Riflessioni (n.179) sulle Letture della IV Domenica Di Pasqua (b) 26 aprile 2015 A tutti gli Amici in Gesù Nostro Signore e Salvatore A te che leggi, ti benedica il Signore e ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto Perdona Signore e anche voi amici tutti gli errori e le imprecisioni, che involontariamente avrò scritto: queste righe vogliono essere solo una preghiera a Te Padre Misericordioso, a Te Verbo Redentore, a Te Spirito Consolatore. Le cose che conosco della Verità sono poche, ma voglio parlarne con umiltà e devozione massima per conoscerle meglio. Lo Spirito Santo mi aiuti. Signore so che Tu non hai bisogno di quello che diciamo di Te, ma queste mie parole saranno utili e benefiche sicuramente a me e forse a qualcuno che le legge se Tu le arricchirai del Tuo Spirito Santificatore che invoco. -Nihil amori Christi praeponere- Prima Lettura - Dagli Atti degli Apostoli - At 4, 8-12 - In nessun altro c’è salvezza. In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». La breve pericope dagli Atti degli Apostoli è rivelatrice della presenza di Dio, del Figlio e dello Spirito Santo tra gli uomini seguaci di Cristo e della Testimonianza che ne dà Pietro ormai risanato proprio dallo Spirito Santo dopo le paure e il tradimento conseguenti all’arresto di Gesù. Ora non teme più la morte perché sa che essa sarà liberatrice dalla schiavitù del peccato e non più eterna; sarà solo un passaggio per giungere al Regno di Dio; ora non esita a dire tutta la verità agli ipocriti detentori del potere -anziani, scribi, farisei e sacerdoti- e a tutto il popolo, confermando che la guarigione miracolosa dello storpio è avvenuta ad opera del Signore Gesù Cristo , non certo della magia, cioè del demonio, conclusione cui quei malvagi volevano pervenire! Gesù, continua l’Apostolo, è stato maltrattato e crocifisso come un malfattore e invece è la Pietra Angolare della Sua Chiesa e del Regno di Dio! Dunque non c’è Salvezza senza di Lui; a Lui soltanto il Padre ha affidato la salvezza del genere umano e con un solo atto di Bontà e d’Amore infiniti ha cancellato la nemica nostra, frutto del peccato: la Morte. Il Creatore infatti ci ha creati per l’immortalità alla quale abbiamo rinunciato disobbedendo all’unico divieto posto ai Progenitori nell’Eden. Ora, col suo Sangue, l’Inviato del Padre ha stabilito una Nuova Alleanza basata su un atto d’amore grandioso e irripetibile, proprio quel Sacrificio della Croce che doveva essere la condanna ignominiosa del bestemmiatore secondo gli «illuminati» nemici della Verità. Ora “tutto è compiuto” disse il Salvatore sulla croce e dunque chi si ostina a negare che Gesù è Cristo Figlio di Dio Salvatore o a condannare altri innocenti perché contrari alla loro nequizia, costoro pronunciano la loro stessa condanna. Io credo in Te Signore Gesù insieme a tutti i fratelli che Ti adorano perché tutto ciò che Tu hai compiuto nella Tua esistenza terrena e anche dopo la Resurrezione non può che essere Bene Infinito che solo un Dio immensamente Buono può dare senza interessi ma solo per Amore. Salmo Responsoriale - Dal Salmo 117 - La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo. Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo. Pag. 1 di 7 È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti. Ti rendo grazie, perché mi hai risposto, perché sei stato la mia salvezza. La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi benediciamo dalla casa del Signore. Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie, sei il mio Dio e ti esalto. Rendete grazie al Signore, perché è buono, perché il suo amore è per sempre. Quanti condividono l’affermazione del Salmo: “… È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti…” ?; infatti chi cerca i beni del mondo non cerca il Signore, ma mette sugli altari quei beni diabolici e ne spodesta Dio! Egli infatti non promette ricchezze, onori, potere ma qualcosa di molto diverso e non soggetto al vento che tira ... Per la maggior parte di noi vale il detto «meglio l’uovo oggi che la gallina domani». Potremmo allora dire che l’umanità di suddivide in due categorie: quelli che cercano e stimano ciò che possiede un peso e un valore materiale, ma transitorio, e gli altri che invece preferiscono beni spirituali ma non deperibili, accettando così di «tirare un po’ la cinghia» in quest’esistenza sensibile. È la gravosa scelta che tutti noi siamo chiamati a esercitare; è la scelta oculata che diverse persone ci hanno posto dinanzi fin da bambini, a partire dai genitori più sensibili, agli insegnanti, ai catechisti e ai preti della parrocchia. Per ultima, ma più potente di tutti chi ci chiede di scegliere per il Bene è la Coscienza che, seppur non dotata di voce udibile dall’orecchio, parla e parla di continuo, non al corpo e ai sensi dunque, ma all’anima e alla mente. Esse non possono essere ingannate, pena gravi disturbi psicologici e d’identità che non risultano sostenibili alla lunga distanza: s’impazzisce, ci si dilania interiormente… si va alla rovina. Dio risponde sempre ai nostri gridi di dolore, ne abbiamo parlato tante volte, solo che dobbiamo comprendere cosa ci risponde, cioè a cosa è finalizzata la Sua Risposta che può essere anche il silenzio da non confondersi con l’indifferenza di cui noi siamo così bra- vi a servircene nei confronti sia del prossimo che di Dio Stesso! Per noi che ci diciamo Cristiani e che dovremmo intraprendere e talvolta intraprendiamo iniziative di Bene, come la Preghiera, l’Aiuto ai poveri e ai bisognosi o qualsiasi azione finalizzata al raggiungimento del bene spirituale e materiale dei sofferenti e alla lode del Signore, esiste il dovere di aiutare le persone bisognose o di buona volontà proiettate al Bene e mai osteggiarle o combatterle come nemici: è un peccato gravissimo di cui dovremo dare convincente spiegazione a Cristo Giudice quando saremo chiamati al Suo Cospetto! Così chi allontana con falsità e calunnie chi vuole servire il Signore al Suo Altare o lodare in preghiera personale o di gruppo la Fonte d’Ogni Bene compie peccato mortale, non tanto perché rivolto contro il malcapitato di turno, ma perché è contro lo Spirito Santo! Pregiamo per costoro perché si ravvedano e si sottraggano così agli artigli del Male. Che cosa tristissima è costatare come ciò avvenga anche nelle nostre chiese e ad opera di persecutori appartenenti a ogni rango ecclesiastico o paraecclesiastico, là dove penseremmo dovrebbe essere maggiormente osservata la Parola di Dio e la Carità! Adoriamo Te Signore perché non deludi mai chi si rivolge a Te: sai sempre mandare il Tuo Segno di Attenzione a chi Ti cerca e vuole il Tuo Aiuto. A Te ogni ringraziamento e ogni esaltazione nostri sembrano miserie a fronte della Tua Infinita Maestà e dei Beni Inesauribili che ci doni, ma Tu sai apprezzarli ugualmente quando vengono dal cuore. Seconda Lettura - Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo - 1 Gv 3,1-2 - Vedremo Dio così come egli è. Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Pag. 2 di 7 Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Vedere Dio Padre nella Sua Inesprimibile Magnificenza comporta divenire noi stessi simili a Lui! Inaudito e impensabile; sarebbe una bestemmia se non venisse dal Padre Stesso tale sconvolgente Verità e tramandata a noi attraverso colui che ha appoggiato il capo sul petto di Gesù Cristo: San Giovanni Apostolo! La Bellezza e la Potenza di Dio sono tali che ogni essere pensante, dotato quindi d’una parte non materiale, posto difronte a Lui, per vederLo e comprenderLo dev’essere dotato di parte almeno di quella Stessa Bellezza e Potenza, Essenze del Suo Essere, altrimenti ne sarebbe accecato e forse annientato! Nella nostra modellizzazione di Dio siamo abituati a immaginare il Signore con un aspetto fisico e antropomorfico per giunta, anche perché abbiamo conosciuto la Seconda Persona Trinitaria, il Figlio Fatto Uomo. Ma Dio è Spirito e quindi senza una forma visibile ai sensi, cioè agli occhi della testa. La Sua Bellezza è dunque Incorporea e per «vederLa» dobbiamo far ricorso certamente allo spirito che è in noi già adesso, ma cosa questo corpo diverrà e come si trasformerà non ci è dato sapere; ecco dunque come intendere, secondo me, la frase: “… ciò che saremo non è stato ancora rivelato.” Nel Vangelo, in questi giorni pasquali abbiamo letto e meditato che Gesù Risorto era irriconoscibile anche ai Suoi intimi perché Trasfigurato. Quindi anche noi quando suoneranno le trombe del Giudizio e risorgerà la nostra carne mortale non avremo più l’aspetto odierno, ma saremo anche noi trasfigurati. Come poi sia un essere umano trasfigurato nessuno di noi sa dirlo. Ma stando alle parole di Giovanni non sarà tutto qui. Quel che ci attende è inimmaginabile perché fuori della nostra esperienza razionale e sensoria, ma anche della nostra immaginazione! Sono convinto che quando avverrà la profezia di Giovanni rimarremo veramente sbalorditi e senza parole perché conosceremo una realtà inimmaginabile, mille volte mille più strabiliante e oltre la più sbrigliata fantasia umana! Soltanto lo Spirito Santo ci potrà «corazzare» per resistere alla visione che ci attende. D’altr’onde San Tommaso d’Aquino, poco prima di morire, il 6 dic 1273 mentre celebrava la Messa, ebbe una visione a seguito della quale smise ogni attività come quella di terminare l’opera “Summa Theologiae” che l’aveva grandemente impegnato per anni (dal 1265 – al 1274) e confessò al suo segretario e confessore che gli chiedeva spiegazioni per quale motivo non concludesse l’opera, rispondendo: “Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”. Poi aggiunse: “L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”. Aveva avuto una visione ultraterrena che non volle narrare a nessuno tanto era stata sconvolgentemente meravigliosa e inenarrabile! Nella sua massima opera, nel proemio alla I parte così scrive San Tommaso: “Conosciuta l'esistenza di una cosa, resta da ricercare il suo modo di essere, per giungere a conoscerne la natura. Ma siccome di Dio non possiamo sapere che cosa è, ma piuttosto che cosa non è, non possiamo indagare come egli sia, ma piuttosto come non sia. È quindi necessario considerare per prima cosa i suoi modi di non essere; secondo, come noi lo conosciamo; terzo, come lo denominiamo. Si può dimostrare come Dio non è, scartando le cose che a lui non convengono, come sarebbe la composizione, il movimento e simili. Studieremo dunque: primo, la sua semplicità, per la quale viene esclusa da lui ogni composizione. E siccome negli esseri corporali le cose semplici sono le meno perfette e parti incomplete, secondo, la sua perfezione; terzo, la sua infinità; quarto, la sua immutabilità; quinto, la sua unità.” Signore ora comprendo che la vita oltre la morte che mi hai donato vale oltre ogni valutazione umana per la Gloria e la Felicità che le hai stabilito prima del tempo e della nostra stessa creazione! Donami Signore Splendente il Tuo Misericordioso Aiuto occorrente perché non perda questo Bene Immenso che hai riservato a anche a me, indegno e inutile servo! Pag. 3 di 7 Canto al Vangelo Gv 10, 14 Alleluia, alleluia. Io sono il buon pastore, dice il Signore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. Alleluia. Alleluia. Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 10, 11-18 - Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Il dono della propria vita per la salvezza degli uomini è il Sacrificio Eterno della Croce di Cristo. Morire per amore di tutti, anche di coloro che Lo negano o Lo avversano è il fondamento del Cristianesimo. Esso è fondato sulla comparsa di Dio sulla Terra, legato alla Passione, Morte e Resurrezione del Figlio di Dio, il Buon Pastore. Qui Giovanni ci svela uno dei grandi Misteri Trinitari: il Padre ha ordinato al Figlio di assumerSi la possibilità e la potestà di incarnarSi, morire e risorgere una volta per tutte per preservare la più amata delle Sue Creature dalla distruzione della morte e non solo fisica, ma anche e soprattutto spirituale. Ma la morte corporale è il passaggio obbligato per raggiungere e godere dell’immortalità dell’anima ed essere inseriti fra coloro che risorgeranno come Gesù è risorto. Dunque Cristo, il Figlio di Dio, ha avuto, per l’eternità, il Potere di togliere e di ridare la vita. Egli allora è il Giudice, ma anche il Buon Pastore e il nostro Avvocato Difensore. Ecco dunque perché la Misericordia e la Mitezza sono due delle Sue caratteristiche d’Amore. O Gesù mio Signore e mio Consolatore, voglio essere parte del Tuo Gregge per avere l’Amore Caritatevole del mio Dio! Aiutami a non seguire mai le vanità del mondo che sono trappole del demonio tese per allontanarmi da Te Unico Bene! Pag. 4 di 7 CONSIDERAZIONI SUL SACRO NELL’ARTE di Vincent Van Gogh (Zundert, 1853 – Auvers-sur-Oise, 1890) Figura 1 - Notte Stellata; 1889; Van Gogh; Museum of Modern Art, N.Y. (Olio su tela, m 0,92x0,74) Questa settimana parliamo di un’opera non direttamente a tema religioso e di un artista vissuto in tempi più vicini a noi. Il dipinto ha il titolo di “Notte Stellata”, l’autore è Vincent Van Gogh Gogh. Ho voluto sottolineare «a tema non strettamente religioso» perché si tratta di un paesaggio naturale e urbano sotto un grande cielo crepuscolare stellato. In una lettera del suo epistolario all’amatissimo fratello Théo scrive: “… Questa mattina dalla mia finestra ho guardato a lungo la campagna prima del sorgere del Sole, e non c'era che la stella del mattino, che sembrava molto grande. Daubigny e Rousseau hanno già dipinto questo, esprimendo tutta l'intimità, tutta la pace e la maestà e in più aggiungendovi un sentimento così accorato, così personale. … Non mi dispiacciono queste emozioni. …” Dunque l’artista stesso ci dice che s’è ispirato al paesaggio che vedeva dalla finestra di casa prima del sorgere del sole, quando nel cielo brillava solo “la stella del mattino” cioè il pianeta Venere (l’oggetto celeste più luminoso del cielo notturno dopo la luna). Era il periodo in cui ad Arles -quando abitava nella “Casa Gialla” immortalata in un altro famoso dipinto- in Provenza, era stato fatto ricoverare in manicomio dopo l’episodio dell’aggressione all’amico Gauguin e il taglio del proprio orecchio. Pag. 5 di 7 Di questo grandissimo artista abbiamo già presentato un’opera (Il Buon Samaritano) il 14 luglio del 2013 e da quanto scrissi in quell’occasione -cui invito tornare- riporto alcune parti. Una delle frasi di Van Gogh che più mi piacciono è la seguente: “Ho sempre pensato che il miglior modo di conoscere Dio è di amare quante più cose possibili.” Vincent Van Gogh è l’esempio più famoso di un talento elevatissimo però mai riconosciuto durante la sua esistenza terrena se non in extremis e oggi è uno dei più apprezzati e valutati economicamente, fin quasi allo scandalo, dai mercanti d’arte, oltre che dalla critica. La sua fu una vita di sofferenza nella ricerca della propria identità e del proprio talento che sapeva essere in lui ma di cui non conosceva la strada per arrivarvi e forse nemmeno dove e quale fosse. Conseguenza fu l’emarginazione e il disadattamento, fino alla nevrosi, alla pazzia. D’altra parte la denuncia di un mondo sempre più versato all’esaltazione del lavoro come unico mezzo di ricchezza non poteva che tenerlo ai limiti di quella società pragmatista che non concedeva spazi né attenzione a problemi esistenziali né a valori che trascendessero la materialità. Rivelatrice è la frase di G. C. Argan: “Il posto di Van Gogh è accanto Kirkegaard, a Dostoevskij: come costoro si interroga, pieno di angoscia, sul significato dell’esistenza, del proprio essere-nel-mondo. E naturalmente si pone dalla parte dei diseredati, delle vittime: i lavoratori sfruttati, i contadini a cui l’industria, con la terra ed il pane, toglie il sentimento dell’eticità e della religiosità del lavoro.” È, ma ancora peggiorato di molto, quello che avviene ai nostri giorni pur se sotto condizioni profondamente diverse. Quella frase citata ci fa comprendere come egli fosse innamorato del mondo, del concreto e del non-visibile rintracciabile nel visibile stesso e come tutto ciò divenisse l’obiettivo della sua attenzione Come gli Impressionisti non concepiva la pittura di studio degli Accademici, ma soprattutto se non solo quella al cospetto della natura. Figlio di un Predicatore Protestante, dalla natia Olanda si spostò più volte all’estero, a Parigi, a Londra, in Provenza, alla ricerca del luogo ideale e della vocazione che stentava a focalizzare. A ventitré anni divenne anch’egli Pastore e la ricerca di ideali di una vita significativa lo condussero a recarsi presso i più bisognosi, i più poveri, in una miniera di carbone del Borinage, nel Sud del Belgio, ove tanto prese a cuore quei poveri minatori da donar loro tutti i suoi beni. “Meglio essere appassionati anche se soggetti a più errori, che avere una mente ristretta e troppo prudente.” È un’altra delle sue frasi. Quelle donazioni ritenute prodigali, suscitarono la gelosia e l’invidia dei capi della Chiesa Ufficiale che gli tolsero qualsiasi incarico: eccolo il Male che viene contrabbandato per Prudenza, per Sapienza e per Bene! E troppo sovente ciò avviene anche nella Chiesa ove i suoi tanti Santi Servi sono sopraffatti troppo spesso da pochi malvagi. Di Van Gogh non ci è pervenuta solo un’impressionante mole di pitture e di disegni, ma anche un epistolario gigantesco, per lo più rivolto all’amatissimo fratello Theo che lo sostenne fino agli ultimi giorni della sua disgraziata vita o indirizzato ad altri pittori. In esso troviamo lo specchio della sua anima tormentata e l’ammirazione verso quel mondo della natura ritenuto così meraviglioso e al contempo la denuncia di quello così ostile e sovente ottuso degli uomini volti solo all’utile e al profitto materiale. A ventisette anni decide finalmente di dedicarsi alla pittura e comprende come l’arte sia una delle tante strade che portano a Dio. Morì, a soli trentasette anni, dopo due giorni di agonia, suicida per un colpo della stessa pistola che usava per far levare in volo i corvi e poterli così fermare nelle sue pitture; l’amato fratello Theo gli sopravvisse un solo anno ancora. È sintomatico che la sua tragica morte avvenne dopo che un critico d’arte s’era accorto finalmente della sua esistenza e della sua opera. Van Gogh dipingeva molto velocemente e con una carica quasi di furia creatrice, ma ciò che realizzava era frutto di rielaborazione e maturazione al livello interiore della coscienza prima di essere tramutato in forme e colori visibili. Nel filtro della sua coscienza dunque la realtà osservata, e da cui non poteva mai fare a meno di partire, era modificata secondo il suo sentire e secondo il vissuto recente e passato -l’esperienza di vitaprima di essere trasposta sulla tela. Ecco allora le linee che ondeggiano, più o meno a seconda dello stato d’animo, i colori che si esasperano nella loro carica emotiva e comunicativa fino al limite del verosimile ma anche oltre. La natura, ma anche l’opera umana positiva, sono per Vincent dirette impronte di Dio e come tali mai negative. La sua fede in Cristo era ben strutturata provenendo -come detto- da una famiglia il cui padre era un Pastore protestante e avendo egli stesso, per un periodo della sua vita, esercitato l’ufficio di Pastore a servizio dei minatori della regione olandese del Borinage. La rappresentazione di notturni polarizza i suoi interessi artistici in questo periodo della sua vita per il fascino che un cielo stellato esercita su chiunque e in particolare su chi, come lui, era attratto dalla ricerca di tutti gli aspetti del Creato, in sentimenti di rispetto e di approccio alla comprensione dell’immensità dell’Universo, quale miracolo di potenza, di forza, di bellezza, di intelligenza, Opera di una Mente Ordinatrice e infinitamente Sapiente. Cerchiamo ora di commentare quest’opera certamente fra le più attraenti. Un orizzonte piuttosto basso lascia oltre due terzi di altezza della tela al cielo, già luminoso per l’ora crepuscolare, ma non tanto da offuscare i corpi celesti che per via di nubi spiraliformi spuntano brillando in dimensioni e in affollamento fantastici. Quelle nubi appaiono come le code di meteore che solcano il cielo in traiettorie impossibili. La falce di luna giallastra a destra domina su tutte, ma la stella più prossima all’orizzonte, Venere, con la sua luce bianca sembra formare quasi un’eco che rivaleggia con essa. Le vigorose pennellate ben visibili ad una ad una danno solidità all’aria stessa che appare tale anche per via delle striature formate dalle strane nubi spiraliformi che animano l’aria altrimenti immota. La natura celeste non dorme ma vive sul sonno degli umani. Il paese sullo sfondo, ma anche i boschi e le montagne sono avvolti nella quiete della notte: la pace regna in terra mentre il cielo sfolgora di luci e di colori inebrianti; sembra un crogiuolo sfolgorante e ribollente di materia luminosa e preziosa. Al colore mono-tono della terra si contrappone lo sfavillio del cielo e dei suoi astri pulsanti e palpitanti. A sinistra sembra spuntare da terra, e premere sul piano ideale anteriore della tela, quella forma sinuosa del cipresso scurissimo perché in controluce, quasi una lingua di fuoco nero, ma vivificata qua e là da pennellate di colore a lieve contrasto. È un grido dell’artista verso quel cielo così affollato di luce e d’energia nel desiderio di farsi notare, di far ascoltare la sua voce che, al pari degli astri, vuole dire qualcosa, …più di qualcosa. Pag. 6 di 7 Potente la capacità di rappresentare sinteticamente con pennellate semplici, quasi brutali, com’è proprio del suo stile, gli oggetti, stelle, monti, boschi, case. Ma sono proprio quelle pennellate, con la loro forma e il loro spessore a dare volume e profondità. La rappresentazione di un notturno obbliga l’artista a impiegare prevalentemente colori freddi come il blu, l’azzurro il verde scurissimo del cipresso, il nero, ma ciò non contraddice l’amore di Van Gogh, pittore colorista, verso il colore quale materia base della pittura. Il campanile a forma d’ago della chiesetta svetta sui tetti delle case basse e col suo colore grigio chiaro se ne distacca divenendo una piccola e fievole eco della forma conica ma ondulata del cipresso che grandeggia davanti a tutto. La sua non è una contemplazione olimpica dello spettacolo naturale, ma una rielaborazione dolorosa, faticosa, ribelle dell’anima tormentata nella tumultuosa ricerca di sé e della verità oltre il suo io. Ma l’ha detto lui stesso nell’accennata lettera al fratello quando dice che nei dipinti dei suoi colleghi ravvisava un “… sentimento così accorato, così personale…”. Certamente la notte insonne, passata in silenzio a meditare nella contemplazione di un cielo stellato e di quanto esso può agitare nel nostro intimo nell’imminenza del sorgere del sole e dell’inizio di un’altra giornata con tutti i suoi problemi e i suoi affanni di sempre, chissà quanti pensieri struggenti avrà agitato nella sua mente e nel suo povero cuore martoriati. Egli, nella breve vita biologica, ma ricchissima di pensieri e di sentimenti profondissimi, ha saputo leggere e narrare le infinite bellezze del Creato e riportare per immagini ciò che si cela dietro le apparenze e come la stessa realtà possa essere filtrata dalle diverse personali sensibilità. Questo è senza dubbio un carisma divino. Giorgio -Nihil amori Christi praeponere- 24 apr 2015 Questi stessi scritti sono pubblicati insieme ad altre riflessioni sul sito www.giorgiopapale.it Pag. 7 di 7