brand e il suo pubblico. Tutto questo non è molto lontano da un rapporto umano sentimentale a ben vedere. Si ama un prodotto alla
follia, si tradisce, se ne compra un altro concorrente,
poi si torna indietro come in una storia d’amore...”.
E gli slogan erano, quindi, anche urli d’amore che non funzionano più?
“Superati, sorpassati. Il nuovo metodo pubblicitario presuppone che le imprese studino un nuovo sistema creativo, che sarà sempre concordato tra il produttore, l’art
director, il pubblicitario ma con il ruolo chiave del team
multidisciplinare. Human satisfaction uguale multicreatività. È certo: non ci sarà più solo il colpo di genio
del creatore di spot, di slogan, il messaggio rapido e unico partorito dalla mente fervida che buca, che affascina il pubblico.
Lei mi chiede i nuovi slogan, le nuove campagne, fabbricate con la Human satisfaction, mi chiede se ci sono
esempi già “vivi” in quella direzione? Preferisco restare
sul metodo che deve passare. Il vero prodotto non è il
messaggio-boom, ma la strategia, il concetto, i contenuti, i messaggi che tengono conto di quella che noi chiamiamo architettura. Dopo potrei dirle che questa nuova
proceduta ha già applicazioni pratiche, concrete e che
lavoriamo già massicciamente sul terreno. Facciamo un
esempio senza nomi e cognomi?
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Una banca che vuole lanciare un prodotto organizza un
evento, un dibattito, crea una comunicazione di stimoli:
ecco un inizio di nuova campagna multidisciplinare.”
Potrebbe sembrare un modello troppo ragionato, magari
un po’ utopico se ci troviamo, per esempio, davanti a problemi di urgenza e emergenza con il mercato che ha bisogno di un intervento lampo...
“Sa cosa dice uno scrittore filosofo come Claudio Magris in “Utopia e Incanto”? Utopia è tenere conto della
realtà, ma desiderare che potrebbe essere come dovrebbe essere. Io vado verso il nuovo umanesimo su questa strada e penso che l’utopia potrebbe diventare un
motore per arrivare a una città radiosa, come quella di
Le Corbusier. Pensare tutto questo è già un risultato.”
E allora disegniamolo questo nuovo umanesimo, che sicuramente non è solo ristretto al mondo della comunicazione d’impresa, ma che presuppone tante altre svolte nel
rapporto tra impresa e società. Come lo descrive un po’
più ampiamente?
“È quella visione allargata che si basa prima di tutto su
una capacità di ascolto del pubblico, il fondamento per
creare delle “comunità di marca”. Ogni impresa ha un
10 per cento di clienti-utenti-cittadini che poi fanno il 90
per cento del fatturato. L’operazione dell’acquisto diventa come una piramide che poi è la stessa costruita nella storia con il principio base del baratto. Grande base
di ascolto, affinamento del lavoro multidisciplinare per lanciare i messaggi che colpiscano l’emotività, la ragione,
l’etica e, in cima, il tuo pubblico. Questa è la piramide
che immaginiamo.
Si potrebbe tornare al concetto di tribù che si forma anche con il passa-parola e con un altro concetto, quello del co-marketing. Nella tribù ci si scambiano le idee,
le proposte, le esigenze. Esempi? Torniamo al caso della banca, la tua banca, che scopre che i tuoi figli hanno bisogno di corsi di inglese e li organizza per i suoi
clienti che poi fanno parte della tribù: la banca fa un
accordo - faccio un altro esempio - con la Berlitz e ti
serve i corsi di inglese. Altro esempio sul quale stiamo
lavorando? Hai bisogno di una automobile da affittare,
magari quando stai per andare in un supermercato: la
tribù lo sa e te la fa trovare sottocasa. Questi bisogni,
queste esigenze vanno percepite, “ascoltate” e poi trat-
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tate in quella procedura di co-marketing, che è sostanziale nella Human satisfaction.”
E quali sono gli strumenti per lanciare
non i vecchi urli-slogan, ma le operazioni di Human satisfaction?
“Non bisogna immaginare chissà
che cosa. Sono anche i mezzi tradizionali, la tv, la radio, il cinema, la
stampa scritta, quella online e ovviamente i sistemi nuovi, come i socialnetwork che già di per se stessi
dimostrano il valore della “comunità di marca”. Sono come grandi
piazze, come i vecchi mercati dove
si creano i contatti “umani”, dove si
sono sempre creati. E noi siamo lì
con la nostra organizzazione multidisciplinare.
Saremo dieci-quindici tecnici esperti, pronti in ogni momento a rinforzare i punti vendita, a intervenire con
quegli strumenti, a costruire, appunto, la Architettura. Ecco non si
può più parlare di Agenzia di Pubblicità, come si faceva una volta.
Quello è il passato. Che si faceva? Si
cercava di vendere la pubblicità, magari una pagina del giornale o un pezzo di pagina o uno spazio televisivo,
senza sapere l’esigenza dei clienti.
Cercavi di riempire pagine e spazi e
ancora si cerca di farlo, senza avere prima studiato quel meccanismo,
piazzandosi già in una posizione forzata. Dammi quello spazio, pagalo tot
e io ti faccio quella pubblicità. Ora siamo superpartes. Non ci sono più vendite precostituite. E non sono esperimenti. Siamo già in Assolombarda
a lavorare con questo sistema per tante imprese. Dialoghiamo, affrontiamo anche conflitti, svolgiamo una fase
che potrei definire diagnostica. Non c’è più nulla da imporre con la pubblicità. Sa che cosa mi ha scritto il grande Philip Kotler in una lettera di apprezzamento per il la-
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voro che stiamo facendo, sulla strada di questo nuovo
umanesimo, a proposito della pubblicità tradizionale? “Ricordatevi - ha scritto - che quando in Tv arriva la pubblicità a interrompere il programma vostra moglie cambia canale o si alza e va a farsi un caffè.”
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