www.judicium.it FABIO SANTANGELI Autosufficienza. Ieri, oggi, domani. “...Eppur si muove....”. Dal peccato di omissione al peccato di commissione Sommario: Premessa. - Sezione prima: L’autosufficienza ieri e l’altro ieri. - 1. Il principio di autosufficienza nella Giurisprudenza di Legittimità anteriore alla riforma del 2006. Le critiche della dottrina. - 2. La riforma del procedimento di cassazione del 2006. - 3. Gli orientamenti incerti e contraddittori della giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla portata del principio di autosufficienza dopo la riforma del 2006: davvero un “repertorio bon à tout faire” quanto alla necessità, o anzi addirittura al divieto, di trascrizione di parti del processo nel ricorso. - 4. Segue. L’introduzione, ad opera della Giurisprudenza della Corte di Cassazione, dell’ulteriore e gravoso onere di produrre, nuovamente e separatamente nel fascicolo del giudizio di legittimità, gli atti posti a fondamento del ricorso. - 5. Critiche ai recenti orientamenti della Corte di Cassazione in tema di autosufficienza, alla luce dell’attuale assetto normativo delineato dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006. - 6. Segue. Sui, parimenti criticabili, indirizzi giurisprudenziali della Corte di Cassazione in tema di specifica ed ulteriore produzione, in sede di legittimità, degli atti posti a fondamento dell’impugnativa. - 7. Segue. Gli ostacoli di ordine pratico al corretto assolvimento dell’onere di produzione dei documenti nel fascicolo del giudizio di cassazione. Aspetti problematici e possibili soluzioni. - Sezione seconda: L’autosufficienza oggi e domani (dal 2013 all’infinito…). -1. L’evoluzione concettuale nell’ultimo biennio. Tra l’onere di trascrizione integrale e i profili di completezza e specificità dopo la riforma del 2012, la lettera del primo presidente della Corte di Cassazione, le determinazioni delle corti sovranazionali. Una ulteriore suggestione alla rivisitazione del principio ed all’abbandono della sanzione dell’inammissibilità. 2. L’evoluzione giurisprudenziale. Il contenuto del ricorso: una posizione ormai definita sulla “esposizione sommaria degli atti della causa”. - 2a. Segue. Il contenuto del ricorso: il principio di autosufficienza ed i motivi per i quali si chiede la cassazione. - 2b. Segue. Il principio di autosufficienza e il deposito dei documenti richiamati nel ricorso nel fascicolo di parte. - 3. Sulla opportunità di un auspicabile intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. 4. Istruzioni per l’uso - 5. Il principio di autosufficienza domani: alla prova del processo telematico. Premessa. Il principio dell’autosufficienza delle difese delle parti nel giudizio di cassazione1 continua a occupare gli operatori teorici e pratici del processo2. 1 Un principio, peraltro, che mostra una insospettata capacità espansiva; in arg. v. se vuoi, CASTALDI, Il principio di autosufficienza dell’atto introduttivo del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale, in www. norma.dbi.it (non letto) in Rass. amm. sic., 2009, 390 ss. 2 Da ultimo, il tema è stato oggetto del Convegno organizzato dall'Associazione Nazionale Forense, che si è svolto a Roma il 16 dicembre 2014, “II ricorso per cassazione in materia civile. La funzione di 1 www.judicium.it Recenti evoluzioni legislative, dottrinali, giurisprudenziali, ne suggeriscono una rivisitazione; e siccome di questa regola mi sono già occupato nel 2012, ritengo opportuno ripartire riportando con poche modifiche quanto già sostenuto, per poi valutare se e cosa sia cambiato nell’ultimo biennio, e poi infine cosa cambierà nel prossimo futuro. Sezione prima: L’autosufficienza ieri e l’altro ieri. 1. Il principio di autosufficienza nella Giurisprudenza di Legittimità anteriore alla riforma del 2006. Le critiche della dottrina. Il c.d. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di esclusiva genesi pretoria, non trova alcuna espressa regolamentazione normativa nel codice di rito civile, né alcun riferimento o indicazione che ne legittimi la ricostruzione esegetica sotto il profilo sistematico. Nonostante ciò, detto principio è uno degli strumenti maggiormente adoperati dalla Suprema Corte per la falcidiazione, sotto il profilo dell’inammissibilità, dei numerosi ricorsi che hanno sempre più esponenzialmente incrementato i giudizi pendenti dinanzi al Giudice di Legittimità. La lettura dei repertori dell’immediato dopoguerra rivela come il principio di autosufficienza fosse all’epoca del tutto assente – oltre che dall’assetto normativo – dal panorama giurisprudenziale italiano. I requisiti della completezza e specificità del ricorso venivano letti dalla Corte di Cassazione nel senso di richiedere che l’atto introduttivo rappresentasse – sia pure in via sommaria – un quadro esaustivo delle circostanze e degli elementi di fatto oggetto della controversia, nonché dello svolgimento del giudizio di merito nelle sue varie fasi, in modo da poter trarre dal solo ricorso sufficiente cognizione della censura e delle questioni giuridiche alla stessa sottese3. nomofilachia della Corte fra filtri di ammissibilità, principio di autosufficienza e dovere di sinteticità”, con le relazioni di Eduardo Campese, Andrea Melucco, Fabio Santangeli, Lucia Tria. 3 V. Cass. 15 marzo 1952, n. 720. 2 www.judicium.it Tale lettura giurisprudenziale rimase immutata finché la Corte di Cassazione, nei primi anni ottanta, iniziò – a mio avviso in maniera anche ragionevole – a rivedere il proprio orientamento sulle tecniche di redazione e sui requisiti formali dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità4, richiedendo, a pena di inammissibilità del motivo di gravame, il rispetto dei principi di specificità, completezza, chiarezza e precisione nella redazione dei ricorsi. Nella seconda metà degli anni ottanta, il principio di autosufficienza iniziò ad apparire sullo scenario giurisprudenziale5, assumendo, all’inizio, perlopiù le sembianze di un “fratello gemello” del canone di specificità e completezza, il cui rispetto è stato da sempre preteso dalla giurisprudenza di legittimità. Nel primo periodo di operatività, ha trovato infatti applicazione, nelle pronunce della Suprema Corte, una sorta di versione light del principio di autosufficienza6, che si traduceva nell’obbligo della precisa indicazione topografica, in seno al ricorso, del luogo, o meglio dell’atto o verbale di causa cui si richiamava la doglianza7. Dopo la prima fase applicativa, la giurisprudenza di legittimità dà alla luce una versione più rigida del principio di autosufficienza8, la cui ratio implicita non risiede più nella 4 V. Cass. 8 settembre 1983, n. 5530, in Giust. civ. Mass. 1983, VII, 85: “Ai fini dell’ammissibilità della censura di difetto di motivazione, il ricorrente in cassazione ha l’onere di indicare specificamente e singolarmente i fatti, le circostanze e le ragioni che assume essere stati trascurati, insufficientemente o illogicamente valutati dal giudice del merito, e tale onere non può ritenersi assolto mediante il mero generico richiamo agli atti o risultanze di causa, dovendo il ricorso contenere in sé tutti gli elementi che consentono alla Corte di Cassazione di controllare la decisività dei punti controversi e la correttezza e sufficienza della motivazione e della decisione rispetto ad essi, senza che sia possibile integrare aliunde le censure in esso formulate”. 5 Tra le prime pronunce in cui compare per la prima volta l’espressione “autosufficienza del ricorso per cassazione”, cfr. Cass. 18 settembre 1986, n. 5656, in Giust. civ. Mass., 1986, VIII, 9; Cass. 22 marzo 1993, n. 3356, in Giust. civ. Mass., 1993, 533; Cass. 2 febbraio 1994, n. 1037, in Giust. civ. Mass., 1994, 104. 6 Che può definirsi anche come una versione più “severa” del requisito della completezza dei motivi. 7 V. Cass., 19 giugno 1995, n. 6927, in Giust. civ. Mass. 1995, VI: “La parte che deduca come mezzo di impugnazione per cassazione un vizio di motivazione della sentenza imputata, da correlarsi alla mancata ammissione di incombenti istruttori da lei articolati, ha l'onere di indicare, nel ricorso, il momento del processo in cui ebbe a dedurre l'incombente assunto non ammesso e l'oggetto preciso di questo, perché solo tali indicazioni possono consentire al giudice della legittimità - cui resta precluso l'esame diretto degli atti di causa - di verificare la decisività della prova offerta e denegata, e di accertare, quindi, la fondatezza della domanda”. 8 Sulla bipartizione tra la versione “rigorosa” e quella “più indulgente” del principio in esame v. CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, in www.judicium.it. 3 www.judicium.it necessità che le censure presentino il giusto grado di specificità e completezza, ma di fatto nell’esigenza – comprensibile, ma allo stesso modo non condivisibile nelle modalità in cui si tenta di soddisfarla – di deflazionare l’imponente carico di ricorsi che negli ultimi anni hanno invaso la Suprema Corte. Quest’ultima versione applicativa del principio di autosufficienza ha portato il Giudice di Legittimità a non accontentarsi della mera indicazione nel ricorso dei documenti da consultare, ed invece a richiedere – a pena di inammissibilità – l’integrale trascrizione degli atti processali – memorie, verbali d’udienza, consulenze d’ufficio o di parte, documenti e testimonianze – posti a fondamento del ricorso9. Il fondamento giuridico di tale lettura estrema del principio di autosufficienza è stato individuato dalla Corte di Cassazione nel limitato potere della stessa di acquisire tutti gli elementi utili alla decisione unicamente dagli atti del giudizio di legittimità – e cioè dal ricorso, dal controricorso ed eventualmente dalla sentenza impugnata – stante l’asserito divieto per il Supremo Collegio di compiere indagini integrative, e quindi di visionare ed esaminare (salvo che i vizi processuali configurino errores in procedendo) gli atti processuali precedenti ed i documenti prodotti nella fase di merito10. 9 V. Cass. 11 febbraio 2009, n. 3338, in Guida al diritto 2009, 16, 75: “Con riferimento al regime processuale anteriore al D.lgs. n. 40 del 2006, a integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente - ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione deve essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi del n. 3 dell'art. 360 o di un vizio integrante "error in procedendo" ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 di detta norma) - la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d'ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità, essa è rinvenibile.”; Cass., 25 luglio 2008, n. 20437, in Guida al diritto 2008, 40; Cass., 05 marzo 2003, n. 3284, in Giust. civ. Mass., 2003, 462: “Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduca l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l'onere, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non o male valutate, nonché di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse.”. Nello stesso senso v. Cass., 10 marzo 2000, n. 2802, in Giust. civ. Mass., 2000, 566; Cass. 25 marzo 1999, n. 2838, in Giust. civ. Mass., 1999, 675. 10 V. Cass. 24 novembre 1999, n. 10017, in Giust. civ. Mass., 1999, 2342; nello stesso senso v. Cass. 09 aprile 2009, n. 8708, in Guida al diritto, 2010, XII: “(…) poiché il ricorso per cassazione - per il principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c.) - deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio e accedere a fonti esterne allo stesso 4 www.judicium.it L’esperienza giurisprudenziale delle pronunzie d’inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza si è affermata all’inizio, preminentemente, con riguardo all’ipotesi di vizio di omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. In questo caso la Corte ha iniziato a pretendere dal ricorrente che censurava, sotto il profilo del vizio di motivazione, la mancata ammissione delle prove richieste nella fase di merito, l’indicazione adeguata e specifica del relativo contenuto11. Come passaggio ulteriore e conseguente, nell’ipotesi di censura dell’omessa ammissione di prove testimoniali nella fase di merito, è stata ritenuta necessaria – a pena di inammissibilità – l’integrale trascrizione dell’articolato della prova per testi, non potendo il ricorrente limitarsi ad indicare genericamente i temi di prova, né limitarsi ad indicare le circostanze oggetto di prova12. Lo stesso valeva anche con riferimento agli altri mezzi istruttori di cui si denunciava la mancata ammissione in sede di merito. Ad esempio, nel caso di mancata ammissione del giuramento decisorio, si richiedeva la trascrizione nel ricorso della formula in cui lo stesso era stato articolato13; allo stesso modo, nell’ipotesi di mancata ammissione dell’interrogatorio formale, la Cassazione ricorso e, quindi, a elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, qualora si deduca che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. per essere sorretta da una contraddittoria motivazione, è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la "ratio decidendi" che sorregge la pronuncia stessa”. 11 V. Cass. 16 marzo 2004, n. 5369, in Giust. civ. Mass., 2004, III: “Qualora in sede di ricorso per cassazione si deduca un vizio circa l'ammissione di un mezzo istruttorio, incombe alla parte ricorrente l'onere di indicare in modo adeguato e specifico il contenuto del cennato mezzo, poiché, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito al giudice di legittimità sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative”. 12 V. Cass. 17 maggio 2006, n. 11501, in Rep. Foro it., 2006, voce Cassazione civile, n. 304, nella quale tuttavia l’enunciazione del principio di autosufficienza veniva utilizzata esclusivamente come argomento ad adiuvandum, ritenendo che in ogni caso il ricorso fosse infondato in quanto la prova per testi di cui si lamentava la mancata ammissione riguardava una sola delle diverse e autonome rationes decidendi, idonee ognuna a supportare la decisione. La Corte è poi arrivata addirittura a pretendere dal ricorrente l'onere di «una doppia trascrizione» degli articolati di prova testimoniale, richiedendo precisamente di riportare nel ricorso oltre al testo dei capitoli di prova non ammessi in sede di appello, del quale appunto si lamentava la mancata ammissione, anche il contenuto integrale delle deposizioni richieste e ammesse in prime cure. Sul punto v. Cass, 21 maggio 2004, n. 9711, in Giust. civ. Mass., 2004. 13 V. Cass. 30 maggio 2002, n. 7923, in Rep. Foro.it., 2002, voce Cassazione civile, 172. 5 www.judicium.it riteneva necessaria la trascrizione, in seno al ricorso, del contenuto delle circostanze sulle quali la parte, in sede di merito, avrebbe dovuto rispondere14. Anche nella diversa ipotesi di erronea o illegittima valutazione dei mezzi istruttori, la Corte di Cassazione richiedeva che il ricorrente specificasse, mediante integrale riproduzione, la risultanza processuale di cui si asseriva la mancata o insufficiente valutazione15. Ad esempio, in materia di prova testimoniale, veniva richiesta, oltre alla specifica indicazione dei fatti che ne costituivano l’oggetto, l’indicazione dei nomi dei testi e la trascrizione integrale delle relative deposizioni16. Parimenti, nell’ipotesi in cui si denunciava l’omessa valutazione di documenti considerati decisivi per il giudizio, è stato ritenuto non autosufficiente, e come tale inammissibile, il ricorso privo della trascrizione integrale degli stessi17. Infine, anche nell’ipotesi di erronea o mancata valutazione di una c.t.u., la Corte si è espressa nel senso di ritenere che le censure mosse alla consulenza dovessero possedere, in forza del principio di autosufficienza, un grado di specificità tale da consentire al Collegio di valutarne la decisività direttamente ed esclusivamente in base al ricorso, imponendo così al ricorrente di riportare per esteso le pertinenti parti della medesima consulenza ritenute erroneamente disattese18; analogamente, nel caso in cui si denunciava l’acritica adesione del giudice di merito alla c.t.u., la Cassazione prevedeva l’obbligo del ricorrente di trascrivere “i passaggi salienti e non condivisi della consulenza e di riportare il contenuto delle critiche ad essi sollevate, 14 V. Cass., 05 giugno 2007, n. 13085, in Giust. civ. Mass., 2007, 6. Cfr., Cass., 12 maggio 2008, n. 11838, in Giust. civ. Mass. 2008, V, 706; Cass. 9 maggio 2008 n. 11517, in Giust. civ. 2008, X, 2132; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965, in Giust. civ. Mass. 2007, XII; Cass. 22 giugno 2007, n. 14853, in Giust. civ. Mass. 2007, VI. 16 V. Cass., 22 marzo 2001, n. 4115, in Giust. civ. Mass. 2001, 550. 17 V. Cass., 05 marzo 2003, n. 3284, in Giust. civ. Mass., 2003, 462; nel caso di specie si trattava di cambiali, originali e rinnovate, fatture e note di accredito. In senso conforme v. Cass., 11 luglio 2003, n. 10948, in Giust. civ. Mass., 2003, 12; Cass. 19 maggio 2005, n. 10598, in Rep. Foro it., 2005, voce Cassazione civile, n. 2219, secondo cui il ricorrente che in sede di legittimità denunci che, in contrasto con le risultanze testuali ricavabili dalla prova documentale, il giudice di merito sia incorso in errore tradottosi in vizio di motivazione, ha l’onere, alla luce del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare con chiarezza il documento ed il passo dello stesso (trascrivendone il contenuto) sul quale si sarebbe determinata l’erronea valutazione. 18 Cfr. tra le tante, Cass. 11 aprile 2006, n. 8420, in Foro it., 2006, I, 3412; Cass. 28 marzo 2006, n. 7078, in Rep. Foro.it., 2006, voce Cassazione civile, n. 289; Cass. 07 marzo 2006, n. 4885, in Rep. Foro.it., 2006, voce Cassazione civile, n. 290; Cass. 30 agosto 2004, n. 17369, in Giust. civ. Mass. 2004, VII. 15 6 www.judicium.it al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice di merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente d’ufficio”19. Nell’ultimo decennio, la Suprema Corte ha operato un'ulteriore estensione20, o meglio generalizzazione, del principio in esame, ritenendolo applicabile a tutti i motivi di gravame, indipendentemente dal tipo di vizio denunciato, e quindi sia che esso fosse qualificabile come error in iudicando o come error in procedendo. In particolare, con riguardo al motivo d’impugnazione previsto al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la Corte di Cassazione ha previsto addirittura l’obbligo, in capo al ricorrente, qualora le censure comportino l’esame di regolamenti comunali o provinciali, di integrale trascrizione ed allegazione delle fonti normative richiamate.21 In questi casi, la Suprema Corte ha peraltro giustificato l’operatività di tale obbligo di trascrizione anche in considerazione dell’inapplicabilità, con riguardo alle norme giuridiche secondarie, del principio iura novit curia22. Inoltre, nell’ipotesi di censura di un errore di diritto nell’interpretazione di una sentenza prodotta nel giudizio di merito, la Corte di Cassazione ha parimenti imposto l’onere di trascrizione della stessa23. 19 Cass., 13 giugno 2007, n. 13845, in Giust. civ. Mass., 2007, VI. Reputata da alcuni come ingiustificata, ma a mio avviso logicamente coerente ed ineccepibile. 21 V. Cass., 15 dicembre 2008, n. 29322, in Giust. civ. Mass., 2008, XII, 1778. Inoltre cfr. Cass. 18 febbraio 2000 n. 1865, in Giust. civ. Mass., 2000, 397. Conformemente, v. Cass. 16 novembre 2005 n. 23093, in Giust. civ. Mass., 2005, VII, nella quale la Corte di Cassazione ribadisce che “allorquando siano sollevate censure che comportino l'esame di un regolamento comunale, è necessario, a pena di ammissibilità, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che le norme del regolamento siano integralmente trascritte”. V. anche Cass. 29 maggio 2006, n. 12786, in Rep. Foro it., 2006, voce Cassazione civile, n. 267 e Cass. 2 dicembre 2004, n. 22648, in Rep. Foro it., 2004, voce Cassazione civile, n. 216. 22 Conseguentemente – argomenta la Corte – nel caso in cui il giudice disponga di poteri istruttori, come accade nella fase di merito, lo stesso può acquisirne diretta conoscenza indipendentemente dall’attività svolta dalle parti, le quali possono limitarsi ad indicare gli estremi necessari per il reperimento di tali atti normativi; in sede di legittimità, invece, mancando detti poteri istruttori del giudice, il principio di autosufficienza impone – a pena di inammissibilità del ricorso – l’integrale trascrizione delle norme secondarie che si assumono violate. 23 V. Cass., 29 settembre 2007, n. 20594, in Guida al diritto, 2007, 48, secondo cui “L'interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, ma nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione. Ciò in forza del 20 7 www.judicium.it Come accennato, anche in relazione agli errores in procedendo si rinvengono numerose pronunce in cui trova applicazione il principio in esame. Al tal riguardo non si può non rilevare che il generale principio secondo cui la Cassazione diviene giudice anche del fatto (nel senso di potere esaminare i fascicoli di causa ed anche accertare e valutare autonomamente e direttamente il fatto processuale, senza il filtro cognitorio del Giudizio di merito) qualora vengano denunziati vizi di nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.24, farebbe cadere quel divieto, per il Supremo Collegio, di compiere indagini integrative – esaminando i fascicoli, di parte o d’ufficio, dei precedenti gradi di giudizio – posto a fondamento del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione25. Nonostante ciò, la Corte di Cassazione ha ritenuto comunque applicabile il principio in esame al predetto motivo di gravame26, limitandosi talora a richiedere – ai fini di un controllo mirato sul corretto svolgimento dell’iter processuale – l’indicazione topografica del “luogo processuale” dove rinvenire gli atti, le pronunce o le omissioni generatrici del vizio denunziato, ed in altri casi ad applicare la versione più rigida del principio di autosufficienza27. In particolare, in tema di vizio di omessa pronuncia su una domanda o un’eccezione ritualmente proposta, la Corte di Cassazione ha espressamente richiesto – oltre all’indicazione dell'atto difensivo o del verbale di principio di autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione con la conseguenza, quindi che qualora l'interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale”. 24 PICARDI, Manuale del processo civile, Milano 2006, 407. 25 Sul punto la Corte di Cassazione (v. Cass., 23 marzo 2005, n. 6225, in Giust. civ. Mass., 2005, III) ha precisato che l'obbligo di astensione per il giudice dalla ricerca del testo completo degli atti processuali (che non ha finalità sanzionatorie), sussistendo anche quando nel ricorso per cassazione sono denunciati errores in procedendo, trova fondamento nell'esigenza di evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo, nell’individuazione degli atti rilevanti in relazione alla formulazione della censura, con conseguente lesione del contraddittorio. 26 Ritengo che tale estensione applicativa del principio in esame sia tutto sommato coerente con la funzione integrativa del requisito della completezza del ricorso che si attribuisce all’autosufficienza. Attenendo infatti il rispetto di tale principio al momento della verifica preliminare dell’ammissibilità dell’impugnativa, l’esercizio dei peculiari poteri cognitori che spettano al Giudice di legittimità nel caso in cui vengano denunziati errores in procedendo, non può che entrare in gioco e quindi assumere rilievo soltanto in un momento eventualmente successivo ed ulteriore rispetto alla verifica dell’osservanza, da parte del ricorrente, del canone dell’autosufficienza. 27 V. Cass. 03 aprile 2003, n. 5148, in Giust. civ. Mass., 2003, IV. 8 www.judicium.it udienza nei quali la stessa sia stata proposta – che sia puntualmente e specificamente trascritta (quindi non genericamente, ovvero, in forma riassuntiva) la domanda o la eccezione che si assume non esaminata28. Una recente lettura del fenomeno giurisprudenziale ha ipotizzato la tendenziale prevalenza del principio “strong” per i motivi di ricorso in cassazione ex art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; mentre per i ricorsi ex art. 360 n. 4 prevarrebbe una versione “light” del principio29. Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – rapidamente illustrato nella sua dimensione evolutiva – è stato oggetto, soprattutto nella sua versione più rigorosa, di aspre critiche da parte della dottrina maggioritaria30. In particolare, è stata in primo luogo rilevata l’inesistenza di qualsiasi supporto normativo dell’asserita limitazione dei poteri cognitori della Corte, posta dalla stessa Cassazione a fondamento del principio di autosufficienza, osservandosi correttamente come alcune norme del codice di rito riconoscano, invero, sia pur implicitamente, non soltanto un potere, ma anche un dovere del Giudice di Legittimità di conoscere tutti gli atti di causa delle precedenti fasi di merito. Si pensi ad esempio all’art. 384 c.p.c., il quale, nel prevedere che le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto, non siano soggette a cassazione e che la Suprema Corte debba in tal caso limitarsi a correggere la motivazione, impone ragionevolmente di ritenere che la stessa possa, anzi debba, nell’esercitare il suo potere di controllo, conoscere i fatti e gli 28 V. Cass. 08 ottobre 2008, n. 24791, in Guida al diritto, 2008, 46; Cass. 19 marzo 2007, n. 6361, in Rep. foro it., 2007, voce Cassazione civile, n. 246. Sempre in tema di obbligo di trascrizione delle risultanze processuali – seppur nella diversa fattispecie dell’ultrapetizione – v. Cass. 18 giugno 2007, n. 14133 (in Guida al diritto 2007, 32, 59) la quale ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso che, nel denunciare il vizio di ultrapetizione non abbia indicato specificamente, con riproduzione o almeno indiretta indicazione riassuntiva dei passi dell’atto introduttivo da cui si dovrebbe evincere, il tenore della domanda. In questo senso v. anche Cass. 30 maggio, 2000, n.7194, in Rep. foro it., 2000, voce cit., n. 196, secondo la quale, nel caso di impugnazione per omessa pronuncia su una sua domanda, per evitare che la Corte Suprema dichiari inammissibile il motivo per novità della censura, il ricorrente deve indicare in quali atti, e con quali specifiche frasi in essi contenute, l'ha proposta dinanzi al giudice di merito. 29 V. CONFORTI, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, Salerno, 2014, cap. 2 e 3, spec. 91 ss. 30 V. ad es. MONTALDO, Note sul c.d. principio di autosufficienza dei motivi in Cassazione, in Giust. Civ., 2006, I, 2086 ss. 9 www.judicium.it atti della causa. D'altronde – si è osservato31 – se esistesse realmente a livello normativo un siffatto limite cognitorio per il Giudice di Legittimità, la stessa Cassazione non potrebbe eluderlo mediante l’integrale trascrizione degli atti processuali e dei documenti posti a fondamento delle censure, senza comunque esaminare il contenuto del fascicolo d’ufficio o dei fascicoli di parte per verificarne l’esatta corrispondenza con quanto trascritto nel ricorso. Infine, non può ignorarsi che detto divieto – artatamente creato dalla Suprema Corte – risulta normativamente smentito a chiare lettere sia dall’art. 369, ultimo comma c.p.c., che prevede, per tutti i ricorsi, quali che siano i motivi, la trasmissione del fascicolo d’ufficio, che dal numero 4 del secondo comma della medesima norma, che prevede l’onere del ricorrente di depositare gli atti o documenti su cui il ricorso si fonda32. Si è poi osservato che il puntuale adempimento dell’obbligo di integrale trascrizione in seno al ricorso dei “contenuti processuali” relativi alla fase di merito, favorendo la redazione di atti inevitabilmente prolissi, sovrabbondanti e smisurati, finirebbe anziché con l’agevolare i giudici di legittimità nell’individuazione del vizio della sentenza impugnata, nel rendere più complicata e faticosa la lettura del ricorso, causando ritardi ed inefficienze33. Si è, inoltre, ravvisato34 – nelle molteplici pronunce in tema di autosufficienza – l’esercizio di un potere discrezionale eccessivo da parte del Giudice di Legittimità, nell’applicazione di detto principio. Il Collegio, infatti, potrebbe sempre individuare, a suo insindacabile (e talora arbitrario) giudizio, un atto o un documento di causa non integralmente trascritto dal ricorrente e per l’effetto dichiarare inammissibile il ricorso 31 CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit. 32 CHIARLONI, ult. op. cit. 33 V. VERDE, Note sul ricorso per cassazione (relazione tenuta al ciclo di seminari su «Il giudizio di cassazione: tecniche di redazione del ricorso e regole di procedimento», Roma 15 aprile-17 giugno 2004), in www.cassaforense.it. In tal senso v. anche CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova 2008, 245; e CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit. 34 POLI, Specificità, autosufficienza e quesito di diritto nei motivi di ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2008, 1261. 10 www.judicium.it per difetto di autosufficienza, cosi come potrebbe accontentarsi (altrettanto arbitrariamente), allo scopo di “salvare” un ricorso dalle scure dell’inammissibilità, della mera indicazione degli atti processuali posti a fondamento della censura. In altri termini, i margini discrezionali che la Cassazione si autoattribuisce appaiono francamente troppo ampi e non sempre prevedibili dal ricorrente, con grave pericolo anche per l’esigenza di certezza del diritto. Parte della dottrina35 ha, infine, tentato di ridimensionare la pericolosità applicativa del principio in esame, facendo notare come in molti casi la pronuncia d’inammissibilità per violazione dell’autosufficienza del ricorso abbia svolto – coniugando la decisione di rigetto con le già ricordate esigenze di celerità – una sorta di funzione di supporto (o anche surrogatoria) rispetto alla reale e corretta declaratoria di incensurabilità del vizio lamentato, con cui veniva richiesto un riesame di merito precluso in sede di legittimità. A tal riguardo si è fatto comunque notare che, in questi casi, il richiamo al principio si rivela del tutto superfluo36, in quanto, il ricorso sarebbe stato in ogni caso respinto, anche se il ricorrente avesse diligentemente adempiuto – in ossequio al principio di autosufficienza – l’onere di integrale trascrizione degli atti processuali richiamati. 2. La riforma del procedimento di cassazione del 2006. Con il D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, il legislatore ha realizzato la prima riforma del processo di legittimità37 finalizzata al rafforzamento del ruolo nomofilattico della Corte di 35 CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit. 36 E anche nocivo, in quanto la declaratoria di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza, “toglie, in un certo modo, forza a quella vera e lascia una qualche illusione nel ricorrente, che magari, se avesse ubbidito al comando di copiare, il ricorso sarebbe stato accolto”: CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit. 37 Il processo di Cassazione riformato si applica ai ricorsi proposti nei confronti delle sentenze e dei provvedimenti pubblicati a far data dal 2.03.2006 e cioè dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 40/2006. 11 www.judicium.it Cassazione e, al contempo, ad assicurare una maggiore funzionalità del giudizio nel rispetto di tempi processuali più “giusti”. La riforma del 2006 ha riguardato sia il processo civile che il processo penale di cassazione, ma con profonde differenze nella formulazione e negli esiti. Mentre, infatti, la riforma del processo civile può dirsi realmente condivisa dai giudici di cassazione, attivamente coinvolti nell’iter formativo della legislazione riformatrice38, la modifica relativa al giudizio penale, sommaria e frettolosa, è stata passivamente subita dalla Suprema Corte. Il D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ha realizzato, in relazione al contenuto del ricorso, due modifiche di rilievo destinate, nelle intenzioni del legislatore, a ridimensionare la portata del principio di autosufficienza. In primo luogo, è stato aggiunto un elemento ulteriore nell’elenco dei cinque requisiti di contenuto-forma dell’atto introduttivo del giudizio, richiesti a pena di inammissibilità, e cioè il n. 6 del primo comma dell’art. 366 c.p.c., a mente del quale, il ricorso deve contenere “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti, dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Con questa disposizione il legislatore non ha provveduto – contrariamente a quanto possa prima facie apparire39 – alla codificazione tout court del principio di autosufficienza, ma, spinto dall’esigenza di arginare le degenerazioni interpretative ed applicative della formulazione più estrema di tale principio – divenuto nel tempo un meccanismo meramente deflativo e sempre più spesso ingiustamente cassatorio40 – ha attribuito veste normativa, cosi in qualche modo cristallizzandola, alla versione originariamente (nonché ragionevolmente) 38 In attuazione delle direttive della legge delega 14 maggio 2005, n. 80, ispirate al principio orientatore del recupero e della valorizzazione della funzione di “nomofiliachia” della Corte di Cassazione, insieme alla razionalizzazione della sua attività, il legislatore delegato ha, infatti, avvertito l’esigenza di sentire il parere qualificato dell’Assemblea generale della Suprema Corte. Questa, riunitasi il 21 luglio 2005, da un lato esprimeva apprezzamento per il richiamo esplicito della funzione nomofilattica, dall’altro, ha formulato critiche ed osservazioni relative a taluni aspetti dell’articolato, in gran parte recepite nel testo definitivo del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40. 39 E come sostenuto da POLI, Il giudizio di cassazione dopo la riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, IX, 14, e CARRATTA, La riforma del giudizio di cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1105 ss., spec. 1117. 40 “frutto di un fine obliquo d’autodifesa”, prendendo in prestito le parole di CHIARLONI, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l'inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit. 12 www.judicium.it light dell’autosufficienza, intesa esclusivamente come onere di “localizzazione” dell’atto o del verbale di causa cui fa riferimento la censura, ammettendo la possibilità di un rinvio per relationem41. In altri termini, il legislatore, con questo intervento novellatore, stabilendo in maniera chiara e definita le condizioni alle quali il ricorso può considerarsi autosufficiente – e cioè con la indicazione e localizzazione degli atti o documenti cui lo stesso fa riferimento – ha determinato il limite di tollerabilità della cifra applicativa del principio in esame, affinché lo stesso non possa più tradursi nell’obbligo di integrale trascrizione – a pena di inammissibilità – dei contenuti processuali relativi alla fase di merito nel corpo del ricorso, nonché, al fine di limitare quella eccessiva discrezionalità esercitata, negli ultimi anni, dalla giurisprudenza di legittimità nell’applicazione del canone dell’autosufficienza42. L’altro profilo della riforma del 2006, che in questa sede assume rilievo, attiene alla previsione del nuovo art. 366-bis c.p.c., il quale – prima di essere abrogato ad opera del legislatore del 200943 – richiedeva, sempre a pena di inammissibilità, nei casi previsti dall’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), che l’illustrazione di ciascun motivo si concludesse con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nell’ipotesi prevista dall’art. 360, primo comma, n. 5, che l’illustrazione di ciascun motivo contenesse, a pena di inammissibilità, “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la 41 Secondo SASSANI, Il nuovo giudizio di Cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 228, la nuova norma “realizza un onorevole compromesso tra la direttrice del c.d. principio di autosufficienza del ricorso (principio di cui si è largamente abusato) e la logica (egualmente perversa) dello jura novit...chartulam che sembra presiedere alla redazione di molti ricorsi in cui l’accavallarsi dei riferimenti documentali mette il relatore che intenda eseguire i necessari controlli, nella sgradevole alternativa di impiegare il suo tempo alla caccia ai riscontri cartolari ovvero di sbrigativamente invocare il deprecato principio di autosufficienza.” 42 Del medesimo avviso TISCINI, Il giudizio di cassazione riformato, in Giusto proc. civ., 2007, 523 ss.; RUSCIANO, Nomofilachia e ricorso in cassazione, Torino, 2012, 136 ss. Di diversa opinione, invece, BALLETTI e MINICHIELLO, in AA.VV., Il nuovo giudizio di cassazione, Milano, 2007, 206 ss., secondo i quali l’attuale novella non può consentire interpretazioni lassiste del principio di autosufficienza del ricorso, “pena la violazione del diritto al contraddittorio nell’ambito del riconoscimento dell’effettivo esercizio del diritto di difesa”. 43 In particolare, l’art. 366 bis c.p.c. è stato abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d), della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. Ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, tale disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. 13 www.judicium.it motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. L’introduzione di quest’ultima disposizione normativa, da contestualizzare, come sopra accennato, nell’ambito di una riforma delineata con il chiaro e determinante contributo del Giudice di Legittimità, assume, a guardar bene, le sembianze di una vera e propria contropartita in un gentlemen's agreement concluso tra la Suprema Corte ed il legislatore. Quest’ultimo, infatti, consapevole dell’esigenza della Cassazione di poter disporre di un valido strumento per deflazionare l’imponente carico di lavoro, decise – con l’accordo dei Giudici di Legittimità – di sostituire la mannaia dell’autosufficienza nella sua versione più estrema (o strong) – che, come detto, negli ultimi periodi, aveva assunto i caratteri dell’abnormità, arbitrarietà e talora dell’ingiustizia – con un altro elemento deflativo più ragionevole, costituito – in una prospettiva di specificità e completezza della censura – dall’obbligo di formulazione del quesito di diritto nei motivi di ricorso44, la cui inosservanza avrebbe legittimato la Corte a pronunciare la declaratoria d’inammissibilità del gravame45. La situazione può dirsi sostanzialmente immutata, anche a seguito della sopravvenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c., in quanto la stessa è stata accompagnata dal contestuale innesto nel tessuto normativo del giudizio di legittimità, del filtro di accesso 44 “vero e proprio interrogativo giuridico che il ricorrente rivolge alla Corte e che è destinato, in un certo senso, a provocare la formulazione del principio di diritto”: ARIETA, DE SANTIS, MONTESANO, Corso base di diritto processuale civile, III ed., Padova, 2008, 485. 45 La ratio dell’innovazione legislativa nel suo complesso è svelata dallo stesso legislatore nella relazione illustrativa di accompagnamento al decreto: essa si sostanzia, da un lato, nell’esigenza “di offrire alla Corte, nonché alla stessa parte resistente, un quadro che sia il più possibile immediato, completo ed autosufficiente delle censure sulle quali dovrà pronunziarsi e di agevolarne il lavoro di reperimento degli atti e dei documenti sui quali esse si fondano”; dall’altro, nella volontà di “stringere le maglie” del controllo in Cassazione, escludendo, in tal modo, l’ingresso di giudizi di merito incensurabili in sede di legittimità. Occorre peraltro considerare che la disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c. presentava indubbi vantaggi applicativi, anche alla luce dell’interpretazione tendenzialmente moderata e ragionevole – fatta eccezione per qualche “esagerazione” iniziale – che ne aveva dato la Suprema Corte. In particolare, la predetta norma agevolava, a mio avviso la parte ricorrente nella redazione del ricorso, consentendogli di sinterizzare – a fronte magari di motivi lunghi sette-otto pagine – la questione giuridica in poche battute, allontanando il rischio della configurazione del vizio di mancanza di specificità del motivo. Conseguentemente, consentendo di circoscrivere con maggiore precisione ed analiticità la censura sottoposta al Giudice di Legittimità, diminuiva il pericolo di pronunce d’inammissibilità, frettolosamente motivate e fondate sull’eccessiva genericità del motivo. 14 www.judicium.it alla Cassazione di cui all’art. 360 bis 46, nonché dall’istituzione della c.d. “sezione filtro”, geneticamente vocata a svolgere una pregnante funzione deflattiva dei procedimenti pendenti dinanzi al Supremo Collegio. La predetta modifica normativa – letta anche in una prospettiva di dialogo e di rapporto sincronico tra organi dello stato – non può che incidere – ridimensionandola – sulla dimensione applicativa del principio in esame, il quale dovrà, altresì, essere posto in rapporto sistematico con le altre norme del processo di legittimità. Il riferimento è, in primo luogo, all’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il quale, attribuendo al ricorrente – questa volta a pena di improcedibilità – l’onere di provvedere, oltre che alla specifica indicazione nel ricorso degli atti processuali, dei documenti, e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento dell’impugnativa, al successivo deposito degli stessi, rappresenta la conferma della preferenza, da parte dell’assetto normativo vigente, per la versione light del principio di autosufficienza47. Nondimeno, l’art. 372 c.p.c., nel vietare la produzione di nuovi documenti (eccezion fatta per “quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso”) pone in 46 Sul nuovo art. 360 bis c.p.c., v. RUSCIANO, Nomofilachia e ricorso in cassazione, cit., 161-162, e 166 ss, che così raffronta l’abrogato art. 366 bis con il nuovo art. 360 bis c.p.c.: “L’abrogazione dell’art. 366 bis ad opera della novella del 2009, seppure ha prodotto la formale eliminazione della sanzione dell’inammissibilità del motivo di ricorso laddove lo stesso non sia accompagnato dal quesito di diritto o quest’ultimo sia mal formulato, non ha – però – determinato la definitiva scomparsa di tale requisito dell’impugnazione di legittimità: con l’introduzione dell’art. 360 bis, infatti, il legislatore pone a carico del ricorrente ulteriori oneri, tra i quali la indicazione delle questioni di diritto decise dal giudice del merito; ciò determina una nuova qualificazione del quesito di diritto: da requisito del motivo di ricorso previsto a pena di inammissibilità ad elemento dell’impugnazione per una migliore formulazione della censura, forse necessaria per superare il “filtro”; da condizione di inammissibilità a mera tecnica di redazione del ricorso. In questa ottica ed alla luce del nuovo art. 360 bis c.p.c., il quesito di diritto rappresenta un elemento complementare rispetto alla censura: rappresenta un requisito del ricorso volto ad integrare il motivo di impugnazione, inerendo alla modalità di formulazione della censura stessa”. 47 Occorre, peraltro, considerare che tale disposizione verrebbe totalmente svuotata di significato laddove si ritenesse che il contenuto del ricorso debba essere arricchito con la trascrizione integrale di tutti gli elementi e circostanze – contenute appunto in atti e documenti – ai quali si riferiscono i motivi di censura del provvedimento impugnato. Alle stesse riflessioni conduce il terzo comma della medesima norma, laddove dispone che “il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione alla cancelleria della Corte di Cassazione del fascicolo d'ufficio; tale richiesta e` restituita dalla cancelleria al richiedente munita di visto, e deve essere depositata insieme col ricorso”. In altri termini, la ratio della disposizione, considerata nel suo complesso, è quella di consentire, o meglio di imporre, al giudice di cassazione di accedere ai fascicoli per compiere quelle verifiche necessarie all’esame dei motivi d’impugnazione. 15 www.judicium.it risalto la contrapposizione tra documenti “nuovi” e documenti già prodotti nelle precedenti fasi di giudizio, la quale non fa altro che rafforzare l’idea che la Corte possa (e debba) conoscere questi ultimi. 3. Gli orientamenti incerti e contraddittori della Giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla portata del principio di autosufficienza dopo la riforma del 2006: davvero un “repertorio bon à tout faire” quanto alla necessità, o anzi addirittura al divieto, di trascrizione di parti del processo nel ricorso. Quale conseguenza dei tempi notoriamente lunghi del processo di cassazione, sono ancora numericamente limitate le pronunce della Suprema Corte, aventi ad oggetto l’impugnazione di decisioni di merito depositate dopo il 2 marzo 2006, e quindi soggette alla nuova disciplina processuale delineata dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006. Sicché, risulta alquanto ridotta l’area di analisi applicativa degli effetti prodotti dalla riforma del 2006 sulla precedente lettura giurisprudenziale del principio di autosufficienza. Nella maggior parte delle decisioni analizzate, emerge tuttavia una sostanziale conferma della versione più estrema e rigorosa del principio di autosufficienza. Si continua quindi a sancire – come se l’art. 366 c.p.c. non fosse mai stato novellato – l’inammissibilità dei motivi in cui il ricorrente si limiti a rinviare (indicandoli specificamente) agli atti e i documenti del giudizio di merito, senza riprodurne integralmente il contenuto in sede di ricorso48. Incurante della sopravvenuta modifica 48 V. Cass. 03 marzo 2010, n. 5091, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, III, in cui la Corte richiede la testuale ed integrale trascrizione della testimonianza di cui si sollecitava una nuova valutazione; Cass., 24 febbraio 2010, n. 4434, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 2, in cui la pronunzia di inammissibilità per violazione dell’autosufficienza viene fatta discendere dalla mancata riproduzione in seno al ricorso del testo dell’atto di appello, in quanto il principio in esame “prescrive che il ricorso dinanzi al giudice di legittimità deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006)”; Cass., 19 aprile 2010, n. 9300, in Diritto & Giustizia, 2010, nota IANNONE, nella 16 www.judicium.it normativa, il Giudice di Legittimità continua poi a far discendere l’obbligo del ricorrente di integrale trascrizione degli atti processali posti a fondamento del ricorso dall’asserito divieto del Supremo Collegio di visionare ed esaminare gli atti precedenti ed i documenti prodotti nella fase di merito49. Ma in altre pronunzie, invece, la Corte di Cassazione ha interpretato l’introduzione – ad opera del legislatore della riforma – dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. come l’attribuzione a carico del ricorrente di un onere ulteriore rispetto a quello di integrale trascrizione degli atti processuali, espressione della versione strong dell’autosufficienza. In altri termini, l’onere di “localizzazione” codificato dalla predetta disposizione e quello di trascrizione vengono concepiti come due condizioni non sovrapponibili ed entrambe indispensabili ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, in quanto anche in presenza di una puntuale riproduzione degli atti dei precedenti gradi di giudizio, posti a fondamento della censura, la mancata individuazione topografica del “luogo processuale” in cui gli stessi sono consultabili non consentirebbe alla Suprema Corte di reperirli per verificare se il contenuto sia conforme a quanto trascritto dal ricorrente in seno al ricorso50. quale si sanziona la mancata trascrizione della documentazione fiscale di cui si censurava l’omesso esame da parte del giudice di merito; Cass., 11 maggio 2010, n. 11423, in Diritto & Giustizia, 2010, nella quale, in ossequio al principio di autosufficienza, la Corte afferma che “qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti (cosa che nella specie non è accaduta) testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo”; Cass., 15 febbraio 2010, n. 3507, in Guida al diritto, 2010, 14, 60, nella quale si ribadisce che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione “impone la trascrizione [testuale] della risultanza controversa e la critica specifica delle argomentazioni del giudicante di merito”. 49 V. Cass., 17 novembre 2009, n. 24221, in Giust. civ. Mass., 2009, XI, 1600, secondo cui la violazione del principio di autosufficienza, conseguente alla mancata trascrizione delle deduzioni istruttorie proposte nella fase di merito, solleciterebbe – “con inammissibile delega – la Corte ad assolvere, con il rischio di un inammissibile soggettivismo, ad un onere di esatta individuazione dell’istanza probatoria, che avrebbe dovuto essere assolto dal ricorrente stesso, inerendo alla determinazione del contenuto del motivo, quale critica alla sentenza impugnata idonea a giustificarne la cassazione”. 50 V. Cass., 23 marzo 2010, n. 6937, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, III, secondo cui, “ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dal n. 6 dell’art. 366 c.p.c., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda (e di trascriverli nella loro completezza con 17 www.judicium.it Proprio la previsione di questo onere ulteriore – non eccessivamente gravoso per il ricorrente – presenta, a mio avviso, un’indubbia coerenza logica e giuridica, in quanto strumentale alla verifica, da parte dei Giudici di Legittimità, dell’autenticità di quanto trascritto, o comunque esposto in seno al ricorso. In altri termini, fermo restando il rifiuto per la lettura estrema ed eccessivamente formalistica del principio di autosufficienza, ostinatamente perpetrata dalla Suprema Corte, non può non apprezzarsi la – seppur tardiva – presa d’atto da parte della Cassazione, dell’onere, sulla stessa gravante, di riferimento alle parti oggetto di doglianza), è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza di detto atto processuale, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame”; nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto il ricorrente si era limitato a trascrivere l’atto processuale posto a fondamento della doglianza (quanto trascritto risultava anche dalla sentenza impugnata, inserita in copia fotostatica nello stesso ricorso) senza indicarne la sede processuale in cui fosse stato rinvenibile; Cass., 03 febbraio 2010, n. 2506, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, II, nella quale la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di ricorso perché il ricorrente non aveva – “in ossequio al principio di autosufficienza” – indicato la sede processuale dell’atto posto a fondamento della censura, né, parimenti, riprodotto in seno al ricorso il relativo contenuto; Cass., 17 luglio 2008, n. 19766, in Giust. civ. Mass., 2008, VII – VIII, 1168, in cui la Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso “per carenza del requisito della c.d. «autosufficienza» del ricorso per cassazione, poiché il ricorrente da un lato non ha riprodotto il contenuto di tutte le prove testimoniali di cui si lamentava l’errata valutazione e dall'altro perché non ha neppure indicato la sede processuale in cui i verbali relativi all'assunzione di dette prove dovrebbero potersi leggere; i Giudici di Legittimità nella stessa sentenza precisano poi specificamente, con riferimento all’onere di trascrizione, che “il suddetto requisito non è, del resto, certamente venuto meno nel nuovo regime processuale di cui al d. lgs. n. 40 del 2006”; Cass., ord. 9 gennaio 2009, n. 301, in cui la Corte dichiara inammissibili quei motivi del ricorso che si fondano su una relazione del consulente tecnico d'ufficio innanzitutto per violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. in quanto il ricorrente non aveva indicato se l'originale di tale mezzo istruttorio sarebbe stato rinvenibile nel fascicolo d'ufficio oppure nel fascicolo di parte dei ricorrenti e, nell'uno e nell'altro caso, dove (indicazione che, secondo la Corte, supponeva necessariamente la specificazione del numero dell'elenco dei documenti figurante, in ipotesi, sull'uno e sull'altro); si aggiunge poi che i motivi, a prescindere dall'assorbenza di tale rilievo, sarebbero stati in ogni caso inammissibili per violazione del principio di autosufficienza, non avendo il ricorrente riportato il contenuto della relazione del consulente tecnico posta a fondamento della doglianza. Infine, v. Cass., ord. 30 luglio 2010, n. 17915, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 9, in cui il Supremo Collegio – dichiarando la manifesta inammissibilità del ricorso – ha affermato che “il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo altresì alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.” 18 www.judicium.it esaminare gli atti prodotti nella fase di merito, al fine di controllare l’esatta corrispondenza con quanto contenuto nel ricorso. E tuttavia, dall’analisi delle pronunzie della Corte della Cassazione, soggette alla disciplina processuale delineata dalla riforma del 2006, emerge – in altri casi – se non proprio un ridimensionamento, una leggera attenuazione della versione estrema dell’autosufficienza. Talora, infatti, la Suprema Corte sembra offrire al ricorrente un’alternativa alla riproduzione del contenuto dell’atto processuale, costituita dall’allegazione dello stesso al ricorso51; mentre in altri casi il Giudice di Legittimità mostra di accontentarsi anche di una sintesi del contenuto dell’atto richiamato52. La giurisprudenza più avveduta – seppur minoritaria – della Suprema Corte sembra dunque aver correttamente interpretato e valorizzato le modifiche normative introdotte dalla riforma del 2006, cogliendone correttamente la ratio e le scelte di politica giudiziaria ad essa sottese, rispolverando sostanzialmente la versione originariamente light dell’autosufficienza, intesa 51 V. Cass., 20 aprile 2010, n. 9379, in Diritto & Giustizia, 2010, in cui viene dichiarata l’inammissibilità del motivo di gravame – per violazione del principio di autosufficienza – per non avere il ricorrente riportato, oppure allegato al ricorso, il contenuto dell’atto di appello. Questa regola, avente tendenzialmente carattere generale, sembra essere stata specificamente dettata per gli atti ed i documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, il quale, a differenza dei fascicoli di parte, non viene depositato dalle parti, ma trasmesso a cura della cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, e quindi ben potendo – per disfunzioni amministrativo – burocratica – smarrirsi o non essere stato ancora trasmesso al momento della decisione. Sul punto vedi Cass., 23 marzo 2010, n. 6937, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, III, secondo cui “l’onere di richiedere la trasmissione di detto fascicolo” è un “adempimento nel quale, evidentemente, il ricorrente non può fare automatico affidamento quando il ricorso si fondi su atti processuali che dovrebbero essere inseriti nel fascicolo d’ufficio. Il che si spiega con il fatto che tale fascicolo, pur richiesto, potrebbe non pervenire in tempo utile per la trattazione (ed un rinvio di essa per l’acquisizione mal si concilierebbe con il ricordato principio costituzionale [della ragionevole durata del processo]), sia con il fatto che potrebbe non essere stato tenuto correttamente o potrebbe non contenere più l’atto processuale”. 52 V. Cass., 17 marzo 2010, n. 6517, in Diritto & Giustizia, 2010, dove la violazione del principio di autosufficienza viene ravvisata nel non avere il ricorrente provveduto alla trascrizione testuale delle dichiarazioni dei testi escussi nella fase di merito, e neppure alla riproduzione sintetica del relativo contenuto. Nello stesso senso v. Cass., 28 aprile 2010, n. 10194, in Diritto & Giustizia, 2010, nella quale si sanziona – per violazione del principio di autosufficienza – la mancata indicazione della sede e del contenuto – inteso in senso lato e non come riproduzione testuale ed integrale – delle “affermazioni che si assumono fatte in sede di merito”. 19 www.judicium.it esclusivamente come onere di “localizzazione” dell’atto53. La Cassazione – nel rispetto di quell’accordo istituzionale concluso con il legislatore della riforma – arriva, infatti, espressamente ad escludere la necessità della trascrizione – a pena d’inammissibilità – degli atti posti a fondamento dell’impugnativa54, richiedendo esclusivamente – in ossequio al principio in esame – la specificazione della sede processuale in cui il documento, pur individuato nei suoi elementi essenziali in seno al ricorso, è stato prodotto nella fase di merito 55. In alcuni casi poi, la Suprema Corte – offrendo una lettura del principio di autosufficienza del tutto antitetica rispetto a quella perpetrata dalla Giurisprudenza maggioritaria – provvede perfino a censurare con la declaratoria d’inammissibilità, l’integrale trascrizione degli atti del giudizio di merito, “equivalendo la stessa, nella sostanza, ad un mero rinvio agli atti di causa”, con conseguente lesione del principio di autosufficienza, il quale richiederebbe invece una narrazione sommaria e sintetica, “finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio, sia lo svolgimento del processo”, tale da offrire al Giudice di Legittimità una cognizione chiara e completa della “controversia e 53 Cfr. Cass., 17 maggio 2010, n. 11959, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 757, in cui la Corte – dichiarando l’inammissibilità della censura – ha affermato che “nel prospettare una questione in sede di legittimità che riguardi modalità di proposizione e di mutamento della domanda, il ricorrente ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità della asserzione.” 54 V. Cass., 23 febbraio 2010, n. 4361, in Guida al diritto, 2010, 16, 87. Nel caso di specie, la Corte ha rigettato l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dai resistenti sotto il profilo dell’inosservanza del principio di autosufficienza per non avere il ricorrente riportato nel ricorso il contenuto dell’atto di opposizione, essendo stati specificati gli elementi utili affinché il giudice di legittimità avesse la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti. 55 V. Cass., 17 luglio 2008, n. 19766, in Giust. Civ., 2009, VI, 1367; Cass. 31 ottobre 2007, n. 23019, in Giust. civ. Mass., 2007, 10, in cui la Suprema Corte specifica espressamente che “mentre prima della riforma ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006 era sufficiente che dal testo del ricorso si evincessero con sufficiente chiarezza le questioni sottoposte al giudice di legittimità in relazione agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte dei gradi di merito, a seguito della riforma, il novellato art. 366 c.p.c. richiede la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, al fine di realizzare l'assoluta precisa delimitazione del "thema decidendum", attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di esorbitare dall'ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente. Né può ritenersi sufficiente – al fine di sopperire alla mancanza della indicazione specifica – la generica indicazione, ovvero la menzione diretta o degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi”. 20 www.judicium.it del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti, ed atti del processo” 56. Si è trattato, però, di fattispecie che hanno ad oggetto un profilo particolare, non la definizione dei motivi di impugnazione, ma la parte del ricorso dedicata ex art. 366 n. 3 c.p.c. alla “esposizione sommaria dei fatti di causa”, che ho analiticamente trattato nel paragrafo precedente. Infine, si registra un timido orientamento della Cassazione in cui è possibile scorgere nuovamente i caratteri primordiali (o genetici) del principio di autosufficienza, allorché veniva inteso esclusivamente quale canone integrativo dei principi di specificità, completezza, chiarezza e precisione nella redazione dei ricorsi57. In conclusione, da quanto esposto, risulta che – in ordine ai requisiti di forma-contenuto dell’atto introduttivo del giudizio – l’attuale Giurisprudenza della Suprema Corte oscilla – in un contesto di assoluta discrezionalità ed arbitrio – tra un orientamento maggioritario che continua a pretendere – come e più di prima – la trascrizione integrale dei documenti e degli atti posti a fondamento dell’impugnativa, ed un indirizzo minoritario che richiede, invece, soltanto la specifica indicazione ed individuazione della sede processuale in cui 56 In particolare, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 19255 del 9 settembre 2010, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, IX, hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso nel quale il ricorrente aveva – osservando pedissequamente la versione più rigorosa del principio di autosufficienza – riportato integralmente gli atti del giudizio di merito. Il Supremo Collegio ha motivato tale pronuncia, affermando che l’assemblaggio di atti di cui il ricorso si componeva, era “assolutamente inidoneo ad assolvere al requisito dell’esposizione sommaria del fatto, perché pretende di assolvervi costringendo la Corte alla lettura integrale degli atti di parte attraverso i quali si è svolto il processo di merito. In sostanza, tale modalità di formulazione del ricorso equivale ad un mero rinvio alla lettura di detti atti; cioè di tutti gli atti della fase di merito, bypassando, in tal modo, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.” 57 V. Cass., 28 gennaio 2010, n. 1993, in Guida al diritto, 2010, XI, 73, in cui la pronunzia d’inammissibilità veniva fatta conseguire al fatto che il ricorrente non aveva specificamente e analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, le voci e gli importi richiesti ed a lei spettanti, limitandosi alla generica denuncia dell’inosservanza delle tariffe professionali vigenti, nonché delle voci e degli importi indicati nella nota spese; Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26644, in Giust. civ. Mass., 2009, XII, 1712. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione aveva, in forza del principio dell’autosufficienza, dichiarato l’inammissibilità del ricorso per avere lo stesso genericamente indicato il bando di concorso cui si riferiva l’impugnativa proposta dinanzi al TAR, senza specificarne la data ed i contenuti essenziali, e senza indicare i profili ed i livelli professionali con cui i ricorrenti avevano chiesto di partecipare alla procedura concorsuale e le clausole del contratto collettivo implicati. Tali elementi – precisava la Corte – non possono essere attinti dalla documentazione prodotta, ovvero dal fascicolo d’ufficio, in quanto il ricorso deve avere un contenuto autosufficiente. Nello stesso senso v. Cass., 26 marzo 2010, n. 7305, in Guida al diritto, 2010, 19, 38. 21 www.judicium.it gli stessi sono consultabili, arrivando talora, paradossalmente, addirittura a “sanzionare” con la declaratoria d’inammissibilità, la pedissequa osservanza della versione più rigorosa del principio di autosufficienza 4. Segue. L’introduzione, ad opera della Giurisprudenza della Corte di Cassazione, dell’ulteriore e gravoso onere di produrre, nuovamente e separatamente nel fascicolo del giudizio di legittimità, gli atti posti a fondamento del ricorso. Nelle recenti pronunzie, la Suprema Corte oltre a richiedere, ai sensi del novellato art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c., la «specifica» indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso, e quindi la individuazione analitica della sede processale in cui gli stessi risultino prodotti nella fase di merito, esige con sempre maggiore frequenza, in ragione dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., che il ricorrente provveda – a pena di improcedibilità del gravame – alla produzione di tali atti e documenti (sebbene già contenuti nei fascicoli di causa) anche in sede di legittimità, allegandoli al ricorso, nel fascicolo relativo al processo di cassazione58. La Corte non ritiene adempiuto tale onere neanche attraverso la formulazione ed il successivo deposito in sede di legittimità della richiesta di trasmissione alla cancelleria della Corte di Cassazione del fascicolo d’ufficio relativo ai gradi di merito, “né, eventualmente, con deposito di tale fascicolo e/o del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga) se esso non interviene nei modi e secondo la tempistica” prescritti dal citato art. 369 c.p.c. Tale duplicazione documentale, conseguente all’onere imposto al ricorrente di produrre, nuovamente nel processo di cassazione, gli atti ed i documenti già presenti nei fascicoli 58 Cfr. ord. 05 febbraio 2011, in www.altalex.it, nella quale la Suprema Corte ha dichiarato l’improcedibilità del gravame per il mancato deposito, unitamente al ricorso, dell’atto di appello, contenente il motivo sul quale i giudici di secondo grado avrebbero omesso di pronunciare, e pertanto costituente atto sul quale il gravame era fondato ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.; Cass., sez. un., 02 dicembre 2008, n. 28547, in Guida al diritto, 2009, V, 72; Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161, in Giust. civ. Mass., 2010, III, 431; Cass., sez. un., 02 dicembre 2010, n. 24418, in Guida al diritto, 2011, I, 74. 22 www.judicium.it relativi alla fase di merito, viene giustificata dalla Cassazione essenzialmente alla luce della “diversità dei tempi di disponibilità per la Corte dei predetti documenti”, dal momento che “mentre il fascicolo d’ufficio sarà trasmesso successivamente, il deposito della sentenza impugnata e degli atti su cui il ricorso è fondato unitamente al deposito del ricorso medesimo” consentirebbe subito “un primo «screening» dell’impugnazione” 59. A ciò la Corte aggiunge una maggiore facilità e velocità di accesso a tali documenti, “una volta che essi risultino ben individuati e specificamente depositati, evitando così la necessità del reperimento dei medesimi all’interno dei fascicoli dei gradi di merito pervenuti in Corte in un momento spesso anche di molto successivo al deposito del ricorso”. Altra motivazione posta dal Giudice di Legittimità a fondamento dell’imposizione di tale onere ulteriore a carico del ricorrente – del quale la Corte esclude aprioristicamente il carattere irragionevole ed inutilmente vessatorio – viene ravvisata nell’esigenza di osservare e dare applicazione concreta al principio costituzionale della ragionevole durata del processo60, il quale esigerebbe – “a fronte di un contenzioso sempre crescente, che impegna la Cassazione perfino nella gestione materiale della ingente mole di documentazione relativa ai processi pendenti che giunge da tutto il Paese” una “organizzazione del lavoro sempre più anticipata, accurata e mirata da parte della Corte.” La Corte ha poi espressamente precisato che, il suddetto onere di produzione in sede di legittimità non può ritenersi correttamente adempiuto – stante l’espressa previsione di 59 “E ciò in sintonia con l’esigenza di offrire alla Corte, immediatamente, un quadro completo ed oggettivamente autosufficiente di elementi utili alla decisione, esigenza, il cui soddisfacimento costituisce condizione necessaria alla prospettiva (propria della riforma procedimentale di cui al d.lgs. 40/2006 ed, altresì, di quella di cui alla l. 69/2009) di potenziare la capacità decisionale della Corte, al fine di adeguare la risposta al progressivo aumento delle sopravvenienze, attraverso l’incremento delle decisioni nelle più snelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis (in sede di “Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili”, costituita con decreto del Primo presidente 09.05.2005, e poi, di sezione “filtro” istituita dall’art. 376, primo comma, c.p.c., come modificato dall’art. 46, comma 1 lett. B, L. 69/2009)”: ord. 11 febbraio 2011, n. 3522, in www. fiscoediritto.it. 60 La Suprema Corte (v. ord. 05 febbraio 2001, in www.altalex.it) ha, in particolare, precisato che “il principio di ragionevole durata del processo deve intendersi rivolto non soltanto al giudice quale soggetto processuale, in funzione accelleratoria, ed al legislatore ordinario, ma anche al giudice quale interprete della norma processuale, rappresentando un canone ermeneutico imprescindibile per una lettura costituzionalmente orientata delle norme che regolano il processo”. 23 www.judicium.it deposito a pena di improcedibilità ex art. 369 c.p.c. – neanche attraverso “la riproduzione, all’interno del ricorso, dei passi degli atti o dei documenti sui quali il medesimo è fondato”.61 Nel caso in cui gli atti o i documenti posti a fondamento del ricorso erano già stati prodotti nelle precedenti fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovino nel fascicolo di parte di quelle fasi, la Corte ritiene talora sufficiente la produzione di tale fascicolo62, ferma restando la necessità di indicare nel ricorso la sede in cui esso ivi è rinvenibile e di indicare che il fascicolo è stato prodotto. Non mancano, tuttavia, pronunce nelle quali la Suprema Corte ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso, ritenendo insufficiente la “mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito” in cui erano già stati depositati gli atti posti a fondamento dell’impugnativa, e richiedendo invece che detti atti fossero specificamente ed autonomamente prodotti anche in sede di legittimità unitamente al ricorso63. Qualora, invece, il documento posto a fondamento dell’impugnativa risulti prodotto nelle fasi di merito dalla controparte, il Supremo Collegio richiede specificamente che il 61 Cass., ord. 05 febbraio 2001, in www.altalex.it. Cass., sez. un., 02 dicembre 2008, n. 28547, in Guida al diritto, 2009, V, 72; Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161, in Giust. civ. Mass., 2010, III, 431. 63 Cass. 13 maggio 2010, n. 11614, in Giust. civ. Mass., 2010, V, 737, dove la Suprema Corte afferma espressamente che la mancata allegazione specifica al ricorso degli atti e dei documenti posti a fondamento dell’impugnativa ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., precluderebbe al Collegio di procedere al loro esame, anche la laddove venisse rilevata la presenza degli stessi nei fascicoli del giudizio di merito. Nello stesso senso v. Cass., 23 febbraio 2010, n. 4373, in Giust. civ. Mass., 2010, II, 263, in cui la Corte precisa che l’onere di produrre in sede di legittimità i documenti posti a fondamento dell’impugnativa non può considerarsi soddisfatto soltanto con il deposito dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di tali atti, “in quanto la norma processuale [art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.] esigendo che l’atto sia prodotto “insieme” al ricorso in cassazione a pena di improcedibilità, ha elevato la contestuale produzione del documento a condizione di procedibilità dell’impugnazione”; nonché Cass., sez. un., 14 ottobre 2009, n. 21747, in Giust. civ. Mass., 2009, X, 1438 e Cass., 05 febbraio 2009, n. 2855, in Giust. civ. Mass., 2009, II, 185, dove il Supremo Collegio ha puntualizzato che “l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda - imposto, a pena di improcedibilità, dall'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., nella nuova formulazione di cui al d.lg. n. 40 del 2006 - non può dirsi soddisfatto con il deposito, oltre il termine di cui all'art. 369, comma 1, dei fascicoli di parte di primo e secondo grado, contenenti il contratto, per estratto, in allegato al ricorso di primo grado, a nulla rilevando che il contratto sia stato depositato, a sua volta, dal ricorrente incidentale, atteso che, ove venisse ammessa tale equipollenza nella produzione, verrebbe disattesa la lettera del citato art. 369, che sancisce l'improcedibilità, senza eccezioni”. 62 24 www.judicium.it ricorrente indichi che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito della controparte e che – cautelativamente e comunque stante l'autonoma previsione dell'art. 369, n. 4 c.p.c., che riferisce l'onere di produzione direttamente al ricorrente, per il caso che quella controparte possa non costituirsi in sede di legittimità o possa costituirsi senza produrre il fascicolo o possa produrlo senza il documento – produca in copia il documento stesso (appunto ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), ed indichi tale modalità di produzione nel ricorso. Tale adempimento viene dalla Suprema Corte espressamente qualificato come “agevolmente possibile”, se la copia sia stata a suo tempo estratta dal ricorrente nelle fasi di merito, o, comunque, può esserlo fintanto che il fascicolo avversario non sia stato ritirato dinanzi al giudice di merito. La Cassazione decide invece scientemente di non affrontare e risolvere, in questa sede, il problema che si pone nel caso in cui tale ritiro sia già avvenuto al momento della proposizione del ricorso64. 5. Critiche ai recenti orientamenti della Corte di Cassazione in tema di autosufficienza, alla luce dell’attuale assetto normativo delineato dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006. L’analisi delle pronunzie della Corte di Cassazione, assoggettate alla disciplina processuale delineata dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, non consente di ravvisare un orientamento omogeneo e consolidato in ordine ai nuovi profili interpretativi e applicativi del principio di autosufficienza65, persistendo ancora uno stato di incertezza, che rende altresì difficile la formulazione di un giudizio prognostico sui futuri indirizzi giurisprudenziali del Giudice di Legittimità66. Tuttavia, il fattore comune che continua a 64 Cass., sez. un., 02 dicembre 2008, n. 28547, in Guida al diritto, 2009, V, 72; Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161, in Giust. civ. Mass., 2010, III, 431. In entrambe le pronunzie la Corte afferma espressamente “non è qui il caso di affrontare il problema nel caso sia avvenuto tale ritiro”. 65 Da quanto esposto nel § 3, emerge infatti una costellazione di pronunce “non dialoganti”, inidonea a configurare un indirizzo univoco della Suprema Corte. 66 Soltanto il tempo ci saprà dire se il Supremo Collegio abbandonerà o meno, alla luce del nuovo assetto normativo del processo di legittimità, le degenerazioni formalistiche del principio in esame. 25 www.judicium.it caratterizzare l’applicazione giurisprudenziale del principio in esame è costituito dall’eccessiva discrezionalità – sconfinante talora nell’arbitrio – con cui la Corte valuta, nelle diverse fattispecie, il corretto assolvimento degli oneri scaturenti dall’autosufficienza. A tal riguardo, è a dir poco discutibile, l’assoluta libertà con cui il Supremo Collegio continua a determinare (o meglio a graduare), a suo piacimento, il contenuto precettivo del principio in esame, e conseguentemente, la gravità delle conseguenze – in termini di inammissibilità del ricorso – derivanti dalla sua violazione. Ciò che ormai non sorprende neanche più è come la Corte di Cassazione, dopo aver a lungo interpretato con enorme attenzione al dato letterale i testi normativi di diritto processuale, in maniera anche maggiore rispetto ai testi di diritto sostanziale – anche al fine di salvaguardare l’esigenza della certezza del diritto – si sia, ad un certo momento, arrogato il diritto di autoregolamentare il processo di legittimità, ignorando palesemente le scelte normative operate dal legislatore processuale. Come precedentemente accennato67, l’attuale assetto normativo delineato dal legislatore della riforma consente invero di ricostruire chiaramente i requisiti di forma-contenuto che la corretta interpretazione del principio di autosufficienza – così come codificato e ridimensionato dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006 – impone al ricorrente di osservare nella redazione dell’atto introduttivo del giudizio di cassazione, ed alla Suprema Corte di porre come limite negativo invalicabile nelle pronunce d’inammissibilità del gravame. Nella formulazione dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, il ricorrente dovrebbe quindi osservare soltanto la versione light del principio di autosufficienza – così come normativamente cristallizzata dal legislatore della riforma – elaborando la censura con la massima precisione e specificità, e con l’indicazione pervicace ed analitica degli atti e dei documenti posti a fondamento della stessa, nonché con l’individuazione topografica del “luogo processuale” – e cioè del fascicolo di parte (in primo o in secondo grado), del fascicolo d’ufficio, ed eventualmente del fascicolo dei documenti che si allegano in Cassazione – in cui gli stessi possono essere rinvenuti dal giudice di legittimità. 67 V. § 2. 26 www.judicium.it L’onere di localizzazione in cui si sostanzia il principio di autosufficienza light, nella veste normativa attribuitagli dall’art. 366, n. 6 c.p.c., non implica, invece l’indispensabile esposizione di tutti i fatti e di tutti gli aspetti giuridici della controversia sin dalla sua origine, né – come invece erroneamente sostenuto dall’orientamento tuttavia prevalente della giurisprudenza di cassazione – la necessità di trascrivere integralmente gli elementi concernenti il thema decidendum devoluti alla cognizione del Giudice di Legittimità, ben potendo le parti richiamare – seppure con indicazioni precise – gli atti, documenti o verbali di causa della pregressa fase di merito, al fine garantire alla Corte la verifica della corrispondenza tra quanto dalle stesse affermato e quanto effettivamente emerge dalle “carte processuali”. Sebbene attualmente pressoché ignorato, è dunque questo il quadro normativo – i cui tratti caratterizzanti lo stesso ha contribuito a delineare – cui il Supremo Collegio dovrà (o dovrebbe) auspicabilmente conformarsi nel dare applicazione al principio di autosufficienza, rinunziando alla lettura giurisprudenziale più estrema, anche nel rispetto di quel gentlemen's agreement, concluso a livello istituzionale con il legislatore processuale. Il principio di autosufficienza dovrà, pertanto, essere oggetto di una profonda riconsiderazione da parte della Cassazione, anche al fine di evitare che lo stesso – nella sua degenerazione applicativa più estrema – possa trasformarsi in un vero e proprio boomerang per la stessa Corte, provocando la redazione, da parte degli avvocati cassazionisti – allo scopo di scongiurare pronunce d’inammissibilità, gravanti anche sulla propria responsabilità professionale – di ricorsi eccessivamente voluminosi, sovrabbondanti e ridondanti, i quali riporterebbero, verosimilmente, nell’atto introduttivo anche elementi superflui, oltre a trascrivere (integralmente) qualsiasi, atto, documento o verbale di causa al quale l’impugnazione si riferisce. C’è da chiedersi, infatti, quale sarebbe l’utilità, ed anche il risparmio in termini di tempo per la Corte di Cassazione, qualora il ricorrente, ottemperando alla versione più estrema (strong) dell’autosufficienza, redigesse – spogliandosi dei panni di giurista, e divenendo un 27 www.judicium.it “attento amanuense copista”68 – ricorsi anziché di 20, di 80 pagine (eventualmente inserendo mediante scannerizzazione l’intera sentenza impugnata, o altri interminabili documenti), sicuramente di difficile lettura, fermo restando, peraltro, l’onere per il Giudice di Legittimità di verificare la “genuinità” di quanto trascritto. Sotto un profilo sistematico, la prassi – “coartata” dalla Corte – di redigere ricorsi per cassazione “interminabili” verrebbe peraltro a scontrarsi con il canone di chiarezza e sinteticità nella redazione degli atti giudiziari, recentemente codificato nell’art. 3 del Codice del processo amministrativo69, ed espressione del principio di economia processuale; e cioè del medesimo principio che il Supremo Collegio ama sovente invece richiamare per attribuire fondamento argomentativo alle degenerazioni applicative del canone dell’autosufficienza. L’esigenza di chiarezza e sinteticità nella redazione degli atti introduttivi, è stata peraltro riconosciuta, lo si è ricordato70, in una recente pronuncia delle Sezioni Unite (in 68 RICCI, Sull'«autosufficienza» del ricorso per cassazione: il deposito dei fascicoli come esercizio ginnico e l'avvocato cassazionista come amanuense, cit, 736. 69 Tale principio viene poi ribadito nel decimo comma dell’art. 120 dello stesso codice (che disciplina il rito abbreviato speciale in materia di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture), dove, tuttavia, il legislatore si limita a richiedere solo la sinteticità e non anche la chiarezza degli atti. La fonte genetica della suddetta norma può essere ravvisata nell’art. 44 della legge n. 69 del 2009, contenente la delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo, che inserisce tra i principi e i criteri direttivi della delega anche quello di assicurare la snellezza, la concentrazione e l’effettività della tutela, anche allo scopo di garantire la ragionevole durata del processo. Al fine di dare concreta applicazione alla disposizione contenuta nell’art. 3 c.p.a., il Presidente del Consiglio di Stato, Pasquale De Lise, nella recente lettera circolare del 20.12.2010, indirizzata al Presidente della Società Italiana Avvocati Amministrativisti, Prof. Avv. Giuseppe Abbamonte, fornisce alcune indicazioni pratiche agli avvocati, esortandoli a contenere i propri ricorsi, ed in genere gli scritti difensivi, in un numero limitato di pagine, quantificate approssimativamente in un massimo di 20-25. Qualora poi la complessità del gravame rendesse necessario utilizzare un numero maggiore di pagine, viene segnalata l’opportunità di formulare all’inizio di ogni atto processuale una distinta ed evidenziata sintesi del contenuto dell’atto stesso, di non più di una cinquantina di righe. La soluzione individuata dal Presidente del Consiglio di Stato è peraltro conforme a quella adottata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nelle istruzioni pratiche relative ai ricorsi e alle impugnazioni, adottate il 15 ottobre 2004 (GU L 361 dell’8 dicembre 2004) e modificate il 27 gennaio 2009 (GU L 29 del 31 gennaio 2009), dove si dà atto che, secondo l'esperienza della Corte, una memoria può limitarsi, salvo particolari circostanze, a 10 o 15 pagine, mentre la replica, la controreplica e la comparsa di risposta possono limitarsi a 5 o 10 pagine. Sempre in tali istruzioni si raccomanda di accludere all’atto introduttivo del giudizio un sunto dei motivi e dei principali argomenti dedotti di non oltre 2 pagine. 70 V. § 3, nota 53. 28 www.judicium.it particolare la n. 19255 del 9 settembre 201071), in cui si afferma espressamente che il principio di autosufficienza richiede una narrazione sommaria e sintetica, tale da riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del processo, nonché da offrire alla Corte una cognizione chiara e completa della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo. Soltanto il tempo ci dirà se si tratta di una rondine che non fa primavera, o se è il segnale di una vera inversione di tendenza. 6. Segue: Sui, parimenti criticabili, indirizzi giurisprudenziali della Corte di Cassazione in tema di specifica ed ulteriore produzione, in sede di legittimità, degli atti posti a fondamento dell’impugnativa. Altro aspetto innovativo della Giurisprudenza di Legittimità dopo la riforma del 2006, attiene al deposito degli atti e dei documenti nel fascicolo del processo di cassazione. A tal riguardo non si può non evidenziare, che, la recente attribuzione da parte della Suprema Corte, a carico del ricorrente, dell’onere di produrre nuovamente in sede di legittimità anche gli atti ed i documenti (eventualmente in copia) – posti a fondamento dell’impugnativa – già contenuti nel fascicolo d’ufficio (di cui è stata richiesta la trasmissione alla cancelleria della Cassazione72) nonché negli stessi fascicoli di parte 71 In Red. Giust. civ. Mass., 2010, IX. Sul punto occorre segnalare la mancanza di un orientamento univoco del Giudice di Legittimità, in quanto in talune pronunzie della sezione lavoro (v. Cass. 18854/2010; 17196/2010 e 4894/2010), la Suprema Corte mostra, invece, di ritenere che gli “atti processuali” dei quali il legislatore avrebbe imposto l’onere di deposito, a pena di improcedibilità del ricorso ex art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., siano soltanto quelli che non fanno parte del fascicolo d’ufficio del giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza impugnata. Al fine di risolvere detto contrasto giurisprudenziale, con la recente ordinanza del 07 aprile 2011, n. 8027 (in www.altalex.it), la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha disposto la rimessione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della questione relativa alla definizione dell’ambito oggettivo dell’onere di produzione documentale prescritto dal secondo comma, n. 4 dell’art. 369 c.p.c., così come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006. 72 29 www.judicium.it della fase di merito depositati unitamente al ricorso, risulta comprensibile soltanto se ricondotta ad esigenze di mera “comodità” dei Giudici di Cassazione. Nel caso in cui si tratti, infatti, di documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio della fase di merito, il quale dovrà essere trasmesso in Cassazione, a cura della cancelleria del giudice che ha pronunziato il provvedimento impugnato, e conseguentemente acquisito dai giudici di Piazza Cavour, non si vede davvero per quale ragione il ricorrente debba sopportare il costo delle disfunzioni amministrative e delle lentezze proprie dell’apparato burocratico giudiziario civile, facendosi carico dell’onere di produrre immediatamente – a pena di improcedibilità del gravame – gli stessi documenti che la cancelleria del giudice di merito ha il dovere di far pervenire – in tempi ragionevoli e senza i ritardi che invece si verificano nella prassi73 – alla Suprema Corte74. Parimenti inaccettabile appare, poi, a mio avviso, l’attribuzione, a carico del ricorrente, dell’onere – sempre a pena d’improcedibilità – di produrre due volte lo stesso documento in sede di legittimità. Non si comprende, infatti, la ragione per cui il ricorrente, pur avendo tempestivamente prodotto in Cassazione il proprio fascicolo di parte relativo alla fase di merito contenente gli atti ed i documenti posti a fondamento dell’impugnativa, nonché specificamente ed analiticamente indicato in seno al ricorso la sede in cui gli stessi sono rinvenibili e consultabili da parte dei Giudici di Legittimità, debba nuovamente depositare i medesimi atti e documenti, allegandoli all’atto introduttivo del giudizio. Il semplice adempimento dell’onere di “localizzazione” dell’atto o del 73 In un sistema giudiziario efficiente sarebbe ridicolo soltanto ipotizzare un siffatto onere in capo alle parti ricorrenti, risolvendosi lo stesso in un adempimento praticamente superfluo ed inutile, avendo ad oggetto atti e documenti comunque destinati a confluire nel giudizio di cassazione. 74 Tale orientamento della Cassazione, che propende dunque per una lettura restrittiva della previsione dell’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., sembra peraltro difficilmente conciliabile – sotto un profilo sistematico – con la previsione normativa del comma successivo dello stesso articolo, che pone al ricorrente l’onere di chiedere al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata la trasmissione del fascicolo d’ufficio e di depositare, unitamente al ricorso per cassazione, la richiesta vistata dal quel cancelliere. In altri termini, l’imposizione in capo ricorrente dell’onere di depositare in Cassazione i medesimi atti e documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio della fase di merito, condurrebbe ad effetti processuali del tutto incoerenti sotto il profilo sistematico, quali un inutile appesantimento della produzione in giudizio, la duplicazione degli oneri posti a carico delle parti ed un aggravio della difficoltà di esercitare i diritti difensivi, con il rischi di pregiudicare altresì il principio di effettività della tutela giurisdizionale. 30 www.judicium.it documento su cui si fonda la censura, attraverso l’individuazione topografica del “luogo processuale” in cui gli stessi possono essere esaminati, consente infatti ai giudici di cassazione di accedere agevolmente ed immediatamente agli stessi attraverso la semplice consultazione dei fascicoli. In ogni caso, pur concludendo per la totale insussistenza del suddetto obbligo di produzione ed allegazione – cosi come plasmato dalla Giurisprudenza di Legittimità75 – ritengo comunque opportuno, in una prospettiva meramente pragmatica – onde evitare una irragionevole quanto certa pronunzia di improcedibilità del ricorso, nonché in ossequio al principio di leale collaborazione – che i predetti adempimenti di localizzazione ed “individuazione topografica”, siano integrati con l’allegazione al ricorso dei documenti – eventualmente in copia – su cui lo stesso si fonda, anche se già depositati nel fascicolo d’ufficio, o nei fascicoli di parte del giudizio di merito, in modo da consentirne la immediata, comoda ed agevole consultazione da parte dei giudici di cassazione. Tralasciando per il momento le superiori argomentazioni di principio e senza perciò incorrere in contraddizione, non si può, infatti, nascondere che si tratta, tutto sommato, nella maggior parte dei casi, di un onere non eccessivamente gravoso per il ricorrente, il cui assolvimento potrebbe contribuire, peraltro, a rendere privo di qualsivoglia utilità – ed ancora più ingiustificato – il tentativo dei giudici di legittimità di costringere le parti all’integrale trascrizione del contenuto degli atti e/o documenti richiamati in seno al ricorso. In conclusione, ritengo che il compito e lo sforzo dell’interprete debba essere – oltre che censurarne le degenerazioni e “l’eccesso di difesa” – quello di prendere atto del momento di grande difficoltà della Suprema Corte, invasa da un numero impressionante di ricorsi, valorizzando le indicazioni provenienti dalla parte più attenta della giurisprudenza di legittimità, al fine di elaborare tecniche di redazione degli atti introduttivi del giudizio 75 Essendo, peraltro, lo stesso sprovvisto di qualsivoglia fondamento normativo. 31 www.judicium.it che siano di supporto – facilitandolo e velocizzandolo – all’espletamento dell’imponente carico di lavoro gravante sulla Corte di Cassazione. 7. Segue. Gli ostacoli di ordine pratico al corretto assolvimento dell’onere di produzione dei documenti nel fascicolo del giudizio di cassazione. Aspetti problematici e possibili soluzioni. Le perplessità appena accennate cedono infine il campo alle concrete difficoltà di ordine pratico che il corretto assolvimento del suddetto onere di allegazione – ed in generale del principio di autosufficienza, inteso in senso lato – potrebbe arrecare alle parti, nell’ipotesi in cui i documenti su cui si fonda il ricorso erano stati prodotti nel fascicolo di merito della controparte. In particolare, problemi possono sorgere qualora, al termine del giudizio di merito, controparte abbia legittimamente provveduto a ritirare il proprio fascicolo prima che il ricorrente abbia provveduto ad estrarre copia dei documenti in esso contenuti76. In tale ipotesi, infatti, il ricorrente, non potendo più esaminare il contenuto del fascicolo della parte avversa, non potrebbe conseguentemente provvedere, oltre alla specifica ed analitica indicazione di detti documenti in seno all’atto introduttivo, al deposito di una copia degli stessi in sede di legittimità. Uno spunto per il superamento di dette difficoltà viene offerto dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 23 dicembre 2005, n. 2849877, nella quale il ritiro del fascicolo di parte viene espressamente subordinato al contestuale deposito di copia dei documenti probatori che in esso siano inseriti, “onde impedire che risulti impossibile all’altra parte fornire, anche in sede di gravame, le prove che erano desumibili dal fascicolo avversario.” Tale onere – posto “a tutela degli interessi della controparte e del corretto esercizio dell’attività giurisdizionale” – privo di un vero e proprio addentellato normativo, viene 76 Particolarmente gravosa potrebbe, in particolare, considerarsi la posizione dell’avvocato cassazionista che non abbia seguito il processo nei precedenti gradi di giudizio, non avendo quest’ultimo avuto la possibilità di estrarre copia dei documenti prodotti da controparti nelle fasi di merito. 77 in Giust. civ. Mass., 2005, XII. 32 www.judicium.it fatto discendere, in via sistematica, dal principio di acquisizione processuale – “al quale il riconoscimento, a livello costituzionale del principio del giusto processo ha offerto un più pregnante fondamento” – in forza del quale, la prova documentale, una volta prodotta, resta definitivamente acquisita agli atti, anche a beneficio della controparte. Ciò premesso – e considerata la sostanziale inosservanza, nella prassi attuale delle Corti d’Appello italiane, della suddetta, ed a mio avviso pregevole, soluzione indicata dalle Sezioni Unite78 – occorre valutare in che modo il mancato assolvimento del predetto onere, e quindi la conseguente impossibilità di esaminare i documenti contenuti nel fascicolo di controparte, si ponga in relazione con il principio di autosufficienza. Occorre cioè stabilire se, in queste ipotesi, la redazione di un ricorso – per forza di cose – privo del requisito dell’autosufficienza (inteso sia nella versione light che nella sua lettura più estrema non potendo il ricorrente, per motivi oggettivi, provvedere alla citazione analitica dei documenti posti a fondamento dell’impugnativa, né tanto meno procedere alla integrale trascrizione, o comunque all’allegazione degli stessi) possa comunque legittimare l’automatica pronuncia d’inammissibilità del gravame. Si tratta di una questione alla quale non è agevole fornire una soluzione, ma che pone l’interprete (e la stessa Corte) dinanzi ad un bivio, e cioè, conferire all’autosufficienza ulteriori profili di “ingiustizia” ed “arbitrio”, ovvero, percorrere un sentiero che condurrà, a mio avviso, al progressivo superamento del principio in esame. Anche in questo caso, ritengo che – in assenza di un onere di fotocopiare e di custodire cautelativamente (nella prospettiva di un futuro e meramente eventuale giudizio di cassazione) tutti i documenti prodotti da controparte nel corso del giudizio di merito79 – il ricorrente non debba subire, a priori, le conseguenze negative derivanti dalle inefficienze e disfunzioni della giustizia civile, e che quindi la oggettiva impossibilità di disporre – 78 Anzi, gli uffici giudiziari maggiormente oberati di lavoro e, letteralmente “sommersi” di faldoni, tendono piuttosto a sollecitare i difensori a ritirare i propri fascicoli senza pretendere in alcun modo il contestuale deposito di copie. 79 Si pensi alle conseguenze – anche in termini di costi e di difficoltà – che il rigoroso adempimento di un siffatto onere potrebbe comportare per le parti, nel caso in cui si tratti di controversie in materia di diritto bancario, societario o fallimentare, nelle quali è sovente la produzione di una mole sterminata di documenti. 33 www.judicium.it per causa ad essa non imputabile – dei documenti contenuti nel fascicolo di controparte, non possa tradursi, almeno automaticamente, nella declaratoria d’inammissibilità del gravame. Conseguentemente, in siffatte ipotesi, dovrebbe ritenersi – a mio avviso – sufficiente, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnativa, che il ricorrente indichi specificamente che l’atto o il documento è stato depositato nel fascicolo di merito della controparte. Qualora, poi, quest’ultima non si costituisca, ovvero si costituisca senza produrre il fascicolo di parte o senza produrre il documento indicato dal ricorrente, la Corte, non potendo esitare positivamente il ricorso a causa della mancanza del documento, dovendo decidere “allo stato degli atti”80, non potrà che rigettarlo nel merito. Medesima soluzione potrebbe ritenersi – a mio avviso – applicabile con riguardo ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, nel caso in cui quest’ultimo risulti smarrito o non sia ancora pervenuto alla cancelleria della Corte al momento della decisione81. In conclusione, non costituendo la specifica allegazione della documentazione in sede di legittimità, un profilo di completezza del ricorso, e non potendo quindi, la sua mancanza, precludere aprioristicamente l’ammissibilità dello stesso, la Suprema Corte, soltanto qualora al momento della decisione si trovi nell’impossibilità di consultare gli atti o i documenti posti a fondamento dell’impugnativa, potrà, il più delle volte, “sanzionare” la parte ricorrente per non aver prodotto cautelativamente una semplice copia degli stessi, ed emettere una pronunzia di rigetto del ricorso. 80 81 Anche alla luce del principio dell’economia del giudizi. Si tratta tuttavia di una soluzione certamente opinabile e dalle conseguenze “non indolori” per la parte ricorrente, e per questo sicuramente emendabile e plasmabile in relazione alla peculiarità proprie delle fattispecie concrete. Infatti, sebbene nel caso di incontestato smarrimento del fascicolo d’ufficio, la pronunzia di rigetto appare sostanzialmente inevitabile (non potendo la Corte disporre degli elementi indispensabili per la decisione), lo stesso non può dirsi con riferimento alle ipotesi in cui vi sia soltanto un mero ritardo nella trasmissione o acquisizione dello stesso, ovvero la parte (oltre al deposito dell’istanza di trasmissione) dimostri di essersi ulteriormente attivata formulando richieste di sollecito ovvero di ricostruzione del fascicolo, nelle quali, il principio dell’economia dei giudizi andrà contemperato con il diritto di difesa, conducendo – se del caso – ad un rinvio o differimento dell’udienza di discussione. 34 www.judicium.it Seconda seconda: L’autosufficienza oggi e domani (dal 2013 all’infinito…). 1. L’evoluzione concettuale nell’ultimo biennio. Tra l’onere di trascrizione integrale e i profili di completezza e specificità dopo la riforma del 2012, la lettera del primo presidente della Corte di Cassazione, le determinazioni delle corti sovranazionali. Una ulteriore suggestione alla rivisitazione del principio ed all’abbandono della sanzione dell’inammissibilità Il cantiere sempre aperto delle riforme in campo processuale induce a rinvenire nelle pieghe di alcune delle ultime modifiche spunti che inducono, o dovrebbero indurre, ad ulteriori ripensamenti quanto alla portata del principio di autosufficienza, tassello centrale all’interno di ogni studio sul contenuto del ricorso e della documentazione da produrre nelle difese avanti alla corte di legittimità. In argomento, una riflessione deve essere ricavata dalla nuova versione dell’art. 360 c.p.c. n. 5, oggi ridefinito come “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il nuovo motivo di ricorso, ai fini che ci occupano82, quantomeno, rappresenta qualcosa che richiama elementi, “il fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, che devono il più delle volte ricavarsi al di fuori della motivazione della sentenza impugnata”. Così legittimando ed imponendo vieppiù la estensione del sindacato della Corte di Cassazione oltre la sentenza e fino al controllo extratestuale della legittimità della sentenza impugnata, similmente a quanto da tempo attuato, con analoga modifica, nel codice di rito penale”83. La modifica del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., inoltre, non conduce, secondo le interpretazioni più avvedute, all’eliminazione della possibilità di fare valere gli errori di diritto e particolarmente gli errori di metodo relativi al giudizio di fatto (quali violazione della disposizione di cui all’art. 116 c.p.c., sul “prudente apprezzamento”, quale canone decisorio giuridico da rispettare a pena di violazione di legge); ma li espunge, secondo una condivisibile interpretazione, dalla categoria (ormai inesistente, come vizio diretto) del vizio di motivazione, inquadrandoli ora nella figura della violazione o falsa applicazione della norma di diritto, di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. 84. Una lettura di tal fatta, non è, a mio avviso, neutra quanto alle modalità di redazione del ricorso, in riferimento ai principi di completezza e specificità; perché “Il ricorrente in cassazione ora non potrà più censurare la sentenza impugnata lamentando genericamente i vizi della motivazione (che 82 V. più avanti al § 2a. per analizzare cosa dovrà essere contenuto nel motivo di ricorso per cassazione ex art.360 n. 5 c.p.c. ai fini del rispetto del principio di autosufficienza. 83 LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, di prossima pubblicazione nella collana la Biblioteca di Diritto Processuale Civile, Torino, 2015. L’art. 8 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha sostituito la lett.e dell’art. 606 c.p.p. prevedendo ora che il vizio della motivazione non è più censurabile soltanto quando risulti “dal testo del provvedimento impugnato”, ma anche quando risulti “da altri atti del provvedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”. 84 Sull'argomento rimando ad un mio prossimo articolo “Il controllo del giudizio di fatto in cassazione e le sentenze delle Sezioni Unite”, in questa stessa rivista. 35 www.judicium.it non sono più autonomamente sindacabili); dovrà, invece allegare la regola metodologica che egli assume violata, precisare in cosa sia consistita tale violazione (rispetto alla quale i vizi della motivazione costituiscono una semplice spia). In altri termini il ricorrente è ora onerato di allegare specificatamente la regola logica o d’esperienza violata, a pena l’inammissibilità del motivo del ricorso; e la Corte di cassazione dovrà invece limitarsi a verificare che il ragionamento del giudice di merito espresso nella motivazione della sentenza contrasti effettivamente con la logica o con la comune esperienza. Un sindacato molto più lineare che in passato, che non costringe la Corte a ricercare autonomamente la regola metodologica trasgredita e che le consente di cogliere immediatamente l’inammissibilità del motivo di ricorso che non la indichi con chiarezza”85. Dalla riforma dei motivi del ricorso in cassazione del 2012, dunque, il principio di autosufficienza, pertanto, come onere di specifica ed analitica indicazione risulta anzi confermato, ma nel più limitato senso appunto del canone di specificità e completezza del ricorso. Una indicazione per il necessario temperamento applicativo del principio di autosufficienza deve oggi ricavarsi inoltre dalla ogni giorno più matura ed acquisita consapevolezza della necessaria applicazione, nel nostro ordinamento, dei principi processuali internazionali in tema di garanzie processuali per le parti in giudizio; e che pretendono, nella univoca lettura oggi offerta, che anche nei giudizi avanti alle corti di ultima istanza le regole processuali non debbano rischiare di condurre a fenomeni di denegata giustizia per l’eccessività della difficoltà di procedura imposta alle parti in giudizio. In argomento, bene è stato rilevato che “Il superamento del rigore formalistico – già avviato dalle sezioni unite – sembra imposto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dalla cui giurisprudenza si trae il monito ad ancorare le sanzioni processuali al canone della proporzionalità e a dare la prevalenza a soluzioni interpretative orientate a permettere al processo di giungere al suo esito naturale, vale a dire ad una decisione che esamini il fondamento dell’impugnazione che non sfoci, in nome di un’applicazione puntigliosa e pedante delle norme che impongono prescrizioni di forma, in una absolutio ab instantia. Significativa in questa direzione appare la recente sentenza 22 novembre 2011, divenuta definitiva il 22 febbraio 2012, con cui la I sezione della corte di Strasburgo, nel caso Andreyev v. Estonia, ricorda che “given the special nature of the court of cassation’s role” il giudice europeo è disponibile ad ammettere che “the procedure followed in such courts may be more formal”, purchè non si giunga ad una “particulary strict construction of procedural rules”, tale da privare i ricorrenti del loro “rigtht of access to a court”. Facendo applicazione di questo stesso principio, la Corte dei diritti dell’uomo è giunta in altra occasione, a riconoscere la violazione dell’art. 6, § 1. della Convenzione, sul rilievo che “to declare the single ground of appeal inadmissibile because the applicants “had not indicate in their appeal the factual circumstances on which the court of appeal had based its decision dismissing their appeal amounted to 85 LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, cit., 227-228. 36 www.judicium.it excessive formalism and prevented the applicants from having the merits of their allegations examined by the Court of cassation”….”86. Indicazioni, queste ultime, che ben si sposano, sia per i contenuti del ricorso che per la documentazione da esibire, con una lettura light del principio di autosufficienza. In parziale sintonia con una tale linea di riflessioni, direi, si pone anche la sempre più acquisita riscoperta “culturale” del canone della sinteticità degli atti giudiziari. Così il codice del processo amministrativo, che ha richiesto il carattere della chiarezza e della sinteticità per ogni atto o provvedimento processuale, sia ad opera degli avvocati che dei magistrati87; una necessità sottolineata dall'allora Presidente del Consiglio di Stato88, e poi sancita con provvedimenti giurisdizionali che hanno sancito l’inammissibilità di alcuni ricorsi privi di queste caratteristiche. Infine, normativizzata 86 GIUSTI, L'autosufficienza del ricorso per cassazione civile, in Giust. Civ., 2013, 258-259. In argomento, v. amplius RUSCIANO, Nomofilachia e ricorso in cassazione, cit., 195 ss. La Cassazione, sez. VI, 25 marzo 2013 n. 7455, in un obiter, ha invece così ritenuto: “....la prospettazione generica di un contrasto delle valutazioni della relazione con i diritti di cui alla Convenzione EDU, induce a qualche ulteriore precisazione. La prima è nel senso che la Corte ben conosce la giurisprudenza della Corte EDU che ritiene che, allorquando uno Stato aderente garantisca un grado di giurisdizione ulteriore in sede di impugnazione deve regolarlo in modo da garantirne l'effettività (art. 13 della Convenzione), ma ritiene che la regolamentazione della disciplina del ricorso per cassazione, una volta che si consideri che esso è impugnazione a critica limitata e, dunque, basata su motivi tipizzati, ed è strutturata come processo nel quale non v'è sostanzialmente spazio a momenti di istruzione, sia la previsione di requisiti di ammissibilità di contenuto-forma, come l'art. 366 c.p.c., n. 6, se individuati in modo chiaro, sia quella di requisiti di ammissibilità basati sul principio della idoneità dell'atto processuale al raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 2), come il principio di specificità, non siano i alcun modo in contrasto con il principio di effettività. Lo sarebbero solo se fosse possibile sostenere o che il requisito è espresso in modo ambiguo e, quindi, tale da non consentire a chi impugna di percepirne il significato, o in modo tale da lasciare al giudice dell'impugnazione una scelta secondo parametri incontrollabili circa la sua gestione. Sotto il primo aspetto né l'art. 366 c.p.c., n. 6, nè il principio di cui all'art. 156 c.p.c., comma 2, sono tali da doversi escludere che il ricorrente in cassazione, tramite la sa difesa tecnica, non sia in grado di percepirne il significato e le implicazioni, una volta considerato che l'attività di proposizione del ricorso per cassazione, in ragione della sua struttura quanto ai motivi, esige una specifica competenza tecnica. Sotto il secondo aspetto una volta considerato che chi redige il ricorso è messo in grado dalle norme di percepire che cosa gli si richiede, non è sostenibile che la Corte di cassazione sia a sua volta messa in grado di utilizzare uno strumento del tutto discrezionale: ciò, se si considera che le sentenze della Corte di cassazione debbono essere motivate ai sensi dell'art. 132 c.p.c., e, prima ancora, sulla base del precetto costituzionale dell'art. 111 Cost., comma 6. Le ricorrenti lamentele circa il preteso vulnus del principio di effettività che presenterebbe la previsione di requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione non paiono in alcun modo fondate, salvo ritenere che quel principio esclude che un mezzo di impugnazione possa dal legislatore di uno Stato aderente alla CEDU la possibilità di disciplinarne le condizioni, dettando le regole per la sua proposizione. Regole che, evidentemente, richiedono come ogni norma, di essere interpretate e che solo se fossero enunciate in modo talmente maldestro da consentire soltanto interpretazioni plurime, parrebbe incidere sul principio di effettività”. 87 V. CAPPONI, Sulla ragionevole brevità degli atti processuali, in Riv. trim. dir. proc., 2014, 1075 ss. 88 V. nota n. 69. 37 www.judicium.it dall'art. 40 del d.l. 90/2014, che introduce l'obbligo di non superare un determinato numero di pagine nella redazione di un atto processuale89. 89 Nello specifico, l’art. 40, comma 1, lett. a), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, è intervenuto nel campo dei giudizi in materia di provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, sostituendo il sesto comma dell’art. 120 del codice del processo amministrativo; sesto comma che, oggi, ai fini che qui interessano, così recita dal quarto all’ottavo periodo: “Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticità di cui all'articolo 3, comma 2, le parti contengono le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei termini stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. Il medesimo decreto, nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi, tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell'atto. Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello”. Come si vede, sarà, dunque, un decreto del Presidente del Consiglio di Stato a regolamentare (nel rispetto delle direttive già indicate nei periodi sesto e settimo), nel dettaglio, le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi, ed a prevedere le ipotesi in cui sarà consentito superare detti limiti dimensionali. L’aspetto, forse, più rilevante da sottolineare consiste, però, nel fatto che, interpretando letteralmente l’ultimo periodo del nuovo sesto comma dell’art. 120, si potrebbe essere indotti a ritenere (ma la problematica meriterebbe un approfondimento che esula dalle finalità della presente indagine) che il dovere decisorio del giudice riguardi, non tutte le questioni («va sottolineato che la norma utilizza la formula generica e onnicomprensiva di “questioni”, che possono ricomprendere le domande, le eccezioni, i motivi, comunque tutto ciò che dia luogo a “controversia”, e dunque non ciò che è dato per pacifico e incontroverso»: il virgolettato appartiene a DE NICTOLIS, Il rito degli appalti pubblici dopo il D.L. 90/2014, cit., 6) veicolate in giudizio attraverso l’atto considerato nella sua interezza, ma solo quelle “trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti”; questioni, queste ultime, il cui mancato esame in primo o in secondo grado potrebbe essere fatto valere, rispettivamente, quale motivo di appello o quale (nuovo) motivo di revocazione. Il Presidente del Consiglio di Stato ha già predisposto una bozza di decreto che prevede un massimo di 25 pagine per i più importanti atti del processo, superabili solo in casi particolari. Sul punto appare, però, utile riportare le attente osservazioni espresse (in data 16 aprile 2015) dal Consiglio Nazionale Forense sulla bozza di decreto del Presidente del Consiglio di Stato; osservazioni che evidenziano la possibilità e la necessità di optare per una interpretazione di carattere sistematico che, in primo luogo, garantisca pienamente il principio del dovere decisorio del giudice di cui all’art. 112 c.p.c. ed il diritto di azione e di difesa di cui all’art. 24 Cost.: «La previsione dell’onere in capo al collegio di accertare e dichiarare se ricorrano o meno “uno o più dei casi di cui ai numeri 10 e 11, ai fini di quanto stabilito dall’art. 120, comma 6, ultimo periodo dell’allegato I del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104”, pone inoltre e in ogni caso la questione della portata interpretativa della predetta disposizione di legge. Se cioè il legislatore, statuendo espressamente che “il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello”, abbia inteso implicitamente affermare l’inammissibilità/improcedibilità delle questioni trattate nelle pagine eccedenti i suddetti limiti, con la conseguenza che le questioni poste non sarebbero esaminate, senza che il mancato esame delle stesse (e quindi delle doglianze, eccezioni e domande e/o dei capi di domanda ivi trattati) possa costituire motivo di impugnazione. In realtà, secondo questo Consiglio Nazionale, ove della norma fosse data l’interpretazione di cui sopra, la stessa 38 www.judicium.it Ma la stessa esigenza è oggi avvertita consapevolmente dalla parte più attenta della classe forense e dalla giurisprudenza nel campo civile. E questo passa, nel giudizio in cassazione, da una rivisitazione della lettura di alcuni principi, e tra questi certamente quello dell’autosufficienza; oggi, “per un complesso di ragioni che riguardano sia il giudizio di primo grado, sia i giudizi di impugnazione, la redazione degli atti riflette la costante preoccupazione dell’avvocato, divenuta dal 1990 in poi una vera “sindrome”; quella di incorrere in preclusioni e decadenze, di non riuscire ad ottenere una decisione di merito, di compiere errori di omissione (mentre le sovrabbondanze non potranno almeno allo stato, configurare errori)”90. Il canone della brevità, della sinteticità, riposa naturalmente su principi opposti; e si contrappone ad una lettura del principio di autosufficienza che richieda la riproduzione esaustiva di atti processuali integrali all’interno dell’atto di impugnazione, e ne impone pertanto una rilettura in termini “light”. Di questa tensione evolutiva è magistrale dimostrazione la lettera del primo presidente della corte di cassazione, Giorgio Santacroce, inviata al presidente del Consiglio Nazionale Forense, che indica una sorta di linee guida che devono sovraintendere alla corretta stesura dei ricorsi: “Sinteticità e chiarezza, infatti supportano efficacemente sia la specificità, che deve connaturare i motivi di ricorso, sia la “persuasività” delle argomentazioni chiamate a sorreggerli, consentendo una maggiore penetrazione della critica e sollecitando nel giudicante una apparirebbe manifestamente incostituzionale (artt. 3 e 24 Cost). L’unica interpretazione sistematicamente sostenibile e quindi coerente con il principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c. e con il principio di sinteticità declinato dall’art. 3, co. 2, c.p.a. è la seguente: non si può sostenere che il rispetto del limite di pagine sostanzi un presupposto della domanda, violato il quale la pretesa (o la doglianza o la eccezione) debba essere dichiarata inammissibile o comunque non debba essere sottoposta al vaglio giurisdizionale. Invero, il rispetto dei limiti dimensionali del ricorso e degli altri atti difensivi stabiliti con il decreto presidenziale vale a garantire la parte circa l’obbligo di delibazione di tutte le questioni esposte con il proprio atto difensivo, sicché può dirsi che in tal caso il rispetto del canone di sinteticità è coperto da una presunzione assoluta e che quindi il giudicante non potrà in nessun caso censurare la violazione dell’art. 3, co. 2, c.p.a., né esimersi dal pronunciarsi sulle questioni introdotte in giudizio. In caso contrario, quello in cui l’atto difensivo risulti eccedente rispetto al limite di pagine prestabilito, la norma non preclude affatto espressamente la delibazione delle questioni introdotte con le pagine eccedenti il limite, né tantomeno stabilisce che in caso di pronuncia sulle stesse questioni la sentenza non sia suscettibile di impugnazione. In questo caso, in mancanza di una previsione espressa di legge, non può che ritornare ad espandersi la disciplina generale di cui all’art. 3, co. 2, c.p.a.: per cui il giudicante sarà tenuto a valutare in concreto se la violazione dei limiti costituisca effettivamente un comportamento elusivo del principio di sinteticità; o se invece il superamento dei limiti si sia reso necessario perché funzionale alla migliore, o comunque necessaria, tutela della posizione processuale della parte. Ma anche quando vi sia violazione del canone di cui all’art. 3, co. 2, c.p.a. al giudicante non può essere consentito di omettere aprioristicamente la delibazione delle questioni eccedenti il limite, a ciò ostando il disposto di cui all’art. 112 c.p.c. e ancor più il precetto costituzionale di cui all’art. 24 Cost.. Se infatti l’ordinamento assicura l’effettività della tutela in giudizio nel rispetto del principio della domanda, tale obiettivo ultimo non può essere in nessun caso frustrato e disatteso, e la violazione in argomento potrà al più rilevare sul (e non potrà eccedere il) piano del comportamento processuale e della condanna alle spese, in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali in tema di applicazione dell’art. 3, co. 2, c.p.a.». 90 CAPPONI, Sulla ragionevole brevità degli atti processuali, cit., 1086. 39 www.judicium.it crescita dell’attenzione. Funzionale a questi obbiettivi molto si presta la riduzione e concentrazione dei motivi del ricorso, il cui numero spesso si rivela una parcellizzazione della questione che costituisce il cuore della censura, mediante una ripetizione di concetti che nuoce all’assetto complessivo del ragionamento. Vorrei altresì richiamare la Sua attenzione sul fatto che le predette raccomandazioni nemmeno si pongono in conflitto con il rispetto da parte del ricorso del c.d. principio di autosufficienza in quanto quest’ultimo esige non la completa trascrizione del ricorso stesso dei documenti, la cui omessa e non corretta valutazione da parte del giudice di merito, sia oggetto del motivo di impugnazione, bensì solo la (ancora una volta) sintetica indicazione delle porzioni del documento o documenti in questione (eventualmente allegati al ricorso ai sensi dell’art. 369, comma 2 n. 4 c.p.c.) che possano illuminare l’analisi da parte del giudice di legittimità. ….” Ecco, quindi, un primo portato delle suggestioni culturali; la necessità oramai acquisita del principio di sinteticità e brevità degli atti come canone di interpretazione “anche “ del principio di autosufficienza. E la conseguente necessità di accoglierne una lettura “light”, che non pretenda più una pedissequa, prolissa e pedante ripetizione nel corpo dell’atto dei documenti richiamati. In sintonia con queste suggestioni, per vincere però davvero le “paure” non infondate della classe forense, ed in sintonia reale con i principi processuali già richiamati e desunti dall’esame delle corti sovranazionali in tema di contenuti, vizi e sanzioni in tema di impugnazioni, la soluzione più coerente e di sistema dovrebbe in realtà passare ancora da qualcosa in più; dalla rivisitazione delle conseguenze della violazione dei canoni tanto di brevità che di autosufficienza non più in termini di inammissibilità, quanto piuttosto soltanto con conseguenze semmai solo sul terreno della condanna alle spese processuali91, o in termini di nullità dell’atto viziato (l’incomprensibilità dell’atto troppo prolisso o troppo criptico), con conseguente potenziale salvezza ai termini di cui all’art. 156 comma 2 c.p.c. grazie alle memorie illustrative precedenti all’udienza (ex 378 o 380 bis c.p.c.)92, senza che a questo consegua indefettibilmente la fine in rito del processo. Temi di portata generale, che in questo contributo mi limito solo ad accennare. 91 Come condivisibilmente osservato da CAPPONI, op. cit., 1090, la conseguenza della violazione del canone di sinteticità sul piano delle spese processuali appare una soluzione limitativa, poichè verrebbe a colpire solo la parte soccombente, e non anche la parte vittoriosa che non ha rispettato il canone di brevità degli atti. 92 COMFORTI, Il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, cit., 140, relativamente al difetto di integrale trascrizione degli atti e documenti sui si fonda il ricorso in cassazione, individua nelle memorie di cui agli artt. 380 bis e 378 c.p.c un possibile meccanismo di sanatoria del difetto stesso. Infatti “nel momento in cui dalla relazione del consigliere emerga la possibilità di definire il ricorso per difetto di autosufficienza, il ricorrente potrebbe utilizzare la memoria di cui al secondo comma dell'art. 380-bis per integrare l'atto introduttivo del “materiale di causa” - a detta del giudice di legittimità non trascritto”. 40 www.judicium.it 2. L’evoluzione giurisprudenziale. Il contenuto del ricorso: una posizione ormai definita sulla “esposizione sommaria degli atti della causa”. L’esame della giurisprudenza dell’ultimo biennio offre un panorama parzialmente cambiato; che sembra confermare il rafforzamento di alcune linee di tendenza già affiorate nella giurisprudenza più attenta della corte di cassazione, in una fase evolutiva in cui, tuttavia, l’incertezza appare ancora il tratto dominante. In primo luogo, la corte di legittimità continua ad utilizzare il principio di autosufficienza. E il mancato rispetto del principio da parte del ricorrente continua a condurre la cassazione alla sanzione della inammissibilità del ricorso. Da questo punto di vista nihil novum sub sole; la Suprema Corte non dà alcun segno di volere abbandonare la sua pluridecennale lettura del principio. Quanto alla declinazione nel concreto, appare a mio avviso oggi opportuno “parcellizzare” la riflessione distinguendo ancora l’applicazione del principio al ricorso rispetto alla necessità di riproduzione documentale nel fascicolo di parte. E, traendo le mosse dall’applicazione del principio al contenuto del ricorso, distinguendo tra la parte del ricorso destinata all’esposizione sommaria dei fatti di causa dalla parte del ricorso dedicata all’indicazione dei motivi. Il principio di autosufficienza, oggi, può dirsi diversamente declinato per la parte dedicata all’esposizione dei fatti di causa, ed in questo biennio sembra in effetti sul punto avvicinarsi ad un criterio a larga maggioranza condiviso. L’esposizione dei fatti di causa, infatti, elemento richiesto a pena di inammissibilità dal n.3 dell’art. 366 c.p.c. ha rappresentato un tema che preoccupa non poco gli avvocati nella stesura del ricorso, e che ha progressivamente condotto, data la paura di vedere il proprio ricorso dichiarato inammissibile per peccati di “omissione”, a trasformare l’esposizione “sommaria, in una ripetizione pedissequa di tutto l’iter processuale in maniera il più possibile analitica e tuttavia prolissa, fino a giungere alla prassi (oggettivamente deprecabile) di riportare integralmente il contenuto delle sentenze quando non addirittura degli atti di impugnazione. Questa prassi va immediatamente abbandonata, perché oggi è sanzionata con l’inammissibilità ad opera della suprema corte: “Il ricorrente fa precedere i motivi del ricorso per cassazione dalla trascrizione integrale del ricorso di primo grado; riporta poi le statuizioni del tribunale e continua trascrivendo integralmente i motivi di appello. Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa corte, è inammissibile, per violazione del criterio di autosufficienza, il ricorso per cassazione confezionato in modo tale che siano riprodotti con procedimento fotografico (o similare) gli atti dei pregressi gradi e i documenti ivi prodotti, tra di loro giustapposti con mere proposizioni di collegamento. Detta modalità grafica, poiché equivale, nella sostanza, ad un rinvio puro e semplifica agli atti di causa e viola il precetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo il quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, non può ritenersi osservata quando il ricorrente non prospetti alcuna narrativa degli antefatti e della vicenda processuale, né determini con precisione l’oggetto della 41 www.judicium.it originaria pretesa così contravvenendo proprio alla finalità primaria della prescrizione di rito, che è quella di rendere agevole la comprensione della questione controversa, e dei profili di censura formulati, in immediato coordinamento con il contenuto della sentenza impugnata (Cass. 24 luglio 2013, n. 18020; Cass. 16 marzo 2011, n. 6279; Cass. 9 settembre 2010, n. 19255; Cass., Sez. Un., 17 luglio 2009 n. 16228)”93. Si specifica, inoltre, come non violi il principio di autosufficienza, avuto riguardo alla complessità della controversia, il ricorso per cassazione confezionato mediante inserimento di copie fotostatiche o scannerizzate di atti relativi al giudizio di merito, qualora la riproduzione integrale di essi sia preceduta da una chiara sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione della questione dedotta94; e, infine, di come si possa desumere l’esposizione sommaria dei fatti di causa anche nella parte destinata all’esposizione dei motivi, senza la necessarietà che questo costituisca una premessa autonoma ed a se stante rispetto ai motivi di impugnazione95, pur aggiungendosi (non condivisibilmente), talora, che quando il ricorso graficamente preveda una parte dedicata allo svolgimento del fatto, il confezionamento errato di tale parte conduca direttamente all’inammissibilità, senza che possa sopperire l’esame dei motivi del ricorso per controllare se dagli stessi non possa evincersi l’assolvimento del requisito96. Il principio di autosufficienza, dunque, punisce oggi, almeno in queste ipotesi, i peccati di eccesso di commissione, non più di omissione. E l’indirizzo ora evidenziato sembra rapidamente definirsi come un punto in via di rapido consolidamento, e del resto più aderente a letture più responsabili del principio, che è necessario indicare con chiarezza. E che riportano, almeno per questa fase del ricorso, il principio di autosufficienza alla sua funzione primigenia di strumento di chiarezza e precisione richiesti per il ricorso in cassazione. Con la speranza che questa lettura, ormai condivisibilmente definita nella inammissibilità per i ricorsi con riproduzioni pedisseque dei precedenti segmenti processuali, non si “espanda” come elemento tale da lasciare all’organo decidente un margine ampio di discrezionalità nel definire quando poi l’esposizione dei fatti sia sufficientemente “sommaria”, tra il vizio del peccato per omissione, la perfezione (determinata di volta in volta dalla corte di legittimità), ed il peccato di eccesso. Se così fosse, si cadrebbe dalla padella alla brace; ma, francamente, non sembra che sia questo l’intendimento della Suprema Corte. 93 Cass. sez. Lav., 03 giugno 2014, n. 12355. Similmente Cass. Sez. Un. 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. sez. IV, 30 settembre 2014, n. 20859. 94 Cfr. Cass. S.U., 24 febbraio 2014, n. 4324, resa in sede di regolamento di giurisdizione; Cass. sez. I, 28 gennaio 2015, n. 1624, ritiene che, per valutare il rispetto del principio di autosufficienza, vadano espunti dal ricorso gli atti e documenti ivi riprodotti, e valutate esclusivamente le pagine autonomamente redatte per verificare se queste espongano in maniera sufficiente i fatti ed i motivi. 95 Cass. sez. III, 9 aprile 2013, n. 8569. 96 Cass. sez. VI,16 gennaio 2014, n. 784. 42 www.judicium.it 2.a. Segue. Il contenuto del ricorso: il principio di autosufficienza ed i motivi per i quali si chiede la cassazione. Quanto invece alla definizione del principio di autosufficienza nella parte del ricorso in cassazione dedicato all’indicazione dei motivi, la situazione è ancora assai più incerta. Ho già indicato le diverse posizioni assunte nella giurisprudenza della Corte di cassazione quanto alla definizione del principio per i ricorsi introdotti dopo la riforma del 2006. Quanto alla fase dei motivi del ricorso, in sintesi, così nel par…ho riassunto le precedenti posizioni della cassazione nelle prime applicazioni della riforma: 1) Talora si continua a sancire – come se l’art. 366 c.p.c. non fosse mai stato novellato – l’inammissibilità dei motivi in cui il ricorrente si limiti a rinviare (indicandoli specificamente) agli atti e i documenti del giudizio di merito, senza riprodurne integralmente il contenuto in sede di ricorso. 2) In altre pronunzie, invece, la Corte di Cassazione ha interpretato l’introduzione – ad opera del legislatore della riforma – dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., come l’attribuzione a carico del ricorrente di un onere ulteriore rispetto a quello di integrale trascrizione degli atti processuali, espressione della versione strong dell’autosufficienza. In altri termini, l’onere di “localizzazione” codificato dalla predetta disposizione e quello di trascrizione vengono concepiti come due condizioni non sovrapponibili ed entrambe indispensabili ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, in quanto anche in presenza di una puntuale riproduzione degli atti dei precedenti gradi di giudizio, posti a fondamento della censura, la mancata individuazione topografica del “luogo processuale” in cui gli stessi sono consultabili non consentirebbe alla Suprema Corte di reperirli per verificare se il contenuto sia conforme a quanto trascritto dal ricorrente in seno al ricorso. E tuttavia, dall’analisi delle pronunzie della Corte della Cassazione, soggette alla disciplina processuale delineata dalla riforma del 2006, emerge – in altri casi – se non proprio un ridimensionamento, una leggera attenuazione della versione estrema dell’autosufficienza. 3) Talora, infatti, la Suprema Corte sembra offrire al ricorrente un’alternativa alla riproduzione del contenuto dell’atto processuale, costituita dall’allegazione dello stesso al ricorso; mentre 4) in altri casi il Giudice di Legittimità mostra di accontentarsi anche di una sintesi del contenuto dell’atto richiamato. La giurisprudenza più avveduta – seppur minoritaria – della Suprema Corte sembra dunque aver correttamente interpretato e valorizzato le modifiche normative introdotte dalla riforma del 2006, cogliendone correttamente la ratio e le scelte di politica giudiziaria ad essa sottese, rispolverando sostanzialmente la versione originariamente light dell’autosufficienza, intesa esclusivamente come onere di “localizzazione” dell’atto. La Cassazione – nel rispetto di quell’accordo istituzionale concluso con il legislatore della riforma – arriva, infatti, espressamente ad escludere la necessità della trascrizione – a pena d’inammissibilità – degli atti posti a fondamento dell’impugnativa, richiedendo esclusivamente – in ossequio al principio in esame – la specificazione della sede 43 www.judicium.it processuale in cui il documento, pur individuato nei suoi elementi essenziali in seno al ricorso, è stato prodotto nella fase di merito. 5) Infine, si registra un timido orientamento della Cassazione in cui è possibile scorgere nuovamente i caratteri primordiali (o genetici) del principio di autosufficienza, allorché veniva inteso esclusivamente quale canone integrativo dei principi di specificità, completezza, chiarezza e precisione nella redazione dei ricorsi. Questa “carrellata” di diverse posizioni offerte dalla corte non può oggi definirsi superata. L’esame delle decisioni in materia adottate dalla Suprema Corte negli anni 2013-2014 sembra mantenere alcuni profili di incertezza nella enucleazione del principio di autosufficienza, con significative differenze tra le sezioni della Cassazione. Le Sezioni Unite hanno ritenuto inammissibile un motivo di ricorso in cui si lamentava una errata lettura dei dati di una consulenza tecnica d’ufficio poiché il ricorrente “ha omesso di riportare analiticamente e compiutamente le indicazioni del consulente, con la conseguenza di non consentire al giudicante l’’esame diretto di quanto da quest’ultimo accertato e riferito e di apprezzare quindi la rilevanza dei singoli profili considerati nell’ambito della relazione (e soprattutto delle relative conclusioni) nel suo complesso”97. Le Sezioni Unite individuano nel principio di autosufficienza in cassazione un quid ulteriore rispetto al divieto di specificità dei motivi di altre forme di impugnazione98, che imporrebbe solo per il giudizio di cassazione l’ulteriore elemento che sarebbe dato dalla necessarietà in cassazione di desumere integralmente dal ricorso la situazione senza che sia consentito un richiamo ad altri atti99. 97 Cass. Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, (l’inammissibilità è tuttavia accompagnata dall’ulteriore considerazione dell’inammissibilità delle valutazioni di fatto che sarebbero richieste nel caso di specie alla Corte di cassazione). 98 D’altro canto, le Sezioni Unite (ad es. Cass. S.U., 24 febbraio 2014, n. 4324) affermano l’esistenza del principio di autosufficienza anche in tema di regolamento di giurisdizione, che non prevede necessariamente l’esistenza di specifici motivi di ricorso non essendo un mezzo di impugnazione. 99 Cfr. Cass. Sez. Un., 17 giugno 2013, n. 15122, dove si afferma che “…. Ciò, peraltro, non toglie che, a norma del R.D. n. 37 del 1934, art. 59, il ricorso al Consiglio Nazionale Forense avverso le pronunce emesse dai locali Consigli dell'ordine debba contenere l'enunciazione specifica dei motivi sui quali esso si fonda (cfr. Sez. un. 25 novembre 2008, n. 28049). Il che, espunto l'improprio riferimento al citato art. 342 c.p.c., potrebbe in definitiva condurre a conclusioni non dissimili. Senonchè occorre considerare che, nel caso in esame, il Consiglio Nazionale Forense sembra far coincidere il vizio del ricorso consistente nel difetto di specificità dei motivi con la mancata esposizione, nel ricorso medesimo, dei fatti oggetto del procedimento svoltosi dinanzi al Consiglio dell'Ordine; donde il richiamo al già sopra menzionato principio di autosufficienza del ricorso. Ma, se è vero che talvolta il (pur discusso) principio di autosufficienza è stato giustificato, con riferimento al ricorso per cassazione, con l'esigenza di rispettare il requisito della specificità dei motivi d'impugnazione, non può trascurarsi che una tale impostazione appare strettamente legata alle caratteristiche proprie del giudizio di legittimità: alla circostanza, cioè, che la Corte di cassazione non è giudice del fatto (salvo il caso di denuncia di errores in procedendo) e che, non potendo di conseguenza verificare ed accertare direttamente la situazione di fatto sulla scorta dell'esame degli atti e dei documenti acquisiti al precedente giudizio di merito, essa neppure potrebbe valutare l'attinenza e la decisività delle censure in diritto, oppure per difetti della motivazione, che il ricorrente ha mosso all'impugnata sentenza. Donde, appunto, la particolare curvatura assunta dal requisito della specificità del ricorso per cassazione, che deve consentire a chi lo legge di comprendere senz'altra indagine in qual modo la correzione degli errori 44 www.judicium.it La prima sezione della corte di cassazione, in tema di interpretazione dei contratti, mantiene ferma la tesi per cui “in ossequio al principio di specificità dei motivi ed autosufficienza del ricorso, la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretende di attribuire”100; così similmente, nelle critiche ad una consulenza tecnica, pretende sia l’indicazione delle circostante e degli elementi da sottoporre al controllo di legittimità che il riportare per esteso le parti della consulenza tecnica criticate 101. E, tuttavia, in altra pronuncia sempre in tema di contestazioni in tema di consulenza tecnica, le necessarie indicazioni delle puntuali ragioni di critica non sono affiancate dall’onere di trascrizione della parte contestata102. Si assume nel senso più rigoroso il principio di autosufficienza allorquando si pretende, laddove nel motivo di ricorso si sollevino censure che richiedano l’esame di delibere, “che il testo di tali atti sia integralmente trascritto”103. In materia di contestazione sulla novità o no delle questioni fatte valere per la prima volte in sede di legittimità, si è ritenuto indispensabile ai fini dell’autosufficienza che la parte avesse indicato in quale atto e in quale momento del giudizio precedente avesse fatto dedotto la questione, richiedendo per altri versi tuttavia anche la “trascrizione dell’atto di impugnazione in cui la censura sarebbe stata invece formulata”104. di diritto o l'emenda dei vizi di motivazione sollecitati dal ricorrente si saldino con la vicenda processuale e siano perciò idonee a determinare l'invocata cassazione del provvedimento impugnato. La situazione non si presenta affatto negli stessi termini per il ricorso proposto dinanzi al Consiglio Nazionale Forense avverso i provvedimenti dei locali Consigli dell'ordine. Il giudizio al quale il Consiglio Nazionale Forense è in tal caso chiamato non è un giudizio di mera legittimità, ma indiscutibilmente si estende anche agli aspetti di merito che interessano il provvedimento impugnato, di modo che nulla impedisce a quel giudice di prendere in esame nella sua interezza l'intera documentazione prodotta nel corso del procedimento. Se è vero che i motivi d'impugnazione, come s'è già detto, debbono anche in questo caso esser specifici, non se ne può perciò desumere che sia essenziale a tal fine l'esposizione dettagliata, nel corpo stesso del ricorso, dei fatti che hanno formato oggetto del precedente procedimento disciplinare di natura amministrativa, essendo sufficiente che quei fatti, nella misura in cui occorra prenderne conoscenza per valutare della legittimità o dell'illegittimità del provvedimento impugnato, risultino acquisiti al giudizio onde il giudice (id est: il Consiglio Nazionale Forense) sia in condizione di percepirli e valutarli; ed è intuitivo che, a tale scopo, ben possa tenersi conto dei documenti allegati al ricorso, così come dei dati ricavabili dallo stesso testo del provvedimento impugnato, una copia del quale deve, d'altronde, necessariamente corredare il ricorso a norma del D.L. n. 37 del 1934, art. 59, comma 1. Alla luce del principio di diritto appena enunciato, pertanto, deve concludersi che l'asserita ragione d'inammissibilità del ricorso (rectius del terzo e del quarto motivo del ricorso) proposto dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, nel caso in esame, non sussiste.”. 100 Cass., sez. I, 15 maggio 2013, n. 11699. 101 Cass. sez. I, 3 settembre 2013, n. 20131; Cass. sez. I, 17 luglio 2014, n. 16368, per l’onere di trascrivere integralmente “almeno” i passaggi salienti e non condivisi della relazione. 102 Cass., sez. I, 4 giugno 2014, n. 12547. 103 Cass. sez. I, 16 ottobre 2013, n. 23438. 104 Cass. sez. I, 18 ottobre 2013, n. 23675. 45 www.judicium.it In altre ipotesi, però, il principio è riferito alla necessità di una chiara indicazione delle ragioni di impugnazione, come difetto di specificità dei motivi, ma senza richiedere trascrizioni integrali105. La seconda sezione della Corte di Cassazione ha precisato che, la parte che impugna una sentenza per omessa pronuncia su una domanda o una eccezione ha l’onere per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, di specificare non solo in quale atto difensivo o verbale di udienza l’abbia formulata, ma anche di riportare quali ragioni abbia formulate a sostegno della richiesta106. Ritiene inammissibile per violazione del principio di autosufficienza il motivo di omesso esame di scritture private quando di queste non sia stato riportato il testo nel ricorso107; approva l’integrale trascrizione delle prove documentali e testimoniali operate dal ricorrente in ossequio al principio dell’autosufficienza108. La terza sezione, ribadisce in più pronunce l’onere della trascrizione integrale con riferimento a quelle parti dell’atto processuale oggetto di doglianza, specificando ancora come inoltre è ancora necessario che si provveda inoltre alla individuazione dell’atto con riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo, come pervenuta presso la corte di cassazione109. Necessità, a pena di inammissibilità, di precisare l’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità, sottolineata anche laddove la Suprema Corte sembra accontentarsi del richiamo all’atto o al documento processuale oggetto di riesame senza onere di trascrizione110. Rimane fermo l’onere, a pena di inammissibilità, quando si prospetta una omessa pronuncia su un motivo di appello sul quale la corte di merito avrebbe avuto l’onere di pronunciare, di trascrivere integralmente nel ricorso in cassazione la detta richiesta stesa nella fase di merito111. In altra occasione, pur accontentandosi della indicazione della parte dell’atto processuale oggetto di contestazione ma senza onere di integrale trascrizione, specifica la necessità a pena di inammissibilità di indicare dove questi atti processuali siano stati prodotti e quindi siano esaminabili nel giudizio di legittimità112. La sezione lavoro ha applicato diffusamente il principio di autosufficienza; la quarta sezione, in ipotesi di rilievo di vizi attinenti all’ultra o extrapetizione, richiede la trascrizione del motivo di appello nel ricorso di cassazione113. In altra circostanza, tuttavia, per ritenere assolto il principio di autosufficienza, ha ritenuto necessario solo l’analitica indicazione dei documenti (provvedimenti disciplinari) asseritamente non 105 Cass, sez. I, 10 febbraio 2014, n. 2962. Cass. sez. II, 4 gennaio 2013, n. 94. 107 Cass. sez. II, 9 gennaio 2013, n. 316. 108 Cass. Sez. II, 8 febbraio 2013, n. 3137. 109 Cass. sez. III, 13 febbraio 2013, n. 3544. 110 Cass. sez. III, 9 aprile 2013, n. 8659. 111 Cass. Sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26155. 112 Cass. sez. III, 10 febbraio 2015, n. 2489. 113 Cass. sez. lav., 15 gennaio 2013, n. 817. 106 46 www.judicium.it valutati, senza onere di integrale trascrizione nel ricorso di cassazione 114. E similmente la Corte ha ritenuto in ipotesi di contestazione sul mancato rispetto da parte della sentenza impugnata delle conclusioni di due consulenze tecniche d’ufficio, nella quale, per il rispetto del principio di autosufficienza si chiede o l’integrale trascrizione o anche solo la indicazione degli accertamenti e delle specifiche risultanze processuali115. Così la Corte ha ritenuto in tema di differenze retributive, laddove il motivo di ricorso per cassazione con il quale si lamenta la mancata valutazione, nel giudizio di merito, dei cedolini ritualmente prodotti, sufficiente per il rispetto del principio di autosufficienza non necessariamente la trascrizione nel ricorso ma anche solo l’indicazione, in via riassuntiva, del contenuto di tali atti; statuendo inoltre, nel decidere lo stesso ricorso, l’inammissibilità sempre per violazione del principio di autosufficienza, di altro motivo di ricorso per vizi sull’interpretazione di clausola di contrattazione collettiva per non avere integralmente trascritta il contenuto di tale clausola, integrale trascrizione richiesta anche per una contestazione sulla mancata ammissione di un proposto mezzo istruttorio116 Integrale trascrizione, ancora, richiesta per le clausole contrattuali il cui riesame sia sollecitato alla Corte di cassazione117. Quanto ai motivi di ricorso per violazione di legge, la quarta sezione afferma come per il principio di autosufficienza non sia sufficiente nel ricorso indicare le norme asseritamente violate dal giudice del secondo grado, ma sia richiesto anche la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da provocare criticamente una valutazione comparativa tra opposte soluzioni118. Si assume che, oltre a richiedere la specifica indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso con riproduzione del contenuto nel ricorso per cassazione, risulti necessario ancora non solo specificare in quale sede processuale il documento è stato prodotto, ma anche l’ulteriore produzione del documento in sede di legittimità ex art. 369 comma 2 n. 4 c.p.c, pur specificando, quanto agli atti e documenti contenuti nel fascicolo di parte del giudizio di merito, come sia sufficiente la produzione di quel fascicolo in sede di legittimità (sempre insieme alla specifica indicazione nel ricorso degli atti e della loro collocazione) per ritenere assolto il principio di autosufficienza119. 114 Cass. sez. IV, 16 gennaio 2013, n. 892. Cass. sez. lav., 12 febbraio 2014, n. 3224. 116 Cass. sez. IV, 11 febbraio 2014, n. 3026. 117 Cass. sez. IV, 15 novembre 2013, n. 25728; Cass. sez. IV, 13 novembre 2014 n. 24230. 118 Cass. sez. IV, 7 ottobre 2014, n. 21083. 119 Cass. sez. IV, 15 gennaio 2013, n. 822; Cass. sez. IV., 28 agosto 2013, n. 19832. Entrambe le sentenze ribadiscono quanto affermato dalla pronuncia del 3 novembre 2011 n. 22726 delle Sezioni Unite, di cui trascrivono la massima: “Va preliminarmente rilevato che non risulta riprodotto il testo integrale del regolamento della società cooperativa e che ne è omessa la produzione nei termini richiesti con riguardo al giudizio di legittimità. Al riguardo è stato sancito che “in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D. Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti 115 47 www.judicium.it In altra circostanza, si specifica che l’esame diretto degli atti di causa da parte del giudice di legittimità, pur quando consentito dalla natura del ricorso, è circoscritto tuttavia solo agli atti e documenti che la parte abbia specificamente indicato e allegato120. La quinta sezione, la sezione tributaria, richiede la testuale riproduzione nel ricorso dei passi della motivazione dell’avviso di accertamento che si assumono malamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito121. Assume: “è, invero, orientamento consolidato che, qualora una determinata questione giuridica, che implichi accertamenti di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente, che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzia al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, trascrivendone il contenuto o le parti essenziali di esso, onde dare modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa”122. In altre decisioni, tuttavia, diversamente si ritiene che il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito ha il duplice onere di indicare in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e anche di evidenziarne il contenuto all’interno del ricorso di cassazione, potendo tuttavia trascriverlo ma anche soltanto riassumendolo nei suoi esatti termini123. Anche la sesta sezione si è più volte occupata del principio di autosufficienza, spesso utilizzato proprio per legittimare la rapida pronuncia sul ricorso in quella sezione124. o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr. Cass., Sez. Un. 3.11.2011 n. 22726)”. 120 Cass. sez. IV, 17 gennaio 2014, n. 896. 121 Cass. sez. V, 4 aprile 2013, n. 8312; Cass. sez. V, 19 aprile 2013, n. 9536; Cass, sez. V, 17 ottobre 2014, n. 22003. 122 Cass. sez. V, 22 gennaio 2013 n. 1435. 123 Cass. sez. V, 12 dicembre 2014, 26174. 124 Ad es. Cass. sez. VI, sottosezione 3, Cass. 25 marzo 2015, n. 7456, la quale tuttavia ritiene di offrire una giustificazione teorica al principio di autosufficienza: “Il Collegio, contro quelle opinioni che ritenevano la costruzione da parte della giurisprudenza di questa Corte del principio di autosufficienza priva di fondamento sul piano della logica delle norme processuali, rileva che, se ci si chiede quale di quel principio fosse il fondamento, un'agevole risposta favorevole si otterrebbe considerando in progressione logica i seguenti principi: a) il principio della domanda (art. 99 c.p.c.), applicabile anche al ricorso per cassazione, che è una "domanda" proposta in sede di impugnazione, e la struttura del ricorso per cassazione come mezzo di impugnazione a critica limitata: poichè il ricorso per cassazione è una domanda impugnatoria che può proporsi per certi particolari motivi, come tale necessariamente si deve 48 www.judicium.it ***************** L’esame di alcune delle sentenze che nelle diverse sezioni civili della Corte di Cassazione ho offerto mostra, dunque, una situazione ancora non integralmente definita. Residua, tuttavia un criterio comune alle varie posizioni, ovvero il requisito della “completezza” e della “specificità” del motivo, inteso come necessità di trarre dal solo ricorso sufficiente cognizione della censura e delle questioni giuridiche sottese. Quanto invece alla necessità o no dell’integrale trascrizione degli atti processuali all'interno del ricorso, permangono diverse letture; la versione light del principio, che condivisibilmente si accontenta della sintesi dell’atto richiamato, in evidente sintonia con i suggerimenti offerti dal primo presidente della Corte di Cassazione125, sembra acquistare spazio126. Ma non mancano certo ancora sentenze che continuano a richiedere l’integrale trascrizione tout court degli atti o dei documenti processuali che si richiede alla Corte di legittimità di riesaminare. E che sembrano anzi rappresentare a tutt’oggi la posizione sostanziare, per il concetto stesso di impugnazione, in una critica alla decisione impugnata, il che impone di prospettare alla Corte nell'atto con cui viene proposta perché la decisione è errata secondo il paradigma dell'art. 360 c.p.c. e, quindi, di dirlo argomentando dalle risultanze processuali del merito, siano esse documenti o atti processuali; b) la struttura del giudizio di cassazione assegna al ricorso la funzione di sede esclusiva dell'attività di allegazione diretta a sorreggere il mezzo di impugnazione (e al controricorso quella di sede esclusiva delle allegazioni in senso contrastante), tanto che le memorie di cui all'art. 378 c.p.c. e la discussione orale, non possono che svolgere funzione meramente illustrativa delle allegazioni del ricorso (salva la deducibilità di fatti nuovi), ed inoltre vede sostanzialmente assente - salve le limitate eccezioni che si sono individuate in dottrina - un'attività istruttoria, essendo il processo scritto ed essendo, peraltro, come rivela l'art. 372 c.p.c., nuove produzioni limitate a quanto tale norma consente, mentre il materiale istruttorio formatosi nelle fasi di merito è producibile ed anzi deve esserlo ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ma lo deve all'atto del deposito del ricorso. In una cornice funzionale siffatta, le allegazioni che sui documenti e sugli atti processuali si fondano debbono necessariamente essere articolate nel ricorso, di modo che tutto ciò che non è dedotto nel ricorso non può entrare più nel processo. E le allegazioni debbono esserlo in modo specifico e non attraverso una generica enunciazione che l'allegazione troverebbe riscontro in un determinato atto o documento e, quindi, con l'affidamento alla Corte del compito di cercare prima l'atto o il documento e, quindi, la conferma in essi di quanto vi si è fondato. Una simile enunciazione darebbe, infatti, alla Corte il potere di procedere a tale riscontro con evidente soggettivismo (rischioso ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c.) e, poiché non è prevista l'interlocuzione della Corte con la parte, sia pure nell'udienza (salvo per il potere di cui all'art. c.p.c., 384 comma 3), l'eventuale riscontro che il relatore avesse ritenuto di rinvenire studiando il fascicolo, non sarebbe soggetto ad alcuna possibilità di verifica di rispondenza all'intento della parte. Non solo: la controparte sarebbe esposta all'assoluta incertezza del se la verifica della Corte possa dare esito positivo o negativo, sicchè l'autosufficienza assolveva anche alla garanzia dell'effettività del contraddittorio. Queste essendo le giustificazioni del principio di autosufficienza, il legislatore delegato del 2006, di cui a D.Lgs. n. 40 del 2006, ha ritenuto di codificarle nella norma dell'art. 366 c.p.c., n. 6, e, nell'applicare tale norma delle ragioni giustificative che stavano sottese alla regola giurisprudenziale della ed. autosufficienza è necessario tenere conto, perché esse forniscono il metro esegetico "giusto" per la sua applicazione (che l'art. 366, n. 6 sia l'approdo normativo del principio di autosufficienza è stato espressamente affermato da Cass. n. 12239 del 2007, seguita da numerose conformi)”. 125 V. al paragrafo precedente. 126 Cfr. http://www.judicium.it/admin/saggi/517/Lettera%20Presidente%20Cassazione.pdf. 49 www.judicium.it maggioritaria della Suprema Corte ora citate. Sul punto, tuttavia, voglio osservare che la precedente analisi, centrata sulle decisioni in cui la Corte ha espressamente ritenuto di decidere avendo riguardo al principio di autosufficienza, per disporre nella più parte dei casi per l’inammissibilità dell’esame del motivo di ricorso, pur illuminante, rischia di dare una lettura comunque parziale dei complessivi intendimenti della cassazione. Spesso, infatti, la corte è chiamata a decidere su motivi di ricorso in cui il ricorrente ricostruisce adeguatamente la fattispecie da esaminare, riassumendo quando occorre esaustivamente atti e documenti del giudizio di merito pur evitando di procedere ad una pedissequa trascrizione; in queste ipotesi, in genere, la corte di cassazione si dedica immediatamente a passare all’esame del motivo nel merito, ritenendo assolto il requisito dell’autosufficienza. Il controllo della sussistenza del requisito della autosufficienza in questi casi, eccetto per lo più casi in cui la corte risponde ad una eccezione del resistente, viene effettuato favorevolmente dalla corte ma non esplicitato con una pronuncia apposita; e, pertanto, appare arduo ricavarlo dalle massime o dal contenuto delle sentenze. Eppure esiste, ed ha una valenza non indifferente, e consente io credo di affermare che la Corte abbia nei confronti del principio in questione una lettura ancora appunto non omogenea. Va dato conto, allora, di come talora sembra farsi strada una soluzione per così dire “intermedia” tra le due letture del principio. Ovvero, non si assume tout court la necessità della integrale trascrizione, e tuttavia, ad esempio in materia di interpretazione di atti processuali o di contratti, si pronuncia la inammissibilità del ricorso “qualora la parte riportata in sentenza non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato”; al di là dell’affermazione in astratto nel concreto in realtà così ritenendo di regola indispensabile l’integrale trascrizione salvo ipotesi limitate in cui questo non sia necessario, lasciando infine un pericoloso margine discrezionale non predeterminabile e difficilmente armonizzabile ai giudici del Supremo Collegio. Una lettura, anche questa, non ancora in linea con gli spunti offerti dalla migliore dottrina, anche in riferimento alla riforma del 2006 degli art. 366 e 369 c.p.c.127, ed alle suggestioni culturali ricavate nell’ultimo biennio128; e che lascia in grande imbarazzo l’avvocato nella redazione del ricorso, combattuto tra il desiderio di aderire alle indicazioni del Presidente Santacroce nell’evitare la parcellizzazione dei motivi di ricorso e nel limitarsi alla “sintetica indicazione delle porzioni del documento interessato”, e non della “completa trascrizione nel ricorso stesso dei documenti”, al fine di poter comporre un efficace ricorso di facile lettura, e il permanere di pronunce che potrebbero condurre un ricorso così composto addirittura alla sanzione dell’inammissibilità. ***************** In conclusione occorre dare conto di una presa di posizione delle Sezioni Unite in riferimento alla portata del motivo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. per come “rivoluzionato” dalla riforma del 2012, oggi ridefinito come “omesso esame circa un fatto decisivo per il 127 128 V. retro, parte prima, § 2 e 3. V. al § 2. 50 www.judicium.it giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il nuovo motivo di ricorso 129, ai fini che ci occupano, rappresenta qualcosa che richiama (pur se non necessariamente) la motivazione della sentenza impugnata con “l’omesso esame”, ma ancora elementi, “il fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, che si ricavano al di fuori della motivazione della sentenza impugnata, così legittimando ed imponendo viepiù la estensione del sindacato della Corte di Cassazione oltre la sentenza e fino al controllo extratestuale della legittimità della sentenza impugnata, similmente a quanto da tempo attuato, con analoga modifica, nel codice di rito penale”130. Ai fini dell’autosufficienza, dunque, è coerente con la nuova disposizione, ritenere che, per come oggi richiesto dalla Suprema Corte “la parte ricorrente dovrà quindi indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 comma 1 n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2 n. 4), il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso”131. Enucleati così gli elementi essenziali richiesti dal nuovo n. 5 perché il principio di autosufficienza possa dirsi rispettato quanto ai profili di completezza e specificità, a livello teorico rimane però che anche in questa ipotesi le Sezioni Unite non hanno dettato una regola espressa in cui si richiede la trascrizione integrale dei documenti; pur se è vero che, nella fattispecie concreta che ha occasionato una delle due delle pronunce delle Sezioni Unite, si dichiara l’inammissibilità di un ricorso privo di una trascrizione integrale dei passi oggetto di contestazione, assunta nel caso di specie come momento appunto indispensabile per la piena comprensione del ricorso132. 129 Al riguardo rimando ad un mio articolo “Il controllo del giudizio di fatto in cassazione e le sentenze delle Sezioni Unite”, in corso di stampa. 130 LOMBARDO, op. cit., 240, rileva che l’art. 8 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha sostituito la lett. e dell’art. 606 c.p.p. prevedendo ora che il vizio della motivazione non è più censurabile soltanto quando risulti “dal testo del provvedimento impugnato”, ma anche quando risulti “da altri atti del provvedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”. 131 Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054. 132 Le Sezioni Unite con la sentenza 8053/2014, nel dichiarare inammissibile un motivo del ricorso per cassazione proposto dalla Agenzia delle Entrate per mancato rispetto del principio espresso dall'art. 366 c.p.c., hanno precisato che: “Secondo il costante orientamento di questa Corte "nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall'art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento....è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento" (Cass. n. 9536 del 2013; v. nello stesso senso Cass. nn. 8312 del 2013; 13007 del 2007; 12786 del 2006; 15867 del 2004)”. 51 www.judicium.it 2 b. Segue. Il principio di autosufficienza e il deposito dei documenti richiamati nel ricorso nel fascicolo di parte. Si è, ancora dato conto dello stato dell’arte quanto invece all’introduzione, ad opera della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, o meglio di un filone della stessa, dell’ulteriore onere di produrre, nuovamente e separatamente nel fascicolo di legittimità, gli atti posti a fondamento del ricorso, ritenendo talora non adempiuto tale obbligo neanche attraverso la formulazione della richiesta di trasmissione degli atti del giudizio di merito alla cancelleria del giudizio di appello, e così anche quanto alle problematiche insite nelle ipotesi in cui i documenti citati siano posti nei fascicoli della controparte, e da questa ritirati133. Anche questo aspetto, pur incidentalmente, è stato a ben vedere oggetto delle attenzioni del Primo Presidente della Corte di Cassazione, laddove egli nella sua lettera, più volte citata, nel riferirsi ai documenti la cui omessa o non corretta valutazione sia oggetto del motivo di impugnazione, aggiunge “eventualmente allegati al ricorso ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c.”; una eventualità, dunque, e non un obbligo ulteriore a pena di inammissibilità, come del resto già ritenuta da altro filone di decisioni della Suprema Corte, che dovrebbero a maggior ragione oggi prevalere. Anche sul punto, tuttavia, si mantiene dunque una incertezza applicativa che non sembra superata dall’ultimo biennio di applicazione della disciplina. Anche se spesso la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull’onere di allegazione di atti o documenti nel fascicolo di parte in cassazione, richiama alcuni assunti sul tema della Suprema Corte, come principi evidentemente in via di consolidamento, che ritengono sufficiente, ai fini dell’assolvimento degli oneri di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c. in correlazione all’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., la produzione dei fascicoli di parte del giudizio di merito, e se il documento sia conservato nel fascicolo di controparte l’indicazione di dove il documento sia stato prodotto nella fase di merito, e quanto agli atti contenuti nel fascicolo d’ufficio il deposito della richiesta di trasmissione del fascicolo alla cancelleria della corte di merito134 (oltre alla indicazione all’interno del ricorso dell’esatta allocazione dei documenti nel fascicolo processuale). 133 134 V. § 4 e 6. Cass. sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2788, afferma che “Invero l'onere della parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo una consolidata elaborazione giurisprudenziale costituisce il corollario del requisito di specificità dei motivi di impugnazione, risulta ora tradotto nelle più puntuali e definitive disposizioni contenute nell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. SS.UU. 22 maggio 2012, n. 8077 in motivazione). Sull'interpretazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 sono intervenute le SS.UU. di questa Corte con sentenza 2 dicembre 2008, n. 28547, affermando il principio, puntualizzato con sentenza 25 marzo 2010, n. 7161, secondo cui l'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l'indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto. Tale prescrizione va correlata all'ulteriore requisito di procedibilità di cui all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si 52 www.judicium.it 3. Istruzioni per l’uso Dalla lettura dello stato dell’arte discende una reale incertezza su come stendere un ricorso per Cassazione in linea con gli attuali precetti giurisprudenziali resi nella determinazione del principio di autosufficienza135. a) Si può partire da un punto se non ancora fermo, probabilmente in via di rapido consolidamento; nell’esposizione sommaria dei fatti di causa, di cui all’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c., è suicida riportare integralmente il contenuto degli atti processuali136, poiché la mancata sintesi ed individuazione dei momenti salienti ai fini dell’impugnazione conduce oggi ineluttabilmente alla inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza. specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l'indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all'ammissibilità del ricorso (art. 372 cod. proc. civ.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l'esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell'ambito del ricorso. In sostanza, ancorchè l'onere del ricorrente, di cui all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, mediante la produzione dello stesso, e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 3, resta ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, del contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari al loro reperimento (confr. Cass. civ. 3 novembre 2011, n. 22726)”. 135 Va aggiunto, per completezza, che l'introduzione del filtro di ammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c., spinge a ritenere che la parte nella redazione dell'atto introduttivo del giudizio di cassazione, per sottrarsi ad una eventuale dichiarazione di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza nella sua versione rigida, dovrà adesso rispettare taluni requisiti (seppur non espressamente previsti dall'art. 366 c.p.c), come l'indicazione della questione di diritto decisa dal giudice del merito, la conformità del motivo di ricorso rispetto all'orientamento giurisprudenziale della Corte, o la novità della stessa, o l'indicazione delle regole che hanno determinato la violazione dei principi del giusto processo. Sull'argomento, v. RUSCIANO, Nomofilachia e ricorso in cassazione, cit., 161-162 e 191-193. 136 Rimane semmai, per come si dirà più avanti, l’alternativa di riportare più estesi brani dei documenti e degli atti processuali anche nella parte del ricorso destinata all’esposizione sommaria dei motivi, non nel corpo del ricorso, ma al limite in nota a piè di pagina, avvertendo della probabile superfluità della lettura alla luce della riduzione ragionata operata nel testo principale, ma inserendo comunque una trascrizione più ampia per una ulteriore comodità di lettura del collegio decidente che ritener esse di voler così procedere. 53 www.judicium.it b) Quanto invece alla stesura dei motivi del ricorso per cassazione137, in riferimento all’obbligo di trascrizione degli atti o dei documenti processuali richiamati nel ricorso, appare evidente come non sia dato scegliere con certezza a priori tra due diverse filosofie nella redazione dell’atto. Si può cioè già oggi ritenere: 1) la lettura del principio di autosufficienza come necessità della specificità e completezza del motivo, unito al necessario rispetto del canone della brevità e della sintesi, lettura che quasi impone l’abbandono del criterio strong del principio di autosufficienza, ed in conseguenza evitare di inserire l’integrale trascrizione nel corpo dell’atto del documento o dell’atto processuale che viene censurato. Aderendo ad una simile lettura, potrebbe essere prudente, in nota, specificare che la scelta di non procedere alla integrale trascrizione risponde ai principi più attenti riscontrati nella giurisprudenza della cassazione, al canone di brevità dell’atto processuale, alle esortazioni alla classe forense lanciate dal primo presidente della corte di cassazione. 2) d’altro canto, l’esame della attuale fase giurisprudenziale retro effettuato ha evidenziato come una robusta parte della giurisprudenza, maggioritaria forse ancora almeno in alcune sezioni della Suprema Corte, pretende a pena di inammissibilità tuttora l’integrale trascrizione; ma è sufficiente ricordare le più frequenti decisioni che paventano l’inammissibilità per mancanza di integrale trascrizione, da valutare caso per caso per comprendere come, anche in tali ipotesi, aderire alla integrale trascrizione del documento appaia forse ancor oggi un ipotesi di maggiore tranquillità, posto che al contrario, almeno fino ad oggi, non si danno notizie di motivi di ricorso il cui esame nel merito sia precluso perché nel corpo del motivo il documento è stato integralmente trascritto, per violazione ad esempio del canone di sintesi e brevità. 3) è forse opportuno, allora, suggerire una diversa alternativa protettiva per il ricorrente, che non conduca tuttavia al rischio della inammissibilità del motivo, pur nel rispetto dei canoni di brevità e sintesi. Quanto al principio di autosufficienza, si può suggerire di non trascrivere integralmente il documento nel corpo del ricorso, ma di utilizzare le note a piè di pagina, inserendo ivi la trascrizione integrale, così comunque offerta all’attenzione del collegio decidente. c) Una ulteriore riflessione deve essere dedicata ai requisiti per integrare i canoni di completezza e specificità del ricorso sempre in riferimento al principio di autosufficienza: in argomento, quanto ai motivi di ricorso fondati sull’art. 360 n. 5 c.p.c., si può rimandare alle condivisibili indicazioni recentemente espresse dalle Sezioni Unite 138; consigliando altresì una maggiore attenzione nella censure delle regole metodologiche prima aggredibili ex n. 5, ed ora verosimilmente ex n. 3, per come retro evidenziato139. 137 Il problema più importante, io credo, è se con un unico motivo di ricorso si possano o no dedurre più vizi riferibili ai diversi motivi di cui all'art. 360 c.p.c. Anche su tale punto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione non manifesta una posizione univoca. Per un'analisi della giurisprudenza di legittimità, v. FRASCA, Ricorso, controricorso, ricorso incidentale, in ACIERNO, CURZIO, GIUSTI, La Cassazione civile, Bari, 2011, 62 ss. 138 V. al § 2a, II sezione. 139 V. al § 2, II sezione. 54 www.judicium.it Diversa è, infine la valutazione del principio di autosufficienza in riferimento alla necessaria o no introduzione degli atti e documenti citati nel ricorso, pur già presenti nei fascicoli di parte o nel fascicolo d’ufficio dei gradi merito, nel fascicolo di parte del giudizio di cassazione. Anche in questo, si è già retro evidenziata la erroneità delle tesi accolte in quel (robusto) filone giurisprudenziale che pretende una ulteriore deposito; e, tuttavia, si è anche dato conto di come l’onere (ingiustamente) imposto al ricorrente non sia nella più parte dei casi particolarmente gravoso. Un canone di “prudenza”, cioè il canone non scritto ma saggiamente presente nella prassi forense, potrebbe allora consigliare di provvedere comunque al deposito in questione, in particolare per quei documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio o nel fascicolo di controparte nei gradi di merito, che potrebbero non essere arrivati davanti alla cassazione al momento della decisione. 4. Sulla opportunità di un auspicabile intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. Il carattere variegato ed eterogeneo del panorama giurisprudenziale delineato, dalla Suprema Corte in tema di autosufficienza del ricorso per cassazione, rende, a mio avviso, auspicabile un intervento risolutivo e chiarificatore delle Sezioni Unite, al fine di definire i contorni e la portata del principio in esame, la cui puntualizzazione è divenuta francamente indispensabile onde far cessare questo perdurante stato di disorientamento ed incertezza sulla reale fisionomia dei requisiti di forma-contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di cassazione, che altrimenti necessiterà di troppo tempo prima di raggiungere nuove conclusioni univocamente definite e conformi per tutte le sezione della cassazione civile. Al riguardo, non sembra inutile ricordare come proprio nel campo del diritto processuale l’esigenza di stabilità140 sia particolarmente avvertita141, e come lo stesso mal sopporti l’incertezza giurisprudenziale142. Si consideri poi che, le questioni processuali, a differenza di quelle sostanziali, non sono tendenzialmente proprie di una sezione soltanto della Suprema Corte, ma si appoggiano quasi indifferentemente alle varie sezioni, a 140 Proprio le esigenze di stabilità e di affidamento sottese alle decisioni della Cassazione in campo processuale, e la difficoltà di raggiungere gli obiettivi esaprocessuali sulla sola base delle decisioni contraddittorie ed incoerenti rese dalle sezioni semplici, consentono, a mio avviso, di annoverare le questioni – come quella in esame – dotate di un margine rilevante di incertezza, tra quelle che possono essere legittimamente definite “di massima di particolare importanza”, tali cioè da giustificarne la devoluzione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c. 141 Un’opinione autorevolmente condivisa (v. DENTI, A proposito di Corte di cassazione e di nomofiliachia, in Foro.it, 1986, V, 417), riconosce espressamente, quanto alle questioni processuali, la prevalenza dell’esigenza della stabilità sulla bontà della soluzione. 142 Sul punto v. SANTANGELI, L'udienza di prima comparizione in una interpretazione della Suprema Corte (considerazioni sul «precedente giudiziario» ), in Riv. dir. Proc., 2001, II, 587. 55 www.judicium.it seconda dell’oggetto sostanziale della controversia. Ne deriva che non c’è una sezione con competenza tendenzialmente esclusiva a “dare la rotta” dell’atteggiamento giurisprudenziale sulla materia, e che pertanto è ben ipotizzabile che la decisione di una sezione, che solo per motivi di precedenza meramente temporale si sia trovata ad occuparsi di una vicenda processuale, potrebbe non fondare uno stimolo particolarmente elevato per le sezioni successive che dovessero trovarsi a giudicare successivamente di un’analoga fattispecie. D’altro canto, le diverse letture del canone dell’autosufficienza del ricorso – a cui fanno capo i molteplici e contraddittori orientamenti espressi delle varie sezioni della Corte – hanno raggiunto un grado di consapevolezza tale da rendere maturi i tempi per l’intervento delle Sezioni Unite143. La tematica in esame può essere, infatti, certamente annoverata tra quei casi di particolare complessità in cui per pronunciare rettamente si avverte come indefettibile l’esigenza di una compiuta evoluzione del pensiero, un sedimentare e maturare delle convinzioni, se necessario proprio grazie a pur dolorosi contrasti diacronici, che potrebbero, per alcune ipotesi, rendere eccessivamente rischioso un tentativo di cristallizzare immediatamente (o meglio prematuramente) la situazione attraverso una pronuncia delle Sezioni Unite. Proprio il predetto grado di consapevolezza, raggiunto dagli orientamenti espressi dalle diverse sezioni semplici, consente invece di scongiurare – con riguardo al “multiforme” canone di autosufficienza – il rischio di esaltare – attraverso l’auspicato intervento del Supremo Collegio – decisioni giudiziali non ancora pienamente maturate e consolidate, che si rivelerebbero poi assai difficili da modificare144. Occorre, infine, considerare che la funzione nomofilattica che la legge riconosce alla Corte di Cassazione presuppone l’autorevolezza delle sue decisioni 145, la quale dipende anche dal grado di affidabilità degli orientamenti che la stessa esprime. Orbene, non vi è dubbio che, con riguardo al principio di autosufficienza, appare quanto mai indispensabile un intervento delle Sezioni Unite, volto a ripristinare detti parametri di affidabilità ed autorevolezza. 143 Sui presupposti, la funzione e la valenza sistematica delle pronunzie delle Sezioni Unite, v., se vuoi, SANTANGELI, La sentenza civile come precedente giudiziale. Il suo valore, le modalità di estrazione, i suoi interpreti, Catania 1996, 34, ss. 144 Per tali ragioni, assume rilievo fondamentale l’esercizio del “potere” del Primo Presidente della Corte di Cassazione di disporre il rinvio della causa alle sezioni unite in ipotesi di contrasto tra le sezioni o per questioni di particolare importanza; questo potere deve essere costruito come un “dovere discrezionale” del Primo Presidente, di estrema importanza per la migliore riuscita della funzione nomofilattica della Suprema Corte, che non scatta automaticamente ma che andrà eventualmente disposto solo dopo attenta riflessione, perché all’esigenza di dare pronto affidamento a determinate decisioni in determinate materie o fattispecie, potrebbero contrapporsi – nel caso concreto – reali incertezze e la necessità di favorire un’evoluzione più dialettica, tali da far sconsigliare di forzare immediatamente con la predisposizione di una pronuncia delle Sezioni Unite 145 In tema di rapporto tra la funzionone nomofilattica e l’autorevolezza delle pronunzie della Suprema Corte, cfr. SANTANGELI, ult. op. cit., 51. 56 www.judicium.it È vero che le Sezioni Unite, anche nell’ultimo biennio, hanno avuto modo di pronunciare sulla portata del principio146; si è trattato, tuttavia, di decisioni che hanno affrontato il principio di autosufficienza solo incidentalmente nell’ambito di decisioni che avevano ad oggetto questioni sostanziali o di giurisdizione. Se il Presidente Santacroce volesse rapidamente innestare nella coscienza della classe forense e della giurisprudenza di legittimità le indicazioni così condivisibili e di buon senso da Egli suggerite nella lettera inviata al presidente Alpa147, il passaggio più felice non potrebbe che essere una o più pronunce delle Sezioni Unite espressamente e principalmente dedicate agli aspetti oggi incerti nella definizione del principio sulla scia delle sagge esortazioni del Primo Presidente della Corte di Cassazione. 5. Il principio di autosufficienza domani: alla prova del processo telematico. Una ultima riflessione la dedico ad un futuro non troppo lontano. Se oggi inizio un processo di primo grado ho la scelta tra provvedere a notificare l’atto introduttivo in forma cartacea o provvedere a notificare a mezzo Pec un atto introduttivo formato digitalmente nell’ipotesi in cui il destinatario sia titolare di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici registri (INIPEC e altri). La costituzione in giudizio (ed il contestuale deposito dei documenti), allo stato, può essere compiuta sia nelle forme tradizionali (cartacee), sia con modalità integralmente telematiche. Allo stesso modo oggi ci si regola per la costituzione del convenuto. Peraltro, se oggi l’atto introduttivo può ancora essere integralmente cartaceo; è invece assai probabile, ritengo, che in un prossimo futuro anche di questo atto si disporrà quantomeno la conservazione in formato digitale nel fascicolo telematico. Ed è allo stesso modo assai probabile l’introduzione di un onere di digitalizzazione anche dei documenti depositati al momento della costituzione in giudizio148. Già da adesso, peraltro, tutto quello che avviene nel processo dopo la fase strettamente introduttiva, deposito di documentazione compresa, è integralmente telematico. E già oggi, del resto, alcuni processi avranno un fascicolo d’ufficio integralmente telematico; ed è possibile, anzi probabile, che in un futuro prossimo questa sarà la regola di ogni giudizio civile. Sia per il fascicolo d’ufficio, che per i fascicoli di parte. Questo eliminerà l’attuale rischio dello smarrimento dei fascicoli, o di alcuni atti o documenti di causa, e delle conseguenti difficoltà di ricostruzione. E renderanno prive di senso tutte le disposizioni che ancora oggi hanno ad oggetto il ritiro degli atti di parte nel corso del giudizio (art. 169 c.p.c. e 77 disp. att. c.p.c.). 146 Faccio riferimento al paragrafo 2.a. V. retro § 1, II parte. 148 Del resto, già oggi il procedimento per la concessione del decreto ingiuntivo è integralmente telematico. 147 57 www.judicium.it Gli atti e i documenti allegati nel fascicolo di una parte saranno così sempre consultabili dalla controparte, e su di essi si potrà tranquillamente fondare il gravame; si esalterà così il principio di acquisizione degli atti processuali, già oggi posto a fondamento da una sentenza delle Sezioni Unite che subordina il ritiro del fascicolo di parte al contestuale deposito di copia dei documenti probatori “onde impedire che risulti impossibile all’altra parte fornire, anche in sede di gravame, le prove che erano desumibili nel fascicolo avversario”149. Infine, la trasmissione dei fascicoli dalle Corti d’Appello alla Cassazione sarà immediata, con un clic, senza rischi di ritardi o smarrimenti. E questo nuovo modus non sarà indifferente alla determinazione della portata del principio di autosufficienza, che dovrà essere opportunamente ridelimitato. Quanto al contenuto del ricorso, ritengo sarà sempre più indifendibile la tesi che pretende la trascrizione integrale di atti e documenti di causa richiamati nel ricorso, attesa la estrema facilità di procedere al loro reperimento con un semplice clic. Ed allo stesso modo, ritengo sarà immediatamente spazzata via ogni ipotetica necessità di inserire i documenti utilizzati nel fascicolo di parte della cassazione, sempre alla luce della estrema facilità del reperimento e della pratica impossibilità dello smarrimento o del ritardo della trasmissione nel fascicolo dei gradi di merito dalle Corti d’Appello alla Corte di Cassazione. Il principio di autosufficienza si rivelerà, allora, plus ou moins come all’inizio inteso dalla prima giurisprudenza; la necessità, a pena di inammissibilità, del rispetto dei principi di specificità, completezza e chiarezza nella redazione dei ricorsi150. Si chiuderà così il cerchio; un perfetto ritorno al futuro. 149 150 Già citata nel § 7 sezione I. V. al § 1. 58