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SOMMARIO
La nozione di prova e di
argomenti di prova
1. L’attività istruttoria nel processo civile. – 2. La prova. – 3. L’oggetto della
prova. – 4. Classificazione delle prove. – 5. L’onere della prova.
1. L’attività istruttoria nel processo civile
Il valore della certezza dei rapporti giuridici trova concreta attuazione nella misura in cui la tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive
si estrinseca in provvedimenti decisori il cui contenuto riflette, con il
maggior grado di approssimazione possibile, la verità dei fatti storici
dedotti dalle parti a sostegno delle rispettive pretese.
Per istruzione della causa si intende, appunto, l’attività di acquisizione della conoscenza degli elementi di fatto sulla cui base fondare la
decisione che conclude il processo. L’istruzione non è nozione che appartiene esclusivamente al processo civile di cognizione, atteso che tutti
i procedimenti giurisdizionali necessitano di una fase di raccolta di quei
dati che consentono di formulare un giudizio di verità – in termini, cioè,
di esistenza o inesistenza – dei fatti rilevanti per il diritto ed in ordine ai
quali il Giudice è chiamato a pronunciarsi indicandone, con statuizione
autoritativa, le conseguenze giuridiche. L’istruzione rappresenta, dunque,
una fase tipica non soltanto dei processi civili di cognizione o di quelli
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penali, ma anche dei procedimenti di volontaria giurisdizione ovvero
esecutivi, che pure non hanno funzione giurisdizionale in senso stretto,
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in quanto non sono finalizzati alla risoluzione di una controversia .
Sotto il profilo dinamico – sotto il profilo, cioè, della sequenza ordinata di atti indirizzata all’emanazione di un provvedimento finale, costituito dalla pronuncia di un Giudice – l’istruzione del processo civile di
cognizione si scinde in una fase istruttoria in senso lato ed in una fase
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istruttoria in senso stretto . La prima è la fase (cioè la porzione di atti
ordinati in sequenza) deputata alla preliminare deduzione dei mezzi istruttori da raccogliersi successivamente nel corso del medesimo procedimento, alla produzione dei documenti (cioè all’introduzione nel processo di quegli scritti formati fuori da esso) ed alla loro ammissione, che
viene disposta dal Giudice se questi li ritiene conformi alla legge (formulando un giudizio di ammissibilità in astratto) e utili ai fini della decisione conclusiva, cioè precipuamente indirizzati a dimostrare l’esistenza o l’inesistenza dei fatti la cui conoscenza è necessaria per potersi pronunciare sulle domande e le eccezioni delle parti (giudizio di ammissibi3
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lità in concreto) . La seconda, che è soltanto eventuale , è finalizzata all’assunzione dei mezzi istruttori precedentemente dedotti e ritenuti ammissibili. Essa si risolve nell’espletamento di specifici subprocedimenti
che si innestano nel corso del processo ed hanno lo scopo di fornire al
Giudice la rappresentazione dei fatti che costituiranno il substrato di
verità storica sul quale si baserà la successiva decisione.
Si suole ripetere comunemente, infatti, che il contenuto dell’attività
decisionale del Giudice consiste in un sillogismo, la cui premessa maggiore è costituita dall’enunciazione in astratto della portata attuale della
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Cfr. V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, p. 230.
Cfr. L.P. COMOGLIO, Le prove civili, a cura di P. LEANZA, Torino, 2006, p. 39.
Il giudizio di rilevanza, quindi, è effettuato tenendo presente la fattispecie astratta nella
quale si deve sussumere il diritto fatto valere in giudizio. Per tale motivo, si suole dire che il
giudizio di rilevanza ha sempre una sua intrinseca decisorietà, in quanto in esso il Giudice è
chiamato ad anticipare, in un provvedimento avente forma di ordinanza (e, dunque, sempre
modificabile o revocabile), quell’attività di individuazione ed interpretazione della norma
che dovrà ripetere al momento della decisione: v. A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1999, p. 435 s.
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Cfr. E.T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1981, pp. 23 e 24. L’istruzione non è indispensabile, infatti, quando la causa può essere conclusa con decisioni in
rito ovvero in base alle prove documentali già prodotte dalle parti con i rispettivi atti introduttivi.
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La nozione di prova e di argomenti di prova
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norma, sia con riferimento alla determinazione della sua volontà astratta
sia con riferimento all’individuazione dei fatti previsti dalla norma stessa come costitutivi, e la cui premessa minore è costituita dall’accertamento che, nel caso concreto, si sono verificati (ovvero non si sono verificati) quei fatti costitutivi previsti in astratto dalla norma e affermati da
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una delle parti . La sintesi di tali accertamenti è, appunto, il sillogismo
del Giudice, il quale, concludendo il processo, afferma che in quel caso
la volontà astratta della legge è divenuta concreta e necessita di tutela
(perché, ad esempio, contrastata dal comportamento di una delle parti).
Al Giudice del merito, dunque, è demandato il compito di esprimere
sia un giudizio di diritto che un giudizio di fatto.
Il giudizio di diritto ha ad oggetto l’individuazione, il contenuto e l’applicazione della norma che regola la fattispecie dedotta in lite. Il Giudice, quindi, deve innanzitutto scegliere la norma applicabile al caso concreto, cioè la specifica disposizione che, prevedendo determinati presupposti di fatto che una delle parti del processo ha indicato come effettivamente sussistenti, ne disciplina le conseguenze, impartendo un comando, un divieto o, più in generale, una regola di comportamento destinata a tutti i consociati ovvero soltanto ad alcuni di essi. La seconda
operazione consiste nell’interpretazione della norma selezionata, cioè nell’individuazione, tra i tanti possibili, del significato della norma, che va
compiuta tenendo conto del senso delle parole utilizzate dal legislatore
(interpretazione letterale), del contesto giuridico nel quale essa si inserisce, anche con riferimento ai precetti costituzionali (interpretazione sistematica), nonché all’evoluzione normativa verificatasi in quello specifico settore (interpretazione storica). La terza operazione, infine, si risolve
nell’identificazione delle conseguenze che derivano dall’applicazione della norma scelta ed interpretata in relazione al caso concreto, in cui si
sono verificati tutti (o soltanto alcuni) dei fatti in essa contemplati.
Il giudizio di fatto, invece, attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità ovvero della falsità dei dati empirici rilevanti per il diritto, con particolare riguardo alla norma ritenuta applicabile nella fattispecie in concreto sottoposta all’esame del Giudice. Accertare o ricostruire la verità o la falsità dei dati empirici significa operare un procedimento logico di tipo induttivo che, partendo dalla rappresentazione
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Cfr. C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Torino, 2002, p. 81.
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di alcuni fatti mediante la raffigurazione degli elementi esteriori con cui
essi si sono manifestati, consente a chi non è stato presente al loro verificarsi di ritenere che essi si siano svolti (ovvero che non si siano svolti)
secondo quanto allegato da una delle parti.
Poiché, tuttavia, la fase istruttoria in senso stretto è intimamente connessa alla fase deduttiva, nel corso della quale le parti espongono i fatti
storici ritenuti significativi perché siano riconosciute le pretese fatte valere in giudizio, si è osservato che:
Dottrina
«Il giudizio di fatto si risolve soltanto indirettamente nella formulazione di un giudizio di realtà
(di un giudizio, cioè, che si conclude con un’affermazione circa l’esistenza o l’inesistenza
di fatti accaduti in passato), ma che esso più propriamente consiste, in via diretta ed immediata, nell’espressione di un giudizio di verità (un giudizio, quindi, teso ad affermare la
veridicità oppure la falsità delle proposizioni assertive delle parti)»
L.P. COMOGLIO, Le prove civili, Torino, 2004, p. 4 6.
Allorquando la tecnica processuale consenta di pervenire ad un giudizio di verità dei fatti storici (o meglio, come accennato, delle allegazioni di parte) che si avvicini, con il maggior grado di approssimazione
possibile, alla realtà ontologica degli accadimenti, il processo realizza il
valore – e, ai sensi dell’art. 111 Cost., il precetto – del «giusto proces7
so» . Tale approssimazione è tanto più elevata quanto più efficaci sono
gli strumenti previsti dal legislatore per consentire alle parti di esercitare, sebbene con il necessario contemperamento con il principio di eco8
nomia dei mezzi processuali , il proprio diritto alla prova.
La fase istruttoria del giudizio (e del giudizio civile in particolare) è,
dunque, il momento processuale in cui il diritto alla prova – che del
principio del giusto processo costituisce ineludibile corollario – si attua
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L’Autore sottolinea che un fatto controverso (e quindi incerto), concepito nella sua
dimensione storica ed ontologica consistenza, non può dirsi come tale vero o falso: esso,
semmai, sussiste o non sussiste. Vera o falsa è invece l’affermazione o la negazione della sua
esistenza, enunciata da una parte nel processo a fondamento della propria allegazione. La
verificazione o falsificazione di tale affermazione rappresenta il compito istituzionale che al
Giudice è affidato, sulla base di prove comunque raccolte in giudizio.
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Cfr. A. PROTO PISANI, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro it., 2000,
V, c. 241 ss.
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A sua volta correlato al principio costituzionale di ragionevole durata del processo sancito dal già richiamato art. 111 Cost.
La nozione di prova e di argomenti di prova
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compiutamente. Il diritto alla prova, a sua volta, consiste nel diritto di
agire o di difendersi provando, cioè deducendo prove a sé favorevoli ovvero contrastando quelle sfavorevoli, nel rispetto di un contraddittorio
che, pur non potendo attuarsi sempre sulla diretta formazione delle prove, sia (almeno potenzialmente) effettivo sulle modalità di acquisizione
delle stesse e sull’efficacia probatoria da attribuire a ciascuna di esse.
2. La prova
Le considerazioni che precedono rendono di intuitiva evidenza la
centralità che nel processo civile assume il concetto e la funzione della
prova.
Dal punto di vista della terminologia giuridica corrente, la prova indica non tanto il procedimento dimostrativo dell’esistenza di un fatto,
quanto il suo risultato finale, idoneo a rappresentare al giudicante l’esistenza (ovvero l’inesistenza) di quei fatti che le parti affermano (o negano) a fondamento del diritto azionato ovvero delle eccezioni sollevate,
così concorrendo a formare il convincimento del Giudice in ordine alle
modalità con le quali si sono svolti avvenimenti accaduti in passato e
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che egli non ha percepito personalmente .
Più precisamente, con il termine prova possono designarsi due concetti ontologicamente distinti: da un lato, esso viene utilizzato per indicare il giudizio di veridicità ovvero falsità dei fatti (o meglio delle asserzioni) dedotti dalle parti; dall’altro, esso identifica il risultato conclusivo
di tale giudizio (la c.d. prova raggiunta), cioè il probatum sul quale il
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Giudice deve fondare la propria decisione .
La prova, dunque, è tradizionalmente definita come un mezzo idoneo
a dare la conoscenza di un fatto e perciò a fornire la dimostrazione e a
formare la convinzione della verità del fatto medesimo ovvero come uno
strumento per la formazione del convincimento del Giudice circa i fatti
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di causa .
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Cfr. L.P. COMOGLIO, Le prove civili, cit., p. 11.
Cfr. C. MANDRIOLI, Diritto processuale, II, cit., p. 165, il quale sottolinea che il significato autentico del termine in esame è soltanto il primo e non il secondo.
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Così, in particolare, E.T. LIEBMAN, Manuale, cit., p. 71.
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Capitolo Primo
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Di frequente, peraltro, nella prassi si ricorre al termine prova anche
per designare il concetto, sostanzialmente e normativamente distinto da
quello di prova in senso proprio, di mezzo di prova, il quale è la fonte
di conoscenza mediante la quale si fornisce al Giudice la rappresenta12
zione storica o la ricostruzione critica del fatto da provare .
Anche l’espressione mezzo di prova, tuttavia, è convenzionalmente
adoperata con una pluralità di significati diversi. Essa, infatti, indica sia
la fonte di prova in senso proprio (ad esempio, la testimonianza, cioè la
dichiarazione resa da un soggetto investito, nel momento in cui la rende, di un particolare ufficio), sia i diversi procedimenti necessari per la
loro acquisizione (nell’esempio fatto, la procedura attraverso la quale il
testimone è escusso), sia, infine, in senso più ristretto, il risultato più
specifico dell’assunzione verbalizzata di una prova costituenda (il documento, costituito dal verbale di udienza nel corso della quale il teste è
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stato esaminato, che raccoglie le dichiarazioni rese dal testimone) .
La disciplina positiva della prova è collocata sia nel codice civile che
nel codice di procedura civile. Il legislatore italiano, infatti, ha riservato
al codice di rito la disciplina formale dell’assunzione o dell’acquisizione
dei mezzi di prova nel processo, mentre ha dettato nel codice civile le
norme che regolano i presupposti e l’efficacia sostanziale delle prove
precostituite o costituende.
Nell’ottica dell’unità fondamentale dell’ordinamento, dunque, la prova si atteggia quale istituto bifronte, collocato al confine tra diritto sostanziale e processo.
La ratio di tale impostazione è evidente: le prove sono considerate non
solo quali strumenti tecnici attraverso cui la verità dei fatti storici può
emergere all’interno del processo, ma anche come condizioni di tutela
preventiva (cioè fuori e prima del giudizio) dei diritti e delle negoziazioni
private. La possibilità di ottenere il riconoscimento giudiziale delle proprie pretese in forza delle prove eventualmente disponibili, infatti, costituisce condizione di garanzia – almeno potenziale – del rispetto dei diritti
medesimi senza la necessità di ricorrere alla tutela giudiziaria.
In questo senso, dunque, le norme sulle prove trovano una collocazione naturale nel codice civile, ed in particolare nel libro relativo alla
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La distinzione – non solo terminologica – è recepita dal codice di rito (v., in particolare, artt. 202 ss.).
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V. nuovamente L.P. COMOGLIO, Le prove civili, cit.
La nozione di prova e di argomenti di prova
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tutela dei diritti, logicamente antecedente rispetto alla disciplina processuale. Al codice di rito, difatti, residua il compito di stabilire le forme e le modalità con cui le prove devono essere assunte o acquisite allorquando, per ottenere il riconoscimento o la tutela dei diritti contestati o lesi dalla condotta altrui, sia necessario ricorrere al giudizio.
Il riflesso pratico più significativo della descritta impostazione si coglie nel consolidato principio giurisprudenziale secondo cui le norme
enunciate dal legislatore con riguardo all’onere della prova o all’ammissibilità o la rilevanza dei mezzi di prova dedotti dalle parti attengono al
diritto sostanziale, sicché la loro violazione è denunciabile in cassazione
quale error in iudicando (art. 360, n. 3, c.p.c.) e non già quale error in
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procedendo (art. 360, n. 4, c.p.c.) .
3. L’oggetto della prova
Oggetto di prova sono, come detto, i fatti asseriti dalle parti.
La determinazione del contenuto specifico della prova, dunque, non
può prescindere dalla preventiva selezione dei fatti da provare.
Tale individuazione postula l’interpretazione della norma che, sulla
scorta della prospettazione offerta dalle parti, il Giudice ritiene debba
essere applicata nel caso concreto. Una volta scelta la norma in questione, infatti, l’attività istruttoria dovrà concentrarsi esclusivamente su quei
fatti che sono presi in considerazione da essa, al fine di verificare o falsificare le affermazioni delle parti in ordine alla sussistenza (ovvero alla
insussistenza) del diritto dedotto in lite ovvero delle cause che legittimano la richiesta di tutela (quali, ad esempio, i fatti lesivi del diritto).
I fatti che immediatamente rilevano per la norma in concreto appli14
Cfr. L.P. COMOGLIO, Le prove civili, cit., p. 24. V., in giurisprudenza, Cass. civ., Sez.
II, 4 febbraio 2000, n. 1247, secondo cui, poiché le norme poste dal codice civile in materia
di onere della prova e di ammissibilità ed efficacia dei vari mezzi probatori attengono al diritto sostanziale, e quindi la loro violazione dà luogo ad errores in iudicando e non in procedendo, nel giudizio di cassazione, in cui l’esame diretto degli atti da parte del Giudice è ammesso solo per la verifica dello svolgimento del giudizio in conformità al rito, il ricorrente
interessato a far valere la violazione di dette norma ha l’onere di indicare dettagliatamente
gli elementi necessari per la valutazione delle censure mosse al riguardo, specificando il contenuto delle prove poste dal Giudice a quo alla base della sentenza impugnata e i motivi della loro inidoneità legale a fornire il supporto probatorio alla decisione adottata.
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