L08: Raccontare la storia: Biblioteca di Sante Genevieve Gruppo 6| Annamaria Giardina, Valeria Indiveri, Giorgia Marongiu. 23 dicembre 2015 Con la particolarità degli elementi che la contraddistinguono, la Biblioteca di Sainte- Geneviève è una delle più importanti opere che hanno caratterizzato tutto il XIX secolo. Grazie al suo ineguagliabile ingegno, l’architetto Henri Labrouste ha saputo mescolare con grande abilità due stili architettonici molto diversi, uno dei quali si stava diffondendo da poco in Europa grazie alla rivoluzione industriale di fine ‘700 e che vedeva come protagonisti indiscussi il ferro e la ghisa. Labrouste compie un percorso completo che va dalla progettazione degli interni, con bellissime volte in ferro traforate da forme floreali nella sala di lettura al primo piano, all’esterno con gli imponenti muri perimetrali cosparsi di elementi decorativi, all’arredamento che progetta con soluzioni per quei tempi all’avanguardia. La biblioteca di Sainte Genevieve, opera emblematica del XIX secolo. La biblioteca di Sainte- Geneviève costituisce una delle opere più influenti del XIX secolo, poiché si pone all’inizio di una nuova stagione dell’architettura che in quel periodo si va via via diffondendo grazie alla rivoluzione industriale, che porta inevitabilmente a delle conseguenze non solo in ambito industriale ma anche in ambito edilizio: infatti grazie alle spinte tecnologiche avanzate dalla rivoluzione a partire dagli ultimi anni del XVIII secolo, si sviluppò quella che fu chiamata “architettura del ferro”, che vide anche l’affermarsi di nuove figure professionali, gli ingegneri, e nuove scuole specializzate, i Politecnici. In linea con le innovative invenzioni tecnologiche, si incrementò la produzione di acciaio e di ghisa, i quali si prediligevano specialmente per esigenze di carattere economico, grazie alla sensibile riduzione dei costi, e di carattere strutturale, per cui non furono più relegati solo come materiali per elementi accessori, ma cominciarono ad essere utilizzati sempre più spesso anche nei cantieri per la costruzione di stazioni ferroviarie, di ponti, di padiglioni espositivi e di edifici residenziali. In alcuni casi divennero anche i protagonisti di alcune importanti opere, com’è facile riscontrare proprio nella biblioteca Sainte-Geneviève. Collocata sull’omonimo colle, nel V Arrondissement (cuore del quartiere latino) di Parigi, e circondata dalla chiesa di Sainte- Etiènne du Monte, dalla Sorbona e dal Pantheon di Parigi, essa nasce nel VI secolo inizialmente come abbazia parigina che raccoglieva le spoglie dell’antica patrona Santa Genoveffa (Sainte Geneviève, che attribuisce il nome all’edificio) nella zona dell’attuale Pantheon, per volere dei sovrani merovingi Clodoveo e Clotilde. Nelle sue soffitte era stata ricavata una sorta di piccola biblioteca, in cui erano conservati molti antichi manoscritti e importanti testi che crebbero nel corso dei secoli. Agli inizi del XIX secolo, dunque, il peso raggiunto dai numerosi libri era tale da minacciare la stabilità degli antichi e fragili solai dell’edificio, per cui si rese necessario dare alla biblioteca una nuova sede autonoma. Il territorio ideale venne individuato vicino al Pantheon, dove si trovava il collegio di Montaigu, che era passato dall’essere un ospedale a un carcere, e destinato da quel momento alla demolizione. La facciata principale, dunque, dà sulla piazza in Rue Vallette e i due cortili a est e a nord proteggono tutto l’immediato vicinato. Il progetto viene affidato dapprima all’architetto Alphonse de Gisors nel 1836, poi sostituito nel novembre 1838 da Henri Labrouste per volere delle commissioni ministeriali (in particolare il ministro degli interni, direzione edifici e monumenti). Nel 1840 viene approvato dal “Conseil des Batiments Civilis” e nel 19 luglio 1843 il progetto viene approvato dalla camera di Parigi con l’attribuzione per i primi lavori. Il 31 luglio Iniziano i lavori per la demolizione della parte del collegio di Montaigu e nel 1850 la costruzione viene terminata ed è concluso il trasferimento dei libri. L’edificio poi viene aperto al pubblico il 4 febbraio 1851. Autore del progetto è l’architetto Henri Labrouste: nato nel 1801 a Fontainbleu, inizia la sua attività come pittore e si iscrive all’accademia delle belle arti di Parigi ed è allievo di Sainte-Barbe. Qualche anno dopo vince il Prix de Rome, il quale lo porta a studiare a Roma, per ben 5 anni, l’architettura antica. Tornato in Francia apre nel 1830 una scuola privata di architettura dove propugna <<una stretta aderenza alle esigenze costruttive e funzionali>> (L. benevolo), e si dedica per lo più a problemi strutturali, interessandosi soprat- tutto al ferro e alla ghisa come materiali da costruzione. Nel 1838 riceve la commissione per il progetto della biblioteca, la prima delle sue opere che vede come protagonista indiscusso il ferro. Terminata Sainte- Geneviève nel 1850, quattro anni dopo contribuisce al progetto per la Biblioteca Nazionale di Parigi, dove riprende il motivo delle colonnine in ghisa che sostengono cupolette aperte al centro per lasciar passare la luce. Anche qui Labrouste riesce con abile maestria a mescolare i materiali tradizionali con il ferro, in un’epoca in cui questa operazione avrebbe costituito una vera e propria provocazione e avrebbe destato scandalo, specialmente data la vicinanza della biblioteca di Sainte- Geneviève con edifici emblematici della cultura neoclassica, come il Pantheon. L'eccezionalità del contesto urbano determina il progetto fin dall'inizio ma alimenta anche le polemiche di coloro che si dichiarano contrari all'abbandono della biblioteca abbaziale, frequentata da personalità illustri come Victor Hugo, Jules Michelet, il barone Taylor. Labrouste, conosce molto bene il luogo nel quale interviene e la scelta del sito destinato alla biblioteca non è, infatti, priva di polemiche e non è da tutti condivisa. Alcuni critici ritengono che l'edificio si sarebbe trovato in posizione marginale rispetto alla piazza. Al contrario, Labrouste coglie l'importanza di questa posizione: infatti, sostiene, <<la facciata è posta proprio di fronte al Pantheon, monumento dedicato agli eroi nazionali, così come la biblioteca dovrà essere un monumento dedicato agli eroi del sapere >>. Per questo decide di innalzare una facciata emblematica, nella quale l'espressione dei valori simbolici verrà affidata alle iscrizioni incise nei pannelli di pietra collocati all'interno della partitura scandita dai contrafforti che culminano nelle arcate. L'edificio si sviluppa su una pianta rettilinea, corrispondente a un rettangolo lungo e stretto, ed è articolato in due grandi sale, una al piano terra e l’altra al primo piano. Al piano terra sono situati i magazzini dei libri, una sala di libri rari (“la sala dei manoscritti”) e l’amministrazione centrale, mentre al primo piano vi è la sala di lettura, circondato dagli scaffali di libri direttamente accessibili ai lettori (immagine 1) I due piani sono collegati da una scala doppia, che rievoca esattamente la doppia scala esistente nell'antica biblioteca abbaziale. La linearità della facciata stabilisce così una relazione con la pianta cruciforme del Pantheon, che definisce la centralità e gli assi principali della piazza. La facciata della biblioteca, inoltre, è fatta per essere percepita di scorcio, secondo angolature prospettiche, quasi mai può essere percepita da un punto di vista frontale. Per questo viene privilegiato il ritmo, la scansione delle sue partiture, in senso verticale e orizzontale, e l'effetto di profondità dato dalle aperture, dalle modanature, dalla differenziazione della qualità dei materiali e dal diverso trattamento delle superfici. La costruzione della parte muraria si rivela senza dubbio il compito più impegnativo, mentre la progettazione, la produzione e l'installazione delle parti metalliche si dimostreranno meno problematiche, a dimostrazione di come il ferro stesse diventando il materiale privilegiato, proprio per la semplicità del suo utilizzo. La ghirlanda continua sulla facciata, in rilievo, che separa la parte basamentale dal livello superiore, corrispondente alla sala di lettura, costituisce una linea ideale ritmata dalle scure pàtere in ghisa che rivelano la struttura interna, essendo i punti in cui vengono imbullonati gli elementi orizzontali su cui poggia il pavimento della sala di lettura. Inoltre, nelle pàtere che sostengono la molle scultura chiaroscurale della ghirlanda, si riconoscono le lettere intrecciate SG (immagine 2) che sono proprio le iniziali della dedicataria dell’edificio, Santa Genoveffa (Sainte Genevieve). L'ingresso è caratterizzato dalla presenza di una sola porta in bronzo ed è decorata con sobri motivi classici e nella parte superiore presenta una doppia ghirlanda fissata idealmente nel mezzo dell'arco. Riprende così in scala minore quel motivo della ghirlanda che nella parte superiore si sovrappone all'estradosso dell'arco (immagine 3). Ai lati, gli stipiti di pietra sono ornati da due candelabri in rilievo, che esprimono con maggiore evidenza il tema dell'illuminazione, ripreso più volte e in punti diversi, con significato programmatico ο allegorico, sia in relazione con l'apertura notturna dell'edificio sia nel significato di illuminazione simbolica attraverso il sapere. Altra peculiarità sono i nomi degli 810 illustri uomini che hanno contribuito al sapere umano, e le cui opere sono contenute nella biblioteca, incisi nella pietra dei muri perimetrali, sotto i grandi finestroni ad arco che illuminano la sala di lettura, al di sotto dei quali si trovano altre piccole finestrelle che hanno la funzione di dare luce ai locali del piano terra. (immagine 4). Il vestibolo è un volume ampio e poco illuminato. Pesanti pilastri scanalati sorreggono leggere strutture metalliche, con il voluto effetto di contrapporre due modi costruttivi. Le pareti laterali sono decorate, in basso, con busti raffiguranti uomini illustri della cultura francese, da san Bernardo a Montaigne, da Laplace a Cuvier, (tanto che Labrouste commenta: «entrando si vede che qui si è in buona compagnia») e nella parte superiore, con dipinti illusionistici che rappresentano cime di alberi e disegni floreali. La scala, che si dirama in una doppia scalinata per condurre alla sala di lettura, ha una funzione commemorativa, in quanto riprende lo stesso tipo di scala esistente nell'antica biblioteca abbaziale ed è estremamente accurata (immagine 5). La facciata è divisa dunque, in senso orizzontale, in due parti. La parte basamentale trasmette una sensazione di staticità, per la compattezza delle pietre. La parte superiore, invece, corrispondente al secondo piano, trasmette un senso di dinamismo, dovuto al ritmo scandito dagli archi. Labrouste, inoltre, non si occupa soltanto della parte strutturale e decorativa ma anche dell’arredamento e progetta anche delle carrucole per lo spostamento dei testi da un piano all’altro. La biblioteca oggi contiene, infine, più di un milione di libri ed è stata concepita per restare aperta anche di sera e quindi era stata dotata di illuminazione a gas. La biblioteca si propone come una architettura 'moderna' ma che si esprime attraverso il linguaggio classico, concepita come un monumento antico, sia nella scelta tipologica, sia nell'apparato decorativo, nelle parti scultoree e in quelle pittoriche. La sala di lettura rappresenta il vero fiore all’occhiello di tutto l’edificio, ed è un'enorme improvvisa apertura rispetto agli spazi compressi - dell'atrio e della scala - che la introducono. È costituita da uno spazio longitudinale coperto da una doppia volta sostenuta al centro da una lunga fila di colonne esilissime in ghisa poggianti su emblematici basamenti di pietra: «su questi piedistalli sono scolpite delle teste rivolte verso l'oriente e ponente, e che rappresentano il giorno e la notte». Gli archi, piatti e traforati, resi più dinamici ed eleganti dalla scelta di motivi vegetali, sono imbullonati a capitelli compositi ruotati in modo da offrire una percezione d'angolo rispetto all'asse longitudinale della sala di lettura (immagine 6). Così le estremità degli archi piatti possono poggiare sulla diagonale dell'abaco e congiungersi idealmente alle volute. In una prima ipotesi, Labrouste aveva considerato la possibilità di utilizzare massicce colonne in pietra, optando poi per una struttura in ghisa, con modesta funzione portante, ma che avrebbe reso disponibile una maggiore quantità di spazio, garantendo trasparenza e soprattutto un effetto di leggerezza certamente più gradevole. Le strutture metalliche si agganciano alle pareti perimetrali con soluzioni raffinate, di precisione e creano anche un voluto contrasto con il massiccio involucro murario che racchiude la sala. Fondamentale è l'idea di creare un solido involucro murario, all'interno del quale collocare le parti strutturali in ferro e ghisa e la copertura. La sala è racchiusa da un doppio ordine di scaffalature. Il primo ordine, che si innalza dal pavimento della sala, forma una parete continua; quello a livello superiore è raggiungibile tramite scale che conducono a un ballatoio esteso all'intero perimetro della sala. Questo involucro è pensato in modo da conferire articolazione volumetrica all'interno, creando degli spazi di consultazione ('cabinets') collocati tra i contrafforti che ritmano la parete, armonizzando l'esterno della facciata in perfetta corrispondenza con lo spazio interno. Questa scelta è decisiva e costituisce una forte caratterizzazione dell'edificio. Rappresenta anche il problema maggiore affrontato nella costruzione. La realizzazione della scatola muraria fu un lavoro complesso e lungo e fu necessario il ricorso a pietre di diversa durezza, che talvolta erano difettose e dovevano essere sostituite. E’ importante ricordare come Labrouste non fosse completamente soddisfatto dell’opera da lui creata. Egli desiderava fortemente creare un giardino davanti alla facciata che lo impreziosisse ancora di più, il quale però non potè essere realizzato a causa della morfologia del terreno: «avrei fortemente desiderato che un ampio spazio con grandi alberi e decorato con statue fosse disposto davanti all'edificio, per al lontanare dal rumore della via pubblica, e preparare al raccoglimento le persone che lo frequentano». E ancora aggiunge: «Un bel giardino sarebbe stato senza dubbio una introduzione conveniente a un monumento consacrato allo studio; ma l'esiguità del terreno non permetteva tale disposizione, era necessario rinunciarvi. Allora, il giardino che avrei voluto attraversare per arrivare al monumento, l'ho fatto dipingere sulle pareti del vestibolo, unico intermediario tra la piazza pubblica e la biblioteca». Dunque egli realizza una sorta di giardino virtuale che aveva il vantaggio di essere sempre in fiore grazie all’effetto della finzione. L’architetto può così scatenare la sua fantasia, in un’opera di design che riguarda tutti i mobili, le porte e le iscrizioni presenti nell’edificio. Il giardino era un’immagine che accompagnava da sempre la vita di Labrouste, era il suo “angulus”, inteso nella maniera classica come il luogo in cui egli ritrovava se stesso e la sua anima trovava pace dal caos della quotidianità: <<là, niente mi distraeva e il mio sguardo, come il mio spirito, si riposavano felicemente sulla bella e lussureggiante vegetazione che mi circondava. Io ho pensato che in un luogo di studio la rappre- sentazione di ciò che aveva esercitato su di me un così grande fascino sarebbe stata per la Biblioteca una decorazione e un'occasione di riposo per lo spirito dei lettori». La biblioteca, ancora oggi, raccoglie migliaia di studenti che si vi recano per ampliare la propria cultura, ma anche per vedere con i loro occhi un edificio che è stato a lungo un emblema di tutto il XIX secolo. Figura 1: Le piante del piano terra e del primo pano. Fonte: http://www.jstor.org/ Figura 2: Le iniziali incrociate di Sainte-Geneviève Fonte: http://www.jstor.org/ Figura 3: Porta d'ingresso della biblioteca Fonte: http://www.jstor.org/ Figura 4: I nomi degli illustri incisi nel muro dell'esterno Fonte: http://varie-ed-eventuali-blog.blogspot.it/2012/02/ parigi-la-biblioteca-sainte-genevieve.html Figura 5: La scala d’ingresso che porta al primo piano. Fonte: http://www.jstor.org/ Figure 6 e 7: Le volte in ferro della sala di lettura. Qui si può vedere l’incastro delle parti in ferro a quelle in pietra: gli archi vengono imbullonati ai capitelli sottostanti che li reggono senza difficoltà grazie alla leggerezza della ghisa. Fonte: http://archinect.com/features/article/37361749/in-focus-franck-bohbot Figura 7 Fonte: http://www.jstor.org/ Bibliografia: _E. Barbier, E. Bergdoll, G. Boisard, B. Bouvier, p. Chemetov, J.F Foucaud, E. Mittler, N. Petit, A. Richard- Bazire, S. Saboyer, C. Vendredi- Auzanneau, Des Palais pour le livres, Paris, Maisonneue&Larose, France, 2002. _Renzo Dubbini, Le parole e il monumento: la biblioteca di Sainte Geneviève commentata da Henri Labrouste, Electa editore, Pisa, 2009. _ Vittorio Uccelli, La biblioteca Sainte-Genevieve di Henri Labrouste e la questione del carattere degli edifici, Firenze, Aion editore, Italia, 2013.