GLI EVENTI CATASTROFICI Claudia Pasquero Università degli

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Gli eventi catastrofici
C. Pasquero, UniMiB
GLI EVENTI CATASTROFICI
Claudia Pasquero
Università degli Studi di Milano – Bicocca
piazza della Scienza 4, 20126 Milano
[email protected]
Gli eventi catastrofici sono rari nella località in cui avvengono. Lo stesso evento può
essere catastrofico o meno a seconda del momento e del luogo in cui si verifica. Ad
esempio, temperature di 35 gradi centigradi sono la norma in Egitto mentre sono rare
e devastanti in Gran Bretagna. Analogamente, la prolungata assenza di precipitazione
può essere ben gestita se avviene in una primavera in cui le risorse idriche sono
abbondanti a causa di elevate precipitazioni invernali sulle montagne circostanti,
mentre può provocare siccità in altri periodi.
Le società si sviluppano rispettando le caratteristiche climatiche, idrologiche e
geologiche dell’ambiente e sono quindi generalmente pronte ad affrontare le
condizioni geo-ambientali tipiche, mentre possono trovarsi impreparate di fronte ad
eventi rari. Ad esempio, se il Vesuvio avesse eruttato ogni anno, Ercolano e Pompei
non sarebbero mai state costruite sulle sue pendici. La definizione di evento
catastrofico non è quindi riferita all’evento in sé (ad esempio all’intensità dei venti
raggiunta in una tempesta) ma dipende largamente dalle caratteristiche del sistema
che subisce l’evento. L’umanità assegna il termine di catastrofe privilegiando gli
avvenimenti con un effetto stravolgente sulla specie umana, sia in termini di vite che
in termini economici.
Le catastrofi naturali possono avere origine legata alla geologia (come terremoti e
tsunami) o al clima, come alluvioni, ondate di calore e siccità. Nel 2011 il 91% degli
820 disastri naturali è stato di origine climatica (Worldwatch Institute, 2012). Gli
eventi di origine climatica più devastanti in termini di vite umane comprendono le
ondate di calore, la siccità, i cicloni tropicali, le alluvioni, le trombe d’aria e i fulmini.
Mentre alluvioni, siccità, ondate calde e fredde sono legate a condizioni estreme di
temperatura e precipitazione, i cicloni tropicali sono fenomeni particolari e verranno
trattati in dettaglio nel seguito. Non ci occuperemo qui di trombe d’aria e fulmini
perché, nonostante cumulativamente siano letali per molte persone, sono eventi
estremamente locali e relativamente frequenti, ognuno dei quali interessa
generalmente una popolazione limitata.
LA PRECIPITAZIONE
Prima di occuparci degli estremi di precipitazione, vediamo brevemente come si
formano gli eventi precipitativi.
La pressione atmosferica è determinata dal peso dell’aria sovrastante e quindi
diminuisce all’aumentare della quota. L’aria umida che sale a quote più elevate si
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viene a trovare quindi a pressione inferiore: durante l’ascesa l’aria subisce
un’espansione e conseguentemente si raffredda. Questo raffreddamento può portare
alla condensazione di parte del vapore acqueo in essa presente e alla formazione di
nubi. Le goccioline d’acqua presenti nelle nuvole possono scontrarsi e coalescere
formando gocce più grandi che precipitano sotto forma di pioggia, neve o grandine.
Tutta la precipitazione quindi è legata al sollevamento dell’aria verso quote più
elevate. Il moto ascensionale può essere indotto fondamentalmente da tre meccanismi
diversi:
1) ascesa orografica: se i venti spingono l’aria verso un rilievo topografico, la
presenza dell’ostacolo provoca la risalita dell’aria lungo il pendio; in questo caso la
maggior parte della precipitazione si concentra sul lato montuoso lungo il quale
avviene la risalita mentre il lato opposto del rilievo, lungo il quale l’aria si sposta
verso il basso, è relativamente più secco.
2) ascesa frontale: il fronte atmosferico è l’incontro tra due masse d’aria a
temperatura diversa. La massa fredda ha una densità maggiore della massa calda e
tende quindi a stabilirsi al di sotto della massa calda, forzandone la risalita. Si
distinguono i fronti caldi (aria fredda stazionaria e aria calda in arrivo) dai fronti
freddi (aria calda stazionaria e aria fredda in arrivo): i primi provocano piogge leggere
e durature associate ad un’ascesa lenta, mentre i secondi generano fenomeni piovosi
intensi come temporali e bufere, dovuti ad un rapido sollevamento dell’aria calda e
umida.
1) ascesa per convezione: l’aria è pressoché trasparente alla radiazione solare, che
quindi giunge in gran parte al suolo senza essere assorbita dall’atmosfera. Il suolo (o
l’acqua del mare) si riscalda per l’irraggiamento solare ed emette quindi radiazione
(infrarossa) verso l’atmosfera, dove i gas serra la assorbono riscaldando l’aria. Questo
meccanismo fa sì che la temperatura dell’aria al suolo sia generalmente maggiore di
quella degli strati sovrastanti. In alcuni casi l’aria a diretto contatto col suolo ha un
peso specifico minore di quella sovrastante, e subisce quindi una spinta di
galleggiamento che la porta ad ascendere verso l’alto, fino a che non si trovi
circondata da aria di pari peso specifico. Questo moto viene detto convettivo e
prevede la presenza di flussi ascensionali di aria calda e flussi discensionali di aria più
fredda. Le precipitazioni legate a questo meccanismo sono generalmente intense e di
breve durata. Alle medie latitudini sono tipiche dei momenti più caldi (si pensi agli
acquazzoni estivi del tardo pomeriggio), mentre nelle zone tropicali sono quotidiane.
Fenomeni precipitativi intensi si verificano quando aria marina ricca di umidità e
relativamente calda si scontra con aria fredda continentale, come avviene ad esempio
nel caso dei monsoni, o quando la superficie terrestre è particolarmente calda e ricca
d’acqua in modo da rendere l’aria sovrastante calda e umida e permettere la
convezione. La precipitazione è favorita in condizioni di bassa pressione atmosferica
alla superficie terrestre, che porta alla convergenza di aria in superficie verso la bassa
pressione e la conseguente risalita verso l’alto dell’aria accumulatasi nella zona di
bassa pressione.
I periodi di siccità sono legati alla prolungata assenza di precipitazioni. La quantità di
vapore acqueo presente in atmosfera dipende dall’apporto di umidità dalle zone
marine ed una variazione nella direzione o nell’intensità dei venti può ridurre tale
apporto, limitando la precipitazione rispetto alle normali condizioni per una data
regione geografica. La presenza di zone di alta pressione limita la formazione di nubi
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a causa del moto discensionale indotto dallo spostamento superficiale dell’aria in
allontanamento dall’alta pressione (divergenza dei venti superficiali). Il perdurare di
condizioni di alta pressione è spesso legato a cielo limpido e precipitazioni ridotte.
Variazioni climatiche interannuali (come l’oscillazione chiamata El Nino) alterano il
moto atmosferico e sono responsabili dell’alternarsi di periodi secchi e periodi umidi
in alcune regioni (si veda ad esempio Black et al., 2003).
LA TEMPERATURA
Le ondate di calore e le ondate di freddo sono periodi prolungati di temperature
estreme per le condizioni tipiche dell’ambiente in cui si verificano.
Le ondate di calore si formano quando un sistema di alta pressione (o anticiclone) si
posiziona su una regione geografica e vi permane per un periodo di diversi giorni.
L’alta pressione negli strati bassi dell’atmosfera genera un flusso d’aria divergente
verso le aree circostanti dove la pressione è più bassa. Questo moto richiama aria
proveniente dagli strati sovrastanti la zona di alta pressione verso la superficie.
Durante il movimento discensionale, l’aria viene compressa e conseguentemente si
riscalda. L’acqua liquida eventualmente presente durante questo riscaldamento
evapora e il cielo appare limpido. L’assenza di nubi, oltre a rendere impossibili le
precipitazioni, permette alla radiazione solare di giungere alla superficie senza
ostacoli (le nuvole che appaiono bianche riflettono la radiazione luminosa e limitano
quindi la trasmissione di energia solare verso la superficie). In queste condizioni, il
suolo diventa particolarmente caldo e aumenta la temperatura degli strati inferiori
dell’atmosfera. La temperatura aumenta al perdurare dell’anticiclone. Solo quando la
zona di alta pressione si indebolisce aria umida e fredda può giungere a dare sollievo
dall’ondata di calore.
Anche le ondate di freddo sono spesso associate a sistemi di alta pressione. Come
visto precedentemente, in condizioni di pressione elevata il cielo appare limpido. Se il
sistema di alta pressione si trova ad alte latitudini nel periodo invernale, l’assenza di
copertura nuvolosa non favorisce il riscaldamento del suolo in quanto la radiazione
solare ricevuta è comunque estremamente ridotta a causa dell’inclinazione dell’asse
terrestre. Inoltre, la poca radiazione solare che giunge al suolo viene in gran parte
riflessa dalla neve tipicamente presente nel periodo invernale alle alte latitudini. Gran
parte della radiazione infrarossa emessa dal suolo è invece in grado di scappare dalla
Terra senza essere assorbita dal cielo limpido. L’effetto dominante dell’assenza di
nubi in questo caso è un raffreddamento della regione. Durante l’ondata di freddo
alcune precipitazioni possono essere presenti, generate dall’incontro di aria umida e
relativamente calda con l’aria fredda del sistema di alta pressione.
I CICLONI TROPICALI
I cicloni tropicali (anche chiamati uragani nella zona Atlantica e tifoni nel Pacifico)
sono sistemi di bassa pressione caratterizzati da forte convezione e da intensi venti
superficiali, alimentati dal calore liberato dalla condensazione del vapore acqueo
presente nell’aria umida.
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La zona centrale del ciclone tropicale, detta occhio, ha diametro di qualche decina di
chilometro ed è caratterizzata da bassa pressione e dall’assenza di precipitazione. La
precipitazione si organizza in anelli concentrici con venti intensi intervallati da zone
con precipitazione moderata. L’estensione media di questi sistemi è di circa 500 km.
Un singolo ciclone tropicale può far precipitare diecimila miliardi di litri d’acqua in
un giorno (pari al consumo mondiale medio di acqua) e generare una potenza di
duemila milardi di Watt attraverso l’attrito dei venti in superficie, pari a circa la metà
della produzione elettrica mondiale. I venti superficiali estremamente intensi spostano
l’acqua del mare provocandone l’accumulo nelle zone costiere, dove l’innalzamento
del livello marino può essere di diversi metri (il massimo registrato è 13 metri, per il
tifone Mahina nel 1899, Whittingham 1958) e provocare inondazioni devastanti (si
pensi ad esempio al caso del ciclone Nargis che provocò 138 mila morti nel 2008 in
Birmania, o al caso dell’uragano Kathrina che nel 2005 distrusse New Orleans).
E’ interessante notare che diversi record meteorologici si riferiscono ai cicloni
tropicali: la precipitazione più intensa misurata al suolo (sulla terraferma) nell’arco di
24 ore è di 1,82 metri durante il ciclone tropicale Denise nell’Oceano Indiano
(Holland, 1993). La velocità massima del vento al suolo al di fuori di un tornado è
stata registrata in Australia durante il tifone Olivia nel 1996: le folate raggiunsero
velocità di 408 km/h (World Meteorological Organizazion, 2010). La pressione
superficiale minima registrata al di fuori di un tornado è nell’occhio del tifone Tip del
1979: 870 mbar (Dunnavan and Diercks, 1980).
Vediamo ora brevemente come nascono questi potentissimi sistemi meteorologici.
Nelle zone tropicali i fenomeni temporaleschi sono quotidiani, caratteristici delle ore
del tardo pomeriggio quando il suolo (o la superficie del mare) raggiunge le
temperature più elevate e riscalda quindi l’aria negli strati più bassi dell’atmosfera,
generando moti convettivi. Durante lo spostamento verso l’alto, l’aria calda ed umida
si espande e si raffredda, provocando la condensazione del vapore acqueo in gocce ed
il conseguente rilascio di calore latente. L’energia liberata riscalda l’aria che subisce
quindi un’ulteriore spinta verso l’alto a causa del suo minore peso specifico. Il moto
convettivo si blocca alla tropopausa, ad un’altezza di circa 15 km1. Il movimento
ascensionale di aria calda e umida è affiancato dallo spostamento verso il basso di aria
fredda che mescolandosi all’aria in superficie ne aumenta la densità. Nella maggior
parte dei casi questo mescolamento verticale delle masse d’aria è sufficiente per
ristabilire le condizioni di stabilità nella colonna d’aria ed il moto convettivo si
esaurisce in un tempo breve (generalmente una ventina di minuti), decretando anche
la fine del fenomeno temporalesco. Tuttavia, in particolari condizioni, sulle quali
ritorneremo a breve, il meccanismo di mescolamento verticale non è sufficiente ad
interrompere l’ascesa convettiva dell’aria calda e umida dalla superficie. L’accumulo
nella tropopausa dell’aria in ascensione provoca lo spostamento laterale dell’aria dalla
zona perturbata alle aree circostanti con conseguente riduzione della massa nella
colonna d’aria e formazione di bassa pressione superficiale nell’area di convezione.
La bassa pressione richiama aria lungo la superficie, generando venti convergenti.
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La tropopausa separa la troposfera (sede dei processi meteorologici) dalla
stratosfera, dove la temperatura dell’aria aumenta con la quota grazie all’assorbimento
della radiazione solare ultravioletta da parte dell’ozono.
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L’aria in movimento subisce l’effetto della rotazione terrestre che rende la traiettoria
simile ad una spirale verso la bassa pressione centrale. La rotazione è di tipo
ciclonico, cioè in senso antiorario nell’emisfero boreale ed in senso orario
nell’emisfero australe. Se si trovano al di sopra dell’Oceano, i venti ciclonici
superficiali favoriscono l’evaporazione dell’acqua marina provocando l’aumento
dell’umidità dell’aria sovrastante. Durante l’ascesa convettiva quest’aria più umida
rilascia una quantità maggiore di calore latente per condensazione del vapore acqueo.
La bassa pressione alla superficie si intensifica, portando a venti ancora più intensi
che favoriscono ulteriore evaporazione. Il processo convettivo continua in un
fenomeno di retroazione positiva. La perturbazione iniziale può intensificarsi in
tempesta tropicale, e in alcuni casi giungere allo stadio di ciclone tropicale, quando i
venti superficiali superano i 119 km/h.
Tale processo di ciclogenesi tropicale avviene per fortuna raramente. Le condizioni
che favoriscono il suo sviluppo sono state descritte da Bill Gray quasi cinquanta anni
fa (Gray, 1968).
1) La media troposfera alla quota di 6-7 km dalla superficie terrestre deve essere
umida: se fosse secca, il mescolamento dell’aria calda e umida superficiale in ascesa
con quest’aria secca non favorirebbe la condensazione del vapore in gocce e
limiterebbe quindi il rilascio di calore latente.
2) La temperatura superficiale dell’oceano deve essere elevata (nelle condizioni
climatiche attuali deve essere superiore ai 26 gradi centigradi): in questo modo essa
favorisce l’evaporazione dell’acqua e il riscaldamento dell’aria ad una temperatura
che permetta un’intensa convezione.
3) La temperatura dell’aria deve diminuire rapidamente con la quota, in modo da
favorire l’ascesa convettiva dell’aria superficiale calda e umida.
4) La velocità del vento in quota deve essere ridotta: i venti nella parte alta della
troposfera sono molto più intensi di quelli superficiali. Per avere ciclogenesi i venti
devono essere relativamente omogenei in tutta la troposfera e quindi i venti in quota
devono essere relativamente deboli. Il preciso motivo di questa condizione non è
compreso, ma probabilmente una forte differenza dei venti a quote diverse (wind
shear) favorisce l’intrusione di masse d’aria circostanti (e secche) nella colonna
convettiva e permette quindi la rievaporazione delle gocce d’acqua e il conseguente
raffreddamento della massa ascensionale.
5) La distanza dall’equatore deve essere di almeno 500 chilometri circa: nelle zone in
prossimità dell’equatore la rotazione della Terra non ha effetto sulle masse d’aria in
movimento. Le traiettorie delle masse d’aria in superficie verso la zona di bassa
pressione non sono quindi a spirale bensì dirette verso la bassa pressione e la velocità
dei venti è decisamente inferiore.
Anche in presenza di tutte queste condizioni, i cicloni tropicali non si sviluppano
autonomamente. E’ necessaria la presenza di una perturbazione nella bassa atmosfera
per favorire la convergenza di aria in superficie ed iniziare la ciclogenesi.
E’ stato osservato che le condizioni necessarie allo sviluppo dei cicloni tropicali si
verificano nell’Oceano Indiano, nel Pacifico settentrionale, nella zona occidentale
dell’Oceano Pacifico meridionale, e nel Nord Atlantico occidentale. La parte
meridionale dell’Oceano Atlantico verifica queste condizioni molto di rado ed in
effetti ad oggi si conosce un solo ciclone tropicale formatosi in questa regione (il
ciclone Catarina nel 2004, Mc Taggart-Cowan, 2006). Il periodo dell’anno che porta
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allo sviluppo dei cicloni è quello tardo estivo e autunnale, in cui la superficie del mare
è più calda. Ogni anno si sviluppano una novantina di cicloni tropicali su tutta la
superficie terrestre. Una volta formatisi, i cicloni tropicali si spostano trasportati dai
venti a grande scala (George and Gray, 1976) - gli Alisei nelle zone tropicali, i venti
occidentali alle medie latitudini - e si smorzano dopo giorni o anche qualche
settimana quando la loro traiettoria si sposta sulla terraferma o a latitudini elevate
dove l’apporto di umidità all’aria superficiale è limitato.
L’intensità raggiunta dai cicloni tropicali dipende dalle condizioni ambientali e da
alcuni processi interni, che sono attualmente decisamente oscuri alla comunità
scientifica, anche se l’intensificazione è chiaramente favorita nei casi in cui le
condizioni necessarie alla ciclogenesi elencate precedentemente sono ampiamente
verificate. Ad esempio, temperature marine superficiali maggiori conducono
mediamente ad intensificazione maggiore. Tuttavia, si è scoperto recentemente che
l’intensificazione dipende anche da altre proprietà che influenzano gli scambi
energetici tra aria e mare.
In seguito al passaggio del ciclone tropicale, la temperatura superficiale del mare
risulta ridotta per effetto del flusso di calore diretto dall’oceano verso l’atmosfera e
del mescolamento dello strato caldo di acqua in superficie con l’acqua fredda più
profonda indotto dai venti. Le anomalie termiche riconducibili ai cicloni tropicali
sulla superficie dell’Oceano possono raggiungere anche i 10 gradi centigradi in meno
rispetto alle condizioni precedenti il passaggio del ciclone (Chiang et al., 2011). La
riduzione di temperatura limita i flussi di energia e di vapore verso l’atmosfera e
funziona come un meccanismo di autoregolazione dei cicloni tropicali che previene
l’intensificazione eccessiva (Cione and Uhlhorn, 2003). Tale meccanismo di
retroazione negativa non funziona quando il mare ha uno strato superficiale caldo
molto profondo: in questo caso il mescolamento verticale indotto dai venti non è in
grado di generare una grande anomalia termica superficiale e l’apporto di vapore
verso l’atmosfera resta elevato (Lin et al., 2005). La retroazione negativa non
previene l’intensificazione anche nei casi in cui il ciclone tropicale abbia una elevata
velocità di spostamento: il passaggio rapido dei venti intensi su una data regione
oceanica limita il mescolamento verticale e quindi la riduzione superficiale della
temperatura (Wei et al., 2012). Infine, l’intensità dei cicloni tropicali dipende anche
da meccanismi interni come l’organizzazione della convezione nelle bande a spirale
(Willoughby and Black, 1996), ad oggi poco compresi.
Le previsioni meteorologiche attuali sono in grado di prevedere i venti a grande scala
con una buona accuratezza e con anticipo di diversi giorni. Le previsioni sulle
traiettorie seguite dai cicloni tropicali sono quindi relativamente buone (Cangialosi
and Franklin, 2011). Decisamente meno accurate sono le previsioni sull’intensità dei
cicloni (Cangialosi and Franklin, 2011), che come abbiamo detto dipende da
numerose condizioni ambientali e da meccanismi interni. La teoria fino ad ora ha
permesso solo di stabilire un limite superiore all’intensità di un ciclone tropicale
(Emanuel 1988, Holland 1997) che dipende dalla temperatura superficiale del mare e
dal profilo di temperatura atmosferico. Tipicamente tale valore è decisamente
superiore all’intensità effettivamente raggiunta dal ciclone tropicale.
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L’importanza delle corrette previsioni sull’intensità dei cicloni tropicali è evidenziata
dai seguenti due esempi. Nel 2011, mentre i venti soffiavano a 175 km/h2 e l’uragano
Irene si dirigeva verso la costa statunitense, le previsioni annunciavano
un’intensificazione ulteriore a velocità tra 210 e 250 km/h. Diverse centinaia di
migliaia di persone furono evacuate. Poche ore dopo, Irene cominciò a indebolirsi e
giunse sulla costa della Carolina del Nord con venti di circa 145 km/h, chiaramente
molto intensi ma anche decisamente inferiori a quanto previsto. Un caso opposto
portò ad una delle più devastanti catastrofi dell’ultimo decennio: il ciclone tropicale
Nargis giunse sulla costa Birmana il 2 maggio 2008 provocando 140 mila morti. La
velocità misurata dei venti superava 215 km/h, mentre le previsioni avevano
ipotizzato venti massimi a 145 km/h. Il bilancio catastrofico avrebbe potuto essere
limitato se l’intensità non fosse stata sottostimata e se gli avvertimenti non fossero
stati minimizzati dai notiziari locali (Webster, 2008).
La raccolta di nuovi dati per mezzo degli aerei “Hurricane Hunters” e da nuovi
strumenti a bordo di satelliti geostazionari permetterà uno studio più accurato della
dinamica interna degli uragani. La speranza è che presto le capacità predittive sui
cicloni tropicali risultino decisamente migliori in modo da limitare gli impatti sulla
società.
LE PROPRIETA’ STATISTICHE DEGLI EVENTI CATASTROFICI
Globalmente, il numero di eventi climatici catastrofici riportato negli archivi è
triplicato negli ultimi 30 anni (Munich Re, 2011). Si noti però che gli eventi
catastrofici sono eventi rari. Abbiamo quindi a disposizione una base di dati limitata
per stabilire la variabilità della loro frequenza e della loro intensità.
La frequenza delle precipitazioni intense e il numero di giornate con temperature
estreme sono aumentati a livello globale negli ultimi 60 anni (IPCC, 2012). Il
cambiamento sistematico medio su tutta la Terra non si riflette necessariamente su
simili cambiamenti a livello locale, in quanto le proprietà statistiche degli eventi
climatici catastrofici variano su scala regionale. Ad esempio, la durata e l’intensità
degli eventi siccitosi sono recentemente aumentate in Europa e in parte dell’Africa,
mentre la siccità è diminuita nel Nord America ed in parte dell’Australia (IPCC,
2012). La frequenza delle ondate di calore è aumentata in molte regioni ma non in
tutte (IPCC, 2012).
La frequenza dei cicloni tropicali a livello globale non ha subito variazioni
significative negli ultimi 50 anni (Webster et al. 2005). La potenza dissipata
(collegata all’intensità e alla durata dei cicloni tropicali) è cambiata in modo correlato
alla temperatura superficiale del mare ma non ha subito variazioni sistematiche a
livello globale (Maue, 2009), seppure abbia avuto un incremento nel bacino Atlantico
e nel Nord Pacifico Occidentale negli ultimi 25 anni (Emanuel, 2007). Sembra invece
essere significativo l’aumento dell’intensità dei cicloni più intensi (Elsner et al,
2008).
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Queste velocità si riferiscono a venti stabili per almeno due minuti e non alle folate
che durano pochi secondi e possono avere velocità più intense.
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Alcune delle variazioni sistematiche (trend) osservate nelle condizioni climatiche
estreme sono probabilmente legate al riscaldamento globale antropogenico, come ad
esempio l’aumento delle inondazioni delle zone costiere associato all’innalzamento
del livello del mare di circa 20 cm osservato nell’ultimo secolo (Church and White,
2011). Meno chiara è invece ad esempio l’attribuzione di un contributo antropogenico
all’intensificazione delle precipitazioni estreme (Min et al. 2011).
Sulla base di studi effettuati con modelli di clima e scenari di emissione di gas serra
ritenuti plausibili, la comunità scientifica considera molto probabile che per la fine del
XXI secolo la durata, l’intensità e la frequenza delle ondate di calore sarà aumentata
sulla maggior parte della terraferma. Si ritiene probabile anche che la frequenza delle
precipitazioni intense aumenti sulla maggior parte del globo, particolarmente nei
tropici, alle alte latitudini, e nei periodi invernali alle medie latitudini dell’emisfero
boreale (IPCC, 2012).
L’intensità dei cicloni tropicali e le precipitazioni ad essi legate sono previste in
probabile ascesa a livello globale ma non in tutti i bacini, mentre la frequenza globale
resterà probabilmente immutata o diminuirà nel corso del XXI secolo (Knutson et al.,
2010). La frequenza dei cicloni più intensi tuttavia probabilmente aumenterà, anche se
non in tutti i bacini.
Prima di concludere, sottolineiamo che le proiezioni sono legate a simulazioni
effettuate con i modelli climatici e che tali modelli, se utilizzati per riprodurre il clima
attuale, non sono generalmente in grado di generare gli eventi estremi osservati. Con
un approccio di tipo statistico o con simulazioni numeriche dinamiche a maggior
risoluzione, le temperature e le precipitazioni estreme osservate vengono collegate
con quelle generate dal modello climatico. Lo stesso collegamento (statistico o
dinamico) viene poi usato per estrapolare la frequenza degli eventi estremi a partire
dai risultati delle simulazioni future. Tuttavia non possiamo essere certi a priori che
tale operazione sia valida se applicata ad un clima differente da quello odierno.
CONCLUSIONI
La devastazione provocata dagli eventi climatici dipende sia dalle caratteristiche degli
eventi in sé che dalle caratteristiche socio-economiche e demografiche e dalla
vulnerabilità dell’ambiente esposto al rischio.
La frequenza degli eventi climatici catastrofici appare aumentata negli ultimi trenta
anni e si pensa che continuerà ad aumentare nel corso del XXI secolo a causa
dell’incremento dell’effetto serra, nonostante l’esistenza di ampie differenze regionali
(IPCC, 2012). Si noti tuttavia che nessun evento catastrofico può essere
individualmente imputato al riscaldamento globale antropogenico - in quanto esiste
sempre la possibilità che l’evento accadesse anche senza il contributo antropico al
clima (Hegerl et al. 2007).
Va comunque notato che anche in assenza di variazioni climatiche globali, la
semplice ridistribuzione degli eventi climatici (non estremi) nelle diverse regioni
sarebbe in grado di generare effetti catastrofici. Infatti la società si adatta alle
condizioni climatiche tipiche della regione in cui si trova e tale adattamento richiede
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lunghi periodi (si pensi ad esempio ai tempi di costruzione delle infrastrutture). Un
aumento della piovosità in una regione relativamente secca, ad esempio,
provocherebbe la ripetuta esondazione dei corsi d’acqua dagli argini costruiti nel
corso dei secoli. Questa precisazione ha lo scopo di sottolineare che ogni
cambiamento climatico che avviene in un arco di tempo breve (decine di anni) è
potenzialmente rischioso, mentre può essere gestito meglio se avviene in un arco di
tempo lungo rispetto al tempo evolutivo delle nostre società.
Negli ultimi cinquant’anni le perdite economiche legate agli eventi climatici
catastrofici sono aumentate ed il trend è visibile nonostante la grande variabilità
osservata da un anno all’altro (Munich Re, 2011). Tale aumento è da attribuire alla
maggiore esposizione di attività economiche al rischio e gran parte di esso esisterebbe
anche nel caso in cui la frequenza e l’intensità degli eventi catastrofici non fosse
variata.
L’aumento della popolazione mondiale, la concentrazione demografica in centri
urbani, in particolare quelli costieri, e l’aumento del valore delle proprietà favoriscono
l’incremento della mortalità e del costo economico degli eventi estremi. Si prevede
quindi che nel corso del XXI secolo gli effetti degli eventi catastrofici continuino ad
aggravarsi, anche se non ci fossero cambiamenti negli eventi climatici estremi
(Mendelsohn et al., 2012).
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