NO TIZI ARI o Associazione Culturale Italiana per l’Oriente Cristiano – Milano Numero speciale – Stampato in proprio Il 23 aprile, giorno in cui si fa memoria di san Giorgio Megalomartire, p. Vittorino ha raggiunto l’abbraccio amorevole del Padre. Nella sua vita è stato per gli amici un padre, per i confratelli un modello, per tutti un uomo che ha seguito Cristo. PADRE VITTORINO IOANNES Un uomo, un monaco, un padre Ricordare Padre Vittorino significa sfogliare nelle pagine della propria vita e, poi soffermarsi su semplici istantanee oppure su grandi paesaggi dove la vista si perde all’orizzonte. Credo sia proprio così: l’incontro con p. Vittorino era un “aprirsi” ad un mondo senza confini, dove la bellezza dell’umano e del divino si intrecciavano fino a diventare una cosa sola, dove la dolcezza della parola colorava l’immensità del sapere, dove la saggezza di un uomo, di un monaco, di un padre faceva brillare la sapienza del padre. Vorrei ricordare ogni momento di questi anni in cui, cominciando a frequentare la Divina Liturgia in san Maurizio, sono stato accolto, come un figlio, da un padre che desiderava trasmettermi qualcosa di cui, insieme, comprendevamo la grandezza e la bellezza. Vorrei fissare nella mente, proprio per la paura di perderli, tanti attimi vissuti insieme: le Liturgie, i lunghi momenti di dialogo a casa davanti al te e ai biscottini, le gite sull’Adda e nelle Chiese della Diocesi. Tanches de vie che per me sono diventati luoghi dell’insegnamento e spazi di comunione con un sacerdote convinto che l’unica ragione d’esistere sia l’amore di Dio. Spazi e tempi dove il mio cuore ha maturato la vera “vocazione”. E lui, da una parte assecondando il mio desiderio buono, dall’altra leggendone i segni divini, mi ha presentato al Vescovo che sulla parola di questo “frate”, mi ha accolto nell’Ordine sacro. Vorrei che quel momento rimanesse scolpito nella mia mente, quando la sua debole mano ha stretto la mia, nel momento dell’ordinazione sacerdotale, mi ha accompagnato attorno all’altare del Signore, mi ha seguito come un papà si prende cura del bambino quando gioca e si preoccupa che non si faccia male. Avevamo altri progetti, altri viaggi, altri incontri in mente… ma il Signore della vita l’ha voluto accanto a sé, per donargli le sue tenerezze. Così vorrei che p. Vittorino rimanesse nella mia memoria e nel mio cuore… Ma allora ci si apre alla gratitudine, al rendimento di grazie e alla gioia dell’aver incontrato colui che, come il buon samaritano, ha saputo riconoscere e raccogliere il ferito, ha avuto l’intelligenza di prendersene cura per condurlo a Gerusalemme, là dove abita Dio. P. Michele L’omelia del Ministro provinciale nel giorno delle Esequie L’ESSERE FRANCESCANO... È L’UNICA COSA CHE PENSO DI POTER ESSERE Mentre fr. Vittorino chiudeva gli occhi a questa vita terrena la divina liturgia cantava nella antifona di ingresso della messa del lunedì della terza settimana di Pasqua: “E’ risorto il buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecorelle, e per il suo gregge è andato incontro alla morte. Alleluia”. Alleluia cantiamo anche noi con lui, con lui che ormai contempla il buon Pastore. Alleluia cantiamo con lui al termine della sua lunga vita terrena. Nella fede della risurrezione, da lui proclamata ed annunciata come frate minore e sacerdote, lo presentiamo al Dio della misericordia e dell’amore perché venga accolto nella terra dei viventi. Nella Chiesa dove è stato battezzato e ha emesso la professione solenne, dove è stato introdotto nel mistero pasquale del Cristo, in questa stessa chiesa ora lo presentiamo al Signore invocando su di lui – come ci fa dire la liturgia - il perdono di tutte le sue colpe perché “sia associato alla gloria del Signore risorto”. Il percorso terreno di frate Vittorino è stato segnato da fatiche, incomprensioni, chiusure e malattie che lo hanno segnato nel corpo e nello spirito; ma, e questo nonostante potesse apparire il contrario, il suo profondo attaccamento alla vocazione francescana e alla fraternità ha voluto sempre viverlo e tenacemente e in modo sofferto testimoniarlo. In una lettera del 1980 rispondendo ad un biglietto dell’allora Ministro provinciale così si definiva: “Io sono ormai uno «fuori», anche se non ho mai pensato di esserlo; e l’essere francescano... è l’unica cosa che penso di poter essere. Ciò è solo quanto conta per me”. All’invito poi del sottoscritto di partecipare alla festa degli anniversari di professione e di ordinazione proprio qui al convento di Rezzato, dopo aver ringraziato per l’invito e avere definito il Convento luogo “a cui sono molto affezionato”, manifesta la partecipazione alla vita della fraternità provinciale scrivendo: “Sappi che offro ogni giorno tutte le sofferenze per la Provincia e per i confratelli”. Nella stessa lettera poi scriveva: “Ti prego di salutare tutti i confratelli assicurandoli del mio ricordo nella preghiera”. Ecco chi era il frate minore Vittorino: un fratello – come ha scritto uno di noi - a cui molti frati sono grati per quanto ha dato di se stesso, della sua anima, fino a logorarsi nel dono.La Parola di Dio, Parola che accompagna la riflessione e la preghiera di tutta la Chiesa in questo giovedì della terza settimana di Pasqua, ci invita a rileggere nella fede la vita del nostro confratello. Gli atti degli apostoli rileggono in termini provvidenzialmente positivi il fatto della dispersione della comunità cristiana dopo la persecuzione, dispersione che permette una rinnovata missione evangelizzatrice aprendo l’annuncio del Cristo risorto a nuovi e inaspettati orizzonti. Il diacono Filippo è uno degli attori di questo annuncio missionario guidato e condotto dallo Spirito. Mi piace rivedere la vita di fra Vittorino come colui che sempre in viaggio e condotto dallo Spirito del Signore ha affiancato l’uomo de l nostro tempo nello sforzo di fargli comprendere il senso della vita. “Capisci quello che stai leggendo” dice Filippo all’Etiope che leggeva il profeta Isaia; capisci quello stai vivendo ha cercato di chiedere all’uomo del suo tempo frate Vittorino. È questo l’impegno e la faticosa ricerca che l’ha portato a studiare e insegnare Teologia, ad interessarsi da competente di arte, di musica e ad essere attento conoscitore della cultura moderna offrendo la sua preziosa collaborazione per diverse pubblicazioni, filmati e tanto altro ancora. La sua ricerca, che ha spaziato in diversi e svariati ambiti, ha mostrato continuamente la passione per un annuncio cristiano rinnovato che l’uomo di oggi potesse comprendere e accogliere. In una lettera del 1972 scriveva: “se abbiamo la sorte di vivere oggi come francescani è perché la nostra vita di oggi ci solleciti a viverlo nella vita di oggi; i problemi non ci sollecitano perché li inquadriamo nei regolamenti, ma perché ci spingano a posizioni vitali globali. È più rischioso e pericoloso, ma è più vero”. Una passione che lo ha logorato, dentro una umanità, la sua, segnata dalla fragilità e dalla malattia; un percorso di morte e di risurrezione che ha assunto progressivamente i contorni dello stesso annuncio pasquale che lo sosteneva nel suo impegno di testimonianza cristiana e francescana. Vittorino lo possiamo comprendere anche alla luce della parola evangelica ascoltata in questa celebrazione. L’annuncio dei profeti “tutti saranno istruiti da Dio” si compie nell’accoglienza di Gesù, pane della vita, che nutre l’esistenza dell’uomo. Il suo impegno e la sua vita annunciano, pur tra le limitazioni umane, questo percorso che si è espresso in mille attività, non da ultimo la cura della divina liturgia dove Gesù, facendosi pane di vita, nutre il suo popolo e lo edifica come suo corpo santo. Per lui, che come ministro ordinato ha presieduto la celebrazione del sacramento eucaristico, si compiono le parole di Gesù: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. In questa celebrazione abbiamo infatti chiesto al Signore che ora frate Vittorino possa “esultare per sempre nella liturgia del cielo” ( colletta ). Mentre salutiamo un fratello, un amico, un frate minore anche noi, come il Ministro provinciale in uno scritto del 1991, gli auguriamo e gli diciamo: “prego con tutto il cuore perché (tu) abbia molta pace e serenità (e) perché (tu) possa dare ancora molto ai confratelli e alla Provincia”. È doveroso ringraziare tutti coloro che sono stati particolarmente vicini a fra Vittorino: amici, confratelli e specialmente le sorelle che lo hanno accolto nelle loro case in questo ultimo periodo. La certezza che il mistero pasquale di Cristo trasforma ogni colpa in “felice colpa che ci meritò un così grande Salvatore”, ci sostiene e ci apre alla speranza della vita eterna. È questo l’orizzonte ultimo e definitivo che ci rimanda ad uno sguardo di fede sulla vita e sulla storia e che illumina di luce nuova anche il mistero della morte. Solo così riusciamo a dire con Francesco d’Assisi: “Laudato si, mi Signore per sora nostra Morte corporale, da la quale nullo homo vivente può skappare.Beati quelli che l’troverà nelle tue santissime voluntatie ka la morte secunda no’l farrà male.Laudate e benedicete mi’ Signoree rengraziate e serviateli cum grande umilitate”. Fr. Francesco Bravi Nella gioia del tuo Signore La domenica dopo Pentecoste nel rito bizantino è dedicata a tutti i santi: in essa si legge, dalla lettera agli Ebrei, un brano che descrive le fatiche e i dolori che sostennero questi indomabili servi del Signore, e si afferma che “di essi non era degno il mondo” (Lettera agli Ebrei, 11, 38). A chi, come noi, ha avuto familiarità, amicizia, condivisione di ideali con padre Vittorino, vengono in mente proprio queste parole, in un momento di dolore, ma anche di forte e genuina speranza. Sembra proprio che alcune persone siano destinate a far conoscere la Casa del Padre ai propri fratelli perché, in qualche modo, essi ne hanno già una conoscenza, mistica, ma reale. E’ ciò che chiamiamo “profezia”. Ebbene, come Giona, anche p. Vittorino ha dovuto pagare questo Dono del Signore con la sofferenza, e forse nel suo animo ha tentato di sfuggire dal giogo. Ma conosceva l’Amore, e ce l’ha testimoniato con dedizione, con umiltà, con un’autorevolezza che, paradossalmente, veniva proprio da un atteggiamento solidamente, completamente francescano di abbandono alla volontà del Padre, di fiducia in Lui, di coscienza drammatica, ma non tragica, anzi, positiva del male che alligna ovunque nel mondo; positiva, sì, perché, in ogni caso, la vittoria finale non sarà mai del male. La vittoria è di Colui che è Risorto, di Cristo. Ora, il nostro Assistente Spirituale, il celebrante di tante Liturgie di quell’Oriente Cristiano di cui era profondo conoscitore e appassionato cultore, è andato nel regno di Dio proprio nel tempo di Pasqua, e sicuramente canta l’inno pasquale: “Christos Anesti!” - Cristo è risorto! -. Crediamo che fra i tanti che rispondono lassù: “Alithos anesti!” – è veramente risorto! – insieme ai suoi genitori, agli amati familiari, ai confratelli dell’ordine, al Beato papa Roncalli, di cui fu devoto accompagnatore in gioventù, si senta chiara e amichevole la voce di “Monsignore”, cioè dell’Archimandrita Enrico Galbiati, di cui Vittorino, con spirito filiale, raccolse l’eredità spirituale, per quanto riguarda la tradizione cristiana orientale. Monsignore l’abbraccia indicandogli quale gioia gli spetti, la risurrezione insieme al Primo dei Risorti, Gesù. Il Signore riconoscerà, caro Vittorino, un testimone della Risurrezione in te, nella tua vita, nella tua gioia e nella tua sofferenza, poiché sei stato una benedizione per coloro che hanno avuto il bene di incontrarti. Eri un uomo forte, hai rapito il Regno: eccolo. Eri uno spirito eletto: ecco la tua eredità. Eri un sofferente: ecco la tua ricompensa. Eri un ricercatore del volto di Dio: contemplalo, finalmente. Ci sei stato padre, amico, fratello, maestro. Ed ora, Entra nella gioia del tuo Signore! Cristo è risorto! È veramente risorto. Enrico M. Salati Un grazie che viene dal cuore…. Caro Vittorino, volendo ringraziarti per tutto quello che in 80 anni hai donato all'umanità, alle chiese ed all'ordine dei frati minori: attraverso l'insegnamento, l'educazione, la cultura e la liturgia, non sappiamo da che parte incominciare. Tutto ciò che possiamo esprimere ci sembra piccolo e riduttivo rispetto alla tua grande intelligenza ed al tuo cuore sconfinato. Non c'è stata cosa piccola o importante che non abbia avuto la tua attenzione e considerazione; altrettanto dicasi per le persone. Chiunque di fronte alla tua presenza si sentiva capito, accolto e considerato. Il messaggio che tu riuscivi a trasmettere attraverso i tuoi interventi era il frutto di un lungo studio e di una ricerca sincera, appassionata e sofferta. Le tue celebrazioni nelle chiese di san Marco e di san Maurizio a Milano o le lezioni nelle aule dell'università della 3° età non lasciavano mai delusi e le persone attratte dalla tua spiritualità tornavano volentieri ad ascoltarti o a celebrare con te. Tutto quello che non sappiamo e non possiamo esprimerti ora è racchiuso nel cuore e nelle menti di noi presenti e delle migliaia di persone che tu hai accolto ed ascoltato nel corso della tua vita. Non possiamo dimenticare la tua passione per la Terra Santa, per la quale hai lavorato per tanti anni con generosità e competenza. Ora che stai di fronte alla bontà dell'Altissimo potrai conoscere tutti i segreti e le manovre di coloro che hanno ordito contro la tua persona stroncando la tua attitudine il tuo insegnamento e la tua scelta di vivere in comunità con i tuoi frati. Il ricordo di questi tristi eventi deve rafforzare in noi la convinzione che chi ha responsabilità di guida, soprattutto nella chiesa, non deve mai trasformare questo servizio in uno strumento di potere e di abuso. La tua sofferenza vissuta spesso in silenzio e nella solitudine sia di monito per tutti noi. Il coraggio con il quale hai perseverato nella fede cattolica ci sia di insegnamento. Grazie Vittorino, grazie di tutto. Fr. Lucio, ofm Concedi all'anima del Tuo servo Vittorino di riposare con i Tuoi Santi, o Signore, là dove non c'è più dolore né sofferenza, ma vita immortale. Cristo è risorto dai morti, con la morte ha abbattuto la morte, e a coloro che giacciono nei sepolcri fa dono della Vita! Riposi in pace, eterna la sua memoria. Un fraterno ricordo nella preghiera, + padre Emiliano e la comunità tutta dei monaci di Grottaferrata RICCHEZZA DEI RITI NELLA CHIESA CATTOLICA di p. Vitorino Ioannes Penso di non essere l'unico, di fronte Di fronte ad un argomento come questo, ci si può chiedere: con tutti i problemi quanto mai concreti che urgono, che senso ha riflettere sul “rito", e su una supposta sua “ ricchezza”? Reazione che potrebbe essere ampiamente giustificata. E attende una risposta. Il presente contributo non vuole avere simile intento, ma soltanto aprire il discorso. Del resto, è bene sapere che la nostra reazione non è solo di oggi, ma ha avuto imponenti espressioni culturali: si pensi solo alla critica marxiana ed engelsiana alla religione. E i tentativi di risposta - anche tra chi a quella critica radicale non aderisce, anzi! - presenti ampiamente tra uomini religiosi e credenti, sono stati ugualmente imponenti, soprattutto in tempi a noi più vicini. Qui si apre il vasto orizzonte della storia delle religioni che ha riscoperto il valore centrale del rito nel suo significato antropologico e cosmico; e la riscoperta approfondita del rito nel movimento liturgico, oggi esplorato da una vastissima letteratura. Impossibile tracciare in questa sede anche solo un succinto panorama di questi due filoni di ricerca. E' però bene sapere che esistono, e che stanno a monte di ogni riflessione sul tema. E tuttavia occorre sintetizzare al meglio alcuni elementi che servano ad inquadrare l’orizzonte entro il quale il rito si è espresso e ha diversificato culturalmente ed esteticamente la sua essenza. Lo farò ricorrendo ad un ottimo teologo italiano già ben conosciuto, Carmine Di Sante: "Al centro della religione c'è il rito. Che è come l'esecuzione musicale di un’opera nella quale le note rivivono in suoni e armonia. La 'musica' che il rito delle religioni esegue è l'ordine del mondo e l'armonia dell'esistenza. Il rito è annuncio e canto che l'uomo, nel mondo, non è solo, non vi è capitato casualmente, non vi è gettato e abbandonato tristemente e che, come non ne è il padrone, neppure ne è il servitore o una parte qualsiasi come le altre. Il rito annuncia che, nel mondo, l'uomo deve rispondere ad un di là del mondo i cui nomi variano da religione a religione (antenati, progenitori, eroi, esseri extraterrestri o dei) e che, nel monoteismo della tradizione ebraica, acquistano il volto del Dio unico personale e universale- così come si è rivelato escatologicamente, cioè definitivamente, attraverso Israele e in Gesù. L'ordine del mondo (intendendo per 'mondo' non quello cosmologico, frutto della ricerca razionale, ma quello vissuto, oggetto dell'esperienza quotidiana) che il rito annuncia proviene da questo al di là del mondo o alterità divina e si mantiene in contatto con questo al di là del mondo. Per questo il rito più importante della tradizione cristiana porta il nome di Ordo missae (ma anche, per estensione, Ordo celebrandi Sacramenti e Ordo divini Officii celebrandi). Che vuol dire: l'insieme ordinato delle varie parti che compongono il rito cristiano; ma soprattutto: la messa in scena, attraverso l'ordine del rito, dell'ordine del mondo che il rito cristiano custodisce e, eseguito, riattualizza. Come vuole il suo probabile etimo, rito rimanda infatti a ritmo, armonia, ed è la radice stessa della aritmetica o matematica che, non senza significato, per i pitagorici coincideva con la filosofia stessa perché, come motiva Aristotele, essi 'pensarono che gli elementi del numero fossero elementi di tutte le cose, e che tutto quanto l'universo fosse armonia e numero'. Messa in luce dell'ordine e dell'armonia, il rito non va identificato dunque con la ripetitività sterile e ossessiva che, del rito, è la caricatura e la degenerazione. E -precisazione ancora più importante- l'ordine che esso annuncia non è lo spazio chiuso e limitante (chi non ricorda la cattiva retorica dei regimi che dell'ordine fanno il principio delle loro politiche repressive?) ma lo spazio aperto e aprente, dove, come in un giardino, si corre, si danza e si gioisce. L'ordine che il rito annuncia è il senso del mondo: non il senso soggettivo che il soggetto gli dà- ma il senso oggettivo, che al soggetto è dato in dono e che, per questo, è come una melodia che incanta, una luce che orienta, una fonte che irriga, un'acqua che disseta, una roccia che sostiene, una parola che illumina, una mano che accarezza o un volto che sorride. Per ritrovare il significato profondo del rito cristiano, penetrandone i meandri complessi e affascinanti, è necessario riscoprire il senso profondo e positivo della parola ordine il cui significato originario, nelle religioni, è di essere, sul piano oggettivo la negazione del caos e del nulla, mentre sul piano soggettivo il superamento dell'angoscia e del disorientamento. In una intervista rilasciata in occasione del suo libro Come diventare buoni, alla domanda se, come autore non si sentisse di impersonare 'il ruolo dell'uomo qualunque di fine millennio afflitto da turbe emotive e comportamentali’, Nick Hornby ha risposto: 'Completamente’. Un numero enorme di persone ha problemi, per un verso o per l'altro la gente si sente persa e alienata, gira a vuoto, intrappolata nel lavoro sbagliato, nella relazione sbagliata. E' una sensazione così diffusa che forse non è corretto parlare di problemi comportamentali, forse sentirsi così, significa solo essere umani' (in "La Repubblica" l.6.200l,p37). Il rito, che le religioni vogliono a fondamento dell’umano, è per definizione l'antidoto allo spaesamento dell'uomo nel mondo. Lo è stato nel passato. Può tornare ad esserlo anche nel presente. Ad una condizione; che ci si disponga ad ascoltarne la melodia e comprenderne il linguaggio”. (Carmine Di Sante, Eucaristia. L'amore estremo; Rimini 2005). La pagina, nella sua apparente semplicità che rasenta il candore, è in reatà di una grande densità: in essa confluiscono in sintesi i due orizzonti già sopra accennati: quello della storia, filosofia e antropologia delle religioni, e quello della teologia liturgica nelle sue acquisizioni più avanzate. Sullo sfondo c'è l'universale esperienza umana di cui si sono individuati gli elementi antropologici inalienabili (si veda, di A.N. Terrin, Il Rito. Antropologia e fenomenologia della ritualità, Brescia 1999), mentre avanza in primo piano il nostro tema, cioè Il significato del rito nella liturgia cattolica (anche qui fondamentale l'opera dello stesso Terrin, Leitourgia. Dimensione fenomenologica e aspetti semiotici, Brescia l988). Allora, più da vicino, cos'è il Rito, il suo significato profondo e irrinunciabile? Piuttosto che delineare una visione teoretica d'insieme che – dati i limiti impostici ragionevolmente - finirebbe per risultare un indice astratto e noioso, preferisco riferirmi al pensiero di due grandi e luminose personalità che nei tempi a noi più vicini si sono sforzate di individuare il cuore stesso della ritualità cristiana, ossia le profondità impenetrabili di Dio e del suo rivelarsi in Cristo. Sono due personalità di altissimo rilievo, la cui ricerca è un lascito che, dopo non poco travaglio critico, è la preziosa eredità sulla quale ancora oggi andiamo riflettendo, e che è oramai divenuta patrimonio comune acquisito e fecondo. Si tratta del pensatore italo-tedesco Romano Guardini e del monaco benedettino Tedesco Odo Casel. Romano Guardini (l885-l968) è particolarmente interessante poiché arriva ad individuare il significato profondo del rito partendo da una vera e propria Weltanshaung ( = visione della realtà) che si costruisce come critica alla modernità, o meglio a come la modernità intende la conoscenza. I procedimenti razionali della scienza moderna, osserva Guardini, puntano sul concetto, conducendo a quell'astrazione che vanifica il "concreto”, perdendo di vista il "vivente" nella sua unità. Ma l'esperienza religiosa ha un suo linguaggio che non può confondersi con la lingua astratta della scienza ,e che, per questo, non è meno vera. Il modo simbolico d'essere delle cose, il modo con cui la realtà che cade immediatamente sotto i nostri occhi dice un’ “altra" realtà, il modo con cui tutto ciò che è immanente diventa immagine della trascendenza. Proprio questa dimensione simbolica, questo linguaggio delle immagini è stato troppo spesso tralasciato dalla riflessione teoretica su Dio e sul divino. Occorre ritornarvi, rivolgendo l'attenzione a quelle forme espressive in cui l'immagine è maggiormente presente: il culto, cioè il rito e le arti (che, tutte, concorrono a formare la complessa composizione del rito). Dobbiamo dunque ritornare ad un fenomeno dimenticato nella ricerca puramente teoretica, ma che ha una grande importanza nella concreta vita religiosa. E' invece un fenomeno riscontrabile nel rito, nei suoi simboli che lo costituiscono attingendo anche alla pittura, scultura, architettura, musica, agli stessi usi e sapienza popolari. Insomma: la conoscenza, prima di essere un atto "intellettuale” è un atto “vitale”, il nostro conoscere è il nostro vivere. L'intelligenza è indubbiamente importante, ma non lo è meno l'occhio che vede, l'orecchio che sente, la mano che prende. Il conoscere è un atto totale dell'uomo in cui la sensibilità svolge il ruolo decisivo. Gli organi della sensibilità umana sono fondamentali perché non conducono al fenomeno come “mondo dell’apparenza”, aprono al fenomeno come “luogo dell'apparire" della realtà più profonda, così che il mondo fenomenico è l'epifania dell'oggetto reale. "Noi siamo inclini per antica abitudine -osserva Guardini- a porre nella dottrina e nell'ordine morale il centro di gravità della Rivelazione. Dottrina e moralità sono naturalmente fondamentali, ma dobbiamo domandarci se esse da sole possano esprimere la pienezza di ciò che si chiama “Rivelazione”. Nell'Antico e nel Nuovo Testamento non è difficile vedere che l'una e l'altra sono sorrette la qualcosa di più elementare, cioè dalla vivente azione di Dio" (Guardini, La funzione della sensibilità nella conoscenza religiosa, p.154). I profeti e i saggi dell'A.T. ci aprono al manifestarsi di questa vivente azione di Dio. In tale contesto l'epifania significa "l'irradiare della luce divina in sé inaccessibile" (lTim 6,l6) nella realtà terrena in modo che l'occhio umano la possa vedere, l’orecchio ascoltare, la mano com-prendere. Nel Nuovo Testamento tutto il movimento epifanico subisce una concentrazione: Gesù è la manifestazione di Dio, e le sue parole e le sue azioni sono l'attuarsi di tale manifestazione. Ma, cosa succede dell'elemento epifanico dopo che il Signore è "salito al cielo"? Quanto è avvenuto non significa certo qualcosa che si è verificato una volta per tutte, ma si tratta di un evento basilare per tutta l'esistenza nella fede come Dio l'ha voluta. L’elemento epifanico deve dunque ripetersi sempre di nuovo in forme corrispondenti alla esigenze e alle possibilità della vita quotidiana. Ma dove mai può verificarsi? Dove appare nell'esistenza cristiana quella realtà che è venuta fra noi nella Rivelazione e nella Redenzione? Indubbiamente nell'annuncio del messaggio cristiano da parte della comunità dei credenti e negli avvenimenti della storia che procede secondo i disegni divini. Annuncio ed Evento sono “segni”, "manifestazioni", "epifanie" del messaggio divino. Ora, la liturgia che si fonda sulla istituzione originaria del Signore, è l'organo fondamentale che consente di cogliere il manifestarsi di Dio: essa è l'epifania dell'azione salvifica divina, e per questo motivo è stata, lungo i secoli, il luogo privilegiato della conversione di popoli e individui. L'uomo cerca in essa, consapevolmente o meno, l'epifania, cioè l'apparire luminoso della realtà sacra nell'azione liturgica, nel compiersi del rito, l'apparire sonoro dell’eterna parola nel discorso e nel canto, la presenza d'un Sacro Spirito nella corporeità delle cose tangibili. Il segno liturgico, il rito, non è solo indicativo di qualcosa che avviene altrove; esso è rivelativo di ciò che sta avvenendo nella celebrazione, ossia di una realtà divina che è presente nel rito. Il significato del rito però, dice Guardini, deve essere cercato al suo interno, non è un mezzo impiegato per raggiungere un determinato effetto; esso è come il gioco che non si propone di raggiungere qualcosa; esso si mostra con le sue azioni simboliche, è fondamentalmente corpo, esteriorità, azione, movimento. Da questo punto di vista il rito non ha scopo ma senso, e il suo senso è propriamente un andare verso un “senso non posseduto". Il rito appare, così, come la mediazione indispensabile grazie alla quale l'uomo può aprirsi all'origine ultima del suo essere, senza venire divorato dal vortice di quell'origine; il rito cristiano è la grazia concessa all'umanità di accedere a Dio senza morire per averlo visto. Se Romano Guardini arriva a cogliere l'essenza del rito, e del rito cristiano, partendo dalla stessa intima struttura del pensare, del conoscere, dell'agire umani, un'altra luminosa figura ha riscoperto dall'interno stesso della più classica tradizione cristiana il più profondo significato del rito. E' dom Odo Casel (1886-1948), monaco benedettino della celebre abbazia di Maria-Laac in Renania. La sua stessa morte ha qualcosa di così suggestivo che, se non si trattasse di un evento controllato, si direbbe essere una devota leggenda di qualche santo monaco medioevale. Dom Casel dedicò tutta la sua vita di studioso a riscoprire nella tradizione patristicoliturgica e nelle fonti bibliche la centralità del Mistero Pasquale, e cadde schiantato da un attacco cardiaco dopo aver cantato il Lumen Christi nella Veglia Pasquale. Riscopritore del Mistero Pasquale attraverso una serie di opere che suscitarono reazioni e critiche ma che oggi sono dei classici inderogabili, estese il concetto riscoperto di Mysterium a tutto il culto cristiano, dando origine alla cosidetta Mysterienlehre (=Dottrina dei Misteri). Oggi la sua "riscoperta" (eccetto alcuni elementi tuttora discussi) può essere ritenuta patrimonio comune, tanto che ha influenzato in modo significativo la stessa dottrina del Concilio. Possiamo dire che mentre Guardini arriva a stabilire la inderogabilità del rito come insostituibile nel processo cognoscitivo (e qui sia la scienza delle religioni che la fenomenologia del fatto religioso gli danno ampiamente ragione) conducendo sino alle soglie, ma già bene intraviste, dell'intimo significato del rito cristiano, Casel invece parte dall'alto, cioè dall'intimo nucleo della fede cristiana per stabilire il senso e il contenuto imprescindibile del rito. Il rito liturgico non si muove su un piano di azione umana, anche se questo è il punto appurato da Guardiniper natura sua, coinvolge poi la totalità dell'uomo che ne diviene il protagonista. Ma è in certo senso un’azione teandrica: è azione divina emanante dalla umanità glorificata di Cristo. Esso è un "mistero cultuale". E poiché il “mistero" altro non è che la rivelazione, la presenza e l'attuazione del disegno salvifico di Dio nella umanità di Cristo, ne consegue che nel rito cristiano si continua l'avvenimento soteriologico che fu proprio dell’umanità di Cristo. In altre parole: come l'umanità del Signore fu la via per conoscere il Padre (Gv l4,8-l1) e come per il contatto con essa avvenuto sotto la spinta della fede si otteneva la salvezza (Lc 6,19), così il rito liturgico continua la stessa efficienza. Esso è la stessa umanità di Cristo-Mistero di Dio, la quale divenendo "mistero nel culto", porterà sempre nel mondo la presenza e la realtà del disegno divino della salvezza per mezzo dei riti sacri, che sono simboli efficaci e immagini del Verbo incarnato. Il rito è dunque, in quanto continuazione dell'opera di salvezza, totalmente sotto il segno del primato del mistero dell'Incarnazione. Esso non si effettua in una sfera intellettualistica, né ha per oggetto una contemplazione della divinità assolutamente presa, ma è un'attuazione per simboli e immagini, delle azioni salvifiche della Redenzione. E, soprattutto, dicendo che nel rito si attua il "Mistero redentore”, ci si riferisce in modo preciso e determinante al Mistero Pasquale: in esso è l'inveramento completo del mistero dell'Incarnazione; ma diciamo anche che il Mistero Pasquale come tale pone l'Incarnazione su un piano decisamente liturgico. Per questo si può ben dire che nel rito liturgico il mistero di Cristo non esiste se non come Mistero Pasquale. Ora, il Mistero Pasquale, sinonimo di redenzione operata da Cristo, conferisce al rito tre dimensioni che ne caratterizzano ulteriormente l'imprescindibile valore: ogni rito sarà sempre anàmnesi, cioè memoriale oggettivo dell'avvenimento salvifico; sarà presenza attuale operante di quelle anàmnesi; e sarà insieme annuncio di un suo compimento, che mentre viene proclamato come fatto futuro, viene già avviato verso la sua pienezza. Da tutto ciò deriva la conseguenza determinante a stabilire il significato del rito liturgico: esso non è un semplice valore spirituale, o storico, o artistico, e neppure la forma più alta della preghiera cristiana. Il rito cristiano, appunto perché continuazione del Mistero di Cristo in forma cultuale, è un valore assoluto, che sta in una sua sfera propria, perché è il mezzo unico con cui si attua quella "presenza attiva" del Signore quale elemento costruttivo del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Mediante il rito liturgico infatti il mistero di Cristo diventa mistero della Chiesa, e la Chiesa stessa esiste, in forza del rito liturgico, come mistero di Cristo. Due rapide osservazioni: il rito cristiano è ben altro di quella accozzaglia di rubriche in cui -in tempi andati ma, ahimé, non del tutto superati!- si intendeva la liturgia. E inoltre, se le cose sopra esposte hanno un senso, quale senso di responsabilità dovrebbero svegliare in chi quei riti è chiamato a compiere! Partecipo al dolore dei familiari e della Comunità di san Maurizio per la morte di p. Vittorino. La sua amicizia, il suo affetto e la sua nei miei confronti e verso la nostra Chiesa greco-cattolica mi hanno sempre commosso, fin da quando, nel lontano 1993 abbiamo concelebrato la Divina Liturgia. Lo ricordo con affetto e gratitudine, come monaco e uomo di Dio, come cultore della spiritualità orientale e liturgo. Eterna sia la tua memoria, fratello nostro! + Virgil Bercea Vescovo-Eparca di Oradea (Romania) PADRE VITTORINO: UNA VITA PER CRISTO Fr. Vittorino nasce a Gavardo (BS) il 9 agosto 1931. Nella chiesa parrocchiale di s. Giovanni Battista in Rezzato, viene battezzato con il nome di Fernando il 23 agosto 1931. Ragazzo, mosso dal desiderio di donare tutta la sua vita a Dio, entra nel seminario diocesano di Brescia, dove rimane fino alla terza ginnasio. Chiede poi di diventare membro dell’Ordine dei Frati minori. Nell’anno scolastico 1946-47 è a Saiano e l’anno successivo a Cividino per sperimentare la vita dei Frati e continuare gli studi. Entra ufficialmente nell’Ordine dei Frati Minori nella Provincia di Lombardia S. Carlo Borromeo iniziando a Rezzato, l’anno del noviziato il 12 agosto 1948 e assume il nome di fr. Vittorino a ricordo di Monsignor Facchinetti, Vescovo di Tripoli. Il 14 agosto 1949, emette la Professione temporanea e il 4 novembre 1953, nelle mani di fr. Tommaso Anderloni, delegato del Ministro Provinciale, emette i voti solenni. Il 25 febbraio 1956, a Milano, è ordinato diacono e il 28 giugno dello stesso anno è ordinato sacerdote da sua Em.za il Card. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano. Dopo l’ordinazione è inviato a Roma presso il Pontificio Ateneo Antonianum per la specializzazione in Teologia Dogmatica. Conclusi i corsi molto positivamente é assegnato al Convento di Busto Arsizio dove, assume dal settembre 1960 l’ufficio di Lettore in Teologia Dogmatica, vice-maestro di formazione dei chierici e Assistente del gruppo di Milano dell’Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità. Nel settembre 1962 ritorna a Roma per completare gli studi. Mons. Bonifacio Bertoli, vescovo di Tripoli, lo assume in qualità di teologo assistente, per i lavori del Concilio Vaticano. Dopo aver partecipato al Concilio Vaticano II in qualità di perito, ha lavorato per vent'anni al Centro di documentazione internazionale e interconfessionale, con incarichi di collegamento con le Università teologiche protestanti e ortodosse. Tra il 1964 e il 1976 ha diretto per Mondadori la collana di opere saggistiche IDOC Documenti nuovi (52 volumi tradotti in otto lingue); in seguito ha diretto per Rizzoli la collana in 12 volumi “Le grandi religioni”. Tra le sue opere organiche ricorderemo: Per conoscere sant'Agostino, Sinai, L'ebraismo, L'uomo del Medioevo, I. S. Bach il Cantor. Negli anni ’64-’65, rientrato in Provincia è assegnato alla Comunità di S. Ferdinando dei Cappellani dell’Università Bocconi, fino alla sua chiusura. Ritorna nuovamente a Roma, ospite dalle sorelle clarisse di via Vitellia, per elaborare e difendere la tesi per il Dottorato in Teologia Dogmatica. Nel frattempo frequenta i corsi di Liturgia, di Patrologia e di Liturgie Orientali, e un corso di specializzazione in Teologia ecumenica presso la Facoltà Teologica Evangelica di Roma. In questi anni collabora alla rivista internazionale di Teologia “Concilium” e presta la sua opera presso il Centro Internazionale di Documentazione sulla Chiesa Contemporanea (IDOC), entrando in contatto con i più importanti teologi e i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo. All’IDOC cura e lavora nella redazione ed è incaricato per i contatti con la stampa, la radio e la televisione, come consulente specialista per i temi teologici. Inizia pure la consulenza con alcune case cinematografiche e collabora alla realizzazione di diversi programmi televisivi e audiovisivi per le televisioni olandese, francese e tedesca. Ha curato speciali serial televisivi sulla storia e archeologia biblica, dove ha espresso il suo amore e la sua competenza per la conoscenza della Terra Santa. Con la sua eccezionale conoscenza di lingue antiche e moderne, inizia una intensa attività di traduzione, presentazione e pubblicazione di libri di teologia in italiano, inglese, tedesco, olandese, francese, portoghese, spagnolo e polacco per importanti case editrici. Relatore assai apprezzato tiene numerose conferenze in Italia e all’estero; si dedica anche ad un’ampia attività giornalistica, su quotidiani e periodici, e come osservatore delegato ai congressi dell’UNESCO, della FAO. Collabora con il Ministero degli Affari esteri e dell’Istruzione per lo studio dell’emigrazione italiana e del problema della droga. Appassionato e competente musicologo ha scritto e tenuto lezioni (università della Terza età 1998-2000) e interventi e scritti in particolare sulla musica religiosa del 1300-1400, di Bach e di Mozart. Dal 1999 Fr. Vittorino celebra costantemente, accanto a Mons. Enrico Galbiati, in rito bizantino nella diocesi di Milano per i fedeli provenienti dalle Eparchie di Piana degli albanesi e di Lungro. Per questo ha ottenuto dalla Congregazione per le Chiese orientali il permesso di celebrare nel rito orientale. Dal 2001, in virtù della competenza e dell’amore da sempre nutrito per la tradizione delle Chiese d’Oriente, è Assistente Spirituale della sezione di Milano dell’Associazione Culturale Italiana per l?oriente Cristiano (ACIOC), nata per testimoniare e far conoscere, attraverso celebrazioni liturgiche e iniziative culturali, il patrimonio della Chiesa Bizantina. Fr. Vittorino ha lavorato intensamente ed ha donato la sua amicizia e la sua attenta carità, fino agli ultimi mesi, quando la già fragile salute si è aggravata e la vista si è andata spegnendo. Il 23 aprile 2012, amorevolmente accudito dalle Sorelle fr. Vittorino celebra la sua Pasqua e restituisce la propria vita al Padre delle misericordie.