8 capitolo viii - Dipartimento di Fisica e Astronomia

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8 CAPITOLO VIII
8.1 La diffrazione
La diffrazione è un fenomeno caratteristico della propagazione ondulatoria di una
perturbazione che si manifesta ogni qual volta un fronte d’onda, sia sonoro che luminoso o
anche di un’onda materiale, incontra nel suo percorso un ostacolo. In conseguenza di
quest’incontro con un ostacolo, sia esso trasparente od opaco, una regione del fronte d’onda è
alterata nella sua ampiezza o fase. Il nuovo fronte d’onda che si propaga oltre l’ostacolo può
essere pensato in termini di onde sferiche secondarie che interferiscono tra loro. Pertanto non
c’è una distinzione fisica tra interferenza e diffrazione. E’ uso comune parlare di interferenza
quando si considera la sovrapposizione di solo poche onde, mentre di diffrazione quando si
considera un gran numero di onde. Anche con questa distinzione, si parla di interferenza
multipla in certi contesti e di diffrazione da un reticolo in altri.
8.1.1 Il principio di Huygens-Fresnel
Il principio di Huygens consiste appunto nel pensare ogni punto di un fronte d’onda come
sorgente secondaria di onde sferiche. L’inviluppo dei fronti d’onda sferici ad un dato tempo t
costituisce il nuovo fronte d’onda. La tecnica escogitata considera però soltanto alcuni fronti
d’onda secondari, e per questo motivo non è in grado di dar spiegazione a tutte le
caratteristiche dell’immagine ottenuta per diffrazione. Ad esempio le onde sonore ( 500 Hz,
68 cm) si “incurvano” attorno ad ostacoli come alberi, pali del telefono, etc., mentre la luce
non passa e si forma l’ombra. Poiché il principio di Huygens risulta indipendente da ogni
considerazione sulla lunghezza d’onda, con esso si può prevedere un fronte d’onda uguale per
le due perturbazioni, sia sonora che luminosa.
La difficoltà di questa impostazione fu risolta da Fresnel aggiungendo il concetto di
interferenza. Il principio di Huygens-Fresnel afferma quindi che ogni punto non oscurato di un
fronte d’onda, ad un dato istante, è una sorgente di onde sferiche secondarie (con la stessa
frequenza dell’onda primaria). L’ampiezza della nuova perturbazione in ogni punto è quindi
data dalla sovrapposizione di tutte le onde secondarie (tenendo conto della loro ampiezza e
della fase relativa).
Se la lunghezza d’onda della perturbazione è grande rispetto all’apertura h, si avrà che
l’effetto della perturbazione sarà avvertito anche a grandi angoli rispetto alla direzione
originaria (vedi Fig. 8.1).
a)
b)
raggio
luminoso
Fig. 8.1 a) Caso dell’ottica geometrica <<h. Il raggio luminoso prosegue indisturbato il suo cammino; b) Caso
della diffrazione h. Il raggio viene sparpagliato a vari angoli rispetto alla direzione rettilinea.
- 110 Il caso limite dell’ottica geometrica si ha quindi per
0.
Il principio di Huygens-Fresnel ha alcuni problemi, che esamineremo più avanti, oltre ad
essere fino a questo punto piuttosto ipotetico, per cui anticipiamo che una trattazione più
rigorosa di questo problema è stata sviluppata da Kirchhoff, che è anch’essa
un’approssimazione valida quando le dimensione della fenditura sono grandi rispetto a . Le
difficoltà vengono dal fatto che si cercano le soluzioni di un’equazione differenziale alle
derivate parziali le cui condizioni al contorno sono imposte dal tipo di ostacolo. La soluzione
rigorosa si ottiene perciò solo in alcuni casi speciali. E’ bene sottolineare che il problema di
determinare la soluzione esatta di un particolare fenomeno di diffrazione è tra i problemi più
difficili dell’ottica fisica. Soluzioni rigorose non esistono a tutt’oggi in molte situazioni anche
di interesse pratico. In ogni caso il semplice metodo di Huygens-Fresnel ci sarà utile per
risolvere molte situazioni di carattere sperimentale.
8.1.2 Ostacoli opachi
La diffrazione può essere pensata come dovuta all’interazione delle onde elettromagnetiche
con un ostacolo fisico. E’ utile a questo proposito riesaminare cosa realmente accade quando
ad esempio l’ostacolo è un oggetto opaco.
Una possibile descrizione è quella di uno schermo considerato come un continuo, cioè in
cui la sua struttura microscopica può essere trascurata. Per un metallo non assorbente (con
conduttività infinita) possiamo scrivere le equazioni di Maxwell per il metallo ed il mezzo
circostante e far combaciare i due al confine tra i due mezzi. Soluzioni precise si possono
ricavare per configurazioni molto semplici.
Esaminando lo schermo su scala microscopica immaginiamo la nuvola elettronica intorno
ad ogni atomo messa in vibrazione dal campo elettrico della radiazione incidente. Il modello
classico degli oscillatori armonici va abbastanza bene per ciò che concerne il nostro problema,
cosicché possiamo trascurare la descrizione quanto-meccanica. L’ampiezza e la fase di un dato
oscillatore all’interno dello schermo sono determinate dal campo elettrico totale attorno ad
esso. Questo è dovuto alla sovrapposizione della radiazione incidente e al campo prodotto da
tutti gli altri oscillatori in vibrazione.
Un grande schermo opaco senza aperture, sia esso un foglio di carta nero o uno strato di
alluminio, ha un immediato effetto sulla radiazione incidente: dopo di esso il campo
elettromagnetico è nullo. Gli elettroni vicini alla superficie illuminata sono posti in
oscillazione dalla radiazione incidente. Essi a loro volta riemettono radiazione (della stessa
frequenza), che in ultima analisi è riflessa indietro, assorbita o entrambe le cose. Se l’onda
incidente si propaga anche all’interno del materiale si eccitano via via strati sempre maggiori di
oscillatori, e se lo schermo è spesso abbastanza l’onda si affievolisce fino a scomparire. Ma
anche un materiale ordinario se è sufficientemente sottile diviene trasparente alla radiazione.
Adesso rimuoviamo un piccolo dischetto di materiale dallo schermo, cosicché la luce passi
attraverso l’apertura. Gli oscillatori che uniformemente ricoprono il dischetto sono rimossi con
esso, così i rimanenti elettroni dello schermo non sono più affetti da quest’ultimi. In prima
approssimazione possiamo assumere che la mutua interazione degli oscillatori è
completamente trascurabile, per cui gli elettroni dello schermo sono completamente
indifferenti alla rimozione degli elettroni del dischetto. Il campo nella regione oltre l’apertura
sarà allora quello che esisteva prima della rimozione del dischetto, cioè zero, meno il
contributo del dischetto stesso. A parte il segno, è come se la sorgente e lo schermo fossero
stati rimossi lasciando solo gli oscillatori del dischetto, piuttosto che viceversa. In altre parole
il campo di diffrazione può essere pensato come dovuto esclusivamente da un insieme di
ipotetici oscillatori armonici distribuiti sulla regione dell’apertura. Da qui naturalmente
l’analogia con il principio di Huygens-Fresnel.
- 111 Possiamo aspettarci comunque, che l’interazione tra gli oscillatori non sia del tutto nulla,
ma che vada via via scemando con la distanza. In questa visione più realistica gli oscillatori in
prossimità dell’apertura saranno affetti dalla rimozione del dischetto. Per aperture grandi, il
numero di oscillatori rimossi è molto più grande del numero di oscillatori ai confini
dell’apertura. In questo caso, se il punto di osservazione è abbastanza lontano dall’apertura, il
principio di Huygens-Fresnel è in grado di predire un corretto andamento del campo. Se invece
l’apertura è piccola, o il punto di osservazione è prossimo all’apertura stessa, gli effetti al
bordo diverranno importanti e possiamo aspettarci delle deviazioni dall’andamento previsto
dalla semplice applicazione del principio di Huygens-Fresnel.
8.2 Diffrazione di Fresnel e di Fraunhofer
Immaginiamo di avere uno schermo opaco con una piccola apertura illuminato da onde piane
di una sorgente S molto distante. Prendiamo uno schermo di osservazione parallelo e molto
vicino a . In queste condizioni l’immagine dell’apertura è chiaramente visibile sullo schermo
sebbene leggermente circondata da delle deboli sottili frange. Se il piano di osservazione viene
allontanato un po’, l’immagine dell’apertura si vede ancora ma diviene via via più strutturata e
le frange divengono prominenti. Questo fenomeno è noto come diffrazione di Fresnel. Se il
piano di osservazione viene mosso lentamente ancora più lontano si osserva un continuo
cambiamento delle frange. A grande distanza da le frange si sono notevolmente allargate e
non si vede più l’immagine dell’apertura. Muovendo ancora più lontano cambia solo la
dimensione della figura di diffrazione ma non la sua forma. Questo fenomeno è noto come
diffrazione di Fraunhofer. Se a questo punto potessimo cambiare la lunghezza d’onda della
radiazione e farla tendere progressivamente a zero, si rivedrebbe la configurazione di Fresnel,
le frange andrebbero via via sparendo e si tornerebbe a vedere l’immagine della fenditura così
come predetto dall’ottica geometrica.
Ritornando alla configurazione iniziale se la sorgente viene avvicinata a , vi saranno delle
onde sferiche che arrivano sullo schermo , e si formerebbe la diffrazione di Fresnel anche a
grande distanza di . Se S e il punto di osservazione P sono entrambi lontani da , si ha sempre
la diffrazione di Fraunhofer. In sostanza se le onde che arrivano sullo schermo sono piane e
quelle che arrivano in P sono pure piane, si ha sempre la diffrazione di Fraunhofer. Se invece la
curvatura di entrambi i fronti d’onda è significativa prevale la diffrazione di Fresnel.
Ogni punto dell’apertura deve essere pensato come sorgente secondaria di onde sferiche.
Pertanto quando S è vicina all’apertura su di essa arrivano onde sferiche e quindi su ogni punto
l’onda incidente avrà intensità leggermente diversa, mentre se il fronte d’onda è piano, su ogni
punto arrivano onde con la stessa intensità. Più o meno la stessa cosa accade per le onde che
vanno dall’apertura al punto P. Anche se ogni punto dell’apertura emette onde della stessa
ampiezza, se P è vicino le onde che convergeranno su di esso sono sferiche e varieranno
pertanto in ampiezza per la diversa distanza di ogni punto dell’apertura da P. Si comprende
quindi la maggior semplicità della diffrazione di Fraunhofer. Come regola pratica, si ha
diffrazione di Fraunhofer su di un apertura a, quando
R > a2 /
dove R è la più piccola delle distanze tra S e , e tra e P. Naturalmente quando R= le
dimensioni finite dell’apertura è di poca importanza. Inoltre una crescita di favorisce il
fenomeno della diffrazione di Fraunhofer.
Una realizzazione pratica della diffrazione di Fraunhofer si può realizzare ponendo una
lente prima e dopo lo schermo come in Fig. 8.2. La sorgente S è localizzata nel fuoco della
lente L1, e il piano di osservazione è collocato nel fuoco della lente L2.
- 112 -
S
L1
L2
Fig. 8.2 Un modo pratico per realizzare la diffrazione di Fraunhofer.
Nella terminologia dell’ottica geometrica si dice che il piano della sorgente e
sono coniugati.
8.2.1 Diversi oscillatori coerenti
Come ponte logico tra lo studio dell’interferenza e della diffrazione consideriamo un insieme
di N oscillatori armonici disposti lungo una retta come in Fig. 8.3 (si pensi ad un sistema di
antenne).
r1
r2
r3
r...
rN
Fig. 8.3 Un insieme allineato di N oscillatori coerenti in fase.
Gli oscillatori sono tutti identici anche nella loro polarizzazione. Per il momento assumiamo
che gli oscillatori non abbiano una differenza intrinseca di fase, cioè i fasori hanno tutti lo
stesso angolo di fase iniziale. I raggi mostrati in figura sono tutti tra loro quasi paralleli e si
incontrano in un punto P molto distante. Se la dimensione dell’insieme di oscillatori è piccola,
- 113 l’ampiezza delle onde che arrivano separatamente in P sarà essenzialmente uguale, avendo
percorso circa la medesima distanza, cioè,
E0 (r1 ) = E0 (r2 ) = ... = E0 (rN ) = E0 (r )
La somma delle onde sferiche che interferiscono per dare il campo elettrico risultante in P, è
dato dalla parte reale della:
E = E0 (r )ei ( kr1
t)
+ E0 (r )ei ( kr2
t)
+ ... + E0 (r )ei ( krN
t)
(8.1)
dove abbiamo usato la notazione esponenziale anziché quella trigonometrica per comodità di
calcolo. E’ chiaro che in questo caso non dobbiamo preoccuparci della natura vettoriale della
luce per cui possiamo scrivere la (8.1) nella forma:
E = E0 (r )e
e [1 + eik ( r2
i t ikr1
r1 )
+ eik ( r3
r1 )
+ ... + eik ( rN
r1 )
]
(8.2)
= k0 dove
La differenza di fase tra sorgenti adiacenti è ottenuta dall’espressione
= nd sin e n=1 è l’indice di rifrazione dell’aria. Osservando la Fig.8.3 si vede che
= k (r2 r1 ), 2 = k (r3 r1 )... e così via. Perciò il campo in P può essere scritto:
E = E0 (r )e
e [1 + (ei ) + (ei )2 + ... + (ei ) N 1 ]
i t ikr1
(8.3)
La serie geometrica in parentesi quadra ha il valore
(e i
N
1) /(ei
1)
che può essere riscritto nella forma
eiN / 2 [eiN / 2 e iN / 2 ] i ( N
=e
ei / 2 [ei / 2 e i / 2 ]
1) / 2
sin N / 2
sin / 2
(8.4)
per cui il campo diviene:
E = E0 (r )e
i t i [ kr1 + ( N 1) / 2]
e
sin N / 2
sin / 2
(8.5)
Si noti che se definiamo R come la distanza dal centro dell’insieme lineare di oscillatori ed il
punto P, cioè
R=
1
( N 1)d sin + r1
2
l’eq. (8.5) diviene:
E = E0 (r )ei ( kR
t)
sin N / 2
sin / 2
(8.6)
- 114 Infine allora, la densità di flusso all’interno della figura di diffrazione di N sorgenti identiche
coerenti è data da EE * / 2 per E complessa, da cui:
I = I0
sin 2 ( N / 2)
sin 2 ( / 2)
(8.7)
dove I0 è la densità di flusso di ogni singola sorgente che arriva in P. Per N=0, I=0, per N=1,
I=I0, e per N=2, I=4I0cos2( /2) come abbiamo già visto precedentemente.
La dipendenza funzionale di I da è più chiara mettendo la (8.7) nella forma:
I = I0
sin 2 [ N (kd / 2) sin ]
sin 2 [(kd / 2) sin ]
(8.8)
Il termine al numeratore varia rapidamente, mentre il termine al denominatore modula perché
varia lentamente. L’espressione combinata dà luogo ad una serie di massimi piccati separati da
massimi secondari. I massimi principali si hanno per i valori di m tali che =2m , dove m=0,
±1, ±2, .... Poiché =kdsin si ha:
d sin m = m
(8.9)
e nel massimo si ha I = N 2 I 0 . Il sistema ha il massimo irraggiamento nella direzione
perpendicolare agli oscillatori (m=0, 0 = 0 e ). Al crescere di , decresce ed I va a zero per
N /2 = dove si ha il primo minimo. Si noti che se d < nella (8.9) solo l’ordine m = 0 esiste.
Se ora ipotizziamo che nel sistema vi sia una differenza di fase intrinseca costante tra
oscillatori adiacenti, in questo caso:
= kd sin +
I vari massimi principali in questo caso si hanno per i nuovi angoli:
d sin
m
=m
/k
(8.10)
Concentrandoci sul massimo centrale m = 0, vediamo che possiamo spostare la sua
orientazione ad un angolo 0 semplicemente variando .
Per il principio di reversibilità, che asserisce che in assenza di assorbimento il moto
dell’onda è reversibile, porta a concludere che il campo di un antenna trasmittente o ricevente è
lo stesso. Un insieme di antenne, come ad esempio un radiotelescopio può quindi essere
puntato introducendo un opportuna differenza di fase tra ogni singola antenna. Per un dato
l’output del sistema corrisponde al segnale che arriva sulle antenne da una specifica direzione
dello spazio.
Esaminiamo ora il caso di una sorgente lineare di oscillatori (ad esempio una fenditura con
a< ). Ogni punto di questa sorgente fatta da un numero enorme di oscillatori vicinissimi l’uno
all’altro è sorgente di onde sferiche secondarie, per cui emette secondo la legge:
E=
0
sin( t kr )
r
dove abbiamo indicato esplicitamente la dipendenza da 1/r dell’ampiezza e la quantità
è
detta forza dell’oscillatore. Un segmento yi di questa fenditura conterrà un numero di
oscillatori yi ( N / D) , dove D è la lunghezza della fenditura. Immaginiamo di dividere la
fenditura in M segmenti per cui il contributo al campo elettrico dell’i-esimo segmento è:
0
- 115 -
Ei =
0
sin( t kri )
ri
N yi
D
se yi è così piccolo che gli oscillatori contenuti in esso hanno una differenza di fase relativa
trascurabile e il loro campi si possono sommare scalarmente. Per N
la forza di ogni
singolo oscillatore deve tendere a zero, se vogliamo che il campo in P sia un numero finito.
Definiamo pertanto una costante L come una forza degli oscillatori per unità di lunghezza,
cioè:
1
(8.11)
lim ( 0 N )
L
DN
Con questa posizione possiamo scrivere il campo totale in P per M segmenti come:
E=
M
L
ri
i =1
sin( t kri ) yi
(8.12)
Passando al continuo quindi,
E=
D/2
L
D/2
sin( t kr )
dy
r
(8.13)
dove r=r(y). L’approssimazione usata per valutare la (8.13) deve dipendere dalla posizione di
P dalla fenditura e farà quindi la distinzione tra diffrazione di Fresnel e di Fraunhofer.
La sorgente lineare coerente non esiste ovviamente come entità fisica, ma è utile come
strumento matematico.
8.3 Diffrazione di Fraunhofer
Nel seguito considereremo solo la diffrazione nel caso di Fraunhofer.
8.3.1 La fenditura ideale singola
Sia ora il punto di osservazione P molto lontano dalla sorgente lineare coerente e sia R D .
In queste circostante r(y) non devia mai apprezzabilmente da R cosicché il contributo al campo
in P dall’elemento dy si scrive:
dE =
L
R
sin( t kr )dy
(8.14)
L
dy è l’ampiezza dell’onda. Si noti che non abbiamo scritto R al posto di r nella fase in
R
quanto, al contrario dell’ampiezza, la fase è molto sensibile all’approssimazione che
utilizziamo. Espandiamo allora r(y) nel modo seguente:
dove
r = R y sin + ( y 2 / 2 R ) cos 2 + ...
(8.15)
dove è misurato nel piano xz. Il terzo termine può essere ignorato quando il suo contributo
alla fase è insignificante anche per y=±D/2; cioè ( D 2 / 4 R ) cos 2 deve essere trascurabile.
- 116 Questo è vero per tutti i valori di quando R è molto grande. In questa situazione, detta
condizione di Fraunhofer, la distanza r è lineare in y.
Pertanto si ha:
E=
D/2
L
R
D/2
sin[ t k ( R
y sin )]dy
(8.16)
e finalmente,
D sin[(kD / 2) sin ]
sin( t kR)
R
(kD / 2) sin
E=
L
~ (kD / 2)sin cosicché si ha:
Per semplificare la (8.17) poniamo
E=
D sin
R
L
sin( t kR)
La densità di flusso (lasciando perdere le costanti) è I ( ) = E 2
1
I( ) =
2
dove sin 2 ( t kR)
T
(8.17)
D
R
2
sin
L
(8.18)
T
, per cui è:
2
(8.19)
= 1/ 2 . Quando =0, sin / =1 e I( )=I(0), che corrisponde al massimo
principale. Nell’approssimazione di Fraunhofer pertanto si ha che la densità di flusso irradiata
da una fenditura singola idealizzata come una sorgente lineare coerente è:
I ( ) = I (0)
sin
2
= I (0) sinc 2
(8.20)
Essendoci simmetria attorno all’asse y questa espressione vale per misurato in ogni piano
= ( D / )sin , quando D
contenente questo asse. Si noti che poiché
la densità di
flusso va rapidamente a zero per
0. La fase di una sorgente lineare coerente è quindi
equivalente per la (8.18) a quella di una sorgente puntiforme localizzata al centro del sistema.
D , è piccolo, sin
e I( )=I(0), cioè la densità di flusso è costante
Al contrario quando
per tutti gli angoli , e la fenditura rassomiglia ad una sorgente puntiforme che emette onde
sferiche.
8.3.2 La fenditura rettangolare reale
La procedura usuale per l’analisi della fenditura reale è quella di dividere la fenditura in tante
striscioline (dz× , vedi Fig. 8.4) parallele all’asse y. Si riconosce immediatamente che ogni
strisciolina è una sorgente lineare coerente, nel modo in cui è stata definita prima. La fenditura
è lunga e stretta.
- 117 y
x
P
z
dz
Fig. 8.4 La fenditura reale fatta da tante striscioline dz× .
Pertanto ogni strisciolina può essere rimpiazzata da un’emissione puntiforme lungo l’asse z. In
effetti ognuno di questi emettitori irradia un’onda circolare nel piano xz (y=0). Il problema è
stato ridotto a trovare il campo nel piano xz dovuto ad un infinito numero di sorgenti
puntiformi coerenti che attraversano tutta la fenditura lungo l’asse z. Dobbiamo quindi
calcolare l’integrale dei contributi dE provenienti da ogni elemento dz nell’approssimazione di
Fraunhofer. Ma questa è a sua volta ancora una sorgente lineare coerente, cosicché la soluzione
è proprio la (8.20), con = (kb / 2) sin , dove b è la dimensione lungo z della fenditura. In
questo caso si possono osservare dei massimi secondari nella distribuzione di I( ) poiché non
è grande. I minimi si ottengono risolvendo l’equazione:
dI
2sin ( cos
= I (0)
3
d
sin )
=0
(8.21)
L’intensità minima, uguale a zero si ha per sin =0, cioè per =± , ±2 , ±3 , ... In generale
quindi i minimi si ottengono dall’equazione:
b sin
m
=m .
(8.22)
I massimi si ottengono invece risolvendo l’equazione trascendente:
tan
=
(8.23)
ottenuta ponendo uguale a zero il numeratore entro parentesi nella (8.21). Essi si hanno per =
±1.430 , ±2.459 , ±3.470 , ... (vedi Fig. 8.5).
- 118 Dobbiamo a questo punto rimarcare che il principio di Huygens-Fresnel non tiene conto
delle variazioni dell’ampiezza con l’angolo . Invece nella diffrazione di Fresnel si tiene conto
di questo problema introducendo un termine detto fattore di obliquità. Nella diffrazione di
Fraunhofer l’apertura e lo schermo sono così lontani che si può trascurare questo problema, a
patto che non sia troppo grande.
In Fig. 8.5 è disegnata la distribuzione della densità di flusso in funzione di .
1
0.047
−1.43
−2.46
−2
I( )/I(0)
−
1.43
2.46
2
Fig. 8.5 Andamento approssimato della densità di flusso nella diffrazione di Fraunhofer da una fenditura singola.
Si presti attenzione al fatto che i massimi secondari non riproducono esattamente la curva reale, non essendo
simmetrici.
Si noti innanzitutto che i massimi secondari sono molto deboli. I minimi di luce sono di
difficile localizzazione sperimentalmente, per cui la (8.22) non può essere usata per ricavare la
lunghezza d’onda della luce.
Se la sorgente emette luce bianca i vari massimi mostrano una successione di colori che va
dal blu al rosso. Ogni tipo di sorgente puntiforme è in grado di produrre il fenomeno osservato;
dalla luce del sole che passa attraverso un buco alla luce di un lampione notturno lontano.
Può sembrare a prima vista che il massimo principale sia sempre allineato con il centro
della fenditura. Questo non è sempre vero. La figura di diffrazione è in realtà centrata sull’asse
della lente L2, ed ha esattamente la stessa forma e localizzazione indipendentemente dalla
posizione della fenditura, se la sua orientazione non è cambiata e sono valide le
approssimazioni considerate.
8.3.3 La fenditura doppia
Supponiamo ora di avere due fenditure larghe b e separate da una distanza a. Ognuna delle due
aperture può generare la medesima figura di diffrazione sullo schermo . In ogni punto di i
contributi delle due fenditure si sovrappongono, e sebbene siano uguale come ampiezza,
- 119 possono essere significativamente diversi come fase. Poiché l’onda primaria eccita le sorgenti
secondarie nello stesso modo, avremo tutte sorgenti coerenti e quindi interferenza tra le varie
onde secondarie. Se la luce incidente incide normalmente alle fenditure, le sorgenti secondarie
sono tutte in fase e le frange di interferenza osservate dipenderanno dal diverso cammino ottico
attraversato dalle onde secondarie delle due fenditure. Se la luce incidente arriva sulle fenditure
ad un angolo i, ci sarà una differenza di fase costante tra tutte le onde secondarie di cui tenere
conto.
Il risultato è che sullo schermo si vedranno delle frange di interferenza modulate dalla
figura di diffrazione mostrata prima.
Per ottenere un’espressione del campo E sullo schermo , dobbiamo riformulare l’analisi
fatta per la singola fenditura. Adesso ognuna delle due aperture è divisa in tante striscioline
(dz× ), che si comportano a loro volta come un numero infinito di sorgenti puntiformi allineate
lungo l’asse z. Il contributo totale, nell’approssimazione di Fraunhofer sarà allora:
E =C
b/2
b/2
F ( z )dz + C
a +b / 2
a b/2
F ( z )dz
(8.24)
dove F ( z ) = sin[ t k ( R z sin )] . La costante C include, come nella (8.16) la forza
dell’oscillatore per unità di lunghezza e la distanza R dall’origine al punto P (che è assunta
come costante). L’integrazione della (8.24) dà:
E = bC
sin
[sin( t kR) + sin( t kR + 2 )]
(8.25)
(ka / 2) sin e, come prima
~ (kb / 2) sin . Questa è proprio la somma dei due
dove
campi nel punto P, da ognuna delle due fenditure. Semplificando la (8.25):
E = 2bC
sin
cos sin( t kR + )
(8.26)
e facendo la media temporale su un sufficientemente lungo intervallo di tempo, si ha:
I ( ) = 4I0
sin 2
2
cos 2
(8.27)
Se nella (8.27) b diviene molto piccolo (kb<<1), allora sin / 1, e l’eq. si riduce a quella già
vista nell’esperimento di Young. Se invece a=0, le due fenditure divengono una sola, =0 e la
(8.27) diviene I ( ) = 4 I 0 (sin 2 / 2 ) che è equivalente a quella per una singola fenditura, a
parte il fattore 4.
Graficando la (8.27) in Fig.(8.6) vediamo che il termine di interferenza cos2 è modulato dal
termine di diffrazione sin 2 / 2 . I minimi principali si hanno per =± , ±2 , ±3 , ..., mentre i
minimi secondari per = ± /2, ±3 /2, ±5 /2, ...
La curva di Fig. 8.6 è ottenuta nel caso particolare che a = 3b (cioè = 3 ). Si vede che il
terzo massimo secondario cade sul primo minimo di diffrazione. Se fosse a= mb ci sarebbero
invece 2(m−1) massimi secondari entro il picco centrale di diffrazione.
- 120 -
4I0
−2
−
I( )
− /a
2
/a
Fig. 8.6 Andamento approssimato della densità di flusso nella diffrazione di Fraunhofer da una fenditura doppia.
8.3.4 Il reticolo
La procedura per ottenere la densità di flusso per un’onda che incide su N fenditure (reticolo di
diffrazione) è la stessa di quella usata per due sole fenditure. Consideriamo allora il caso di N
fenditure larghe b e separate da una distanza a. Il contributo dovuto alla j-esima fenditura si
scrive:
E j = bC
sin
sin( t kR + 2
j
)
(8.28)
(ka / 2) sin e, come prima
~ (kb / 2) sin . Si noti che questa è
dove è sempre
equivalente all’espressione per una singola sorgente lineare coerente. Sommando tutti i
contributi si ottiene:
E=
N 1
bC
sin
j =0
sin( t kR + 2
j
)
(8.29)
che può essere riscritta nella forma:
E = bC
sin
La densità di flusso totale diviene allora:
sin N
sin[ t kR + ( N 1) ]
(8.30)
- 121 -
I ( ) = I0
2
sin
2
sin N
(8.31)
Si noti che la densità di flusso emessa nella direzione =0 è I (0) = N 2 I 0 , dove I0 è la densità di
flusso emessa da ogni singola sorgente. Come prima la figura di interferenza è modulata dalla
figura di diffrazione. Se le aperture delle fenditure potessero essere portate a zero, la (8.31)
diverrebbe uguale alla (8.8), cioè il sistema si comporterebbe come un insieme di oscillatori
armonici coerenti.
I massimi principali si hanno per = 0, ± , ±2 , ±3 , ... o in modo equivalente per:
a sin
m
=m
(8.32)
con m=0, ±1, ±2, ±3, .... I minimi con densità di flusso uguale a zero si hanno per:
=±
N
,±
2
3
( N 1)
( N + 1)
, ± ,..., ±
,±
,...
N
N
N
N
(8.33)
Tra due consecutivi massimi principali ci sono perciò N−1 minimi. E naturalmente tra ogni
coppia di minimi ci deve essere un massimo secondario che sarà localizzato a:
=±
3
5
,±
,...
2N 2N
(8.34)
Lo studente provi a calcolarsi l’intensità relativa dei massimi secondari rispetto ai massimi
principali al variare di . Si vedrà che per grandi N ed piccoli il primo massimo secondario
ha una densità di flusso:
I
I (0)
sin
2
2
3
2
(8.35)
che è circa 1/22 di quella del massimo principale.
Al crescere di N le righe si fanno via via più sottili, mantenendo però la stessa distanza relativa
/a.
Esistono diversi tipi di reticoli di diffrazione. I primi tipi ad apparire agli inizi
dell’ottocento consistevano in una sottile griglia di fili (metallici o di tessuto) paralleli
sottilmente ed equamente spaziati. Il fronte d’onda nel passaggio attraverso questo sistema
incontrando zone trasparenti e zone opache, diventa modulato in ampiezza. Questo tipo di
configurazione è detta infatti reticolo di trasmissione a modulazione di ampiezza.
Un altro tipo di reticolo di trasmissione si ottiene strisciando con una punta di diamante un
vetro trasparente, producendo zone rettilinea ove la luce viene diffusa. Quando il reticolo è
totalmente trasparente, cosicché la modulazione in ampiezza è trascurabile, le variazioni
regolari di spessore inducono una modulazione di fase. Si parla allora di reticolo di
trasmissione a modulazione di fase. Il fronte d’onda emergente conterrà variazioni periodiche
nella sua forma piuttosto che nella sua ampiezza.
- 122 In riflessione quest’ultimo tipo di reticolo lavora altrettanto bene e si parla quindi di
reticolo di riflessione a modulazione di fase. Generalmente sono costruiti facendo evaporare
dell’alluminio su una lastrina di vetro su cui viene fatto strisciare una punta di diamante.
Al giorno d’oggi molti reticoli sono fatti con tecniche olografiche.
L’equazione del reticolo, guardando ad esso in direzione normale è dunque:
a sin
m
=m
I valori di m specificano i vari massimi principali. Per una sorgente a spettro continuo, come
una lampada a tungsteno, l’ordine m=0 è una riga bianca, mentre per gli ordini superiori poiché
l’eq. del reticolo dipende da , si vedrà una continua distribuzione di colori. Più piccolo è a più
piccolo sarà il numero degli ordini visibile. Nel caso di incidenza obliqua l’eq. del reticolo
diviene:
a(sin m sin i ) = m
(8.36)
sia per la riflessione che per la trasmissione. Questa espressione si applica indipendentemente
dall’indice di rifrazione del reticolo di trasmissione stesso.
Il principale difetto di questo tipo di reticoli è che essi distribuiscono la luce incidente su un
numero di ordini spettrali a bassa densità di flusso. La maggior parte dell’energia cade nel
massimo principale (ordine zero), che è nella direzione speculare, come se si avesse uno
specchio piano. L’ordine zero è di poca utilità per la spettroscopia perché tutte le
si
sovrappongono. Per questo motivo i reticoli moderni hanno una forma particolare (reticoli detti
“ blazed”) che consente di orientare l’ordine zero in una direzione diversa dall’angolo di
riflessione speculare (Fig. 8.7).
Le posizioni degli ordini m sono determinate dai valori di a, , e, in modo particolare, i.
Ma i e m sono misurate dalla normale al piano del reticolo (la linea a punti e trattini in Fig.
8.7), mentre la direzione del picco di diffrazione è determinata dalla direzione normale al piano
delle scanalature (linea tratteggiata in Fig. 8.7).
Se la luce incidente arriva normalmente al reticolo ( i=0), per m=0 si ha 0=0. Per
riflessione speculare invece è i − r = 2 . Questo corrisponderà ad un particolare ordine non
nullo quando m= −2 , cioè a sin( 2 ) = m per i desiderati ed m.
8.3.5 Spettroscopia con i reticoli
Le informazioni astronomiche che possono essere ricavate dall’uso della spettroscopia con i
reticoli sono tantissime e vanno dalla misura della temperatura di una stella, alle misure di
velocità di stelle e galassie, al redshift dei quasar. Oggi si fa spettroscopia dalla banda X
all’infrarosso, e questo fa capire quanto sia raffinata la tecnica di costruzione di questi reticoli.
Il passo dei reticoli è oggi guidato con tecniche interferometriche, che consentono precisioni
altissime nella costruzione di reticoli ad elevata risoluzione.
Esaminiamo ora alcune delle principali caratteristiche degli spettri ottenuti con i reticoli.
La larghezza di una riga spettrale è definita dalla distanza angolare tra i minimi adiacenti ogni
= 2 / N ). Per un incidenza obliqua possiamo
massimo principale (quindi per la (8.33)
sin i ) , cosicché una piccola variazione in è data da:
ridefinire come (ka / 2)(sin
= (ka / 2)cos (
)=2 /N
(8.37)
- 123 -
, angolo di blaze
a
normale alla faccetta
i
direzione speculare. Picco di diffrazione
normale al reticolo
0
direzione
dell’ordine zero
Fig. 8.7 Sezione di un reticolo di diffrazione blazed.
dove l’angolo di incidenza è costante. Perciò anche quando la luce incidente è monocromatica
è:
= 2 /( Na cos m )
(8.38)
che è l’allargamento strumentale delle righe. Si noti la dipendenza da Na, cioè dalla larghezza
del reticolo.
Un’altra quantità importante è la differenza angolare corrispondente ad una differenza di .
Come nel caso del prisma la dispersione angolare è definita dalla relazione:
D d /d
(8.39)
Differenziando l’eq. del reticolo si ha:
D = m /(a cos
m
)
(8.40)
Questo significa che la separazione angolare tra due righe successive cresce al crescere
dell’ordine. La differenza angolare tra due righe può divenire piccola al punto che esse in parte
si sovrappongono; è necessario quindi definire il potere risolutivo cromatico del reticolo:
R
/(
)min
(8.41)
dove ( ) min è la più piccola differenza di lunghezza d’onda risolvibile, o limite di risoluzione.
Il criterio di Lord Rayleigh per la risoluzione di due righe con uguale densità di flusso richiede
che il massimo principale di una coincida con il primo minimo dell’altra. Si ha in questa
situazione che la separazione angolare è metà dell’allargamento strumentale. Combinando la
(8.38) e la (8.40) si ha pertanto:
/(
o anche:
)min = mN
(8.42)
- 124 -
R=
Na (sin
sin i )
m
(8.43)
Il potere risolutivo è quindi funzione della larghezza del reticolo, dell’angolo di incidenza e di
. Si noti che il potere risolutivo non può superare la quantità 2 Na / , e il più grande valore si
ha quando il reticolo è montato in auto-collimazione, cioè quando
i
m , per cui è:
R=
Na sin
i
(8.44)
Dobbiamo infine considerare il problema degli ordini sovrapposti. E’ evidente dall’eq. del
possono coincidere in due ordini
reticolo che due righe di lunghezza d’onda e +
successivi (m+1) ed m se:
a(sin
m
sin i ) = (m + 1) = m( +
)
La precisa differenza in lunghezza d’onda per cui ciò accade è detta intervallo spettrale libero,
)fsr = / m
(
(8.45)
(fsr = “free spectral range”). Un reticolo ad alta risoluzione blazed per il primo ordine in modo
da avere il più grande intervallo spettrale libero, avrà quindi un alto numero di scanalature (fino
anche a 1200 tratti per mm), per mantenere il suo potere risolutivo R. L’eq. (8.43) mostra che R
può essere mantenuto costante diminuendo il numero di tratti e aumentando lo spazio tra essi.
Questo però richiede un aumento dell’ordine m e quindi una diminuzione dell’intervallo
spettrale libero, con la conseguenza che gli ordini si sovrappongono. Se invece si tiene costante
N e si fa crescere a, R ed m crescono e quindi ( )fsr diminuisce ugualmente. Aumentando a,
l’allargamento strumentale diminuisce (le righe diventano più sottili), ma anche la dispersione
diminuisce, con l’effetto che le righe dello spettro si avvicinano l’una all’altra.
8.3.6 Apertura rettangolare e circolare
Consideriamo ancora il caso di un’onda piana monocromatica incidente su di uno schermo
opaco di diffrazione ove sia presente un’apertura rettangolare. Diversamente da prima ora
l’apertura non è lunga e stretta, ma semplicemente piccola (dell’ordine di in entrambe le
direzioni). Vogliamo come prima trovare la distribuzione della densità di flusso in un punto P
lontano da . Per il principio di Huygens-Fresnel un elemento differenziale d’area dS entro
l’apertura può essere pensato come una sorgente puntiforme coerente di onde sferiche
secondarie. Essendo dS<< tutte le onde che contribuiscono al campo in P rimarranno in fase e
interferiranno costruttivamente. Questo indipendentemente da , essendo l’onda emessa
un’onda sferica. Se A è la forza degli oscillatori per unità di area, assunta costante su tutta
l’apertura, il singolo contributo in P sarà:
dE =
Osserviamo ora la Fig.8.8.
A
r
ei (
t kr )
dS
- 125 -
Y
P
Z
z
y
dS
r
R
x
P0
Fig. 8.8 L’apertura rettangolare di dimensioni a×b.
La distanza r tra dS e P è:
r = [ X 2 + (Y
y)2 + ( Z
z ) 2 ]1/ 2
(8.46)
quando questa distanza tende ad infinito si hanno le condizioni di Fraunhofer, per cui possiamo
rimpiazzare r con la distanza OP, cioè R, nel termine di ampiezza, se l’apertura è piccola. Il
termine di fase deve essere trattato con più attenzione. Espandiamo quindi r nel seguente
modo:
r = R[1 + ( y 2 + z 2 ) / R 2 2(Yy + Zz ) / R 2 ]1/ 2
(8.47)
Nel caso R sia molto grande rispetto alle dimensioni dell’apertura il secondo termine della
(8.47) è trascurabile. Poiché P è molto lontano, è sempre piccolo anche se Z e Y sono
abbastanza grandi, per cui possiamo stare tranquilli circa la direzionalità dell’emissione (fattore
di obliquità). Possiamo quindi scrivere:
r = R[1 2(Yy + Zz ) / R 2 ]1/ 2
e, prendendo solo i primi due termini dell’espansione binomiale della (8.48), si ha:
r = R[1 (Yy + Zz ) / R 2 ]
(8.48)
- 126 -
Il campo totale in P è quindi data dalla:
E% =
A
ei ( t
R
kR )
eik (Yy + Zz ) / R dS
(8.49)
Apertura
Considerando la specifica configurazione rettangolare che stiamo trattando, si ha allora:
E% =
Posto
' ~ kbY / 2 R e
A
ei ( t
R
kR )
b/2
b/2
eikYy / R dy
a/2
a/2
eikZz / R dz
(8.50)
' kaZ / 2 R abbiamo:
b/2
b/2
a/2
a/2
eikYy / R dy = b
ei
dz = a
ei
e
ikZz / R
'
i '
e
2i '
'
i '
e
2i '
=b
sin
'
=a
sin '
'
'
da cui:
A A ei (
E% =
R
t kR )
dove A è l’area dell’apertura. Poiché I = (Re E% ) 2
sin '
'
T
sin '
'
(8.51)
, la densità di flusso varia secondo la:
sin '
I (Y , Z ) = I (0)
'
2
sin '
'
2
(8.52)
dove I(0) è la densità di flusso in P0. La forma tridimensionale della (8.52) è simile alla Fig. 8.5
pensata in tre dimensioni. Quando ’ e ’ sono multipli interi non nulli di , o in modo
equivalente quando Y e Z sono multipli interi di R/a e R/b rispettivamente, si ha I(Y,Z)=0.
Si noti che la dimensione della figura di diffrazione nella direzione Y e Z varia inversamente
con la dimensione dell’apertura y, z. Una fenditura con un’apertura rettangolare orizzontale
produce una figura con un rettangolo verticale al centro.
Per quanto riguarda l’apertura circolare, diciamo soltanto che il calcolo del campo prodotto
in un punto P molto lontano, parte dall’eq. (8.49). Diamo qui solo il risultato finale del
processo di integrazione, per cui chi vuole approfondire veda direttamente il calcolo dai testi
citati in bibliografia. La densità di flusso I( ) risulta essere:
2 J1(ka sin )
I ( ) = I (0)
! ka sin
"
2
(8.53)
dove J1(x) è la funzione di Bessel del primo tipo di ordine 1 (che si trova sotto forma di tabella
in molti testi). A causa della simmetria assiale, il massimo centrale molto piccato corrisponde
ad un dischetto luminoso noto come disco di Airy. Il disco è circondato da un primo anello
- 127 scuro che si ha quando si annulla la funzione J1(x). Questo avviene quando x=kaq/R=3.83,
dove a è il raggio dell’apertura circolare, e q è la distanza P0P. Il raggio del primo anello scuro
è pertanto:
q1 = 1.22
R
2a
(8.54)
Se pensiamo all’apertura come ad una lente, l’immagine di una stella sul piano focale f
sarà un dischetto di Airy di dimensioni:
q1 1.22
R,
f
D
dove D è il diametro della lente. La figura di diffrazione di un’apertura circolare è anch’essa
simile alla Fig. 8.5, ma cambiano le posizioni dei minimi e l’intensità dei massimi secondari.
Consideriamo ora il caso di una matrice bidimensionale di aperture rettangolari illuminate
da un’onda piana incidente perpendicolarmente. Ogni elemento si comporta come una sorgente
coerente, e a causa della periodicità regolare della matrice di elementi emittenti, ogni onda
secondaria avrà una relazione fissa di fase con tutte le altre. Ci saranno allora delle direzioni in
cui prevarrà l’interferenza costruttiva e altre in cui sarà distruttiva. Il fenomeno può essere
osservato guardando ad una sorgente puntiforme lontana attraverso un pezzo di tessuto o un
passino da tè. L’immagine diffratta è effettivamente la sovrapposizione delle figure di
diffrazione prodotte da due reticoli tra loro perpendicolari.
8.4 Elementi di spettroscopia
Nel paragrafo precedente abbiamo introdotto alcune informazioni sulla spettroscopia con i
reticoli “blazed” ed abbiamo scritto l’eq. (8.36) che è l’equazione base del reticolo.
Vediamo ora di fornire alcune definizioni fondamentali della spettroscopia che saranno
importanti per chiarire il funzionamento tipico di uno spettrografo.
Abbiamo già definito nella (8.39) la dispersione angolare come quella proprietà di un
prisma o di un reticolo di separare due lunghezze d’onda (vedi Fig. 8.9). Riscriviamo la (8.39)
come:
A=
d
d
d
+d
Fig. 8.9 La dispersione angolare
- 128 Definiamo ora come dispersione lineare la quantità:
dl
d
= f
d
d
= f #A
(8.55)
dove abbiamo posto una lente di focale f in prossimità del prisma o del reticolo (Fig. 8.10).
f
dl
+d
Fig. 8.10 La dispersione lineare
Vediamo ora di disegnare gli elementi costitutivi di un semplice spettrografo e di riassumere le
principali relazioni esistenti tra le grandezze in gioco. Lo schema base di uno spettrografo è il
seguente (vedi Fig. 8.11).
collimatore
telescopio
camera
immagine
fenditura
hx
d1
d2
fenditura
f
h’ x ’
f1
dispersore
f2
Fig. 8.11 Lo schema base di uno spettrografo.
Un telescopio di diametro D e focale f ha nel suo piano focale un fenditura rettangolare di
dimensioni h x . Gli angoli sottesi dal centro della pupilla d’entrata (lo specchio) alla
fenditura sono: $ = / f $ ' = h / f . Quelli sottesi dal centro del collimatore alla fenditura:
= / f1
' = h / f1 e quelli sottesi dal centro della camera all’immagine della fenditura:
= '/ f 2
' = h '/ f 2 . Inoltre dalla geometria del sistema si vede che: D / d1 = f / f1 .
d
Si definisce ingrandimento anamorfico la quantità: r = = 1 .
d2
- 129 L’immagine della fenditura sul detector (ad es. un CCD) sarà data dalle seguenti relazioni:
'=r
!
f2
f
D
=r
f 2 = r$
f 2 = r$ DF2
f1 "
f f1
d1
(8.56)
f
h f
D
h' = h 2 =
f 2 = $ ' f 2 = $ ' DF2
f1
f f1
d1
Facciamo un esempio dell’uso che si fa delle (8.56). Supponiamo di osservare una stella
con un telescopio di 4m di diametro da un luogo ove il seeing medio è di circa 1 arcsec. Per
non perdere luce nel nostro spettrografo vogliamo quindi che la larghezza della fenditura sia
di questo ordine di grandezza. Supponiamo inoltre di avere come detector un CCD con dei
pixel quadrati da 15 µm. L’immagine della fenditura sul CCD dovrà quindi essere di 2 pixel
per avere un buon campionamento. Questo significa che deve essere r$ DF2 = 30µ m , da cui si
ricava che rF2 = 1.55 e (se d1 d 2 ) che f 2 / d 2 = 1.55 , cioè che la camera deve avere un f/ratio
abbastanza rapido.
La risoluzione spettrale di uno spettrografo è definita dalla relazione R =
d
. Il limite
teorico imposto dalla diffrazione è tale per cui:
Rdiff =
dove abbiamo posto ( A = d / d
Ad 2
d
/ d 2 ). In generale si ha invece:
ed
R=
Ad 2
d
=
A
d
Ad1
Af1
=
r$ D r$ f
(8.57)
d = '/ f 2 e facendo uso delle (8.56). Dalla precedente equazione si vede
avendo posto
che aumentando il diametro dello specchio diminuisce la risoluzione spettrale; occorre quindi
costruire un collimatore di diametro maggiore per compensare tale perdita di risoluzione
(analoga cosa dicasi poi se cambia la focale del telescopio). Si vede inoltre che due lunghezze
r$ D
.
d’onda vicine per poter essere separate dallo spettrografo devono distare almeno di d =
Ad1
8.4.1 Flussi, luminosità ed étendue
Cerchiamo ora una relazione per il flusso trasmesso dalla combinazione
telescopio+spettrografo. Per definizione il flusso infinitesimo dF irradiato in un angolo solido
d in una direzione normale ad una superficie dS è dato da:
dF = I # d & = B cos dSd &
dove I è l’intensità o flusso per unità di angolo solido nella direzione . Nel nostro caso la
superficie dS coincide con le dimensioni della fenditura per cui è dS=hx .
Il flusso totale che passa attraverso la fenditura è dato dall’integrale di dF su tutta l’apertura,
che si ottiene subito dalla:
- 130 m
F = 2 BdS cos sin d = B #U
(8.58)
0
dove U = sin 2 m dS è detta étendue. L’angolo m è l’angolo di apertura del collimatore
sotteso alla fenditura. Se questo è piccolo (tale che sin ~ ), sostituendo le variabili introdotte
prima, si ha:
d12
U=
4
D2
dd
$$ ' = 1 2
'=
4
4
' = S&
(8.59)
da cui si vede che l’étendue è il prodotto dell’area del fascio collimato e l’angolo soldico della
fenditura come vista dal collimatore, o anche è il prodotto dell’area del telescopio per l’angolo
solido della fenditura in cielo.
Detta la trasmissività della combinazione telescopio+spettrografo, la luminosità L del sistema
sarà data da:
L = 'U = ' S & .
Se F è il flusso monocromatico entrante nel telescopio, il flusso F’ nell’immagine proiettata
della fenditura sarà:
F ' = ' F = ' BU = B 'U
da cui si vede che la brillanza dell’immagine B’è minore della brillanza della sorgente B per un
fattore (se naturalmente è n=1 nello spazio immagine).
8.4.2 Prodotto luminosità-risoluzione
L’importanza del concetto di luminosità e di étendue nella valutazione delle performance di
uno spettrografo appare più chiara quando si considera il loro prodotto con la risoluzione.
Facendo il prodotto della (8.57) con la (8.59) otteniamo:
L # R = (' / 4 )( D$ ')( Ad 2 )
(8.60)
da cui si vede che il prodotto è costante e la luminosità è inversamente proporzionale alla
risoluzione per un dato spettrografo. Maggior risoluzione implica quindi minor luminosità.
Nella (8.60) ’ è il diametro del disco di seeing quando si osserva una sorgente stellare, oppure
per una sorgente estesa l’area di cielo coperta dalla fenditura. Si noti che la larghezza della
fenditura non entra nella (8.60). Moltiplicando per la brillanza B si ottiene:
F # R = B # L # R = B (' / 4 )( D$ ')( Ad 2 )
cioè il prodotto flusso-risoluzione. Per una stella si ha generalmente B * 1/ $ '2 da cui quindi:
F #R *
1
D
' / 4 )( D$ ')( Ad 2 ) = const #'
2 (
$'
$'
(
Ad 2 )
- 131 Quando allora l’immagine della stella è maggiore delle dimensioni della fenditura al migliorare
del seeing cresce il prodotto F-R. Quando invece la stella è tutta dentro la fenditura F’ è
costante ed R è inversamente proporzionale a ’.
Per una sorgente estesa possiamo invece assumere in prima approssimazione che B sia costante
nell’area coperta dalla fenditura. Sebbene quindi il prodotto L-R e F-R cresca con ’, la
brillanza dell’immagine B’rimane costante ed il tempo di esposizione resta lo stesso.
8.4.3 Velocità di uno spettrografo
Il tempo di esposizione richiesto per registrare uno spettro su di un detector dipende dalla
velocità con cui l’energia in una data banda spettrale è raccolta su di una data area del detector.
In uno spettrografo l’illuminamento E di un’immagine è definita come il flusso spettrale
ricevuto per unità di area del detector. Se l’area sul detector è quella corrispondente
all’immagine della fenditura e d si ricava dalla (8.57), si ha:
E = F 'd / 'h' = F 'P / h'
(8.61)
dove P=1/fA (plate factor). Assumendo nuovamente B=C’ (costante) per una sorgente estesa e
B=C’/ ’2 per una sorgente stellare si ha che:
F 'est . = C' D 2$$ '
F 'st . = C' D 2 ($ / $ ' )
dove C = C '/ 4 e $ = $ ' per una stella interamente entro la fenditura. Pertanto sostituendo si
ha:
Eest . =
Est .1 =
Est .2 =
C' d
C' ' P
=
2
rF2
rF22
C' d
r ( F2$ ')
2
C' d
r ( F2$ ')
2
=
C'$ DP
F2$ '2
(8.62)
C' D 2 P
=
r '
rispettivamente per una sorgente estesa, per una stella maggiore della fenditura (cattivo seeing),
e per una stella interamente contenuta entro la fenditura (buon seeing). Nelle sorgenti estese il
seeing non ha quindi effetto sul tempo di esposizione. E’ importante infine notare la
dipendenza della velocità dello spettrografo dal diametro del telescopio e dalla rapidità della
camera (attraverso il suo f/ratio). Si noti come nelle sorgenti estese la rapidità è indipendente
dal diametro e cresca con la rapidità della camera (piccoli f/ratio).
- 132 -