Rilievi parasistematici sul fondamento e sui limiti di costituzionalità

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GIOVANNI MERUZZI
Rilievi parasistematici sul fondamento e sui limiti di costituzionalità
delle clausole generali nel diritto societario
SOMMARIO: 1. Lo stato dell’arte in tema di riflessione sulle clausole generali nel
diritto societario – 2. La classificazione delle clausole generali nel diritto societario: le
clausole di diritto comune e la loro metamorfosi operativa. – 3. Segue: le clausole di
diritto societario e la loro articolazione. – 4. La discrezionalità del giudice nel definire il
contenuto delle clausole generali nel diritto societario. – 5. Dichiaratività e costitutività
della giurisprudenza applicativa delle clausole generali in ambito societario. – 6. I
(distinti) problemi del fondamento costituzionale delle clausole generali nel diritto
societario e dei limiti di costituzionalità nell’applicazione in ambito societario delle
clausole generali.
1. Lo stato dell’arte in tema di riflessione sulle clausole generali nel diritto
societario. – La dottrina giuscommercialistica nutre per le clausole generali
un atteggiamento tradizionalmente ambivalente e nel contempo in rapido
divenire, in ciò sollecitata dall’evoluzione normativa e, nell’ultimo lustro,
da una rilettura più meditata della riforma societaria del 2003.
A tale tipologia di norme si è da sempre ricorsi, e sempre più spesso si
ricorre, sia nel diritto commerciale generale che in quello societario. In
ambito societario è tuttavia ancor oggi forte la tendenza ad attribuire alle
clausole generali un ruolo secondario, sulla base di una loro concezione
in larga misura svalutativa. A lungo è mancata una riflessione sistematica
sulle peculiarità che caratterizzano il ricorso alla tecnica normativa per
clausole generali in questo settore del diritto privato, e solo a partire dalla
seconda decade degli anni ‘2000 è stata avviata dalla giuscommercialistica
italiana un’autentica analisi sul ruolo e le funzioni che le clausole generali
ivi assumono1.
1
Un primo contributo organico è infatti costituito dal volume collettaneo curato da G. MERUZZI
e G. TANTINI, Le clausole generali nel diritto societario, in Tratt. Galgano, LXI, Cedam, Padova, 2011.
Nello stesso anno l’Associazione Italiana dei Professori Universitari di diritto commerciale –
Orizzonti del diritto commerciale, ha dedicato il suo II convegno annuale proprio al tema Le
clausole generali nel diritto commerciale, aprendo in tal modo una nuova fase dello studio in materia e
sollecitando la redazione di una serie di contributi specificamente dedicati, tra l’altro, al diritto
societario in senso stretto. Gli atti del convegno sono reperibili nel sito dell’Associazione
(www.orizzontideldirittocommerciale.it) all’indrizzo http://associazione.orizzontideldirittocommerciale.it/attidei-convegni-associativi/2011. All’indomani della riforma societaria del 2003 gli studiosi più sensibili
Giovanni Meruzzi
Infatti, se si prescinde dai pur numerosi studi sull’applicazione della
buona fede oggettiva nel diritto delle società2, i contributi in precedenza
dedicati alla materia sono stati sporadici. Uno degli ultimi, scritto nella
fase di elaborazione dei principi informatori della riforma societaria del
2003, esprime una visione sostanzialmente limitativa del ruolo delle
clausole generali in ambito societario, del tutto in linea con il timore che
il suo Autore ivi espressamente manifesta, ovvero che per loro tramite si
attribuisca al giudice un diretto potere di governo della società, con la
conseguenza che un soggetto terzo, per di più privo delle indispensabili
conoscenze tecniche, assuma decisioni e compia scelte che sono di
naturale competenza del management, sostituendosi ad esso e ai soci nella
gestione dell’impresa sociale3.
Lo studioso del diritto commerciale che si confronti col delicato tema
dell’intervento del giudice nei rapporti e nei conflitti intrasocietari tramite
il ricorso alle clausole generali non può non percepire che tale aspetto, sia
prima che dopo la riforma societaria del 2003, costituisce senza dubbio il
profilo di maggior invasività cui una società può essere sottoposta e, con
esso, di più rilevante criticità sistematica. Non a caso la dottrina anteriore
alla riforma del 2003, ben rappresentata dal citato articolo, si limitava a
fotografare quello che si riteneva essere l’aquis della giurisprudenza in
materia, individuando quattro aree di intervento giurisprudenziale, di cui
ben tre legate al dovere di buona fede e correttezza, ovvero:
• la tutela del diritto al dividendo a favore delle minoranze azionarie,
sistematicamente negato dalla maggioranza4;
alla materia avevano invece preferito concentrare l’analisi su alcune delle più rilevanti fattispecie
declinandone contenuti e regole operative, senza tuttavia allargare il campo al tema generale nel
termini qui svolti. Esemplari al riguardo, in relazione alle clausole generali degli assetti adeguati e
dell’agire informato, sono i contributi di M. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società
di capitali, Giuffrè, Milano, 2005, e F.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione degli amministratori nella
governance della società per azioni, Giuffrè, Milano, 2005. Per una valutazione d’insieme del ruolo
assunto dalle clausole generali all’indomani della riforma societaria v. tuttavia le riflessioni di L.
ROVELLI, Autonomia statutaria, contrattualizzazione e ruolo della cluasole generali, in V. AFFERNI e G.
VISINTINI (a cura di), Principi civilistici nella riforma del diritto societario, Giuffrè, Milano, 2005, p. 29 ss.
2
In ambito monografico v. ex multis, con diversità di accenti e di prospettive, A. GAMBINO, Il
principio di correttezza nell’ordinamento delle società per azioni, Giuffrè, Milano, 1987; M. CASSOTTANA,
L’abuso di potere a danno della minoranza assembleare, Giuffrè, Milano, 1991; D. PREITE, L’”abuso” della
regola di maggioranza nelle deliberazioni assembleari delle società per azioni, Giuffrè, Milano, 1992; A.
FERRARI, L’abuso del diritto nelle società, Cedam, Padova, 1998.
3
Il riferimento è al saggio di C. FOIS, Le clausole generali e l’autonomia statutaria nella riforma del sistema
societario, in Giur. comm., 2001, I, p. 421 ss., in part. p. 436 e 452.
4
In argomento v., tra la risalente giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 13 gennaio 1983, in
Banca, borsa, tit. cred., 1982, II, p. 328 ss.; Trib. Milano, 22 aprile 1993, in Dir. fall., 1994, II, p. 122
2
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
il sindacato delle operazioni sul capitale sociale, formalmente
rispettose della legge ma nella sostanza in danno dei soci di
minoranza5;
• lo scioglimento anticipato del rapporto sociale al fine di eliminare un
socio di minoranza scomodo, fattispecie nel cui ambito matura il ben
noto precedente di Cass., 11151/1995, che per gli studiosi del diritto
societario costituisce un passaggio fondamentale della materia6;
• l’applicazione, in tema di bilancio d’esercizio, delle clausole generali
di chiarezza, verità e correttezza della rappresentazione contabile ex
art. 2423 c.c. e, tramite esse, del principio comunitario della true and
fair view7.
In realtà già prima della riforma societaria del 2003 un’analisi puntuale
della situazione normativa e giurisprudenziale avrebbe dovuto condurre
alla presa d’atto di una situazione ben più articolata e complessa. La
ricostruzione appena accennata trascura infatti:
1) la presenza nell’ordinamento, già a partire dalla codificazione del ‘42
e da questa addiritttura ereditate, di clausole generali e di norme a
contenuto giuridico indeterminato specifiche del diritto societario (ad
es., nelle società di persone il diritto di recesso del socio per giusta
causa, ex art. 2285, c. 2, c.c. o la sua esclusione per gravi inadempienze,
ex art. 2286, c. 1, c.c.; nelle Spa la revoca dell’amministratore per
•
ss., con nota L. SALVATO. Successivamente alla riforma del 2003 v. inoltre Trib. Milano, 28
maggio 2007, in Giur. it., 2008, p. 130 ss.
5
V. in part. Trib. Milano, 3 gennaio 1987, in Dir. fall., 1988, II, p. 100 ss., in termini negativi;
Trib. Milano, 9 giugno 1994, in Giur. comm., 1996, II, p. 273 ss., con nota M. RUBINO DE RITIS;
Trib. Como, 1 giugno 2000, in Gius., 2000, p. 2011. Tra la giurisprudenza di legittimità Cass., 3
novembre 2006, n. 23599, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 1043 ss., con nota P. QUARTICELLI.
6
Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. comm., 1996, II, p. 329 ss., con nota di P. G. JAEGER, C.
ANGELICI, A. GAMBINO, R. COSTI, F. CORSI; Giust. civ., 1996, I, p. 381 ss., con nota A. SCHERMI;
Giur. it., 1996, I, 1, c. 574 ss.; Società, 1996, p. 295 ss., con nota D. BATTI.
7
Esemplare è in materia il leading case di Cass., sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27, in Giur. comm.,
2000, II, p. 73 ss., con nota P. G. JAEGER; Società, 2000, p. 551 ss., con nota V. SALAFIA.
In dottrina v. ex multis, sotto il profilo qui in esame, S. FORTUNATO, Clausole generali e informazione
contabile fra integrazione giurisprudenziale e integrazione professionale, in G. MERUZZI e G. TANTINI (a
cura di), Le clausole generali nel diritto societario, cit., p. 407 ss.; A. LOLLI, Le clausole generali della true
and fair view e del going concern: una chiave di lettura ed una ipotesi applicativa, paper presentato al
convegno 2011 dell’Associazione Orizzonti del diritto commerciale, reperibile all’indirizzo web cit.
ante, in nota 1). Solo per incidens si osserva che si è innanzi all’applicazione di clausole generali di
diritto interno ma, per l’appunto, di derivazione comunitaria. Il che porterebbe ad affrontare,
come naturale corollario, il tema delle modalità di applicazione da parte del giudice nazionale
delle clausole generali di diritto comunitario, che per questioni di opportunità si ritiene in questa
sede di tralasciare.
3
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giusta causa, ex art. 2386, c. 3, c.c., la denuncia di gravi irregolarità ex art.
2409, c. 1, c.c. o ancor prima il dovere di perseguire l’interesse sociale),
dalle quali sono stati nel tempo enucleati criteri di condotta e regole
operative specificamente caratterizzate rispetto al diritto privato
generale;
2) il ruolo che le clausole generali di diritto comune, siano esse espresse
od occulte, hanno storicamente svolto e ancor oggi continuano a
svolgere in sede di “costruzione” dell’ordinamento societario. Basti
qui ricordare l’uso da parte della giurisprudenza, agli inizi del ‘900,
del divieto di venire contra factum proprium e della massima fraus omnia
corrumpit per enucleare l’ipotesi della sospensione dei termini
precrizionali della responsabilità degli amministratori verso la società,
poi trasfusa nell’art. 2941, n. 7, c.c.8; oppure l’enucleazione o il
successivo affinamento, tramite il criterio generale della buona fede
oggettiva o il ricorso, palese o occulto, al divieto di abuso del diritto,
di istituti che sono parte fondamentale del diritto societario9.
La riforma del 2003 amplia considerevolmente l’ambito operativo e
sistematico assunto dalle clausole generali nel diritto societario, andando
ben oltre i tradizionali confini della gestione dei conflitti endosocietari e
della funzione latu sensu costruttiva dell’ordinamento10. Tale valutazione è
in contrasto con la posizione formalmente assunta dalla Commissione
Vietti, in cui aveva finito per prevalere la posizione di chi riteneva che nel
diritto societario le clausole generali dovevano mantenere un ruolo il più
8
Si tratta, in particolare, del precedente di Trib. Milano, 17 dicembre 1931, in Foro it., 1932, I, c.
1504 ss., con nota critica A. M(ONTEL), in part. c. 1509. Ma già in precedenza v. Cass. Firenze, 18
maggio 1912, in Giur. it., 1912, I, 1, c. 856 ss. Successivamente alla pronuncia meneghina v. poi
Cass. Regno, 21 giugno 1933, in Giur. it., 1933, I, 1, c. 1073 ss.; Cass., Regno, 8 febbraio 1940, n.
442, in Foro it., 1940, I, c. 1079 s.; App. Roma, 26 giugno 1940, in Dir. lav., 1940, II, p. 376 ss.,
con nota redazionale U. NOVELLI, che fanno leva sul principio affine nemini dolus suus prodesse
potest.
9
Emblematica, in tal senso, è la vicenda giurisprudenziale che, nella seconda metà degli anni ’90
dello scorso secolo, ha portato la S.C., con il precedente di Cass., 17 settembre 1997, n. 9252, in
Società, 1998, p. 1025 ss., con nota G. DOMENICHINI; Foro it., 2000, I, c. 243 ss., con nota L.
DELLE VERGINI, a enucleare dal criterio della buona fede oggettiva il dovere dei sindaci di
effettuare, ricorrendo i presupposti della fattispecie, la denuncia di gravi irregolarità ex art. 2409
c.c.; dovere poi trasfuso, con la riforma del 2003, nel novellato art. 2409, c. 7, c.c., che ha
riconosciuto la loro autonoma legittimazione alla denuncia.
10
Su quest’ultima funzione, che costituisce una delle direttrici di sviluppo giurisprudenziale delle
clausole generali, ci si permette di rinviare a quanto analiticamente esposto in G. MERUZZI,
L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, Cedam, Padova, 2005, p. 162 ss., in part. p. 174 s.
4
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
possibile limitato11. Tuttavia la situazione si appalesa ben diversa se, al di
là delle formali enunciazioni, si pone attenzione alle scelte normative
effettivamente adottate, che denotano con chiarezza un diverso ruolo
che il legislatore del 2003 ha assegnato al giudice nella gestione delle
controversie societarie rispetto al passato, grazie all’introduzione nella
disciplina delle società di capitali di un complesso e articolato sistema di
clausole generali che intervengono, tra l’altro, su alcuni profili nevralgici
della governance interna dell’impresa societaria.
Basti considerare, per cogliere appieno il problema, che la riforma ha
introdotto ex novo:
• il dovere, in capo agli amministratori di società per azioni, di agire in
modo informato (art. 2381, c. 6, c.c.)12;
• il dovere, in capo al presidente del consiglio di amministrazione, di
fornire ai consiglieri adeguate informazioni sulle materie iscritte all’ordine
del giorno (art. 2381, c. 1, c.c.)13;
• il dovere di predisporre assetti adeguati (organizzativi, amministrativi e
contabili), sotto il triplice profilo della cura (art. 2381, c. 5, c.c.), della
valutazione (art. 2381, c. 3, c.c.) e della vigilanza (art. 2403, c. 1,
c.c.)14;
11
V. sul punto la ricostruzione del dibattito interno alla Commissione svolta da F. DI SABATO, Il
principio di correttezza nei rapporti societari, in P. ABBADESSA e G.B. PORTALE (a cura di), Il nuovo diritto
delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Utet, Torino, 2006, I, p. 134 ss.
12
Per una ricognizione dei contenuti della clausola nella prospettiva qui in esame si consenta il
rinvio a G. MERUZZI, Il dovere degli amministratori di agire in modo informato e l’organizzazione interna
della società per azioni, in G. MERUZZI e G. TANTINI, Le clausole generali nel diritto societario, cit., p. 106
ss., cui adde, per tutti, il già cit. F.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione degli amministratori nella
governance della società per azioni, nonché da ultimo G. MOLLO, Il sistema di gestione informata nella
S.p.a. e la responsabilità degli amministratori deleganti, Giappichelli, Torino, 2013.
13
Per un articolato sviluppo nella prospettiva che qui interessa si consenta in rinvio a G.
MERUZZI, I flussi informativi endosocietari nella società per azioni, Cedam, Padova, 2012, in part. p. 171
ss. Sul ruolo del presidente dal CdA v. anche, in termini più ampi, P.M. SANFILIPPO, Il presidente del
consiglio di amministrazione nelle società per azioni, in P. ABBADESSA e G.B. PORTALE (a cura di), Il nuovo
diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., II, p. 439 ss., in part. p. 469 ss.
14
Al cit. M. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, si aggiunga, sempre
nella prospettiva qui in esame, G. RIOLFO, L’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e
contabili nella spa: dal sistema tradizionale ai modelli alternativi di amministrazione e controllo, in G.
MERUZZI e G. TANTINI, Le clausole generali nel diritto societario, cit., p. 139 ss., cui si rinvia per gli
ulteriori riferimenti. In dottrina si riscontra, peraltro, la tendenza a considerare tali norme come
espressive di criteri di condotta comuni all’intero sistema delle società di capitali ed estendibili,
quindi, anche alle Srl. In argomento v. per tutti M. RESCIGNO, La responsabilità per la gestione: profili
generali, in C. IBBA e G. MARASA’ (a cura di), Trattato delle società a responsabilità limitata, V, Cedam,
Padova, 2012, p. 183 ss., in part. p. 193 ss.
5
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il dovere di rispettare i principi di corretta amministrazione, che da
contenuto dell’attività di vigilanza (art. 2403, c. 1, c.c.) diventa dovere
primario degli amministratori15;
• il dovere di adeguata motivazione delle decisioni assunte in situazione di
interesse di alcuni membri del Consiglio di Amministrazione (art.
2391, c. 1, c.c.);
• il dovere, in capo ai sindaci e in generale ai componenti degli organi
di controllo, di agire in modo indipendente, che la dottrina enuclea come
naturale corollario dal requisito dell’indipendenza che informa il loro
operato (cfr. art. 2399, c. 1, lett. c, c.c.)16.
Se poi si esce dall’ambito della governance interna in senso stretto e si
considerano gli altri profili della disciplina riformata delle società di
capitali, viene in considerazione:
• la possibilità di recesso del socio conseguente ad una modifica della
clausola dell’oggetto sociale che comporti un cambiamento significativo
dell’attività della società (art. 2437, c. 1, c.c.)17;
• la violazione, nell’attività di direzione e coordinamento, dei principi
di corretta gestione che, arrecando un pregiudizio alla redditività ed al
valore della partecipazione sociale, comporta un danno, ai soci o ai
terzi, non compensato alla luce del risultato complessivo dell’attività (art.
2497, c. 1, c.c.)18;
•
15
Sul punto v. per tutti P. MONTALENTI, Gli obblighi di vigilanza nel quadro dei principi generali sulla
responsabilità degli amministratori do società per azioni, in P. ABBADESSA e G.B. PORTALE (a cura di), Il
nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, II, cit., p. 835 ss., in part. p. 840,
nonché da ultimo, anche per riferimenti, M. IRRERA, Gli obblighi degli amministratori di società per
azioni tra vecchie e nuove clausole generali, in RDS 2/2011, p. 358 ss.
16
Sul tema v. in part. G. TANTINI, L’indipendenza dei sindaci, Cedam, Padova, 2010; ID., Gli “altri
rapporti di natura patrimoniale” e l’indipendenza dei sindaci, in G. MERUZZI e G. TANTINI, Le clausole
generali nel diritto societario, cit., p. 353 ss.; A. CAPRARA, Le funzioni dei sindaci tra principi generali e
disciplina, Cedam, Padova, 2008; ID., La clausola generale dell’indipendenza: nozione e declinazioni operative,
in G. MERUZZI e G. TANTINI, Le clausole generali nel diritto societario, cit., p. 293 ss.
17
Sul significato giuridico della formula utilizzata dal legislatore v. in part. G. MUCCIARELLI, Profili
dell’oggetto sociale nelle società di capitali, in P. ABBADESSA e G.B. PORTALE (a cura di), Il nuovo diritto
delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, I, cit., p. 303 ss., in part. p. 320 ss., cui adde,
sul più generale tema dei rapporti tra oggetto sociale e norme elastiche, M. BIANCA, Oggetto sociale e
clausole generali nella disciplina delle società di capitali, in G. MERUZZI e G. TANTINI, Le clausole generali
nel diritto societario, cit., p. 73 ss.
18
Nella prospettiva che qui interessa v. in part. G. SCOGNAMIGLIO, “Clausole generali”, principi di
diritto e disciplina dei gruppi di società, in Riv. dir. priv., 2011, p. 517 ss., nonché E. MARCHISIO, I
“principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” delle società per azioni eterdirette, paper
presentato al convegno 2011 dell’Associazione Orizzonti del diritto commerciale, reperibile
all’indirizzo web cit. ante, in nota 1).
6
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
l’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto della
società o alla sua situazione finanziaria che, avendo reso ragionevole
preferire un conferimento al finanziamento prestato, giustifica, nella
società a responsabilità limitata, la postergazione dei soci rispetto ai
terzi al momento del rimborso (art. 2467, c. 2, c.c.)19;
• l’ammissibilità nelle Srl di clausole statutarie che ammettono, con un
singolare fenomeno di ibridazione rispetto al regime delle società di
persone, l’esclusione del socio per giusta causa (art. 2473bis c.c.)20.
L’introduzione di tali norme, nel loro complesso sussumibili in una
nozione ampia di clausola generale e quindi comprensiva anche delle
disposizioni a contenuto indeterminato21, evidenzia, a prescindere dalla
volontà storica del legislatore, un autentico salto di qualità nel ruolo
assunto dalle clausole generali nel vigente assetto regolativo del diritto
societario. Si tratta di scelta cui consegue, rispetto al passato, l’assunzione
di un loro ben più ampio e complesso rilievo sistematico e soprattutto
operativo nell’ordinamento societario, come tecnica di rinvio continuo,
da parte del legislatore, a ordinamenti “altri”22. Il rischio che tramite esse
si finisca per attribuire al giudice il ruolo non di mero verificatore della
legalità dell’operato di soci e amministratori, ma anche di valutatore delle
altrui scelte manageriali, per giunta tramite l’espressione di un giudizio ex
post sulle medesime, risulta estremamente accentuato.
•
19
Sul punto v. riassuntivamente G. BALP, Articolo 2467. Finanziamenti dei soci, in L.A. BIANCHI (a
cura di), Società a responsabilità limitata – Comm. Marchetti alla riforma delle società, Egea, Milano, 2008,
p. 287 ss., ove ulteriori riferimenti.
20
Va infatti rilevato che la norma fa riferimento, per le Srl, alla giusta causa di esclusione del
socio, mentre nella disciplina della società di persone è ammesso il recesso per giusta causa (cfr.
art. 2285 c.c.) e l’esclusione per gravi inadempienze (cfr. art. 2286 c.c.). Ciò pone il problema, su
cui in questa sede non ci si può soffermare, se il disallineamento lessicale tra le citate disposizioni
sia frutto di una mera svista del legislatore o assuma, invece, un preciso significato sistematico.
Per un commento alla norma si rinvia per tutti a F. ANNUNZIATA, Articolo 2473-bis. Esclusione del
socio, in L.A. BIANCHI (a cura di), Società a responsabilità limitata – Comm. Marchetti alla riforma delle
società, cit., p. 533 ss.
21
In argomento v., nella dottrina giuscommercialistica, i contributi di M. LIBERTINI, Clausole
generali, norme di principio, norme a contenuto indeterminato. Una proposta di distinzione, e di F. DENOZZA,
Clausole generali, interessi protetti e frammentazione del sistema, entrambi in Studi in ricordo di Piergiusto
Jaeger, rispettivamente p. 113 ss. e 25 ss., cui adde F. DENOZZA, Norme, principi e clausole generali nel
diritto commerciale: un’analisi funzionale, paper presentato al convegno 2011 dell’Associazione
Orizzonti del diritto commerciale, reperibile all’indirizzo web cit. ante, in nota 1.
22
Aspetto che assume peculiare importanza nella gestione delle clausole generali di diritto
societario e, tra esse, di quelle operanti nell’ambito della governance interna della società, in
particolare per azioni. In argomento v. infra, §§ 3 e 4.
7
Giovanni Meruzzi
2. La classificazione delle clausole generali nel diritto societario: le clausole di
diritto comune e la loro metamorfosi operativa. – Una compiuta analisi del ruolo
e delle funzioni svolte dalle clausole generali nel diritto societario non può
prescindere dalla preliminare distinzione, già sopra adombrata, tra clausole
generali di diritto comune e clausole generali di diritto societario23. Alla
prima categoria appartengono le clausole generali che operano nell’intero
diritto privato o nel più ristretto settore dei rapporti obbligatori e, quindi,
anche nel diritto societario.
Nel loro ambito può ulteriormente distinguersi tra clausole codificate
e non codificate, riservando la seconda qualificazione e quelle clausole
generali che, sebbene non espressamente codificate dal legislatore, sono
comunque usate dai giudici nel risolvere le controversie e il cui utilizzo è
spesso giustificato facendo rinvio sistematico, a fini argomentativi, alle
clausole generali codificate per garantirne la formale legittimità e il
fondamento normativo. Rientrano tra queste l’abuso del diritto e l’exceptio
doli, che la giurisprudenza e parte della più recente dottrina hanno
associato e sistematicamente sovrapposto al dovere di buona fede e
correttezza ma che, in realtà, hanno un ambito operativo più esteso, dato
che, a differenza della buona fede oggettiva, operano anche al di fuori dei
rapporti obbligatori24.
L’uso nel diritto societario delle clausole generali di diritto comune è
soggetto a vistose differenziazioni applicative, spesso non adeguatamente
enfatizzate. Un esempio paradigmatico è costituito proprio dal dovere di
buona fede, che assume fisionomie assai diversificate rispetto a quanto
accade nel diritto generale delle obbligazioni25.
In primo luogo, quando si applica il dovere di correttezza ai rapporti
societari il contenuto precettivo di tale regola di condotta va coniugato
con l’esistenza di un’altra clausola generale, che consiste nel dovere, in
23
Analoga distinzione svolge F. GALGANO, Le clausole generali fra diritto comune e diritto societario, in
G. MERUZZI e G. TANTINI, Le clausole generali nel diritto societario, cit., p. 1 ss., che tuttavia preferisce
parlare di clausole del diritto societario e clausole nel diritto societario, riferendo la seconda di tali
locuzioni alle clausole di diritto comune in quanto applicate in ambito societario.
24
Per una più ampia ad argomentata trattazione si consenta il rinvio a G. MERUZZI, L’exceptio doli
dal diritto civile al diritto commerciale, cit., in part. p. 356 ss. e 456 ss.
25 Lo evidenzia per particolare incisività, all’indomani della riforma societaria, A. D’ANGELO, Il
nuovo diritto societario e la clausola generale di buona fede, in V. AFFERNI e G. VISINTINI (a cura di),
Principi civilistici nella riforma del diritto societario, cit., p. 109 ss., in part. p. 114, secondo cui il dibattito
in materia ha “lasciato in ombra il vero nodo problematico, che consiste … nella peculiarità della
materia societaria e delle conseguenze che ne derivano sulle modalità di impiego della clausola
generale, e nella messa appunto di criteri di giudizio adeguati alla natura dei rapporti e al contesto
normativo costituito dal diritto societario”.
8
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
capo a soci e amministratori, di perseguire l’interesse sociale26. Si tratta di
nozione a sua volta caratterizzata, come noto, da contenuti assai vaghi e
indeterminati alla luce dei molteplici e non di rado confliggenti interessi
che i soci, o alcune categorie di essi, possono legittimamente perseguire
restando nell’alveo del rapporto societario27.
Non stupisce quindi che la buona fede oggettiva subisca nel diritto
societario una vera e propria metamorfosi concettuale, venendo qui in
considerazione, in termini di violazione del dovere di correttezza, solo le
condotte dei soci volte al perseguimento esclusivo di interessi extrasociali
a danno della maggioranza (o delle minoranze)28. Non è quindi, in sé e
per sé, il perseguimento di un qualunque interesse personale da parte del
socio l’elemento scriminante per stabilire se vi sia stata violazione della
regola di correttezza: non si può parlare di abuso di maggioranza (o
minoranza) azionaria quando l’interesse, anche personale, perseguito dal
socio coincida con uno dei vari interessi sussimibili nell’ampio alveo
dell’interesse sociale.
Oltre a ciò e a differenza di quanto accade nel diritto generale delle
obbligazioni, in ambito societario la violazione del criterio di correttezza
è talora sanzionata con l’invalidità dell’atto. Si tratta d’una vistosa
anomalia sistematica che richiama il dibattito in corso, nella dottrina
civilistica, sul rapporto tra regole di validità e regole di condotta, che ha
come rilevante punto di emersione giurisprudenziale la pronuncia delle
Sezioni Unite del 2007 in tema di violazione del dovere precontrattuale
di informazione nei contratti finanziari, con cui la S.C. ha ribadito il
tradizionale principio di non interferenza tra le due categoie di regole29.
Può sembrare contraddittorio con tale assunto la circostanza che la
Cassazione consideri annullabili, e quindi affette da un vizio genetico, le
delibere abusive della maggioranza assembleare. Va tuttavia condivisa la
posizione assunta da chi, ben prima della sentenza del 2007, ha osservato
26
Sull’interesse sociale inteso come clausola generale del diritto societario v. F. GALGANO, Le
clausole generali fra diritto comune e diritto societario, cit., p. 8.
27
Senza riprendere in questa sede la monumentale bibliografia in materia ci si limita a rinviare,
per una ricognizione dei problemi attuali, ai contributi raccolti in L’interesse sociale tra valorizzazione
del capitale e protezione degli stakeholders, Atti del convegno in ricordo di Piergiusto Jaeger, Giuffrè,
Milano, 2010.
28
In argomento v. per tutti il già cit. precedente di Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151, cui adde, tra
le più recenti pronunca di legittimità, Cass., 17 luglio 2007, n. 15942, in Società, 2008, p. 306 ss.,
con nota A. FERRARI, e Cass., 20 gennaio 2011, n. 1361.
29
Il riferimento è a Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Foro it., 2008, I, c. 784 ss., con
nota E. SCONDITTI; Giust. civ., 2008, I, p. 1175 ss., con nota G. NAPPI.
9
Giovanni Meruzzi
che in tali casi il ricorso al rimedio invalidatorio costituisce un’eccezione,
trattandosi di soluzione coerente con le peculiarità sistematiche tipiche
del procedimento deliberativo e con l’uso che nel diritto societario viene
fatto del criterio di correttezza30. Le delibere assembleari presuppongono
infatti il rispetto di un meccanismo procedimentale nel cui ambito, per
espressa scelta normativa, la violazione di ogni norma di legge assume
rilievo, almeno in astratto, in termini di invalidità dell’atto deliberativo
finale. In tale contesto anche la violazione delle regole di correttezza ex
artt. 1175 e 1375 c.c. – la cui operatività è peraltro molto più ristretta,
come visto, rispetto al diritto comune – non può che essere sanzionata
con l’invalidità dell’atto, ove in concreto ricorrano i presupposti per
l’accesso al rimedio invalidatorio ora previsti dall’art. 2377, c. 3, c.c.31.
Restando sempre nell’ambito del dovere di correttezza e della sua
violazione, va poi rilevato che le condotte omissive assumono nel diritto
societario una valenza ben più complessa di quanto accada nel diritto dei
contratti. In ambito civilistico è infatti del tutto pacifico che anche la
condotta omissiva può integrare la violazione della buona fede oggettiva.
Paradigmatico, sotto tale profilo, è il caso della violazione dei doveri
precontrattuali e/o contrattuali di informazione, tipico comportamento
omissivo che, in assenza di norme specifiche, la giurisprudenza ritiene
ormai pacificamente sanzionabile facendo ricorso agli artt. 1337 c.c. e
1375 c.c.32 Nel diritto societario è invece ancor oggi assai dibattutto se sia
sanzionabile il comportamento, tipicamente omissivo, realizzato dalle
30
M. FRANZONI, Degli effetti del contratto, II, in Comm. Schlesinger (artt. 1374-1381), Giuffrè, Milano,
1999, in part. p. 302 s.
31
Per mero scrupolo di completezza argomentativa va rilevato che la riforma del 2003 non ha
inciso sulla questione in termini sostanziali. Il novellato art. 2377 c.c. ha sì ridimensionato
l’ambito operativo dei rimedi invalidatori e favore del rimedio risarcitorio, ma tale circostanza è in
realtà del tutto neutra rispetto al tema in esame. Il regime prefigurato dai commi 2, 3 e 4 dell’art.
2377 c.c. distingue infatti tra tutela invalidatoria e risarcitoria non sulla base della dicotomia tra
regole di validità e regole di condotta, bensì dell’articolazione del rimedio alla luce della diversa
aliquota di capitale posseduta dal socio impugnante e dell’attribuzione o meno ad esso del diritto
di voto. La graduazione/alternativa tra rimedio invalidatorio e risarcitorio è quindi impostata sul
piano della pura tecnica rimediale e della sua graduazione; piano rispetto al quale la violazione del
dovere di correttezza continua ad essere intesa come violazione di norma di legge ex art. 2377, c.
1, c.c. e, quindi, come fattispecie integrante un vizio procedimentale dell’atto, per se diversamente
sanzionato in ragione della diversa aliquota di capitale posseduta dal socio legittimato all’azione.
32
In argomento v. in part., con specifico riferimento al dovere precontrattuale di informazione,
l’importante precedente di Cass., 26 aprile 2012, n. 6526, in Danno resp., 2012, p. 1210 ss., con
nota P. LAGHEZZA; Foro it., 2012, I, 3420 ss.; Contratti, 2013, p. 173 ss., con nota F. DELLA
NEGRA. Per un’articolata ricostruzione della giurisprudenza e del vasto dibattivo dottrinale v. per
tutti P. GALLO, Trattato del contratto. 2. Il contenuto – Gli effetti, Utet, Torino, 2010, p. 287 ss. nonché,
in precedenza, G. MERUZZI, La trattativa maliziosa, Cedam, Padova, 2002.
10
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
c.d. minoranze di blocco, ovvero se gli atteggiamenti ostruzionistici
assunti dalle minoranze azionarie, qualificabili come abusivi, possano
essere repressi e con quali modalità. Sebbene la miglior dottrina sia nel
complesso favorevole a tutelare la maggioranza azionaria nei confronti
degli abusi perpetrati dalle minoranze di blocco33, è noto che in
giurisprudenza sembra ancora prevalere la tradizionale tesi negativa,
secondo cui le c.d. delibere negative dell’assemblea dei soci non possono
essere oggetto di impugnazione34. Non mancano però, nella più recente
giurisprudenza di merito, le pronunce in senso contrario, indicative della
tendenza in atto a valorizzare al massimo i doveri di collaborazione e
cooperazione anche in ambito societario35.
Se si sposta invece l’analisi al diverso piano dei rimedi offerti per la
violazione dei doveri di correttezza il diritto delle società si caratterizza
per un grado di apertura probabilmente inaspettato. E’ pur vero che in
dottrina si discute ampiamente se ammettere o meno strumenti di tutela
ulteriori e diversi rispetto al rimedio risarcitorio, a partire da quello
invalidatorio. Tuttavia, se si esamina il diritto vivente ci si accorge ben
presto che la giurisprudenza ha da tempo affrontato e risolto il problema,
optando per risposte applicative talora suggestive e, nel loro complesso,
orientate a prediligere le tutele in forma specifica. In una pronuncia del
2000 la Cassazione ha riformato un provvedimento di accoglimento di
un’istanza di fallimento, e in conseguenza di ciò revocato la procedura
concorsuale medio tempore instaurata, in quanto la situazione di insolvenza
era stata cagionata da un comportamento contrario a correttezza, tenuto
33
Anche se con varietà di posizioni in ordine al rimedio esperibile. Si esprimono infatti a favore
dell’ammissibilità della sola tutela risarcitoria G.B. PORTALE, <<Minoranze di blocco>> e abuso del
voto nell’esperienza europea: dalla tutela risarcitoria al <<gouvernement des juges>>?, in Europa dir. priv.,
1999, p. 153 ss., in part. 178 s., e M. CIAN, La deliberazione negativa dell’assemblea nella società per azioni,
Giappichelli, Torino, 2003, in part. p. 77 ss., 89 ss., 143 in nota 103 e 149. Diversa è invece la
posizione assunta da F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, Cedam, Padova, 2003, p. 241; ID.,
Diritto Commerciale. Le società, Zanichelli, Bologna, 2012, p. 300 s., che considera approvata la
proposta di delibera respinta con il voto determinante della minoranza di blocco, in quanto
vanno escluse dal quorum deliberativo le azioni dei soci di minoranza che siano portatori di un
interesse in conflitto con quello sociale. In argomento v. anche A. NUZZO, L’abuso della minoranza.
Potere, responsabilità e danno nell’esercizio del voto, Giappichelli, Torino, 2003.
34
V. in part., ex multis, Trib. Milano, 29 novembre 2003, in Giur. it., 2003, p. 1457 ss., con nota
critica A. MONTEVERDE.
35
A favore del rimedio invalidatorio si esprimono, in particolare, Trib. Catania, 10 ottobre 2007,
in Corr. giur., 2008, p. 397 ss., con nota M. CIAN, nonché da ultimo Trib. Milano, 28 novembre
2014, inedita, consultabile sul sito www.giurisprudenzadelleimprese.it
11
Giovanni Meruzzi
da chi aveva chiesto la stessa dichiarazione di insolvenza della società36.
Si perviene così, invocando la violazione del dovere di correttezza, alla
revoca di un già dichiarato fallimento. In altro precedente la violazione
del dovere di buona fede in executivis ha giustificato l’esclusione del socio
che aveva tenuto comportamenti abusivi nell’esercizio dei diritti
corporativi ad esso attribuiti37.
Passando al diverso profilo dell’applicazione in ambito societario delle
clausole generali di diritto comune non codificate, un ruolo senza dubbio
centrale va riconosciuto al divieto di abuso del diritto e all’exceptio doli.
Un’organica trattazione concernente la funzione assunta da tali criteri
di condotta nel diritto societario andrebbe ben oltre i limiti del presente
lavoro38. Tuttavia alcune essenziali notazioni meritano d’essere svolte.
Quanto al divieto di abuso, pur dovendosi constatare anche nel diritto
societario la sua frequente immedesimazione con il criterio della buona
fede oggettiva, va rilevato che la giurisprudenza lo concepisce come una
regola di condotta:
1) applicata in via del tutto autonoma nelle pronunce in tema di abuso
della personalità giuridica, al fine di sanzionare con il fallimento in
proprio i soci che, con la loro condotta, mostrano di aver fatto un
illegittimo ricorso allo schermo della personalità giuridica39;
2) oggetto ancor oggi di applicazioni indirette od occulte, come attesta,
in materia di revoca senza giusta causa degli amministratori, la più
datata giurisprudenza di merito in tema di ricorso alla clausola simul
stabunt simul cadent per aggirare l’art. 2383, c. 3, c.c.40;
3) alla quale è attribuito un ruolo essenziale nel limitare il contenuto dei
diritti potestativi riconosciuti ai soci, come ampiamente dimostra la
giurisprudenza maturatasi, successivamente alla riforma del 2003, in
36
Cass., 19 settembre 2000, n. 12405, in Foro it., 2001, I, c. 2326 ss., con nota redazionale G.
SILVESTRI.
37
Cass., 6 giugno 2002, n. 8251, in Corr. giur., 2002, p. 1129 s.; Società, 2002, p. 1222 s., relativa ad
un caso di esclusione di socio di società cooperativa.
38
Il tema è già stato analiticamente affrontato, sotto il profilo sia delle fattispecie che del generale
inquadramento sistematico, in G. MERUZZI, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., in
part. p. 400 ss. e 490 ss., cui per brevità si rinvia.
39
Per un’ampia analisi delle fattispecie si rinvia, anche in prospettiva comparatistica, ai contributi
di N. ZORZI, L’abuso della personalità giuridica, Cedam, Padova, 2002, e P. MANES, Il superamento della
personalità giuridica. L’esperienza inglese, Cedam, Padova, 1999.
40
Si tratta dei precedenti di Trib. Milano, 10 maggio 2001, in Giur. it., 2001, p. 2329 ss.; Trib.
Milano, 25 marzo 2010, in Foro pad., 2010, c. 901 ss.; Trib. Milano, 24 maggio 2010, in Società,
2011, p. 1405 ss., con nota G. MINA; Giur. it., 2011, p. 2088 ss.
12
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
tema di esercizio dei diritti individuali di controllo del socio di Srl ex
art. 2476 c.c.41;
Quanto poi all’exceptio doli, che con i criteri della buona fede oggettiva
e del divieto d’abuso condivide la funzione di selezione degli interessi
meritevoli di tutela nella fase attuativa del rapporto obbligatorio42, nella
giurisprudenza societaria si può constatare la presenza di sue autonome
applicazioni, in forma sia palese43 che occulta44.
Maggior attenzione merita invece, in questa sede, il diverso e ulteriore
criterio di ragionevolezza, pur esso qualificabile, per quanto qui interessa,
come clausola generale di origine giurisprudenziale45.
Prescindendo dall’uso fattone dal legislatore nella disciplina delle Srl
con l’art. 2467 c.c., va infatti rilevato che la ragionevolezza è impiegata,
come dimostra l’esame dei repertori giurisprudenziali, in una serie ampia
e articolata di fattispecie aventi ad oggetto, in particolare, il sindacato
giudiziale sull’operato degli amministratori e sul comportamento da essi
tenuto in relazione a:
1) la determinazione del compenso loro spettante46;
2) la definizione del limite alla discrezionalità gestoria in ordine a:
- la valutazione delle poste attive e passive del bilancio, in relazione
ai principi di chiarezza, precisione e verità47;
41
In argomento v., ex multis, Trib. Milano, 30 novembre 2004, in Giur. it., 2005, p. 1245 ss.; Trib.
Bologna, 6 dicembre 2006; Trib. Ivrea, 4 luglio 2005, in Giur. it., 2006, p. 306 ss.; Trib. Roma
(ord.), 9 luglio 2009, in Foro it., 2010, I, c. 1972 ss.
42
Sul punto, anche se in relazione a un caso di applicazione negativa dell’exceptio doli, v. Cass., 7
marzo 2007, n. 5273, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 1319 ss., con nota D. FARACE; Contratti,
2007, p. 971 ss., con nota C. ROMEO. Per un’analisi della pronuncia sotto il profilo qui in esame ci
si permette di rinviare a G. MERUZZI, Il fondamento sistematico dell’exceptio doli e gli obiter dicta della
Cassazione, in Contr. imp., 2007, p. 1369 ss., in part. p. 1386.
43
In tal senso Cass., 12 ottobre 1994, n. 8332, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, p. 649 ss.; Giust.
civ., 1995, I, p. 123 ss., che sia pure in obiter ammette il ricorso all’exceptio doli per neutralizzare le
richieste emulative di acquisizione di copia della documentazione contenuta nel libro soci.
44
Così, come ipotesi di divieto di venire contra factum proprium, Trib. Brescia, 17 luglio 2000, in Foro
it., 2001, I, c. 3384 ss., e Trib. Milano, 10 ottobre 2002, in Guida dir., 30/2003, p. 44 ss. V. inoltre
Trib. Roma, 26 marzo 2002, in Corr. giur., 2003, p. 1633 ss., con nota E. FILOGRANA, in tema di
decorso della prescrizione.
45
Sulle molteplici funzioni assunte dalla ragionevolezza nel diritto privato v. per tutti, in dottrina,
S. TROIANO, La <<ragionevolezza>> nel diritto dei contratti, Cedam, Padova, 2005.
46
In argomento App. Milano, 5 gennaio 1996, in Giur. it., 1996, I, 2, c. 739 ss.; Trib. Milano, 27
aprile 1989, in Giur. it., 1989, I, 2, c. 932 ss.; Trib. Milano, 17 settembre 1987, in Giur. comm.,
1987, II, p. 797 ss., con nota P.G. JAEGER.
47
Tra le numerose pronunce in materia v. Cass., 4 aprile 2001, n. 4937, in Dir. fall., 2001, II, p.
853 ss.; Cass., 24 novembre 2000, n. 15189 in Dir. fall., 2001, II, p. 853 ss.; Cass., 3 settembre
1996, n. 8048, in Giur. it., 1997, I, 1, c. 423 ss.; Società, 1997, p. 172 ss., con nota G.E. COLOMBO.
13
Giovanni Meruzzi
le scelte circa le modalità di investimento del capitale sociale48, e
la conseguente responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza in
materia49;
- le modalità di gestione delle deleghe di voto50 e, più in generale,
in tema di gestione della società51;
3) la valutazione delle iniziative assunte nei confronti dei soci che hanno
in precedenza esperito azioni giudiziarie contro i componenti degli
organi sociali52;
4) la definizione delle modalità di accesso dei soci alle scritture sociali53.
Tutte le situazioni sin qui esaminate, concernenti la violazione della
buona fede oggettiva e degli ulteriori criteri di condotta sussimibili nel
divieto d’abuso, nell’exceptio doli e nella ragionevolezza, condividono un
rilevante aspetto. A prescindere dalla circostanza che le clausole generali
di diritto comune abbiano o meno fondamento normativo, per loro
tramite il giudice pone in essere una valutazione della fattispecie in larga
misura sussumibile tra i giudizi di valore54. L’attività valutativa del giudice
rientra quindi nell’alveo classico di utilizzo delle clausole generali, qui
ancora applicate come tecnica normativa di apertura dell’ordinamento ai
valori condivisi e accettati nel contesto sociale di riferimento, nel caso di
specie la comunità degli affari e degli operatori d’impresa, nel momento
storico in cui il giudizio è reso.
-
48
Trib. Venezia, 30 novembre 2001, in Società, 2002, p. 346 ss., con nota V. SALAFIA.
App. Roma, 14 marzo 2000, in Società, 2000, p. 969 ss., con nota M. CUPIDO.
50
Trib. Catania, 28 marzo 1996, in Giur. comm., 1996, II, p. 818 ss.
51
Trib. Milano, 26 giugno 1989, in Società, 1989, p. 1179 ss., con nota G. GALASSO.
52
V. in part. Cass., 26 marzo 1996, n. 2690, in Giur. comm., 1996, II, p. 736 ss., con nota C.
COLELLI, concernente il caso di un socio di cooperativa che, dopo aver proposto querela per
diffamazione avverso il suo direttore e presidente, risultata in seguito infondata, era stato escluso
dalla società con delibera dell’organo amministrativo in ragione di un supposto danno economico
e morale subito dalla cooperativa per la proposta querela. La nullità dell’impugnata delibera di
esclusione, accertata sia in primo grado che in appello, è stata confermata dalla S.C. in base a
un’analisi tra i contrapposti interessi del socio e della società, effettuata alla luce del criterio di
ragionevolezza e in ragione della quale la Corte ha ritenuto che “l'esercizio del diritto di querela
che non abbia sconfinato nella persecuzione, o sia stato esercitato al di fuori di ogni
ragionevolezza, non può considerarsi antisociale, e quindi tale da far venir meno il vincolo
fiduciario tra il socio e la cooperativa che produce il giornale”.
53
Trib. Nicosia, 26 ottobre 1993, in Giur. comm., 1995, II, p. 262 ss.
54
In argomento rimane fondamentale il contributo, nella dottrina italiana, di L. MENGONI, Spunti
per una teoria delle clausole generali, in Il principio di buona fede, in F.D. BUSNELLI (a cura di), Il principio
di buona fede, Giuffrè, Milano, 1987, p. 3 ss., cui si aggiunga, ex multis, F. ROSELLI, Il controllo della
Cassazione civile sull'uso delle clausole generali, Jovene, Napoli, 1983, nonché da ultimo V. VELLUZZI,
Le clausole generali, Giuffrè, Milano, 2010. Per una più puntuale ricostruzione del dibattito in
materra si rinvia ancora a G. MERUZZI, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit.
49
14
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
3. Segue: le clausole di diritto societario e la loro articolazione. – Nel quadro
sistematico delineato una valutazione del tutto autonoma va riservata alle
clausole generali di diritto societario, ovvero a quelle ulteriori clausole
che sono state introdotte dal legislatore nella regolamentazione del diritto
delle società. Si tratta di quelle già in precedenza menzionate55 e delle
altre inserite in leggi speciali e nelle regolamentazioni di settore.
Anch’esse, come le clausole di diritto comune già richiamate, rinviano
a standard di condotta e a regole extragiuridiche sulla cui base il giudice, in
sede di loro applicazione, effettua un’attività di valutazione giuridica delle
condotte tenute e di conseguente sussunzione nella fattispecie normativa
astratta. Nel diritto societario la struttura del rinvio ai sottostanti criteri di
condotta e agli interessi da questi tutelati assume però una ben più
complessa configurazione, da cui deriva che le clausole in questione sono
classificabili in almeno quattro distinte categorie.
La prima ipotesi è costituita dalle clausole generali che, non diversamente
da quanto accade per gli standard di condotta già esaminati, rinvia alle c.d.
regole di comune opinione. Vi rientrano le menzionate ipotesi dell’agire in modo
informato, dell’adeguata motivazione delle decisioni, del cambiamento significativo
dell’attività sociale, della giusta causa di esclusione del socio o di revoca
dell’amministratore, e le altre ad esse assimilabili. In tali casi il “rinvio a”
è rivolto non ad una generica e non meglio precisata coscienza comune,
bensì a comportamenti, criteri operativi, prassi e oggettive regole di
condotta che devono essere desunte, ai fini della valuzione, dalle pratiche
del mercato e dei relativi operatori in relazione a determinate attività e
con riferimento ad un ben preciso momento storico56.
Diversa da questa prima fattispecie è invece l’ipotesi in cui il rinvio abbia
ad oggetto i principi e i criteri delle scienze aziendalistiche, come avviene con
riguardo all’adeguatezza degli assetti, alle regole di corretta amministrazione e
ai principi di corretta gestione, all’eccessivo squilibrio dell’indebitamento.
L’introduzione di questa tipologia di clausole generali costituisce uno dei
profili più innovativi della riforma del 2003. Per loro tramite si rinvia
infatti a criteri e metodologie che variano nel tempo, nello spazio e in
relazione ai contesti aziendali, elaborati in ambito scientifico ed aziendale
e recepiti dal giudice non in quanto tali, ma in quanto assunti come prassi
55
V. ante, § 1.
In argomento v. i rilievi già svolti in G. MERUZZI, I flussi informativi endosocietari nella società per
azioni, cit., in part. p. 36 s.
56
15
Giovanni Meruzzi
dagli operatori del mercato (la business community) nella convinzione che,
in un dato momento storico, rappresentano la migliori regole “di buon
governo” delle società57. Nel contempo esse sovvertono la tradizionale
concezione secondo cui ambito operativo d’elezione del diritto societario
sarebbe il solo diritto privato dei rapporti esterni delle imprese58, in tal
modo attribuendo piena rilevanza giuridica anche ai profili di interna
organizzazione dell’attività d’impresa.
Diversa ancora è l’ipotesi in cui le clausole generali fungono da rinvio ad
ordinamenti “altri”, quali gli ordinamenti sezionali in ambito bancario,
assicurativo e degli intermediari finanziari, oppure le regole e i principi
elaborati in ambito comunitario, per esempio in materia antitrust. E’ il
caso del divieto di abuso di posizione dominante e, con esso, della
nozione stessa di posizione dominante rilevante ai fini del diritto della
concorrenza, il cui contenuto non è normativamente definito a livello né
nazionale né comunitario e per la cui delimitazione occorre far ricorso, in
ragione della scelta operata dal legislatore italiano (cfr. art. 4.1 L. 287/90),
alla cospicua giurisprudenza comunitaria e al relativo aquis.
La quarta ipotesi è costituita dai casi in cui il ricorso alle clausole generali
si traduce in un rinvio ai criteri di condotta elaborati da associazioni di categoria o
da soggetti qualificati. Un ruolo centrale è qui svolto dai principi e dalle
regole incorporate nei codici di autodisciplina, in particolare quello delle
società quotate59. A ben vedere il Codice di autodisciplina svolge, quanto
al regime delle clausole generali, un duplice ruolo operativo e sistematico,
dato che:
1) in alcuni casi introduce a sua volta clausole generali di secondo livello
o norme a contenuto giuridico indeterminato. Ciò avviene quando,
ad esempio, si fa riferimento al criterio dell’autonomia di giudizio come
elemento caratterizzante la nozione di amministratore indipendente
(Principio 3.P.1 cod. Capuano)60. Altra ipotesi è costituita dal dovere
57
Regole spesso formalizzate, quanto meno per i loro profili essenziali, nei codici etici ormai
ampiamente diffusi in tutti i paesi industrializzati. Per un’analisi della materia v. da ultimo il
contributo di F. BENATTI, Etica, impresa, contratto e mercato. L’esperienza dei codici etici, Il Mulino,
Bologna, 2014.
58
Così, ex multis, K. Schmidt, Il codice commerciale tedesco: dal declino alla ri-codificazione (riflessioni sulla
forma dell’HGB), in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 711 ss., in part. p. 714, che da ciò argomenta per
affermare che la disciplina dell’organizzazione delle società “non costituisce oggetto immediato
del diritto commerciale”.
59
In argomento v. ancora, per tutti, il cit. F. BENATTI, Etica, impresa, contratto e mercato. L’esperienza
dei codici etici, e, in precedenza, G. BOSI, Autoregolamentazione societaria, Giuffrè, Milano, 2009.
60
E’ noto che l’autonomia di giudizio, quale parametro primario alla cui stregua effettuare la
valutazione di indipendenza dei consiglieri, è criterio individuato dalla Commissione Europea
16
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
di adeguata attività istruttoria che incombe sull’organo amministrativo
in ordine alle decisioni relative al sistema del controllo interno
(Principio 7.P.3 cod. Capuano, nella versione del luglio 2014);
2) in altri casi enuclea regole operative o ben definiti criteri di condotta
che integrano il contenuto delle clausole generali enunciate dalle
norme di diritto comune. E’ quanto ad esempio accade con il dovere
codicistico di predisporre assetti adeguati, che per le società quotate
trova una sua prima ed essenziale concretizzazione nella struttura di
governance societaria prefigurata dal codice di autodisciplina, in cui da
un lato si prevede l’introduzione del sistema di controllo interno e si
definiscono le funzioni a questo assegnate61, dall’altro si individuano i
più importanti comitati costituiti in seno all’organo amministrativo e
se ne tipizzano i ruoli62.
4. La discrezionalità del giudice nel definire il contenuto delle clausole generali nel
diritto societario. – La diversità strutturale del rinvio e la complessità e
articolazione dei valori sottostanti che, come appena visto, nel diritto
societario caratterizza l’applicazione delle clausole generali tanto di diritto
societario che, seppure in minor misura, di diritto comune, impone di
soffermarsi sul tema del ruolo assunto dalla discrezionalità del giudice in
relazione alle loro varie tipologie.
In ambito societario la discrezionalità del giudice assume infatti una
valenza più tecnica e, quindi, più vincolata rispetto a quanto accade nel
diritto generale delle obbligazioni, dovendo qui il giudice confrontarsi e
tener conto delle indicazioni provenienti dalle prassi degli operatori, delle
regole autodisciplinari e dei principi elaborati negli ordinamenti “altri” e
da questi provenienti.
Oltre a ciò, attesa la natura imperativa del dictum giudiziale, lo stesso
esercizio della discrezionallità, ovvero le stesse regole e prassi operative
nella propria Raccomandazione della Commissione del 15 febbraio 2005 sul ruolo degli amministratori senza
incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza delle società quotate e sui comitati del consiglio
d’amministrazione o di sorveglianza (2005/162/CE), in GUCE L 52 del 25/2/2005, p. 51 ss.; Riv. soc.,
2005, p. 631 ss. In cosa però in concreto consista l’autonomia di giudizio costituisce un profilo
non esplicitamente affrontato dalla Commissione e che senza dubbio attinge, ancora una volta, a
concetti indeterminati e, in ultima istanza, a clausole generali.
61
Alla materia è dedicato l’intero art. 7 dal Codice.
62
Si tratta in particolare, come noto, dal comitato nomine (v. Principio 5.P.1 e Criterio 5.C.1 cod.
Capuano), del comitato remunerazioni (v. Principio 6.P.3 e Criterio 6.C.5 cod. Capuano) e del
comitato controlli e rischi (v. Principio 7.P.4 e Criterio 7.C.2 cod. Capuano), in relazione ai quali
il Codice non solo individua la composizione e le funzioni, ma delinea anche il sistema delle
relazioni che li lega agli organi e uffici dell’emittente.
17
Giovanni Meruzzi
di volta in volta recepite dal giudice nella decisione dei casi controversi,
definisce e condiziona i contenuti tecnici degli ordinamenti settoriali,
nonché delle regole a cui si rinvia63.
Inoltre e soprattutto, l’esercizio della discrezionalità giudiziale è qui
spesso filtrata dall’intervento di soggetti terzi, i periti. Sono infatti i periti
coloro che, svolgendo l’attività processuale di corretta identificazione e
applicazione di regole appartenenti ad altre scienze (quelle economiche,
contabili, ingegneristiche, ambientali, di sicurezza, etc.), definiscono in
concreto il contenuto della clausola generale di volta in volta applicata,
orientando con la loro attività la decisione del giudice e l’enucleazione da
parte di questi della sottostante regola di condotta64.
I diversi tipi di clausole generali, e il conseguente rinvio che per loro
tramite è effettuato non solo alle regole di comune opinione e ai valori
condivisi nella comunità degli affari, bensì anche ai principi delle scienze
aziendalistiche, a ordinamenti “altri” e alle buone prassi elaborate dalle
associazioni di categoria, fa sì che la discrezionalità del giudice abbia un
contenuto che varia sensibilmente in ragione della clausola generale di
volta in volta applicata65.
Con riguardo alle regole di comune opinione l’enucleazione della specifica
regula iuris presuppone infatti, da parte del giudice, la conoscenza delle
condotte tenute dagli operatori e delle prassi del mercato, in mancanza
della quale il giudice corre il rischio concreto di sostituire una propria
63
Esemplare in tal senso è la vicenda della definizione in concreto del contenuto dei modelli di
organizzazione volti a prevenire la commissione dei reati presupposto ex D.lgs. 231/2001 in tema
di responsabilità amministrativa degli enti, materia che ha visto la progressiva enucleazione dei
principi e dei criteri operativi per la costruzione dei modelli, in ultima istanza sussumibili in un
giudizio di adeguatezza dell’assetto organizzativo aziendale in materia qua, non sulla base di astratti
principi aziendalistici, bensì dei precedenti giudiziari in cui si è valutata, con giudizio ex post e caso
per caso, la loro maggiore o minore idoneità a prevenire i reati presupposto. Sul tema specifico
della conformazione del modelli v. in part. D. GALLETTI, I modelli organizzativi nel d.lgs. 231 del
2001: le implicazioni per la corporate governance, in Giur. comm., 2006, I. p. 126 ss., nonché P. SFAMENI,
Responsabilità da reato degli enti e nuovo diritto soceitario: appunti in tema di doveri degli amministratori ed
organismo di vigilanza, in Riv. soc., 2007, p. 154 ss.
64
Esempio tipico in tal senso è la definizione degli assetti adeguati della Spa, tema rispetto al
quale il perito identifica, nel caso in cui per la materia oggetto di contendere venga in rilievo la
valutazione dell’organizzazione interna della società, le regole organizzative, amministrative o
contabili ritenute di volta in volta più corrette in un dato momento in relazione al tipo di attività
esercitata e ai rischi cui risulta esposta, alla dimensione dell’impresa, al luogo di suo esecizio e agli
altri fattori rilevanti.
65
Aspetto, questo, che introduce un ulteriore elemento di complessità nella concreta
conformazione e gestione di ciò che, con suggestiva formula, è stato definito come frattale
giurisprudenziale da M. PEDRAZZA GORLERO, L’ordine frattalico delle fonti del diritto, Cedam, Padova,
2012, in part. p. 77 ss.
18
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
personale valutazione alla ricognizione dei valori espressi dalla comunità
degli affari. Emerge, a tacer d’altro, un problema di ordine probatorio, in
quanto si deve stabilire se la conoscenza di tali regole vada considerata
alla stregua di un fatto notorio, e quindi sottratta all’onere della prova, o
sia invece circostanza la cui prova incombe su chi ne invoca l’esistenza.
Senza dubbio il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. può
costituire un valido strumento operativo in sede di ricognizione dei fatti
materiali su cui si fonda la regula iuris astrattamente applicabile, ma il
problema riemerge in tutta la sua rilevanza operativa oltreché sistematica
in tutti i casi in cui la regula iuris invocata non sia stata oggetto di puntuale
allegazione delle parti o la sua effettiva sussistenza sia stata contestata66.
Nella diversa ipotesi di rinvio ai principi e criteri delle scienze aziendalistiche
le indagini peritali costituiscono senza dubbio lo strumento principe di
cui dispone il giudice per definire il contenuto della clausola generale. E’
quindi frequente che il giudice faccia proprie, nella decisione del caso, le
conclusioni a cui pervengono le perizie svolte in corso di causa, in tal
modo applicando, nella valutazione, gli standard operativi individuati dai
periti e attribuendo alla norma elastica un contenuto tecnico elaborato
altrove, spesso dagli specialisti della materia che di volta in volta viene in
considerazione e dai relativi studiosi.
Nell’ulteriore ipotesi di rinvio a ordinamenti “altri” si riscontrano invece
numerose situazioni in cui il contenuto della clausola generale è definito
dalle normative secondarie di settore. Così avviene per gli obblighi di
comunicazione al pubblico delle informazioni price sensitive ex art. 114
Tuf, in relazione ai quali sono i regolamenti e le comunicazioni Consob a
identificare in casi in cui in concreto sorge l’obbligo di informativa o a
meglio definire le relative circostanze, integrando il contenuto delle
norme elastiche della legislazione primaria67; oppure, in ambito bancario,
tramite il rinvio alle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia al fine di
dare contenuto ai numerosi criteri e standard operativi previsti dal Tub. In
tutti questi casi il giudice, e ancor prima l’operatore professionale, integra
il contenuto della norma elastica con un’attività di individuazione della
66
Occorre peraltro puntualizzare, quanto alla ripartizione dell’onere delle prova in materia di
clausole generali, che spetta su colui che invoca la violazione della regola di condotta a dover
provare il titolo su cui si fonda l’azione e la specifica regola di condotta che si asserisce essere
stata violata. Sul tema, spesso non adeguatamente sviluppato né in dottrina né in giurisprudenza,
si rinvia a G. MERUZZI, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., in part. p. 214 s.
67
V. in part. gli artt. 65-duodecies ss. Reg. emittenti e le comunicazioni e raccomandazioni Consob
in tema di informativa periodica, consultabili sul sito istituzionale dell’Autorità di vigilanza
all’indrizzo www.consob.it/main/regolamentazione/normative/info_soc_orientamento.htm#4
19
Giovanni Meruzzi
norma analitica applicabile al caso di specie, il cui contenuto è già stato
definito dalla regolamentazione di settore. Regolamentazione che a sua
volta rinvia a discipline di derivazione comunitaria o internazionale, e
quindi soggette a interpretazione sulla base dell’aquis giurisprudenziale o
delle prassi operative internazionali.
Considerazioni non dissimili da quelle svolte per le norme di rinvio a
ordinamenti altri valgono per le regole di condotta elaborate dalle associazioni di
categoria, con riguardo alle quali il giudice, in proprio o con il supporto dei
tecnici chiamati a coadiuvarlo, individua il contenuto in concreto delle
clausole generali, di primo e di secondo livello, attingendo alle regole
aziendalistiche e alle migliori prassi operative come risultano sintetizzate,
in un dato momento, dalle organizzazioni promotrici.
In tutti questi casi l’attività del giudice è sì guidata dal contesto di
riferimento e quindi limitata nei margini di discrezionale apprezzamento,
ma nel contempo è caratterizzata da un rilevante grado di complessità e
specializzazione, che spesso porta a un’oggettiva difficoltà di analisi e di
potenziale difetto di capacità critica, che nei casi più complessi finisce per
rendere aleatorio finanche il mero apprezzamento dei riscontri peritali e
il loro discernimento critico. Il rilievo tocca le corde più profonde della
tradizionale remora degli studiosi del diritto societario all’ampio ricorso
alle clausole generali come tecnica normativa68. La recente istituzione
delle sezioni specializzate in materia societaria, che rettifica l’opzione in
materia esercitata con la riforma del 200369, non muta peraltro in termini
sostanziali il quadro di riferimento. Il punto qualificante consiste infatti
non nella formale specializzazione del giudice societario, quanto nella
formazione e nelle competenze di cui dev’essere dotato. Ciò sia per
gestire, a monte, un esteso apparato di clausole generali, societarie e non;
sia per garantire, nel corso della sua carriera, il possesso, in mancanza di
un percorso formativo ad hoc, delle nozioni specialistiche di base per
68
Remora che non ha mancato di condizionare i lavori della stessa Commissione Vietti e le
posizioni che in essa furono assunte anche da autorevoli studiosi, cui spetta il merito storico di
aver riconosciuto e valorizzato il ruolo sistematico delle clausole generali nel diritto vivente. E’
paradigmatica in tal senso la diffidenza che fu manifestata da Francesco Galgano per l’adozione
di un esteso regime di clausole generali quale tecnica di normazione, testimoniata dal contributo
di F. DI SABATO, Il principio di correttezza nei rapporti societari, cit., in part. p. 135.
69
Riforma che, come noto, con il D.lgs. 5/2003 aveva condotto all’introduzione di uno specifico
rito societario ma non all’attribuzione delle controversie societarie ad una sezione specializzata.
La scleta normativa fa rapidamente abbandonata in ragione delle disfunzioni palesate dalle regole
di procedura introdotte. Sul tema v. per tutti, in sede di primo e già critico commento alle scelte
del legislatore del 2003, i contributi pubblicati in G. CIAN (a cura di), La grandi opzioni della riforma
del diritto e del processo societario, Cedam, Padova, 2004, p. 355 ss.
20
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
affrontare la complessità della materia societaria e per rendersi conto se e
quali tra i periti interpellati stanno realmente prospettando la soluzione
più corretta per la decisione del caso.
Si tratta di problemi al momento non adeguatamente dibattutti ma
che, alla luce delle scelte in punto di tecnica normativa effettuate con la
riforma del 2003, negli anni a venire dovranno essere affrontati per far sì
che l’intervento giudiziario nelle controversie societarie non si traduca in
una surrettizia eterogestione delle attività d’impresa, spesso attuata nella
forma della valutazione ex post dell’operato di amministratori e soci.
5. Dichiaratività e costitutvità della giurisprudenza applicativa delle clausole
generali in ambito societario. – Solo in apparenza eccentrico rispetto ai temi
qui in esame è l’ulteriore profilo che caratterizza la tecnica di normazione
per clausole generali e per norme elastiche, concernente il sindacato della
Cassazione sul loro utilizzo. In materia due punti possono ormai darsi
per acquisiti.
Il primo è costituito dalla constatazione che, a partire dalla pronuncia
10514/199870, la Cassazione ritiene, sulla scorta di quanto in precedenza
chiarito dalla miglior dottrina in materia71, che il giudice che applica una
clausola generale crea subnorme di diritto oggettivo, sindacabili dalla S.C.
non per vizio di motivazione ex n. 5 art. 360 c.p.c., bensì per violazione
di norme di legge ai sensi del precedente n. 3 della stessa norma. Da ciò
derivano precise conseguenze in ordine ad ammissibilità e strutturazione
del motivo d’impugnazione innanzi alla Corte, rilevanti nella vigenza sia
della riforma del processo civile del 2006, che aveva introdotto l’obbligo
di formulazione del quesito di diritto (cfr. l’ora abrogato art. 366bis
c.p.c.), sia dell’attuale regime di filtro di cui alla riforma del 2009 (cfr. art.
360bis c.p.c.), e ancor più significative dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c.
intervenuta con il D.l. 83/2012, che ha novellato il n. 5 della disposizione
sostituendo il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
con il ben più limitato vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio.
70
Cass., sez. lav., 22 ottobre 1998, n. 10514, in Foro it., 1999, I, c. 1891 ss., con note E. FABIANI e
M. DE CRISTOFARO. In argomento v. anche F. GALGANO, L'efficacia vincolante del precedente di
Cassazione, in Contr. imp., 1999, p. 889 ss.
71
Il riferimento è al già cit. studio di F. ROSELLI, Il controllo della Cassazione civile sull'uso delle clausole
generali.
21
Giovanni Meruzzi
L’orientamento appena menzionato è del tutto maggioritario e ormai
pressochè unanime nell’ambito della sezione lavoro72. Pochissime sono le
sentenze contrarie che, dal 1998 ai nostri giorni, riprendono il più datato
principio secondo cui l’applicazione delle clausole generali atterrebbe al
giudizio sul merito della controversia. Il tema è stato inoltre affrontato,
sia pure in obiter, dalle Sezioni Unite con la pronuncia 18450/2005, in
tema di applicazione della buona fede oggettiva al segmento potestativo
della condizione mista ex art. 1358 c.c.73 In tale pronuncia la Corte
attribuisce valenza generale all’orientamento giurisprudenziale relativo
alla sindacabilità per violazione di norme di legge del giudizio reso dal
giudice del merito in applicazione di una clausola generale74. Si tratta di
un passaggio assai importante e anticipatore delle riforme normative poi
occorse, in virtù del quale la Suprema Corte si è definitivamente dotata
degli strumenti tecnici necessari, in tema di poteri di sindacato sulle
pronunce di merito, a governare l’uso giurisprudenziale delle clausole
generali, emancipando il relativo giudizio dagli ormai angusti ambiti di
operatività del vizio di omesso esame ex n. 5 dell’art. 360 c.p.c.75
Il secondo punto ormai acquisito nella giurisprudenza di legittimità
attiene alla natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, attribuita al
dictum giudiziale. Da ciò consegue che l’interpretazione della norma di
legge effettuata dal giudice ha efficacia retroattiva anche se implica un
radicale e inatteso mutamento di indirizzo giurisprudenziale e, quindi, è
applicabile a tutte le situazioni pregresse, fermo restando il limite dei soli
rapporti esauriti.
72
Tra le pronunce successive v. in part. Cass., sez. lav., 13 aprile 1999, n. 3645, in Giur. it., 2000,
p. 263 ss.; Cass., sez. lav., 26 giugno 2004, n. 11919, in Foro it., 2005, I, c. 179 ss.; Cass., sez. lav.,
17 agosto 2004, n. 16037; Cass., sez. lav., 13 maggio 2005, n. 10058; Cass., sez. lav., 2 novembre
2005, n. 21213; Cass., sez. lav., 26 novembre 2013, n. 26379.
73
Cass., sez. un., 19 settembre 2005, n. 18450, in Foro it., 2006, I, c. 2386 ss.; Giur. it., 2006, I, p.
1141 ss.
74
In particolare, al punto 3 della motivazione si qualifica il giudizio applicativo di norme elastiche
come “giudizio soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme
di legge”.
75
Limiti che la stessa giurisprudenza di legittimità concepisce in termini del tutto residuali, come
confermano le recenti pronunce di Cass., 11 dicembre 2014, n. 26097 e, soprattutto, di Cass., sez.
un., 18 aprile 2014, n. 9032, che riduce “al minimo costituzionale” il sindacato sulla motivazione
in sede di giudizio di legittimità. Il ritorno al più datato orientamento, che riduce l’uso delle
clausole generali a un risvolto del giudizio sul merito della controversia, finirebbe quindi per
privare i giudici di legittimità di un effettivo potere di sindacato in materia, sottraendo al
meccanismo della nomofilachia proprio quelle norme di legge che, per la loro indeterminatezza
precettiva, più ne abbisognano.
22
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
Sul punto è doveroso citare due sentenze di legittimità. La prima è
l’ormai risalente Cass., 5567/1982, non massimata per il profilo qui in
esame ma nota agli studiosi del diritto societario76, destinata a rimanere in
parte qua inosservata se non fossero intervenuti, in uno scritto dell’epoca,
i rilievi di un autorevole giurista77. Essa reca, in obiter, un lungo inciso in
cui la S.C. afferma che il giudice, nel momento in cui interpreta la norma,
si limita ad optare tra una delle sue molteplici e possibili interpretazioni,
con la conseguenza che i consociati, quando si adeguano al precetto,
devono tener conto dell’interpretazione adottata dal giudice in un dato
momento e di tutte le altre interpretazioni di cui la norma è in astratto
suscettibile78.
Il principio è sostanzialmente ribadito, sia pure con diversi argomenti,
nella più recente pronuncia delle Sezioni Unite 21095/2004, riguardante
il ben più noto tema degli interessi anatocistici79, ed è poi stato seguito
dalla successiva giurisprudenza di legittimità80. Nella pronuncia del 2004 i
giudici delle Sezioni Unite affermano testualmente che “la funzione della
giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, non
già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione anche
reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l’esistenza, la ricognizione
correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la
76
Cass., 25 ottobre 1982, n. 5567, in Giust. civ., 1983, I, p. 1232 ss.; Giur. comm., 1983, II, p. 153
ss., con nota G. CASTELLANO; Foro it., 1983, I, c. 1663 ss. Si tratta della pronuncia con cui la S.C.,
mutando la più risalente giurisprudenza in materia, ha per la prima volta sancito la nullità della
clausola statutaria di mero gradimento.
77
G. DE NOVA, Sull’interpretazione del precedente giudiziario, in Contr. imp., 1986, p. 779 ss., in part. p.
790.
78
Merita riportare testualmente il passaggio della motivazione cui si fa riferimento: “Poiché il
giudice accerta nel processo la concreta volontà della legge, facendone risalire gli effetti al
momento in cui è stata posta in essere la condotta che ha dato causa alla lite, è evidente che la
parte tenuta all’osservanza della norma necessariamente subisce le conseguenze di quella
condotta, secondo il significato attribuito dal giudice alla disposizione violata.
Infatti, l’ obbligo di uniformare un dato comportamento al precetto legislativo sorge con la stessa
norma e riguarda potenzialmente tutte le possibili interpretazioni di essa da parte dell’organo
giurisdizionale chiamato a decidere, in caso di controversia, quale sia l’interpretazione vincolante
per le parti, sicchè queste non possono addurre, a propria giustificazione, un anteriore diverso
senso in cui la norma stessa sia stata intesa”.
79
Cass., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095, in Foro it., 2004, I, c. 3294 ss., con note A.
PALMIERI, R. PARDOLESI, G. COLANGELO, F. FERRO LUZZI; Giur. comm., 2006, II, p. 833 ss., con
nota S. BOATTO.
80
V. in part. Cass., 8 maggio 2008, n. 11466, inedita, nonché la più recente pronuncia di Cass.,
sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144, in Foro it., 2011, I, c. 3343 ss., con nota R. CAPONI; Giur. it.,
2012, p. 649 ss.
23
Giovanni Meruzzi
consolidazione medio tempore di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle
sentenze che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero creata”.
L’orientamento non ha mancato di suscitare l’attenzione della dottrina
civilistica e processualistica, aspetto su cui non è dato qui soffermarsi81.
Si pone tuttavia il problema, assai rilevante per il tema qui in esame, di
come i due principi vadano tra loro conciliati, sotto il profilo concettuale
e operativo, in relazione ai giudizi applicativi di clausole generali. Infatti
in virtù del primo tra essi il giudice, quando applica una clausola generale,
crea norme di diritto, cui la Cassazione riconosce esplicitamente la natura
di diritto oggettivo. La natura meramente ricognitiva dell’attività svolta
dal giudice in sede di interpretazione/applicazione delle norme di legge, e
quindi anche delle clausole generali, implica tuttavia, in virtù del secondo
orientamento, che le stesse norme di diritto oggettivo, create dal giudice
ex novo in sede di ricognizione e definizione in concreto dello standard di
condotta dovuto, sono applicabili retroattivamente, ovvero anche ai fatti
intercorsi e alle controversie insorte prima che la regola di condotta fosse
per la prima volta in concreto enucleata dal giudice, con il solo limite dei
rapporti esauriti. Si è quindi innanzi a un fenomeno di applicazione
retroattiva di una norma di diritto oggettivo, creata dal giudice in sede di
interpretazione/applicazione della clausola generale e destinata a regolare
anche rapporti insorti prima della sua stessa enucleazione, in palese
deroga al principio d’irretroattività sancito dall’art. 11, c. 1, c.c.
La legittimità di tale meccanismo non sembra possa essere revocata in
dubbio per quanto concerne la disciplina privatistica delle società, dato
che, come noto, l’irretroattività assume rilevanza costituzionale solo in
ambito penale (cfr. art. 25, c. 2, Cost.)82. Restano però irrisolti numerosi
problemi, di rilievo generale e di diritto squisitamente societario.
Occorre in primo luogo chiedersi quando inizi a decorrere il dies a quo
del termine prescrizionale per far valere il diritto riconosciuto a seguito
dell’attività interpretativa/creativa svolta dal giudice con l’applicazione
della clausola generale e di creazione della subnorma di diritto oggettivo.
La natura meramente dichiarativa/ricognitiva del dictum giudiziale fa
propendere per una decorrenza del dies a quo, come regola generale, dal
81
Sul punto v. per tutti R. ROLLI, Overruling del diritto vivente vs. ius superveniens, in Contr. imp.,
2013, p. 577 ss., ove ampio resoconto del dibattito.
82
Anche se, giova rilevare, nei pochi precedenti sul tema la Cassazione ammette la retroattività
della norma civile in quanto sancita da altre norme ordinarie (v. Cass, 22 febbraio 1983, n. 1323,
in Giur agr. it., 1983, p. 425 ss., e Cass., 29 ottobe 2008, n. 26002), ciò che non avviene nel caso di
subnorme di diritto create del giudice in applicazione delle clausole generali.
24
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
momento in cui sono avvenuti i fatti in cui si sostanzia la violazione della
regola di condotta o dal momento in cui si concretizza il danno che da
tale violazione deriva, essendo questo, di norma, il giorno in cui il diritto
può essere fatto valere sulla base di una delle molteplici e astratte
interpretazioni della clausola generale (cfr. art. 2935 c.c.).
Passando poi ai profili strettamente legati all’operatività delle clausole
generali di diritto societario occorre chiedersi, in caso di applicazione di
norme che fanno rinvio a ordinamenti altri o a regole e standard elaborati
da associazioni di categoria, a quali norme o regole il giudice debba in
concreto fare riferimento nel momento in cui svolge la sua attività, attesa
la loro frequente mutabilità nel tempo.
La presenza di regole di condotta oggettivamente definite ab externo e
che, tramite il rinvio a ordinamenti altri o a standard elaborati dalle
associazioni, sono suscettibili di una precisa collocazione temporale per
quanto riguarda la loro operatività, consente di ritenere applicabili, da
parte del iudice, le regole e le prassi in vigore nel momento in cui si è
verificato l’evento oggetto di valutazione giuridica, secono una logica
sostanzialmente affine a quella che governa la successione delle leggi nel
tempo. La soluzione ha il pregio di evitare, in tutti i casi di valutazione
giudiziale effettuata in tempo successivo a quando i fatti sono occorsi,
che il giudizio applicativo della clausola generale sia piegato ad una vera e
propria valutazione ex post, svolta dal giudice addirittura in base a criteri
di condotta e standard operativi non ancora riconosciuti e vigenti nel
momento in cui i fatti contestati si sono verificati. Ad analogo regime
dovrebbe poi essere assoggettato il giudizio effettuato in base a clausole
generali che danno luogo all’applicazione di prassi aziendalistiche e criteri
operativi desunti dalle relative scienze. Qui tuttavia il problema è ben più
complesso sotto il profilo operativo, dato che spesso non è possibile, in
assenza di rinvio a un dato oggettivamente riconoscibile e identificabile
ab externo sotto il profilo temporale, definire con certezza quale sia, in un
dato momento, la best practice in materia. Solo un’attenta e specifica
valutazione in sede peritale potrebbe, in questi casi, sottrarre il giudice da
una valutazione non solo ex post della fattispecie, ma realizzata anche in
base a standard di condotta concretamente non esigibili nel momento
sono stati posti in essere i fatti contestati.
Manca ad oggi non solo nella giurisprudenza di Cassazione, ma anche
in dottrina, una compiuta elaborazione di questi e molti altri aspetti legati
all’applicazione delle clausole generali di diritto societario e nel diritto
25
Giovanni Meruzzi
societario, la cui soluzione è destinata, in un futuro ormai non lontano, a
incidere in modo talora rilevante sulla vita economica di un’impresa83.
6. I (distinti) problemi del fondamento costituzionale delle clausole generali nel
diritto societario e dei limiti di costituzionalità nell’applicazione in ambito societario
delle clausole generali. – L’evocazione dei rapporti intercorrenti tra principi
costituzionali e clausole generali, svolta nel precedente paragrafo quanto
al possibile conflitto tra principio d’irretroattvità nel tempo delle leggi e
funzione creativa di subnorme di diritto riconosciuta al giudice tramite le
norme elastiche, apre scenari inesplorati per quanto concerne le clausole
di diritto societario e, più in generale, nel diritto societario.
Sebbene fino ad oggi non sia mai stato posto il tema del fondamento
costituzionale delle clausole generali nel diritto societario, sul tacito e
condiviso presupposto della loro piena legittimità costituzionale, non ci
si può esimere dal rilevare l’inestendibilità alla materia, almeno in via
diretta, dei risultati raggiunti dal dibattito storicamente svoltosi in tema di
buona fede e correttezza.
E’ infatti noto che la dottrina civilistica e, con essa, la giurisprudenza
di Cassazione hanno fondato la legittimità del ricorso giudiziale al criterio
di correttezza, per quanto concerne il diritto generale delle obbligazioni,
facendo leva sull’art. 2 Cost. e sul principio solidaristico ivi enunciato84.
La non immediata mutuabilità di tale conclusione in ambito societario
appare di immediata evidenza ove si consideri che nel diritto d’impresa, e
in particolare in quello societario, i principi solidaristici possono essere
agevolmente invocati nei rapporti che si instaurano tra impresa e terzi, ivi
inclusi di suoi dipendenti, non certo, o almeno in termini non altrettanto
agevoli, nei rapporti tra impresa e soci e nei rapporti tra coimprenditori,
ovvero tra soci. In tale ambito sui principi solidaristici sembra prevalere
la tutela della libertà di iniziativa economica; libertà riconosciuta dall’art.
41 Cost. e nel contempo da tale disposizione limitata in funzione della
salvaguardia dei valori dell’utilità sociale, nonché della sicurezza e dignità
umana85. Al principio della libertà d’iniziativa economica si aggiunge poi
83
Lo constata M. LIBERTINI, Clausole generali, norme di principio, norme a contenuto indeterminato. Una
proposta di distinzione, cit., in part. p. 144, che nel proprio catalogo dei temi da effrontare evidenzia
proprio alcuni dei problemi qui esaminati.
84
Per una puntuale ricostruzione del dibattito in materia si rinvia ancora una volta a G. MERUZZI,
L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., p. 216 ss., ove ampi riferimenti di dottrina e
giurisprudenza.
85
Per una ricognizione, dal punto di vista giuscommercialistico, dell’assai vasta letteratura in
materia v. per tutti V. BUONOCORE, Iniziativa economica privata e impresa, in V. BUONOCORE (a cura
26
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
quello della salvaguardia del risparmio in tutte le sue forme (art. 47 Cost.),
nel cui novero va di necessità incluso, attesa l’ampia dizione della norma
costituzionale, anche il risparmio indirizzato all’investimento produttivo
e, quindi, all’attività d’impresa86.
In tale contesto la normazione per clausole generali sembra costituire
una delle possibili tecniche normative funzionali a perseguire e preservare
sia la libertà d’iniziativa economica e la salvaguardia del risparmio sia, in
relazione all’art. 41 Cost., i concorrenti valori dell’utilità sociale e della
sicurezza e dignità umana. Tecnica quindi costituzionalmente compatibile, in
quanto il suo utilizzo, come del resto avviene per il dovere di correttezza
e per le altre clausole generali e norme indeterminate del diritto privato
generale, si pone sullo stesso piano delle norme giuridiche analitiche, da
queste distinguendosi solo nella misura in cui costituiscano lo strumento
per dare immediata attuazione, nell’ordinamento privatistico, ai principi
costituzionali87.
Tale conclusione apre la porta al distinto ma consequenziale tema dei
limiti di costituzionalità cui soggiace l’applicazione delle norme elastiche.
In altri termini, occorre chiedersi se, ed eventualmente in quali termini,
l’attività del giudice di concretizzazione delle norme elastiche sia soggetta
nel diritto societario a limiti, in ragione dei valori costituzionali espressi
dall’ordinamento.
Per meglio comprendere la questione va ricordato che tramite le
norme elastiche il giudice crea subnorme di diritto oggettivo (le regole di
condotta) caratterizzate da piena doverosità giuridica, che in quanto tali
incidono direttamente, in particolare nel caso delle clausole di diritto
societario relative alla governance interna, sull’organizzazione della società e
sulla sua attività. Incidono direttamente, in altri termini, sul modo in cui è
di), Iniziativa economica privata e impresa nella giurisprudenza costituzionale, ESI, Napoli, 2006, p. 3 ss., in
part p. 21 ss. Nella manualistica istituzionale ancora attuali rimangono le riflessioni svolte da F.
GALGANO, Diritto Commerciale. L’imprenditore, Zanichelli, Bologna, 2013, p. 167 ss.
86
Interpretazione che trova piena conferma nel c. 2 dell’art. 47 Cost., ove l’accesso del risparmio
al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi costituisce una delle
linee d’indirizzo del legislatore costituente a quello ordinario.
87
Secondo il noto fenomeno della drittwirkung, su cui v., ex multis, M.R. MORELLI, Funzioni della
norma costituzionale meccanismi di attuazione procedure di garanzia, ESI, Napoli, 2010, p. 7 ss. Il
fenomeno non è peraltro in sé estraneo nemmeno al diritto societario. Si pensi, a tacer d’altro, al
possibile utilizzo delle clausole generali di corretta gestione e di adeguatezza degli assetti come
strumento per dare attuazione, nel diritto delle società, ai principi in materia di salvaguardia
ambientale, a loro volta sussumibili nell’ambito dei limiti all’iniziativa economica funzionali alla
salvaguardia della sicurezza e della dignità umana.
27
Giovanni Meruzzi
organizzata l’attività di impresa, e quindi sulla stessa libertà d’iniziativa
economica sancita dall’art. 41 Cost., per quanto attiene al come produrre88.
Viste in tale luce, le subnorme di diritto oggettivo create dal giudice
tramite le norme elastiche introducono nell’ordinamento societario
doveri a contenuto specifico che, aggiungendosi agli obblighi previsti
dalla legge, comprimono ulteriormente la libertà d’iniziativa economica.
Sorge quindi il problema di stabilire il limite di legittimità cui soggiace il
giudice nel definire tali vincoli.
La risposta al quesito sta nella constatazione che la libertà d’iniziativa
economica è valore costituzionalmente tutelato nei limiti individuati dai
commi 2 e 3 dell’art. 41 Cost., ovvero della salvaguardia dell’utilità sociale
e della sicurezza, libertà e dignità umana. Del pari la tutela costituzionale
del risparmio ex art. 47 Cost. è valore che legittima la creazione di vincoli
organizzativi alla libertà d’impresa in quanto tali vincoli siano funzionali
alla salvagardia del risparmio, sotto la forma, per quanto qui interessa,
dell’accesso al credito e all’investimento azionario popolare.
Sia l’art. 41 che l’art. 47 Cost. ammettono quindi la creazione di limiti
ulteriori alla libertà di organizzazione dell’impresa e alla libertà d’azione
nell’impresa; ma il potere creativo del giudice non è qui illimitato. I
vincoli sono legittimi in quanto funzionali alla salvaguardia di altri valori
costituzionalmente protetti e se, inoltre, pur essendo posti a presidio di
tali valori, non siano tali da compromettere l’efficienza della gestione
dell’impresa, comportando questo il venir meno della libertà di iniziativa
economica.
Nel complesso gioco del bilanciamento tra gli opporsi interessi della
libertà di iniziativa economica e della salvaguardia degli altri valori tutelati
dalla Costituzione, cui il giudice è chiamato nella concretizzazione delle
clausole generali, un efficace strumento di governo della discrezionalità
giudiziale è dato dal criterio di proporzionalità, ampiamente utilizzato in
ambito comunitario89. Senza soffermarsi sui molteplici utilizzi che di tale
principio sono stati fatti dalla Corte di Giustizia, basti qui segnalare che
anche nel diritto d’impresa è possibile rinvenirne importanti applicazioni.
88
Così, espressamente, il già cit. F. GALGANO, Diritto Commerciale. L’imprenditore, p. 168, ove rinvio
alla giurisprudenza costituzionale in materia.
89
Per una prima ricognizione in materia v. J.H. JANS, Proportionality Revisited, in Legal Issues of
Economic Integration 27(3), 2000, p. 239 ss.; T. HARBO, The Function of the Proportionality Principle in
EU Law, in European Law Jounal 16(2), 2010, p. 158 ss.; W. SAUTER, Proportionality in EU law: a
balancing act?, TILEC Discussion Paper 2013-003, 2013.
28
Sul fondamento e i limiti di costituzionalità delle clausole generali nel diritto societario
Nal caso Scarlet90, in tema di tutela del diritto d’autore in internet e di limiti
di estensione della regola di neutralità di cui beneficiano i service providers,
la Corte ha ritenuto compito precipuo del giudice nazionale garantire un
“giusto equilibrio tra la tutela del diritto di proprietà intellettuale, di cui godono i
titolari di diritti d’autore, e quella della libertà d’impresa” ora sancita, in ambito
comunitario, dall’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea91.
Il principio enunciato è mutuabile al diritto societario, e non solo di
derivazione comunitaria, proprio alla luce del richiamo della Corte ai
sovraordinati principi stabiliti dalla Carta di Nizza. Il giudice che applichi
una clausola generale nel diritto societario dovrà aver cura, nel
bilanciamento tra i vari interessi tutelati, di enucleare regole di condotta
coerenti con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, astenendosi
da imporre doveri tali, per contenuto ed estensione, da compromettere o
rendere eccessivamente gravoso l’esercizio della libertà d’impresa.
90
CGCE, 24 novembre 2011, C-70/10, Scarlet, in Foro it., 2012, IV, c. 297 ss., con nota M.
GRANIERI; Nuova giur. civ. comm., 2012, I, p. 571 ss., con nota M. COLANGELO.
91
CGCE, 24 novembre 2011, C-70/10, punto 46 motivazione. In base a tale assunto la Corte ha
ritenuto che, nel caso sottoposto al suo esame, l’ingiunzione emessa dal giudice nazionale, con cui
si imponeva ad un fornitore del servizio di accesso ad internet (FAI) di predisporre un sistema di
filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche che transitavano per i suoi servizi, applicabile
indistintamente a tutta la clientela e a titolo preventivo, sviluppato e attuato a spese esclusive del
FAI e senza limiti nel tempo, idoneo ad identificare nella rete del fornitore la circolazione di files
contenenti un’opera musicale, cinematografica o audiovisiva rispetto alla quale il richiedente
affermi di vantare diritti di proprietà intellettuale, al fine di bloccare il trasferimento di file il cui
scambio pregiudichi il diritto d’autore (v. in tal senso la massima ufficiale della pronuncia), non
fosse idonea a rispettare l’esigenza di garantire un giusto equilibrio tra tutela del diritto di
proprietà intellettuale e libertà d’impresa, in quanto la sua esecuzione avrebbe costituito “una
grave violazione della libertà di impresa del FAI in questione”, finendo esso ad essere obbligato
“a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e unicamente a suo
carico”, in violazione alle “condizioni stabilite dall’art. 3, n. 1, della direttiva 2004/48, il quale
richiede che le misure adottate per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale non
siano inutilmente complesse o costose” (v. punto 48 motivazione, nonché punti 49 e 53).
Ciò in quanto, come espressamente affermato dalla Corte, il regime di responsabilità degli internet
service providers non può essere tale, in ossequio ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità, da
compromettere la possibilità di esercizio della libertà d’impresa (v. in part. punti 46 e 53
motivazione). Su tale pronuncia e sulla sua rilevanza sistematica anche al di fuori dello stretto
ambito della tutela dei diritti di proprietà intellettuale in ambiente digitale si consenta il rinvio, da
ultimo, a G. MERUZZI, Internet service providers, impresa di gruppo e responsabilità delle controllate, in
AIDA, 2014, in corso di pubblicazione.
In relazione all’art. 16 della Carta di Nizza v. inoltre, ex multis, il commento di M. EVERSON, R.C.
GONCALVES, Article 16, in S. PEERS, T. HERVAY, J. KENNER, A. WARD (eds.), The EU Charter of
Fundamental Rights, Beck-Hart, Oxford, 2014, p. 437 ss.; D. FERRIER, La libertè du commerce et de
l’industrie, in R. CABRILLAC (dir.), Libertès et droits fondamantaux, Dalloz, Paris, 2013, p. 815 ss.
29
Giovanni Meruzzi
Le conseguenze che ne derivano sono chiare: l’enucleazione di regole
di condotta che eccedono tale limite saranno essere oggetto di sindacato
della Corte Costituzionale, in ossequio alla dottrina del diritto vivente, in
quanto subnorme di diritto oggettivo create dal giudice in violazione del
principio costituzionale della libertà d’iniziativa economica e d’impresa.
Si assegna così alla Corte Costituzionale il ruolo di garante ultimo del
corretto utilizzo, nel diritto vivente, della clausole generali che operano
nel diritto delle società.
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