12 Novembre 2005
MILANO FINANZA VII
La dislessia si annida
nel Dna
Salute
RICERCA
Un gene
può alterare
le migrazioni delle
cellule
nervose
durante
lo sviluppo
del cervello
di Silvia Fabiole Nicoletto
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Personal
U
na predisposizione genetica ereditaria sembra giocare un ruolo di prim’ordine
nello sviluppo della dislessia: una
relazione già nota, ma che trova
ora conferma in uno studio condotto in Germania da tre gruppi di
ricercatori tedeschi in collaborazione con un gruppo svedese. I risultati saranno pubblicati sul numero di gennaio della rivista American Journal of Human Genetics.
La dislessia è uno dei disordini più
frequentemente diagnosticati nei
bambini, colpisce all’incirca dal 5
al 10% dei bambini in età scolare
ed è il disturbo dell’apprendimento più comune. Quello cosiddetta
«di sviluppo» è un disturbo complesso che si manifesta come una
difficoltà nella lettura nonostante
il bambino sia dotato di capacità
intellettuali nella norma e non
presenti alterazioni di tipo neuro-
logico. Il dislessico fa
fatica a riconoscere e
manipolare la sonorità
delle parole: le rime, la
conta delle sillabe o la pronuncia di «pseudoparole»
(parole non comuni che si originano dalla combinazione di sillabe)
richiedono una competenza che
spesso non possiede.
Le cause del disturbo non sono ben
note anche se i progressi nelle tecniche di bioimmagine hanno consentito di identificare una specifica area della corteccia cerebrale la
cui attività durante il processo di
fonazione è inferiore nelle persone
dislessiche rispetto alle altre. Una
disfunzione evidenziata tanto negli adulti quanto nei bambini, a dimostrazione che si tratta di un
aspetto fondamentale per lo sviluppo della malattia.
Accanto a questi sono in corso da
tempo anche studi di tipo genetico
che hanno messo in evidenza un
pesante contributo dei geni nello
sviluppo della malattia: con l’aiuto
di psicologi dell’infanzia e dell’adolescenza vengono rintracciate le
famiglie con almeno un bambino
dislessico e per
ciascun componente
si raccolgono i campioni di
sangue su cui effettuare l’esame genetico. Studi genetici sui gemelli, per esempio, hanno dimostrato una sostanziale ereditarietà soprattutto per quanto riguarda la capacità di sillabare le
parole, più che non l’abilità nella
lettura.
Più di recente, queste indagini
hanno anche portato all’identificazione di alcune regioni del Dna (sui
cromosomi 2, 3, 6, 13, 15 e 18) che
sembrano giocare un ruolo chiave
nello sviluppo della malattia. Si
tratta di profili genetici cosiddetti
«di suscettibilità» perché determinano in chi li possiede soltanto una
predisposizione maggiore allo sviluppo della patologia.
Forti delle informazioni già acquisite in precedenza, i ricercatori tedeschi si sono spinti oltre, indagando il ruolo di un gene specifico
localizzato sul cromosoma 6 e indicato con la sigla DCDC2. Questo
gene era già stato «additato» in
precedenza come uno dei possibili
candidati perché coinvolto nel pro-
cessamento delle
informazioni lette e scritte, compromesso nei dislessici. Ebbene,
alterazioni frequenti di DCDC2
sono state riscontrate molto più
frequentemente nelle persone dislessiche coinvolte nello studio,anche se non è chiaro quale sia il suo
ruolo nello sviluppo della malattia. Un’ipotesi avanzata dai ricercatori è che il gene possa alterare
la migrazione delle cellule nervose
durante lo sviluppo del cervello.
Se confermata, la scoperta potrebbe essere importante perché aprirebbe la strada a una possibile
diagnosi precoce della malattia; in
gran parte dei casi, infatti, la dislessia è diagnosticata troppo tardi, quando le difficoltà nella lettura e nella scrittura hanno già determinato problemi di apprendimento, con conseguenze psicologiche rilevanti per il bambino. (riproduzione riservata)