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j l k l d o ^ c f b
T r i b u t i
Giovambattista Palumbo
Elusione fiscale
e abuso del diritto
L’aggiramento degli obblighi impositivi
tra legittimo risparmio ed evasione fiscale
•
Paradisi fiscali
•
Esterovestizione dei redditi
•
Stabile organizzazione
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Transfer pricing
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Frodi IVA
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Fondo patrimoniale, fiduciarie e trust
•
Regimi fiscali privilegiati
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Indice
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Introduzione
1. Il concetto di elusione fiscale
1.1 Profili
1.1.1 In che senso l’elusione fiscale è illecita?
1.1.2 Elusione ed evasione
1.1.3 Elusione e simulazione
1.1.4 Elusione ed interposizione fittizia
1.1.5 Elusione ed abuso del diritto
1.1.6 La struttura della norma antielusiva: la prima versione dell’art. 37-bis del d.P.R.
600/1973
1.1.7 Il “nuovo” art. 37-bis
1.1.8 Cosa intende l’Amministrazione finanziaria per elusione?
1.2 Fonti
Normativa
Prassi
Giurisprudenza
1.3 Applicazioni
1.3.1 Come e quando viene contrastata l’elusione fiscale?
1.3.2 Normativa antielusiva generale tra inopponibilità e nullità
1.3.3 L’elusione può essere contrastata anche tramite principi e disposizioni di
derivazione internazionale e comunitaria?
1.4 Effetti
1.4.1 Profili penali connessi all’elusione
1.5 Adempimenti
1.5.1 Il contraddittorio anticipato nel procedimento di accertamento
1.5.2 Interpelli ed elusione
1.5.3 L’interpello disapplicativo ex art. 37-bis, comma 8, del d.P.R. 600/1973
1.5.4 Un caso operativo
1.5.5 Interpello CFC (Controlled Foreign Companies)
2. Il principio di abuso del diritto
2.1. Profili
2.1.1 Da dove nasce l’abuso del diritto?
2.1.2 La Corte di Giustizia Europea: la sentenza Halifax
2.1.3 La Corte Suprema: la sentenza 17 ottobre 2008, n. 25374
2.1.4 Il divieto dell’abuso del diritto in funzione di norma antielusiva generale
2.1.5 Negozi in frode alla legge e abuso del diritto
2.1.6 Proposte di legge in tema di abuso del diritto
2.2. Fonti
Normativa
Prassi
Giurisprudenza
2.3. Applicazioni
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2.3.1 Principi enucleabili dalla prassi di riferimento
2.3.2 Principi enucleabili dalla giurisprudenza di riferimento
2.3.3 Conclusioni
2.4 Effetti
2.4.1 L’esistenza di un contratto tipico non esclude l’abuso del diritto
3. Paradisi fiscali
3.1 Profili
3.2 Fonti
Normativa
Prassi
Giurisprudenza
3.3 Effetti
3.3.1 Il contrasto ai paradisi fiscali
3.4 Applicazioni
3.4.1 Indeducibilità delle componenti negative e costi black list
3.4.2 Sulla indeducibilità dei costi se il prestatore si trova in un paradiso fiscale
3.4.3 La Sentenza n. 26298 del 29 dicembre 2010 della Corte di Cassazione sull’onere
della prova a carico del contribuente
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4. L’esterovestizione dei redditi
4.1 Profili
4.1.1 Trasferimento fittizio della residenza fiscale di una persona fisica all’estero
4.1.2 Trasferimento all’estero di società di capitali
4.1.3 La presunzione legale di residenza
4.1.4 L’esterovestizione
4.2 Fonti
Normativa
Prassi
Giurisprudenza
4.3 Applicazioni
4.3.1 La libertà di stabilimento
4.3.2 I più recenti indirizzi di contrasto all’esterovestizione e alla illecita concorrenza
fiscale internazionale
4.3.3 Un caso operativo
4.3.4 Ulteriori previsioni antielusive
4.3.5 Procedure arbitrali, convenzioni e sanzioni penali
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5. La stabile organizzazione
5.1 Profili
5.1.1 Il concetto di stabile organizzazione
5.2 Fonti
Normativa
Prassi
Giurisprudenza
5.3. Applicazioni
5.3.1 Un caso operativo
5.3.2 Un altro caso operativo
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5.4. Effetti
5.4.1 Rapporti tra stabile organizzazione e casa madre
5.5 Adempimenti
5.5.1 Investigazioni tributarie per l’individuazione delle stabili organizzazioni occulte
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6. Il transfer pricing
6.1 Profili
6.1.1 Il concetto di transfer pricing
6.2 Fonti
Normativa
Prassi
Giurisprudenza
6.3 Applicazioni
6.3.1 Caratteri delle ricostruzioni del “giusto” prezzo
6.3.2 Il transfer pricing interno
6.4 Effetti
6.4.1 Esempi operativi
6.4.2 Alcuni esempi operativi di transfer pricing: interessi su finanziamenti infragruppo
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7. Le grandi frodi IVA
7.1 Profili
7.1.1 La normativa di contrasto alle frodi IVA
7.1.2 Buona fede ed onere probatorio
7.2 Fonti
Normativa
Prassi
Giurisprudenza
7.3 Effetti
7.3.1 Le frodi carosello
7.3.2 Detrazione IVA sugli acquisti di beni e servizi da parte di soggetti che effettuano
operazioni esenti
7.3.3 Frodi e regime del margine
7.4 Applicazioni
7.4.1 Misure operative di contrasto alle frodi IVA
7.4.2 Le frodi e la cooperazione comunitaria e internazionale
7.4.3 La giurisprudenza comunitaria
7.5 Quesiti
7.5.1 Cosa sono le società cartiere?
7.5.2 Il cessionario in buona fede è responsabile?
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8. Gli schermi per nascondersi dal Fisco
8.1. Profili
8.1.1 I fondi patrimoniali familiari
8.1.2 Fiduciarie: riservatezza ed accertamenti
8.1.3 Il trust
8.2. Fonti
Normativa
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Giurisprudenza
8.3 Effetti
8.3.1 La residenza del trust
8.4 Adempimenti
8.4.1 Adempimenti operativi del trust
8.5. Applicazioni
8.5.1 Un caso operativo
8.5.2 Un altro caso operativo
9. Lo sfruttamento illecito di regimi fiscali privilegiati
9.1. Profili
9.1.1 Enti non commerciali
9.1.2 La detrazione IVA sugli acquisti di beni e servizi da parte di soggetti che
effettuano operazioni esenti
9.1.3 Un caso particolare: le spese di promozione delle case farmaceutiche
9.2 Fonti
Normativa
Prassi
Giurisprudenza
9.3 Applicazioni
9.3.1 Ditte farmaceutiche, indeducibilità di beni e servizi offerti ai medici
9.3.2 Il concetto di residenza ai fini della spettanza delle agevolazioni fiscali
9.3.3 Regime del margine: la prova spetta a chi lo applica
9.3.4 Le agevolazioni per le banche di credito cooperativo
9.3.5 Mutualità di vantaggio ed abuso del diritto
9.3.6 Agevolazioni per le fondazioni bancarie: si chiude il contenzioso davanti alla
Cassazione
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10. Dalla teoria alla pratica
10.1 Elusione e cessioni di azienda
10.2 Più atti per un solo conferimento: la prevalenza della sostanza sulla forma
10.2.1 Il dettaglio dell’operazione
10.3 Stabile organizzazione in Italia di società con sede in paradisi fiscali
10.4 Abuso del diritto e abbattimento delle plusvalenze
10.4.1 La vicenda oggetto del giudizio
10.4.2 La decisione della Corte Suprema
10.4.3 La ratio della decisione
10.4.4 L’interposizione delle controllate e la normativa a tutela dell’Ordinamento
10.4.5 L’immanenza del principio antiabuso
10.4.6 Conclusioni
10.5 Una frode IVA con cessioni dall’Italia
10.6 Un altro caso di riqualificazione in abuso del diritto
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
 1.
Il concetto di elusione fiscale
 1.1 Profili
 1.1.1 In che senso l’elusione fiscale è illecita?
La tendenza all’elusione, seppur eticamente riprovevole, è un atteggiamento naturale
dell’uomo.
L’essere umano, infatti, è un “soggetto economico”, che, in quanto tale, tende ad assumere quei comportamenti che implicano un minor sacrificio per raggiungere il massimo guadagno.
Ogni persona, del resto, è portata ad agire in base ad un calcolo “costi-benefici” che
comporti il minor impegno (nel nostro caso, patrimoniale) possibile.
Da un punto di vista economico, quindi, la ricerca del minor onere possibile è un comportamento “naturale”.
Dal punto di vista giuridico (e in particolare fiscale), oltre che da un punto di vista latu
sensu etico, però, l’elusione è un fenomeno che non può essere consentito, perché
contrario ai principi dell’ordinamento tributario e causa di evidenti distorsioni sostanziali, sia sul piano economico che sociale.
Non esiste tuttavia una definizione condivisa del concetto di elusione e l’avvento della
“nuova” fattispecie dell’abuso del diritto ha forse contribuito a rendere la sua esatta individuazione ancora più complicata.
Vi possono essere, del resto, fattispecie contigue e non sempre facilmente distinguibili
quali, per esempio, oltre naturalmente all’abuso del diritto (a cui dedicheremo un apposito capitolo) l’evasione, la simulazione e l’interposizione fittizia di persona. Fattispecie
che, in talune occasioni, possono sfociare in vere e proprie frodi fiscali.
L’elusione però, pur presentando alcuni aspetti comuni a tutte le suddette fattispecie,
se ne differenzia sia nella forma che, soprattutto, nella sostanza.
 1.1.2 Elusione ed evasione
L’elusione fiscale si differenzia nettamente dall’evasione fiscale.
L’evasione è determinata infatti dal volontario e diretto inadempimento di una pretesa
tributaria già compiutamente sorta e perfezionata in base a specifiche disposizioni legislative.
Con l’evasione fiscale i soggetti passivi si sottraggono dunque all’obbligo di corrispondere le imposte, violando la legge e spesso utilizzando documentazione materialmente
e/o ideologicamente falsa (nel qual caso si ha non solo evasione, ma anche frode).
Il confine tra evasione ed elusione non è però sempre ben individuabile.
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
Lo scopo, infatti, è pur sempre lo stesso: la sottrazione al proprio obbligo di contribuzione alle spese pubbliche in ragione del principio di capacità contributiva.
Ciò che cambia è solo il metodo di perseguimento di tale scopo illecito: diretto nel caso dell’evasione, mediante l’occultamento dei redditi; indiretto nel caso dell’elusione,
che, in sostanza, si verifica quando il soggetto passivo d’imposta si sottrae all’imposta
con la “dissimulazione” della propria capacità contributiva.
 1.1.3 Elusione e simulazione
L’elusione fiscale non va confusa neppure con la simulazione.
Nell’elusione infatti il comportamento manifestato è effettivamente voluto dalle parti.
Nella simulazione, invece, le parti vogliono conseguire un risultato diverso da quello che
appare dagli atti e dai negozi (formalmente) posti in essere.
La simulazione si basa infatti su tre elementi:
 l’intenzione ingannatoria nei confronti dei terzi;
 la divergenza voluta tra dichiarazione ed effettiva intenzione di chi la pone in essere;
 l’accordo simulatorio, cioè un’intesa, precedente o contemporanea alla dichiarazione reciproca delle parti, sulla divergenza tra negozio stipulato e rapporto effettivo.
Talvolta tale accordo può anche essere messo per iscritto dalle parti allo scopo di
fornire, all’occorrenza, una prova della simulazione in sede processuale.
Può accadere comunque che, nell’ambito di una fattispecie negozialmente o temporalmente complessa, il negozio simulato venga usato come mezzo per il perseguimento di intenti elusivi.
 1.1.4 Elusione ed interposizione fittizia
L’elusione fiscale, infine, si differenzia anche dall’interposizione fittizia di persona.
Nell’elusione le parti dell’operazione sono infatti effettivamente quelle che risultano dagli
atti o negozi.
Nell’interposizione (fittizia) invece le parti vere (interposte) sono diverse da quelle che
appaiono all’esterno (interponenti).
Questo è il caso, appunto, della simulazione relativa soggettiva, nella quale l’interponente esprime la volontà “effettiva”, mentre l’interposto manifesta una volontà solo apparente.
Quando una persona fisica o giuridica interpone tra sé e il Fisco un altro soggetto, si
crea dunque una situazione in cui l’apparenza mira a mascherare la realtà, distogliendo
l’attenzione dall’effettivo beneficiario delle operazioni, il che determina un’evasione in
capo al vero soggetto passivo d’imposta (art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973).
Diversamente, con l’elusione si pone in essere un negozio effettivamente voluto dalle
parti, disciplinato nei suoi effetti “tipici” dall’ordinamento, ma con una sostanziale distorsione di quegli stessi effetti, che diventano irrilevanti o comunque secondari rispetto
al vero obiettivo (non contemplato dall’ordinamento), consistente nel raggiungimento
dell’obiettivo fiscale.
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
L’interposizione fittizia è uno degli strumenti più utilizzati in materia di frodi fiscali, come
verrà esaminato meglio in seguito.
 1.1.5 Elusione ed abuso del diritto
La differenza tra elusione ed abuso del diritto è forse quella più complessa, trattandosi
sostanzialmente di uno stesso fenomeno, in cui la distinzione si basa solo sul fatto se
la fattispecie oggetto di contestazione sia o meno prevista, positivamente, tra quelle
tassativamente indicate dall’art. 37-bis del d.P.R. 600/1973. Si tratta quindi di uno sviluppo teorico in chiave antielusiva teso a sopperire alla mancanza di una clausola generale volta a impedire la realizzazione di operazioni negoziali, il cui scopo essenziale è
il mero risparmio di imposta.
In sostanza con l’abuso del diritto l’ordinamento giuridico viene superato nella sua letteralità.
L’interpretazione dei suoi fini (almeno fino ad oggi) viene dunque lasciata alla giurisprudenza, la cui funzione nomofilattica si espande notevolmente, ai limiti del legislativo.
Anche per questo motivo il Parlamento, non volendo lasciare un tale spazio di espansione, si appresta ad emanare una norma che regoli la materia, essendo già stati presentati vari progetti di legge sull’argomento.
Ma, vista la rilevanza che sempre più sta assumendo l’abuso del diritto negli atti di accertamento dell’Amministrazione finanziaria e nelle aule della giustizia tributaria ed essendo per tale motivo dedicato un apposito capitolo all’argomento, ivi si rimanda per
ogni approfondimento.
 1.1.6 La struttura della norma antielusiva: la prima versione dell’art. 37-bis
del d.P.R. 600/1973
La struttura della norma antielusiva è di tipo casistico (tassativamente casistico).
Forse anche per questo, in considerazione cioè della limitata portata operativa della
norma e per rincorrere la fantasia elusiva dei contribuenti “disonesti”, c’è stata poi la
successiva evoluzione giurisprudenziale del concetto di abuso del diritto.
Il comma 3 dell’art. 37-bis stabilisce dunque che “le disposizioni dei commi 1 e 2 si
applicano a condizione che, nell’ambito del comportamento di cui al comma 2, siano
utilizzate una o più delle seguenti operazioni”, indicando poi vari tipi di operazioni.
La lettera a) riguarda le operazioni societarie: “trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie”, e le “distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio
netto diverse da quelle formate con utili”.
La lettera b) riguarda i “conferimenti in società” di qualsiasi bene o diritto e i negozi aventi ad oggetto il trasferimento di aziende, sia a titolo oneroso, come la cessione, il
conferimento o la permuta, che gratuito, come la donazione e il godimento.
Le lettere c) e d) riguardano le “cessioni di crediti o di eccedenze d’imposta”.
La lettera e) fa riferimento alle “operazioni di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 544”,
cioè le fusioni, le scissioni, i conferimenti e gli scambi di azioni relativi a società appar-
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
tenenti a Stati diversi dell’Unione europea, in attuazione della Direttiva del Consiglio
90/434/CEE, che, infatti, già conteneva una clausola antielusiva (art. 11), in base alla
quale era consentito agli Stati membri di rendere inefficaci gli effetti dell’operazione
qualora la fusione, la scissione, il conferimento o lo scambio azionario avessero come
obiettivo principale la frode o l’evasione fiscale, presumendosi quale “indizio” di frode
l’inesistenza di valide ragioni economiche.
La lettera f) riguarda le operazioni e valutazioni, da chiunque effettuate, relative ad azioni, obbligazioni, partecipazioni (“qualificate” o meno), valute, divise estere, prodotti finanziari derivati ecc.
A tali fattispecie vanno poi aggiunte altre fattispecie “complementari” e cioè:
 le “capitalizzazioni di comodo”;
 (a partire dal 1° gennaio 2004) la costituzione di patrimoni di destinazione in base
alle disposizioni di cui all’art. 2447-bis c.c.
Il comma 2 stabilisce a sua volta che “l’Amministrazione finanziaria disconosce i van-
taggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute
per effetto del comportamento inopponibile all’amministrazione ”.
Questa impostazione, se da una parte impone agli uffici di disapplicare i vantaggi tributari (indebitamente) conseguiti, dall’altra, consente comunque al contribuente di non
perdere le imposte già pagate.
 1.1.7 Il “nuovo” art. 37-bis
L’art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 è stato poi modificato dal d.lgs. 12
dicembre 2003, n. 344, che ha previsto nuove fattispecie a rischio di elusione.
La lettera f) del comma 3 dell’art. 37-bis prevede, per esempio, ora tra le fattispecie
elusive, oltre alle valutazioni, anche le classificazioni di bilancio.
Le ragioni che hanno portato all’inserimento delle classificazioni di bilancio tra le fattispecie potenzialmente elusive sono da ricondursi al pericolo di pianificazioni relative alle
partecipazioni esenti di cui all’art. 87 del TUIR (i contribuenti, a seguito dell’introduzione
anche in Italia della disciplina sulle partecipation exemption, potrebbero infatti decidere,
per poter dedurre le minusvalenze, di trasformare le partecipazioni immobilizzate in
partecipazioni dell’attivo circolante).
È stata poi aggiunta la lettera f-bis), che ricomprende ora tra le operazioni “sospette”
anche le cessioni di beni effettuate tra soggetti ammessi al regime della tassazione di
gruppo, di cui all’art. 117 del nuovo TUIR (regime del consolidato nazionale).
Relativamente a quest’ultima fattispecie è bene ricordare l’abrogato1 art. 123, comma
1, il quale specificava che le cessioni tra società che avevano esercitato l’opzione (art.
117, comma 1), se riguardanti cespiti diversi da quelli produttivi di ricavi (art. 85) o di
plusvalenze esenti (art. 87), potevano avvenire in regime di continuità dei valori fiscali, a
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Articolo abrogato dall’art. 1, comma 33, legge 24 dicembre 2007, n. 244.
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condizione però che dalla dichiarazione dei redditi del consolidato (art. 122) risultasse
la differenza tra il valore di libro e il valore fiscalmente riconosciuto del bene.
Si doveva comunque trattare di particolari beni e cioè di:
a) immobilizzazioni materiali e immateriali (beni strumentali);
b) partecipazioni che non siano:
 ininterrottamente possedute da 18 mesi prima della cessione;
 classificate tra le immobilizzazioni finanziarie;
 relative a una partecipata situata in Stati o territori non black list;
 relative a una partecipata che esercita attività commerciale.
È stata infine aggiunta la lettera f-ter), in materia di interessi da finanziamento infragruppo (con tale norma potranno dunque essere sottoposte al vaglio elusivo anche le
operazioni di leverage buyout) e la lettera f-quater) in materia di pattuizioni intercorse
tra società controllate e collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c., una delle quali avente sede legale in uno Stato o territorio diverso da quelli di cui al decreto ministeriale emanato
ai sensi dell’art. 168-bis del TUIR2, aventi ad oggetto il pagamento di somme a titolo di
clausola penale, multa, caparra confirmatoria o penitenziale.
 1.1.8 Cosa intende l’Amministrazione finanziaria per elusione?
Circolare n. 320/1997
Già con la circolare n. 320/E del 19 dicembre 1997 l’Amministrazione finanziaria cercava di chiarire la differenza tra elusione e mero risparmio di imposta.
La circolare ha evidenziato come l’elusione, innanzitutto, non si realizza di solito mediante un’unica operazione, bensì tramite una serie di atti tra loro coordinati.
Il riferimento ad una singola operazione (come per esempio una scissione o una fusione) spesso non consente infatti di stabilire se effettivamente l’operazione sia stata posta in essere a fini elusivi.
Ai fini della sussistenza o meno dell’intento elusivo, risulta inoltre di particolare rilievo, la
mancanza di valide ragioni economiche.
In tal modo si è inteso porre l’accento sul cosiddetto “disegno elusivo”, intendendo evidenziare il fatto che, di regola, il fenomeno elusivo è caratterizzato dal compimento di
più atti collegati fra loro, precedenti e successivi rispetto ad un’operazione individuata.
Per quanto riguarda poi il termine “fraudolentemente”, già utilizzato nella precedente
normativa antielusiva, si è invece ritenuto opportuno sostituire tale termine con il riferimento ad atti diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario.
Afferma dunque la circolare citata che il risparmio di imposta, che la norma antielusiva
intende contrastare, è quello che l’ordinamento tributario non consente in quanto sostanzialmente contrario al principio costituzionale della capacità contributiva.
------------------------------------------2
L’art 168-bis del TUIR si riferisce ai paesi e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni.
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
Verificandosi quindi l’ipotesi elusiva l’Amministrazione finanziaria ha il potere-dovere di
disconoscere i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, negozi e i fatti (e quindi
anche mediante i comportamenti) adottati dal contribuente e di applicare le imposte
sulla base del corretto disposto delle norme eluse.
Risoluzioni
Per meglio indicare cosa intende l’Amministrazione finanziaria per elusione, si citano di
seguito alcune tra le più significative risoluzioni che individuano una linea interpretativa
pressoché uniforme in ordine ai presupposti di applicabilità della normativa antielusiva
e confermano quanto sopra evidenziato.
Risoluzione n. 117/E del 15 luglio 1999
Tale risoluzione chiarisce che per verificare se si renda applicabile la disposizione di cui
all’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 devono coesistere determinati elementi che
possono così essere riassunti:
a) il ricorso ad una delle operazioni (fusioni, scissioni, cessioni, conferimenti, eccetera)
specificamente previste;
b) il conseguimento di vantaggi fiscali o, comunque, il sostenimento di un onere tributario inferiore rispetto a quello dovuto;
c) l’utilizzo di un meccanismo in sé lecito, ma sostanzialmente disapprovato dall’ordinamento tributario e che si concretizza nell’uso di espedienti che finiscono per stravolgere i principi del sistema (tale concetto, come vedremo, è anche alla base della
fattispecie dell’abuso del diritto). Tale profilo è quello che distingue l’elusione dal lecito risparmio d’imposta, inteso come utilizzo della procedura fiscalmente più conveniente tra quelle che il sistema mette consapevolmente a disposizione del contribuente su un piano di pari dignità;
d) la finalità che spinge il contribuente ad agire deve essere ispirata al conseguimento
del vantaggio fiscale e quindi priva di valide ragioni economiche. In particolare
“l’assenza di valide ragioni economiche” non si riferisce alla validità giuridica dei negozi posti in essere, bensì alla loro apprezzabilità economico-gestionale.
Risoluzione n. 32/E del 23 marzo 2001
Tale risoluzione riguarda una fattispecie di scissione parziale e proporzionale (ipotesi
spesso affrontata dalla prassi del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme
antielusive).
All’operazione di scissione si applica il disposto dell’art. 123-bis del TUIR, come modificato dal d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, che prevede una perfetta neutralità fiscale dell’operazione.
La risoluzione formula le seguenti, importanti, osservazioni di carattere generale: “la
norma antielusiva contenuta nell’art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, se-
condo la quale sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti, fatti ed i negozi,
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
anche collegati fra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o
divieti previsti dall’ordinamento tributario, ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi,
altrimenti indebiti, mira invece a colpire i vantaggi tributari conseguiti mediante operazioni di ristrutturazione aziendale specificamente individuate, tra le quali figura la scissione posta in essere dalla società richiedente.
L’art. 37-bis citato colpisce dunque gli atti:
 diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento;
 privi di valide ragioni economiche;
 cui consegue un risparmio d’imposta.
Il concetto di aggiramento implica il ricorso ad un disegno del contribuente volto al
raggiungimento di un risultato disapprovato dai principi cui si ispira l’ordinamento tributario. Il risultato raggiunto dal contribuente, in sostanza, deve violare un divieto posto
dal sistema. Ciò non vale a ricondurre tutti gli atti ed i negozi previsti dall’art. 37-bis nell’alveo di una presunzione assoluta di elusività. Occorre invece che tali atti di volta in
volta realizzino risparmi d’imposta disapprovati dal sistema, cioè non riconosciuti legittimi dall’ordinamento fiscale”.
La risoluzione in esame, pertanto, ribadisce quanto già espresso nella risoluzione
n. 117/E del 15 luglio 1999 sottolineando che l’espressione “valide ragioni economiche” sottintende un’apprezzabilità economico-gestionale, che si manifesta quando
l’operazione è motivata da concrete esigenze aziendali (di natura produttiva ed operativa), è diretta al miglioramento della gestione dei costi ed ha finalità di razionalizzazione
dell’impresa.
Risoluzione n. 62/E del 28 febbraio 2002
Tale risoluzione rileva che l’art. 37-bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce
che il potere dell’Amministrazione finanziaria di disconoscere eventuali vantaggi tributari
indebiti riguarda tutti quei comportamenti ed operazioni nel cui ambito siano utilizzate
una o più delle fattispecie elencate dalla norma.
Afferma la risoluzione che nulla vieta al contribuente di porre in essere attività di pianificazione fiscale, ossia di scegliere, tra più comportamenti consentiti dall’ordinamento,
quello fiscalmente meno oneroso. Tale attività però non deve portare a risparmi d’imposta patologici.
Il risparmio è infatti tale quando consegue ad un abuso che il contribuente fa della legislazione vigente, al fine di sfruttarne lacune o difetti e così ottenere risultati che (anche
se formalmente legittimi) contrastano però con il sistema nel suo complesso.
In definitiva quindi la differenza tra elusione e lecito risparmio d’imposta sta proprio nella “patologia” o meno del risultato conseguito.
In merito alle valide ragioni economiche la risoluzione chiarisce che nell’ambito di una
fusione, per esempio, l’obiettivo di fondo è, di norma, il rafforzamento della posizione
dell’impresa sul mercato e il miglioramento della propria capacità competitiva, nell’intento di aumentare la produttività, di allargare il mercato, di acquisire vantaggi concor-
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
renziali, o, semplicemente, di acquisire particolari conoscenze tecnologiche o professionalità reputate necessarie in vista dei cambiamenti in atto. Un’operazione può essere giustificata del resto anche da motivi puramente finanziari, come quando, per esempio, l’integrazione risponde all’esigenza di creare complessi in grado di reperire più facilmente maggiori risorse finanziarie e di aumentare la relativa capacità di credito.
La fusione è dunque considerata economicamente motivata quando finalizzata a determinare delle sinergie produttive, commerciali o finanziarie tra le realtà aziendali che si
fondono.
L’assenza di valide ragioni economiche, tuttavia, non determina, di per sé, che l’operazione sia elusiva, essendo necessario, a tal riguardo, che si verifichino contemporaneamente tutte le condizioni previste dalla norma.
Altre risoluzioni in tema di operazioni straordinarie
Sempre in tema di operazioni straordinarie possiamo infine citare:
 la risoluzione n. 224/2002, la quale precisa che in presenza di valide ragioni economiche, la scissione parziale e proporzionale non è da considerare operazione elusiva, purché la stessa non risulti preordinata alla cessione delle partecipazioni da
parte dei soci delle beneficiarie, bensì allo svolgimento, da parte di queste ultime, di
un’effettiva attività d’impresa. Nel caso in esame l’assenza di valide ragioni economiche risiederebbe proprio nella volontà dei soci di alienare le azioni o le quote;
 la risoluzione n. 143/2008, in base alla quale in caso di fusione di società, a prescindere dalla retrodatazione degli effetti fiscali dell’operazione, gli indici di vitalità
economica per il riporto delle perdite devono essere soddisfatti non solo nel periodo
precedente alla fusione, ma anche nell’intervallo temporale tra l’apertura del nuovo
anno e la data di efficacia giuridica dell’operazione. Per la verifica, rilevano tutti i
proventi “caratteristici”, laddove comunque l’assenza di costi per il personale dipendente negli ultimi bilanci non è di per sé sintomo di scarsa vitalità aziendale. Lo
scopo ovviamente di tale risoluzione è quello di evitare che le disposizioni antielusive perdessero forza qualora fosse consentito il riporto delle perdite fiscali ad una
società completamente depotenziata nell’arco di tempo intercorrente fra la chiusura
dell’esercizio precedente alla fusione e la deliberazione dell’operazione medesima;
 la risoluzione n. 200/2000 nella quale si evidenzia che per definire elusiva
un’operazione sono necessari tutti gli elementi previsti dalla norma. In particolare
viene sottolineato che l’avverarsi di un disegno elusivo deve essere dedotto sia in
base ad una valutazione ex ante, e dunque privilegiando il fine degli atti e negozi
“diretti ... ad ottenere riduzioni di imposte”, sia verificando che siano stati effettivamente “conseguiti” reali “vantaggi tributari”;
 la risoluzione n. 25/2001 dove si specifica che la necessità di salvaguardare i livelli
occupazionali, ed evitare la dispersione di ingenti risorse economiche e di elevate
professionalità costituiscono valide ragioni economiche;
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 la risoluzione n. 177/2008, secondo cui è elusiva l’operazione di trasformazione di
una società per azioni in società a responsabilità limitata effettuata al solo scopo di
beneficiare dell’agevolazione che consente di calcolare il reddito su base catastale.
In particolare con quest’ultima risoluzione l’Agenzia sottolinea considerazioni che vale
la pena evidenziare.
L’Amministrazione ricorda infatti come la circostanza che la società avesse posto in
essere una sola operazione non esclude, di per sé, la sussistenza dell’aggiramento di
obblighi o divieti per finalità elusive.
Se è vero, infatti, che l’art. 10 della legge n. 408/1990 riferiva il carattere elusivo esclusivamente al compimento della singola operazione, il riferimento della nuova disposizione contenuta nell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 ad una pluralità di atti è servito ad ampliare le fattispecie sindacabili e non certo ad escludere l’elusione quando
essa si realizza attraverso un singolo atto o negozio.
L’espressione legislativa contenuta nell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973 “anche collegati fra loro” evidenzia che il comportamento elusivo può anche derivare da un unico
atto. La stessa relazione ministeriale che accompagna la disposizione antielusiva evidenzia che l’elusione “in genere non si esaurisce in una operazione, ma si basa su una
pluralità di atti tra loro coordinati” confermando implicitamente che il fenomeno elusivo
può realizzarsi anche con una sola operazione, purché naturalmente rientrante fra quelle elencate nel terzo comma della disposizione in esame.
Ciò premesso, sulla base dei fatti e delle circostanze oggetto di interpello l’Agenzia era
dunque dell’avviso che nella fattispecie prospettata sussistessero tutti gli elementi richiesti dalla norma per considerare elusiva l’operazione prospettata, posto che questa,
volta esclusivamente a consentire la tassazione su base catastale, contravveniva ai
principi dell’ordinamento tributario.
Sussisteva infatti, in particolare, un utilizzo improprio degli strumenti giuridici civilistici
poiché la tassazione su base catastale derivava da un uso improprio dell’operazione di
trasformazione, in modo tale da realizzare dei risultati economico-sostanziali difformi da
quelli che il legislatore aveva assunto, sul piano politico legislativo, a presupposto e
giustificazione della disciplina.
 1.2 Fonti
Normativa
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
Art. 37-bis, d.P.R. 600/1973
Art. 37, d.P.R. 600/1973
Art. 20, d.P.R. 131/1986
Art. 69, comma 7, legge 342/2000
Art. 1344 c.c.
Art. 1321 c.c.
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
Prassi
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Risoluzione n. 143/E dell’8 giugno 2009
Risoluzione n. 177/E del 28 aprile 2008
Circolare n. 67/E del 13 dicembre 2007
Circolare n. 39/E del 27 giugno 2007
Risoluzione n. 224/E del 9 luglio 2002
Risoluzione n. 62/E del 28 febbraio 2002
Risoluzione n. 32/E del 23 marzo 2001
Risoluzione n. 117/E del 15 luglio 1999
Giurisprudenza
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Sentenza n. 52 del 5 maggio 2011 della CTR per la Toscana
Sentenza n. 92 del 30 novembre 2010 della CTR Emilia Romagna
Sentenza n. 30056 del 23 dicembre 2008 della Corte Cass., Sez. tributaria
Sentenza n. 23636 del 15 settembre 2008 della Corte Cass., Sez. tributaria
Sentenza n. 1057 del 23 novembre 2007 della Corte Cass., Sezioni Unite
Sentenza n. 85 del 28 agosto 2007 della CTP di Livorno, Sez. V
Sentenza n. 14379 dell’8 maggio 2007 della Corte Cass., Sez. tributaria
Sentenza n. 10273 del 14 marzo 2007 della Corte Cass., Sez. tributaria
Sentenza n. 9447 del 22 febbraio 2007 della Corte Cass., Sez. I civ.
 1.3 Applicazioni
 1.3.1 Come e quando viene contrastata l’elusione fiscale?
Il contrasto all’elusione si svolge:
 sul piano legislativo (vedi l’art. 37-bis del d.P.R. 600/1973), mediante l’emanazione
di disposizioni, generali e specifiche, dirette a impedire l’aggiramento dell’onere tributario;
 sul piano amministrativo (vedi accertamenti dell’Amministrazione finanziaria), mediante l’interpretazione delle norme, finalizzata a realizzare l’effettiva volontà del legislatore, aggirata dall’elusore;
 sul piano giurisdizionale (vedi sentenze), mediante l’azione dei giudici, che assicuri
l’interpretazione più rispondente alla volontà del legislatore e ai principi del sistema.
La normativa antielusiva mira in particolare a rendere inopponibili all’Amministrazione
finanziaria fatti, atti o negozi che restano comunque validi sotto il profilo civilistico.
In definitiva, si può affermare che la norma antielusiva cerca di fare prevalere, anche nel
campo tributario, la sostanza sulla forma, cercando di attuare il principio costituzionale
in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in ragione della capacità contributiva (art. 53 della Costituzione), laddove la capacità contributiva si mani-
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
festa con la produzione di reddito (art. 72 del TUIR) e il possessore del reddito concorre alla spesa pubblica mediante l’imposta (art. 73 del TUIR).
Questi sono i principi che impongono che l’elusione fiscale sia contrastata almeno
quanto l’evasione fiscale.
L’elusione rappresenta infatti un abuso (tipizzato) del risparmio d’imposta mediante la
violazione dei principi del sistema.
Altra cosa è invece il (lecito) risparmio di imposta, che consiste nella scelta tra vari
comportamenti, posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, che consentono la
regolazione dei propri interessi nel modo fiscalmente meno oneroso.
Il contrasto all’elusione fiscale (come anche all’abuso del diritto) persegue dunque (solo) il risparmio d’imposta ottenuto con l’abuso della libertà di scelta tra più comportamenti fiscali (comunque previsti dall’ordinamento, seppur per fini diversi da quello
dell’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali).
Tale “abuso” realizza infatti una distorsione della causa dello strumento giuridico, che,
nato e predisposto dall’ordinamento per una determinata situazione “tipica”, viene adattato ad una completamente diversa, determinando così un risparmio di imposta illegittimo.
Nota bene
Già con il parere n. 42 del 14 ottobre 2005 il Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme
antielusive veniva a tal proposito stabilito, per esempio, che un’operazione di riorganizzazione
aziendale di scissione parziale non proporzionale, non dettata da un reale intento organizzativo e
gestionale, ma preordinata unicamente ad ottenere un indebito risparmio di imposta, mediante
l’aggiramento delle disposizioni in tema di tassazione dei redditi di capitale conseguenti all’atto dello scioglimento della società o del recesso di uno dei soci, deve essere considerata elusiva.
Il parere n. 49 del 16 novembre 2005 ha del resto parallelamente stabilito che una scissione parziale non proporzionale, con cui si assegnano alla beneficiaria patrimonio immobiliare e ramo
d’azienda, è fiscalmente possibile, laddove però giustificata da un’efficiente gestione delle due attività originariamente presenti nella scissa.
In merito è da segnalare anche il parere n. 4 dell’8 maggio 2003 che ha considerato elusiva
un’operazione di accensione di un mutuo decennale da parte di una Sas per l’acquisizione di quote
di una Snc con successiva incorporazione. Il Comitato ha evidenziato come l’operazione sia tesa
solo a precostituire componenti negativi di reddito non costituendo valide ragioni economiche né il
risparmio delle contribuzioni previdenziali ed il beneficio della responsabilità limitata per i soci cedenti, né la liquidazione di quote difficilmente cedibili a terzi, perché riferibili all’ipotesi della trasformazione societaria.
Ciò che conta, dunque, è il fine (reale) dell’operazione.
Se dunque la differenza tra evasione ed elusione consiste nel fatto che la prima viola le
norme e la seconda le aggira, la differenza tra lecito risparmio di imposta ed elusione
consiste nel fatto che, nel primo caso, il contribuente adotta regole fisiologiche al si-
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
stema, secondo lo scopo voluto dal legislatore, mentre, nel secondo caso, tali regole
vengono adattate allo scopo dello stesso contribuente.
Tale ipotesi può infatti verificarsi quando il contribuente combina due o più regimi fiscali
in modo da ottenere un risultato distorsivo e patologico.
Eludere una norma tributaria significa quindi violarla in maniera obliqua, aggirarla tramite la scelta di operazioni contrattuali e negozi il cui solo (o comunque principale) scopo
è quello di ridurre l’onere fiscale.
Mentre dunque con l’evasione il contribuente occulta il presupposto d’imposta, con
l’elusione il contribuente non occulta, ma impedisce, almeno formalmente, l’insorgere
del presupposto stesso.
Gli accadimenti economici, infatti, sono realmente esposti così come si verificano, ma,
nella sostanza, la norma che inquadra il presupposto di imposta riguarda in realtà differenti fattispecie, giustificate da altre cause e finalità.
L’elusore dà luogo quindi ad una discrasia fra qualificazione giuridica e contenuto economico degli atti posti in essere.
L’elusore, al contrario dell’evasore, agisce però alla luce del sole, rispettando formalmente le norme.
Anzi, proprio questo agire alla luce del sole, per assurdo, rappresenta lo schermo dietro al quale si nasconde (in termini penalistici potremmo dire “l’alibi”).
Di fatto, però, trae così vantaggi che non gli sarebbero spettati, almeno laddove le
operazioni poste in essere fossero state coerenti con lo scopo della norma utilizzata.
 1.3.2 Normativa antielusiva generale tra inopponibilità e nullità
La principale differenza tra elusione ed abuso, come vedremo più dettagliatamente di
seguito, consiste nel fatto che per quanto riguarda l’elusione questa è una fattispecie
(rectius: sono delle fattispecie) espressamente previste da una norma dell’ordinamento
nazionale: l’art. 37-bis del d.P.R. 600/1973.
La “norma generale” antielusiva adottata dal nostro ordinamento non è però una norma propriamente generale (come per esempio la generalklausel tedesca), essendo in
realtà limitata a fattispecie predeterminate, al fine appunto di contrastare solo i comportamenti patologici più rilevanti e diffusi.
La disposizione generale a fattispecie predeterminate può apparire contraddittoria e
costituisce indubbiamente una soluzione di compromesso fra esigenze dissuasive e
difficoltà operative.
Il legislatore si limita infatti a considerare solo le operazioni che, con più frequenza e
maggiore danno per la collettività, vengono utilizzate a fini elusivi, disponendo che, in
presenza (o in assenza) di una serie di condizioni, i vantaggi tributari che ne derivano
sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria.
Esistono certamente altre operazioni o comportamenti potenzialmente elusivi, ma si
decide di evitare troppi vincoli, con il rischio collaterale, però, che siano l’Amministrazione finanziaria e la giurisprudenza ad individuare concretamente le distorsioni e a ri-
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
pristinare “l’ordine violato”; cosa poi puntualmente verificatasi proprio con la “creazione” dell’abuso del diritto.
La norma di riferimento è dunque, come detto, l’art. 37-bis del d.P.R. 600/1973.
L’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973 si compone di otto commi:
 i commi 1 e 2 individuano le caratteristiche del comportamento da ritenersi elusivo
e, in quanto tale, inopponibile all’Amministrazione finanziaria;
 il comma 3 indica le fattispecie potenzialmente elusive;
 i commi dal 4 al 7 disciplinano alcuni aspetti procedimentali;
 il comma 8 contiene infine un particolare istituto, denominato “interpello disapplicativo” (di “specifiche” disposizioni antielusive).
Il comma 1 stabilisce che “sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti, i fatti
e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare
obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o
rimborsi, altrimenti indebiti”.
Lo strumento scelto dal legislatore per tutelare l’ordinamento è dunque quello della “inopponibilità”.
Dal concetto di “inopponibilità” all’Amministrazione finanziaria gran parte della dottrina
fa discendere che i comportamenti elusivi posti in essere dai contribuenti, anche se fiscalmente irrilevanti, sono però validi sul piano civilistico.
Anche tale conclusione tuttavia, a seguito di alcune pronunce della Corte di Cassazione, è stata messa in discussione.
Nota bene
Con le sentenze n. 20398 e n. 22932 del 2005 è stata infatti riconosciuta la possibilità di affermare
la nullità civilistica di contratti che, perseguendo un obiettivo di risparmio fiscale e caratterizzandosi
per la loro antieconomicità risultano privi di causa ai sensi degli artt. 1418, comma 2, e 1325, n. 2),
c.c.
Con la sentenza n. 20816 del 2005 è stata inoltre riconosciuta la possibilità per l’Amministrazione
finanziaria, di dedurre la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente, o la
loro nullità per frode alla legge, ivi compresa la legge tributaria, ai sensi dell’art. 1344 c.c.
In realtà nel nostro ordinamento una clausola generale antiabuso (compresa l’elusione
fiscale, che dell’abuso del diritto rappresenta una sottospecie positivamente disciplinata) potrebbe essere individuata nell’art. 1344 c.c. ove si tratta del negozio in fraudem
legis, ossia un atto conforme alla lettera della legge, ma contrario al suo spirito. In pratica si tratta di un articolo che esprime un principio generale antifrode applicabile ogni
qual volta vengano posti in essere negozi o operazioni che, pur rispettando la lettera
della legge, ne violino lo spirito nella sostanza.
La ratio dell’art. 1344 è chiara: posto che la norma imperativa è pensata per impedire
un risultato indesiderabile all’ordinamento e che questo risultato può essere perseguito
talvolta per il mezzo di un atto contrattuale tipico ed, in quanto tale, espressamente
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
previsto e consentito dallo stesso ordinamento, l’articolo in esame vieta l’atto-mezzo,
avendo come fine così di impedire anche il risultato.
L’art. 1344 c.c. potrebbe quindi essere considerato norma applicabile sia in caso di
elusione, che in caso di evasione di imposta, sia in caso di violazione di norme proibitive, che in caso di violazione di norme imperative materiali, quali sono, senza dubbio, le
norme sostanziali tributarie e l’art. 53 della Costituzione.
Potrebbe dunque essere possibile ricorrere all’art. 1344 c.c. ogni volta che i rimedi
specifici previsti dalla legge tributaria non siano sufficienti.
In particolare la CTR del Piemonte (ma anche Cassazione n. 20816 del 2005) nella sentenza n.
167/1999 afferma: “… nell’odierno contesto sociale la generalità delle persone corrette e di buo-
na fede avverte siccome fondamentale l’esigenza che ogni consociato contribuisca alla spesa
pubblica in ragione della reale consistenza del proprio reddito e che a nessuno sia consentito di
sottrarsi a tale obbligo, con danno per l’Erario quanto per i consociati, ricorrendo ad espedienti pur
formalmente incensurabili sul piano delle norme imperative ed a tale esigenza uniforma la propria
condotta. Questo è dunque uno dei modelli di comportamento richiamati dalla clausola generale
del buon costume …”.
Da tutto ciò la Commissione ne fa derivare che la naturale conseguenza, alla luce del disposto degli artt. 1343, 1344, 1345 e 1418 c.c., è la nullità del contratto che abbia una causa giuridica contrastante con il buon costume.
L’art. 1344 c.c. potrebbe quindi essere interpretato come una sorta di norma di chiusura del sistema.
L’applicazione dell’art. 1344 c.c. in campo tributario (come, del resto, anche
l’applicazione dell’art. 1321 in tema di difetto di causa) porterebbe peraltro a conseguenze ancora più drastiche rispetto all’inopponibilità di cui all’art. 37-bis del d.P.R.
600/1973, dato che comporterebbe una dichiarazione di nullità tout court delle operazioni poste in essere, anche da un punto di vista civilistico.
Seguendo un tale ragionamento, il sillogismo finale potr'ebbe essere dunque il seguente:
 l’operazione è esclusivamente motivata dal fine di elusione fiscale;
 l’elusione fiscale colpisce le possibilità di finanziamento del sistema sociale e, scaricando sugli altri contribuenti l’onere fiscale, viola pertanto i principi costituzionali
della capacità contributiva;
 tale violazione implica la nullità (anche eventualmente civilistica laddove vi sia qualcuno che abbia interesse ad invocarla in tale sede) dell’operazione (e dei relativi
contratti costitutivi);
 alla nullità consegue il diritto di chiunque di disconoscerne gli effetti;
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Capitolo 1 – Il concetto di elusione fiscale
 gli effetti di tali operazioni possono allora essere disconosciuti anche dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento (che provvede poi a riqualificarle nella
loro effettiva sostanza giuridica);
 la pronuncia di nullità dell’operazione (e del relativo contratto o atto costitutivo) da
parte del giudice tributario, che ha il potere/dovere di rilevarla d’ufficio, implica la
convalida del disconoscimento operato dall’ufficio in sede di accertamento.
 1.3.3 L’elusione può essere contrastata anche tramite principi e disposizioni
di derivazione internazionale e comunitaria?
Il contrasto alle operazioni elusive richiede oggi strumenti adeguati e calibrati sul diverso tipo di elusione posta in essere.
Nel caso per esempio di quella che possiamo chiamare elusione “d’élite” sarà sempre
più necessario un collegamento e un confronto tra normativa nazionale, internazionale
e comunitaria.
Anche laddove riuscisse l’aggiramento dell’ordinamento interno, l’Amministrazione dispone oggi infatti di un altro strumento di difesa: la richiesta di conformità ai cosiddetti
“ordinamenti paralleli” (internazionale e comunitario).
L’adeguamento al diritto internazionale, in base all’art. 10 della Costituzione, che dispone che l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, è infatti un vero e proprio obbligo per l’ordinamento
stesso (e un’altra barriera a ostacolo per chi l’ordinamento vuole aggirare).
Tutte le leggi interne, che eventualmente disattendessero le norme internazionali, risulterebbero del resto viziate da illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 10 della
Costituzione.
La prevalenza opera sia nel caso delle norme internazionali consuetudinarie (recepite
dal citato art. 10 della Costituzione), sia per le norme pattizie, attuate con legge interna.
Le norme internazionali sono infatti sempre caratterizzate da una specialità intrinseca e
quindi, laddove emerga un contrasto tra norma interna e norma internazionale sarà
sempre necessario adottare l’interpretazione della norma che la renda conforme alla
disciplina internazionale stessa.
Vi è quindi una sorta di “vincolo di interpretazione”.
Nota bene
Tale vincolo di interpretazione, a seguito del nuovo art. 117 della Costituzione (come modificato
dalla legge costituzionale n. 3/2001), che ha espressamente affermato il principio secondo cui la
potestà legislativa dello Stato e delle Regioni deve essere esercitata nel rispetto della Costituzione,
nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, è oggi ancora più forte.
Per quanto riguarda poi il rapporto tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario l’obbligo di adeguamento delle norme interne è ancora più evidente ed immediato.
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Vi è infatti una preminenza sistematica del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale, dato che, nel caso in cui quest’ultimo risulti contrastante con i principi comunitari,
esso è destinato comunque a soccombere attraverso lo strumento della disapplicazione della norma contraria a quella comunitaria ad efficacia diretta.
Il principio della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale, è ormai pacifico, essendo
stato definitivamente affermato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 170 dell’8 giugno 1984, cosiddetta “sentenza Granital”, che ha fatto seguito alla pronuncia della Corte di Giustizia sul caso Simmenthal (Causa 106/1977, sentenza 9 marzo 1978) .
Con tale sentenza la Corte Costituzionale, in linea con la Corte comunitaria, ha fissato il principio
della cosiddetta “doppia fonte normativa”, riconoscendo il diritto di invocare le disposizioni comunitarie dinanzi ai giudici nazionali per far valere le situazioni giuridiche da esse tutelate e imponendo
così agli organi statali l’obbligo di disapplicare le norme interne incompatibili con queste disposizioni.
La Corte di Giustizia, in applicazione del principio di cooperazione di cui all’art. 5 del Trattato CE, ha
infatti affermato che il giudice nazionale deve in ogni caso interpretare il proprio diritto interno
quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della normativa comunitaria.
Non vi è dubbio, quindi, che, per il principio di preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno
l’effetto di rendere non applicabile qualsiasi disposizione nazionale con essi confliggente;
con la conseguenza che qualsiasi giudice nazionale ha l’obbligo di applicare il diritto comunitario, disapplicando le disposizioni della legge interna con esso contrastanti.
L’applicazione d’ufficio della normativa comunitaria da parte del giudice nazionale è stata
prevista infatti proprio allo scopo di evitare inutili rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia.
In caso contrario (mancata disapplicazione e violazione del diritto comunitario tramite
sentenza) potrebbe essere del resto lo stesso organo giudiziario a determinare una responsabilità statale davanti alla Comunità Europea.
Come infatti affermato dalla Corte di Giustizia con sentenza del 9 dicembre 2003 in causa
C-129/00, l’illegittimità di una pronuncia giurisprudenziale può indubbiamente portare ad una
condanna dello Stato. Già con sentenza 30 settembre 2003 in causa C.224/01, infatti, la Corte di
Giustizia aveva equiparato la responsabilità dello “Stato legislatore” a quella dello “Stato amministratore” e dello “Stato giurisdizione”, sempre che la violazione derivi da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado.
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