Notiziario Speciale - ACIOC

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NO TIZI ARI o
Associazione Culturale Italiana per l’Oriente Cristiano – Milano
Numero speciale – Stampato in proprio
Il 23 aprile, giorno in cui si fa
memoria di san Giorgio
Megalomartire, p. Vittorino
ha raggiunto l’abbraccio
amorevole del Padre. Nella
sua vita è stato per gli amici
un padre, per i confratelli un
modello, per tutti un uomo
che ha seguito Cristo.
PADRE VITTORINO IOANNES
Un uomo, un monaco, un padre
Ricordare Padre Vittorino significa sfogliare nelle
pagine della propria vita e, poi soffermarsi su
semplici istantanee oppure su grandi paesaggi dove
la vista si perde all’orizzonte. Credo sia proprio
così: l’incontro con p. Vittorino era un “aprirsi” ad
un mondo senza confini, dove la bellezza
dell’umano e del divino si intrecciavano fino a
diventare una cosa sola, dove la dolcezza della
parola colorava l’immensità del sapere, dove la
saggezza di un uomo, di un monaco, di un padre
faceva brillare la sapienza del padre.
Vorrei ricordare ogni momento di questi anni in cui,
cominciando a frequentare la Divina Liturgia in san
Maurizio, sono stato accolto, come un figlio, da un
padre che desiderava trasmettermi qualcosa di cui,
insieme, comprendevamo la grandezza e la
bellezza. Vorrei fissare nella mente, proprio per la
paura di perderli, tanti attimi vissuti insieme: le
Liturgie, i lunghi momenti di dialogo a casa davanti
al te e ai biscottini, le gite sull’Adda e nelle Chiese
della Diocesi.
Tanches de vie che per me sono diventati luoghi
dell’insegnamento e spazi di comunione con un
sacerdote convinto che l’unica ragione d’esistere sia
l’amore di Dio. Spazi e tempi dove il mio cuore ha
maturato la vera “vocazione”. E lui, da una parte
assecondando il mio desiderio buono, dall’altra
leggendone i segni divini, mi ha presentato al
Vescovo che sulla parola di questo “frate”, mi ha
accolto nell’Ordine sacro.
Vorrei che quel momento rimanesse scolpito nella
mia mente, quando la sua debole mano ha stretto la
mia, nel momento dell’ordinazione sacerdotale, mi
ha accompagnato attorno all’altare del Signore, mi
ha seguito come un papà si prende cura del
bambino quando gioca e si preoccupa che non si
faccia male. Avevamo altri progetti, altri viaggi,
altri incontri in mente… ma il Signore della vita
l’ha voluto accanto a sé, per donargli le sue
tenerezze.
Così vorrei che p. Vittorino rimanesse nella mia
memoria e nel mio cuore…
Ma allora ci si apre alla gratitudine, al rendimento
di grazie e alla gioia dell’aver incontrato colui che,
come il buon samaritano, ha saputo riconoscere e
raccogliere il ferito, ha avuto l’intelligenza di
prendersene cura per condurlo a Gerusalemme, là
dove abita Dio.
P. Michele
L’omelia del Ministro provinciale nel giorno delle Esequie
L’ESSERE FRANCESCANO...
È L’UNICA COSA CHE PENSO DI POTER ESSERE
Mentre fr. Vittorino chiudeva gli occhi a questa
vita terrena la divina liturgia cantava nella
antifona di ingresso della messa del lunedì della
terza settimana di Pasqua: “E’ risorto il buon
Pastore che ha dato la vita per le sue pecorelle, e
per il suo gregge è andato incontro alla morte.
Alleluia”. Alleluia cantiamo anche noi con lui,
con lui che ormai contempla il buon Pastore.
Alleluia cantiamo con lui al termine della sua
lunga vita terrena. Nella fede della risurrezione, da
lui proclamata ed annunciata come frate minore e
sacerdote, lo presentiamo al Dio della misericordia
e dell’amore perché venga accolto nella terra dei
viventi. Nella Chiesa dove è stato battezzato e ha
emesso la professione solenne, dove è stato
introdotto nel mistero pasquale del Cristo, in
questa stessa chiesa ora lo presentiamo al Signore
invocando su di lui – come ci fa dire la liturgia - il
perdono di tutte le sue colpe perché “sia associato
alla gloria del Signore risorto”.
Il percorso terreno di frate Vittorino è stato
segnato da fatiche, incomprensioni, chiusure e
malattie che lo hanno segnato nel corpo e nello
spirito; ma, e questo nonostante potesse apparire il
contrario, il suo profondo attaccamento alla
vocazione francescana e alla fraternità ha voluto
sempre viverlo e tenacemente e in modo sofferto
testimoniarlo. In una lettera del 1980 rispondendo
ad un biglietto dell’allora Ministro provinciale
così si definiva: “Io sono ormai uno «fuori», anche
se non ho mai pensato di esserlo; e l’essere
francescano... è l’unica cosa che penso di poter
essere. Ciò è solo quanto conta per me”. All’invito
poi del sottoscritto di partecipare alla festa degli
anniversari di professione e di ordinazione proprio
qui al convento di Rezzato, dopo aver ringraziato
per l’invito e avere definito il Convento luogo “a
cui sono molto affezionato”, manifesta la
partecipazione alla vita della fraternità provinciale
scrivendo: “Sappi che offro ogni giorno tutte le
sofferenze per la Provincia e per i confratelli”.
Nella stessa lettera poi scriveva: “Ti prego di
salutare tutti i confratelli assicurandoli del mio
ricordo nella preghiera”. Ecco chi era il frate
minore Vittorino: un fratello – come ha scritto uno
di noi - a cui molti frati sono grati per quanto ha
dato di se stesso, della sua anima, fino a logorarsi
nel dono.La Parola di Dio, Parola che accompagna
la riflessione e la preghiera di tutta la Chiesa in
questo giovedì della terza settimana di Pasqua, ci
invita a rileggere nella fede la vita del nostro
confratello. Gli atti degli apostoli rileggono in
termini provvidenzialmente positivi il fatto della
dispersione della comunità cristiana dopo la
persecuzione, dispersione che permette una
rinnovata missione evangelizzatrice aprendo
l’annuncio del Cristo risorto a nuovi e inaspettati
orizzonti. Il diacono Filippo è uno degli attori di
questo annuncio missionario guidato e condotto
dallo Spirito. Mi piace rivedere la vita di fra
Vittorino come colui che sempre in viaggio e
condotto dallo Spirito del Signore ha affiancato
l’uomo de l nostro tempo nello sforzo di fargli
comprendere il senso della vita. “Capisci quello
che stai leggendo” dice Filippo all’Etiope che
leggeva il profeta Isaia; capisci quello stai vivendo
ha cercato di chiedere all’uomo del suo tempo
frate Vittorino. È questo l’impegno e la faticosa
ricerca che l’ha portato a studiare e insegnare
Teologia, ad interessarsi da competente di arte, di
musica e ad essere attento conoscitore della
cultura moderna offrendo la sua preziosa
collaborazione per diverse pubblicazioni, filmati e
tanto altro ancora. La sua ricerca, che ha spaziato
in diversi e svariati ambiti, ha mostrato
continuamente la passione per un annuncio
cristiano rinnovato che l’uomo di oggi potesse
comprendere e accogliere. In una lettera del 1972
scriveva: “se abbiamo la sorte di vivere oggi come
francescani è perché la nostra vita di oggi ci
solleciti a viverlo nella vita di oggi; i problemi
non ci sollecitano perché li inquadriamo nei
regolamenti, ma perché ci spingano a posizioni
vitali globali. È più rischioso e pericoloso, ma è
più vero”. Una passione che lo ha logorato, dentro
una umanità, la sua, segnata dalla fragilità e dalla
malattia; un percorso di morte e di risurrezione
che ha assunto progressivamente i contorni dello
stesso annuncio pasquale che lo sosteneva nel suo
impegno di testimonianza cristiana e francescana.
Vittorino lo possiamo comprendere anche alla
luce della parola evangelica ascoltata in questa
celebrazione. L’annuncio dei profeti “tutti saranno
istruiti da Dio” si compie nell’accoglienza di
Gesù, pane della vita, che nutre l’esistenza
dell’uomo. Il suo impegno e la sua vita
annunciano, pur tra le limitazioni umane, questo
percorso che si è espresso in mille attività, non da
ultimo la cura della divina liturgia dove Gesù,
facendosi pane di vita, nutre il suo popolo e lo
edifica come suo corpo santo. Per lui, che come
ministro ordinato ha presieduto la celebrazione del
sacramento eucaristico, si compiono le parole di
Gesù: “Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la
vita del mondo”. In questa celebrazione abbiamo
infatti chiesto al Signore che ora frate Vittorino
possa “esultare per sempre nella liturgia del cielo”
( colletta ).
Mentre salutiamo un fratello, un amico, un frate
minore anche noi, come il Ministro provinciale in
uno scritto del 1991, gli auguriamo e gli diciamo:
“prego con tutto il cuore perché (tu) abbia molta
pace e serenità (e) perché (tu) possa dare ancora
molto ai confratelli e alla Provincia”.
È doveroso ringraziare tutti coloro che sono stati
particolarmente vicini a fra Vittorino: amici,
confratelli e specialmente le sorelle che lo hanno
accolto nelle loro case in questo ultimo periodo.
La certezza che il mistero pasquale di Cristo
trasforma ogni colpa in “felice colpa che ci meritò
un così grande Salvatore”, ci sostiene e ci apre alla
speranza della vita eterna. È questo l’orizzonte
ultimo e definitivo che ci rimanda ad uno sguardo
di fede sulla vita e sulla storia e che illumina di
luce nuova anche il mistero della morte.
Solo così riusciamo a dire con Francesco d’Assisi:
“Laudato si, mi Signore per sora nostra Morte
corporale, da la quale nullo homo vivente può
skappare.Beati quelli che l’troverà nelle tue
santissime voluntatie ka la morte secunda no’l
farrà male.Laudate e benedicete mi’ Signoree
rengraziate e serviateli cum grande umilitate”.
Fr. Francesco Bravi
Nella gioia del tuo Signore
La domenica dopo Pentecoste nel rito bizantino è
dedicata a tutti i santi: in essa si legge, dalla lettera
agli Ebrei, un brano che descrive le fatiche e i
dolori che sostennero questi indomabili servi del
Signore, e si afferma che “di essi non era degno il
mondo” (Lettera agli Ebrei, 11, 38).
A chi, come noi, ha avuto familiarità, amicizia,
condivisione di ideali con padre Vittorino,
vengono in mente proprio queste parole, in un
momento di dolore, ma anche di forte e genuina
speranza.
Sembra proprio che alcune persone siano destinate
a far conoscere la Casa del Padre ai propri fratelli
perché, in qualche modo, essi ne hanno già una
conoscenza, mistica, ma reale. E’ ciò che
chiamiamo “profezia”.
Ebbene, come Giona, anche p. Vittorino ha dovuto
pagare questo Dono del Signore con la sofferenza,
e forse nel suo animo ha tentato di sfuggire dal
giogo. Ma conosceva l’Amore, e ce l’ha
testimoniato con dedizione, con umiltà, con
un’autorevolezza che, paradossalmente, veniva
proprio da un atteggiamento solidamente,
completamente francescano di abbandono alla
volontà del Padre, di fiducia in Lui, di coscienza
drammatica, ma non tragica, anzi, positiva del
male che alligna ovunque nel mondo; positiva, sì,
perché, in ogni caso, la vittoria finale non sarà mai
del male. La vittoria è di Colui che è Risorto, di
Cristo.
Ora, il nostro Assistente Spirituale, il celebrante di
tante Liturgie di quell’Oriente Cristiano di cui era
profondo conoscitore e appassionato cultore, è
andato nel regno di Dio proprio nel tempo di
Pasqua, e sicuramente canta l’inno pasquale:
“Christos Anesti!” - Cristo è risorto! -.
Crediamo che fra i tanti che rispondono lassù:
“Alithos anesti!” – è veramente risorto! – insieme
ai suoi genitori, agli amati familiari, ai confratelli
dell’ordine, al Beato papa Roncalli, di cui fu
devoto accompagnatore in gioventù, si senta
chiara e amichevole la voce di “Monsignore”, cioè
dell’Archimandrita Enrico Galbiati,
di cui
Vittorino, con spirito filiale, raccolse l’eredità
spirituale, per quanto riguarda la tradizione
cristiana orientale. Monsignore l’abbraccia
indicandogli quale gioia gli spetti, la risurrezione
insieme al Primo dei Risorti, Gesù.
Il Signore riconoscerà, caro Vittorino, un
testimone della Risurrezione in te, nella tua vita,
nella tua gioia e nella tua sofferenza, poiché sei
stato una benedizione per coloro che hanno avuto
il bene di incontrarti.
Eri un uomo forte, hai rapito il Regno: eccolo.
Eri uno spirito eletto: ecco la tua eredità.
Eri un sofferente: ecco la tua ricompensa.
Eri un ricercatore del volto di Dio: contemplalo,
finalmente.
Ci sei stato padre, amico, fratello, maestro.
Ed ora,
Entra nella gioia del tuo Signore!
Cristo è risorto!
È veramente risorto.
Enrico M. Salati
Un grazie che viene dal cuore….
Caro Vittorino,
volendo ringraziarti per tutto quello che in
80 anni hai donato all'umanità, alle chiese ed
all'ordine
dei
frati
minori:
attraverso
l'insegnamento, l'educazione, la cultura e la
liturgia, non sappiamo da che parte incominciare.
Tutto ciò che possiamo esprimere ci sembra
piccolo e riduttivo rispetto alla tua grande
intelligenza ed al tuo cuore sconfinato.
Non c'è stata cosa piccola o importante che
non abbia avuto la tua attenzione e
considerazione; altrettanto dicasi per le persone.
Chiunque di fronte alla tua presenza si sentiva
capito, accolto e considerato.
Il messaggio che tu riuscivi a trasmettere
attraverso i tuoi interventi era il frutto di un lungo
studio e di una ricerca sincera, appassionata e
sofferta.
Le tue celebrazioni nelle chiese di san
Marco e di san Maurizio a Milano o le lezioni
nelle aule dell'università della 3° età non
lasciavano mai delusi e le persone attratte dalla tua
spiritualità tornavano volentieri ad ascoltarti o a
celebrare con te.
Tutto quello che non sappiamo e non
possiamo esprimerti ora è racchiuso nel cuore e
nelle menti di noi presenti e delle migliaia di
persone che tu hai accolto ed ascoltato nel corso
della tua vita.
Non possiamo dimenticare la tua passione per la
Terra Santa, per la quale hai lavorato per tanti anni
con generosità e competenza.
Ora che stai di fronte alla bontà
dell'Altissimo potrai conoscere tutti i segreti e le
manovre di coloro che hanno ordito contro la tua
persona stroncando la tua attitudine il tuo
insegnamento e la tua scelta di vivere in comunità
con i tuoi frati.
Il ricordo di questi tristi eventi deve
rafforzare in noi la convinzione che chi ha
responsabilità di guida, soprattutto nella chiesa,
non deve mai trasformare questo servizio in uno
strumento di potere e di abuso.
La tua sofferenza vissuta spesso in silenzio
e nella solitudine sia di monito per tutti noi. Il
coraggio con il quale hai perseverato nella fede
cattolica ci sia di insegnamento. Grazie Vittorino,
grazie di tutto.
Fr. Lucio, ofm
Concedi all'anima del Tuo servo Vittorino di riposare con i Tuoi Santi, o Signore, là
dove non c'è più dolore né sofferenza, ma vita immortale. Cristo è risorto dai morti,
con la morte ha abbattuto la morte, e a coloro che giacciono nei sepolcri fa dono
della Vita! Riposi in pace, eterna la sua memoria.
Un fraterno ricordo nella preghiera,
+ padre Emiliano
e la comunità tutta dei monaci di Grottaferrata
RICCHEZZA DEI RITI NELLA CHIESA CATTOLICA
di p. Vitorino Ioannes
Penso di non essere l'unico, di fronte
Di fronte ad un argomento come
questo, ci si può chiedere: con tutti i
problemi quanto mai concreti che
urgono, che senso ha riflettere sul
“rito", e su una supposta sua
“
ricchezza”? Reazione che potrebbe
essere ampiamente giustificata. E
attende una risposta.
Il presente contributo non vuole avere
simile intento, ma soltanto aprire il
discorso. Del resto, è bene sapere che
la nostra reazione non è solo di oggi,
ma ha avuto imponenti espressioni
culturali: si pensi solo alla critica
marxiana ed engelsiana alla religione.
E i tentativi di risposta - anche tra chi a
quella critica radicale non aderisce,
anzi! - presenti ampiamente tra uomini
religiosi e credenti, sono stati
ugualmente imponenti, soprattutto in
tempi a noi più vicini. Qui si apre il
vasto orizzonte della storia delle
religioni che ha riscoperto il valore
centrale del rito nel suo significato
antropologico e cosmico; e la
riscoperta approfondita del rito nel
movimento liturgico, oggi esplorato da
una vastissima letteratura. Impossibile
tracciare in questa sede anche solo un
succinto panorama di questi due filoni
di ricerca. E' però bene sapere che
esistono, e che stanno a monte di ogni
riflessione sul tema. E tuttavia occorre
sintetizzare al meglio alcuni elementi
che servano ad inquadrare l’orizzonte
entro il quale il rito si è espresso e ha
diversificato
culturalmente
ed
esteticamente la sua essenza.
Lo farò ricorrendo ad un ottimo
teologo italiano già ben conosciuto,
Carmine Di Sante:
"Al centro della religione c'è il rito.
Che è come l'esecuzione musicale di
un’opera nella quale le note rivivono in
suoni e armonia. La 'musica' che il rito
delle religioni esegue è l'ordine del
mondo e l'armonia dell'esistenza. Il rito
è annuncio e canto che l'uomo, nel
mondo, non è solo, non vi è capitato
casualmente, non vi è gettato e
abbandonato tristemente e che, come
non ne è il padrone, neppure ne è il
servitore o una parte qualsiasi come le
altre. Il rito annuncia che, nel mondo,
l'uomo deve rispondere ad un di là del
mondo i cui nomi variano da religione
a religione (antenati, progenitori, eroi,
esseri extraterrestri o dei) e che, nel
monoteismo della tradizione ebraica,
acquistano il volto del Dio unico personale e universale- così come si è
rivelato
escatologicamente,
cioè
definitivamente, attraverso Israele e in
Gesù. L'ordine del mondo (intendendo
per 'mondo' non quello cosmologico,
frutto della ricerca razionale, ma quello
vissuto,
oggetto
dell'esperienza
quotidiana) che il rito annuncia
proviene da questo al di là del mondo o
alterità divina e si mantiene in contatto
con questo al di là del mondo.
Per questo il rito più importante della
tradizione cristiana porta il nome di
Ordo missae (ma anche, per
estensione,
Ordo
celebrandi
Sacramenti e Ordo divini Officii
celebrandi). Che vuol dire: l'insieme
ordinato delle varie parti che
compongono il rito cristiano; ma
soprattutto: la messa in scena,
attraverso l'ordine del rito, dell'ordine
del mondo che il rito cristiano
custodisce e, eseguito, riattualizza.
Come vuole il suo probabile etimo,
rito rimanda infatti a ritmo, armonia,
ed è la radice stessa della aritmetica o
matematica che, non senza significato,
per i pitagorici coincideva con la
filosofia stessa perché, come motiva
Aristotele, essi 'pensarono che gli
elementi del numero fossero elementi
di tutte le cose, e che tutto quanto
l'universo fosse armonia e numero'.
Messa
in
luce
dell'ordine
e
dell'armonia, il rito non va identificato
dunque con la ripetitività sterile e
ossessiva che, del rito, è la caricatura e
la degenerazione. E -precisazione
ancora più importante- l'ordine che
esso annuncia non è lo spazio chiuso e
limitante (chi non ricorda la cattiva
retorica dei regimi che dell'ordine
fanno il principio delle loro politiche
repressive?) ma lo spazio aperto e
aprente, dove, come in un giardino, si
corre, si danza e si gioisce.
L'ordine che il rito annuncia è il senso
del mondo: non il senso soggettivo che il soggetto gli dà- ma il senso
oggettivo, che al soggetto è dato in
dono e che, per questo, è come una
melodia che incanta, una luce che
orienta, una fonte che irriga, un'acqua
che disseta, una roccia che sostiene,
una parola che illumina, una mano che
accarezza o un volto che sorride. Per
ritrovare il significato profondo del rito
cristiano, penetrandone i meandri
complessi e affascinanti, è necessario
riscoprire il senso profondo e positivo
della parola ordine il cui significato
originario, nelle religioni, è di essere,
sul piano oggettivo la negazione del
caos e del nulla, mentre sul piano
soggettivo il superamento dell'angoscia
e del disorientamento.
In una intervista rilasciata in occasione
del suo libro Come diventare buoni,
alla domanda se, come autore non si
sentisse di impersonare 'il ruolo
dell'uomo qualunque di fine millennio
afflitto
da
turbe
emotive
e
comportamentali’, Nick Hornby ha
risposto: 'Completamente’. Un numero
enorme di persone ha problemi, per un
verso o per l'altro la gente si sente
persa e alienata, gira a vuoto,
intrappolata nel lavoro sbagliato, nella
relazione sbagliata. E' una sensazione
così diffusa che forse non è corretto
parlare di problemi comportamentali,
forse sentirsi così, significa solo essere
umani'
(in
"La
Repubblica"
l.6.200l,p37).
Il rito, che le religioni vogliono a
fondamento
dell’umano,
è
per
definizione l'antidoto allo spaesamento
dell'uomo nel mondo. Lo è stato nel
passato. Può tornare ad esserlo anche
nel presente. Ad una condizione; che ci
si disponga ad ascoltarne la melodia e
comprenderne il linguaggio”. (Carmine
Di Sante, Eucaristia. L'amore estremo;
Rimini 2005).
La pagina, nella sua apparente
semplicità che rasenta il candore, è in
reatà di una grande densità: in essa
confluiscono in sintesi i due orizzonti
già sopra accennati: quello della storia,
filosofia e antropologia delle religioni,
e quello della teologia liturgica nelle
sue acquisizioni più avanzate. Sullo
sfondo c'è l'universale esperienza
umana di cui si sono individuati gli
elementi antropologici inalienabili (si
veda, di A.N. Terrin, Il Rito.
Antropologia e fenomenologia della
ritualità, Brescia 1999), mentre avanza
in primo piano il nostro tema, cioè Il
significato del rito nella liturgia
cattolica (anche qui fondamentale
l'opera dello stesso Terrin, Leitourgia.
Dimensione fenomenologica e aspetti
semiotici, Brescia l988).
Allora, più da vicino, cos'è il Rito, il
suo
significato
profondo
e
irrinunciabile?
Piuttosto che delineare una visione
teoretica d'insieme che – dati i limiti
impostici ragionevolmente - finirebbe
per risultare un indice astratto e
noioso, preferisco riferirmi al pensiero
di due grandi e luminose personalità
che nei tempi a noi più vicini si sono
sforzate di individuare il cuore stesso
della ritualità cristiana, ossia le
profondità impenetrabili di Dio e del
suo rivelarsi in Cristo.
Sono due personalità di altissimo
rilievo, la cui ricerca è un lascito che,
dopo non poco travaglio critico, è la
preziosa eredità sulla quale ancora
oggi andiamo riflettendo, e che è
oramai divenuta patrimonio comune
acquisito e fecondo. Si tratta del
pensatore
italo-tedesco
Romano
Guardini e del monaco benedettino
Tedesco Odo Casel.
Romano Guardini (l885-l968) è
particolarmente interessante poiché
arriva ad individuare il significato
profondo del rito partendo da una vera
e propria Weltanshaung ( = visione
della realtà) che si costruisce come
critica alla modernità, o meglio a come
la modernità intende la conoscenza. I
procedimenti razionali della scienza
moderna, osserva Guardini, puntano
sul
concetto,
conducendo
a
quell'astrazione che vanifica il
"concreto”, perdendo di vista il
"vivente" nella sua unità. Ma
l'esperienza religiosa ha un suo
linguaggio che non può confondersi
con la lingua astratta della scienza ,e
che, per questo, non è meno vera. Il
modo simbolico d'essere delle cose, il
modo con cui la realtà che cade
immediatamente sotto i nostri occhi
dice un’ “altra" realtà, il modo con cui
tutto ciò che è immanente diventa
immagine della trascendenza. Proprio
questa dimensione simbolica, questo
linguaggio delle immagini è stato
troppo spesso tralasciato dalla riflessione teoretica su Dio e sul divino.
Occorre
ritornarvi,
rivolgendo
l'attenzione a quelle forme espressive
in cui l'immagine è maggiormente
presente: il culto, cioè il rito e le arti
(che, tutte, concorrono a formare la
complessa composizione del rito).
Dobbiamo dunque ritornare ad un
fenomeno dimenticato nella ricerca
puramente teoretica, ma che ha una
grande importanza nella concreta vita
religiosa. E' invece un fenomeno
riscontrabile nel rito, nei suoi simboli
che lo costituiscono attingendo anche
alla pittura, scultura, architettura,
musica, agli stessi usi e sapienza
popolari. Insomma: la conoscenza,
prima di essere un atto "intellettuale” è
un atto “vitale”, il nostro conoscere è il
nostro
vivere.
L'intelligenza
è
indubbiamente importante, ma non lo è
meno l'occhio che vede, l'orecchio che
sente, la mano che prende. Il conoscere
è un atto totale dell'uomo in cui la
sensibilità svolge il ruolo decisivo. Gli
organi della sensibilità umana sono
fondamentali perché non conducono al
fenomeno
come
“mondo
dell’apparenza”, aprono al fenomeno
come “luogo dell'apparire" della realtà
più profonda, così che il mondo
fenomenico è l'epifania dell'oggetto
reale. "Noi siamo inclini per antica
abitudine -osserva Guardini- a porre
nella dottrina e nell'ordine morale il
centro di gravità della Rivelazione.
Dottrina e moralità sono naturalmente
fondamentali,
ma
dobbiamo
domandarci se esse da sole possano
esprimere la pienezza di ciò che si
chiama “Rivelazione”. Nell'Antico e
nel Nuovo Testamento non è difficile
vedere che l'una e l'altra sono sorrette
la qualcosa di più elementare, cioè
dalla vivente azione di Dio" (Guardini,
La funzione della sensibilità nella
conoscenza religiosa, p.154). I profeti
e i saggi dell'A.T. ci aprono al
manifestarsi di questa vivente azione di
Dio. In tale contesto l'epifania significa
"l'irradiare della luce divina in sé
inaccessibile" (lTim 6,l6) nella realtà
terrena in modo che l'occhio umano la
possa vedere, l’orecchio ascoltare, la
mano com-prendere. Nel Nuovo
Testamento tutto il movimento
epifanico subisce una concentrazione:
Gesù è la manifestazione di Dio, e le
sue parole e le sue azioni sono
l'attuarsi di tale manifestazione.
Ma, cosa succede dell'elemento
epifanico dopo che il Signore è "salito
al cielo"? Quanto è avvenuto non
significa certo qualcosa che si è
verificato una volta per tutte, ma si
tratta di un evento basilare per tutta
l'esistenza nella fede come Dio l'ha
voluta. L’elemento epifanico deve
dunque ripetersi sempre di nuovo in
forme corrispondenti alla esigenze e
alle possibilità della vita quotidiana.
Ma dove mai può verificarsi? Dove
appare nell'esistenza cristiana quella
realtà che è venuta fra noi nella
Rivelazione e nella Redenzione?
Indubbiamente
nell'annuncio
del
messaggio cristiano da parte della
comunità dei credenti e negli
avvenimenti della storia che procede
secondo i disegni divini. Annuncio ed
Evento sono “segni”, "manifestazioni",
"epifanie" del messaggio divino. Ora,
la liturgia che si fonda sulla istituzione
originaria del Signore, è l'organo
fondamentale che consente di cogliere
il manifestarsi di Dio: essa è l'epifania
dell'azione salvifica divina, e per
questo motivo è stata, lungo i secoli, il
luogo privilegiato della conversione di
popoli e individui. L'uomo cerca in
essa, consapevolmente o meno,
l'epifania, cioè l'apparire luminoso
della realtà sacra nell'azione liturgica,
nel compiersi del rito, l'apparire sonoro
dell’eterna parola nel discorso e nel
canto, la presenza d'un Sacro Spirito
nella corporeità delle cose tangibili. Il
segno liturgico, il rito, non è solo
indicativo di qualcosa che avviene
altrove; esso è rivelativo di ciò che sta
avvenendo nella celebrazione, ossia di
una realtà divina che è presente nel
rito.
Il significato del rito però, dice
Guardini, deve essere cercato al suo
interno, non è un mezzo impiegato per
raggiungere un determinato effetto;
esso è come il gioco che non si
propone di raggiungere qualcosa; esso
si mostra con le sue azioni simboliche,
è fondamentalmente corpo, esteriorità,
azione, movimento. Da questo punto di
vista il rito non ha scopo ma senso, e il
suo senso è propriamente un andare
verso un “senso non posseduto". Il rito
appare, così, come la mediazione
indispensabile grazie alla quale l'uomo
può aprirsi all'origine ultima del suo
essere, senza venire divorato dal
vortice di quell'origine; il rito cristiano
è la grazia concessa all'umanità di
accedere a Dio senza morire per averlo
visto.
Se Romano Guardini arriva a cogliere
l'essenza del rito, e del rito cristiano,
partendo dalla stessa intima struttura
del pensare, del conoscere, dell'agire
umani, un'altra luminosa figura ha
riscoperto dall'interno stesso della più
classica tradizione cristiana il più
profondo significato del rito. E' dom
Odo Casel (1886-1948), monaco
benedettino della celebre abbazia di
Maria-Laac in Renania. La sua stessa
morte ha qualcosa di così suggestivo
che, se non si trattasse di un evento
controllato, si direbbe essere una
devota leggenda di qualche santo
monaco medioevale. Dom Casel
dedicò tutta la sua vita di studioso a
riscoprire nella tradizione patristicoliturgica e nelle fonti bibliche la
centralità del Mistero Pasquale, e
cadde schiantato da un attacco
cardiaco dopo aver cantato il Lumen
Christi nella Veglia Pasquale.
Riscopritore del Mistero Pasquale
attraverso una serie di opere che
suscitarono reazioni e critiche ma che
oggi sono dei classici inderogabili,
estese il concetto riscoperto di
Mysterium a tutto il culto cristiano,
dando
origine
alla
cosidetta
Mysterienlehre (=Dottrina dei Misteri).
Oggi la sua "riscoperta" (eccetto alcuni
elementi tuttora discussi) può essere
ritenuta patrimonio comune, tanto che
ha influenzato in modo significativo la
stessa dottrina del Concilio.
Possiamo dire che mentre Guardini
arriva a stabilire la inderogabilità del
rito come insostituibile nel processo
cognoscitivo (e qui sia la scienza delle
religioni che la fenomenologia del
fatto religioso gli danno ampiamente
ragione) conducendo sino alle soglie,
ma già bene intraviste, dell'intimo
significato del rito cristiano, Casel
invece parte dall'alto, cioè dall'intimo
nucleo della fede cristiana per stabilire
il senso e il contenuto imprescindibile
del rito.
Il rito liturgico non si muove su un
piano di azione umana, anche se questo è il punto appurato da Guardiniper natura sua, coinvolge poi la totalità
dell'uomo che ne diviene il protagonista. Ma è in certo senso un’azione
teandrica: è azione divina emanante
dalla umanità glorificata di Cristo.
Esso è un "mistero cultuale". E poiché
il “mistero" altro non è che la
rivelazione, la presenza e l'attuazione
del disegno salvifico di Dio nella
umanità di Cristo, ne consegue che nel
rito cristiano si continua l'avvenimento
soteriologico
che
fu
proprio
dell’umanità di Cristo. In altre parole:
come l'umanità del Signore fu la via
per conoscere il Padre (Gv l4,8-l1) e
come per il contatto con essa avvenuto
sotto la spinta della fede si otteneva la
salvezza (Lc 6,19), così il rito liturgico
continua la stessa efficienza. Esso è la
stessa umanità di Cristo-Mistero di
Dio, la quale divenendo "mistero nel
culto", porterà sempre nel mondo la
presenza e la realtà del disegno divino
della salvezza per mezzo dei riti sacri,
che sono simboli efficaci e immagini
del Verbo incarnato.
Il rito è dunque, in quanto
continuazione dell'opera di salvezza,
totalmente sotto il segno del primato
del mistero dell'Incarnazione. Esso non
si effettua in una sfera intellettualistica,
né ha per oggetto una contemplazione
della divinità assolutamente presa, ma
è un'attuazione per simboli e immagini,
delle
azioni
salvifiche
della
Redenzione. E, soprattutto, dicendo
che nel rito si attua il "Mistero
redentore”, ci si riferisce in modo
preciso e determinante al Mistero
Pasquale: in esso è l'inveramento
completo
del
mistero
dell'Incarnazione; ma diciamo anche
che il Mistero Pasquale come tale pone
l'Incarnazione su un piano decisamente
liturgico. Per questo si può ben dire
che nel rito liturgico il mistero di
Cristo non esiste se non come Mistero
Pasquale.
Ora, il Mistero Pasquale, sinonimo di
redenzione
operata
da
Cristo,
conferisce al rito tre dimensioni che ne
caratterizzano
ulteriormente
l'imprescindibile valore: ogni rito sarà
sempre anàmnesi, cioè memoriale
oggettivo dell'avvenimento salvifico;
sarà presenza attuale operante di quelle
anàmnesi; e sarà insieme annuncio di
un suo compimento, che mentre viene
proclamato come fatto futuro, viene
già avviato verso la sua pienezza.
Da tutto ciò deriva la conseguenza
determinante a stabilire il significato
del rito liturgico: esso non è un
semplice valore spirituale, o storico, o
artistico, e neppure la forma più alta
della preghiera cristiana. Il rito
cristiano,
appunto
perché
continuazione del Mistero di Cristo in
forma cultuale, è un valore assoluto,
che sta in una sua sfera propria, perché
è il mezzo unico con cui si attua quella
"presenza attiva" del Signore quale
elemento costruttivo del Corpo di
Cristo che è la Chiesa. Mediante il rito
liturgico infatti il mistero di Cristo
diventa mistero della Chiesa, e la Chiesa stessa esiste, in forza del rito
liturgico, come mistero di Cristo.
Due rapide osservazioni: il rito
cristiano è ben altro di quella
accozzaglia di rubriche in cui -in tempi
andati ma, ahimé, non del tutto
superati!- si intendeva la liturgia. E
inoltre, se le cose sopra esposte hanno
un senso, quale senso di responsabilità
dovrebbero svegliare in chi quei riti è
chiamato a compiere!
Partecipo al dolore dei familiari e della Comunità di san Maurizio per la morte di p.
Vittorino. La sua amicizia, il suo affetto e la sua nei miei confronti e verso la nostra
Chiesa greco-cattolica mi hanno sempre commosso, fin da quando, nel lontano 1993
abbiamo concelebrato la Divina Liturgia.
Lo ricordo con affetto e gratitudine, come monaco e uomo di Dio, come cultore della
spiritualità orientale e liturgo. Eterna sia la tua memoria, fratello nostro!
+ Virgil Bercea
Vescovo-Eparca di Oradea (Romania)
PADRE VITTORINO: UNA VITA PER CRISTO
Fr. Vittorino nasce a Gavardo (BS) il 9 agosto 1931.
Nella chiesa parrocchiale di s. Giovanni Battista in
Rezzato, viene battezzato con il nome di Fernando il 23
agosto 1931.
Ragazzo, mosso dal desiderio di donare tutta la sua vita a
Dio, entra nel seminario diocesano di Brescia, dove
rimane fino alla terza ginnasio. Chiede poi di diventare
membro dell’Ordine dei Frati minori. Nell’anno
scolastico 1946-47 è a Saiano e l’anno successivo a
Cividino per sperimentare la vita dei Frati e continuare
gli studi.
Entra ufficialmente nell’Ordine dei Frati Minori nella
Provincia di Lombardia S. Carlo Borromeo iniziando a
Rezzato, l’anno del noviziato il 12 agosto 1948 e assume
il nome di fr. Vittorino a ricordo di Monsignor
Facchinetti, Vescovo di Tripoli.
Il 14 agosto 1949, emette la Professione temporanea e il 4
novembre 1953, nelle mani di fr. Tommaso Anderloni,
delegato del Ministro Provinciale, emette i voti solenni. Il
25 febbraio 1956, a Milano, è ordinato diacono e il 28
giugno dello stesso anno è ordinato sacerdote da sua
Em.za il Card. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di
Milano.
Dopo l’ordinazione è inviato a Roma presso il Pontificio
Ateneo Antonianum per la specializzazione in Teologia
Dogmatica. Conclusi i corsi molto positivamente é
assegnato al Convento di Busto Arsizio dove, assume dal
settembre 1960 l’ufficio di Lettore in Teologia
Dogmatica, vice-maestro di formazione dei chierici e
Assistente del gruppo di Milano dell’Istituto Secolare
delle Missionarie della Regalità.
Nel settembre 1962 ritorna a Roma per completare gli
studi. Mons. Bonifacio Bertoli, vescovo di Tripoli, lo
assume in qualità di teologo assistente, per i lavori del
Concilio Vaticano.
Dopo aver partecipato al Concilio Vaticano II in qualità
di perito, ha lavorato per vent'anni al Centro di
documentazione internazionale e interconfessionale, con
incarichi di collegamento con le Università teologiche
protestanti e ortodosse. Tra il 1964 e il 1976 ha diretto
per Mondadori la collana di opere saggistiche IDOC Documenti nuovi (52 volumi tradotti in otto lingue); in
seguito ha diretto per Rizzoli la collana in 12 volumi “Le
grandi religioni”. Tra le sue opere organiche ricorderemo:
Per conoscere sant'Agostino, Sinai, L'ebraismo, L'uomo
del Medioevo, I. S. Bach il Cantor.
Negli anni ’64-’65, rientrato in Provincia è assegnato alla
Comunità di S. Ferdinando dei Cappellani dell’Università
Bocconi, fino alla sua chiusura.
Ritorna nuovamente a Roma, ospite dalle sorelle clarisse
di via Vitellia, per elaborare e difendere la tesi per il
Dottorato in Teologia Dogmatica. Nel frattempo
frequenta i corsi di Liturgia, di Patrologia e di Liturgie
Orientali, e un corso di specializzazione in Teologia
ecumenica presso la Facoltà Teologica Evangelica di
Roma.
In questi anni collabora alla rivista internazionale di
Teologia “Concilium” e presta la sua opera presso il
Centro Internazionale di Documentazione sulla Chiesa
Contemporanea (IDOC), entrando in contatto con i più
importanti teologi e i presidenti delle Conferenze
episcopali di tutto il mondo. All’IDOC cura e lavora nella
redazione ed è incaricato per i contatti con la stampa, la
radio e la televisione, come consulente specialista per i
temi teologici. Inizia pure la consulenza con alcune case
cinematografiche e collabora alla realizzazione di diversi
programmi televisivi e audiovisivi per le televisioni
olandese, francese e tedesca. Ha curato speciali serial
televisivi sulla storia e archeologia biblica, dove ha
espresso il suo amore e la sua competenza per la
conoscenza della Terra Santa. Con la sua eccezionale
conoscenza di lingue antiche e moderne, inizia una
intensa attività di traduzione, presentazione e
pubblicazione di libri di teologia in italiano, inglese,
tedesco, olandese, francese, portoghese, spagnolo e
polacco per importanti case editrici.
Relatore assai apprezzato tiene numerose conferenze in
Italia e all’estero; si dedica anche ad un’ampia attività
giornalistica, su quotidiani e periodici, e come
osservatore delegato ai congressi dell’UNESCO, della
FAO. Collabora con il Ministero degli Affari esteri e
dell’Istruzione per lo studio dell’emigrazione italiana e
del problema della droga. Appassionato e competente
musicologo ha scritto e tenuto lezioni (università della
Terza età 1998-2000) e interventi e scritti in particolare
sulla musica religiosa del 1300-1400, di Bach e di
Mozart.
Dal 1999 Fr. Vittorino celebra costantemente, accanto a
Mons. Enrico Galbiati, in rito bizantino nella diocesi di
Milano per i fedeli provenienti dalle Eparchie di Piana
degli albanesi e di Lungro. Per questo ha ottenuto dalla
Congregazione per le Chiese orientali il permesso di
celebrare nel rito orientale. Dal 2001, in virtù della
competenza e dell’amore da sempre nutrito per la
tradizione delle Chiese d’Oriente, è Assistente Spirituale
della sezione di Milano dell’Associazione Culturale
Italiana per l?oriente Cristiano (ACIOC), nata per
testimoniare e far conoscere, attraverso celebrazioni
liturgiche e iniziative culturali, il patrimonio della Chiesa
Bizantina.
Fr. Vittorino ha lavorato intensamente ed ha donato la sua
amicizia e la sua attenta carità, fino agli ultimi mesi,
quando la già fragile salute si è aggravata e la vista si è
andata spegnendo. Il 23 aprile 2012, amorevolmente
accudito dalle Sorelle fr. Vittorino celebra la sua Pasqua e
restituisce la propria vita al Padre delle misericordie.
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