Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (Bologna) - Bimestrale n.2/2014 – anno XXIII/BO - € 2,00 marzo/maggio 2014 Primavera di stelle con il klezmer della Mahler, la Russia di Bashmet e il pianoforte di Lupu e Volodos Musica Insieme COntemporanea fra Schoenberg, Maderna e nove prime esecuzioni Viaggio musicale attraverso l’Europa con il violino di Janine Jansen SOMMARIO n. 2 marzo - maggio 2014 Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme 9 Editoriale Parole, parole, parole… di Fabrizio Festa Musica Insieme in Ateneo Fra Russia e Germania di Elisabetta Collina 12 MICO - Musica Insieme COntemporanea 14 Le mille voci dell’oggi di Fulvia de Colle Interviste 18 20 22 Il profilo 24 I luoghi della musica 26 Il calendario 29 Per leggere 50 Jaan Bossier di Anastasia Miro Itamar Golan di Cristina Fossati Arcadi Volodos di Alessandro Di Marco Leoš Janáček di Fabrizio Festa Dalla scena al dipinto di Maria Pace Marzocchi I concerti marzo / maggio 2014 Musica in catalogo: Berio, Beacco, Murakami di Chiara Sirk Da ascoltare L’intellettuale leggerezza di Jansen, Volodos, Lupu e Romanovsky di Lucio Mazzi 6 MI MUSICA INSIEME 52 In copertina: Janine Jansen EDITORIALE PAROLE, PAROLE, PAROLE… Foto Francesco Mammarella È davvero singolare osservare la disparità che esiste tra la centralità del dibattito sulle vicende culturali (cittadine e nazionali) e la marginalità che le medesime rivestono dal punto di vista dell’impegno delle risorse. Prendiamolo come un dato di fatto. Così si discute anche con una certa quale durezza su una mostra-grande evento, ma in un contesto in cui parrebbe proprio che nessuno in realtà voglia sfruttare tale “evento” per le potenzialità che potrebbe avere. Certo, che Bologna non riesca a valorizzare i suoi tesori (tanti e importanti), e si sia costretti a importare un quadro celebre per attrarre visitatori non può non lasciare una qualche perplessità. Si tratta, però, di un dejá-vu. Quante volte, infatti, su queste stesse pagine abbiamo scritto che la programmazione musicale bolognese non ha nulla da invidiare a quella delle altre capitali europee della musica, e che anzi, considerando il rapporto tra il numero degli abitanti (e quindi della possibile utenza) e la qualità/quantità della programmazione medesima, Bologna primeggia in Europa (e non solo). Dunque, quel dibattere sembra non voler andare al punto: valorizzare al meglio le risorse in campo. E ora che anche la nostra ventisettesima stagione volge verso la sua conclusione, vorremmo richiamare l’attenzione su un semplice, ma significativo dato: chi sarà di scena al Manzoni da marzo a maggio. Ovvero chi saranno i nostri ospiti. Si comincia coi Solisti della Mahler Chamber Orchestra, poi Yuri Bashmet con il suo ensemble, il violino di Janine Jansen accanto alla tastiera di Itamar Golan, ed infine due straordinari pianisti: Radu Lupu e Arcadi Volodos. Si tratta di alcuni tra i maggiori protagonisti della scena musicale internazionale, che Musica Insieme mette a disposizione della città, inserendoli in un quadro di attività formative e informative articolato e coerente. Ed è proprio tale coerenza e tale articolazione a sostenere la nostra affermazione: cioè che mettiamo a disposizione della città il nostro impegno di operatori culturali. Abbiamo coinvolto il pubblico dei comuni della provincia e gli studenti degli istituti secondari superiori. Quelli dell’Università, anche, e quelli che amano la contemporanea. Sempre tenendoli informati grazie proprio a questa rivista, le cui pagine sono state più volte offerte a chi opera come noi nella musica, ma senza ottenere risposta. Che il nostro modo di procedere, le nostre scelte programmatiche e persino il nostro tipo di comunicazione spesso vengano copiati non lo consideriamo un titolo di merito. Al contrario, preferiremmo, e senza neppur pensare alla tanto invocata cabina di regia, che ci si accingesse tutti a collaborare animati dal medesimo spirito: valorizzare concretamente il frutto di tanto impegno. Fabrizio Festa MI MUSICA INSIEME 9 MUSICA INSIEME IN ATENEO Fra Russia e Germania V Si conclude il viaggio di Musica Insieme in Ateneo con uno straordinario talento pianistico al suo debutto a Bologna, e con un trio di esperti cameristi, ospiti di un ideale salotto in casa Schumann di Elisabetta Collina incere una, o magari più, importanti competizioni internazionali è a tutt’oggi la maniera di acquisire la chiave d’accesso per una significativa carriera internazionale. Leonardo Colafelice, oggi poco più che diciottenne, ha già collezionato un palmarès di tutto rispetto. Marta Argerich lo ha premiato alla “YAMAHA USASU Piano Competition”. Dal Giappone agli Stati Uniti, dove vince lo “Hilton Head”. Ed infine – per il momento – eccolo tornare nel vecchio continente, in Danimarca per l’esattezza dove conquista il primo premio al Concorso di Aarhus. Dunque, Leonardo Colafelice approda a Musica Insieme in Ateneo già forte di un riconoscimento oseremmo dire planetario, che ci fa credere sia solo l’inizio di una brillantissima carriera. Che sia un virtuoso, e cioè ami presentare in pubblico brani impegnativi, attraverso i quali mettere in luce tutto il suo talento, lo dimostra il programma, sotto il segno della musica russa, che ha scelto per questo suo recital bolognese, che lo vedrà esibirsi all’Auditorium dei Laboratori delle Arti giovedì 20 marzo. In apertura troviamo quel vero e proprio tour de force pianistico che sono le Variazioni su un Tema di Corelli op. 42 composte da Sergej Rachmaninov. Il tema in oggetto è quello della celebre Follia (nella dodicesima tra le Sonate di Corelli), danza che peraltro si avvale di un altrettanto celebre basso ostinato. Rachmaninov è ormai nel pieno della sua maturità quando porta al debutto questa, che diverrà presto una delle sue pagine più eseguite ed amate dal pubblico. A seguire Prokof ’ev, le Visions Fugitives op. 22, e quella che da molti è considerata tra le più impervie pagine pianistiche dell’intero repertorio: i Tre Movimenti da Petruška di Igor Stravinskij. Dunque Novecento russo, un Nove- 12 MI MUSICA INSIEME cento in cui il pianoforte viene portato ancora oltre i limiti. L’ultimo degli appuntamenti di Musica Insieme in Ateneo, realizzato lunedì 7 aprile in collaborazione con il Centro la Soffitta, braccio produttivo del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, vedrà invece in scena tre esperti cameristi, in un programma dal titolo “Nel salotto di Clara Schumann”: il clarinettista Andrea Massimo Grassi, il violoncellista Michael Flaksman e la pianista Anna Quaranta. Una formazione la loro che ha trovato nell’Ottocento riscontri importanti, e che seguendo il fil rouge di quest’edizione di Musica Insieme in Ateneo rivolgerà le sue attenzioni al repertorio tedesco. Concluderà la loro esibizione l’intenso Trio in la minore op. 114, frutto di un Brahms nel pieno di quella straordinaria maturità, in cui videro la luce molti tra i suoi capolavori. Del compositore di Amburgo anche la pagina che verrà presentata in apertura di concerto, tratta sempre da quella splendida maturità. Si tratta, infatti, della Sonata in mi bemolle maggiore op. 120 n. 2 per clariL’ingresso a tutte le manifestazioni della rassegna è gratuito per gli studenti ed il personale docente e tecnico amministrativo dell’Università di Bologna; gli inviti possono essere ritirati presso la sede dell’URP in Largo Trombetti n. 1 la settimana precedente ciascun concerto (Lunedì, Martedì, Mercoledì e Venerdì dalle 9 alle 12,30; Martedì e Giovedì dalle 14,30 alle16,30). Il giorno del concerto, tutti i cittadini potranno ritirare gli inviti ancora disponibili, recandosi all’URP negli orari di apertura. CALENDARIO MARZO - APRILE 2014 Laboratori delle Arti /Auditorium (Piazzetta Pier Paolo Pasolini 5/b) ore 20,30 2014 giovedì 20 marzo Leonardo Colafelice pianoforte 2014 lunedì 7 aprile Andrea Massimo Grassi clarinetto Musiche di Rachmaninov, Prokof’ev, Stravinskij Michael Flaksman violoncello Anna Quaranta pianoforte Musiche di Schumann, Brahms in collaborazione con Centro La Soffitta – Dipartimento delle Arti netto e pianoforte. Tre anni all’incirca separano queste due opere: il Trio data 1891, nel 1894 debutta invece la Sonata. Che il clarinetto sia il filo conduttore tra questi due pezzi è più che una singolare coincidenza. Brahms già nell’estate del 1890, dopo aver portato a termine il Quartetto op. 111, sembrava deciso a chiudere la sua carriera. A fargli cambiare idea un incontro casuale: quello col clarinettista Richard Mühlfeld, che ovviamente cercò di convincerlo a comporre per il suo strumento, quel clarinetto che proprio nel contesto della musica tedesca ed austriaca aveva conquistato uno spazio di primo piano. Ecco allora il Trio, poi il Quartetto op. 115 e le due Sonate op. 120. Coerentemente tra le due opere brahmsiane troviamo l’omaggio a chi Brahms lo aveva scoperto e lanciato sulla scena: Robert Schumann. Suoi i Fantasiestücke op. 73, originariamente composti (nel 1849) proprio per clarinetto e pianoforte, e dei quali poi Schumann stesso preparò una versione per violoncello; ed è appunto quest’ultima che ascolteremo. MICO - Musica Insieme COntemporanea 2014 Si completa con numerose prime esecuzioni e col Pierrot Lunaire – di cui ci parla Marco Angius – il progetto “Paesaggio Voce” di Musica Insieme COntemporanea, per concludere il cartellone sulle note gioiose di Bruno Maderna di Fulvia de Colle Le mille voci dell’oggi T re concerti in tre mesi completeranno la nona edizione di Musica Insieme COntemporanea, nell’ormai più che rodata – e ideale – sede dell’Oratorio di San Filippo Neri, sotto i riflettori quello che è oggi a tutti gli effetti l’ensemble residente della rassegna: il FontanaMIX. Scorrendo dunque i tre appuntamenti conclusivi, troviamo il completamento di quel “Paesaggio Voce” che si è aperto lo scorso febbraio con il concerto dedicato a due capolavori della vocalità ‘popolare’ come Folk Songs di Berio e Kantrimusik di Kagel. Il 25 marzo, affidato al soprano Livia Rado e sotto la direzione di uno specialista riconosciuto della contemporanea qual è Marco Angius, ecco proposto infatti per “Paesaggio Voce II” quel Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg, stravolgente opera pionieristica della vo- calità da camera del Novecento; accanto al Pierrot, ascolteremo poi la prima esecuzione italiana di abroad (per voce, strumenti ed elettronica, su testi di Pessoa) del giovane compositore Daniele Ghisi, il cui lavoro si è già fatto strada nei teatri di tutta Europa. Su questo impaginato torneremo fra poche righe, raccogliendo le riflessioni dello stesso Angius, mentre ricordiamo per il terzo appuntamento dell’itinerario “Paesaggio Voce”, il 16 aprile, le prime esecuzioni assolute di opere di Nicola Evangelisti e Andrea Sarto, e le prime italiane di Stefano Gervasoni e Francesco La Licata, tutti brani caratterizzati dal rapporto fra la voce e un particolare strumento solista. Sarà invece dedicata a Bruno Maderna, di cui ricorrevano nel 2013 i quarant’anni dalla morte, la serata conclusiva del 16 maggio, che vedrà il Fon- Marco Angius 14 MI MUSICA INSIEME tanaMIX affiancato all’ensemble Accroche Note di Strasburgo, dove il progetto ha visto la luce. Tornando per così dire alle origini della vocalità contemporanea, abbiamo chiesto a Marco Angius di parlarci del capolavoro di Schoenberg che ascolteremo il 25 marzo, e le sue parole si sono estese ad una più ampia ed esaustiva panoramica sulla contemporaneità. Proprio lo scorso ottobre è uscita per Stradivarius una sua incisione del Pierrot Lunaire di Schoenberg, con la stessa Livia Rado nel ruolo di voce narrante/cantante: su quali elementi in particolare si è concentrato per questa nuova lettura? «Con Livia abbiamo lavorato su questa straordinaria partitura maturando delle scelte specifiche per ciascun brano. Ogni volta che si presenta l’occasione di dirigere il Pierrot lunaire, mi trovo a scoprire aspetti e dettagli sempre nuovi e sorprendenti. Per questo sono felice di affrontarlo ora con FontanaMIX, un ensemble che conosco da tempo per l’impegno nella musica contemporanea ma con cui non avevo mai collaborato prima. Sono dunque particolarmente entusiasta di immergermi in questa nuova avventura, nonché onorato dell’invito dell’amico Francesco La Licata. Le mie scelte di lettura si basano sul rovesciamento del rapporto tra voce ed ensemble e sulla riscoperta di un diverso modo di materializzare musicalmente le visioni contenute nei testi, ispirandomi peraltro a quanto Schoenberg stesso immaginava. Ho voluto evidenziare come siano gli strumenti a parlare, urlare, sussurrare quelle stesse immagini poetiche evocate dalla voce in una logica discorsiva che non la pone al centro degli eventi ma a lato di essi (anche fisicamente) ovvero la fagocita in una rete implacabile tessuta dal gruppo strumentale. Senza dubbio la forza comunicativa del Pierrot risiede anche nella ghirlanda di forme brevi e talvolta aforistiche in cui è articolato, quasi degli incipit piuttosto che pezzi veri e propri, miniature da cui scaturisce un’energia emotiva (e sonora) deflagrante. Il flusso di coscienza della Sprechstimme (voce parlante), schizofrenico o allucinato che sia, segue una traiettoria imprevedibile e di fatto dissociata dall’ensemble. Da un lato abbiamo questo gruppo agguerrito di cinque esecutori (con cambi strumentali di volta in volta diversificati) e dall’altro il corpo assente della voce, lo Sprechgesang (canto parlato), come se i brani fossero il risultato di un montaggio fittizio tra due dimensioni distinte, la cui collisione genera una materia rappresentativa di grande impatto psicologico, dalle infinite implicazioni sonore. È una partitura irrinunciabile per chiunque voglia accostarsi alle avanguardie artistiche del Novecento e al senso più autentico del comporre. In fondo l’aneddoto di Puccini che ascolta il Pierrot a Firenze nel 1924 risulta in tal senso emblematico e quasi fatale (per Puccini, intendo)». Alla voce di Livia Rado è affidata una delle novità più sconvolgenti della scrittura di Schoenberg: lo Sprechgesang, appunto, sul quale l’autore era assai preciso e prescrittivo: come lo spiegherebbe ad un ascoltatore non ‘tecnico’? «Schoenberg è stato preciso e prescrittivo su ciò che non va eseguito spiegandolo nella celebre prefazione alla partitura. Egli ricorre a una X su ogni gambo di nota dello Sprechgesang, come se volesse cancellarne il contenuto e la consistenza. Si fa spesso riferimento allo stile da cabaret che avrebbe ispirato in qualche modo le intuizioni di Schoenberg per un recitar cantando così deformato e anti-natura- Musica Insieme COntemporanea CALENDARIO marzo - maggio 2014 Oratorio di San Filippo Neri (Via Manzoni 5) ore 20,30 25 FONTANAMIX ENSEMBLE marzo 2014 martedì Livia Rado soprano Valentino Corvino violino Marco Angius direttore PAESAGGIO VOCE II Musiche di Ghisi, Maderna, Schoenberg 16 FONTANAMIX/Solisti aprile 2014 mercoledì Iris Lichtinger voce e flauti dolci Chiara Telleri oboe Eva Zahn violoncello Walter Zanetti chitarra PAESAGGIO VOCE III Musiche di Evangelisti, Maderna, Sarto, Gervasoni, La Licata 16 ENSEMBLE ACCROCHE NOTE maggio 2014 venerdì FONTANAMIX ENSEMBLE Françoise Kubler voce Giovanni Hoffer corno Francesco La Licata direttore MADERNA SÉRÉNADE Musiche di Maderna, Aralla, Perez Ramirez, Cappelli, Ballereau listico. Le note cantate sono infatti rarissime in tutta l’opera e la novità risiede proprio qui. La dissociazione tra voce e strumenti di cui parlavo avviene in funzione dello Sprechgesang in quanto questa modalità recitativa tronca il legame armonico in modo surreale o drammatico. Penso all’ultimo numero, O alter Duft, in cui il profumo di un’armonia trapassata – percepibile nel mi maggiore mancato dell’inizio – sembra attraversato dalla voce in un abbraccio impossibile perché appunto privo d’intonazione fissa. Le relazioni melodiche tra linea vocale ed ensemble sopravvivono però come imitazione astratta quando gli strumenti fanno il verso alla voce tentando grottescamente di recitare al suo posto». Lei ha pubblicato anche un’importante monografia su Salvatore Sciarrino e numerosi saggi ed articoli su compositori viventi o vissuti nel secolo scorso. Quanto è importante secondo lei ancora oggi far conoscere l’opera dei musicisti del XX e XXI secolo? «Nel mio caso è una ragione di ricerca artistica ed esistenziale strettamente connessa ai miei interessi di interprete e studioso. La musica contemporanea, inoltre, ha una forte valenza didattica e formativa ancora sottovalutata; se è vero, citando Bloch, che nel far musica cerchiamo noi stessi, un repertorio che si evolve e rinnova continuamente può offrire spunti di studio e maturazione inesauribili. Ne è prova che chi dirige Boulez può affrontare il repertorio classico ma non è così scontato il contrario, se non a prezzo di cadere nell’orrida e perniciosa routine. Il discorso è in realtà più ampio e complesso perché riguarda anche la coscienza di saper comprendere e trasmettere un repertorio che solo in apparenza si presenta ostico. Di recente ho proposto, proprio con Livia Rado, un programma Bach/Ferneyhough nella stessa serata constatando – come prevedevo – che esistono troppi preconcetti sugli orientamenti e i gusti del pubblico. Che il pubblico cerchi o non cerchi questo tipo di esperienze d’ascolto non riguarda l’essenza delle opere contemporanee (o del Novecento storico) ma aspetti più inerenti alla società e al tempo presente, di cui non compete certo a noi artisti farci carico. Il nostro compito, da un punto di vista etico e morale, è semmai quello di far conoscere questo genere di produzione musicale rendendola interessante e significativa, ma anche esprimendo attraverso di essa convinzioni e idee che possono cambiare o migliorare la società stessa in modo più o meno indiretto». Lei è un direttore di riferimento per la musica contemporanea, come è nata la sua passione per questo repertorio? MI MUSICA INSIEME 15 MICO - Musica Insieme COntemporanea 2014 Livia Rado «L’attitudine è subito emersa da quando mi occupo di musica, cioè da sempre. La maturità interpretativa invece è altra cosa, richiede applicazione costante e occasioni continuative di esperienze sul campo. Faccio qualche esempio: l’opera Die Schachtel di Franco Evangelisti, contenuta nello stesso cd del Pierrot lunaire cui lei faceva riferimento sopra, l’ho scoperta quando avevo quindici anni ma l’ho incisa solo venticinque anni dopo. Così per la musica di Sciarrino che ho cominciato a studiare intorno ai diciott’anni ma che ho diretto per la prima volta a trenta: quando Sciarrino mi ha proposto di dirigere al suo posto Studi per l’intonazione del mare (2000), si è presentata un’opportunità salvifica e decisiva per dare una svolta ad anni di apprendistato e gavetta e di ciò gli sono senz’altro grato». Il programma del 25 marzo si completa con una prima esecuzione italiana di Daniele Ghisi, dove una sorta di contrappunto fra acustico ed elettronica rappresenterebbe l’alternarsi di realtà e ‘altrove’: c’è un particolare motivo per cui a suo avviso il brano di Ghisi ben si sposa al Pierrot di Schoenberg? «Trovo che sia un ottimo accostamento per la scelta della programmazione e l’originalità della proposta. Il dato comune più esterno è il numero sette di cui si compongono entrambi i lavori (nel caso di Schoenberg è una connotazione esoterica di ventuno componimenti raggruppati in «tre volte sette» poesie di Giraud, così come il primo motivo musicale che si compone di sette diverse note). Forse anche l’aspetto onirico, di memoria subliminale – che nella composizione di Ghisi viene suggerito dall’interazione tra una 16 MI MUSICA INSIEME meta-dimensione elettronica e una acustica strettamente correlate – può accostare abroad agli affascinanti deliri acustici del Pierrot lunaire. Comunque le saprò rispondere meglio dopo aver effettivamente concertato e diretto il brano di Ghisi, in quanto tra una partitura e la sua realizzazione corrono molti altri stadi intermedi. Quando si analizza una composizione non bisogna dimenticare che ci si occupa di un sistema di segni e non di suoni, la FontanaMIXensemble cui esegesi ci saluta ai margini dell’evento musicale in senso stretto. Le note sono segni immobili e muti mentre i suoni sono corpi che vibrano e in tal senso credo che la partitura rappresenti un progetto che attende letture a oltranza. Ogni partitura è incompiuta finché un interprete non prova a offrirne una possibile, ulteriore messa in opera (per completarla solo momentaneamente, diciamo)». Il concerto del 25 marzo si inserisce in un trittico di appuntamenti che MICO dedica al “Paesaggio Voce”. Come definirebbe, in sintesi, il nuovo utilizzo della voce nella musica contemporanea? «È una domanda che richiederebbe molteplici risposte vista la situazione attuale estremamente differenziata e al tempo stesso globalizzata. Dalla voce possiamo aspettarci ancora molte sorprese e scoperte ma è sul concetto di nuovo – così come su quello di contemporaneo – che dobbiamo intenderci. Cos’è che rende at- tuale e necessaria un’opera? Penso che vada fatta una distinzione specifica per la produzione di teatro musicale, che costituisce un luogo elettivo d’invenzione intorno alle possibilità espressive della voce. Inoltre le potenzialità di trattamento elettronico in tempo reale hanno profondamente inciso sul modo di percepire il canto e i fenomeni vocali rispetto, per esempio, all’epoca di Schoenberg. Secondo me l’innovazione non è più insita nell’uso vecchio o nuovo della voce ma si misura su altri livelli e parametri (e men che meno a livello di scrittura): nel rapporto col testo, con la drammaturgia, in un lavoro di concertazione che agisca sul suono, sullo spazio e sul tempo di emissione/percezione. La vocalità di Monteverdi, ad esempio, è antica o sempre attuale? Voglio riferirmi a un caso per me significativo: recentemente ho ascoltato l’Orfeo orchestrato da Respighi (1934) e sono rimasto sconcertato non solo dal risultato musicale, di una bellezza dirompente, mai retorica o scontata, ma soprattutto da una carica inventiva che mi ha fatto scoprire un Monteverdi a colori come nessuna stitica ricostruzione filologica avrebbe mai potuto. Dico questo perché non si tratta di rifugiarsi in un passato ormai inesistente e irraggiungibile (Respighi mantiene intatti gli unici reperti rimasti: il canto e la linea del basso), ma di reinventarlo di sana pianta per arricchire il presente reagendo all’imperante inutilità estetica che ci accerchia. Del futuro, però, non parlo proprio». ACQUISTO BIGLIETTI I biglietti per i concerti di MICO si possono acquistare online collegandosi al sito: www.musicainsiemebologna.it o www.vivaticket.it e nei punti vendita del Circuito Vivaticket. Il giorno del concerto inoltre i biglietti saranno in vendita a partire dalle 19 presso l’ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI (Via Manzoni, 5). PREZZI: Posto unico € 10. Abbonati Musica Insieme, studenti Università e Conservatorio € 7. L’INTERVISTA JAAN BOSSIER - MAHLER CHAMBER SOLOISTS L’anima della musica Con un affascinante programma dalla classica al klezmer, debutta a Musica Insieme l’ensemble formato dalle prime parti della Mahler Chamber Orchestra di Anastasia Miro I Mahler Chamber Soloists, i cui membri provengono da quattro paesi diversi, hanno fatto del dialogo interculturale uno dei loro scopi principali. Jaan Bossier, arrangiatore e clarinettista, ci racconta del suo rapporto con il pubblico, dell’interesse per la musica klezmer e delle attività della Mahler Chamber Orchestra, in seno alla quale si è formato l’ensemble. La Mahler Chamber Orchestra è stata fondata sotto gli auspici di un grande Maestro come Claudio Abbado, recentemente scomparso: come, e a quale scopo, è nata l’Orchestra? «Tutti i fondatori della Mahler Chamber Orchestra erano membri della Gustav Mahler Jugend Orchester. Questa era, ed è ancora, un luogo in cui i giovani musicisti provenienti da tutta Europa, durante il periodo di studio, hanno la grandissima opportunità di lavorare con i principali direttori d’orchestra del mondo. Io ero uno di quei fortunati. Nel 1997 alcuni di noi presero l’iniziativa di formare un’orchestra da camera e di continuare a fare musica insieme. Così è nata la Mahler Chamber Orchestra, con il grande supporto di Claudio Abbado». Quanto è influenzato il vostro modo di lavorare dal fatto che i membri dell’ensemble provengono da diversi paesi europei? «Sono convinto che accostare varie culture, grazie alle influenze reciproche, sia un arricchimento della società e che porti la nostra musica ad un livello differente! Questo è uno dei nostri pilastri. Nei nostri programmi voglio presentare i diversi background dei musicisti, mostrare come si integrano passioni ed opinioni diverse, e come questo sia un grande contributo per la creatività e l’ispirazione». 18 MI MUSICA INSIEME La Mahler Chamber Orchestra ha lavorato, e lavora tanto in Italia: come percepite il pubblico italiano e il panorama musicale in generale del nostro paese? «È vero, io personalmente ho suonato molto in Italia, e ho davvero avuto esperienze notevoli. Ovunque abbia suonato, ho notato un grande interesse per andare ai concerti, per vivere la musica. A Ferrara, la città in cui ho sicuramente suonato di più in Italia, il pubblico è un po’ speciale. Ricordo situazioni in cui persone che non avevo mai visto prima (ad esempio una signora che lavora in una biblioteca, i gestori di un ristorante, il proprietario di un negozio) hanno cominciato a parlarmi di uno degli ultimi concerti in cui ho suonato, o di una prova aperta a cui hanno assistito. Questo dimostra che le nostre facce sono conosciute in città, che le persone vengono spesso a teatro e ci ascoltano! Il che ovviamente crea un contatto con il pubblico anche da parte nostra. Noi cominciamo a conoscere le persone e poco alla volta ci sentiamo a casa nelle città del Nord Italia. Lasciatemelo dire, questo non succede ovunque! Naturalmente all’estero sentiamo anche parlare del disastro politico nei confronti della cultura in Italia (ma non solo in Italia)! Credo che la cultura sia sempre stata il fondamento di ogni società. Sottrarre poco alla volta ogni pietra da questo muro, alla fine distruggerà l’intera società». La Mahler Chamber Orchestra ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo impegno nel sociale e soprattutto per l’educazione. Ci parla del progetto “MCO Landings”? «Penso che l’educazione sia una delle nostre attività principali. Non si tratta solo di suonare nelle scuole o rendere accessibile una prova ai giovani. È la responsabilità di ogni singolo musicista di prendersi cura della prossima generazione. Sul palcoscenico voglio ‘rivoltare’ i cuori dei giovani ancora alla ricerca di se stessi. Voglio mostrar loro come le emozioni siano per me la linea guida nella vita. Non dobbiamo essere spaventati dalle emozioni, al contrario, dobbiamo aprirci completamente agli altri e volare in libertà, persi nella musica. So che questo non è possibile per tutti, ma credo di dover mostrare alle persone che così accade a me. I nostri programmi educativi con la Mahler Chamber Orchestra sono troppo vari per essere descritti qui brevemente. Posso dire che “landings” significa che siamo sempre un’orchestra in viaggio. Ovunque noi ci fermiamo proviamo a offrire qualcosa di più di un concerto. Veniamo a contatto con gli studenti del luogo in tanti modi. Lavoriamo insieme alle giovani orchestre, seguiamo progetti di musica da camera, diamo lezioni individuali, facciamo prove aperte per le classi, ecc. Ma abbiamo anche un progetto in tutto il mondo che coinvolge i bambini non udenti! A Ferrara cooperiamo anche con un ospedale che utilizza la musica come terapia». Come avete concepito il programma del concerto per Musica Insieme e perché avete deciso di suonare la musica klezmer alternata al repertorio cameristico? «Come dicevo, il mio obiettivo è mostrare i diversi background e le diverse culture dei musicisti, proprio come accadrà nel concerto per Musica Insieme. Essendoci incontrati tutti all’interno della Mahler Chamber Orchestra, io e il gruppo che ascolterete a Bologna suo- navamo insieme musica classica, ma avevamo tutti una passione per il klezmer. La nostra fisarmonicista ed io suoniamo anche molta musica contemporanea. Io uso nella mia musica klezmer questi suoni provenienti da differenti scenari musicali. A volte si presentano come melodie arrangiate o come suoni inseriti nelle improvvisazioni. Il pubblico può comprendere queste connessioni musicali proprio grazie all’inserimento di musica classica e moderna nel programma. Prima dell’intervallo suoneremo un Trio di Mozart e uno di Max Bruch, un repertorio classico ovviamente adatto ai due strumenti melodici del nostro ensemble: il clarinetto e la viola. Non sono inoltre il tipo di persona che fa solo una cosa nella vita. Non sopravvivrei solo suonando in un’orchestra, o insegnando, o qualunque altra cosa. Ho bisogno di una combinazione di tutto… amo la musica, amo suonare in orchestra e fare musica da camera! Sento il bisogno di aiutare i giovani, per questo insegno. Lo stesso avviene con il klezmer. È una cosa che è cresciuta negli anni. Ho sempre avuto in qualche modo bisogno di esprimere me stesso in questa musica, così ho cominciato a studiarla. In un concerto del genere, infatti, mostro le molte passioni che condivido con gli altri». Secondo lei in che modo le opere di Stravinskij e Bruch sono state influenzate dalla musica popolare? «Penso che ad un certo punto quasi ogni compositore mostri interesse per la musica popolare, come alla ricerca delle origini della musica. Il popolare è stato integrato in così tante composizioni classiche da Mozart, Schubert, Dvořák, Brahms, Bartók… Un esempio relativo a Bruch possiamo trovarlo nel quinto dei suoi Otto Studi op. 83, dove integra nella musica un canto popolare rumeno. La composizione forse più nota di Stravinskij, Le Sacre du Printemps, proviene da semplici elementi etnici e rurali, trascritti in puro ritmo. Questo è chiaramente visibile nella sua coreografia originale del 1913. Un altro esempio sono le sue Liriche giapponesi, sempre del 1913. Nel 1917, insieme a Ferdinand Ramuz, Stravinskij lavorò su un concetto, una performance flessibile, con meno mezzi possibili, da realizzare in luoghi diversi, senza la necessità di una grande sala da concerto. Dopo la fine della guerra i due elaborarono un’opera da camera, basata su una combinazione di elementi etnici, e concettualmente senza tempo: Histoire du Soldat. Il testo, una fiaba popolare, è basato su un racconto di Afanas’ev. Le influenze musicali derivano da melodie popolari russe, dal tango, dal valzer, dal ragtime… Essendo questa opera da camera concepita per essere rappresentata ovunque, egli portò la musica alle persone, al “popolo”. Come un dono al clarinettista Werner Reinhard, che collaborò con Stravinskij per Histoire, egli scrisse questi brevi pezzi solistici [Tre pezzi per clarinetto solo, ndr], di cui il primo movimento è basato su una melodia popolare russa». Come descriverebbe il Kegelstatt Trio di Mozart? «Non ci sono testimonianze sulle circostanze in cui Mozart ha scritto il suo Trio. Possiamo leggere molte spiegazioni e tentativi di ricostruzione, ma nessuno sa realmente perché quest’opera abbia quel sottotitolo (che in italiano suona come “Trio dei birilli”). Sappiamo che Mozart compose un duo per due corni (forse di bassetto?) mentre giocava una partita a birilli. Così gli appassionati di musica amano ipotizzare e seguire la stessa teoria per il Trio. Ma non siamo sicuri, e, a conti fatti, per me non ha nessuna importanza. Direi che sono un amante della musica “poco concreto”, nel senso che amo semplicemente questo brano, cui poi può far seguito un qualsiasi altro brano che amo. Questo approccio potrebbe dare luogo a una lunga discussione a proposito della prassi storica, dei dettagli della partitura e di ciò che veramente conta in una performance e sul modo in cui assemblo il programma per un concerto. Ma forse ne parleremo la prossima volta!». Che cosa rappresenta il klezmer per Jaan Bossier? «Gli arrangiamenti che eseguiremo per Musica Insieme sono nati da una passione che da sempre mi anima nel fare musica. Anche nell’ambito della musica classica sono sempre alla ricerca della libertà all’interno di una cornice stilistica. Ho allargato i confini di questa libertà raccogliendo e rielaborando io stesso i canti ebraici e lasciando che le diverse provenienze dei vari musicisti dell’ensemble si fondessero insieme in una musica klezmer molto individuale». MI MUSICA INSIEME 19 L’INTERVISTA ITAMAR GOLAN Un pianista per amico Il partner più richiesto dai migliori solisti internazionali – Musica Insieme lo ospiterà accanto a Janine Jansen il 14 aprile – si racconta, svelando una vera e propria passione per il nostro Paese di Cristina Fossati L ituano di nascita, ma israeliano di adozione, Itamar Golan giovanissimo viene ripetutamente premiato dall’American-Israel Cultural Foundation con borse di studio che gli consentono di studiare con il Maestro Emmanuel Krasovsky. Trasferitosi al New England Conservatory of Music di Boston, esordisce come solista, arrivando a esibirsi con la Israel Philharmonic Orchestra e i Berliner Philharmoniker, sotto la direzione di Zubin Mehta, oltre che con l’Orchestra Sinfonica del Teatro alla Scala, sotto la direzione di Riccardo Muti. Pianista fra i più seguiti della sua generazione, calca i principali palcoscenici del mondo, ma ben presto si consacra letteralmente alla cameristica, per divenire uno dei pianisti più ricercati da colleghi come Mischa Maisky, Vadim Repin, o Shlomo Mintz, fino a Janine Jansen, che accompagnerà nel suo debutto a Bologna per Musica Insieme il prossimo 14 aprile. Cosi parlava di lui Julian Rachlin, in un’intervista concessa al nostro magazine in occasione di un concerto per la Stagione 2007/08 di Musica Insieme: «Potrei dire che Golan è una sorta di Bruno Canino da giovane. A lui non interessa fare il solista, pur avendolo fatto e con successo. Itamar si è specializzato nella cameristica, e di conseguenza si dedica a questa con una passione davvero profonda. Inoltre, passiamo insieme molta parte dell’anno. Viaggiamo moltissimo insieme, e stiamo negli stessi alberghi ov- “ 20 MI viamente. Insomma, siamo on the road. Ebbene, per poter esserlo senza problemi, oltre alla passione ci dev’essere un’amicizia vera. Tra Itamar e me, e mi ritengo perciò davvero fortunato, esiste quest’amicizia, e influisce positivamente sul nostro modo di suonare assieme. Ormai, potrei dire che anche durante le prove non abbiamo più bisogno delle parole: cresciamo insieme, sentiamo assieme, respiriamo assieme». Da solista richiesto e apprezzato dalle più prestigiose orchestre a livello internazionale, è passato a dedicarsi esclusivamente alla cameristica. A cosa è dovuta questa scelta? «La scelta si è profilata come una vera e propria svolta esistenziale. Da giovanissimo studiavo ovviamente il repertorio solistico, tenevo concerti e recital, ma in seguito attraversai una crisi, non posso certo definirla di mezza età, ma piuttosto di gioventù: smisi del tutto di suonare per un lungo periodo, e quando fui pronto a ritrovare me stesso, la mia vocazione, incontrai i miei compagni d’infanzia e cominciammo a fare musica da camera, con violini, violoncelli e clarinetti… così in qualche modo ho intrapreso quel percorso, e da allora ho trovato sempre più difficile affrontare ancora il repertorio solistico. Sentivo che esso non mi apparteneva completamente, non possedendo fra l’altro quel che si dice ‘cuore e nervi saldi’. Certo, sono qualità necessarie a qualsiasi interprete, in qualsiasi genere si cimenti; tuttavia la carriera solistica, la solitudine sul palco richiedono doti particolari. Così mi è capitato di suonare assieme a molti diversi strumenti, è accaduto in maniera del tutto naturale; ma non la definirei una scelta decisa, piuttosto una debolezza…». Lei è oggi senza dubbio il pianista da camera più richiesto dai migliori solisti; quale è il segreto di questo successo? «Semplicemente il fatto è che sono stato davvero fortunato negli anni a lavorare con artisti incredibili. I miei incontri sono solitamente dettati dal caso e non programmati; mi piace andare incontro a quello che decide il destino nel prendere molte decisioni e spero di continuare a suscitare l’interesse degli artisti anche negli anni a venire». Suonare i più grandi repertori con colleghi diversi, la porta in qualche modo a cambiare la sua interpretazione di ciascun pezzo in maniera consistente? O meglio, come si accosta alle differenti idee dei suoi differenti partner? «Con ogni partner il tipo di lavoro che faccio è differente, con alcuni è più spontaneo e istintivo, con altri è un lavoro più preciso e attento ai dettagli. Ci sono quindi tanti modi e percorsi di fare musica e ricercare la verità artistica. Anche il mio ruolo cambia da un momento all’altro, a volte mi ritrovo nel ruolo di colui che guida, altre volte in quello di chi segue. Si tratta di una co- Sono felice di ritornare a Bologna con la mia amica Janine Jansen, una musicista unica, oltre che un'artista fra le più versatili MUSICA INSIEME “ stante rotazione dei ruoli in cui il proprio ego non deve preoccuparsi del ruolo che riveste, ma mirare a raggiungere il miglior risultato possibile». L’anno scorso ha suonato per i Concerti di Musica Insieme al fianco di Vadim Repin. Che ricordo ha di quel concerto? «Ho un ricordo molto bello di Bologna dal momento che ho suonato spesso nella vostra città, l’ultima volta fu appunto l’anno scorso con Repin. Sono dunque molto contento di ritornarci con la mia amica Janine Jansen, che, secondo il mio punto di vista, è una musicista unica, oltre che una delle artiste più versatili nella sua abilità di affrontare sempre nuove sfide artistiche e mettere a confronto compositori diversi con stili differenti. Davvero pochi artisti sono in grado di farlo. Siamo inoltre molto contenti che Bologna sia parte di un lungo tour italiano, dal momento che l’Italia ha da sempre un posto speciale nel nostro cuore; la nostra passione per il cibo, i paesaggi e la cultura italiana è davvero immensa». Janáček ha elaborato la Sonata per violino J 7/7 all’inizio della prima guerra mondiale, e di questa opera disse: «Guizzavano nella mia mente i bagliori dell’acciaio affilato…». Quanto è importante conoscere la storia compositiva di un’opera per suonarla al meglio? «Sicuramente da una parte è importante sapere quando e perché un’opera è stata composta, dal momento che la conoscenza di questi particolari è cultura e coscienza artistica; dall’altra parte la sola conoscenza intesa come possedere certi tipi di informazioni è una cosa di poco conto; tu puoi essere intelligente e colto ma essere povero come interprete e non avere certe abilità artistiche. A volte inoltre è anche bello imbattersi in una nuova opera lavorando come se si avesse davanti una pagina bianca, quindi senza alcun tipo di pregiudizio che possa influenzare la tua visione artistica e il tuo sentire il brano. Quindi, in conclusione, secondo me l’ideale sarebbe la combinazione della conoscenza e della ricerca dell’anima della musica». MI MUSICA INSIEME 21 L’INTERVISTA ARCADI VOLODOS Una profonda passione A Chiare, mature, meditate le opinioni e le posizioni estetiche del pianista russo che debuttò a Bologna per Musica Insieme nel 2001, protagonista in questi anni di una carriera strepitosa di Alessandro Di Marco rcadi Volodos, ovvero del pianismo brillante, ma profondo. Di quel pianismo capace, cioè, di farci provare il brivido del trapezista, ed al tempo stesso di far risuonare le corde più intime del nostro animo. Musica Insieme è lieta di tornare ad ospitarlo sul suo palcoscenico, tanto più che lo ascolteremo in un programma impegnativo e ricco di suggestioni. Basterebbe leggere i nomi dei compositori: Schubert, Schumann, Brahms. Come a dire il cuore pulsante della produzione pianistica, il nucleo anche emotivo di quella passione romantica che farà proprio del pianoforte – e del pianista naturalmente – il suo motore più efficiente ed efficace. Di tutto questo Volodos è epigono modernissimo, come lui stesso del resto ci racconta nell’intervista che segue. Dalle sue parole apprendiamo la fatica degli esordi e l’importanza di un incontro, che gli ha cambiato la vita. E apprendiamo anche giudizi interessanti, la voce di Volodos emergendo qua e là, è il caso di dirlo, fuori dal coro. Quali sono stati i suoi più importanti maestri (non soltanto in ambito musicale)? «Galina Egiazarova, la mia insegnante di pianoforte, è stata per me anche una guida spirituale. È stata la prima persona che mi ha fatto credere in me stesso come musicista in generale, e nello specifico come pianista. Ho cominciato ad interessarmi al pianoforte all’età di 15 anni, davvero assai tardi per poter anche solo immaginare di intraprendere una “ carriera come virtuoso. Nella scuola dove ho incominciato c’era un corso di pianoforte complementare. Quindi non un corso principale, perché in quella scuola gli studi erano concentrati sulla direzione corale. Molti mi dicevano che era troppo tardi, che mi sarebbero mancate le basi per suonare professionalmente il pianoforte. Ed è in questo ambiente che l’incontro con Galina è stato determinante: mi ha aiutato non solo a formarmi come pianista, ma anche come persona e come musicista. Non mi ha insegnato soltanto la tecnica. La sua era educazione nel senso più ampio del termine. Mi faceva ascoltare, ad esempio, le sinfonie di Beethoven e di Mahler e ne discutevamo a lungo. I suoi giudizi erano importanti per me allora come lo sono adesso, anche se non sempre siamo stati d’accordo su tutto». mia disciplina preferita. In più nella scuola che ho frequentato studiavamo principalmente direzione corale, ma non la tecnica vocale vera e propria. Certo ho cantato nel coro, ma è stato molto noioso, perché, oltre al repertorio classico corale, dovevamo studiare molte canzoni sovietiche di qualità musicale mediocre. Insomma non posso dire che il canto abbia avuto un ruolo principale nel mio avvicinamento al pianoforte. Quello che mi ha aiutato sono da un lato gli studi musicali interdisciplinari che mi sono stati impartiti in quella scuola, e dall’altro l’atmosfera generale che vi regnava, i musicisti che vi lavoravano e i miei compagni appassionati di musica». I suoi primi ricordi musicali? «Con l’età si dà meno importanza ai giudizi, alle critiche, ai premi. Per me persino gli applausi e le lodi del pubblico dopo un concerto non sono molto significativi, perché queste manifestazioni sono spesso dovute ad abitudini culturali, piuttosto che ad un vero e consapevole apprezzamento. C’è un pubblico caloroso e un altro piuttosto freddo, ma questo non ha niente a che vedere con l’impatto che la musica ha avuto su di loro. Quello che conta per me è la qualità di ascolto nella sala durante il recital, il silenzio, il feedback immediato che ricevo dal pubblico, quell’energia che si sente quando si comunica con la gente attraverso la musica». «Il mio patrigno è un grande intenditore di musica e un collezionista di dischi. In casa avevamo anche incisioni rare di pianisti del passato. Rachmaninov così è stato il mio grande maestro. Ammiravo il suo modo di suonare, la sua personalità musicale. Adoravo pure Sofronitski, Cortot, Feinberg». Entrambi i suoi genitori erano cantanti, e lei stesso ha iniziato come ci diceva frequentando una scuola corale: che importanza ha nella sua attività la capacità di far ‘cantare’ il pianoforte? «Mi fanno spesso questa domanda. Ma devo dire che il canto non è mai stato la Quali sono, fra i tanti premi e riconoscimenti (anche personali) ricevuti nella sua carriera, quelli che considera i più significativi? Per me conta la qualità di ascolto nella sala, il silenzio, quell’energia che si sente quando si comunica con la gente attraverso la musica 22 MI MUSICA INSIEME “ C’è un compositore del passato (o del presente) che meriterebbe di essere scoperto, o rivalutato? «Attualmente suono molta musica di Federico Mompou. L’anno scorso ho inciso un cd interamente dedicato a questo grande compositore catalano [il lettore lo troverà recensito nella rubrica Da ascoltare di questo numero, ndr]. Mi dispiace di non ascoltare la sua musica piu spesso nelle sale. Certo questa musica non è di facile reperibilità. Devo dire che io stesso ho impiegato molto tempo a scoprire la sua immensa dimensione metafisica. Però sono rimasto subito affascinato dalle sue armonie, dalle sue sonorità nostalgiche. Per Mompou il silenzio è tanto importante quanto i suoni, il che richiede una speciale concentrazione nell’ascolto. Forse per questa ragione è difficile suonare questa musica nelle grandi sale. Ma una volta percepito, questo silenzio nella musica di Mompou ci rimanda a noi stessi, ci fa vivere in maniera acuta la nostra solitudine, le nostre vibrazioni interiori, ci fa perdere la nozione del tempo». Come ha scelto il programma che eseguirà per Musica Insieme? «Sotto l’urgenza di un bisogno creativo di comunicare qualcosa al pubblico in un dato momento. Devo ‘essere innamorato’ di un compositore, conoscere la totalità delle sue opere (per pianoforte, musica da camera e pezzi orchestrali) e il suo linguaggio musicale. Per esempio, suono a casa tutte le sonate di Schubert, i suoi Lieder, i pezzi da camera, le sinfonie, sebbene in recital presenti solo poche delle sue opere. Bisogna essere sicuri di poter dare qualcosa di speciale al pubblico, altrimenti non vale la pena dedicare così tanto impegno a questo nostro mestiere». Che cosa lega le due composizioni di Schubert che eseguirà nel suo recital bolognese? «Semplicemente, la Sonata D 279, come molte opere giovanili di Schubert, è incompleta, manca il finale. Di conseguenza, l’Allegretto in do maggiore, composto più tardi, la completa perfettamente». Parlando ancora del suo programma: sia i Sei Pezzi op. 118 di Brahms che le Kinderszenen di Schumann sono dedicate alla stessa persona, ossia Clara Schumann. A suo avviso, c’è in queste opere qualche relazione con la personalità, o con il pianismo di Clara, di cui abbiamo numerose testimonianze dell’epoca? «Non conosco la personalità di Clara Schumann né il suo modo di suonare il pianoforte. Penso che questi pezzi non abbiano relazioni tra di loro, a parte appunto il fatto, come lei ha rilevato, che sono dedicate alla stessa persona...». Oggi la musica classica – come la cultura in generale – soffre di una diffusa mancanza di supporto economico, e d’altro canto è sempre più difficile conquistare i giovani alla frequentazione ‘regolare’ dei concerti: quali operazioni promozionali o educative si potrebbero intraprendere per migliorare la situazione? «Credo che il problema sia la mancanza di volontà politica. Con la crisi si ridu- cono le sovvenzioni per la cultura e l’educazione. Un grande sbaglio! Nel lungo periodo, l’esito sarà privare dell’avvenire uomini e nazioni. Degradare il livello culturale della popolazione è facile, ma per rieducarla occorreranno generazioni. Certo, la musica classica, come l’arte in generale, non è mai stata patrimonio del grande pubblico. La sua fruibilità richiede un certo livello di educazione. Ma il sogno dei musicisti classici è proprio quello di condividere la loro arte con il un pubblico il più vasto possibile. Credo che sia possibile ‘rendere popolare’ la musica classica, così come ogni arte in generale». Parlando di giovani, che suggerimenti darebbe a chi si appresta ora ad intraprendere la difficile carriera di musicista ‘classico’? «Non credo di poter dare consigli. Ognuno cerca la propria strada e deve imparare dai propri errori...». MI MUSICA INSIEME 23 IL PROFILO LEOŠ JANÁČEK Tra folklore e ideologia Tra i più sensibili interpreti della modernità, il compositore moravo è sempre stato legato alle tradizioni popolari della sua terra, che risuonano fra l’altro nella Sonata per violino in cartellone per Musica Insieme il 14 aprile di Fabrizio Festa Q uando ci si avvicina a compositori come Leoš Janáček si comprende immediatamente come la storiografia della musica – cioè le basi teoriche sulle quali poi si è fondata l’interpretazione della storia dell’arte dei suoni – contenga troppo spesso elementi di natura ideologica fortemente fuorvianti. La mia personale esperienza di studente rimanda alle “tesine” di storia della musica (la vertiginosa lista che caratterizzava l’esame di storia della musica in Conservatorio), nelle quali si alludeva alla formazione di mai ben delineate “scuole nazionali”. Queste avrebbero preso vita nel secondo Ottocento, per poi confluire nel mare magnum della fine dell’epoca romantica all’incirca all’inizio del XX secolo. In questa cornice, tra i protagonisti stava Leoš Janáček. Vuoi perché vide la luce in Moravia, all’epoca, insieme alla Boemia, parte integrante dell’Impero Asburgico, in quella Brno che ancora oggi ne è la città capoluogo; vuoi perché nacque nel 1854 (il 3 di luglio), quindi a metà del secolo, e la sua vita pe- Leoš Janá ček (1854-1928) 24 MI MUSICA INSIEME raltro terminerà in tempi moderni, il 12 agosto del 1928, quando la sua Moravia già non sarà più asburgica, essendosi formata dopo la fine della prima guerra mondiale la Repubblica Cecoslovacca. Inoltre, che Janáček abbia dimostrato un interesse particolare per le tradizioni musicali popolari della sua terra è un fatto acclarato. Per molti anni si è dedicato agli studi musicologici, focalizzati sulla tradizione folklorica morava, e certamente tali studi – che lo portarono nel 1906 a pubblicare un’ampia silloge dei Canti nazionali cechi in Slesia e in Moravia – hanno avuto una specifica influenza sulla sua estetica compositiva. Ma accanto a questi andrebbero considerati altri elementi, altrettanto importanti. Come l’incontro con Dvořák negli anni della formazione praghese (1874-1875). Gli anni trascorsi in seguito a specializzarsi presso il Conservatorio di Vienna. E poi gli studi di psico- e fisioacustica, che Janáček approfondì in quel medesimo periodo, affrontando le ricerche di Wundt e Helmholtz. Infine, da non sottovalutare è la sua adesione al movimento politico fondato dal filosofo Tomas Masaryk, figura centrale nella vita politica non solo morava prima e cecoslovacca poi, ma più in generale europea proprio nei cruciali primi trent’anni del Novecento. Un movimento d’ispirazione socialista, con forti venature progressiste, nel quale trova ampio spazio una delle variazioni sul tema del “popolo”, architrave del pensiero filosofico (ed estetico) romantico. Insomma, più che di scuole nazionali, si dovrebbe parlare di variazioni sul tema di “popolo”. In questo Janáček è tra i più originali. Il “popolare” nella sua musica non è presentato come un mero contributo coloristico. Anzi, spesso è riletto e filtrato attraverso la sua personalissima concezione non solo della composizione, ma anche dell’armonia, di cui troviamo puntuale ed illuminante descrizione nel Trattato completo di armonia, dato alle stampe nel 1913. Dunque, Janáček – seguendo quella linea che quasi un secolo prima era stata tracciata da Schiller – costruisce il suo pensiero musicale intrecciandolo con riflessioni di tipo estetico, politico, ideologico, la cui somma trova esito concreto nelle sue partiture. Basterebbe pensare alla matura Messa Glagolitica. Oppure, all’opera satirica Il viaggio del signor Bruček sulla Luna, pagine che, pur nel loro porsi ai due estremi dell’esperienza artistica di Janáček, ben ne esemplificano la sostanza ideologica. Peraltro, da sincero epigono del romanticismo, Janáček è convinto che le forme musicali vadano piegate alle esigenze dell’espressione e del sentimento. Ecco il secondo Quartetto d’archi Lettere Intime. E naturalmente l’opera lirica: Jenu° fa, Kát’a Kabanová, L’Affare Makropulos, dove Janáček non esita ad omaggiare persino il gotico, che del romanticismo è venatura intensa e potente. Insomma, i temi patriottici, l’elemento popolare, non sono pertinenza di una presunta (ma inesistente) scuola nazionale, ma s’inseriscono nel contesto di quella lunga onda romantica, la cui schiuma ancora bagna persino i nostri giorni. In questa prospettiva, Janáček è tra i più sensibili interpreti della modernità, qui intesa come la transizione tra Otto- e Novecento. Il suo è un contributo fortemente innovativo, pur innestandosi nelle robuste radici di quanto era venuto sviluppandosi nei primi cinquant’anni del XIX secolo. Potremmo inserirlo in quel novero di innovatori, i Mahler, i Korsakov, i Respighi, il cui contributo poi troverà eco nella seconda metà del XX secolo, magari in ambiti del tutto o in parte diversi, come quello della musica per film. I LUOGHI DELLA MUSICA Dalla scena al dipinto Nell’ambito della mostra dedicata ai dipinti dell’Ottocento a Bologna, ospitata presso la Pinacoteca Nazionale fino al 27 aprile, spicca il ritratto della tragica eroina donizettiana L di Maria Pace Marzocchi ’11 novembre 1834 al Teatro Comunale di Bologna andò in scena Anna Bolena, tragedia lirica di Felice Romani musicata da Gaetano Donizetti. Una serata trionfale anche per l’eccellenza della primadonna Giuditta Pasta, che rinnovò il successo del 1830 alla ‘prima’ di Santo Stefano al Teatro Carcano di Milano. Il giovane Donizetti, nell’ottobre di quell’anno ospite della cantante nella villa di Blesio sul lago di Como, in poco più di un mese ultimò lo spartito, tracciando un ruolo appositamente ritagliato sulle doti vocali del soprano, e ad un tempo perfettamente consequenziale con il nuovo libretto di Romani, che per la storia dell’infelice moglie di Enrico VIII aveva attinto soprattutto all’omonima tragedia del conte bolognese Alessandro Pepoli edita a Venezia nel 1778, fondata sulla tematica della tirannide a quel tempo molto in voga. Tra gli spettatori del Teatro Comunale vi era anche il pittore russo Karl Brjullov – allora ospite dello scultore Cincinnato Baruzzi – che restò folgorato dall’interpretazione della cantante. Ne sortì il Ritratto di Giuditta Pasta nella scena della pazzia dell’“Anna Bolena” di Donizetti: un’immagine a grandezza naturale che a Bologna fece molta impressione, contribuendo alla nomina di Accademico d’onore del pittore pietroburghese. Solo dopo qualche anno il ritratto fu consegnato a Giuditta Pasta, che lo conservò nella villa di Blesio fino alla morte nel 1865, destinandolo poi al Teatro alla Scala nel cui museo si trova tuttora. Ma quello di Brjullov non fu l’unico dipinto ‘bolognese’ dedicato alla tragica eroina donizettiana. Nel 1843 Alessandro Guardassoni vinse il Piccolo premio Curlandese di pittura (riservato agli allievi dell’Accademia bolognese) con la tela Anna Bolena forsennata sentendosi priva del diadema reale, organizzata privilegiando un punto di vista fortemente ravvicinato e fissando, come in uno scatto fotografico avanti lettera, il momento in cui la regina, rinchiusa nella torre di Londra prima della condanna a morte, vaneggia sulla sua sorte. Privata dell’emblema regale, ma ancora regalmente abbigliata come indicano l’abito arabescato d’oro, la sopravveste di velluto rosso bordata di ermellino e la collana con il ritratto del re, Anna Bolena è preda di un turbamento estremo, tradotto nel gesto esasperato e negli occhi sbarrati, che fissano lo spettatore senza vederlo. I colori sono accesi, quasi violenti, accentuati da quel fascio di luce che investe la regina. Rispetto al dipinto di Brjullov, che lascia spazio alla messinscena della prigione e all’impeto dell’azione, Guardassoni ha inquadrato lei sola: buio tutt’intorno, se non fosse per il poco lume che filtra dalla stretta finestra… Vera primadonna da melodramma, l’Anna Bolena di Guardassoni concentra il gesto della follia bloccandolo in un’istantanea che è per sempre la scena XII del secondo atto, quando l’azione precipita verso la catastrofe tragica secondo la poetica manzo26 MI MUSICA INSIEME Alessandro Guardassoni (1819-1888), Anna Bolena forsennata (1843) niana, e l’eroina appare nel delirio e nel vaneggiamento tra un sogno ingannevole di felicità e l’improvvisa coscienza della realtà: È questo giorno di nozze. Il re m’aspetta… …manca a compiere il delitto d’Anna il sangue, e versato sarà. La tela, di proprietà dell’Istituzione Galleria d’Arte Moderna di Bologna, è ora esposta in Pinacoteca, insieme ad altri dipinti ottocenteschi scelti da un corpus di parecchie centinaia, per permettere la visione, seppur temporanea, di una parte delle opere delle raccolte statali e civiche che sono ancora in attesa di quel ‘Museo dell’Ottocento’ da collocare in un luogo che verrà… L’Ottocento a Bologna nelle collezioni del MAMbo e della Pinacoteca Nazionale Pinacoteca Nazionale – Bologna, via delle Belle Arti 56 fino al 27 aprile 2014 I CONCERTI marzo/maggio 2014 Lunedì 10 marzo 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 MAHLER CHAMBER SOLOISTS JAAN BOSSIER................................................clarinetto ANNA PUIG TORNÉ......................................viola ULRICH ZELLER...............................................contrabbasso AN RASKIN.........................................................fisarmonica SIMON CRAWFORD-PHILLIPS...........pianoforte Musiche di Mozart, Bruch, Stravinskij, tradizionale/Jaan Bossier Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 17 marzo 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 I SOLISTI DI MOSCA YURI BASHMET..........................................viola e direttore Musiche di Britten, Paganini, Čajkovskij Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Martedì 8 aprile 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 RADU LUPU.....................................................pianoforte Musiche di Schumann, Schubert Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 14 aprile 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 JANINE JANSEN........................................violino ITAMAR GOLAN...........................................pianoforte Musiche di Chausson, Janáček, Schubert, Ravel Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Lunedì 12 maggio 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 ARCADI VOLODOS...................................pianoforte Musiche di Schubert, Brahms, Schumann Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 [email protected] - www.musicainsiemebologna.it Lunedì 10 marzo 2014 Da Mozart alla musica klezmer: questo l’originale percorso dei Mahler Chamber Soloists, l’ensemble che ha fatto del dialogo interculturale uno dei suoi principali obiettivi di Luca Baccolini Rarità sonore I An Raskin ncrociare le date dei compositori regala sempre sorprese. E do come un abuso. In fondo, persino l’ottantaseienne Vaughan fa sembrare la storia della musica, in apparenza così dilata- Williams, in Inghilterra, scrive ancora la sua Nona Sinfonia quanta, un salotto dalla genealogia ristretta. Max Bruch (1838- do i futuri Beatles si stringono la mano per le presentazioni, al 1920) è segnalato compositore di sicuro avvenire da Ignaz Mo- tramonto degli anni Cinquanta. Quella di Bruch, però, è un’espescheles (1794-1870), a sua volta allievo di Salieri, il cui coevo è rienza da non sacrificare frettolosamente al totem del modernismo. quasi offensivo specificare. Mentre il placido e barbuto tedesco E chi lo ricorda solo per il suo Concerto per violino op. 26 (mencompone i suoi Otto Studi op. 83 per clarinetto, viola e pianoforte, delssohniano fino al parossismo) gli rende cattiva giustizia quaIgor Stravinskij ha già compiuto 28 anni: sembrano pochi, ma si come se lo dimenticasse del tutto. La sua musica è onestamente a quell’età ha appena lasciato la Russia per la priromantica dall’inizio alla fine: non ha un pema volta. Destinazione fatale: Parigi. È il 1910. riodo pre, né un periodo post, né una fase di Dalle parti di Berlino si fa musica intima e cretransizione. Il suo conservatorismo legato a puscolare, dall’altra fermentano idee che di lì a Mendelssohn e Schumann, unito alla lontapochi mesi daranno tre manrovesci alle abitunanza antipode da Liszt e Wagner, può sugdini musicali del vecchio continente ormai prongerirci in apparenza il ritratto di quel sinfonito alla guerra: L’oiseau de feu, Petruška e Sacre du smo tedesco involuto e stantio che, dopo Beeprintemps. Mondi reciprocamente alieni battothoven e Schumann, non seppe trovare fino a no la stessa terra, respirano la medesima aria, si Brahms un nuovo e altrettanto valido epigoguardano, si voltano le spalle, ma convivono. È no. Quella generazione, tra gli anni Venti e i il destino dei longevi trovarsi prima o poi proTrenta del XIX secolo, crebbe una lunga e diaiettati nel futuro, forse vivendolo loro malgra- Simon Crawford-Phillips fana nomea: Gernsheim, Fuchs, Draeseke, Die- 30 MI MUSICA INSIEME Foto Deniz Saylan LUNEDÌ 10 MARZO 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 MAHLER CHAMBER SOLOISTS JAAN BOSSIER clarinetto ANNA PUIG TORNÉ viola ULRICH ZELLER contrabbasso AN RASKIN fisarmonica SIMON CRAWFORD-PHILLIPS pianoforte Wolfgang Amadeus Mozart Kegelstatt Trio in mi bemolle maggiore KV 498 per clarinetto, viola e pianoforte Max Bruch Otto Studi op. 83 per clarinetto, viola e pianoforte Igor Stravinskij Tre Pezzi per clarinetto solo Tradizionale/Jaan Bossier arrangiamenti per ensemble klezmer Anna Puig Torné trich, Goetz, Bronsart. Virtuosi alcuni, ma spesso compositori di terz’ordine. Bruch, invece, se ne stacca vistosamente ancor oggi, perché è illuminato da una vena melodica genuina, subito riconoscibile, come ebbe in dono l’europeizzato Anton Rubinstein in Russia. «Quello è Bruch», si potrà dire dopo averne ascoltato i tre concerti per violino, le tre sinfonie (magistralmente incise da Kurt Masur), la Scottish Fantasy o il celebre Kol Nidrei ebraico per violoncello e orchestra. O ancora, la musica corale e certe forme cameristiche talmente desuete già ai loro tempi (un Settimino del 1849 e un Ottetto del 1920!) da ispirare tenerezza. Non meno inconsueto è l’organico degli Otto Studi in programma. La formazione per clarinetto, viola e pianoforte appare di rado nella storia della musica, benché percorra trasversalmente i secoli da Mozart (che sarà in programma con il Kegelstatt Trio) a Françaix. Ciò che importa, all’ascoltatore, è l’impasto timbrico molto più morbido e levigato rispetto ai trii con la tradizionale presenza del violino primadonna. E questo insolito amalgama regala finezze espressive inaspettate, oltre che un suono generalmente più pastoso, che appaga il palato senza mai pungerlo. Introduce Giuseppe Fausto Modugno, concertista e docente di pianoforte principale presso l’Istituto “Orazio Vecchi” di Modena Il modello degli Otto Studi, per quanto raro, non è tuttavia nuovo, e giunge a Bruch dalle Märchenerzählungen op. 132 di Schumann, scritte per lo stesso organico e capaci di ispirare in epoca contemporanea l’Hommage à Robert Schumann op. 15 di Kurtág, ancora con clarinetto, viola e pianoforte. Si ascolterà dunUlrich Zeller que una pagina intima e calda, segnata da tinte crepuscolari (tutti gli otto pezzi, tranne il settimo, sono in tono minore), come un momento di cantabile riflessione di un compositore di 72 anni che, saltata la parabola wagneriana, rimane inevitabilmente immune anche al dibattito post-wagneriano. Verrebbe persino da assemblare un quadro di famiglia, pensando che il figlio di Bruch, Max Felix, era I protagonisti L’ensemble è costituito dalle prime parti della Mahler Chamber Orchestra, nata su iniziativa di Abbado nel 1997 e formata da 45 membri provenienti da 20 paesi diversi. L’orchestra si prefigge fra i suoi scopi la promozione del dialogo interculturale e la mobilità delle arti e della musica attraverso le frontiere, e, grazie all’origine plurinazionale dei suoi membri, nel 2011 è stata nominata Ambasciatrice Culturale dell’Unione Europea. I musicisti della Mahler Chamber Orchestra si riuniscono regolarmente in diverse formazioni cameristiche – tutte note con il nome di Mahler Chamber Soloists – per intensificare, nella pratica della musica da camera, quello che considerano l’elemento fondamentale della loro orchestra: il reciproco ascolto e la comunicazione all’interno di un gruppo di personalità musicali consapevoli e autonome. Nel concerto per Musica Insieme saranno impegnati Jaan Bossier, clarinettista e arrangiatore belga, nella Mahler Chamber Orchestra fin dalla fondazione, la spagnola Anna Puig Torné alla viola, che collabora con le principali compagini europee, e il pianista Simon Crawford-Phillips. Negli arrangiamenti klezmer si uniranno a loro il tedesco Ulrich Zeller al contrabbasso e la belga An Raskin alla fisarmonica. MI MUSICA INSIEME 31 Lunedì 10 marzo 2014 un brillante clarinettista e fu, come il padre che insegnò al bolognese Ottorino Respighi, un brillante docente di composizione. In questo romanticismo schietto e schierato, si colgono tutte le fascinazioni etniche che ispirarono altri e più ascoltati brani bruchiani: dalla Fantasia Scozzese alla Suite su temi russi, passando per le sette Danze Svedesi, composte in origine proprio per clarinetto (con pianoforte) e solo successivamente orchestrate. Negli Otto Studi però, il filone nordico vira a meridione, per concedere echi della musica popolare balcanica, forse suggeriti dalla principessa Sophie zu Wied, futura regina d’Albania, nonché dedicataria dell’opera. C’è invece un altro dedicatario con meno sangue blu in corpo, ma ben più ingombrante per la storia della musica. La sua ombra si staglia nei Tre Pezzi per clarinetto solo di Igor Stravinskij, che piace immaginare come prodromi di Preghiera per un’ombra di Giacinto Scelsi. Sembra incredibile che queste brevi pagine siano state scritte nel 1919, solo nove anni dopo gli Studi di Bruch. Ma la loro contiguità cronologica rientra volutamente nel suggestivo accostamento di questo programma. Il clarinetto di Stravinskij, ora ombroso ora acutissimo, ora serrato ora meditativo, nasce da Werner Reinhart, l’amico clarinettista dilettante, fondamentale nel finanziare la prima esecuzione de L’Histoire du soldat diretta a Losanna da Ernest Ansermet. È per gratitudine, forse non disinteressata, che l’autore occhieggia così il suo mecenate arricchito dal commercio di cotone e caffè: «Volevo ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me. Perciò ho scritto questi pezzi, sapendo che voi volentieri suonate lo strumento per la vostra cerchia di amici». Sono pensieri musicali in libertà in cui vengono convogliati richiami di canzoni dell’epoca prebellica e sonorità giapponesi, ma anche schizzi di tango e di jazz. Un concentrato di suoni in meno di cinque minuti di ascolto, che nel programma di Musica Insieme presenterà un’originale serie di interludi con improvvisazioni klezmer. Le stesse, poi, che ispirarono Stravinskij nella locanda “Der Golem”, a Winterthur, in Svizzera, dove Reinhart aveva allestito anche una libreria musicale stravinskiana. Storie tra mecenatismo e amicizia il clarinetto ne ha fornite parecchie, forse per la sua capacità innata di legare e sedurre. E anche il Kegelstatt Trio di Mozart, con lo stesso organico bruchiano, nasce da un’amicizia prima ancora che da una committenza. L’agiografia mozartiana sostiene che le note siano state scritte durante una partita estiva a birilli (da qui il nome dell’opera, che in tedesco suona appunto come Trio dei birilli). Più prosaicamente, sono i primi d’agosto a Vienna in un anno, il 1786, che per Mozart segna l’inizio della fine sul piano economico, poi morale e infine fisico. In quell’anno turbolento, dopo il contrastato debutto delle Nozze, e con introiti sempre più magri dall’attività concertistica, Mozart trova un momento di pace in compagnia di qualche amico fidato. Tra questi, in particolare, vi è Anton Stadler, che si ripresenterà fino all’ultimo, e non senza chiacchiericcio postumo, nella vita di Mozart. In quella partita di bowling DA ASCOLTARE Dopo un’incisione per Sony Classical del Primo e del Terzo Concerto di Beethoven, solista e direttore Leif Ove Andsnes, che ha fatto incetta di premi (Prix Caecilia 2013, Gramophone Awards 2013, iTunes Best of 2012), la Mahler Chamber Orchestra ha appena concluso la seconda, attesissima tappa del suo Beethoven Journey, uscita nel febbraio di quest’anno e contenente il Secondo e il Quarto dei suoi Concerti. Fra le sue ultime fatiche discografiche va poi segnalata quella che è stata definita «la più emozionante interpretazione d’insieme degli ultimi anni»: ossia il sodalizio con Steven Isserlis e quello rodatissimo con Daniel Harding (che la MCO l’ha per così dire ricevuta direttamente dalle mani di Abbado), impegnati nei Concerti per violoncello di Dvořák. Se il Sunday Times ha paragonato l’esecuzione di Isserlis ai più audaci abbandoni di Jacqueline du Pré con in più la maturità e la saggezza dell’esperienza, l’ultima registrazione della MCO (Nimbus Records 2013) è stata acclamata come un’incisione-guida verso l’opera del futuro: si trattava della prima mondiale di Written on Skin, scritta e diretta da George Benjamin e vincitrice dell’International Opera Award 2013. ante litteram è lui il clarinettista che suggerisce di comporre le prime note in giardino. E cinque anni dopo sarà il dedicatario di quel miracolo musicale che è il Concerto per clarinetto KV 622. Ma la sua presenza non si esaurisce alle intestazioni sullo spartito, alle quali s’aggiunge quella del Quintetto KV 581 e di una parte concertante per clarinetto nella Clemenza di Tito. Anton Stadler, fratello massone, è anche il discusso depositario di alcune partiture mozartiane. Avute per gretto opportunismo, si legge in qualche letteratura: spartiti in cambio di soldi, giri di cambiali tra affratellati della stessa loggia, debiti non onorati, commerci sottobanco. Ma la scena bucolica ispirata dal Trio dei birilli fa pensare ad altro. C’è una malinconica serenità campestre in questo lavoro, privo di forzature esterne, che abdica ai doveri del virtuosismo salottiero e ai contrasti espressivi, in favore di un immediato fluire domestico. Singolare l’organico, ma pure la struttura, con l’Andante che dal centro si sposta all’inizio, per lasciare il campo al Minuetto e all’Allegro finale; e l’impasto sonoro che rifugge il contrasto dei solisti, cercandone la fratellanza. Così nacque questo divertimento estivo, e Stadler stesso si accinse a suonarlo al clarinetto, mentre l’autore attaccava alla viola. Di quella partita a birilli non sapremo mai il risultato, ma sappiamo che fu uno degli ultimi squarci non angosciosi nella vita di Mozart. Per questo è facile scorgere nel clarinetto il timbro caldo e dolente di una nostalgia mal curata nel passato, eppure già impellente nel futuro. Presaga ma sorridente. La consapevolezza malinconica della finitezza del mondo. Quindi, perché strepitare ancora? Lo sapevate che... Priva di una sede fissa, la Mahler può definirsi un’orchestra ‘nomade’, i cui membri, provenienti da diverse nazionalità, ne fanno un’ambasciatrice del dialogo interculturale 32 MI MUSICA INSIEME Lunedì 17 marzo 2014 Ricordi d’Italia Il violista più apprezzato sulla scena internazionale, legato a Musica Insieme da un duraturo sodalizio, guida i suoi Solisti di Mosca in un omaggio all’Italia di Daniele Follero R elegata ad un ruolo subalterno rispetto al violino, più adatto, per le sue caratteristiche timbriche e la maggiore estensione verso il registro acuto, a sostenere le parti solistiche in orchestra, la viola trovò la sua piena realizzazione solo a partire dal XIX secolo. Fu nel Novecento, però, che l’interesse per le sue potenzialità espressive e drammatiche contribuì a dare vita ad un vero e proprio repertorio dedicato allo strumento, grazie anche a virtuosi del calibro di Primerose, Tertis e Paul Hindemith, il quale dedicò alla viola quattro concerti e varie sonate, che eseguiva egli stesso come solista. E violista era stato anche Benjamin Britten, di cui Bashmet e i Solisti di Mosca eseguiranno una delle più intime e intense partiture dedicate allo strumento: Lachrymae – Reflections on a Song of John Dowland. La genesi compositiva di Lachrymae risale al I protagonisti 1949, quando Britten, per convincere il celebre violista e amico William Primerose a partecipare al festival di Aldeburgh, promise di scrivere un pezzo appositamente per lui. La prima esecuzione, infatti, avvenne esattamente un anno dopo, il 20 giugno 1950, con Primerose alla viola e lo stesso Britten al pianoforte. Scritte originariamente per pianoforte e viola, queste variazioni su un song di John Dowland, furono poi riarrangiate per orchestra d’archi dal compositore inglese nel 1976, poco prima di morire, per un altro illustre violista, Cecil Aronowitz. Prima ancora che il carattere compositivo di Britten, Lachrymae mette in risalto due caratteristiche del suo universo musicale: il forte interesse per i compositori del Cinque-Seicento inglese e l’amore per la viola, suo primo strumento, che qui diviene indiscussa protagonista. Le undici parti di cui si com- L’Orchestra dei Solisti di Mosca è stata fondata da Bashmet nel 1984, ed è composta da strumentisti che sono tutti vincitori di concorsi internazionali. Riconosciuta dalla critica come una delle migliori formazioni cameristiche del momento, ha tenuto tournées in tutto il mondo ed è stata protagonista delle celebrazioni per il centenario del Concertgebouw di Amsterdam e della Carnegie Hall di New York. Con un repertorio molto ampio, che si estende dal barocco ai contemporanei, è spesso dedicataria di nuove opere per viola e orchestra di importanti compositori, tra cui va ricordato Alfred Schnittke. La strepitosa carriera internazionale di Yuri Bashmet inizia nel 1976, dopo la vittoria del Primo Premio al Concorso internazionale di Monaco. La prodigiosa sonorità e il magistrale dominio dell’arco ne fanno uno dei solisti più apprezzati al mondo. Ha collaborato con i nomi più prestigiosi del panorama internazionale, tra cui Sviatoslav Richter, Natalia Gutman, Gidon Kremer, Mstislav Rostropovič, Viktor Tretiakov, il Quartetto Borodin. Dal 1997 è direttore artistico del Festival internazionale “Elba Isola Musicale d’Europa”, e dal 2000 è sua la direzione artistica della “Stagione Musicale a Villa Abamelek”,residenzaitalianadell’AmbasciatoreRusso.Dal2003ricoprel’incarico di direttore principale ed artistico dell’Orchestra Sinfonica “Nuova Russia”. 34 MI MUSICA INSIEME pone la partitura sono intese come ‘riflessioni’, più che variazioni, sulla melodia di If my complaints could passion move, lirica scritta da Dowland nel 1597. Fatta eccezione per l’ultima, in cui la linea melodica del brano compare per intero, l’elaborazione del tema principale riguarda solo alcune note, in particolare le prime quattro. Questo tetracordo ascendente, lamento languido e doloroso come una ferita d’amore, rappresenta le fondamenta di tutta la composizione e il suo utilizzo ne determina il profilo sia armonico che melodico. Britten lo utilizza per costruire frammenti musicali alla base dei quali il timbro della viola infonde un carattere scuro, malinconico ma anche spettrale, come le atmosfere rarefatte del Lento iniziale, in cui il tema compare per la prima volta con valori molto lunghi, per poi perdersi nel dialogo tra il solista e il resto degli archi. I riferimenti alla melodia principale diventano sempre più opachi e si disperdono nella materia musicale, fino a riaggregarsi nel movimento finale. Presentare il tema per intero solo alla fine capovolge la struttura classica del Tema con variazioni. In questo caso, la presentazione della melodia principale non è più un punto di partenza, ma diventa il momento della ricostruzione di tutti i frammenti, delle ‘riflessioni’ presentate in precedenza. Tra le quali non mancano citazioni da altre opere dello stesso Dowland, come nel caso della sesta variazione, in cui compare un accenno ad un’altra sua lirica, Lachrymae (Flow my tears) che dà il titolo alla composizione. Se Britten sfrutta la cupezza timbrica LUNEDÌ 17 MARZO 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 I SOLISTI DI MOSCA YURI BASHMET viola e direttore Benjamin Britten Lachrymae op. 48a per viola e archi Niccolò Paganini Concertino in la minore per viola e archi Pëtr Il’ič Čajkovskij Souvenir de Florence in re minore op. 70 per archi Introduce Marco Beghelli, docente nel Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, dove coordina l’Archivio del Canto della viola, in Souvenir de Florence Čajkovskij ne esalta le potenzialità melodiche. Al di là, infatti, di uno stile inconfondibilmente russo, nel suo esplicito omaggio al Bel Paese è proprio con le melodie ariose e cantabili che il compositore russo identifica il ricordo dell’Italia e, in particolare, di Firenze, città dove soggiornò più volte. Per nulla preoccupato di apparire anacronistico agli occhi (e, soprattutto, alle orecchie) di chi, negli stessi anni, tentava di affrancarsi dallo stereotipo che associa la musica italiana unicamente al belcanto e alle melodie orecchiabili, Čajkovskij chiarì la sua posizione in poche righe: «Non mi piace che Busoni faccia violenza alla propria natura e che si sforzi di apparire tedesco ad ogni costo. Qualcosa di simile appare anche in Sgambati. Entrambi si verMI MUSICA INSIEME 35 Lunedì 17 marzo 2014 gognano di essere italiani e hanno paura che nelle loro composizioni appaia qualcosa che possa anche solo somigliare ad una melodia». I quattro movimenti del sestetto d’archi Souvenir de Florence potrebbero considerarsi la traduzione in musica dello stesso concetto. Čajkovskij arrivò per la prima volta in Italia il 20 novembre 1887, ospite di Nadežda von Meck, sua ammiratrice e benefattrice. Sarà lei la fonte d’ispirazione del sestetto, la cui idea e i primi abbozzi nacquero proprio in quel primo soggiorno italiano, sebbene per una vera e propria stesura il compositore attendesse poi tre anni. Pensato per un’esecuzione in casa della von Meck, Souvenir de Florence esordì sì in forma privata, ma all’Hotel de Russie di Pietroburgo, durante le prove della Dama di Picche. La prima esecuzione pubblica, invece, si tenne nel novembre del 1892, sempre a San Pietroburgo, presso la Società di Musica da Camera, cui il sestetto fu dedicato. Più che nel profilo dei temi, inconfondibilmente legati allo stile del compositore russo, è l’uso della melodia, nel Souvenir, ad essere tipicamente “italiano”. Già nel primo movimento, Allegro con spirito, in forma-sonata, il tema dalle reminiscenze popolari, energico e molto marcato ritmicamente, che si impone all’inizio, lascia il posto ad un secondo motivo melodico cantabile, quasi operistico. Un’armoniosità che si ritrova anche nel successivo Adagio cantabile e con moto, in cui la viola e il violoncello si abbandonano a un dolce duetto, accompagnato dal pizzicato degli altri archi e interrotto da una breve sezione centrale, totalmente contrastante, in cui gli strumenti si spostano, vibranti, ansiosi, sul registro alto. Nell’Allegretto moderato le melodie di ispirazione popolare riaffiorano, sostenute da un ritmo di danza e dalla viola solista, piombata in un malinconico registro grave, seguito da un elegante Trio, che rievoca più da vicino certe soluzioni strumentali dello Schiaccianoci. Il finale DA ASCOLTARE Fra le ultime uscite del foltissimo catalogo discografico di Yuri Bashmet insieme ai Solisti di Mosca, va annoverato il cd Onyx del 2007 dedicato a Stravinskij e Prokof’ev, e vincitore di un Grammy Award, cui ha fatto seguito nel 2008 l’incisione di un’antologia ‘cinematografica’ di autori estremorientali come Tan Dun (il Premio Oscar La Tigre e il Dragone) e Toru Takemitsu, in uno struggente omaggio (intitolato appunto Nostalghia) al regista russo Tarkovskij. Dalla sovietica Melodija alla Deutsche Grammophon, sembra proprio che tutte le major abbiano da sempre corteggiato quello che è ormai da decenni il violista più celebre della classica. Per restringere dunque il campo al programma del concerto per Musica Insieme, è da ricordare il remastering del 2000 dell’incisione che vedeva Bashmet a fianco del leggendario Sviatoslav Richter, e che riuniva quelli che sono con ogni probabilità i tre capolavori novecenteschi per viola e piano: le Sonate di Šostakovič e Hindemith, e Lachrymae di Britten. Era il 1993, l’etichetta era la mitica Melodija, appunto, declinata per l’esportazione extra-URSS come MK, ossia Mezhdunarodnaja Kniga (letteralmente “Libro Internazionale”). ha un carattere spiccatamente polifonico e al suo interno contiene anche una breve fuga, senza che ciò intacchi l’ampio respiro delle melodie. Il repertorio da camera di Paganini presenta esattamente l’altra faccia del musicista avvezzo alla dimensione concertistica, acclamato e osannato genio del violino e domatore di grandi platee. Nelle partiture per piccoli ensemble emerge il lato più intimo del musicista, una maggiore attenzione per una musica d’insieme che «non è però musica da consumare e da mettere in un canto; è musica d’intrattenimento, certo, ma non d’occasione, e scritta con un’attenzione per i particolari che rivela come Paganini la tenesse in alta considerazione» (Prefumo). Se la fama di eccellente violinista attribuita a Paganini è conclamata ed ha rappresentato, nel tempo, uno degli elementi che più hanno contribuito ad accrescere il suo mito, è meno noto che il compositore ligure fu anche un virtuoso di altri strumenti, tra i quali la chitarra e la viola, che trovarono grande e importante spazio proprio nelle sue partiture cameristiche. Tra queste spiccano i quindici Quartetti, scritti tra il 1818 e il 1820, nei quali la chitarra sostituisce il secondo violino, dando vita ad una formazione inedita rispetto al classico quartetto d’archi. Il Quindicesimo Quartetto in la minore, che i Solisti di Mosca eseguiranno in una trascrizione per soli archi (denominata Concertino in la minore per viola e archi), si distingue dagli altri poiché la parte del solista non è affidata al violino, bensì alla viola. Una scelta, questa, che conferisce al colore di tutta la composizione un tono scuro, drammatico. In equilibrio tra stile concertato e sonatistico, il Quartetto si apre con un Maestoso dominato da un primo tema vigoroso, energico, il cui sviluppo si impone sulla dolcezza del secondo motivo, spaziando nei diversi ambiti tonali dei quattro strumenti e sfruttandone sia le potenzialità timbriche sia quelle virtuosistiche. Al primo movimento segue un Minuetto a canone in cui, nella versione originale, il Trio è affidato alla sola chitarra. L’espressività della viola torna protagonista nel successivo, intensissimo Recitativo (Andante sostenuto con sentimento), seguito dallo spiccato lirismo dell’Adagio cantabile. Il finale, affidato a un Rondò (Allegretto) dai tratti popolareggianti e molto lontano dalle atmosfere drammatiche dei precedenti movimenti, sembra rompere un incantesimo, riportando l’ascoltatore dal sogno alla realtà del quotidiano. Lo sapevate che... Bashmet è il direttore artistico del Festival che si tiene in occasione delle Olimpiadi di Sochi, con numerosi concerti e 9 prime assolute di opere per viola a lui dedicate 36 MI MUSICA INSIEME Martedì 8 aprile 2014 Sonata vs miniatura Un raffinato programma ottocentesco, fra Schumann e Schubert, per l’atteso ritorno nel cartellone di Musica Insieme del pianista rumeno di Maria Chiara Mazzi È una vera gara dialettica ed estetica quella tra i compositori dell’Ottocento e le grandi forme ereditate dalla tradizione del classicismo: la sonata, la sinfonia, il concerto… Secondo la concezione estetica romantica, che affondava le sue radici negli scritti dei grandi filosofi apparsi sulla rivista berlinese Athenäum, la forma prestrutturata doveva essere infatti sostituita dal ‘frammento’ che, come dice Schlegel, è «simile a una piccola opera d’arte, deve essere completamente separato dal mondo circostante e perfetto in se medesimo, come un riccio». Piccolo capolavoro essenziale ed autosufficiente, il frammento (che in musica ci piace chiamare ‘foglio d’album’), prescindendo dall’apparente contraddizione che ce lo fa immaginare come ‘parte’ di qualche cosa, racchiude invece completo il mondo espressivo dell’autore, non deve rispondere a nessuna forma precostituita, si adatta ogni volta alle necessità espressive Radu Lupu e concretizza l’istantaneità dell’ispirazione esaurendosi nello spazio di poche pagine o, a volte, anche solo di poche battute. Se nei casi migliori (ad esempio in Chopin) il frammento era stato sublimato e idealizzato in un ambito quasi totalmente astratto, Schumann, che aveva tra le sue letture preferite proprio i testi dei letterati tedeschi dei primi decenni del secolo, compie un passo ulteriore e risolve il problema dell’apparente frammentarietà inserendo ogni brano all’interno di un pensiero di ben più ampio respiro. Da un lato, attraverso l’invenzione del ‘ciclo’, pagine di diversa natura e di diversa struttura e ampiezza raggiungono proprio nel loro accostamento una superiore unità, una logica e un senso, proponendoci la visione di mondi poetici lontanissimi dove ogni piccolo brano nella sua originalità è parte di un più vasto universo. Nel ‘ciclo’, infatti, pagine di semplice forma bipartita o tripartita, con strutture rigide o in di- Nato in Romania nel 1945, Radu Lupu ha debuttato a soli dodici anni in un concerto con un programma interamente costituito da musiche da lui stesso composte. Dopo la vittoria in tre importanti concorsi internazionali, il “Van Cliburn” nel 1966, l’“Enescu” nel 1967 ed il Concorso di Leeds nel 1969, ha dato inizio a una lunga e straordinaria carriera che da oltre cinquant’anni lo vede esibirsi regolarmente nelle sale più rinomate e con le più prestigiose orchestre europee ed americane, tra cui Berliner Philharmoniker, Royal Concertgebouw Orchestra, Wiener Philharmoniker, London Philharmonic Orchestra, Chicago Symphony Orchestra e Orchestre de Paris. Ha collaborato con direttori del calibro di Daniel Barenboim, Riccardo Muti, Carlo Maria Giulini, Herbert von Karajan, Claudio Abbado. Si esibisce in tutti i più importanti festival e rassegne musicali ed è ospite regolare dei Festival di Salisburgo e di Lucerna. Ha ricevuto il Premio “Arturo Benedetti Michelangeli” e, per ben due volte, il prestigioso Premio “Abbiati”, assegnato dall’Associazione dei Critici italiani. 38 MI MUSICA INSIEME Foto Mary Roberts MARTEDÌ 8 APRILE 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 RADU LUPU pianoforte Robert Schumann Bunte Blätter op. 99 Franz Schubert Sonata in la maggiore D 959 Introduce Maria Chiara Mazzi, docente al Conservatorio di Pesaro e autrice di libri di educazione e storia musicale suso (come scherzi o minuetti) o di singolarità senza antecedenti né eredi, vivono ciascuna di una perfetta autonomia, ma acquistano senso solo collegate insieme, con uno sguardo allargato di esplicito intento descrittivo o narrativo, per raccontare storie (come accade ad esempio in Carnaval o in Kinderszenen) o per dare suono a contenuti letterari e filosofici (come in Davidsbündlertänze o in Kreisleriana). Dall’altro lato stanno le ‘raccolte’, dove il compositore affianca brani spesso preparati in epoche e con motivazioni diverse, come accade nei Bunte Blätter (composti da Schumann per ragioni e in momenti diversi tra il 1836 e il 1849 e pubblicati nel 1852; “Fogli multicolori” perché inizialmente era sua intenzione far pubblicare ogni brano su pagine di colori diversi), che pur non pensati organicamente sono trasformati in pura espressione poetica coerente dal fatto di essere stati riuniti proprio in quel modo dall’autore stesso. Quattordici pezzi, di forma varia, i primi otto più brevi, gli ultimi sei più vasti, costituiscono la raccolta alla quale con una buona quota di falsa modestia l’autore voleva inizialmente dare il nome di Spreu, letteralmente ‘pula del grano’, o, metaforicamente, come le ‘nugae’ catulliane, cianfrusaglie, inezie, cose di poco conto. Tuttavia, come i letterati non rinunciano al romanzo, i musicisti non rinunciano alla sonata, che pure esteriormente appartiene alla categoria delle forme ‘precostituite e rigidamente strutturate’. La affrontano a modo loro, non solo e non tanto allontanandosi dai modelli (a quelli aveva già rinunciato Beethoven!), ma trasferendovi le stesse istanze che trovavano fulminea attuazione nel frammento. Come scrive Rattalino proprio a proposito di Schubert, «la sonata non esprime più la volontà di trasformare il mondo, cioè la tendenza ad esercitare una pressione psicologica nei confronti dell’ascoltatore. Il tempo della musica non simbolizza più il tempo della coscienza: è un tempo onirico nel quale l’attimo si dilata e si riempie di una infinità di contenuti psicologici senza condurre alla catarsi». Paradossalmente, è proprio Schumann, cioè colui che fa della ‘forma-frammento ridotta alla sua originaria unità’ il suo caMI MUSICA INSIEME 39 Martedì 8 aprile 2014 DA ASCOLTARE Riassumere in poche righe l’impegno discografico di un artista come Radu Lupu è pressoché impossibile. Il suo percorso in vinile comincia negli anni Settanta del secolo scorso ed ovviamente arriva ai file audio dei nostri giorni. Dunque, più o meno quarant’anni di lavoro in studio, nei quali certi elementi sono però sempre presenti. Beethoven, ad esempio. Ma anche e soprattutto Schubert. Per la Decca incide una scelta delle Sonate già nel ’75 e nel ’77. Poi ancora nel ’91 e nel ’93 eccolo incidere un’antologia liederistica con Barbara Hendricks. Nel mezzo, molto Beethoven, abbastanza Brahms, qualche Mozart (inclusa la registrazione dei concerti per due e tre pianoforti realizzata assieme a Murray Perahia per la Sony ancora nel 1991). Scavalcato il millennio, Schubert continua a trovare ampio spazio nella discografia di Lupu, mentre di Franck e Debussy troviamo solo l’incisione delle Sonate per violino e pianoforte proposta nel 1988 in una compilation di cd. Fedele alla Decca, la casa discografica inglese lo omaggia nel 2010 e nel 2011 di due fondamentali antologiche: The Complete Decca Solo Recordings e The Complete Decca Concerto Recordings. vallo di battaglia, ad apprezzare e a capire forse per la prima volta la grandezza e il coraggio delle sonate di Schubert. Schubert che con gli ultimi capolavori del 1828 (D 958, 959 e 960) aveva tentato invano di conquistare una Vienna ostile alla sua arte e che di lui aveva saputo apprezzare unicamente quei ‘fogli d’album’ che il compositore preparava quasi solo per garantire la propria sopravvivenza. Eppure è proprio in queste ultime composizioni, pubblicate postume da Diabelli nel 1839, che prende il via una nuova strada per questa forma che dopo Beethoven sembrava non avere quasi più nulla di nuovo da dire. «Queste sonate mi sembrano spiccatamente differenti dalle altre sue» scrive Schumann proprio riferendosi ai tre ultimi capolavori, «specialmente per una molto più grande semplicità d’invenzione, per una volontaria rinuncia a brillanti novità in cui egli altra volta si compiaceva, per lo sviluppo di certe generali idee musicali, mentre altra volta sovrapponeva periodo su periodo. Come se ciò non potesse aver mai fine, non fosse mai in imbarazzo per proseguire, corre avanti di pagina in pagina sempre musicale e ricco di canto, interrotto qua e là da singoli sentimenti violenti, ma che presto si calmano nuovamente». E continua: «Se volessimo dimostrare nei particolari perché le sue opere debbano essere dichiarate composizioni di altissimo valore occorrerebbero dei volumi, cosi multiformi sono i pensieri e le azioni dell’uomo, altrettanto molteplice è la musica di Schubert. Ciò che egli vede con l’occhio e tocca con mano, si trasforma in musica». Queste composizioni costituiscono quindi un’alternativa alla funzione della musica per pianoforte nell’epoca della Restaurazione, della quale le Sonate di Beethoven sembrano totalmente dimenticarsi. Un’ipotesi alternativa, ma anche una possibilità di futuro di una forma che il romanticismo non avrebbe rifiutato, nonostante i proclami sulla ‘libera ispirazione’. In esse Schubert si libera del ‘fantasma di Beethoven’ e mostra al futuro come questa forma avesse le potenzialità per esprimere la nuova poetica, divenendo la migliore risposta a chi si chiedeva quale stile sonatistico fosse possibile utilizzare dopo gli ultimi capolavori beethoveniani in questo campo. La risposta schubertiana è chiarissima, frutto di una genialità diversa da quella del grande tedesco a lui contemporaneo: in un clima culturale e artistico mutato, con uno strumento dalle possibilità espressive più avanzate, si può scrivere qualsiasi cosa, considerando Beethoven non come punto di partenza, ma come esempio di una fase della storia ormai conclusa. Il sonatismo di Schubert non è lo specchio di un’idealità eroica e non possiede i messaggi di fratellanza universale e di impegno verso l’umanità della musica beethoveniana, poiché questi ideali erano crollati col Congresso di Vienna. Esso è il ritratto dell’ambiente culturale di una città stanca, in cui il messaggio si fa personale ed è rivolto ai pochi amici del salotto o del circolo. Tuttavia questa concezione musicale, lungi dall’essere di basso profilo e di poco impegno, possiede una ricchezza e un’originalità dalle quali è assente il virtuosismo fine a se stesso, e che pone Schubert oltre Beethoven, a costruire l’esempio di un mondo ideale che vivrà per tutto l’Ottocento. Le ultime sonate per pianoforte, poi, sono come parole che il compositore non rivolge più a nessun altro che a se stesso. E in particolare proprio questa Sonata in la maggiore sembra attingere a una serenità lontana dalla quotidianità, quasi nella consapevolezza dell’imminente distacco. In questo modo si spiega l’energia, ma anche il vagare fantastico del primo movimento, affiancati alla lancinante tristezza del secondo, da alcuni critici definito una “berceuse del dolore”. A questa pagina si contrappone lo Scherzo, che ha la semplicità danzante del mondo viennese, prima del conclusivo Allegretto, apoteosi di quella “divina lunghezza” tanto apprezzata da Schumann. Si tratta di un rondò dalla chiarezza e dalla luminosità quasi arcadica e che, pur velato a momenti di una strana inquietudine, si chiude con un vigore e una positività che ricorda le decise affermazioni del movimento iniziale. Finisce, la Sonata (per leggere ancora Schumann) «di buon umore, leggero e gentile, come se l’indomani potesse di nuovo cominciare. E se sul suo epitaffio sta scritto che lì giacciono sotterrate “un prezioso possesso, ma ancor più belle speranze”, noi vogliamo ricordarci riconoscenti soltanto del suo “prezioso possesso”. Arrovellarsi su che cosa egli avrebbe potuto ancor raggiungere non conduce a nulla. Egli ha fatto abbastanza e sia venerato chi come lui ha vagheggiato e portato a compimento tante cose». Lo sapevate che... Radu Lupu inizia a studiare il pianoforte a 6 anni nella nativa Romania e debutta in pubblico a soli 12 anni, con un intero programma di musiche da lui stesso composte 40 MI MUSICA INSIEME Lunedì 14 aprile 2014 Padri e figli Al suo debutto nel nostro cartellone, la straordinaria violinista olandese sceglie un programma che attraversa l’Europa fra Otto e Novecento di Valentina De Ieso C habrier, Colette, Cortot, Debussy, d’Indy, Fauré, Mallarmé, Monet. Potrebbe sembrare l’indice dei nomi in calce ad un volume sulla cultura francese del tardo Ottocento, ma potrebbe anche verosimilmente essere la lista degli invitati nelle mani del maggiordomo di casa Chausson, a Parigi, in una sera qualunque. Nel suo salotto si riunivano infatti artisti, compositori, poeti, che in lui trovavano un amico e un mecenate colto e generoso. Come segretario della Societé Nationale de Musique infatti, circondato dalle menti più brillanti del suo tempo, Chausson ricreò un mondo ideale, dove contemplare opere d’arte, o ascoltare musica, sfuggendo alla depressione che lo tormentava già dalla più tenera età. Nato nel 1855, unico sopravvissuto di tre fratelli, Amédée-Ernest Chausson si portò addosso il fardello delle angosce materne, crescendo in un ambiente isolato, nelle mani di severi precettori che ne fecero un uomo di rara cultura e di ancor più rara insicurezza e fragilità (il destino avrebbe poi dato ragione alla madre, quando una caduta in bicicletta lo avrebbe ucciso quarantaquattrenne). Il padre, collaboratore del Barone Haussmann, sognava per lui la carriera politica, che Ernest non intraprese mai. Studiò invece al Conservatorio di Parigi con Massenet e Franck, ma il momento decisivo per la sua formazione musicale fu il viaggio a Bayreuth, insieme a d’Indy, per assistere alla prima di Parsifal, da cui fu completa- mente folgorato. Fece della diffusione delle idee wagneriane una vera e propria missione, applicandole soprattutto nella sua produzione teatrale. Insicuro e fortemente critico verso se stesso, Chausson dubitava delle proprie abilità compositive, e a conti fatti anche Poème op. 25 è la storia di una rinuncia. Nel 1896 il celebre violinista Eugène Ysaÿe gli commissionò un concerto per violino, ma Chausson, sostenendo di non sapere affrontare una forma così complessa, propose un brano in forma libera. Vi lavorò per pochi mesi, ma non senza continui ripensamenti, tanto che l’opera ha cambiato titolo per ben tre volte: Le Chant de l’amour triumphant, Poème symphonique ed infine solo Poème. Il canto dell’amore trionfante era un racconto di Turgenev, che Chausson stimava profondamente. Si vociferava che l’argomento dell’opera, un triangolo amoroso nella Ferrara cinquecentesca, fosse ispirato alla relazione di Gabriel Fauré con la giovane figlia dei mecenati di Turgenev. Chausson, che conosceva tutti gli implicati nella vicenda, aveva deciso di metterla in musica, per poi rinunciarvi. Aveva approntata una versione con accompagnamento pianistico, ma fu nella veste orchestrale che l’opera fu presentata prima a Nancy e poi a Parigi da Ysaÿe, nell’aprile del 1897, con un tale apprezzamento del pubblico da sconcertare lo stesso compositore. I cupi accordi iniziali del pianoforte lasciano spazio all’intervento del tema del violino: una melodia struggente, sentimentale, poi ripresa dal pianoforte. I due strumenti continuano ad alternarsi: brevi interventi del pianoforte interrompono lunghe frasi appassionate del violino, sino al finale, un climax di struggimento ed esasperazione. La forma estremamente libera lascia fluire un sentimento debordante, ora doloroso, ora pieno di passione: il mondo interiore turbato di un gentiluomo all’apparenza elegante e posato, che ha combattuto tutta la vita contro i suoi fantasmi infantili. Chausson era appena nato quando Joseph Ravel, dal collegio svizzero in cui studiava, scriveva alla madre chiedendole il permesso di imparare a suonare la tromba. A quanto pare l’autorizzazione non arrivò mai ed egli divenne uno stimato ingegnere. La passione per la musica rimase però intatta tanto che suo figlio Maurice sosteneva di aver ereditato da lui quell’inclinazione che lo avrebbe portato a diventare uno dei compositori più importanti della modernità. E proprio mentre Poème incantava Parigi, Ravel si approcciava per la prima volta alla composizione di una sonata per violino. L’opera non piacque, troppo influenzata dallo stile del suo maestro Fauré (si diceva), troppo leziosa, completamente diversa dalla Sonata in sol maggiore che trent’anni dopo, eseguita al pianoforte dall’autore stesso e da George Enescu, fu presentata al pubblico della Sala Érard. La stesura dell’opera era iniziata nel 1923, ma fu completata solo nel 1927. Il compositore descrisse la genesi della sonata dicendo: «Già ave- LUNEDÌ 14 APRILE 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 JANINE JANSEN ITAMAR GOLAN violino pianoforte Leoš Janáček Sonata JW 7/7 Franz Schubert Fantasia in do maggiore D 934 Amédée-Ernest Chausson Poème op. 25 Maurice Ravel Sonata in sol maggiore Introduce Giordano Montecchi. Saggista e critico musicale per quotidiani e riviste, insegna Storia della musica al Conservatorio di Parma vo in mente la forma assai singolare, la scrittura strumentale e persino il carattere dei temi di ciascuna delle tre parti ancor prima che l’ispirazione m’avesse suggerito uno solo di questi temi». L’Allegretto iniziale, dal carattere gentile e arioso, è introdotto da un grazioso tema al pianoforte che prelude a quello del violino. Il secondo movimento, Blues, è introdotto dai pizzicati del violino solo, che alludono al timbro del banjo, giocando sulle possibilità timbriche e riproponendo stilemi ritmici tipici del jazz. La sonata è conclusa dal Perpetuum mobile che si snoda tra scale vorticose, doppie note e glissandi, che termina improvvisamente nello straniamento dei due strumenti ormai sovrapposti senza alcuna fusione, a dimostrare quella che Ravel considerava la inconfu- Janine Jansen Dopo il debutto a Londra con la Philharmonia Orchestra diretta da Vladimir Ashkenazy nel 2002, Janine Jansen ha dato inizio ad una brillantissima carriera che la vede collaborare con i più celebrati direttori quali Mehta, Maazel, Jurowski, Harding, Pappano, Jansons. Viene regolarmente invitata ad esibirsi con le più prestigiose compagini, tra cui Royal Concertgebouw Orchestra, Berliner Philharmoniker, London Symphony Orchestra, Orchestre de Paris e New York Philharmonic. Molto attiva anche nella musica da camera, cura l’annuale International Chamber Music Festival di Utrecht, ed è membro degli Spectrum Concerts di Berlino. Suona un meraviglioso strumento “Barrere” di Antonio Stradivari (1727) messole a disposizione dalla Elise Mathilde Foundation. Itamar Golan Nato a Vilnius, ma emigrato giovanissimo in Israele, Itamar Golan è oggi uno dei pianisti più richiesti sulla scena internazionale: in più di vent’anni di carriera ha suonato con le maggiori orchestre, quali Israel Philharmonic e Berliner Philharmoniker diretti da Zubin Mehta, Royal Philharmonic con Daniele Gatti, Orchestra Filarmonica della Scala e Wiener Philharmoniker diretti da Riccardo Muti, oltre ad aver accompagnato solisti come Vadim Repin, Julian Rachlin, Mischa Maisky, Shlomo Mintz, MaximVengerov, Martin Frost. MI MUSICA INSIEME 43 Lunedì 14 aprile 2014 tabile incompatibilità tra i due. Un secolo esatto prima della Sonata di Ravel, veniva data alle stampe la Fantasia in do maggiore per violino e pianoforte D 934 di Franz Schubert. È l’ultimo anno della breve vita di questo giovane, che era divenuto un musicista quasi per caso, avviato alla musica dal padre, un maestro elementare di origini morave. Schubert ricomincia a comporre per il violino dopo nove anni di silenzio dalle Sonate del 1816 e del 1817. È su richiesta dell’amico e virtuoso Joseph Slawyk che scriverà il Rondò brillante in si minore D 895 e a seguire la Fantasia. In forma libera, e senza soluzione di continuità, è costituita da episodi isolabili, a partire dall’Andante molto dove si manifesta il tema principale, di grande lirismo, affidato al violino. Dopo l’Allegretto, si presenta il Tema con variazioni, costruito sul tema di un Lied di Schubert, Sei mir gegrüsst D 741. Infine il Presto ripropone il trema iniziale. La Fantasia, oggi considerata il suo capolavoro per violino, venne stroncata dalla stampa viennese. «La Fantasia del Signor Schubert – riporta un quotidiano dell’epoca – supera il tempo che i viennesi sono disposti a dedicare ai loro piaceri estetici. La sala si è progressivamente svuotata, e il nostro corrispondente vi confessa che anch’egli non saprebbe dirvi come si sia concluso questo pezzo di musica». Proprio negli anni in cui il padre di Chausson nella sua elegante dimora parigina prendeva atto, suo malgrado, che il fragile figlio quindicenne non sarebbe mai divenuto un importante uomo politico, nel suo piccolo villaggio, un altro maestro elementare moravo, Jiří Janáček, scopriva che il talento musicale di suo figlio Leoš poteva rivelarsi una risorsa per sfamare la numerosa famiglia. E se per Chausson la fanciullezza fu una prigione solitaria, nello scritto autobiografico Senza timpani, Janáček ricorda una vita chiassosa e felice, tra i versi degli animali della fattoria e la musica che si faceva in casa, col padre organista e il coro dei nove fratelli. Il padre lo inviò in un convento a Brno af- DA ASCOLTARE La discografia di questa strepitosa artista olandese è davvero ricca, e tutta nel segno della Decca. A partire dal 2003 sono ben oltre la decina i cd pubblicati, che le hanno procurato numerosi premi, e rispecchiano la sua attività sia nella musica da camera, sia come solista con le più grandi orchestre. Con Chailly nel 2006 ha inciso due Concerti di Bruch e l’op. 64 di Mendelssohn, mentre al 2008 risale la registrazione del Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij con la Mahler Chamber Orchestra diretta da Daniel Harding. Dell’anno successivo è il cd con la London Symphony Orchestra, diretta da Paavo Järvi, con Britten e Beethoven, terzo disco più venduto in Olanda nell’ambito della classica. Con Jurowski e la London Philharmonic Orchestra ha registrato nel 2012 il Concerto per violino n. 2 di Prokof’ev. Altrettante fatiche riguardano il versante cameristico, con il Quintetto per archi di Schubert e Verklärte Nacht di Schoenberg, sempre del 2012. Al fianco di Golan, suo partner nel concerto per Musica Insieme, ha inciso Beau soir (2010), una raccolta di celebri pagine francesi per violino, da Debussy, a Fauré e Ravel, terzo cd più venduto in Olanda nel campo della classica. finché fosse istruito alla musica, che sperava potesse divenire una remunerativa professione. Egli morì però quando Leoš aveva appena dodici anni. Janáček vagheggiò quegli anni felici per il resto dei suoi giorni, e proprio alle voci della sua gente si ispirò per i suoi importanti studi sul linguaggio. Come Bartók e Kodály, Janáček raccolse canti popolari che però non riutilizzò nelle sue opere, ma ne apprese e adottò la struttura sintattica, applicandola alla musica colta. Divenne un compositore di fama europea e, una cinquantina di anni dopo, quando stava per scoppiare il primo, tragico, conflitto mondiale era ormai una figura di riferimento. A quest’epoca risale la Sonata per violino J 7/7. In una Moravia ancora austroungarica, Janáček guarda all’ingresso della Russia in guerra come unica possibile via alla liberazione del suo popolo. E come un omaggio a questa nazione è spesso stato letto quell’occhieggiare della Sonata al folklore russo. Scriverà che questi pensieri lo avevano ispirato a comporre: «guizzavano nella mia mente i bagliori dell’acciaio affilato, la mia mente eccitata ne percepiva i clangori». Il movimento iniziale, Con moto, si apre con un’ampia frase cantabile del violino, accompagnata dal tremolo del pianoforte, che lascia subito spazio a brevissimi motivi quasi singhiozzati. Su questa alternanza è costruito tutto il movimento. Segue la Balada, intensa e vibrante, dal sapore folklorico, probabilmente il primo nucleo composto da Janáček, ben prima dello scoppio della guerra. Il brevissimo Allegretto prelude all’Adagio finale dalla forma rapsodica: dopo una pensosa introduzione, seguita da passaggi energici, quasi violenti, termina nella desolazione, con una forma che rimanda ad un corale, una sorta di compianto. E proprio a Brno, la città dove fu costretto a trasferirsi ancora bambino, la Sonata fu eseguita nel 1922. Applaudito come il più grande compositore moravo, Janáček coronava così le aspettative del padre che lo aveva mandato in quella città quasi sessant’anni prima per regalargli un futuro. Lo sapevate che... Nel 2003 Janine Jansen ha ricevuto il prestigioso “Premio per la Musica” conferito dal Ministero della Cultura olandese, la più alta onorificenza per gli artisti dei Paesi Bassi 44 MI MUSICA INSIEME Lunedì 12 maggio 2014 Il sipario della ventisettesima stagione di Musica Insieme si chiude con un recital del pianista russo, da quasi vent’anni protagonista indiscusso dei palcoscenici più prestigiosi di Mariateresa Storino Oltre la forma «N oi siamo abituati, dal nome che porta una cosa, a concludere su questa cosa stessa», scrive Robert Schumann nelle prime righe della sua visionaria recensione sulla Symphonie fantastique di Berlioz: una constatazione sulle modalità di organizzazione del nostro mondo percettivo, tanto più vera nell’arte sonora, che ‘perde’ la sua concretezza in uno svolgersi temporale privo di rewind. «Per una fantasia abbiamo delle esigenze, altre per una sonata», prosegue Schumann. Siamo nel 1835, il compositore sta combattendo con i problemi della grande forma, con l’ine- 46 MI MUSICA INSIEME vitabile riferimento all’opera di Beethoven. La produzione strumentale del colosso di Bonn è la pietra di paragone che tutti i compositori romantici devono affrontare, lo scoglio che può essere approdo sicuro o divenire luogo di perdizione. Forte fu l’influsso di Beethoven su Franz Schubert, la cui contemporaneità fu causa di notevole ‘disagio’, ma, allo stesso tempo, di impulso alla creazione di una scrittura idiomatica e foriera dello sviluppo del linguaggio musicale. I primi tentativi di questo confronto, particolarmente intenso tra il 1815 e il 1817, sfociano in un gruppo di sonate per pianoforte, tra cui la Sonata in do maggiore D 279. Schubert è in cerca del proprio stile pianistico; sono «anni di esperimento» di cui resta traccia in manoscritti incompleti e in sonate dall’articolazione ‘singolare’ dal punto di vista della scelta dei movimenti. Come nella prima Sonata D 157, Schubert conclude la Sonata D 279 con un Minuetto. Come spiegare la presenza di un Minuetto nell’architettura di una sonata? Il suo luogo, da sempre, è quello del penultimo movimento; il pubblico si aspetta un Allegro, magari in forma-sonata o in forma di rondò, certo non quest’antico ricordo di dan- LUNEDÌ 12 MAGGIO 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 ARCADI VOLODOS pianoforte Franz Schubert Sonata in do maggiore D 279 Allegretto in do maggiore D 346 Johannes Brahms Sei Pezzi op. 118 Robert Schumann Kinderszenen op.15 Fantasie in do maggiore op.17 Introduce Fabrizio Festa, compositore, docente di Conservatorio e saggista za settecentesca. Lo stato frammentario del manoscritto della Sonata per lungo tempo ha lasciato incerti sull’esistenza di un possibile quarto movimento; nel 1927 Walter Rehberg promosse l’Allegretto D 346 a questa funzione, ma i rilievi filologici successivi gettano ombra sulla plausibilità di questa scelta. L’approdo di Schumann al modello beethoveniano passa attraverso l’esperienza di Schubert, Mendelssohn e Weber, predecessori che hanno ‘dissodato’ il terreno della tradizione e reso meno pressante l’eredità ma, certo, non meno incisiva. La Fantasie in do maggiore op. 17 è un omaggio a Beethoven, ma è anche un omaggio a Clara Wieck ed a Franz Liszt, così come è un riflesso del mondo poetico del romanticismo letterario: un crocevia in cui confluiscono esperienze personali e tipologie formali. La genesi della Fantasie è intricata. Nel 1835, in occasione del 65° anniversario della nascita di Beethoven, un comitato presieduto da August Wilhelm von Schlegel promuove una raccolta fondi per l’edificazione di un monumento alla memoria del compositore, da erigere a Bonn. L’anno successivo Schumann pubblicizza l’evento sulla Neue Zeitschrift für Musik con un saggio in quattro parti dal titolo Monument für Beethoven. Parallelamente, a diversi editori propone il progetto di una Grosse Sonate dal titolo Obolen auf Beethovens Monument: Ruinen, Trophäen, Palmen (Oboli per il monumento di Beethoven: rovine, trofei, palme), i cui proventi saranno in parte destinati alla raccolta fondi di Schlegel. L’omaggio non è solo esteriore; nel movimento Palmen il compositore inserirà una citazione dall’Allegretto della Settima Sinfonia. Nel 1837 il brano è ancora in fase di gestazione, ma ecco affacciarsi un primo cambiamento: il titolo sarà Phantasie. Completata l’opera nel 1838, il progetto viene ancora una volta modificato: in una lettera a Clara, Schumann descrive il primo movimento «come il più appassionato» che abbia mai scritto, «un profondo lamento che si leva verso di te». Alla lode a Beethoven si associa dunque una dichiarazione d’amore a Clara. Sulla traccia di questa nuova dedica il compositore riformula il Arcadi Volodos Per la sua tecnica prodigiosa, unita ad una altrettanto rara espressività, Arcadi Volodos si è guadagnato fra i tanti titoli anche quello di “genio della tastiera”. Formatosi con Galina Egiazarowa e Dimitri Bashkirov, da quasi vent’anni calca i palcoscenici più prestigiosi di tutto il mondo, sia in recital pianistici che come solista con compagini quali i Berliner Philharmoniker, l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, la London Philharmonic Orchestra, o ancora le Filarmoniche di Chicago e New York, o l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia. Ha collaborato con i più importantidirettori,comeLorinMaazel,ValeryGergiev,Myung-Whun Chung, James Levine, Zubin Mehta, Seiji Ozawa e Riccardo Chailly. Autore di funamboliche trascrizioni pianistiche di brani orchestrali, i suoi numerosi cd (tutti pubblicati da Sony Classical), dal live del suo debutto alla Carnegie Hall (1999) all’ultima incisione dedicata ai brani pianistici del catalano Federico Mompou, hanno ricevuto i principali riconoscimenti della critica e della stampa specializzata, dal “Preis der Deutschen Schallplattenkritik” al “Gramophone Award”, dall’“Echo Klassik” al “Diapason d’Or”. titolo in Dichtungen. Ruinen, Siegesbogen und Sternbild (Poema. Rovine, arco di trionfo e costellazione). Nel 1839 la casa editrice Breitkopf & Härtel pubblica la partitura con il titolo Fantasie, la dedica a Franz Liszt e un motto posto in epigrafe tratto dalla poesia Die Gebüsche (I cespugli) di Friedrich Schlegel: «Attraverso tutti i suoni, nel variopinto sogno della terra, se ne leva uno sommesso per colui che ascolta in segreto». Quel “suono sommesso” è sì destinato a Clara, ma è riconoscibile da tutti, o meglio doveva esserlo: è una citazione dall’ultimo Lied del ciclo di Beethoven An die ferne Geliebte (All’amata lontana). Questo messaggio inMI MUSICA INSIEME 47 Lunedì 12 maggio 2014 timo riporta i due innamorati, ormai prossimi al coronamento del loro sogno d’amore, ai tempi della prima stesura della Fantasie, a quel 1836 in cui il padre di Clara si opponeva all’amore dei due giovani. Sembra plausibile che all’annuncio della sottoscrizione promossa da Schlegel, Schumann decida di completare la Fantasie (inizialmente quindi composta per Clara) aggiungendo due movimenti; a lavoro ultimato, il compositore non può certo far passare inosservato il grande contributo dato da Liszt alla causa di Beethoven (senza la generosità del virtuoso non ci sarebbe stato alcun monumento), così gli tributa un doveroso segno di gratitudine dedicandogli l’opera. Il messaggio intimo alla sua amata Clara s’intreccia con un omaggio pubblico in un’opera che Charles Rosen valuta come «la prova più riuscita e originale delle grandi forme» di Schumann. Nel primo movimento, «da eseguirsi in modo assolutamente fantastico e appassionato», annota il compositore, in alternanza al «tono di leggenda» dell’episodio centrale, colpisce la forza del rinvio al Lied beethoveniano; come scrive con limpidezza adamantina Rosen: «la frase si presenta come una scheggia della memoria anche a coloro che non hanno mai udito il ciclo di Beethoven: essa è suonata nella sua forma originaria solo alla fine, ma richiama, ora sciolte e stabilizzate, tutta l’eccitazione e la tensione precedenti». È il trionfo del frammento musicale, forma romantica per eccellenza, di cui Schumann è un fulgido seguace. La poetica del frammento, forma compiuta dalle infinite interpretazioni, si incarna in ambito musicale in miniature, pezzi brevi, quadri di genere, per lo più destinati al pianoforte. Il frammento musicale può essere autonomo, o divenire elemento tematico di grandi forme, come nella Fantasie op. 17, o ancora nucleo originario di cicli, come nelle Kinderszenen (Scene infantili) op. 15 di Schumann. Inevitabile è l’accostamento DA ASCOLTARE Che Volodos si sia voluto imporre fin dai suoi esordi come brillante virtuoso della tastiera ce lo dimostrano proprio le sue incisioni discografiche di quegli anni. Siamo alla fine del XX secolo, decennio Novanta. Volodos è un ventenne che ha incontrato sulla sua strada Thomas Frost, già produttore discografico al fianco di Vladimir Horowitz. Sarà Frost, che lavora per la Sony, a portarlo in cima alle classifiche discografiche, tant’è che nel 1999 vince il “Grammy Award” per la miglior registrazione strumentale con un live: quello registrato alla Carnegie Hall. Risultato che si ripeterà nel 2010, e ancora con un live: Volodos in Vienna. Che poi in questa discografia trionfino i compositori russi non è certo motivo di sorpresa. Abbonda Rachmaninov (piano solo e concerti), non manca Čajkovskij, e poi Liszt e Schubert. Non mancano neppure le antologie, come appunto il recital viennese dove accanto ad una scelta di brani di Skrjabin troviamo i Valse nobles et sentimentales di Ravel e poi Bach e Liszt. delle Kinderszenen all’Album für die Jugend (Album per la gioventù) dello stesso autore, ma si tratta di composizioni con diversa destinazione. Le Kinderszenen sono «immagini retrospettive di un vecchio, per i vecchi», precisa Schumann; sono reminiscenze del mondo dell’infanzia, immagini che l’età adulta elegge a simbolo di una felicità perduta. Articolato in tredici quadri, ciascuno introdotto da un titolo evocativo di un momento particolare dello scenario domestico del bambino, la funzione di ricordo del ciclo si comprende solo con l’ultimo brano Der Dichter spricht (Il poeta parla), quando ormai il bambino si è addormentato, stanco della mosca cieca, del cavallo a dondolo, di sognare. Un motivo si cela in tutte le scene, quel motivo che il poeta – non ancora svelatosi – intona malinconicamente con una sesta minore nel primo quadro Von fremden Ländern und Menschen (Da paesi ed uomini stranieri). La poetica del frammento suggella altresì il catalogo delle opere per pianoforte solo di Brahms con le quattro raccolte opp. 116-119, composte tra il 1892 e il 1893. I sei Klavierstücke op. 118, quattro Intermezzi intrecciati a una Ballata (n. 3) e a una Romanza (n. 5), vagano nel ‘paesaggio’ formale della miniatura pianistica: dalla breve forma-sonata (n. 1), alla forma ternaria (n. 2, 3, 6), al tema con variazioni (n. 5). La varietà armonica, quanto quella espressiva, è sorprendente: al delicato lirismo del secondo Intermezzo in la maggiore e alla Romanza in fa maggiore dal sapore arcaico (quasi empfindsam, rievocando lo stile di Carl Philipp Emanuel Bach) fanno da contraltare il luminoso e appassionato Intermezzo n. 1 in la minore e la Ballata in sol minore. In questo ventaglio di forme, armonie e caratteri si nasconde però un elemento connettivo: alla base di ciascun brano risiede uno stesso nucleo di tre suoni, ripreso dalla Sonata op. 5. L’Intermezzo che chiude la raccolta è «la pagina pianistica forse più dolorosa di tutta l’opera» di Brahms, scrive il musicologo Maurizio Giani: «il primo tema è un lamento di chi non ha più voce per esprimere la propria sofferenza». La sezione centrale in sol bemolle maggiore imperversa con una scrittura a mo’ di fanfara, dal tono fiero e deciso, che smorza l’opprimente desolazione della prima parte, ma è solo un’illusione, l’eroismo del Brahms giovane si è ormai affievolito. La visione del mondo in età matura perde lo slancio verso il futuro: malinconicamente l’anima si ripiega, e quel vago sentore di un mondo altro riprende la forma del nostalgico canto in tonalità minore. Lo sapevate che... Volodos, seguendo le orme dei genitori, inizia da bambino a studiare canto. Si dedica allo studio del pianoforte solo quindicenne, presso il Conservatorio di San Pietroburgo 48 MI MUSICA INSIEME PER LEGGERE Luciano Berio Scritti sulla musica (a cura di Angela Ida De Benedictis, Einaudi, 2013) A dieci anni dalla morte di Luciano Berio vede la luce la raccolta pressoché completa dei suoi scritti editi ed inediti (Einaudi, pagine 569). Inquadrati in un ambito cronologico compreso tra il 1952 e il 2003, questi testi accompagnano il lettore nella vastità degli interessi umani e artistici che abitavano le riflessioni del compositore. Il volume si divide in quattro sezioni: conferenze e relazioni tenute a convegni o in prestigiose istituzioni internazionali (tra queste due lezioni a Harvard, del 1967, finora inedite), saggi e articoli inerenti la musica propria e altrui, il lavoro nello Studio elettronico, il teatro, il rock, la musica popolare e tanto altro. Inoltre: note di sala, voci enciclopediche, ricordi e omaggi a compagni di strada, profili non solo di musicisti, ma anche di pittori e scrittori da festeggiare o da commemorare. Conclude la raccolta il capitolo “Discutere”, con reazioni alimentate da letture o dibattiti. Il volume degli Scritti sulla musica, a cura di Angela Ida De Benedictis, introduzione di Giorgio Pestelli, offre idee, dati, testimonianze indispensabili per conoscere Berio, compositore che si rivela anche nella pagina scritta, e la sua opera. Murakami Haruki Ritratti in jazz (Einaudi, 2013) Il catalogo di Murakami Haruki, scrittore nato a Kyoto nel 1949 e cresciuto a Kobe, si arricchisce di un altro titolo, pubblicato in Italia da Einaudi. Ritratti in jazz è la storia di una passione sconfinata per il jazz, come già testimoniato in altri libri dello stesso autore. In cinquantacinque racconti si snoda la storia di un rapporto intimo, profondo con questa musica e di una crescita, in cui il gusto cambia, si affina, seguendo le stagioni della vita. Da Chet Baker a Fats Waller, da Ella Fitzgerald a Eric Dolphy, da Miles Davis a Stan Getz, ci sono i protagonisti di un genere che trova innumerevoli appassionati anche in Giappone. Il tono è confidenziale, caldo, privo di specialismi e ricco d’informazioni, curiosità, aneddoti. Ad ogni cantante o musicista sono dedicate appena tre pagine, che certo non esauriscono la carriera di tanti grandi artisti, eppure, da frasi brevi, con un tono lieve, dai ricordi (Murakami ha gestito per diversi anni un jazz club prima di dedicarsi alla scrittura) nascono ritratti illuminanti. Il testo, che fa sempre riferimento ad un disco storico, è accompagnato dalle illustrazioni di Wada Makoto. 50 MI MUSICA INSIEME di Chiara Sirk MUSICA IN CATALOGO Una primavera di letture con la prima raccolta completa degli scritti di Luciano Berio, una storia della musica in 144 opere, e una serie di ritratti in cui protagonista è il jazz Signori, “il catalogo è questo”: lo ha deciso e compilato Enzo Beacco nel volume Offerta musicale. La musica dalle origini ai nostri giorni (Il Saggiatore, 953 pagine). L’impressionante lavoro dell’autore, saggista, giornalista e critico, ha comportato, come primo passo, l’individuazione di un corpus di 144 opere. Beacco le ha scelte dalla storia della musica occidentale, dalle origini (Epitaffio di Seikilos, il primo brano musicale che ci resta, di datazione incerta, 100 d.C., pare) ai giorni nostri, con un brano emblematico, Tierkreis di Karlheinz Stockhausen, di cui a pagina 866 si dice: «Scrivere musica per carillon è come inciderla su pietra». Qui il cerchio si chiude, perché anche l’antichissima melodia greca era fissata su pietra e Tierkreis, lo zodiaco in tedesco, rimanda alle stelle, le stelle al cosmo, di cui la musica per i filosofi, come bene spiega nel primo capitolo il volume, era metafora. Non finisce qui: nel 2006 l’Accademia Filarmonica di Bologna commissiona a Stockhausen una nuova composizione. Lui decide di completare la versione orchestrale di Tierkreis, ma non riesce ad arrivare alla fine, mancando il 5 dicembre 2007. Forse sono coincidenze, forse. L’autore ci spiega come ha scelto le 144 opere: «Ognuna è scelta non solo perché vive nella sua epoca e contribuisce a modificarla, ma perché supera l’esame del tempo ed è tuttora in repertorio, disponibile ad un ascolto libero e immediato, a casa, in rete. È parte di un sistema di stelle fisse e segna una tappa in un percorso per definizione vago e confuso». E ancora: «Le composizioni sono autonome, per consentire letture discontinue. Sono da immaginare come tessere squadrate di un antico mosaico bizantino e macchie diffuse di una modesta tela di Jackson Pollock o di Robert Rauschenberg. Suggeriscono connessioni con ciò che sta intorno, ma non impongono mappe definitive». Nel catalogo troviamo i grandi che tutti conoscono (Bach, Mozart, Liszt, Brahms), gli “operisti” (Verdi, Bellini, Wagner), e i grandi che purtroppo non sono ancora patrimonio di un pubblico esteso (Frescobaldi, Cavalli, Lully, Purcell, per esempio). Un catalogo tanto include e altrettanto esclude, non potrebbe essere altrimenti, eppure quello di Beacco riesce più a soddisfare la voglia di conoscenza e a far nascere ulteriori curiosità, piuttosto che a creare malumori per le inevitabili assenze. I riferimenti ad incisioni discografiche, oculate indicazioni bibliografiche e minuziosi indici sono un’ulteriore prova di quanto questo lavoro si metta a disposizione del potenziale lettore. Enzo Beacco Offerta musicale. La musica dalle origini ai nostri giorni (Il Saggiatore, 2013) DA ASCOLTARE di Lucio Mazzi INTELLETTUALE LEGGEREZZA Alla nuova edizione bachiana che vede protagonista Janine Jansen fanno da corteggio le splendide rarità tastieristiche di Lupu, Volodos e Romanovsky Arcadi Volodos Volodos plays Mompou (Sony, 2013) “Il nuovo Horowitz”, “il nuovo Michelangeli”, “il nuovo Richter”… c’è questo malvezzo di affibbiare etichette e paragoni a qualsiasi astro nascente (non solo della musica). È successo anche a Volodos, al suo apparire ormai vent’anni fa, e di queste etichette (che lui giustamente respinge: «A cosa servirebbe mai un nuovo Horovitz?») non si è ancora liberato. E dire che il suo genio assoluto, il suo talento straordinario non merita di essere paragonato, ma di essere apprezzato per quello che è, ossequiando lo stile incredibile che miscela immenso virtuosismo e immensa musicalità. Questo album dedicato a un compositore atipico, perché lontano da ogni scuola (seppure profondamente iberico), come il catalano Federico Mompou, ne è solo l’ennesima conferma: il naso fuori da un repertorio eseguito, inciso e ascoltato migliaia di volte, alla ricerca di qualcosa di sconosciuto ai più, ma che egli ritiene «di qualità eccezionale e in grado di aprire nuovi mondi». Ma non si pensi a un estemporaneo ghiribizzo: sono alcuni anni che il pianista esplora il repertorio di Mompou, del quale, per questo cd, ha scelto alcuni pezzi dai cicli Scènes d’enfants (1915-18), Charmes (192021) e Música Callada (1959-67), che erano tra i favoriti dello stesso compositore. Radu Lupu Grieg, Schumann: Piano Concertos (Decca, 1973) Edizione Blu-Ray Audio di questo album pubblicato come lp nel 1973 e come cd nel 2000. In effetti sono 40 anni che questa incredibile interpretazione di Lupu dei Concerti in la minore di Grieg e Schumann (assistito splendidamente dalla London Symphony Orchestra, diretta da André Previn) fa scuola. Ma grazie al progresso tecnico, ogni nuova release rivela cose nuove. È successo con l’edizione in cd rispetto al vinile, e succede col Blue-Ray rispetto al cd. Merito di un’ottima registrazione originale, ma, ovviamente, soprattutto di un’interpretazione rimasta nei decenni quasi insuperata. Alexander Romanovsky Rachmaninov: Russian Faust (Decca, 2014) L’idea di Rachmaninov era di realizzare una grande opera ispirata al Faust di Goethe. Rinunciò quasi subito, ma intanto la Prima Sonata op. 28 era composta. Al suo apparire non fu un trionfo, anzi, e da allora è stata decisamente trascurata, pur entrando nel repertorio, anche discografico, di grandi come Ashkenazy, Weissenberg o Lugansky. E ora di Romanovsky, che la propone con la consueta brillantezza ed espressività, accanto alla n. 2 op. 36, per la quale adotta la lezione di Horowitz, combinando elementi della versione originale (secondo e terzo movimento) e di quella riveduta (primo movimento). Se lavori con chi conosci bene, nella musica le cose funzionano molto meglio. Questo deve aver pensato Janine Jansen convocando per queste registrazioni alcuni eccezionali musicisti che, appunto, sono anche suoi amici. Così nel Doppio Concerto per violino e oboe, BWV 1060, troviamo il pluripremiato Ramon Ortega Quero all’oboe, nelle due Sonate n. 3 e n. 4 addirittura il padre, il clavicembalista Jan, e nel piccolo, ma vigoroso ensemble che l’accompagna nei Concerti per violino n. 1 e n. 2, il fratello violoncellista Maarten. E che le cose funzionino benissimo lo sentiamo fin da subito percependo come la violinista cerchi un’assoluta consonanza con l’ensemble, piuttosto che imporsi come solista. Un buon servizio alla musica, ma una cosa che ti viene di fare se senti di avere un intento, un animo e un sentore comune con chi ti suona accanto. Ma se anche il violino della Jansen non si impone mai, è impossibile non apprezzare la sensibilità con cui l’artista riesce a donare a questo repertorio una meravigliosa leggerezza senza tradirne in nulla il suo peso intellettuale. A ciò si unisce una tecnica perfetta che fa sembrare semplice anche il passaggio più complesso, ma questo è proprio dei grandi strumentisti, un po’ meno comune, se vogliamo, è coniugare correttezza tecnica e grande espressività. E questo è proprio dei musicisti eccezionali. Quale è Janine Jansen, 300.000 copie vendute dal suo esordio discografico nel 2004 per la Decca, e il domicilio stabile nei primi posti delle classifiche specializzate mondiali. Ottima la registrazione e quindi il suono. Facilmente avrete già incisioni di questi brani, ma l’ascolto di questo disco potrebbe riservarvi qualche sorpresa. Janine Jansen Bach Concertos (Decca, 2013) 52 MI MUSICA INSIEME Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278 Editore Fabrizio Festa Direttore responsabile Bruno Borsari, Fulvia de Colle, Marco Fier, Cristina Fossati, Roberto Massacesi, Alessandra Scardovi In redazione Luca Baccolini, Elisabetta Collina, Valentina De Ieso, Alessandro Di Marco, Daniele Follero, Maria Pace Marzocchi, Lucio Mazzi, Maria Chiara Mazzi, Anastasia Miro, Chiara Sirk, Mariateresa Storino Hanno collaborato Kore Edizioni - Bologna Grafica e impaginazione Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna) Stampa Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000 Musica Insieme ringrazia: BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA, BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI CENTO, COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, COOP ADRIATICA, COSWELL, FATRO, FONDAZIONE CAMST, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION, M. 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