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FABIO SANTANGELI
Autosufficienza. Ieri, oggi, domani. “...Eppur si muove....”. Dal peccato di omissione al
peccato di commissione
Sommario: Premessa. - Sezione prima: L’autosufficienza ieri e l’altro ieri. - 1. Il principio di
autosufficienza nella Giurisprudenza di Legittimità anteriore alla riforma del 2006. Le critiche
della dottrina. - 2. La riforma del procedimento di cassazione del 2006. - 3. Gli orientamenti
incerti e contraddittori della giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla portata del principio
di autosufficienza dopo la riforma del 2006: davvero un “repertorio bon à tout faire” quanto alla
necessità, o anzi addirittura al divieto, di trascrizione di parti del processo nel ricorso. - 4. Segue.
L’introduzione, ad opera della Giurisprudenza della Corte di Cassazione, dell’ulteriore e gravoso
onere di produrre, nuovamente e separatamente nel fascicolo del giudizio di legittimità, gli atti
posti a fondamento del ricorso. - 5. Critiche ai recenti orientamenti della Corte di Cassazione in
tema di autosufficienza, alla luce dell’attuale assetto normativo delineato dal D.Lgs. n. 40 del 2
febbraio 2006. - 6. Segue. Sui, parimenti criticabili, indirizzi giurisprudenziali della Corte di
Cassazione in tema di specifica ed ulteriore produzione, in sede di legittimità, degli atti posti a
fondamento dell’impugnativa. - 7. Segue. Gli ostacoli di ordine pratico al corretto assolvimento
dell’onere di produzione dei documenti nel fascicolo del giudizio di cassazione. Aspetti
problematici e possibili soluzioni. - Sezione seconda: L’autosufficienza oggi e domani (dal 2013
all’infinito…). -1. L’evoluzione concettuale nell’ultimo biennio. Tra l’onere di trascrizione
integrale e i profili di completezza e specificità dopo la riforma del 2012, la lettera del primo
presidente della Corte di Cassazione, le determinazioni delle corti sovranazionali. Una ulteriore
suggestione alla rivisitazione del principio ed all’abbandono della sanzione dell’inammissibilità. 2. L’evoluzione giurisprudenziale. Il contenuto del ricorso: una posizione ormai definita sulla
“esposizione sommaria degli atti della causa”. - 2a. Segue. Il contenuto del ricorso: il principio di
autosufficienza ed i motivi per i quali si chiede la cassazione. - 2b. Segue. Il principio di
autosufficienza e il deposito dei documenti richiamati nel ricorso nel fascicolo di parte. - 3. Sulla
opportunità di un auspicabile intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. 4. Istruzioni per
l’uso - 5. Il principio di autosufficienza domani: alla prova del processo telematico.
Premessa.
Il principio dell’autosufficienza delle difese delle parti nel giudizio di cassazione1
continua a occupare gli operatori teorici e pratici del processo2.
1
Un principio, peraltro, che mostra una insospettata capacità espansiva; in arg. v. se vuoi, CASTALDI, Il
principio di autosufficienza dell’atto introduttivo del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale, in www.
norma.dbi.it (non letto) in Rass. amm. sic., 2009, 390 ss.
2
Da ultimo, il tema è stato oggetto del Convegno organizzato dall'Associazione Nazionale Forense, che si è
svolto a Roma il 16 dicembre 2014, “II ricorso per cassazione in materia civile. La funzione di
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Recenti evoluzioni legislative, dottrinali, giurisprudenziali, ne suggeriscono una
rivisitazione; e siccome di questa regola mi sono già occupato nel 2012, ritengo
opportuno ripartire riportando con poche modifiche quanto già sostenuto, per poi valutare
se e cosa sia cambiato nell’ultimo biennio, e poi infine cosa cambierà nel prossimo
futuro.
Sezione prima: L’autosufficienza ieri e l’altro ieri.
1. Il principio di autosufficienza nella Giurisprudenza di Legittimità anteriore alla
riforma del 2006. Le critiche della dottrina.
Il c.d. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di esclusiva genesi pretoria,
non trova alcuna espressa regolamentazione normativa nel codice di rito civile, né alcun
riferimento o indicazione che ne legittimi la ricostruzione esegetica sotto il profilo
sistematico.
Nonostante ciò, detto principio è uno degli strumenti maggiormente adoperati dalla
Suprema Corte per la falcidiazione, sotto il profilo dell’inammissibilità, dei numerosi
ricorsi che hanno sempre più esponenzialmente incrementato i giudizi pendenti dinanzi
al Giudice di Legittimità.
La lettura dei repertori dell’immediato dopoguerra rivela come il principio di
autosufficienza fosse all’epoca del tutto assente – oltre che dall’assetto normativo – dal
panorama giurisprudenziale italiano. I requisiti della completezza e specificità del ricorso
venivano letti dalla Corte di Cassazione nel senso di richiedere che l’atto introduttivo
rappresentasse – sia pure in via sommaria – un quadro esaustivo delle circostanze e degli
elementi di fatto oggetto della controversia, nonché dello svolgimento del giudizio di
merito nelle sue varie fasi, in modo da poter trarre dal solo ricorso sufficiente cognizione
della censura e delle questioni giuridiche alla stessa sottese3.
nomofilachia della Corte fra filtri di ammissibilità, principio di autosufficienza e dovere di sinteticità”,
con le relazioni di Eduardo Campese, Andrea Melucco, Fabio Santangeli, Lucia Tria.
3
V. Cass. 15 marzo 1952, n. 720.
2
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Tale lettura giurisprudenziale rimase immutata finché la Corte di Cassazione, nei primi
anni ottanta, iniziò – a mio avviso in maniera anche ragionevole – a rivedere il proprio
orientamento sulle tecniche di redazione e sui requisiti formali dell’atto introduttivo del
giudizio di legittimità4, richiedendo, a pena di inammissibilità del motivo di gravame, il
rispetto dei principi di specificità, completezza, chiarezza e precisione nella redazione dei
ricorsi. Nella seconda metà degli anni ottanta, il principio di autosufficienza iniziò ad
apparire sullo scenario giurisprudenziale5, assumendo, all’inizio, perlopiù le sembianze di
un “fratello gemello” del canone di specificità e completezza, il cui rispetto è stato da
sempre preteso dalla giurisprudenza di legittimità.
Nel primo periodo di operatività, ha trovato infatti applicazione, nelle pronunce della
Suprema Corte, una sorta di versione light del principio di autosufficienza6, che si
traduceva nell’obbligo della precisa indicazione topografica, in seno al ricorso, del luogo,
o meglio dell’atto o verbale di causa cui si richiamava la doglianza7.
Dopo la prima fase applicativa, la giurisprudenza di legittimità dà alla luce una versione
più rigida del principio di autosufficienza8, la cui ratio implicita non risiede più nella
4
V. Cass. 8 settembre 1983, n. 5530, in Giust. civ. Mass. 1983, VII, 85: “Ai fini dell’ammissibilità della
censura di difetto di motivazione, il ricorrente in cassazione ha l’onere di indicare specificamente e
singolarmente i fatti, le circostanze e le ragioni che assume essere stati trascurati, insufficientemente o
illogicamente valutati dal giudice del merito, e tale onere non può ritenersi assolto mediante il mero
generico richiamo agli atti o risultanze di causa, dovendo il ricorso contenere in sé tutti gli elementi che
consentono alla Corte di Cassazione di controllare la decisività dei punti controversi e la correttezza e
sufficienza della motivazione e della decisione rispetto ad essi, senza che sia possibile integrare aliunde
le censure in esso formulate”.
5
Tra le prime pronunce in cui compare per la prima volta l’espressione “autosufficienza del ricorso per
cassazione”, cfr. Cass. 18 settembre 1986, n. 5656, in Giust. civ. Mass., 1986, VIII, 9; Cass. 22 marzo
1993, n. 3356, in Giust. civ. Mass., 1993, 533; Cass. 2 febbraio 1994, n. 1037, in Giust. civ. Mass.,
1994, 104.
6
Che può definirsi anche come una versione più “severa” del requisito della completezza dei motivi.
7
V. Cass., 19 giugno 1995, n. 6927, in Giust. civ. Mass. 1995, VI: “La parte che deduca come mezzo di
impugnazione per cassazione un vizio di motivazione della sentenza imputata, da correlarsi alla
mancata ammissione di incombenti istruttori da lei articolati, ha l'onere di indicare, nel ricorso, il
momento del processo in cui ebbe a dedurre l'incombente assunto non ammesso e l'oggetto preciso di
questo, perché solo tali indicazioni possono consentire al giudice della legittimità - cui resta precluso
l'esame diretto degli atti di causa - di verificare la decisività della prova offerta e denegata, e di
accertare, quindi, la fondatezza della domanda”.
8
Sulla bipartizione tra la versione “rigorosa” e quella “più indulgente” del principio in esame v. CHIARLONI,
Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per violazione del
c.d. principio di autosufficienza, in www.judicium.it.
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necessità che le censure presentino il giusto grado di specificità e completezza, ma di
fatto nell’esigenza – comprensibile, ma allo stesso modo non condivisibile nelle modalità
in cui si tenta di soddisfarla – di deflazionare l’imponente carico di ricorsi che negli
ultimi anni hanno invaso la Suprema Corte. Quest’ultima versione applicativa del
principio di autosufficienza ha portato il Giudice di Legittimità a non accontentarsi della
mera indicazione nel ricorso dei documenti da consultare, ed invece a richiedere – a pena
di inammissibilità – l’integrale trascrizione degli atti processali – memorie, verbali
d’udienza, consulenze d’ufficio o di parte, documenti e testimonianze – posti a
fondamento del ricorso9.
Il fondamento giuridico di tale lettura estrema del principio di autosufficienza è stato
individuato dalla Corte di Cassazione nel limitato potere della stessa di acquisire tutti gli
elementi utili alla decisione unicamente dagli atti del giudizio di legittimità – e cioè dal
ricorso, dal controricorso ed eventualmente dalla sentenza impugnata – stante l’asserito
divieto per il Supremo Collegio di compiere indagini integrative, e quindi di visionare ed
esaminare (salvo che i vizi processuali configurino errores in procedendo) gli atti
processuali precedenti ed i documenti prodotti nella fase di merito10.
9
V. Cass. 11 febbraio 2009, n. 3338, in Guida al diritto 2009, 16, 75: “Con riferimento al regime
processuale anteriore al D.lgs. n. 40 del 2006, a integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del
motivo di ricorso per cassazione concernente - ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. (ma la stessa cosa
dicasi quando la valutazione deve essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi del n. 3 dell'art.
360 o di un vizio integrante "error in procedendo" ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 di detta norma) - la
valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale
contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di
merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d'ufficio o in quelli di parte,
rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità, essa è rinvenibile.”; Cass., 25
luglio 2008, n. 20437, in Guida al diritto 2008, 40; Cass., 05 marzo 2003, n. 3284, in Giust. civ. Mass.,
2003, 462: “Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduca l'omessa o insufficiente motivazione
della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l'onere,
in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di specificare, trascrivendole
integralmente, le prove non o male valutate, nonché di indicare le ragioni del carattere decisivo delle
stesse.”. Nello stesso senso v. Cass., 10 marzo 2000, n. 2802, in Giust. civ. Mass., 2000, 566; Cass. 25
marzo 1999, n. 2838, in Giust. civ. Mass., 1999, 675.
10
V. Cass. 24 novembre 1999, n. 10017, in Giust. civ. Mass., 1999, 2342; nello stesso senso v. Cass. 09
aprile 2009, n. 8708, in Guida al diritto, 2010, XII: “(…) poiché il ricorso per cassazione - per il
principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c.) - deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire
le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione
della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio e accedere a fonti esterne allo stesso
4
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L’esperienza giurisprudenziale delle pronunzie d’inammissibilità per violazione del
principio di autosufficienza si è affermata all’inizio, preminentemente, con riguardo
all’ipotesi di vizio di omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione di cui all’art.
360, primo comma, n. 5 c.p.c. In questo caso la Corte ha iniziato a pretendere dal
ricorrente che censurava, sotto il profilo del vizio di motivazione, la mancata ammissione
delle prove richieste nella fase di merito, l’indicazione adeguata e specifica del relativo
contenuto11. Come passaggio ulteriore e conseguente, nell’ipotesi di censura dell’omessa
ammissione di prove testimoniali nella fase di merito, è stata ritenuta necessaria – a pena
di inammissibilità – l’integrale trascrizione dell’articolato della prova per testi, non
potendo il ricorrente limitarsi ad indicare genericamente i temi di prova, né limitarsi ad
indicare le circostanze oggetto di prova12. Lo stesso valeva anche con riferimento agli
altri mezzi istruttori di cui si denunciava la mancata ammissione in sede di merito. Ad
esempio, nel caso di mancata ammissione del giuramento decisorio, si richiedeva la
trascrizione nel ricorso della formula in cui lo stesso era stato articolato13; allo stesso
modo, nell’ipotesi di mancata ammissione dell’interrogatorio formale, la Cassazione
ricorso e, quindi, a elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, qualora si deduca che la
sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. per
essere sorretta da una contraddittoria motivazione, è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità,
trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte
motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di
comprendere quale sia la "ratio decidendi" che sorregge la pronuncia stessa”.
11
V. Cass. 16 marzo 2004, n. 5369, in Giust. civ. Mass., 2004, III: “Qualora in sede di ricorso per cassazione
si deduca un vizio circa l'ammissione di un mezzo istruttorio, incombe alla parte ricorrente l'onere di
indicare in modo adeguato e specifico il contenuto del cennato mezzo, poiché, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito al giudice di legittimità
sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini
integrative”.
12
V. Cass. 17 maggio 2006, n. 11501, in Rep. Foro it., 2006, voce Cassazione civile, n. 304, nella quale
tuttavia l’enunciazione del principio di autosufficienza veniva utilizzata esclusivamente come
argomento ad adiuvandum, ritenendo che in ogni caso il ricorso fosse infondato in quanto la prova per
testi di cui si lamentava la mancata ammissione riguardava una sola delle diverse e autonome rationes
decidendi, idonee ognuna a supportare la decisione. La Corte è poi arrivata addirittura a pretendere dal
ricorrente l'onere di «una doppia trascrizione» degli articolati di prova testimoniale, richiedendo
precisamente di riportare nel ricorso oltre al testo dei capitoli di prova non ammessi in sede di appello,
del quale appunto si lamentava la mancata ammissione, anche il contenuto integrale delle deposizioni
richieste e ammesse in prime cure. Sul punto v. Cass, 21 maggio 2004, n. 9711, in Giust. civ. Mass.,
2004.
13
V. Cass. 30 maggio 2002, n. 7923, in Rep. Foro.it., 2002, voce Cassazione civile, 172.
5
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riteneva necessaria la trascrizione, in seno al ricorso, del contenuto delle circostanze sulle
quali la parte, in sede di merito, avrebbe dovuto rispondere14.
Anche nella diversa ipotesi di erronea o illegittima valutazione dei mezzi istruttori, la
Corte di Cassazione richiedeva che il ricorrente specificasse, mediante integrale
riproduzione, la risultanza processuale di cui si asseriva la mancata o insufficiente
valutazione15. Ad esempio, in materia di prova testimoniale, veniva richiesta, oltre alla
specifica indicazione dei fatti che ne costituivano l’oggetto, l’indicazione dei nomi dei
testi e la trascrizione integrale delle relative deposizioni16. Parimenti, nell’ipotesi in cui
si denunciava l’omessa valutazione di documenti considerati decisivi per il giudizio, è
stato ritenuto non autosufficiente, e come tale inammissibile, il ricorso privo della
trascrizione integrale degli stessi17. Infine, anche nell’ipotesi di erronea o mancata
valutazione di una c.t.u., la Corte si è espressa nel senso di ritenere che le censure mosse
alla consulenza dovessero possedere, in forza del principio di autosufficienza, un grado di
specificità tale da consentire al Collegio di valutarne la decisività direttamente ed
esclusivamente in base al ricorso, imponendo così al ricorrente di riportare per esteso le
pertinenti
parti
della
medesima consulenza ritenute
erroneamente disattese18;
analogamente, nel caso in cui si denunciava l’acritica adesione del giudice di merito alla
c.t.u., la Cassazione prevedeva l’obbligo del ricorrente di trascrivere “i passaggi salienti e
non condivisi della consulenza e di riportare il contenuto delle critiche ad essi sollevate,
14
V. Cass., 05 giugno 2007, n. 13085, in Giust. civ. Mass., 2007, 6.
Cfr., Cass., 12 maggio 2008, n. 11838, in Giust. civ. Mass. 2008, V, 706; Cass. 9 maggio 2008 n. 11517, in
Giust. civ. 2008, X, 2132; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965, in Giust. civ. Mass. 2007, XII; Cass. 22
giugno 2007, n. 14853, in Giust. civ. Mass. 2007, VI.
16
V. Cass., 22 marzo 2001, n. 4115, in Giust. civ. Mass. 2001, 550.
17
V. Cass., 05 marzo 2003, n. 3284, in Giust. civ. Mass., 2003, 462; nel caso di specie si trattava di
cambiali, originali e rinnovate, fatture e note di accredito. In senso conforme v. Cass., 11 luglio 2003, n.
10948, in Giust. civ. Mass., 2003, 12; Cass. 19 maggio 2005, n. 10598, in Rep. Foro it., 2005, voce
Cassazione civile, n. 2219, secondo cui il ricorrente che in sede di legittimità denunci che, in contrasto
con le risultanze testuali ricavabili dalla prova documentale, il giudice di merito sia incorso in errore
tradottosi in vizio di motivazione, ha l’onere, alla luce del principio di autosufficienza del ricorso per
cassazione, di indicare con chiarezza il documento ed il passo dello stesso (trascrivendone il contenuto)
sul quale si sarebbe determinata l’erronea valutazione.
18
Cfr. tra le tante, Cass. 11 aprile 2006, n. 8420, in Foro it., 2006, I, 3412; Cass. 28 marzo 2006, n. 7078, in
Rep. Foro.it., 2006, voce Cassazione civile, n. 289; Cass. 07 marzo 2006, n. 4885, in Rep. Foro.it.,
2006, voce Cassazione civile, n. 290; Cass. 30 agosto 2004, n. 17369, in Giust. civ. Mass. 2004, VII.
15
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al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice di merito nel limitarsi a recepirla e
nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle
conclusioni del consulente d’ufficio”19.
Nell’ultimo decennio, la Suprema Corte ha operato un'ulteriore estensione20, o meglio
generalizzazione, del principio in esame, ritenendolo applicabile a tutti i motivi di
gravame, indipendentemente dal tipo di vizio denunciato, e quindi sia che esso fosse
qualificabile come error in iudicando o come error in procedendo.
In particolare, con riguardo al motivo d’impugnazione previsto al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.,
la Corte di Cassazione ha previsto addirittura l’obbligo, in capo al ricorrente, qualora le
censure comportino l’esame di regolamenti comunali o provinciali, di integrale
trascrizione ed allegazione delle fonti normative richiamate.21 In questi casi, la Suprema
Corte ha peraltro giustificato l’operatività di tale obbligo di trascrizione anche in
considerazione dell’inapplicabilità, con riguardo alle norme giuridiche secondarie, del
principio iura novit curia22.
Inoltre, nell’ipotesi di censura di un errore di diritto nell’interpretazione di una sentenza
prodotta nel giudizio di merito, la Corte di Cassazione ha parimenti imposto l’onere di
trascrizione della stessa23.
19
Cass., 13 giugno 2007, n. 13845, in Giust. civ. Mass., 2007, VI.
Reputata da alcuni come ingiustificata, ma a mio avviso logicamente coerente ed ineccepibile.
21
V. Cass., 15 dicembre 2008, n. 29322, in Giust. civ. Mass., 2008, XII, 1778. Inoltre cfr. Cass. 18 febbraio
2000 n. 1865, in Giust. civ. Mass., 2000, 397. Conformemente, v. Cass. 16 novembre 2005 n. 23093, in
Giust. civ. Mass., 2005, VII, nella quale la Corte di Cassazione ribadisce che “allorquando siano
sollevate censure che comportino l'esame di un regolamento comunale, è necessario, a pena di
ammissibilità, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che le norme del
regolamento siano integralmente trascritte”. V. anche Cass. 29 maggio 2006, n. 12786, in Rep. Foro it.,
2006, voce Cassazione civile, n. 267 e Cass. 2 dicembre 2004, n. 22648, in Rep. Foro it., 2004, voce
Cassazione civile, n. 216.
22
Conseguentemente – argomenta la Corte – nel caso in cui il giudice disponga di poteri istruttori, come
accade nella fase di merito, lo stesso può acquisirne diretta conoscenza indipendentemente dall’attività
svolta dalle parti, le quali possono limitarsi ad indicare gli estremi necessari per il reperimento di tali
atti normativi; in sede di legittimità, invece, mancando detti poteri istruttori del giudice, il principio di
autosufficienza impone – a pena di inammissibilità del ricorso – l’integrale trascrizione delle norme
secondarie che si assumono violate.
23
V. Cass., 29 settembre 2007, n. 20594, in Guida al diritto, 2007, 48, secondo cui “L'interpretazione di un
giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione
piena, ma nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione. Ciò in forza del
20
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Come accennato, anche in relazione agli errores in procedendo si rinvengono numerose
pronunce in cui trova applicazione il principio in esame. Al tal riguardo non si può non
rilevare che il generale principio secondo cui la Cassazione diviene giudice anche del
fatto (nel senso di potere esaminare i fascicoli di causa ed anche accertare e valutare
autonomamente e direttamente il fatto processuale, senza il filtro cognitorio del Giudizio
di merito) qualora vengano denunziati vizi di nullità della sentenza o del procedimento ex
art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.24, farebbe cadere quel divieto, per il Supremo
Collegio, di compiere indagini integrative – esaminando i fascicoli, di parte o d’ufficio,
dei precedenti gradi di giudizio – posto a fondamento del principio di autosufficienza del
ricorso per cassazione25. Nonostante ciò, la Corte di Cassazione ha ritenuto comunque
applicabile il principio in esame al predetto motivo di gravame26, limitandosi talora a
richiedere – ai fini di un controllo mirato sul corretto svolgimento dell’iter processuale –
l’indicazione topografica del “luogo processuale” dove rinvenire gli atti, le pronunce o le
omissioni generatrici del vizio denunziato, ed in altri casi ad applicare la versione più
rigida del principio di autosufficienza27. In particolare, in tema di vizio di omessa
pronuncia su una domanda o un’eccezione ritualmente proposta, la Corte di Cassazione
ha espressamente richiesto – oltre all’indicazione dell'atto difensivo o del verbale di
principio di autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione con la conseguenza, quindi che qualora
l'interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve
riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della
motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione
del comando giudiziale”.
24
PICARDI, Manuale del processo civile, Milano 2006, 407.
25
Sul punto la Corte di Cassazione (v. Cass., 23 marzo 2005, n. 6225, in Giust. civ. Mass., 2005, III) ha
precisato che l'obbligo di astensione per il giudice dalla ricerca del testo completo degli atti processuali
(che non ha finalità sanzionatorie), sussistendo anche quando nel ricorso per cassazione sono denunciati
errores in procedendo, trova fondamento nell'esigenza di evitare il rischio di un soggettivismo
interpretativo, nell’individuazione degli atti rilevanti in relazione alla formulazione della censura, con
conseguente lesione del contraddittorio.
26
Ritengo che tale estensione applicativa del principio in esame sia tutto sommato coerente con la funzione
integrativa del requisito della completezza del ricorso che si attribuisce all’autosufficienza. Attenendo
infatti il rispetto di tale principio al momento della verifica preliminare dell’ammissibilità
dell’impugnativa, l’esercizio dei peculiari poteri cognitori che spettano al Giudice di legittimità nel caso
in cui vengano denunziati errores in procedendo, non può che entrare in gioco e quindi assumere rilievo
soltanto in un momento eventualmente successivo ed ulteriore rispetto alla verifica dell’osservanza, da
parte del ricorrente, del canone dell’autosufficienza.
27
V. Cass. 03 aprile 2003, n. 5148, in Giust. civ. Mass., 2003, IV.
8
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udienza nei quali la stessa sia stata proposta – che sia puntualmente e specificamente
trascritta (quindi non genericamente, ovvero, in forma riassuntiva) la domanda o la
eccezione che si assume non esaminata28.
Una recente lettura del fenomeno giurisprudenziale ha ipotizzato la tendenziale
prevalenza del principio “strong” per i motivi di ricorso in cassazione ex art. 360 n. 3 e 5
c.p.c.; mentre per i ricorsi ex art. 360 n. 4 prevarrebbe una versione “light” del
principio29.
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – rapidamente illustrato nella sua
dimensione evolutiva – è stato oggetto, soprattutto nella sua versione più rigorosa, di
aspre critiche da parte della dottrina maggioritaria30.
In particolare, è stata in primo luogo rilevata l’inesistenza di qualsiasi supporto normativo
dell’asserita limitazione dei poteri cognitori della Corte, posta dalla stessa Cassazione a
fondamento del principio di autosufficienza, osservandosi correttamente come alcune
norme del codice di rito riconoscano, invero, sia pur implicitamente, non soltanto un
potere, ma anche un dovere del Giudice di Legittimità di conoscere tutti gli atti di causa
delle precedenti fasi di merito. Si pensi ad esempio all’art. 384 c.p.c., il quale, nel
prevedere che le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia
conforme al diritto, non siano soggette a cassazione e che la Suprema Corte debba in tal
caso limitarsi a correggere la motivazione, impone ragionevolmente di ritenere che la
stessa possa, anzi debba, nell’esercitare il suo potere di controllo, conoscere i fatti e gli
28
V. Cass. 08 ottobre 2008, n. 24791, in Guida al diritto, 2008, 46; Cass. 19 marzo 2007, n. 6361, in Rep.
foro it., 2007, voce Cassazione civile, n. 246. Sempre in tema di obbligo di trascrizione delle risultanze
processuali – seppur nella diversa fattispecie dell’ultrapetizione – v. Cass. 18 giugno 2007, n. 14133 (in
Guida al diritto 2007, 32, 59) la quale ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso che, nel denunciare
il vizio di ultrapetizione non abbia indicato specificamente, con riproduzione o almeno indiretta
indicazione riassuntiva dei passi dell’atto introduttivo da cui si dovrebbe evincere, il tenore della
domanda. In questo senso v. anche Cass. 30 maggio, 2000, n.7194, in Rep. foro it., 2000, voce cit., n.
196, secondo la quale, nel caso di impugnazione per omessa pronuncia su una sua domanda, per evitare
che la Corte Suprema dichiari inammissibile il motivo per novità della censura, il ricorrente deve
indicare in quali atti, e con quali specifiche frasi in essi contenute, l'ha proposta dinanzi al giudice di
merito.
29
V. CONFORTI, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, Salerno, 2014, cap. 2 e 3, spec.
91 ss.
30
V. ad es. MONTALDO, Note sul c.d. principio di autosufficienza dei motivi in Cassazione, in Giust. Civ.,
2006, I, 2086 ss.
9
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atti della causa. D'altronde – si è osservato31 – se esistesse realmente a livello normativo
un siffatto limite cognitorio per il Giudice di Legittimità, la stessa Cassazione non
potrebbe eluderlo mediante l’integrale trascrizione degli atti processuali e dei documenti
posti a fondamento delle censure, senza comunque esaminare il contenuto del fascicolo
d’ufficio o dei fascicoli di parte per verificarne l’esatta corrispondenza con quanto
trascritto nel ricorso.
Infine, non può ignorarsi che detto divieto – artatamente creato dalla Suprema Corte –
risulta normativamente smentito a chiare lettere sia dall’art. 369, ultimo comma c.p.c.,
che prevede, per tutti i ricorsi, quali che siano i motivi, la trasmissione del fascicolo
d’ufficio, che dal numero 4 del secondo comma della medesima norma, che prevede
l’onere del ricorrente di depositare gli atti o documenti su cui il ricorso si fonda32.
Si è poi osservato che il puntuale adempimento dell’obbligo di integrale trascrizione in
seno al ricorso dei “contenuti processuali” relativi alla fase di merito, favorendo la
redazione di atti inevitabilmente prolissi, sovrabbondanti e smisurati, finirebbe anziché
con l’agevolare i giudici di legittimità nell’individuazione del vizio della sentenza
impugnata, nel rendere più complicata e faticosa la lettura del ricorso, causando ritardi ed
inefficienze33.
Si è, inoltre, ravvisato34 – nelle molteplici pronunce in tema di autosufficienza –
l’esercizio di un potere discrezionale eccessivo da parte del Giudice di Legittimità,
nell’applicazione di detto principio. Il Collegio, infatti, potrebbe sempre individuare, a
suo insindacabile (e talora arbitrario) giudizio, un atto o un documento di causa non
integralmente trascritto dal ricorrente e per l’effetto dichiarare inammissibile il ricorso
31
CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per
violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit.
32
CHIARLONI, ult. op. cit.
33
V. VERDE, Note sul ricorso per cassazione (relazione tenuta al ciclo di seminari su «Il giudizio di
cassazione: tecniche di redazione del ricorso e regole di procedimento», Roma 15 aprile-17 giugno
2004), in www.cassaforense.it. In tal senso v. anche CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei
lodi, Padova 2008, 245; e CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione:
l'inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit.
34
POLI, Specificità, autosufficienza e quesito di diritto nei motivi di ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc.,
2008, 1261.
10
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per
difetto
di
autosufficienza,
cosi
come
potrebbe
accontentarsi
(altrettanto
arbitrariamente), allo scopo di “salvare” un ricorso dalle scure dell’inammissibilità, della
mera indicazione degli atti processuali posti a fondamento della censura. In altri termini, i
margini discrezionali che la Cassazione si autoattribuisce appaiono francamente troppo
ampi e non sempre prevedibili dal ricorrente, con grave pericolo anche per l’esigenza di
certezza del diritto.
Parte della dottrina35 ha, infine, tentato di ridimensionare la pericolosità applicativa del
principio in esame, facendo notare come in molti casi la pronuncia d’inammissibilità per
violazione dell’autosufficienza del ricorso abbia svolto – coniugando la decisione di
rigetto con le già ricordate esigenze di celerità – una sorta di funzione di supporto (o
anche surrogatoria) rispetto alla reale e corretta declaratoria di incensurabilità del vizio
lamentato, con cui veniva richiesto un riesame di merito precluso in sede di legittimità. A
tal riguardo si è fatto comunque notare che, in questi casi, il richiamo al principio si rivela
del tutto superfluo36, in quanto, il ricorso sarebbe stato in ogni caso respinto, anche se il
ricorrente avesse diligentemente adempiuto – in ossequio al principio di autosufficienza –
l’onere di integrale trascrizione degli atti processuali richiamati.
2. La riforma del procedimento di cassazione del 2006.
Con il D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, il legislatore ha realizzato la prima riforma del
processo di legittimità37 finalizzata al rafforzamento del ruolo nomofilattico della Corte di
35
CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per
violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit.
36
E anche nocivo, in quanto la declaratoria di inammissibilità per violazione del principio di
autosufficienza, “toglie, in un certo modo, forza a quella vera e lascia una qualche illusione nel
ricorrente, che magari, se avesse ubbidito al comando di copiare, il ricorso sarebbe stato accolto”:
CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per
violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit.
37
Il processo di Cassazione riformato si applica ai ricorsi proposti nei confronti delle sentenze e dei
provvedimenti pubblicati a far data dal 2.03.2006 e cioè dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. n.
40/2006.
11
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Cassazione e, al contempo, ad assicurare una maggiore funzionalità del giudizio nel
rispetto di tempi processuali più “giusti”.
La riforma del 2006 ha riguardato sia il processo civile che il processo penale di
cassazione, ma con profonde differenze nella formulazione e negli esiti. Mentre, infatti, la
riforma del processo civile può dirsi realmente condivisa dai giudici di cassazione,
attivamente coinvolti nell’iter formativo della legislazione riformatrice38, la modifica
relativa al giudizio penale, sommaria e frettolosa, è stata passivamente subita dalla
Suprema Corte.
Il D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ha realizzato, in relazione al contenuto del ricorso, due
modifiche di rilievo destinate, nelle intenzioni del legislatore, a ridimensionare la portata
del principio di autosufficienza. In primo luogo, è stato aggiunto un elemento ulteriore
nell’elenco dei cinque requisiti di contenuto-forma dell’atto introduttivo del giudizio,
richiesti a pena di inammissibilità, e cioè il n. 6 del primo comma dell’art. 366 c.p.c., a
mente del quale, il ricorso deve contenere “la specifica indicazione degli atti processuali,
dei documenti, dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Con questa
disposizione il legislatore non ha provveduto – contrariamente a quanto possa prima facie
apparire39 – alla codificazione tout court del principio di autosufficienza, ma, spinto
dall’esigenza di arginare le degenerazioni interpretative ed applicative della formulazione
più estrema di tale principio – divenuto nel tempo un meccanismo meramente deflativo e
sempre più spesso ingiustamente cassatorio40 – ha attribuito veste normativa, cosi in
qualche modo cristallizzandola, alla versione originariamente (nonché ragionevolmente)
38
In attuazione delle direttive della legge delega 14 maggio 2005, n. 80, ispirate al principio orientatore del
recupero e della valorizzazione della funzione di “nomofiliachia” della Corte di Cassazione, insieme
alla razionalizzazione della sua attività, il legislatore delegato ha, infatti, avvertito l’esigenza di sentire
il parere qualificato dell’Assemblea generale della Suprema Corte. Questa, riunitasi il 21 luglio 2005,
da un lato esprimeva apprezzamento per il richiamo esplicito della funzione nomofilattica, dall’altro, ha
formulato critiche ed osservazioni relative a taluni aspetti dell’articolato, in gran parte recepite nel testo
definitivo del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40.
39
E come sostenuto da POLI, Il giudizio di cassazione dopo la riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, IX,
14, e CARRATTA, La riforma del giudizio di cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1105 ss., spec.
1117.
40
“frutto di un fine obliquo d’autodifesa”, prendendo in prestito le parole di CHIARLONI, Il diritto vivente di
fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per violazione del c.d. principio di
autosufficienza, cit.
12
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light dell’autosufficienza, intesa esclusivamente come onere di “localizzazione” dell’atto
o del verbale di causa cui fa riferimento la censura, ammettendo la possibilità di un rinvio
per relationem41. In altri termini, il legislatore, con questo intervento novellatore,
stabilendo in maniera chiara e definita le condizioni alle quali il ricorso può considerarsi
autosufficiente – e cioè con la indicazione e localizzazione degli atti o documenti cui lo
stesso fa riferimento – ha determinato il limite di tollerabilità della cifra applicativa del
principio in esame, affinché lo stesso non possa più tradursi nell’obbligo di integrale
trascrizione – a pena di inammissibilità – dei contenuti processuali relativi alla fase di
merito nel corpo del ricorso, nonché, al fine di limitare quella eccessiva discrezionalità
esercitata, negli ultimi anni, dalla giurisprudenza di legittimità nell’applicazione del
canone dell’autosufficienza42.
L’altro profilo della riforma del 2006, che in questa sede assume rilievo, attiene alla
previsione del nuovo art. 366-bis c.p.c., il quale – prima di essere abrogato ad opera del
legislatore del 200943 – richiedeva, sempre a pena di inammissibilità, nei casi previsti
dall’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), che l’illustrazione di ciascun motivo si
concludesse con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nell’ipotesi prevista
dall’art. 360, primo comma, n. 5, che l’illustrazione di ciascun motivo contenesse, a pena
di inammissibilità, “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la
41
Secondo SASSANI, Il nuovo giudizio di Cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 228, la nuova norma “realizza
un onorevole compromesso tra la direttrice del c.d. principio di autosufficienza del ricorso (principio di
cui si è largamente abusato) e la logica (egualmente perversa) dello jura novit...chartulam che sembra
presiedere alla redazione di molti ricorsi in cui l’accavallarsi dei riferimenti documentali mette il
relatore che intenda eseguire i necessari controlli, nella sgradevole alternativa di impiegare il suo tempo
alla caccia ai riscontri cartolari ovvero di sbrigativamente invocare il deprecato principio di
autosufficienza.”
42
Del medesimo avviso TISCINI, Il giudizio di cassazione riformato, in Giusto proc. civ., 2007, 523 ss.;
RUSCIANO, Nomofilachia e ricorso in cassazione, Torino, 2012, 136 ss. Di diversa opinione, invece,
BALLETTI e MINICHIELLO, in AA.VV., Il nuovo giudizio di cassazione, Milano, 2007, 206 ss., secondo i
quali l’attuale novella non può consentire interpretazioni lassiste del principio di autosufficienza del
ricorso, “pena la violazione del diritto al contraddittorio nell’ambito del riconoscimento dell’effettivo
esercizio del diritto di difesa”.
43
In particolare, l’art. 366 bis c.p.c. è stato abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d), della L. 18 giugno 2009,
n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. Ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, tale
disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.
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motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.
L’introduzione di quest’ultima disposizione normativa, da contestualizzare, come sopra
accennato, nell’ambito di una riforma delineata con il chiaro e determinante contributo
del Giudice di Legittimità, assume, a guardar bene, le sembianze di una vera e propria
contropartita in un gentlemen's agreement concluso tra la Suprema Corte ed il legislatore.
Quest’ultimo, infatti, consapevole dell’esigenza della Cassazione di poter disporre di un
valido strumento per deflazionare l’imponente carico di lavoro, decise – con l’accordo
dei Giudici di Legittimità – di sostituire la mannaia dell’autosufficienza nella sua
versione più estrema (o strong) – che, come detto, negli ultimi periodi, aveva assunto i
caratteri dell’abnormità, arbitrarietà e talora dell’ingiustizia – con un altro elemento
deflativo più ragionevole, costituito – in una prospettiva di specificità e completezza della
censura – dall’obbligo di formulazione del quesito di diritto nei motivi di ricorso44, la cui
inosservanza avrebbe legittimato la Corte a pronunciare la declaratoria d’inammissibilità
del gravame45.
La situazione può dirsi sostanzialmente immutata, anche a seguito della sopravvenuta
abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c., in quanto la stessa è stata accompagnata dal
contestuale innesto nel tessuto normativo del giudizio di legittimità, del filtro di accesso
44
“vero e proprio interrogativo giuridico che il ricorrente rivolge alla Corte e che è destinato, in un certo
senso, a provocare la formulazione del principio di diritto”: ARIETA, DE SANTIS, MONTESANO, Corso
base di diritto processuale civile, III ed., Padova, 2008, 485.
45
La ratio dell’innovazione legislativa nel suo complesso è svelata dallo stesso legislatore nella relazione
illustrativa di accompagnamento al decreto: essa si sostanzia, da un lato, nell’esigenza “di offrire alla
Corte, nonché alla stessa parte resistente, un quadro che sia il più possibile immediato, completo ed
autosufficiente delle censure sulle quali dovrà pronunziarsi e di agevolarne il lavoro di reperimento
degli atti e dei documenti sui quali esse si fondano”; dall’altro, nella volontà di “stringere le maglie” del
controllo in Cassazione, escludendo, in tal modo, l’ingresso di giudizi di merito incensurabili in sede di
legittimità. Occorre peraltro considerare che la disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c. presentava
indubbi vantaggi applicativi, anche alla luce dell’interpretazione tendenzialmente moderata e
ragionevole – fatta eccezione per qualche “esagerazione” iniziale – che ne aveva dato la Suprema Corte.
In particolare, la predetta norma agevolava, a mio avviso la parte ricorrente nella redazione del ricorso,
consentendogli di sinterizzare – a fronte magari di motivi lunghi sette-otto pagine – la questione
giuridica in poche battute, allontanando il rischio della configurazione del vizio di mancanza di
specificità del motivo. Conseguentemente, consentendo di circoscrivere con maggiore precisione ed
analiticità la censura sottoposta al Giudice di Legittimità, diminuiva il pericolo di pronunce
d’inammissibilità, frettolosamente motivate e fondate sull’eccessiva genericità del motivo.
14
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alla Cassazione di cui all’art. 360 bis 46, nonché dall’istituzione della c.d. “sezione filtro”,
geneticamente vocata a svolgere una pregnante funzione deflattiva dei procedimenti
pendenti dinanzi al Supremo Collegio.
La predetta modifica normativa – letta anche in una prospettiva di dialogo e di rapporto
sincronico tra organi dello stato – non può che incidere – ridimensionandola – sulla
dimensione applicativa del principio in esame, il quale dovrà, altresì, essere posto in
rapporto sistematico con le altre norme del processo di legittimità. Il riferimento è, in
primo luogo, all’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il quale, attribuendo al ricorrente –
questa volta a pena di improcedibilità – l’onere di provvedere, oltre che alla specifica
indicazione nel ricorso degli atti processuali, dei documenti, e dei contratti o accordi
collettivi posti a fondamento dell’impugnativa, al successivo deposito degli stessi,
rappresenta la conferma della preferenza, da parte dell’assetto normativo vigente, per la
versione light del principio di autosufficienza47. Nondimeno, l’art. 372 c.p.c., nel vietare
la produzione di nuovi documenti (eccezion fatta per “quelli che riguardano la nullità
della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso”) pone in
46
Sul nuovo art. 360 bis c.p.c., v. RUSCIANO, Nomofilachia e ricorso in cassazione, cit., 161-162, e 166 ss,
che così raffronta l’abrogato art. 366 bis con il nuovo art. 360 bis c.p.c.: “L’abrogazione dell’art. 366 bis
ad opera della novella del 2009, seppure ha prodotto la formale eliminazione della sanzione
dell’inammissibilità del motivo di ricorso laddove lo stesso non sia accompagnato dal quesito di diritto
o quest’ultimo sia mal formulato, non ha – però – determinato la definitiva scomparsa di tale requisito
dell’impugnazione di legittimità: con l’introduzione dell’art. 360 bis, infatti, il legislatore pone a carico
del ricorrente ulteriori oneri, tra i quali la indicazione delle questioni di diritto decise dal giudice del
merito; ciò determina una nuova qualificazione del quesito di diritto: da requisito del motivo di ricorso
previsto a pena di inammissibilità ad elemento dell’impugnazione per una migliore formulazione della
censura, forse necessaria per superare il “filtro”; da condizione di inammissibilità a mera tecnica di
redazione del ricorso.
In questa ottica ed alla luce del nuovo art. 360 bis c.p.c., il quesito di diritto rappresenta un elemento
complementare rispetto alla censura: rappresenta un requisito del ricorso volto ad integrare il motivo di
impugnazione, inerendo alla modalità di formulazione della censura stessa”.
47
Occorre, peraltro, considerare che tale disposizione verrebbe totalmente svuotata di significato laddove si
ritenesse che il contenuto del ricorso debba essere arricchito con la trascrizione integrale di tutti gli
elementi e circostanze – contenute appunto in atti e documenti – ai quali si riferiscono i motivi di
censura del provvedimento impugnato. Alle stesse riflessioni conduce il terzo comma della medesima
norma, laddove dispone che “il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato
la sentenza impugnata o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione alla cancelleria della Corte
di Cassazione del fascicolo d'ufficio; tale richiesta e` restituita dalla cancelleria al richiedente munita di
visto, e deve essere depositata insieme col ricorso”. In altri termini, la ratio della disposizione,
considerata nel suo complesso, è quella di consentire, o meglio di imporre, al giudice di cassazione di
accedere ai fascicoli per compiere quelle verifiche necessarie all’esame dei motivi d’impugnazione.
15
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risalto la contrapposizione tra documenti “nuovi” e documenti già prodotti nelle
precedenti fasi di giudizio, la quale non fa altro che rafforzare l’idea che la Corte possa (e
debba) conoscere questi ultimi.
3. Gli orientamenti incerti e contraddittori della Giurisprudenza della Corte di
Cassazione sulla portata del principio di autosufficienza dopo la riforma del 2006:
davvero un “repertorio bon à tout faire” quanto alla necessità, o anzi addirittura al
divieto, di trascrizione di parti del processo nel ricorso.
Quale conseguenza dei tempi notoriamente lunghi del processo di cassazione, sono
ancora numericamente limitate le pronunce della Suprema Corte, aventi ad oggetto
l’impugnazione di decisioni di merito depositate dopo il 2 marzo 2006, e quindi soggette
alla nuova disciplina processuale delineata dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006. Sicché,
risulta alquanto ridotta l’area di analisi applicativa degli effetti prodotti dalla riforma del
2006 sulla precedente lettura giurisprudenziale del principio di autosufficienza.
Nella maggior parte delle decisioni analizzate, emerge tuttavia una sostanziale conferma
della versione più estrema e rigorosa del principio di autosufficienza.
Si continua quindi a sancire – come se l’art. 366 c.p.c. non fosse mai stato novellato –
l’inammissibilità dei motivi in cui il ricorrente si limiti a rinviare (indicandoli
specificamente) agli atti e i documenti del giudizio di merito, senza riprodurne
integralmente il contenuto in sede di ricorso48. Incurante della sopravvenuta modifica
48
V. Cass. 03 marzo 2010, n. 5091, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, III, in cui la Corte richiede la testuale ed
integrale trascrizione della testimonianza di cui si sollecitava una nuova valutazione; Cass., 24 febbraio
2010, n. 4434, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 2, in cui la pronunzia di inammissibilità per violazione
dell’autosufficienza viene fatta discendere dalla mancata riproduzione in seno al ricorso del testo
dell’atto di appello, in quanto il principio in esame “prescrive che il ricorso dinanzi al giudice di
legittimità deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la
cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni,
senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti
attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n.
12362 del 2006)”; Cass., 19 aprile 2010, n. 9300, in Diritto & Giustizia, 2010, nota IANNONE, nella
16
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normativa, il Giudice di Legittimità continua poi a far discendere l’obbligo del ricorrente
di integrale trascrizione degli atti processali posti a fondamento del ricorso dall’asserito
divieto del Supremo Collegio di visionare ed esaminare gli atti precedenti ed i documenti
prodotti nella fase di merito49.
Ma in altre pronunzie, invece, la Corte di Cassazione ha interpretato l’introduzione – ad
opera del legislatore della riforma – dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. come
l’attribuzione a carico del ricorrente di un onere ulteriore rispetto a quello di integrale
trascrizione degli atti processuali, espressione della versione strong dell’autosufficienza.
In altri termini, l’onere di “localizzazione” codificato dalla predetta disposizione e quello
di trascrizione vengono concepiti come due condizioni non sovrapponibili ed entrambe
indispensabili ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, in quanto anche in presenza
di una puntuale riproduzione degli atti dei precedenti gradi di giudizio, posti a
fondamento della censura, la mancata individuazione topografica del “luogo processuale”
in cui gli stessi sono consultabili non consentirebbe alla Suprema Corte di reperirli per
verificare se il contenuto sia conforme a quanto trascritto dal ricorrente in seno al
ricorso50.
quale si sanziona la mancata trascrizione della documentazione fiscale di cui si censurava l’omesso
esame da parte del giudice di merito; Cass., 11 maggio 2010, n. 11423, in Diritto & Giustizia, 2010,
nella quale, in ossequio al principio di autosufficienza, la Corte afferma che “qualora il ricorrente
censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio
espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, è necessario, a pena di
inammissibilità, che il ricorso riporti (cosa che nella specie non è accaduta) testualmente i passi della
motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito,
al fine di consentire alla Corte di Cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in
base al ricorso medesimo”; Cass., 15 febbraio 2010, n. 3507, in Guida al diritto, 2010, 14, 60, nella
quale si ribadisce che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione “impone la trascrizione
[testuale] della risultanza controversa e la critica specifica delle argomentazioni del giudicante di
merito”.
49
V. Cass., 17 novembre 2009, n. 24221, in Giust. civ. Mass., 2009, XI, 1600, secondo cui la violazione del
principio di autosufficienza, conseguente alla mancata trascrizione delle deduzioni istruttorie proposte
nella fase di merito, solleciterebbe – “con inammissibile delega – la Corte ad assolvere, con il rischio di
un inammissibile soggettivismo, ad un onere di esatta individuazione dell’istanza probatoria, che
avrebbe dovuto essere assolto dal ricorrente stesso, inerendo alla determinazione del contenuto del
motivo, quale critica alla sentenza impugnata idonea a giustificarne la cassazione”.
50
V. Cass., 23 marzo 2010, n. 6937, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, III, secondo cui, “ai fini del rituale
adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dal n. 6 dell’art. 366 c.p.c., di indicare specificamente
nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda (e di trascriverli nella loro completezza con
17
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Proprio la previsione di questo onere ulteriore – non eccessivamente gravoso per il
ricorrente – presenta, a mio avviso, un’indubbia coerenza logica e giuridica, in quanto
strumentale alla verifica, da parte dei Giudici di Legittimità, dell’autenticità di quanto
trascritto, o comunque esposto in seno al ricorso. In altri termini, fermo restando il rifiuto
per la lettura estrema ed eccessivamente formalistica del principio di autosufficienza,
ostinatamente perpetrata dalla Suprema Corte, non può non apprezzarsi la – seppur
tardiva – presa d’atto da parte della Cassazione, dell’onere, sulla stessa gravante, di
riferimento alle parti oggetto di doglianza), è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza
di detto atto processuale, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza di
documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, come pervenuta presso la Corte di
Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame”; nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha
dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto il ricorrente si era limitato a trascrivere l’atto processuale
posto a fondamento della doglianza (quanto trascritto risultava anche dalla sentenza impugnata, inserita
in copia fotostatica nello stesso ricorso) senza indicarne la sede processuale in cui fosse stato
rinvenibile; Cass., 03 febbraio 2010, n. 2506, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, II, nella quale la Suprema
Corte ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di ricorso perché il ricorrente non aveva – “in ossequio
al principio di autosufficienza” – indicato la sede processuale dell’atto posto a fondamento della
censura, né, parimenti, riprodotto in seno al ricorso il relativo contenuto; Cass., 17 luglio 2008, n.
19766, in Giust. civ. Mass., 2008, VII – VIII, 1168, in cui la Corte ha dichiarato inammissibili i motivi
di ricorso “per carenza del requisito della c.d. «autosufficienza» del ricorso per cassazione, poiché il
ricorrente da un lato non ha riprodotto il contenuto di tutte le prove testimoniali di cui si lamentava
l’errata valutazione e dall'altro perché non ha neppure indicato la sede processuale in cui i verbali
relativi all'assunzione di dette prove dovrebbero potersi leggere; i Giudici di Legittimità nella stessa
sentenza precisano poi specificamente, con riferimento all’onere di trascrizione, che “il suddetto
requisito non è, del resto, certamente venuto meno nel nuovo regime processuale di cui al d. lgs. n. 40
del 2006”; Cass., ord. 9 gennaio 2009, n. 301, in cui la Corte dichiara inammissibili quei motivi del
ricorso che si fondano su una relazione del consulente tecnico d'ufficio innanzitutto per violazione
dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. in quanto il ricorrente non aveva indicato se l'originale di tale mezzo
istruttorio sarebbe stato rinvenibile nel fascicolo d'ufficio oppure nel fascicolo di parte dei ricorrenti e,
nell'uno e nell'altro caso, dove (indicazione che, secondo la Corte, supponeva necessariamente la
specificazione del numero dell'elenco dei documenti figurante, in ipotesi, sull'uno e sull'altro); si
aggiunge poi che i motivi, a prescindere dall'assorbenza di tale rilievo, sarebbero stati in ogni caso
inammissibili per violazione del principio di autosufficienza, non avendo il ricorrente riportato il
contenuto della relazione del consulente tecnico posta a fondamento della doglianza.
Infine, v. Cass., ord. 30 luglio 2010, n. 17915, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 9, in cui il Supremo Collegio
– dichiarando la manifesta inammissibilità del ricorso – ha affermato che “il ricorrente che, in sede di
legittimità, denunci il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla
valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l'onere di indicare
specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od
erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo altresì alla loro trascrizione, al fine di
consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove
stesse, che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado
di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con
indagini integrative.”
18
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esaminare gli atti prodotti nella fase di merito, al fine di controllare l’esatta
corrispondenza con quanto contenuto nel ricorso.
E tuttavia, dall’analisi delle pronunzie della Corte della Cassazione, soggette alla
disciplina processuale delineata dalla riforma del 2006, emerge – in altri casi – se non
proprio un ridimensionamento, una leggera attenuazione della versione estrema
dell’autosufficienza.
Talora, infatti, la Suprema Corte sembra offrire al ricorrente un’alternativa alla
riproduzione del contenuto dell’atto processuale, costituita dall’allegazione dello stesso al
ricorso51; mentre in altri casi il Giudice di Legittimità mostra di accontentarsi anche di
una sintesi del contenuto dell’atto richiamato52. La giurisprudenza più avveduta – seppur
minoritaria – della Suprema Corte sembra dunque aver correttamente interpretato e
valorizzato le modifiche normative introdotte dalla riforma del 2006, cogliendone
correttamente la ratio e le scelte di politica giudiziaria ad essa sottese, rispolverando
sostanzialmente
la
versione
originariamente
light
dell’autosufficienza,
intesa
51
V. Cass., 20 aprile 2010, n. 9379, in Diritto & Giustizia, 2010, in cui viene dichiarata l’inammissibilità del
motivo di gravame – per violazione del principio di autosufficienza – per non avere il ricorrente
riportato, oppure allegato al ricorso, il contenuto dell’atto di appello. Questa regola, avente
tendenzialmente carattere generale, sembra essere stata specificamente dettata per gli atti ed i documenti
contenuti nel fascicolo d’ufficio, il quale, a differenza dei fascicoli di parte, non viene depositato dalle
parti, ma trasmesso a cura della cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, e
quindi ben potendo – per disfunzioni amministrativo – burocratica – smarrirsi o non essere stato ancora
trasmesso al momento della decisione. Sul punto vedi Cass., 23 marzo 2010, n. 6937, in Red. Giust. civ.
Mass., 2010, III, secondo cui “l’onere di richiedere la trasmissione di detto fascicolo” è un
“adempimento nel quale, evidentemente, il ricorrente non può fare automatico affidamento quando il
ricorso si fondi su atti processuali che dovrebbero essere inseriti nel fascicolo d’ufficio. Il che si spiega
con il fatto che tale fascicolo, pur richiesto, potrebbe non pervenire in tempo utile per la trattazione (ed
un rinvio di essa per l’acquisizione mal si concilierebbe con il ricordato principio costituzionale [della
ragionevole durata del processo]), sia con il fatto che potrebbe non essere stato tenuto correttamente o
potrebbe non contenere più l’atto processuale”.
52
V. Cass., 17 marzo 2010, n. 6517, in Diritto & Giustizia, 2010, dove la violazione del principio di
autosufficienza viene ravvisata nel non avere il ricorrente provveduto alla trascrizione testuale delle
dichiarazioni dei testi escussi nella fase di merito, e neppure alla riproduzione sintetica del relativo
contenuto. Nello stesso senso v. Cass., 28 aprile 2010, n. 10194, in Diritto & Giustizia, 2010, nella
quale si sanziona – per violazione del principio di autosufficienza – la mancata indicazione della sede e
del contenuto – inteso in senso lato e non come riproduzione testuale ed integrale – delle “affermazioni
che si assumono fatte in sede di merito”.
19
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esclusivamente come onere di “localizzazione” dell’atto53. La Cassazione – nel rispetto di
quell’accordo istituzionale concluso con il legislatore della riforma – arriva, infatti,
espressamente ad escludere la necessità della trascrizione – a pena d’inammissibilità –
degli atti posti a fondamento dell’impugnativa54, richiedendo esclusivamente – in
ossequio al principio in esame – la specificazione della sede processuale in cui il
documento, pur individuato nei suoi elementi essenziali in seno al ricorso, è stato
prodotto nella fase di merito 55.
In alcuni casi poi, la Suprema Corte – offrendo una lettura del principio di autosufficienza
del tutto antitetica rispetto a quella perpetrata dalla Giurisprudenza maggioritaria –
provvede perfino a censurare con la declaratoria d’inammissibilità, l’integrale
trascrizione degli atti del giudizio di merito, “equivalendo la stessa, nella sostanza, ad un
mero rinvio agli atti di causa”, con conseguente lesione del principio di autosufficienza, il
quale richiederebbe invece una narrazione sommaria e sintetica, “finalizzata a riassumere
sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio, sia lo svolgimento del processo”, tale da
offrire al Giudice di Legittimità una cognizione chiara e completa della “controversia e
53
Cfr. Cass., 17 maggio 2010, n. 11959, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 757, in cui la Corte – dichiarando
l’inammissibilità della censura – ha affermato che “nel prospettare una questione in sede di legittimità
che riguardi modalità di proposizione e di mutamento della domanda, il ricorrente ha l’onere non solo di
allegare l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito ma anche, per il principio di autosufficienza
del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte
di controllare ex actis la veridicità della asserzione.”
54
V. Cass., 23 febbraio 2010, n. 4361, in Guida al diritto, 2010, 16, 87. Nel caso di specie, la Corte ha
rigettato l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dai resistenti sotto il profilo
dell’inosservanza del principio di autosufficienza per non avere il ricorrente riportato nel ricorso il
contenuto dell’atto di opposizione, essendo stati specificati gli elementi utili affinché il giudice di
legittimità avesse la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del
processo e delle posizioni assunte dalle parti.
55
V. Cass., 17 luglio 2008, n. 19766, in Giust. Civ., 2009, VI, 1367; Cass. 31 ottobre 2007, n. 23019, in
Giust. civ. Mass., 2007, 10, in cui la Suprema Corte specifica espressamente che “mentre prima della
riforma ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006 era sufficiente che dal testo del ricorso si evincessero con
sufficiente chiarezza le questioni sottoposte al giudice di legittimità in relazione agli atti e ai documenti
contenuti nel fascicolo di parte dei gradi di merito, a seguito della riforma, il novellato art. 366 c.p.c.
richiede la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, al fine di
realizzare l'assoluta precisa delimitazione del "thema decidendum", attraverso la preclusione per il
giudice di legittimità di esorbitare dall'ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di porre a
fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti
specificamente indicati dal ricorrente. Né può ritenersi sufficiente – al fine di sopperire alla mancanza
della indicazione specifica – la generica indicazione, ovvero la menzione diretta o degli atti e
documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi”.
20
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del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti, ed atti del processo” 56. Si è
trattato, però, di fattispecie che hanno ad oggetto un profilo particolare, non la definizione
dei motivi di impugnazione, ma la parte del ricorso dedicata ex art. 366 n. 3 c.p.c. alla
“esposizione sommaria dei fatti di causa”, che ho analiticamente trattato nel paragrafo
precedente.
Infine, si registra un timido orientamento della Cassazione in cui è possibile scorgere
nuovamente i caratteri primordiali (o genetici) del principio di autosufficienza, allorché
veniva inteso esclusivamente quale canone integrativo dei principi di specificità,
completezza, chiarezza e precisione nella redazione dei ricorsi57.
In conclusione, da quanto esposto, risulta che – in ordine ai requisiti di forma-contenuto
dell’atto introduttivo del giudizio – l’attuale Giurisprudenza della Suprema Corte oscilla
– in un contesto di assoluta discrezionalità ed arbitrio – tra un orientamento maggioritario
che continua a pretendere – come e più di prima – la trascrizione integrale dei documenti
e degli atti posti a fondamento dell’impugnativa, ed un indirizzo minoritario che richiede,
invece, soltanto la specifica indicazione ed individuazione della sede processuale in cui
56
In particolare, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 19255 del 9 settembre 2010, in Red. Giust. civ. Mass.,
2010, IX, hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso nel quale il ricorrente aveva – osservando
pedissequamente la versione più rigorosa del principio di autosufficienza – riportato integralmente gli
atti del giudizio di merito. Il Supremo Collegio ha motivato tale pronuncia, affermando che
l’assemblaggio di atti di cui il ricorso si componeva, era “assolutamente inidoneo ad assolvere al
requisito dell’esposizione sommaria del fatto, perché pretende di assolvervi costringendo la Corte alla
lettura integrale degli atti di parte attraverso i quali si è svolto il processo di merito. In sostanza, tale
modalità di formulazione del ricorso equivale ad un mero rinvio alla lettura di detti atti; cioè di tutti gli
atti della fase di merito, bypassando, in tal modo, il principio di autosufficienza del ricorso per
cassazione.”
57
V. Cass., 28 gennaio 2010, n. 1993, in Guida al diritto, 2010, XI, 73, in cui la pronunzia d’inammissibilità
veniva fatta conseguire al fatto che il ricorrente non aveva specificamente e analiticamente indicato, in
violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, le voci e gli importi richiesti ed a
lei spettanti, limitandosi alla generica denuncia dell’inosservanza delle tariffe professionali vigenti,
nonché delle voci e degli importi indicati nella nota spese; Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26644,
in Giust. civ. Mass., 2009, XII, 1712. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione aveva, in forza del
principio dell’autosufficienza, dichiarato l’inammissibilità del ricorso per avere lo stesso genericamente
indicato il bando di concorso cui si riferiva l’impugnativa proposta dinanzi al TAR, senza specificarne
la data ed i contenuti essenziali, e senza indicare i profili ed i livelli professionali con cui i ricorrenti
avevano chiesto di partecipare alla procedura concorsuale e le clausole del contratto collettivo implicati.
Tali elementi – precisava la Corte – non possono essere attinti dalla documentazione prodotta, ovvero
dal fascicolo d’ufficio, in quanto il ricorso deve avere un contenuto autosufficiente. Nello stesso senso
v. Cass., 26 marzo 2010, n. 7305, in Guida al diritto, 2010, 19, 38.
21
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gli stessi sono consultabili, arrivando talora, paradossalmente, addirittura a “sanzionare”
con
la declaratoria d’inammissibilità, la pedissequa osservanza della versione più
rigorosa del principio di autosufficienza
4. Segue. L’introduzione, ad opera della Giurisprudenza della Corte di Cassazione,
dell’ulteriore e gravoso onere di produrre, nuovamente e separatamente nel
fascicolo del giudizio di legittimità, gli atti posti a fondamento del ricorso.
Nelle recenti pronunzie, la Suprema Corte oltre a richiedere, ai sensi del novellato art.
366, primo comma, n. 6 c.p.c., la «specifica» indicazione degli atti e dei documenti posti
a fondamento del ricorso, e quindi la individuazione analitica della sede processale in cui
gli stessi risultino prodotti nella fase di merito, esige con sempre maggiore frequenza, in
ragione dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., che il ricorrente provveda – a pena di
improcedibilità del gravame – alla produzione di tali atti e documenti (sebbene già
contenuti nei fascicoli di causa) anche in sede di legittimità, allegandoli al ricorso, nel
fascicolo relativo al processo di cassazione58.
La Corte non ritiene adempiuto tale onere neanche attraverso la formulazione ed il
successivo deposito in sede di legittimità della richiesta di trasmissione alla cancelleria
della Corte di Cassazione del fascicolo d’ufficio relativo ai gradi di merito, “né,
eventualmente, con deposito di tale fascicolo e/o del fascicolo di parte (che in ipotesi tali
atti contenga) se esso non interviene nei modi e secondo la tempistica” prescritti dal
citato art. 369 c.p.c.
Tale duplicazione documentale, conseguente all’onere imposto al ricorrente di produrre,
nuovamente nel processo di cassazione, gli atti ed i documenti già presenti nei fascicoli
58
Cfr. ord. 05 febbraio 2011, in www.altalex.it, nella quale la Suprema Corte ha dichiarato l’improcedibilità
del gravame per il mancato deposito, unitamente al ricorso, dell’atto di appello, contenente il motivo sul
quale i giudici di secondo grado avrebbero omesso di pronunciare, e pertanto costituente atto sul quale
il gravame era fondato ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.; Cass., sez. un., 02 dicembre
2008, n. 28547, in Guida al diritto, 2009, V, 72; Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161, in Giust. civ.
Mass., 2010, III, 431; Cass., sez. un., 02 dicembre 2010, n. 24418, in Guida al diritto, 2011, I, 74.
22
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relativi alla fase di merito, viene giustificata dalla Cassazione essenzialmente alla luce
della “diversità dei tempi di disponibilità per la Corte dei predetti documenti”, dal
momento che “mentre il fascicolo d’ufficio sarà trasmesso successivamente, il deposito
della sentenza impugnata e degli atti su cui il ricorso è fondato unitamente al deposito del
ricorso medesimo” consentirebbe subito “un primo «screening» dell’impugnazione” 59. A
ciò la Corte aggiunge una maggiore facilità e velocità di accesso a tali documenti, “una
volta che essi risultino ben individuati e specificamente depositati, evitando così la
necessità del reperimento dei medesimi all’interno dei fascicoli dei gradi di merito
pervenuti in Corte in un momento spesso anche di molto successivo al deposito del
ricorso”.
Altra motivazione posta dal Giudice di Legittimità a fondamento dell’imposizione di tale
onere ulteriore a carico del ricorrente – del quale la Corte esclude aprioristicamente il
carattere irragionevole ed inutilmente vessatorio – viene ravvisata nell’esigenza di
osservare e dare applicazione concreta al principio costituzionale della ragionevole durata
del processo60, il quale esigerebbe – “a fronte di un contenzioso sempre crescente, che
impegna la Cassazione perfino nella gestione materiale della ingente mole di
documentazione relativa ai processi pendenti che giunge da tutto il Paese” una
“organizzazione del lavoro sempre più anticipata, accurata e mirata da parte della Corte.”
La Corte ha poi espressamente precisato che, il suddetto onere di produzione in sede di
legittimità non può ritenersi correttamente adempiuto – stante l’espressa previsione di
59
“E ciò in sintonia con l’esigenza di offrire alla Corte, immediatamente, un quadro completo ed
oggettivamente autosufficiente di elementi utili alla decisione, esigenza, il cui soddisfacimento
costituisce condizione necessaria alla prospettiva (propria della riforma procedimentale di cui al d.lgs.
40/2006 ed, altresì, di quella di cui alla l. 69/2009) di potenziare la capacità decisionale della Corte, al
fine di adeguare la risposta al progressivo aumento delle sopravvenienze, attraverso l’incremento delle
decisioni nelle più snelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis (in sede di “Struttura centralizzata per
l’esame preliminare dei ricorsi civili”, costituita con decreto del Primo presidente 09.05.2005, e poi, di
sezione “filtro” istituita dall’art. 376, primo comma, c.p.c., come modificato dall’art. 46, comma 1 lett.
B, L. 69/2009)”: ord. 11 febbraio 2011, n. 3522, in www. fiscoediritto.it.
60
La Suprema Corte (v. ord. 05 febbraio 2001, in www.altalex.it) ha, in particolare, precisato che “il
principio di ragionevole durata del processo deve intendersi rivolto non soltanto al giudice quale
soggetto processuale, in funzione accelleratoria, ed al legislatore ordinario, ma anche al giudice quale
interprete della norma processuale, rappresentando un canone ermeneutico imprescindibile per una
lettura costituzionalmente orientata delle norme che regolano il processo”.
23
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deposito a pena di improcedibilità ex art. 369 c.p.c. – neanche attraverso “la riproduzione,
all’interno del ricorso, dei passi degli atti o dei documenti sui quali il medesimo è
fondato”.61
Nel caso in cui gli atti o i documenti posti a fondamento del ricorso erano già stati
prodotti nelle precedenti fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovino nel fascicolo di
parte di quelle fasi, la Corte ritiene talora sufficiente la produzione di tale fascicolo62,
ferma restando la necessità di indicare nel ricorso la sede in cui esso ivi è rinvenibile e di
indicare che il fascicolo è stato prodotto. Non mancano, tuttavia, pronunce nelle quali la
Suprema Corte ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso, ritenendo insufficiente la
“mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito” in cui erano già
stati depositati gli atti posti a fondamento dell’impugnativa, e richiedendo invece che
detti atti fossero specificamente ed autonomamente prodotti anche in sede di legittimità
unitamente al ricorso63.
Qualora, invece, il documento posto a fondamento dell’impugnativa risulti prodotto nelle
fasi di merito dalla controparte, il Supremo Collegio richiede specificamente che il
61
Cass., ord. 05 febbraio 2001, in www.altalex.it.
Cass., sez. un., 02 dicembre 2008, n. 28547, in Guida al diritto, 2009, V, 72; Cass., sez. un., 25 marzo
2010, n. 7161, in Giust. civ. Mass., 2010, III, 431.
63
Cass. 13 maggio 2010, n. 11614, in Giust. civ. Mass., 2010, V, 737, dove la Suprema Corte afferma
espressamente che la mancata allegazione specifica al ricorso degli atti e dei documenti posti a
fondamento dell’impugnativa ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., precluderebbe al
Collegio di procedere al loro esame, anche la laddove venisse rilevata la presenza degli stessi nei
fascicoli del giudizio di merito. Nello stesso senso v. Cass., 23 febbraio 2010, n. 4373, in Giust. civ.
Mass., 2010, II, 263, in cui la Corte precisa che l’onere di produrre in sede di legittimità i documenti
posti a fondamento dell’impugnativa non può considerarsi soddisfatto soltanto con il deposito
dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di tali atti,
“in quanto la norma processuale [art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.] esigendo che l’atto sia prodotto
“insieme” al ricorso in cassazione a pena di improcedibilità, ha elevato la contestuale produzione del
documento a condizione di procedibilità dell’impugnazione”; nonché Cass., sez. un., 14 ottobre 2009, n.
21747, in Giust. civ. Mass., 2009, X, 1438 e Cass., 05 febbraio 2009, n. 2855, in Giust. civ. Mass., 2009,
II, 185, dove il Supremo Collegio ha puntualizzato che “l'onere di depositare i contratti e gli accordi
collettivi su cui il ricorso si fonda - imposto, a pena di improcedibilità, dall'art. 369, comma 2, n. 4,
c.p.c., nella nuova formulazione di cui al d.lg. n. 40 del 2006 - non può dirsi soddisfatto con il deposito,
oltre il termine di cui all'art. 369, comma 1, dei fascicoli di parte di primo e secondo grado, contenenti il
contratto, per estratto, in allegato al ricorso di primo grado, a nulla rilevando che il contratto sia stato
depositato, a sua volta, dal ricorrente incidentale, atteso che, ove venisse ammessa tale equipollenza
nella produzione, verrebbe disattesa la lettera del citato art. 369, che sancisce l'improcedibilità, senza
eccezioni”.
62
24
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ricorrente indichi che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito della
controparte e che – cautelativamente e comunque stante l'autonoma previsione dell'art.
369, n. 4 c.p.c., che riferisce l'onere di produzione direttamente al ricorrente, per il caso
che quella controparte possa non costituirsi in sede di legittimità o possa costituirsi senza
produrre il fascicolo o possa produrlo senza il documento – produca in copia il
documento stesso (appunto ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), ed indichi tale
modalità di produzione nel ricorso. Tale adempimento viene dalla Suprema Corte
espressamente qualificato come “agevolmente possibile”, se la copia sia stata a suo
tempo estratta dal ricorrente nelle fasi di merito, o, comunque, può esserlo fintanto che il
fascicolo avversario non sia stato ritirato dinanzi al giudice di merito. La Cassazione
decide invece scientemente di non affrontare e risolvere, in questa sede, il problema che
si pone nel caso in cui tale ritiro sia già avvenuto al momento della proposizione del
ricorso64.
5. Critiche ai recenti orientamenti della Corte di Cassazione in tema di
autosufficienza, alla luce dell’attuale assetto normativo delineato dal D.Lgs. n. 40 del
2 febbraio 2006.
L’analisi delle pronunzie della Corte di Cassazione, assoggettate alla disciplina
processuale delineata dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, non consente di ravvisare un
orientamento omogeneo e consolidato in ordine ai nuovi profili interpretativi e applicativi
del principio di autosufficienza65, persistendo ancora uno stato di incertezza, che rende
altresì difficile la formulazione di un giudizio prognostico sui futuri indirizzi
giurisprudenziali del Giudice di Legittimità66. Tuttavia, il fattore comune che continua a
64
Cass., sez. un., 02 dicembre 2008, n. 28547, in Guida al diritto, 2009, V, 72; Cass., sez. un., 25 marzo
2010, n. 7161, in Giust. civ. Mass., 2010, III, 431. In entrambe le pronunzie la Corte afferma
espressamente “non è qui il caso di affrontare il problema nel caso sia avvenuto tale ritiro”.
65
Da quanto esposto nel § 3, emerge infatti una costellazione di pronunce “non dialoganti”, inidonea a
configurare un indirizzo univoco della Suprema Corte.
66
Soltanto il tempo ci saprà dire se il Supremo Collegio abbandonerà o meno, alla luce del nuovo assetto
normativo del processo di legittimità, le degenerazioni formalistiche del principio in esame.
25
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caratterizzare l’applicazione giurisprudenziale del principio in esame è costituito
dall’eccessiva discrezionalità – sconfinante talora nell’arbitrio – con cui la Corte valuta,
nelle
diverse
fattispecie,
il
corretto
assolvimento
degli
oneri
scaturenti
dall’autosufficienza. A tal riguardo, è a dir poco discutibile, l’assoluta libertà con cui il
Supremo Collegio continua a determinare (o meglio a graduare), a suo piacimento, il
contenuto precettivo del principio in esame, e conseguentemente, la gravità delle
conseguenze – in termini di inammissibilità del ricorso – derivanti dalla sua violazione.
Ciò che ormai non sorprende neanche più è come la Corte di Cassazione, dopo aver a
lungo interpretato con enorme attenzione al dato letterale i testi normativi di diritto
processuale, in maniera anche maggiore rispetto ai testi di diritto sostanziale – anche al
fine di salvaguardare l’esigenza della certezza del diritto – si sia, ad un certo momento,
arrogato il diritto di autoregolamentare il processo di legittimità, ignorando palesemente
le scelte normative operate dal legislatore processuale.
Come precedentemente accennato67, l’attuale assetto normativo delineato dal legislatore
della riforma consente invero di ricostruire chiaramente i requisiti di forma-contenuto che
la corretta interpretazione del principio di autosufficienza – così come codificato e
ridimensionato dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006 – impone al ricorrente di osservare
nella redazione dell’atto introduttivo del giudizio di cassazione, ed alla Suprema Corte di
porre come limite negativo invalicabile nelle pronunce d’inammissibilità del gravame.
Nella formulazione dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, il ricorrente dovrebbe
quindi osservare soltanto la versione light del principio di autosufficienza – così come
normativamente cristallizzata dal legislatore della riforma – elaborando la censura con la
massima precisione e specificità, e con l’indicazione pervicace ed analitica degli atti e dei
documenti posti a fondamento della stessa, nonché con l’individuazione topografica del
“luogo processuale” – e cioè del fascicolo di parte (in primo o in secondo grado), del
fascicolo d’ufficio, ed eventualmente del fascicolo dei documenti che si allegano in
Cassazione – in cui gli stessi possono essere rinvenuti dal giudice di legittimità.
67
V. § 2.
26
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L’onere di localizzazione in cui si sostanzia il principio di autosufficienza light, nella
veste normativa attribuitagli dall’art. 366, n. 6 c.p.c., non implica, invece l’indispensabile
esposizione di tutti i fatti e di tutti gli aspetti giuridici della controversia sin dalla sua
origine, né – come invece erroneamente sostenuto dall’orientamento tuttavia prevalente
della giurisprudenza di cassazione – la necessità di trascrivere integralmente gli elementi
concernenti il thema decidendum devoluti alla cognizione del Giudice di Legittimità, ben
potendo le parti richiamare – seppure con indicazioni precise – gli atti, documenti o
verbali di causa della pregressa fase di merito, al fine garantire alla Corte la verifica della
corrispondenza tra quanto dalle stesse affermato e quanto effettivamente emerge dalle
“carte processuali”.
Sebbene attualmente pressoché ignorato, è dunque questo il quadro normativo – i cui
tratti caratterizzanti lo stesso ha contribuito a delineare – cui il Supremo Collegio dovrà
(o dovrebbe) auspicabilmente conformarsi nel dare applicazione al principio di
autosufficienza, rinunziando alla lettura giurisprudenziale più estrema, anche nel rispetto
di quel gentlemen's agreement, concluso a livello istituzionale con il legislatore
processuale.
Il principio di autosufficienza dovrà, pertanto, essere oggetto di una profonda
riconsiderazione da parte della Cassazione, anche al fine di evitare che lo stesso – nella
sua degenerazione applicativa più estrema – possa trasformarsi in un vero e proprio
boomerang per la stessa Corte, provocando la redazione, da parte degli avvocati
cassazionisti – allo scopo di scongiurare pronunce d’inammissibilità, gravanti anche sulla
propria
responsabilità
professionale
–
di
ricorsi
eccessivamente
voluminosi,
sovrabbondanti e ridondanti, i quali riporterebbero, verosimilmente, nell’atto introduttivo
anche elementi superflui, oltre a trascrivere (integralmente) qualsiasi, atto, documento o
verbale di causa al quale l’impugnazione si riferisce. C’è da chiedersi, infatti, quale
sarebbe l’utilità, ed anche il risparmio in termini di tempo per la Corte di Cassazione,
qualora
il
ricorrente,
ottemperando
alla
versione
più
estrema
(strong)
dell’autosufficienza, redigesse – spogliandosi dei panni di giurista, e divenendo un
27
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“attento amanuense copista”68 – ricorsi anziché di 20, di 80 pagine (eventualmente
inserendo mediante scannerizzazione l’intera sentenza impugnata, o altri interminabili
documenti), sicuramente di difficile lettura, fermo restando, peraltro, l’onere per il
Giudice di Legittimità di verificare la “genuinità” di quanto trascritto.
Sotto un profilo sistematico, la prassi – “coartata” dalla Corte – di redigere ricorsi per
cassazione “interminabili” verrebbe peraltro a scontrarsi con il canone di chiarezza e
sinteticità nella redazione degli atti giudiziari, recentemente codificato nell’art. 3 del
Codice del processo amministrativo69, ed espressione del principio di economia
processuale; e cioè del medesimo principio che il Supremo Collegio ama sovente invece
richiamare per attribuire fondamento argomentativo alle degenerazioni applicative del
canone dell’autosufficienza.
L’esigenza di chiarezza e sinteticità nella redazione degli atti introduttivi, è stata peraltro
riconosciuta, lo si è ricordato70, in una recente pronuncia delle Sezioni Unite (in
68
RICCI, Sull'«autosufficienza» del ricorso per cassazione: il deposito dei fascicoli come esercizio ginnico e
l'avvocato cassazionista come amanuense, cit, 736.
69
Tale principio viene poi ribadito nel decimo comma dell’art. 120 dello stesso codice (che disciplina il rito
abbreviato speciale in materia di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture), dove, tuttavia, il
legislatore si limita a richiedere solo la sinteticità e non anche la chiarezza degli atti.
La fonte genetica della suddetta norma può essere ravvisata nell’art. 44 della legge n. 69 del 2009,
contenente la delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo, che
inserisce tra i principi e i criteri direttivi della delega anche quello di assicurare la snellezza, la
concentrazione e l’effettività della tutela, anche allo scopo di garantire la ragionevole durata del
processo.
Al fine di dare concreta applicazione alla disposizione contenuta nell’art. 3 c.p.a., il Presidente del
Consiglio di Stato, Pasquale De Lise, nella recente lettera circolare del 20.12.2010, indirizzata al
Presidente della Società Italiana Avvocati Amministrativisti, Prof. Avv. Giuseppe Abbamonte, fornisce
alcune indicazioni pratiche agli avvocati, esortandoli a contenere i propri ricorsi, ed in genere gli scritti
difensivi, in un numero limitato di pagine, quantificate approssimativamente in un massimo di 20-25.
Qualora poi la complessità del gravame rendesse necessario utilizzare un numero maggiore di pagine,
viene segnalata l’opportunità di formulare all’inizio di ogni atto processuale una distinta ed evidenziata
sintesi del contenuto dell’atto stesso, di non più di una cinquantina di righe.
La soluzione individuata dal Presidente del Consiglio di Stato è peraltro conforme a quella adottata dalla
Corte di Giustizia dell’Unione europea nelle istruzioni pratiche relative ai ricorsi e alle impugnazioni,
adottate il 15 ottobre 2004 (GU L 361 dell’8 dicembre 2004) e modificate il 27 gennaio 2009 (GU L 29
del 31 gennaio 2009), dove si dà atto che, secondo l'esperienza della Corte, una memoria può limitarsi,
salvo particolari circostanze, a 10 o 15 pagine, mentre la replica, la controreplica e la comparsa di
risposta possono limitarsi a 5 o 10 pagine. Sempre in tali istruzioni si raccomanda di accludere all’atto
introduttivo del giudizio un sunto dei motivi e dei principali argomenti dedotti di non oltre 2 pagine.
70
V. § 3, nota 53.
28
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particolare la n. 19255 del 9 settembre 201071), in cui si afferma espressamente che il
principio di autosufficienza richiede una narrazione sommaria e sintetica, tale da
riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del processo,
nonché da offrire alla Corte una cognizione chiara e completa della controversia e del suo
oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo. Soltanto il
tempo ci dirà se si tratta di una rondine che non fa primavera, o se è il segnale di una vera
inversione di tendenza.
6. Segue: Sui, parimenti criticabili, indirizzi giurisprudenziali della Corte di
Cassazione in tema di specifica ed ulteriore produzione, in sede di legittimità, degli
atti posti a fondamento dell’impugnativa.
Altro aspetto innovativo della Giurisprudenza di Legittimità dopo la riforma del 2006,
attiene al deposito degli atti e dei documenti nel fascicolo del processo di cassazione.
A tal riguardo non si può non evidenziare, che, la recente attribuzione da parte della
Suprema Corte, a carico del ricorrente, dell’onere di produrre nuovamente in sede di
legittimità anche gli atti ed i documenti (eventualmente in copia) – posti a fondamento
dell’impugnativa – già contenuti nel fascicolo d’ufficio (di cui è stata richiesta la
trasmissione alla cancelleria della Cassazione72) nonché negli stessi fascicoli di parte
71
In Red. Giust. civ. Mass., 2010, IX.
Sul punto occorre segnalare la mancanza di un orientamento univoco del Giudice di Legittimità, in quanto
in talune pronunzie della sezione lavoro (v. Cass. 18854/2010; 17196/2010 e 4894/2010), la Suprema
Corte mostra, invece, di ritenere che gli “atti processuali” dei quali il legislatore avrebbe imposto
l’onere di deposito, a pena di improcedibilità del ricorso ex art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., siano
soltanto quelli che non fanno parte del fascicolo d’ufficio del giudizio nel quale è stata pronunciata la
sentenza impugnata.
Al fine di risolvere detto contrasto giurisprudenziale, con la recente ordinanza del 07 aprile 2011, n. 8027
(in www.altalex.it), la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha disposto la rimessione degli atti al
Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della questione relativa alla
definizione dell’ambito oggettivo dell’onere di produzione documentale prescritto dal secondo comma,
n. 4 dell’art. 369 c.p.c., così come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006.
72
29
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della fase di merito depositati unitamente al ricorso, risulta comprensibile soltanto se
ricondotta ad esigenze di mera “comodità” dei Giudici di Cassazione.
Nel caso in cui si tratti, infatti, di documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio della fase di
merito, il quale dovrà essere trasmesso in Cassazione, a cura della cancelleria del giudice
che ha pronunziato il provvedimento impugnato, e conseguentemente acquisito dai
giudici di Piazza Cavour, non si vede davvero per quale ragione il ricorrente debba
sopportare il costo delle disfunzioni amministrative e delle lentezze proprie dell’apparato
burocratico giudiziario civile, facendosi carico dell’onere di produrre immediatamente –
a pena di improcedibilità del gravame – gli stessi documenti che la cancelleria del giudice
di merito ha il dovere di far pervenire – in tempi ragionevoli e senza i ritardi che invece si
verificano nella prassi73 – alla Suprema Corte74.
Parimenti inaccettabile appare, poi, a mio avviso, l’attribuzione, a carico del ricorrente,
dell’onere – sempre a pena d’improcedibilità – di produrre due volte lo stesso documento
in sede di legittimità. Non si comprende, infatti, la ragione per cui il ricorrente, pur
avendo tempestivamente prodotto in Cassazione il proprio fascicolo di parte relativo alla
fase di merito contenente gli atti ed i documenti posti a fondamento dell’impugnativa,
nonché specificamente ed analiticamente indicato in seno al ricorso la sede in cui gli
stessi sono rinvenibili e consultabili da parte dei Giudici di Legittimità, debba
nuovamente depositare i medesimi atti e documenti, allegandoli all’atto introduttivo del
giudizio. Il semplice adempimento dell’onere di “localizzazione” dell’atto o del
73
In un sistema giudiziario efficiente sarebbe ridicolo soltanto ipotizzare un siffatto onere in capo alle parti
ricorrenti, risolvendosi lo stesso in un adempimento praticamente superfluo ed inutile, avendo ad
oggetto atti e documenti comunque destinati a confluire nel giudizio di cassazione.
74
Tale orientamento della Cassazione, che propende dunque per una lettura restrittiva della previsione
dell’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., sembra peraltro difficilmente conciliabile – sotto un profilo
sistematico – con la previsione normativa del comma successivo dello stesso articolo, che pone al
ricorrente l’onere di chiedere al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata la
trasmissione del fascicolo d’ufficio e di depositare, unitamente al ricorso per cassazione, la richiesta
vistata dal quel cancelliere. In altri termini, l’imposizione in capo ricorrente dell’onere di depositare in
Cassazione i medesimi atti e documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio della fase di merito,
condurrebbe ad effetti processuali del tutto incoerenti sotto il profilo sistematico, quali un inutile
appesantimento della produzione in giudizio, la duplicazione degli oneri posti a carico delle parti ed un
aggravio della difficoltà di esercitare i diritti difensivi, con il rischi di pregiudicare altresì il principio di
effettività della tutela giurisdizionale.
30
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documento su cui si fonda la censura, attraverso l’individuazione topografica del “luogo
processuale” in cui gli stessi possono essere esaminati, consente infatti ai giudici di
cassazione di accedere agevolmente ed immediatamente agli stessi attraverso la semplice
consultazione dei fascicoli.
In ogni caso, pur concludendo per la totale insussistenza del suddetto obbligo di
produzione ed allegazione – cosi come plasmato dalla Giurisprudenza di Legittimità75 –
ritengo comunque opportuno, in una prospettiva meramente pragmatica – onde evitare
una irragionevole quanto certa pronunzia di improcedibilità del ricorso, nonché in
ossequio al principio di leale collaborazione – che i predetti adempimenti di
localizzazione ed “individuazione topografica”, siano integrati con l’allegazione al
ricorso dei documenti – eventualmente in copia – su cui lo stesso si fonda, anche se già
depositati nel fascicolo d’ufficio, o nei fascicoli di parte del giudizio di merito, in modo
da consentirne la immediata, comoda ed agevole consultazione da parte dei giudici di
cassazione.
Tralasciando per il momento le superiori argomentazioni di principio e senza perciò
incorrere in contraddizione, non si può, infatti, nascondere che si tratta, tutto sommato,
nella maggior parte dei casi, di un onere non eccessivamente gravoso per il ricorrente, il
cui assolvimento potrebbe contribuire, peraltro, a rendere privo di qualsivoglia utilità – ed
ancora più ingiustificato – il tentativo dei giudici di legittimità di costringere le parti
all’integrale trascrizione del contenuto degli atti e/o documenti richiamati in seno al
ricorso.
In conclusione, ritengo che il compito e lo sforzo dell’interprete debba essere – oltre che
censurarne le degenerazioni e “l’eccesso di difesa” – quello di prendere atto del momento
di grande difficoltà della Suprema Corte, invasa da un numero impressionante di ricorsi,
valorizzando le indicazioni provenienti dalla parte più attenta della giurisprudenza di
legittimità, al fine di elaborare tecniche di redazione degli atti introduttivi del giudizio
75
Essendo, peraltro, lo stesso sprovvisto di qualsivoglia fondamento normativo.
31
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che siano di supporto – facilitandolo e velocizzandolo – all’espletamento dell’imponente
carico di lavoro gravante sulla Corte di Cassazione.
7. Segue. Gli ostacoli di ordine pratico al corretto assolvimento dell’onere di
produzione dei documenti nel fascicolo del giudizio di cassazione. Aspetti
problematici e possibili soluzioni.
Le perplessità appena accennate cedono infine il campo alle concrete difficoltà di ordine
pratico che il corretto assolvimento del suddetto onere di allegazione – ed in generale del
principio di autosufficienza, inteso in senso lato – potrebbe arrecare alle parti, nell’ipotesi
in cui i documenti su cui si fonda il ricorso erano stati prodotti nel fascicolo di merito
della controparte. In particolare, problemi possono sorgere qualora, al termine del
giudizio di merito, controparte abbia legittimamente provveduto a ritirare il proprio
fascicolo prima che il ricorrente abbia provveduto ad estrarre copia dei documenti in esso
contenuti76. In tale ipotesi, infatti, il ricorrente, non potendo più esaminare il contenuto
del fascicolo della parte avversa, non potrebbe conseguentemente provvedere, oltre alla
specifica ed analitica indicazione di detti documenti in seno all’atto introduttivo, al
deposito di una copia degli stessi in sede di legittimità.
Uno spunto per il superamento di dette difficoltà viene offerto dalla pronuncia delle
Sezioni Unite del 23 dicembre 2005, n. 2849877, nella quale il ritiro del fascicolo di parte
viene espressamente subordinato al contestuale deposito di copia dei documenti probatori
che in esso siano inseriti, “onde impedire che risulti impossibile all’altra parte fornire,
anche in sede di gravame, le prove che erano desumibili dal fascicolo avversario.” Tale
onere – posto “a tutela degli interessi della controparte e del corretto esercizio
dell’attività giurisdizionale” – privo di un vero e proprio addentellato normativo, viene
76
Particolarmente gravosa potrebbe, in particolare, considerarsi la posizione dell’avvocato cassazionista che
non abbia seguito il processo nei precedenti gradi di giudizio, non avendo quest’ultimo avuto la
possibilità di estrarre copia dei documenti prodotti da controparti nelle fasi di merito.
77
in Giust. civ. Mass., 2005, XII.
32
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fatto discendere, in via sistematica, dal principio di acquisizione processuale – “al quale il
riconoscimento, a livello costituzionale del principio del giusto processo ha offerto un più
pregnante fondamento” – in forza del quale, la prova documentale, una volta prodotta,
resta definitivamente acquisita agli atti, anche a beneficio della controparte.
Ciò premesso – e considerata la sostanziale inosservanza, nella prassi attuale delle Corti
d’Appello italiane, della suddetta, ed a mio avviso pregevole, soluzione indicata dalle
Sezioni Unite78 – occorre valutare in che modo il mancato assolvimento del predetto
onere, e quindi la conseguente impossibilità di esaminare i documenti contenuti nel
fascicolo di controparte, si ponga in relazione con il principio di autosufficienza. Occorre
cioè stabilire se, in queste ipotesi, la redazione di un ricorso – per forza di cose – privo
del requisito dell’autosufficienza (inteso sia nella versione light che nella sua lettura più
estrema non potendo il ricorrente, per motivi oggettivi, provvedere alla citazione analitica
dei documenti posti a fondamento dell’impugnativa, né tanto meno procedere alla
integrale trascrizione, o comunque all’allegazione degli stessi) possa comunque
legittimare l’automatica pronuncia d’inammissibilità del gravame. Si tratta di una
questione alla quale non è agevole fornire una soluzione, ma che pone l’interprete (e la
stessa Corte) dinanzi ad un bivio, e cioè, conferire all’autosufficienza ulteriori profili di
“ingiustizia” ed “arbitrio”, ovvero, percorrere un sentiero che condurrà, a mio avviso, al
progressivo superamento del principio in esame.
Anche in questo caso, ritengo che – in assenza di un onere di fotocopiare e di custodire
cautelativamente (nella prospettiva di un futuro e meramente eventuale giudizio di
cassazione) tutti i documenti prodotti da controparte nel corso del giudizio di merito79 – il
ricorrente non debba subire, a priori, le conseguenze negative derivanti dalle inefficienze
e disfunzioni della giustizia civile, e che quindi la oggettiva impossibilità di disporre –
78
Anzi, gli uffici giudiziari maggiormente oberati di lavoro e, letteralmente “sommersi” di faldoni, tendono
piuttosto a sollecitare i difensori a ritirare i propri fascicoli senza pretendere in alcun modo il
contestuale deposito di copie.
79
Si pensi alle conseguenze – anche in termini di costi e di difficoltà – che il rigoroso adempimento di un
siffatto onere potrebbe comportare per le parti, nel caso in cui si tratti di controversie in materia di
diritto bancario, societario o fallimentare, nelle quali è sovente la produzione di una mole sterminata di
documenti.
33
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per causa ad essa non imputabile – dei documenti contenuti nel fascicolo di controparte,
non possa tradursi, almeno automaticamente, nella declaratoria d’inammissibilità del
gravame.
Conseguentemente, in siffatte ipotesi, dovrebbe ritenersi – a mio avviso – sufficiente, ai
fini dell’ammissibilità dell’impugnativa, che il ricorrente indichi specificamente che
l’atto o il documento è stato depositato nel fascicolo di merito della controparte. Qualora,
poi, quest’ultima non si costituisca, ovvero si costituisca senza produrre il fascicolo di
parte o senza produrre il documento indicato dal ricorrente, la Corte, non potendo esitare
positivamente il ricorso a causa della mancanza del documento, dovendo decidere “allo
stato degli atti”80, non potrà che rigettarlo nel merito.
Medesima soluzione potrebbe ritenersi – a mio avviso – applicabile con riguardo ai
documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, nel caso in cui quest’ultimo risulti smarrito o
non sia ancora pervenuto alla cancelleria della Corte al momento della decisione81.
In conclusione, non costituendo la specifica allegazione della documentazione in sede di
legittimità, un profilo di completezza del ricorso, e non potendo quindi, la sua mancanza,
precludere aprioristicamente l’ammissibilità dello stesso, la Suprema Corte, soltanto
qualora al momento della decisione si trovi nell’impossibilità di consultare gli atti o i
documenti posti a fondamento dell’impugnativa, potrà, il più delle volte, “sanzionare” la
parte ricorrente per non aver prodotto cautelativamente una semplice copia degli stessi,
ed emettere una pronunzia di rigetto del ricorso.
80
81
Anche alla luce del principio dell’economia del giudizi.
Si tratta tuttavia di una soluzione certamente opinabile e dalle conseguenze “non indolori” per la parte
ricorrente, e per questo sicuramente emendabile e plasmabile in relazione alla peculiarità proprie delle
fattispecie concrete. Infatti, sebbene nel caso di incontestato smarrimento del fascicolo d’ufficio, la
pronunzia di rigetto appare sostanzialmente inevitabile (non potendo la Corte disporre degli elementi
indispensabili per la decisione), lo stesso non può dirsi con riferimento alle ipotesi in cui vi sia soltanto
un mero ritardo nella trasmissione o acquisizione dello stesso, ovvero la parte (oltre al deposito
dell’istanza di trasmissione) dimostri di essersi ulteriormente attivata formulando richieste di sollecito
ovvero di ricostruzione del fascicolo, nelle quali, il principio dell’economia dei giudizi andrà
contemperato con il diritto di difesa, conducendo – se del caso – ad un rinvio o differimento
dell’udienza di discussione.
34
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Seconda seconda: L’autosufficienza oggi e domani (dal 2013 all’infinito…).
1. L’evoluzione concettuale nell’ultimo biennio. Tra l’onere di trascrizione integrale
e i profili di completezza e specificità dopo la riforma del 2012, la lettera del primo
presidente della Corte di Cassazione, le determinazioni delle corti sovranazionali.
Una ulteriore suggestione alla rivisitazione del principio ed all’abbandono della
sanzione dell’inammissibilità
Il cantiere sempre aperto delle riforme in campo processuale induce a rinvenire nelle
pieghe di alcune delle ultime modifiche spunti che inducono, o dovrebbero indurre, ad
ulteriori ripensamenti quanto alla portata del principio di autosufficienza, tassello centrale
all’interno di ogni studio sul contenuto del ricorso e della documentazione da produrre
nelle difese avanti alla corte di legittimità.
In argomento, una riflessione deve essere ricavata dalla nuova versione dell’art. 360 c.p.c.
n. 5, oggi ridefinito come “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti”. Il nuovo motivo di ricorso, ai fini che ci
occupano82, quantomeno, rappresenta qualcosa che richiama elementi, “il fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, che devono il più delle volte
ricavarsi al di fuori della motivazione della sentenza impugnata”. Così legittimando ed
imponendo vieppiù la estensione del sindacato della Corte di Cassazione oltre la sentenza
e fino al controllo extratestuale della legittimità della sentenza impugnata, similmente a
quanto da tempo attuato, con analoga modifica, nel codice di rito penale”83. La modifica
del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., inoltre, non conduce, secondo le
interpretazioni più avvedute, all’eliminazione della possibilità di fare valere gli errori di
diritto e particolarmente gli errori di metodo relativi al giudizio di fatto (quali violazione
della disposizione di cui all’art. 116 c.p.c., sul “prudente apprezzamento”, quale canone
decisorio giuridico da rispettare a pena di violazione di legge); ma li espunge, secondo
una condivisibile interpretazione, dalla categoria (ormai inesistente, come vizio diretto)
del vizio di motivazione, inquadrandoli ora nella figura della violazione o falsa
applicazione della norma di diritto, di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. 84. Una lettura di tal fatta,
non è, a mio avviso, neutra quanto alle modalità di redazione del ricorso, in riferimento ai
principi di completezza e specificità; perché “Il ricorrente in cassazione ora non potrà più
censurare la sentenza impugnata lamentando genericamente i vizi della motivazione (che
82
V. più avanti al § 2a. per analizzare cosa dovrà essere contenuto nel motivo di ricorso per cassazione ex
art.360 n. 5 c.p.c. ai fini del rispetto del principio di autosufficienza.
83
LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, di prossima pubblicazione nella collana
la Biblioteca di Diritto Processuale Civile, Torino, 2015. L’art. 8 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha
sostituito la lett.e dell’art. 606 c.p.p. prevedendo ora che il vizio della motivazione non è più censurabile
soltanto quando risulti “dal testo del provvedimento impugnato”, ma anche quando risulti “da altri atti
del provvedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”.
84
Sull'argomento rimando ad un mio prossimo articolo “Il controllo del giudizio di fatto in cassazione e le
sentenze delle Sezioni Unite”, in questa stessa rivista.
35
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non sono più autonomamente sindacabili); dovrà, invece allegare la regola metodologica
che egli assume violata, precisare in cosa sia consistita tale violazione (rispetto alla quale
i vizi della motivazione costituiscono una semplice spia). In altri termini il ricorrente è
ora onerato di allegare specificatamente la regola logica o d’esperienza violata, a pena
l’inammissibilità del motivo del ricorso; e la Corte di cassazione dovrà invece limitarsi a
verificare che il ragionamento del giudice di merito espresso nella motivazione della
sentenza contrasti effettivamente con la logica o con la comune esperienza. Un sindacato
molto più lineare che in passato, che non costringe la Corte a ricercare autonomamente la
regola metodologica trasgredita e che le consente di cogliere immediatamente
l’inammissibilità del motivo di ricorso che non la indichi con chiarezza”85.
Dalla riforma dei motivi del ricorso in cassazione del 2012, dunque, il principio di
autosufficienza, pertanto, come onere di specifica ed analitica indicazione risulta anzi
confermato, ma nel più limitato senso appunto del canone di specificità e completezza del
ricorso.
Una indicazione per il necessario temperamento applicativo del principio di
autosufficienza deve oggi ricavarsi inoltre dalla ogni giorno più matura ed acquisita
consapevolezza della necessaria applicazione, nel nostro ordinamento, dei principi
processuali internazionali in tema di garanzie processuali per le parti in giudizio; e che
pretendono, nella univoca lettura oggi offerta, che anche nei giudizi avanti alle corti di
ultima istanza le regole processuali non debbano rischiare di condurre a fenomeni di
denegata giustizia per l’eccessività della difficoltà di procedura imposta alle parti in
giudizio. In argomento, bene è stato rilevato che “Il superamento del rigore formalistico –
già avviato dalle sezioni unite – sembra imposto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo,
dalla cui giurisprudenza si trae il monito ad ancorare le sanzioni processuali al canone
della proporzionalità e a dare la prevalenza a soluzioni interpretative orientate a
permettere al processo di giungere al suo esito naturale, vale a dire ad una decisione che
esamini il fondamento dell’impugnazione che non sfoci, in nome di un’applicazione
puntigliosa e pedante delle norme che impongono prescrizioni di forma, in una absolutio
ab instantia. Significativa in questa direzione appare la recente sentenza 22 novembre
2011, divenuta definitiva il 22 febbraio 2012, con cui la I sezione della corte di
Strasburgo, nel caso Andreyev v. Estonia, ricorda che “given the special nature of the
court of cassation’s role” il giudice europeo è disponibile ad ammettere che “the
procedure followed in such courts may be more formal”, purchè non si giunga ad una
“particulary strict construction of procedural rules”, tale da privare i ricorrenti del loro
“rigtht of access to a court”. Facendo applicazione di questo stesso principio, la Corte
dei diritti dell’uomo è giunta in altra occasione, a riconoscere la violazione dell’art. 6, §
1. della Convenzione, sul rilievo che “to declare the single ground of appeal inadmissibile
because the applicants “had not indicate in their appeal the factual circumstances on
which the court of appeal had based its decision dismissing their appeal amounted to
85
LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, cit., 227-228.
36
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excessive formalism and prevented the applicants from having the merits of their
allegations examined by the Court of cassation”….”86.
Indicazioni, queste ultime, che ben si sposano, sia per i contenuti del ricorso che per la
documentazione da esibire, con una lettura light del principio di autosufficienza.
In parziale sintonia con una tale linea di riflessioni, direi, si pone anche la sempre più
acquisita riscoperta “culturale” del canone della sinteticità degli atti giudiziari.
Così il codice del processo amministrativo, che ha richiesto il carattere della chiarezza e
della sinteticità per ogni atto o provvedimento processuale, sia ad opera degli avvocati
che dei magistrati87; una necessità sottolineata dall'allora Presidente del Consiglio di
Stato88, e poi sancita con provvedimenti giurisdizionali che hanno sancito
l’inammissibilità di alcuni ricorsi privi di queste caratteristiche. Infine, normativizzata
86
GIUSTI, L'autosufficienza del ricorso per cassazione civile, in Giust. Civ., 2013, 258-259. In argomento, v.
amplius RUSCIANO, Nomofilachia e ricorso in cassazione, cit., 195 ss. La Cassazione, sez. VI, 25 marzo
2013 n. 7455, in un obiter, ha invece così ritenuto: “....la prospettazione generica di un contrasto delle
valutazioni della relazione con i diritti di cui alla Convenzione EDU, induce a qualche ulteriore
precisazione. La prima è nel senso che la Corte ben conosce la giurisprudenza della Corte EDU che
ritiene che, allorquando uno Stato aderente garantisca un grado di giurisdizione ulteriore in sede di
impugnazione deve regolarlo in modo da garantirne l'effettività (art. 13 della Convenzione), ma ritiene
che la regolamentazione della disciplina del ricorso per cassazione, una volta che si consideri che esso è
impugnazione a critica limitata e, dunque, basata su motivi tipizzati, ed è strutturata come processo nel
quale non v'è sostanzialmente spazio a momenti di istruzione, sia la previsione di requisiti di
ammissibilità di contenuto-forma, come l'art. 366 c.p.c., n. 6, se individuati in modo chiaro, sia quella di
requisiti di ammissibilità basati sul principio della idoneità dell'atto processuale al raggiungimento dello
scopo (art. 156 c.p.c., comma 2), come il principio di specificità, non siano i alcun modo in contrasto
con il principio di effettività. Lo sarebbero solo se fosse possibile sostenere o che il requisito è espresso
in modo ambiguo e, quindi, tale da non consentire a chi impugna di percepirne il significato, o in modo
tale da lasciare al giudice dell'impugnazione una scelta secondo parametri incontrollabili circa la sua
gestione. Sotto il primo aspetto né l'art. 366 c.p.c., n. 6, nè il principio di cui all'art. 156 c.p.c., comma 2,
sono tali da doversi escludere che il ricorrente in cassazione, tramite la sa difesa tecnica, non sia in
grado di percepirne il significato e le implicazioni, una volta considerato che l'attività di proposizione
del ricorso per cassazione, in ragione della sua struttura quanto ai motivi, esige una specifica
competenza tecnica. Sotto il secondo aspetto una volta considerato che chi redige il ricorso è messo in
grado dalle norme di percepire che cosa gli si richiede, non è sostenibile che la Corte di cassazione sia a
sua volta messa in grado di utilizzare uno strumento del tutto discrezionale: ciò, se si considera che le
sentenze della Corte di cassazione debbono essere motivate ai sensi dell'art. 132 c.p.c., e, prima ancora,
sulla base del precetto costituzionale dell'art. 111 Cost., comma 6. Le ricorrenti lamentele circa il
preteso vulnus del principio di effettività che presenterebbe la previsione di requisiti di ammissibilità
del ricorso per cassazione non paiono in alcun modo fondate, salvo ritenere che quel principio esclude
che un mezzo di impugnazione possa dal legislatore di uno Stato aderente alla CEDU la possibilità di
disciplinarne le condizioni, dettando le regole per la sua proposizione. Regole che, evidentemente,
richiedono come ogni norma, di essere interpretate e che solo se fossero enunciate in modo talmente
maldestro da consentire soltanto interpretazioni plurime, parrebbe incidere sul principio di effettività”.
87
V. CAPPONI, Sulla ragionevole brevità degli atti processuali, in Riv. trim. dir. proc., 2014, 1075 ss.
88
V. nota n. 69.
37
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dall'art. 40 del d.l. 90/2014, che introduce l'obbligo di non superare un determinato
numero di pagine nella redazione di un atto processuale89.
89
Nello specifico, l’art. 40, comma 1, lett. a), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni
dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, è intervenuto nel campo dei giudizi in materia di provvedimenti
concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, sostituendo il sesto
comma dell’art. 120 del codice del processo amministrativo; sesto comma che, oggi, ai fini che qui
interessano, così recita dal quarto all’ottavo periodo: “Al fine di consentire lo spedito svolgimento del
giudizio in coerenza con il principio di sinteticità di cui all'articolo 3, comma 2, le parti contengono le
dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei termini stabiliti con decreto del Presidente del
Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le
associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono
stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. Il
medesimo decreto, nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi, tiene conto
del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi
sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre
indicazioni formali dell'atto. Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine
rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello
avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello”.
Come si vede, sarà, dunque, un decreto del Presidente del Consiglio di Stato a regolamentare (nel rispetto
delle direttive già indicate nei periodi sesto e settimo), nel dettaglio, le dimensioni del ricorso e degli
altri atti difensivi, ed a prevedere le ipotesi in cui sarà consentito superare detti limiti dimensionali.
L’aspetto, forse, più rilevante da sottolineare consiste, però, nel fatto che, interpretando letteralmente
l’ultimo periodo del nuovo sesto comma dell’art. 120, si potrebbe essere indotti a ritenere (ma la
problematica meriterebbe un approfondimento che esula dalle finalità della presente indagine) che il
dovere decisorio del giudice riguardi, non tutte le questioni («va sottolineato che la norma utilizza la
formula generica e onnicomprensiva di “questioni”, che possono ricomprendere le domande, le
eccezioni, i motivi, comunque tutto ciò che dia luogo a “controversia”, e dunque non ciò che è dato per
pacifico e incontroverso»: il virgolettato appartiene a DE NICTOLIS, Il rito degli appalti pubblici dopo
il D.L. 90/2014, cit., 6) veicolate in giudizio attraverso l’atto considerato nella sua interezza, ma solo
quelle “trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti”; questioni, queste ultime, il cui mancato esame
in primo o in secondo grado potrebbe essere fatto valere, rispettivamente, quale motivo di appello o
quale (nuovo) motivo di revocazione.
Il Presidente del Consiglio di Stato ha già predisposto una bozza di decreto che prevede un massimo di
25 pagine per i più importanti atti del processo, superabili solo in casi particolari.
Sul punto appare, però, utile riportare le attente osservazioni espresse (in data 16 aprile 2015) dal
Consiglio Nazionale Forense sulla bozza di decreto del Presidente del Consiglio di Stato; osservazioni
che evidenziano la possibilità e la necessità di optare per una interpretazione di carattere sistematico
che, in primo luogo, garantisca pienamente il principio del dovere decisorio del giudice di cui all’art.
112 c.p.c. ed il diritto di azione e di difesa di cui all’art. 24 Cost.: «La previsione dell’onere in capo al
collegio di accertare e dichiarare se ricorrano o meno “uno o più dei casi di cui ai numeri 10 e 11, ai fini
di quanto stabilito dall’art. 120, comma 6, ultimo periodo dell’allegato I del decreto legislativo 2 luglio
2010 n. 104”, pone inoltre e in ogni caso la questione della portata interpretativa della predetta
disposizione di legge. Se cioè il legislatore, statuendo espressamente che “il giudice è tenuto a
esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle
suddette questioni costituisce motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione
della sentenza di appello”, abbia inteso implicitamente affermare l’inammissibilità/improcedibilità delle
questioni trattate nelle pagine eccedenti i suddetti limiti, con la conseguenza che le questioni poste non
sarebbero esaminate, senza che il mancato esame delle stesse (e quindi delle doglianze, eccezioni e
domande e/o dei capi di domanda ivi trattati) possa costituire motivo di impugnazione. In realtà,
secondo questo Consiglio Nazionale, ove della norma fosse data l’interpretazione di cui sopra, la stessa
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Ma la stessa esigenza è oggi avvertita consapevolmente dalla parte più attenta della classe
forense e dalla giurisprudenza nel campo civile. E questo passa, nel giudizio in
cassazione, da una rivisitazione della lettura di alcuni principi, e tra questi certamente
quello dell’autosufficienza; oggi, “per un complesso di ragioni che riguardano sia il
giudizio di primo grado, sia i giudizi di impugnazione, la redazione degli atti riflette la
costante preoccupazione dell’avvocato, divenuta dal 1990 in poi una vera “sindrome”;
quella di incorrere in preclusioni e decadenze, di non riuscire ad ottenere una decisione di
merito, di compiere errori di omissione (mentre le sovrabbondanze non potranno almeno
allo stato, configurare errori)”90.
Il canone della brevità, della sinteticità, riposa naturalmente su principi opposti; e si
contrappone ad una lettura del principio di autosufficienza che richieda la riproduzione
esaustiva di atti processuali integrali all’interno dell’atto di impugnazione, e ne impone
pertanto una rilettura in termini “light”. Di questa tensione evolutiva è magistrale
dimostrazione la lettera del primo presidente della corte di cassazione, Giorgio
Santacroce, inviata al presidente del Consiglio Nazionale Forense, che indica una sorta di
linee guida che devono sovraintendere alla corretta stesura dei ricorsi: “Sinteticità e
chiarezza, infatti supportano efficacemente sia la specificità, che deve connaturare i
motivi di ricorso, sia la “persuasività” delle argomentazioni chiamate a sorreggerli,
consentendo una maggiore penetrazione della critica e sollecitando nel giudicante una
apparirebbe manifestamente incostituzionale (artt. 3 e 24 Cost). L’unica interpretazione
sistematicamente sostenibile e quindi coerente con il principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c. e
con il principio di sinteticità declinato dall’art. 3, co. 2, c.p.a. è la seguente: non si può sostenere che il
rispetto del limite di pagine sostanzi un presupposto della domanda, violato il quale la pretesa (o la
doglianza o la eccezione) debba essere dichiarata inammissibile o comunque non debba essere
sottoposta al vaglio giurisdizionale. Invero, il rispetto dei limiti dimensionali del ricorso e degli altri atti
difensivi stabiliti con il decreto presidenziale vale a garantire la parte circa l’obbligo di delibazione di
tutte le questioni esposte con il proprio atto difensivo, sicché può dirsi che in tal caso il rispetto del
canone di sinteticità è coperto da una presunzione assoluta e che quindi il giudicante non potrà in
nessun caso censurare la violazione dell’art. 3, co. 2, c.p.a., né esimersi dal pronunciarsi sulle questioni
introdotte in giudizio. In caso contrario, quello in cui l’atto difensivo risulti eccedente rispetto al limite
di pagine prestabilito, la norma non preclude affatto espressamente la delibazione delle questioni
introdotte con le pagine eccedenti il limite, né tantomeno stabilisce che in caso di pronuncia sulle stesse
questioni la sentenza non sia suscettibile di impugnazione. In questo caso, in mancanza di una
previsione espressa di legge, non può che ritornare ad espandersi la disciplina generale di cui all’art. 3,
co. 2, c.p.a.: per cui il giudicante sarà tenuto a valutare in concreto se la violazione dei limiti costituisca
effettivamente un comportamento elusivo del principio di sinteticità; o se invece il superamento dei
limiti si sia reso necessario perché funzionale alla migliore, o comunque necessaria, tutela della
posizione processuale della parte. Ma anche quando vi sia violazione del canone di cui all’art. 3, co. 2,
c.p.a. al giudicante non può essere consentito di omettere aprioristicamente la delibazione delle
questioni eccedenti il limite, a ciò ostando il disposto di cui all’art. 112 c.p.c. e ancor più il precetto
costituzionale di cui all’art. 24 Cost.. Se infatti l’ordinamento assicura l’effettività della tutela in
giudizio nel rispetto del principio della domanda, tale obiettivo ultimo non può essere in nessun caso
frustrato e disatteso, e la violazione in argomento potrà al più rilevare sul (e non potrà eccedere il) piano
del comportamento processuale e della condanna alle spese, in linea con i più recenti arresti
giurisprudenziali in tema di applicazione dell’art. 3, co. 2, c.p.a.».
90
CAPPONI, Sulla ragionevole brevità degli atti processuali, cit., 1086.
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crescita dell’attenzione. Funzionale a questi obbiettivi molto si presta la riduzione e
concentrazione dei motivi del ricorso, il cui numero spesso si rivela una parcellizzazione
della questione che costituisce il cuore della censura, mediante una ripetizione di concetti
che nuoce all’assetto complessivo del ragionamento. Vorrei altresì richiamare la Sua
attenzione sul fatto che le predette raccomandazioni nemmeno si pongono in conflitto con
il rispetto da parte del ricorso del c.d. principio di autosufficienza in quanto quest’ultimo
esige non la completa trascrizione del ricorso stesso dei documenti, la cui omessa e non
corretta valutazione da parte del giudice di merito, sia oggetto del motivo di
impugnazione, bensì solo la (ancora una volta) sintetica indicazione delle porzioni del
documento o documenti in questione (eventualmente allegati al ricorso ai sensi dell’art.
369, comma 2 n. 4 c.p.c.) che possano illuminare l’analisi da parte del giudice di
legittimità. ….”
Ecco, quindi, un primo portato delle suggestioni culturali; la necessità oramai acquisita
del principio di sinteticità e brevità degli atti come canone di interpretazione “anche “ del
principio di autosufficienza. E la conseguente necessità di accoglierne una lettura “light”,
che non pretenda più una pedissequa, prolissa e pedante ripetizione nel corpo dell’atto dei
documenti richiamati.
In sintonia con queste suggestioni, per vincere però davvero le “paure” non infondate
della classe forense, ed in sintonia reale con i principi processuali già richiamati e desunti
dall’esame delle corti sovranazionali in tema di contenuti, vizi e sanzioni in tema di
impugnazioni, la soluzione più coerente e di sistema dovrebbe in realtà passare ancora da
qualcosa in più; dalla rivisitazione delle conseguenze della violazione dei canoni tanto di
brevità che di autosufficienza non più in termini di inammissibilità, quanto piuttosto
soltanto con conseguenze semmai solo sul terreno della condanna alle spese
processuali91, o in termini di nullità dell’atto viziato (l’incomprensibilità dell’atto troppo
prolisso o troppo criptico), con conseguente potenziale salvezza ai termini di cui all’art.
156 comma 2 c.p.c. grazie alle memorie illustrative precedenti all’udienza (ex 378 o 380
bis c.p.c.)92, senza che a questo consegua indefettibilmente la fine in rito del processo.
Temi di portata generale, che in questo contributo mi limito solo ad accennare.
91
Come condivisibilmente osservato da CAPPONI, op. cit., 1090, la conseguenza della violazione del canone
di sinteticità sul piano delle spese processuali appare una soluzione limitativa, poichè verrebbe a colpire
solo la parte soccombente, e non anche la parte vittoriosa che non ha rispettato il canone di brevità degli
atti.
92
COMFORTI, Il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, cit., 140, relativamente al difetto di
integrale trascrizione degli atti e documenti sui si fonda il ricorso in cassazione, individua nelle
memorie di cui agli artt. 380 bis e 378 c.p.c un possibile meccanismo di sanatoria del difetto stesso.
Infatti “nel momento in cui dalla relazione del consigliere emerga la possibilità di definire il ricorso per
difetto di autosufficienza, il ricorrente potrebbe utilizzare la memoria di cui al secondo comma dell'art.
380-bis per integrare l'atto introduttivo del “materiale di causa” - a detta del giudice di legittimità non
trascritto”.
40
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2. L’evoluzione giurisprudenziale. Il contenuto del ricorso: una posizione ormai
definita sulla “esposizione sommaria degli atti della causa”.
L’esame della giurisprudenza dell’ultimo biennio offre un panorama parzialmente
cambiato; che sembra confermare il rafforzamento di alcune linee di tendenza già
affiorate nella giurisprudenza più attenta della corte di cassazione, in una fase evolutiva
in cui, tuttavia, l’incertezza appare ancora il tratto dominante.
In primo luogo, la corte di legittimità continua ad utilizzare il principio di autosufficienza.
E il mancato rispetto del principio da parte del ricorrente continua a condurre la
cassazione alla sanzione della inammissibilità del ricorso. Da questo punto di vista nihil
novum sub sole; la Suprema Corte non dà alcun segno di volere abbandonare la sua
pluridecennale lettura del principio.
Quanto alla declinazione nel concreto, appare a mio avviso oggi opportuno
“parcellizzare” la riflessione distinguendo ancora l’applicazione del principio al ricorso
rispetto alla necessità di riproduzione documentale nel fascicolo di parte.
E, traendo le mosse dall’applicazione del principio al contenuto del ricorso, distinguendo
tra la parte del ricorso destinata all’esposizione sommaria dei fatti di causa dalla parte del
ricorso dedicata all’indicazione dei motivi.
Il principio di autosufficienza, oggi, può dirsi diversamente declinato per la parte dedicata
all’esposizione dei fatti di causa, ed in questo biennio sembra in effetti sul punto
avvicinarsi ad un criterio a larga maggioranza condiviso.
L’esposizione dei fatti di causa, infatti, elemento richiesto a pena di inammissibilità dal
n.3 dell’art. 366 c.p.c. ha rappresentato un tema che preoccupa non poco gli avvocati
nella stesura del ricorso, e che ha progressivamente condotto, data la paura di vedere il
proprio ricorso dichiarato inammissibile per peccati di “omissione”, a trasformare
l’esposizione “sommaria, in una ripetizione pedissequa di tutto l’iter processuale in
maniera il più possibile analitica e tuttavia prolissa, fino a giungere alla prassi
(oggettivamente deprecabile) di riportare integralmente il contenuto delle sentenze
quando non addirittura degli atti di impugnazione. Questa prassi va immediatamente
abbandonata, perché oggi è sanzionata con l’inammissibilità ad opera della suprema
corte: “Il ricorrente fa precedere i motivi del ricorso per cassazione dalla trascrizione
integrale del ricorso di primo grado; riporta poi le statuizioni del tribunale e continua
trascrivendo integralmente i motivi di appello. Orbene, secondo la costante
giurisprudenza di questa corte, è inammissibile, per violazione del criterio di
autosufficienza, il ricorso per cassazione confezionato in modo tale che siano riprodotti
con procedimento fotografico (o similare) gli atti dei pregressi gradi e i documenti ivi
prodotti, tra di loro giustapposti con mere proposizioni di collegamento. Detta modalità
grafica, poiché equivale, nella sostanza, ad un rinvio puro e semplifica agli atti di causa e
viola il precetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo il quale il ricorso per
cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di
causa, non può ritenersi osservata quando il ricorrente non prospetti alcuna narrativa
degli antefatti e della vicenda processuale, né determini con precisione l’oggetto della
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originaria pretesa così contravvenendo proprio alla finalità primaria della prescrizione di
rito, che è quella di rendere agevole la comprensione della questione controversa, e dei
profili di censura formulati, in immediato coordinamento con il contenuto della sentenza
impugnata (Cass. 24 luglio 2013, n. 18020; Cass. 16 marzo 2011, n. 6279; Cass. 9
settembre 2010, n. 19255; Cass., Sez. Un., 17 luglio 2009 n. 16228)”93.
Si specifica, inoltre, come non violi il principio di autosufficienza, avuto riguardo alla
complessità della controversia, il ricorso per cassazione confezionato mediante
inserimento di copie fotostatiche o scannerizzate di atti relativi al giudizio di merito,
qualora la riproduzione integrale di essi sia preceduta da una chiara sintesi dei punti
rilevanti per la risoluzione della questione dedotta94; e, infine, di come si possa desumere
l’esposizione sommaria dei fatti di causa anche nella parte destinata all’esposizione dei
motivi, senza la necessarietà che questo costituisca una premessa autonoma ed a se stante
rispetto ai motivi di impugnazione95, pur aggiungendosi (non condivisibilmente), talora,
che quando il ricorso graficamente preveda una parte dedicata allo svolgimento del fatto,
il confezionamento errato di tale parte conduca direttamente all’inammissibilità, senza
che possa sopperire l’esame dei motivi del ricorso per controllare se dagli stessi non
possa evincersi l’assolvimento del requisito96.
Il principio di autosufficienza, dunque, punisce oggi, almeno in queste ipotesi, i peccati di
eccesso di commissione, non più di omissione. E l’indirizzo ora evidenziato sembra
rapidamente definirsi come un punto in via di rapido consolidamento, e del resto più
aderente a letture più responsabili del principio, che è necessario indicare con chiarezza.
E che riportano, almeno per questa fase del ricorso, il principio di autosufficienza alla sua
funzione primigenia di strumento di chiarezza e precisione richiesti per il ricorso in
cassazione. Con la speranza che questa lettura, ormai condivisibilmente definita nella
inammissibilità per i ricorsi con riproduzioni pedisseque dei precedenti segmenti
processuali, non si “espanda” come elemento tale da lasciare all’organo decidente un
margine ampio di discrezionalità nel definire quando poi l’esposizione dei fatti sia
sufficientemente “sommaria”, tra il vizio del peccato per omissione, la perfezione
(determinata di volta in volta dalla corte di legittimità), ed il peccato di eccesso.
Se così fosse, si cadrebbe dalla padella alla brace; ma, francamente, non sembra che sia
questo l’intendimento della Suprema Corte.
93
Cass. sez. Lav., 03 giugno 2014, n. 12355. Similmente Cass. Sez. Un. 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. sez.
IV, 30 settembre 2014, n. 20859.
94
Cfr. Cass. S.U., 24 febbraio 2014, n. 4324, resa in sede di regolamento di giurisdizione; Cass. sez. I, 28
gennaio 2015, n. 1624, ritiene che, per valutare il rispetto del principio di autosufficienza, vadano
espunti dal ricorso gli atti e documenti ivi riprodotti, e valutate esclusivamente le pagine
autonomamente redatte per verificare se queste espongano in maniera sufficiente i fatti ed i motivi.
95
Cass. sez. III, 9 aprile 2013, n. 8569.
96
Cass. sez. VI,16 gennaio 2014, n. 784.
42
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2.a. Segue. Il contenuto del ricorso: il principio di autosufficienza ed i motivi per i
quali si chiede la cassazione.
Quanto invece alla definizione del principio di autosufficienza nella parte del ricorso in
cassazione dedicato all’indicazione dei motivi, la situazione è ancora assai più incerta.
Ho già indicato le diverse posizioni assunte nella giurisprudenza della Corte di cassazione
quanto alla definizione del principio per i ricorsi introdotti dopo la riforma del 2006.
Quanto alla fase dei motivi del ricorso, in sintesi, così nel par…ho riassunto le precedenti
posizioni della cassazione nelle prime applicazioni della riforma:
1) Talora si continua a sancire – come se l’art. 366 c.p.c. non fosse mai stato novellato –
l’inammissibilità dei motivi in cui il ricorrente si limiti a rinviare (indicandoli
specificamente) agli atti e i documenti del giudizio di merito, senza riprodurne
integralmente il contenuto in sede di ricorso.
2) In altre pronunzie, invece, la Corte di Cassazione ha interpretato l’introduzione – ad
opera del legislatore della riforma – dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., come
l’attribuzione a carico del ricorrente di un onere ulteriore rispetto a quello di integrale
trascrizione degli atti processuali, espressione della versione strong dell’autosufficienza.
In altri termini, l’onere di “localizzazione” codificato dalla predetta disposizione e quello
di trascrizione vengono concepiti come due condizioni non sovrapponibili ed entrambe
indispensabili ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, in quanto anche in presenza
di una puntuale riproduzione degli atti dei precedenti gradi di giudizio, posti a
fondamento della censura, la mancata individuazione topografica del “luogo processuale”
in cui gli stessi sono consultabili non consentirebbe alla Suprema Corte di reperirli per
verificare se il contenuto sia conforme a quanto trascritto dal ricorrente in seno al ricorso.
E tuttavia, dall’analisi delle pronunzie della Corte della Cassazione, soggette alla
disciplina processuale delineata dalla riforma del 2006, emerge – in altri casi – se non
proprio un ridimensionamento, una leggera attenuazione della versione estrema
dell’autosufficienza.
3) Talora, infatti, la Suprema Corte sembra offrire al ricorrente un’alternativa alla
riproduzione del contenuto dell’atto processuale, costituita dall’allegazione dello stesso al
ricorso;
mentre 4) in altri casi il Giudice di Legittimità mostra di accontentarsi anche di una
sintesi del contenuto dell’atto richiamato.
La giurisprudenza più avveduta – seppur minoritaria – della Suprema Corte sembra
dunque aver correttamente interpretato e valorizzato le modifiche normative introdotte
dalla riforma del 2006, cogliendone correttamente la ratio e le scelte di politica
giudiziaria ad essa sottese, rispolverando sostanzialmente la versione originariamente
light dell’autosufficienza, intesa esclusivamente come onere di “localizzazione” dell’atto.
La Cassazione – nel rispetto di quell’accordo istituzionale concluso con il legislatore
della riforma – arriva, infatti, espressamente ad escludere la necessità della trascrizione –
a pena d’inammissibilità – degli atti posti a fondamento dell’impugnativa, richiedendo
esclusivamente – in ossequio al principio in esame – la specificazione della sede
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processuale in cui il documento, pur individuato nei suoi elementi essenziali in seno al
ricorso, è stato prodotto nella fase di merito.
5) Infine, si registra un timido orientamento della Cassazione in cui è possibile scorgere
nuovamente i caratteri primordiali (o genetici) del principio di autosufficienza, allorché
veniva inteso esclusivamente quale canone integrativo dei principi di specificità,
completezza, chiarezza e precisione nella redazione dei ricorsi.
Questa “carrellata” di diverse posizioni offerte dalla corte non può oggi definirsi superata.
L’esame delle decisioni in materia adottate dalla Suprema Corte negli anni 2013-2014
sembra mantenere alcuni profili di incertezza nella enucleazione del principio di
autosufficienza, con significative differenze tra le sezioni della Cassazione.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto inammissibile un motivo di ricorso in cui si lamentava
una errata lettura dei dati di una consulenza tecnica d’ufficio poiché il ricorrente “ha
omesso di riportare analiticamente e compiutamente le indicazioni del consulente, con la
conseguenza di non consentire al giudicante l’’esame diretto di quanto da quest’ultimo
accertato e riferito e di apprezzare quindi la rilevanza dei singoli profili considerati
nell’ambito della relazione (e soprattutto delle relative conclusioni) nel suo complesso”97.
Le Sezioni Unite individuano nel principio di autosufficienza in cassazione un quid
ulteriore rispetto al divieto di specificità dei motivi di altre forme di impugnazione98, che
imporrebbe solo per il giudizio di cassazione l’ulteriore elemento che sarebbe dato dalla
necessarietà in cassazione di desumere integralmente dal ricorso la situazione senza che
sia consentito un richiamo ad altri atti99.
97
Cass. Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, (l’inammissibilità è tuttavia accompagnata dall’ulteriore
considerazione dell’inammissibilità delle valutazioni di fatto che sarebbero richieste nel caso di specie
alla Corte di cassazione).
98
D’altro canto, le Sezioni Unite (ad es. Cass. S.U., 24 febbraio 2014, n. 4324) affermano l’esistenza del
principio di autosufficienza anche in tema di regolamento di giurisdizione, che non prevede
necessariamente l’esistenza di specifici motivi di ricorso non essendo un mezzo di impugnazione.
99
Cfr. Cass. Sez. Un., 17 giugno 2013, n. 15122, dove si afferma che “…. Ciò, peraltro, non toglie che, a
norma del R.D. n. 37 del 1934, art. 59, il ricorso al Consiglio Nazionale Forense avverso le pronunce
emesse dai locali Consigli dell'ordine debba contenere l'enunciazione specifica dei motivi sui quali esso
si fonda (cfr. Sez. un. 25 novembre 2008, n. 28049). Il che, espunto l'improprio riferimento al citato art.
342 c.p.c., potrebbe in definitiva condurre a conclusioni non dissimili.
Senonchè occorre considerare che, nel caso in esame, il Consiglio Nazionale Forense sembra far coincidere
il vizio del ricorso consistente nel difetto di specificità dei motivi con la mancata esposizione, nel
ricorso medesimo, dei fatti oggetto del procedimento svoltosi dinanzi al Consiglio dell'Ordine; donde il
richiamo al già sopra menzionato principio di autosufficienza del ricorso. Ma, se è vero che talvolta il
(pur discusso) principio di autosufficienza è stato giustificato, con riferimento al ricorso per cassazione,
con l'esigenza di rispettare il requisito della specificità dei motivi d'impugnazione, non può trascurarsi
che una tale impostazione appare strettamente legata alle caratteristiche proprie del giudizio di
legittimità: alla circostanza, cioè, che la Corte di cassazione non è giudice del fatto (salvo il caso di
denuncia di errores in procedendo) e che, non potendo di conseguenza verificare ed accertare
direttamente la situazione di fatto sulla scorta dell'esame degli atti e dei documenti acquisiti al
precedente giudizio di merito, essa neppure potrebbe valutare l'attinenza e la decisività delle censure in
diritto, oppure per difetti della motivazione, che il ricorrente ha mosso all'impugnata sentenza. Donde,
appunto, la particolare curvatura assunta dal requisito della specificità del ricorso per cassazione, che
deve consentire a chi lo legge di comprendere senz'altra indagine in qual modo la correzione degli errori
44
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La prima sezione della corte di cassazione, in tema di interpretazione dei contratti,
mantiene ferma la tesi per cui “in ossequio al principio di specificità dei motivi ed
autosufficienza del ricorso, la trascrizione del testo integrale della regolamentazione
pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad
essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una
sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretende di
attribuire”100; così similmente, nelle critiche ad una consulenza tecnica, pretende sia
l’indicazione delle circostante e degli elementi da sottoporre al controllo di legittimità che
il riportare per esteso le parti della consulenza tecnica criticate 101. E, tuttavia, in altra
pronuncia sempre in tema di contestazioni in tema di consulenza tecnica, le necessarie
indicazioni delle puntuali ragioni di critica non sono affiancate dall’onere di trascrizione
della parte contestata102.
Si assume nel senso più rigoroso il principio di autosufficienza allorquando si pretende,
laddove nel motivo di ricorso si sollevino censure che richiedano l’esame di delibere,
“che il testo di tali atti sia integralmente trascritto”103. In materia di contestazione sulla
novità o no delle questioni fatte valere per la prima volte in sede di legittimità, si è
ritenuto indispensabile ai fini dell’autosufficienza che la parte avesse indicato in quale
atto e in quale momento del giudizio precedente avesse fatto dedotto la questione,
richiedendo per altri versi tuttavia anche la “trascrizione dell’atto di impugnazione in cui
la censura sarebbe stata invece formulata”104.
di diritto o l'emenda dei vizi di motivazione sollecitati dal ricorrente si saldino con la vicenda
processuale e siano perciò idonee a determinare l'invocata cassazione del provvedimento impugnato.
La situazione non si presenta affatto negli stessi termini per il ricorso proposto dinanzi al Consiglio
Nazionale Forense avverso i provvedimenti dei locali Consigli dell'ordine. Il giudizio al quale il
Consiglio Nazionale Forense è in tal caso chiamato non è un giudizio di mera legittimità, ma
indiscutibilmente si estende anche agli aspetti di merito che interessano il provvedimento impugnato, di
modo che nulla impedisce a quel giudice di prendere in esame nella sua interezza l'intera
documentazione prodotta nel corso del procedimento. Se è vero che i motivi d'impugnazione, come s'è
già detto, debbono anche in questo caso esser specifici, non se ne può perciò desumere che sia
essenziale a tal fine l'esposizione dettagliata, nel corpo stesso del ricorso, dei fatti che hanno formato
oggetto del precedente procedimento disciplinare di natura amministrativa, essendo sufficiente che quei
fatti, nella misura in cui occorra prenderne conoscenza per valutare della legittimità o dell'illegittimità
del provvedimento impugnato, risultino acquisiti al giudizio onde il giudice (id est: il Consiglio
Nazionale Forense) sia in condizione di percepirli e valutarli; ed è intuitivo che, a tale scopo, ben possa
tenersi conto dei documenti allegati al ricorso, così come dei dati ricavabili dallo stesso testo del
provvedimento impugnato, una copia del quale deve, d'altronde, necessariamente corredare il ricorso a
norma del D.L. n. 37 del 1934, art. 59, comma 1.
Alla luce del principio di diritto appena enunciato, pertanto, deve concludersi che l'asserita ragione
d'inammissibilità del ricorso (rectius del terzo e del quarto motivo del ricorso) proposto dinanzi al
Consiglio Nazionale Forense, nel caso in esame, non sussiste.”.
100
Cass., sez. I, 15 maggio 2013, n. 11699.
101
Cass. sez. I, 3 settembre 2013, n. 20131; Cass. sez. I, 17 luglio 2014, n. 16368, per l’onere di trascrivere
integralmente “almeno” i passaggi salienti e non condivisi della relazione.
102
Cass., sez. I, 4 giugno 2014, n. 12547.
103
Cass. sez. I, 16 ottobre 2013, n. 23438.
104
Cass. sez. I, 18 ottobre 2013, n. 23675.
45
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In altre ipotesi, però, il principio è riferito alla necessità di una chiara indicazione delle
ragioni di impugnazione, come difetto di specificità dei motivi, ma senza richiedere
trascrizioni integrali105.
La seconda sezione della Corte di Cassazione ha precisato che, la parte che impugna una
sentenza per omessa pronuncia su una domanda o una eccezione ha l’onere per il
principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del
motivo, di specificare non solo in quale atto difensivo o verbale di udienza l’abbia
formulata, ma anche di riportare quali ragioni abbia formulate a sostegno della
richiesta106. Ritiene inammissibile per violazione del principio di autosufficienza il
motivo di omesso esame di scritture private quando di queste non sia stato riportato il
testo nel ricorso107; approva l’integrale trascrizione delle prove documentali e testimoniali
operate dal ricorrente in ossequio al principio dell’autosufficienza108.
La terza sezione, ribadisce in più pronunce l’onere della trascrizione integrale con
riferimento a quelle parti dell’atto processuale oggetto di doglianza, specificando ancora
come inoltre è ancora necessario che si provveda inoltre alla individuazione dell’atto con
riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo, come
pervenuta presso la corte di cassazione109. Necessità, a pena di inammissibilità, di
precisare l’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente
acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità, sottolineata anche laddove la
Suprema Corte sembra accontentarsi del richiamo all’atto o al documento processuale
oggetto di riesame senza onere di trascrizione110.
Rimane fermo l’onere, a pena di inammissibilità, quando si prospetta una omessa
pronuncia su un motivo di appello sul quale la corte di merito avrebbe avuto l’onere di
pronunciare, di trascrivere integralmente nel ricorso in cassazione la detta richiesta stesa
nella fase di merito111.
In altra occasione, pur accontentandosi della indicazione della parte dell’atto processuale
oggetto di contestazione ma senza onere di integrale trascrizione, specifica la necessità a
pena di inammissibilità di indicare dove questi atti processuali siano stati prodotti e
quindi siano esaminabili nel giudizio di legittimità112.
La sezione lavoro ha applicato diffusamente il principio di autosufficienza; la quarta
sezione, in ipotesi di rilievo di vizi attinenti all’ultra o extrapetizione, richiede la
trascrizione del motivo di appello nel ricorso di cassazione113. In altra circostanza,
tuttavia, per ritenere assolto il principio di autosufficienza, ha ritenuto necessario solo
l’analitica indicazione dei documenti (provvedimenti disciplinari) asseritamente non
105
Cass, sez. I, 10 febbraio 2014, n. 2962.
Cass. sez. II, 4 gennaio 2013, n. 94.
107
Cass. sez. II, 9 gennaio 2013, n. 316.
108
Cass. Sez. II, 8 febbraio 2013, n. 3137.
109
Cass. sez. III, 13 febbraio 2013, n. 3544.
110
Cass. sez. III, 9 aprile 2013, n. 8659.
111
Cass. Sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26155.
112
Cass. sez. III, 10 febbraio 2015, n. 2489.
113
Cass. sez. lav., 15 gennaio 2013, n. 817.
106
46
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valutati, senza onere di integrale trascrizione nel ricorso di cassazione 114. E similmente la
Corte ha ritenuto in ipotesi di contestazione sul mancato rispetto da parte della sentenza
impugnata delle conclusioni di due consulenze tecniche d’ufficio, nella quale, per il
rispetto del principio di autosufficienza si chiede o l’integrale trascrizione o anche solo la
indicazione degli accertamenti e delle specifiche risultanze processuali115.
Così la Corte ha ritenuto in tema di differenze retributive, laddove il motivo di ricorso per
cassazione con il quale si lamenta la mancata valutazione, nel giudizio di merito, dei
cedolini ritualmente prodotti, sufficiente per il rispetto del principio di autosufficienza
non necessariamente la trascrizione nel ricorso ma anche solo l’indicazione, in via
riassuntiva, del contenuto di tali atti; statuendo inoltre, nel decidere lo stesso ricorso,
l’inammissibilità sempre per violazione del principio di autosufficienza, di altro motivo
di ricorso per vizi sull’interpretazione di clausola di contrattazione collettiva per non
avere integralmente trascritta il contenuto di tale clausola, integrale trascrizione richiesta
anche per una contestazione sulla mancata ammissione di un proposto mezzo
istruttorio116
Integrale trascrizione, ancora, richiesta per le clausole contrattuali il cui riesame sia
sollecitato alla Corte di cassazione117.
Quanto ai motivi di ricorso per violazione di legge, la quarta sezione afferma come per il
principio di autosufficienza non sia sufficiente nel ricorso indicare le norme asseritamente
violate dal giudice del secondo grado, ma sia richiesto anche la specifica indicazione
delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si
assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione
delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da
provocare criticamente una valutazione comparativa tra opposte soluzioni118.
Si assume che, oltre a richiedere la specifica indicazione degli atti e dei documenti posti a
fondamento del ricorso con riproduzione del contenuto nel ricorso per cassazione, risulti
necessario ancora non solo specificare in quale sede processuale il documento è stato
prodotto, ma anche l’ulteriore produzione del documento in sede di legittimità ex art. 369
comma 2 n. 4 c.p.c, pur specificando, quanto agli atti e documenti contenuti nel fascicolo
di parte del giudizio di merito, come sia sufficiente la produzione di quel fascicolo in
sede di legittimità (sempre insieme alla specifica indicazione nel ricorso degli atti e della
loro collocazione) per ritenere assolto il principio di autosufficienza119.
114
Cass. sez. IV, 16 gennaio 2013, n. 892.
Cass. sez. lav., 12 febbraio 2014, n. 3224.
116
Cass. sez. IV, 11 febbraio 2014, n. 3026.
117
Cass. sez. IV, 15 novembre 2013, n. 25728; Cass. sez. IV, 13 novembre 2014 n. 24230.
118
Cass. sez. IV, 7 ottobre 2014, n. 21083.
119
Cass. sez. IV, 15 gennaio 2013, n. 822; Cass. sez. IV., 28 agosto 2013, n. 19832. Entrambe le sentenze
ribadiscono quanto affermato dalla pronuncia del 3 novembre 2011 n. 22726 delle Sezioni Unite, di cui
trascrivono la massima: “Va preliminarmente rilevato che non risulta riprodotto il testo integrale del
regolamento della società cooperativa e che ne è omessa la produzione nei termini richiesti con riguardo
al giudizio di legittimità. Al riguardo è stato sancito che “in tema di giudizio per cassazione, l’onere del
ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D. Lgs. 2 febbraio 2006, n.
40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti
115
47
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In altra circostanza, si specifica che l’esame diretto degli atti di causa da parte del giudice
di legittimità, pur quando consentito dalla natura del ricorso, è circoscritto tuttavia solo
agli atti e documenti che la parte abbia specificamente indicato e allegato120.
La quinta sezione, la sezione tributaria, richiede la testuale riproduzione nel ricorso dei
passi della motivazione dell’avviso di accertamento che si assumono malamente
interpretati o pretermessi dal giudice di merito121.
Assume: “è, invero, orientamento consolidato che, qualora una determinata questione
giuridica, che implichi accertamenti di fatto non risulti trattata in alcun modo nella
sentenza impugnata, il ricorrente, che proponga la suddetta questione in sede di
legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura,
ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzia al giudice
di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di
indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, trascrivendone il contenuto o
le parti essenziali di esso, onde dare modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità
di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa”122.
In altre decisioni, tuttavia, diversamente si ritiene che il ricorrente per cassazione che
intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di
merito ha il duplice onere di indicare in quale fase processuale ed in quale fascicolo di
parte si trovi il documento in questione, e anche di evidenziarne il contenuto all’interno
del ricorso di cassazione, potendo tuttavia trascriverlo ma anche soltanto riassumendolo
nei suoi esatti termini123.
Anche la sesta sezione si è più volte occupata del principio di autosufficienza, spesso
utilizzato proprio per legittimare la rapida pronuncia sul ricorso in quella sezione124.
o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità
delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante
la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel
fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla
cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di
visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a
pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al
reperimento degli stessi (cfr. Cass., Sez. Un. 3.11.2011 n. 22726)”.
120
Cass. sez. IV, 17 gennaio 2014, n. 896.
121
Cass. sez. V, 4 aprile 2013, n. 8312; Cass. sez. V, 19 aprile 2013, n. 9536; Cass, sez. V, 17 ottobre 2014,
n. 22003.
122
Cass. sez. V, 22 gennaio 2013 n. 1435.
123
Cass. sez. V, 12 dicembre 2014, 26174.
124
Ad es. Cass. sez. VI, sottosezione 3, Cass. 25 marzo 2015, n. 7456, la quale tuttavia ritiene di offrire una
giustificazione teorica al principio di autosufficienza: “Il Collegio, contro quelle opinioni che ritenevano
la costruzione da parte della giurisprudenza di questa Corte del principio di autosufficienza priva di
fondamento sul piano della logica delle norme processuali, rileva che, se ci si chiede quale di quel
principio fosse il fondamento, un'agevole risposta favorevole si otterrebbe considerando in progressione
logica i seguenti principi: a) il principio della domanda (art. 99 c.p.c.), applicabile anche al ricorso per
cassazione, che è una "domanda" proposta in sede di impugnazione, e la struttura del ricorso per
cassazione come mezzo di impugnazione a critica limitata: poichè il ricorso per cassazione è una
domanda impugnatoria che può proporsi per certi particolari motivi, come tale necessariamente si deve
48
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*****************
L’esame di alcune delle sentenze che nelle diverse sezioni civili della Corte di Cassazione
ho offerto mostra, dunque, una situazione ancora non integralmente definita.
Residua, tuttavia un criterio comune alle varie posizioni, ovvero il requisito della
“completezza” e della “specificità” del motivo, inteso come necessità di trarre dal solo
ricorso sufficiente cognizione della censura e delle questioni giuridiche sottese. Quanto
invece alla necessità o no dell’integrale trascrizione degli atti processuali all'interno del
ricorso, permangono diverse letture; la versione light del principio, che condivisibilmente
si accontenta della sintesi dell’atto richiamato, in evidente sintonia con i suggerimenti
offerti dal primo presidente della Corte di Cassazione125, sembra acquistare spazio126.
Ma non mancano certo ancora sentenze che continuano a richiedere l’integrale
trascrizione tout court degli atti o dei documenti processuali che si richiede alla Corte di
legittimità di riesaminare. E che sembrano anzi rappresentare a tutt’oggi la posizione
sostanziare, per il concetto stesso di impugnazione, in una critica alla decisione impugnata, il che
impone di prospettare alla Corte nell'atto con cui viene proposta perché la decisione è errata secondo il
paradigma dell'art. 360 c.p.c. e, quindi, di dirlo argomentando dalle risultanze processuali del merito,
siano esse documenti o atti processuali; b) la struttura del giudizio di cassazione assegna al ricorso la
funzione di sede esclusiva dell'attività di allegazione diretta a sorreggere il mezzo di impugnazione (e al
controricorso quella di sede esclusiva delle allegazioni in senso contrastante), tanto che le memorie di
cui all'art. 378 c.p.c. e la discussione orale, non possono che svolgere funzione meramente illustrativa
delle allegazioni del ricorso (salva la deducibilità di fatti nuovi), ed inoltre vede sostanzialmente assente
- salve le limitate eccezioni che si sono individuate in dottrina - un'attività istruttoria, essendo il
processo scritto ed essendo, peraltro, come rivela l'art. 372 c.p.c., nuove produzioni limitate a quanto
tale norma consente, mentre il materiale istruttorio formatosi nelle fasi di merito è producibile ed anzi
deve esserlo ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ma lo deve all'atto del deposito del ricorso. In
una cornice funzionale siffatta, le allegazioni che sui documenti e sugli atti processuali si fondano
debbono necessariamente essere articolate nel ricorso, di modo che tutto ciò che non è dedotto nel
ricorso non può entrare più nel processo. E le allegazioni debbono esserlo in modo specifico e non
attraverso una generica enunciazione che l'allegazione troverebbe riscontro in un determinato atto o
documento e, quindi, con l'affidamento alla Corte del compito di cercare prima l'atto o il documento e,
quindi, la conferma in essi di quanto vi si è fondato. Una simile enunciazione darebbe, infatti, alla Corte
il potere di procedere a tale riscontro con evidente soggettivismo (rischioso ai sensi dell'art. 391 bis
c.p.c.) e, poiché non è prevista l'interlocuzione della Corte con la parte, sia pure nell'udienza (salvo per
il potere di cui all'art. c.p.c., 384 comma 3), l'eventuale riscontro che il relatore avesse ritenuto di
rinvenire studiando il fascicolo, non sarebbe soggetto ad alcuna possibilità di verifica di rispondenza
all'intento della parte. Non solo: la controparte sarebbe esposta all'assoluta incertezza del se la verifica
della Corte possa dare esito positivo o negativo, sicchè l'autosufficienza assolveva anche alla garanzia
dell'effettività del contraddittorio. Queste essendo le giustificazioni del principio di autosufficienza, il
legislatore delegato del 2006, di cui a D.Lgs. n. 40 del 2006, ha ritenuto di codificarle nella norma
dell'art. 366 c.p.c., n. 6, e, nell'applicare tale norma delle ragioni giustificative che stavano sottese alla
regola giurisprudenziale della ed. autosufficienza è necessario tenere conto, perché esse forniscono il
metro esegetico "giusto" per la sua applicazione (che l'art. 366, n. 6 sia l'approdo normativo del
principio di autosufficienza è stato espressamente affermato da Cass. n. 12239 del 2007, seguita da
numerose conformi)”.
125
V. al paragrafo precedente.
126
Cfr. http://www.judicium.it/admin/saggi/517/Lettera%20Presidente%20Cassazione.pdf.
49
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maggioritaria della Suprema Corte ora citate. Sul punto, tuttavia, voglio osservare che la
precedente analisi, centrata sulle decisioni in cui la Corte ha espressamente ritenuto di
decidere avendo riguardo al principio di autosufficienza, per disporre nella più parte dei
casi per l’inammissibilità dell’esame del motivo di ricorso, pur illuminante, rischia di
dare una lettura comunque parziale dei complessivi intendimenti della cassazione.
Spesso, infatti, la corte è chiamata a decidere su motivi di ricorso in cui il ricorrente
ricostruisce adeguatamente la fattispecie da esaminare, riassumendo quando occorre
esaustivamente atti e documenti del giudizio di merito pur evitando di procedere ad una
pedissequa trascrizione; in queste ipotesi, in genere, la corte di cassazione si dedica
immediatamente a passare all’esame del motivo nel merito, ritenendo assolto il requisito
dell’autosufficienza. Il controllo della sussistenza del requisito della autosufficienza in
questi casi, eccetto per lo più casi in cui la corte risponde ad una eccezione del resistente,
viene effettuato favorevolmente dalla corte ma non esplicitato con una pronuncia
apposita; e, pertanto, appare arduo ricavarlo dalle massime o dal contenuto delle
sentenze. Eppure esiste, ed ha una valenza non indifferente, e consente io credo di
affermare che la Corte abbia nei confronti del principio in questione una lettura ancora
appunto non omogenea.
Va dato conto, allora, di come talora sembra farsi strada una soluzione per così dire
“intermedia” tra le due letture del principio. Ovvero, non si assume tout court la necessità
della integrale trascrizione, e tuttavia, ad esempio in materia di interpretazione di atti
processuali o di contratti, si pronuncia la inammissibilità del ricorso “qualora la parte
riportata in sentenza non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato”; al di
là dell’affermazione in astratto nel concreto in realtà così ritenendo di regola
indispensabile l’integrale trascrizione salvo ipotesi limitate in cui questo non sia
necessario, lasciando infine un pericoloso margine discrezionale non predeterminabile e
difficilmente armonizzabile ai giudici del Supremo Collegio. Una lettura, anche questa,
non ancora in linea con gli spunti offerti dalla migliore dottrina, anche in riferimento alla
riforma del 2006 degli art. 366 e 369 c.p.c.127, ed alle suggestioni culturali ricavate
nell’ultimo biennio128; e che lascia in grande imbarazzo l’avvocato nella redazione del
ricorso, combattuto tra il desiderio di aderire alle indicazioni del Presidente Santacroce
nell’evitare la parcellizzazione dei motivi di ricorso e nel limitarsi alla “sintetica
indicazione delle porzioni del documento interessato”, e non della “completa trascrizione
nel ricorso stesso dei documenti”, al fine di poter comporre un efficace ricorso di facile
lettura, e il permanere di pronunce che potrebbero condurre un ricorso così composto
addirittura alla sanzione dell’inammissibilità.
*****************
In conclusione occorre dare conto di una presa di posizione delle Sezioni Unite in
riferimento alla portata del motivo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. per come “rivoluzionato”
dalla riforma del 2012, oggi ridefinito come “omesso esame circa un fatto decisivo per il
127
128
V. retro, parte prima, § 2 e 3.
V. al § 2.
50
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giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il nuovo motivo di ricorso 129, ai
fini che ci occupano, rappresenta qualcosa che richiama (pur se non necessariamente) la
motivazione della sentenza impugnata con “l’omesso esame”, ma ancora elementi, “il
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, che si
ricavano al di fuori della motivazione della sentenza impugnata, così legittimando ed
imponendo viepiù la estensione del sindacato della Corte di Cassazione oltre la sentenza
e fino al controllo extratestuale della legittimità della sentenza impugnata, similmente a
quanto da tempo attuato, con analoga modifica, nel codice di rito penale”130. Ai fini
dell’autosufficienza, dunque, è coerente con la nuova disposizione, ritenere che, per come
oggi richiesto dalla Suprema Corte “la parte ricorrente dovrà quindi indicare, nel rigoroso
rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 comma 1 n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2 n. 4),
il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o
extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il
quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la
decisività del fatto stesso”131.
Enucleati così gli elementi essenziali richiesti dal nuovo n. 5 perché il principio di
autosufficienza possa dirsi rispettato quanto ai profili di completezza e specificità, a
livello teorico rimane però che anche in questa ipotesi le Sezioni Unite non hanno dettato
una regola espressa in cui si richiede la trascrizione integrale dei documenti; pur se è vero
che, nella fattispecie concreta che ha occasionato una delle due delle pronunce delle
Sezioni Unite, si dichiara l’inammissibilità di un ricorso privo di una trascrizione
integrale dei passi oggetto di contestazione, assunta nel caso di specie come momento
appunto indispensabile per la piena comprensione del ricorso132.
129
Al riguardo rimando ad un mio articolo “Il controllo del giudizio di fatto in cassazione e le sentenze
delle Sezioni Unite”, in corso di stampa.
130
LOMBARDO, op. cit., 240, rileva che l’art. 8 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha sostituito la lett. e
dell’art. 606 c.p.p. prevedendo ora che il vizio della motivazione non è più censurabile soltanto quando
risulti “dal testo del provvedimento impugnato”, ma anche quando risulti “da altri atti del
provvedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”.
131
Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054.
132
Le Sezioni Unite con la sentenza 8053/2014, nel dichiarare inammissibile un motivo del ricorso per
cassazione proposto dalla Agenzia delle Entrate per mancato rispetto del principio espresso dall'art. 366
c.p.c., hanno precisato che: “Secondo il costante orientamento di questa Corte "nel giudizio tributario,
in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall'art. 366 cod. proc. civ.,
qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della
congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento....è necessario, a
pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente
interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo,
essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è
necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a
suo fondamento" (Cass. n. 9536 del 2013; v. nello stesso senso Cass. nn. 8312 del 2013; 13007 del
2007; 12786 del 2006; 15867 del 2004)”.
51
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2 b. Segue. Il principio di autosufficienza e il deposito dei documenti richiamati nel
ricorso nel fascicolo di parte.
Si è, ancora dato conto dello stato dell’arte quanto invece all’introduzione, ad opera della
recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, o meglio di un filone della stessa,
dell’ulteriore onere di produrre, nuovamente e separatamente nel fascicolo di legittimità,
gli atti posti a fondamento del ricorso, ritenendo talora non adempiuto tale obbligo
neanche attraverso la formulazione della richiesta di trasmissione degli atti del giudizio di
merito alla cancelleria del giudizio di appello, e così anche quanto alle problematiche
insite nelle ipotesi in cui i documenti citati siano posti nei fascicoli della controparte, e da
questa ritirati133.
Anche questo aspetto, pur incidentalmente, è stato a ben vedere oggetto delle attenzioni
del Primo Presidente della Corte di Cassazione, laddove egli nella sua lettera, più volte
citata, nel riferirsi ai documenti la cui omessa o non corretta valutazione sia oggetto del
motivo di impugnazione, aggiunge “eventualmente allegati al ricorso ai sensi dell’art.
369, comma 2, n. 4, c.p.c.”; una eventualità, dunque, e non un obbligo ulteriore a pena di
inammissibilità, come del resto già ritenuta da altro filone di decisioni della Suprema
Corte, che dovrebbero a maggior ragione oggi prevalere. Anche sul punto, tuttavia, si
mantiene dunque una incertezza applicativa che non sembra superata dall’ultimo biennio
di applicazione della disciplina.
Anche se spesso la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull’onere di allegazione
di atti o documenti nel fascicolo di parte in cassazione, richiama alcuni assunti sul tema
della Suprema Corte, come principi evidentemente in via di consolidamento, che
ritengono sufficiente, ai fini dell’assolvimento degli oneri di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c. in
correlazione all’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., la produzione dei fascicoli di parte del
giudizio di merito, e se il documento sia conservato nel fascicolo di controparte
l’indicazione di dove il documento sia stato prodotto nella fase di merito, e quanto agli
atti contenuti nel fascicolo d’ufficio il deposito della richiesta di trasmissione del
fascicolo alla cancelleria della corte di merito134 (oltre alla indicazione all’interno del
ricorso dell’esatta allocazione dei documenti nel fascicolo processuale).
133
134
V. § 4 e 6.
Cass. sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2788, afferma che “Invero l'onere della parte di rispettare il principio
di autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo una consolidata elaborazione
giurisprudenziale costituisce il corollario del requisito di specificità dei motivi di impugnazione, risulta
ora tradotto nelle più puntuali e definitive disposizioni contenute nell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art.
369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. SS.UU. 22 maggio 2012, n. 8077 in motivazione). Sull'interpretazione
dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 sono intervenute le SS.UU. di questa Corte con sentenza 2 dicembre
2008, n. 28547, affermando il principio, puntualizzato con sentenza 25 marzo 2010, n. 7161, secondo
cui l'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l'indicazione
degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia
specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto. Tale prescrizione va correlata
all'ulteriore requisito di procedibilità di cui all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 per cui deve ritenersi, in
particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso
ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si
52
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3. Istruzioni per l’uso
Dalla lettura dello stato dell’arte discende una reale incertezza su come stendere un
ricorso per Cassazione in linea con gli attuali precetti giurisprudenziali resi nella
determinazione del principio di autosufficienza135.
a) Si può partire da un punto se non ancora fermo, probabilmente in via di rapido
consolidamento; nell’esposizione sommaria dei fatti di causa, di cui all’art. 366, comma
1, n. 3 c.p.c., è suicida riportare integralmente il contenuto degli atti processuali136,
poiché la mancata sintesi ed individuazione dei momenti salienti ai fini
dell’impugnazione conduce oggi ineluttabilmente alla inammissibilità del ricorso per
violazione del principio di autosufficienza.
specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il
documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l'indicazione che il
documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si
rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in
cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo
produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo
alla nullità della sentenza od all'ammissibilità del ricorso (art. 372 cod. proc. civ.) oppure di documento
attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l'esaurimento
della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e
indicazione della produzione stessa nell'ambito del ricorso. In sostanza, ancorchè l'onere del ricorrente,
di cui all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 di
produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi
collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel
fascicolo di parte, mediante la produzione dello stesso, e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel
fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del
giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi
dell'art. 369 c.p.c., comma 3, resta ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di
inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, del contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si
fonda, nonchè dei dati necessari al loro reperimento (confr. Cass. civ. 3 novembre 2011, n. 22726)”.
135
Va aggiunto, per completezza, che l'introduzione del filtro di ammissibilità del ricorso ai sensi dell'art.
360 bis c.p.c., spinge a ritenere che la parte nella redazione dell'atto introduttivo del giudizio di
cassazione, per sottrarsi ad una eventuale dichiarazione di inammissibilità per violazione del principio
di autosufficienza nella sua versione rigida, dovrà adesso rispettare taluni requisiti (seppur non
espressamente previsti dall'art. 366 c.p.c), come l'indicazione della questione di diritto decisa dal
giudice del merito, la conformità del motivo di ricorso rispetto all'orientamento giurisprudenziale della
Corte, o la novità della stessa, o l'indicazione delle regole che hanno determinato la violazione dei
principi del giusto processo. Sull'argomento, v. RUSCIANO, Nomofilachia e ricorso in cassazione, cit.,
161-162 e 191-193.
136
Rimane semmai, per come si dirà più avanti, l’alternativa di riportare più estesi brani dei documenti e
degli atti processuali anche nella parte del ricorso destinata all’esposizione sommaria dei motivi, non
nel corpo del ricorso, ma al limite in nota a piè di pagina, avvertendo della probabile superfluità della
lettura alla luce della riduzione ragionata operata nel testo principale, ma inserendo comunque una
trascrizione più ampia per una ulteriore comodità di lettura del collegio decidente che ritener esse di
voler così procedere.
53
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b) Quanto invece alla stesura dei motivi del ricorso per cassazione137, in riferimento
all’obbligo di trascrizione degli atti o dei documenti processuali richiamati nel ricorso,
appare evidente come non sia dato scegliere con certezza a priori tra due diverse filosofie
nella redazione dell’atto. Si può cioè già oggi ritenere:
1) la lettura del principio di autosufficienza come necessità della specificità e
completezza del motivo, unito al necessario rispetto del canone della brevità e della
sintesi, lettura che quasi impone l’abbandono del criterio strong del principio di
autosufficienza, ed in conseguenza evitare di inserire l’integrale trascrizione nel corpo
dell’atto del documento o dell’atto processuale che viene censurato.
Aderendo ad una simile lettura, potrebbe essere prudente, in nota, specificare che la scelta
di non procedere alla integrale trascrizione risponde ai principi più attenti riscontrati nella
giurisprudenza della cassazione, al canone di brevità dell’atto processuale, alle
esortazioni alla classe forense lanciate dal primo presidente della corte di cassazione.
2) d’altro canto, l’esame della attuale fase giurisprudenziale retro effettuato ha
evidenziato come una robusta parte della giurisprudenza, maggioritaria forse ancora
almeno in alcune sezioni della Suprema Corte, pretende a pena di inammissibilità tuttora
l’integrale trascrizione; ma è sufficiente ricordare le più frequenti decisioni che paventano
l’inammissibilità per mancanza di integrale trascrizione, da valutare caso per caso per
comprendere come, anche in tali ipotesi, aderire alla integrale trascrizione del documento
appaia forse ancor oggi un ipotesi di maggiore tranquillità, posto che al contrario, almeno
fino ad oggi, non si danno notizie di motivi di ricorso il cui esame nel merito sia precluso
perché nel corpo del motivo il documento è stato integralmente trascritto, per violazione
ad esempio del canone di sintesi e brevità.
3) è forse opportuno, allora, suggerire una diversa alternativa protettiva per il ricorrente,
che non conduca tuttavia al rischio della inammissibilità del motivo, pur nel rispetto dei
canoni di brevità e sintesi. Quanto al principio di autosufficienza, si può suggerire di non
trascrivere integralmente il documento nel corpo del ricorso, ma di utilizzare le note a piè
di pagina, inserendo ivi la trascrizione integrale, così comunque offerta all’attenzione del
collegio decidente.
c) Una ulteriore riflessione deve essere dedicata ai requisiti per integrare i canoni di
completezza e specificità del ricorso sempre in riferimento al principio di autosufficienza:
in argomento, quanto ai motivi di ricorso fondati sull’art. 360 n. 5 c.p.c., si può rimandare
alle condivisibili indicazioni recentemente espresse dalle Sezioni Unite 138; consigliando
altresì una maggiore attenzione nella censure delle regole metodologiche prima
aggredibili ex n. 5, ed ora verosimilmente ex n. 3, per come retro evidenziato139.
137
Il problema più importante, io credo, è se con un unico motivo di ricorso si possano o no dedurre più vizi
riferibili ai diversi motivi di cui all'art. 360 c.p.c. Anche su tale punto, la giurisprudenza della Corte di
Cassazione non manifesta una posizione univoca. Per un'analisi della giurisprudenza di legittimità, v.
FRASCA, Ricorso, controricorso, ricorso incidentale, in ACIERNO, CURZIO, GIUSTI, La Cassazione
civile, Bari, 2011, 62 ss.
138
V. al § 2a, II sezione.
139
V. al § 2, II sezione.
54
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Diversa è, infine la valutazione del principio di autosufficienza in riferimento alla
necessaria o no introduzione degli atti e documenti citati nel ricorso, pur già presenti nei
fascicoli di parte o nel fascicolo d’ufficio dei gradi merito, nel fascicolo di parte del
giudizio di cassazione. Anche in questo, si è già retro evidenziata la erroneità delle tesi
accolte in quel (robusto) filone giurisprudenziale che pretende una ulteriore deposito; e,
tuttavia, si è anche dato conto di come l’onere (ingiustamente) imposto al ricorrente non
sia nella più parte dei casi particolarmente gravoso.
Un canone di “prudenza”, cioè il canone non scritto ma saggiamente presente nella prassi
forense, potrebbe allora consigliare di provvedere comunque al deposito in questione, in
particolare per quei documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio o nel fascicolo di
controparte nei gradi di merito, che potrebbero non essere arrivati davanti alla cassazione
al momento della decisione.
4. Sulla opportunità di un auspicabile intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.
Il carattere variegato ed eterogeneo del panorama giurisprudenziale delineato, dalla
Suprema Corte in tema di autosufficienza del ricorso per cassazione, rende, a mio avviso,
auspicabile un intervento risolutivo e chiarificatore delle Sezioni Unite, al fine di definire
i contorni e la portata del principio in esame, la cui puntualizzazione è divenuta
francamente indispensabile onde far cessare questo perdurante stato di disorientamento
ed incertezza sulla reale fisionomia dei requisiti di forma-contenuto dell’atto introduttivo
del giudizio di cassazione, che altrimenti necessiterà di troppo tempo prima di
raggiungere nuove conclusioni univocamente definite e conformi per tutte le sezione
della cassazione civile.
Al riguardo, non sembra inutile ricordare come proprio nel campo del diritto processuale
l’esigenza di stabilità140 sia particolarmente avvertita141, e come lo stesso mal sopporti
l’incertezza giurisprudenziale142. Si consideri poi che, le questioni processuali, a
differenza di quelle sostanziali, non sono tendenzialmente proprie di una sezione soltanto
della Suprema Corte, ma si appoggiano quasi indifferentemente alle varie sezioni, a
140
Proprio le esigenze di stabilità e di affidamento sottese alle decisioni della Cassazione in campo
processuale, e la difficoltà di raggiungere gli obiettivi esaprocessuali sulla sola base delle decisioni
contraddittorie ed incoerenti rese dalle sezioni semplici, consentono, a mio avviso, di annoverare le
questioni – come quella in esame – dotate di un margine rilevante di incertezza, tra quelle che possono
essere legittimamente definite “di massima di particolare importanza”, tali cioè da giustificarne la
devoluzione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c.
141
Un’opinione autorevolmente condivisa (v. DENTI, A proposito di Corte di cassazione e di nomofiliachia,
in Foro.it, 1986, V, 417), riconosce espressamente, quanto alle questioni processuali, la prevalenza
dell’esigenza della stabilità sulla bontà della soluzione.
142
Sul punto v. SANTANGELI, L'udienza di prima comparizione in una interpretazione della Suprema Corte
(considerazioni sul «precedente giudiziario» ), in Riv. dir. Proc., 2001, II, 587.
55
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seconda dell’oggetto sostanziale della controversia. Ne deriva che non c’è una sezione
con competenza tendenzialmente esclusiva a “dare la rotta” dell’atteggiamento
giurisprudenziale sulla materia, e che pertanto è ben ipotizzabile che la decisione di una
sezione, che solo per motivi di precedenza meramente temporale si sia trovata ad
occuparsi di una vicenda processuale, potrebbe non fondare uno stimolo particolarmente
elevato per le sezioni successive che dovessero trovarsi a giudicare successivamente di
un’analoga fattispecie.
D’altro canto, le diverse letture del canone dell’autosufficienza del ricorso – a cui fanno
capo i molteplici e contraddittori orientamenti espressi delle varie sezioni della Corte –
hanno raggiunto un grado di consapevolezza tale da rendere maturi i tempi per
l’intervento delle Sezioni Unite143. La tematica in esame può essere, infatti, certamente
annoverata tra quei casi di particolare complessità in cui per pronunciare rettamente si
avverte come indefettibile l’esigenza di una compiuta evoluzione del pensiero, un
sedimentare e maturare delle convinzioni, se necessario proprio grazie a pur dolorosi
contrasti diacronici, che potrebbero, per alcune ipotesi, rendere eccessivamente rischioso
un tentativo di cristallizzare immediatamente (o meglio prematuramente) la situazione
attraverso una pronuncia delle Sezioni Unite. Proprio il predetto grado di consapevolezza,
raggiunto dagli orientamenti espressi dalle diverse sezioni semplici, consente invece di
scongiurare – con riguardo al “multiforme” canone di autosufficienza – il rischio di
esaltare – attraverso l’auspicato intervento del Supremo Collegio – decisioni giudiziali
non ancora pienamente maturate e consolidate, che si rivelerebbero poi assai difficili da
modificare144.
Occorre, infine, considerare che la funzione nomofilattica che la legge riconosce alla
Corte di Cassazione presuppone l’autorevolezza delle sue decisioni 145, la quale dipende
anche dal grado di affidabilità degli orientamenti che la stessa esprime. Orbene, non vi è
dubbio che, con riguardo al principio di autosufficienza, appare quanto mai
indispensabile un intervento delle Sezioni Unite, volto a ripristinare detti parametri di
affidabilità ed autorevolezza.
143
Sui presupposti, la funzione e la valenza sistematica delle pronunzie delle Sezioni Unite, v., se vuoi,
SANTANGELI, La sentenza civile come precedente giudiziale. Il suo valore, le modalità di estrazione, i
suoi interpreti, Catania 1996, 34, ss.
144
Per tali ragioni, assume rilievo fondamentale l’esercizio del “potere” del Primo Presidente della Corte di
Cassazione di disporre il rinvio della causa alle sezioni unite in ipotesi di contrasto tra le sezioni o per
questioni di particolare importanza; questo potere deve essere costruito come un “dovere discrezionale”
del Primo Presidente, di estrema importanza per la migliore riuscita della funzione nomofilattica della
Suprema Corte, che non scatta automaticamente ma che andrà eventualmente disposto solo dopo attenta
riflessione, perché all’esigenza di dare pronto affidamento a determinate decisioni in determinate
materie o fattispecie, potrebbero contrapporsi – nel caso concreto – reali incertezze e la necessità di
favorire un’evoluzione più dialettica, tali da far sconsigliare di forzare immediatamente con la
predisposizione di una pronuncia delle Sezioni Unite
145
In tema di rapporto tra la funzionone nomofilattica e l’autorevolezza delle pronunzie della Suprema
Corte, cfr. SANTANGELI, ult. op. cit., 51.
56
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È vero che le Sezioni Unite, anche nell’ultimo biennio, hanno avuto modo di pronunciare
sulla portata del principio146; si è trattato, tuttavia, di decisioni che hanno affrontato il
principio di autosufficienza solo incidentalmente nell’ambito di decisioni che avevano ad
oggetto questioni sostanziali o di giurisdizione.
Se il Presidente Santacroce volesse rapidamente innestare nella coscienza della classe
forense e della giurisprudenza di legittimità le indicazioni così condivisibili e di buon
senso da Egli suggerite nella lettera inviata al presidente Alpa147, il passaggio più felice
non potrebbe che essere una o più pronunce delle Sezioni Unite espressamente e
principalmente dedicate agli aspetti oggi incerti nella definizione del principio sulla scia
delle sagge esortazioni del Primo Presidente della Corte di Cassazione.
5. Il principio di autosufficienza domani: alla prova del processo telematico.
Una ultima riflessione la dedico ad un futuro non troppo lontano.
Se oggi inizio un processo di primo grado ho la scelta tra provvedere a notificare l’atto
introduttivo in forma cartacea o provvedere a notificare a mezzo Pec un atto introduttivo
formato digitalmente nell’ipotesi in cui il destinatario sia titolare di un indirizzo di posta
elettronica certificata risultante da pubblici registri (INIPEC e altri).
La costituzione in giudizio (ed il contestuale deposito dei documenti), allo stato, può
essere compiuta sia nelle forme tradizionali (cartacee), sia con modalità integralmente
telematiche.
Allo stesso modo oggi ci si regola per la costituzione del convenuto.
Peraltro, se oggi l’atto introduttivo può ancora essere integralmente cartaceo; è invece
assai probabile, ritengo, che in un prossimo futuro anche di questo atto si disporrà
quantomeno la conservazione in formato digitale nel fascicolo telematico.
Ed è allo stesso modo assai probabile l’introduzione di un onere di digitalizzazione anche
dei documenti depositati al momento della costituzione in giudizio148.
Già da adesso, peraltro, tutto quello che avviene nel processo dopo la fase strettamente
introduttiva, deposito di documentazione compresa, è integralmente telematico.
E già oggi, del resto, alcuni processi avranno un fascicolo d’ufficio integralmente
telematico; ed è possibile, anzi probabile, che in un futuro prossimo questa sarà la regola
di ogni giudizio civile. Sia per il fascicolo d’ufficio, che per i fascicoli di parte.
Questo eliminerà l’attuale rischio dello smarrimento dei fascicoli, o di alcuni atti o
documenti di causa, e delle conseguenti difficoltà di ricostruzione.
E renderanno prive di senso tutte le disposizioni che ancora oggi hanno ad oggetto il
ritiro degli atti di parte nel corso del giudizio (art. 169 c.p.c. e 77 disp. att. c.p.c.).
146
Faccio riferimento al paragrafo 2.a.
V. retro § 1, II parte.
148
Del resto, già oggi il procedimento per la concessione del decreto ingiuntivo è integralmente telematico.
147
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Gli atti e i documenti allegati nel fascicolo di una parte saranno così sempre consultabili
dalla controparte, e su di essi si potrà tranquillamente fondare il gravame; si esalterà così
il principio di acquisizione degli atti processuali, già oggi posto a fondamento da una
sentenza delle Sezioni Unite che subordina il ritiro del fascicolo di parte al contestuale
deposito di copia dei documenti probatori “onde impedire che risulti impossibile all’altra
parte fornire, anche in sede di gravame, le prove che erano desumibili nel fascicolo
avversario”149.
Infine, la trasmissione dei fascicoli dalle Corti d’Appello alla Cassazione sarà immediata,
con un clic, senza rischi di ritardi o smarrimenti.
E questo nuovo modus non sarà indifferente alla determinazione della portata del
principio di autosufficienza, che dovrà essere opportunamente ridelimitato.
Quanto al contenuto del ricorso, ritengo sarà sempre più indifendibile la tesi che pretende
la trascrizione integrale di atti e documenti di causa richiamati nel ricorso, attesa la
estrema facilità di procedere al loro reperimento con un semplice clic.
Ed allo stesso modo, ritengo sarà immediatamente spazzata via ogni ipotetica necessità di
inserire i documenti utilizzati nel fascicolo di parte della cassazione, sempre alla luce
della estrema facilità del reperimento e della pratica impossibilità dello smarrimento o del
ritardo della trasmissione nel fascicolo dei gradi di merito dalle Corti d’Appello alla
Corte di Cassazione.
Il principio di autosufficienza si rivelerà, allora, plus ou moins come all’inizio inteso dalla
prima giurisprudenza; la necessità, a pena di inammissibilità, del rispetto dei principi di
specificità, completezza e chiarezza nella redazione dei ricorsi150.
Si chiuderà così il cerchio; un perfetto ritorno al futuro.
149
150
Già citata nel § 7 sezione I.
V. al § 1.
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