\ineenzo Ferrone Lo strano Illuminismo di Joseph Ratzinger Chiesa, modernità e diritti dell’uomo Lateiza Prefazione 1 2013, Gius, Laterza & Figli Prima edizione febbraio 2013 1 2 34 Ed 5 l(iìI 6 il ,i,is 2012 201 2015 2016 2017 2018 Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Questo libro è stampato su carta amica delle foreste Stampato da SEDIT Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-581-0441-5 - vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo efieituata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fowcopia è lecita solo per uso personale piin-h ,:‘n Jaungg, l.lalsii Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Appositamente argomen tato come un polemico pamph lei, questo piccolo libro’ vuole denunciare l’uso disinvolto della storia da parte delle gerarchie vaticane quando si tratta di fare i conti con la mo dernità, i diritti dell’uomo e il cosiddetto post-moderno. Un uso, condotto a fini strategici e di grande ambizione politico-culturale sul futuro della Chiesa, che, in taluni casi, sconfina sempre più nell’abuso mistificatorio. Tutto ciò in un momento politico crucia le per l’umanità: un momento in cui la storia, a fronte della crisi di scienze umane e sociali come l’economia e la sociologia, sta tornan do finalmente a essere una risorsa importante per la conoscenza della realtà, per il dibattito pubblico e i suoi processi di formazione. Com’è noto, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la Una prima versione del testo, qui aggiornata e c-ortetta, è stata presentata e discussa, anche con toni talvolta aspri e polemici, il 6 febbraio 2004 in un apposito seminario organizzato dalla Fondazione Michele Pellegrino presso l’u niversità di Torino. Vi parteciparono molti studiosi, personalmente o con l’invio di commenti, tra cui Paolo Prodi, Antonio Padoa-Schioppa, Luciano Guer ci, Silvio Ferrari, Giovanni Miccoli, Giovanni Conso, Oteste Aime, Giorgio Bouchard, Corrado VivanO, Errnis Segatti, Massimo Firpo, Antonio RotondI>, Gustavo Zagrebelsky, Roberto Repole, Claudio Ciancio, Leopoldo [la, Franco Bolgiani, Edoardo Tortarolo, Daniele Menozzi, Antonio Trampus, Mario Do gliam, Pietro Scoppola, Francesco Tranidilo e altri ancora. Gli atti complessivi del seminario, con i commenti dei partecipanti, furono poi raccolti dalla Fon dazione Michele Pellegrino nel volume chiesa cattolica e modero it2 a cura di F. Bolgiani, V. Ferrone e E Margiotta Broglio, Bologna 2004. , v vexata quaestio del post-moderno che era stata precedentemen te dibattuta nel Nord America soprattutto in campo artistico e letterario è divenuta oggetto specifico di riflessione filosofica e storica in ogni angolo d’Europa. Tutto ha avuto inizio in Francia nel 1979, con La condition posimoderne di jean-Franois Lyotard. In quelle pagine si teorizzava l’avvento di una svolta epocale dei saperi nelle società più sviluppate: la crisi e il superamento defi nitivo della «narrazione dei Lumi», delle filosofie emancipatorie dominate dall’idea di progresso di matrice positivistica, idealistica e marxista, con la conseguente liquidazione delle antiche forme di . 2 legittimazione dei vincoli sociali Il contributo italiano più significativo al dibattito apparve nel 1985, con la pubblicazione del volume di Gianni Vattimo La /ne della modernitd, L’obiettjvo dichiarato era quello di ar ruolare Nietzsche e Heidegger tra i profeti del nuovo culto post moderno: il già formidabile arsenale a disposizione era arricchito di riferimenti al definitivo superamento dell’Io e alla denuncia degli effetti perversi della scienza e della tecnica nei processi di disumanizzazione e nelle moderne logiche di dominio. Da teorico del “pensiero debole”, Vattimo invitava a ripensare la verità come esperienza sociale, estetica e retorica e non più razionale e scien tifica. Questo, soprattutto, significava fare finalmente i conti con la «fine della storia». 11 segno autentico della nuova età post-moderna stava proprio li. nella definitiva presa di coscienza che la storia, intesa come pro cesso unitario, progressivo, capace di legittimare una possibile e concreta lettura del mondo, era definitivamente evaporata. Espli cito era in tal senso il richiamo di Vattimo ad Arnold Gehlen che, nei suoi lavori sulla posi-bistoire, rivendicava il superamento della nozione di storicità alla base di tutta la costruzione della moderni . Quel secolare modo di concepire la realtà pareva infatti come 3 tà — — 2 CIr. 1.-E Lvotard, La condizione posi moderna, Milano 1981. Cfr. G. Vattuno. La fine della modcrnttd. Nichilismo ed ermeneinca scomparso d’incanto di fronte alla sostanziale stasi delle nuove società virtuali, in cui dominavano le comunicazioni di massa e la potenza delle tecnologie. E tuttavia il paese in cui con maggiore serietà, profondità e pas sione civile furono dibattute le ragioni e le conseguenze del post moderno fu certamente la Germania. Ne furono protagonisti teo logi, artisti, letterati come Gùnter Grass autore, nel 1984, di una serie di conferenze sul tema in cui erano acriticamente rilanciate le tesi della Dialettica dell’Illuminismo di Adorno e Horkheimner; il titolo era quanto mai significativo: Miserie rlell’llluminismo. Jùrgen Habermas fu innegabilmente tra quanti s’impegnarono di più in quello spinoso e difficile confronto che avrebbe potuto rimettere in discussione il modo stesso in cui la Germania stava facendo i conti con il suo passato. Lo fece a partire dal 1980, am mettendo con sincera inquietudine che «da allora questo tema, assai discusso e ricco di sfaccettature, non mi ha più dato pace»’. E in effetti la posta in gioco era quanto mai alta e avrebbe condi zionato a lungo tutta l’opinione pubblica internazionale. Sostenitore della tesi della modernità come «progetto incom piuto» e semmai da completare esplorando ulteriormente limiti e potenzialità della ragione e dell’agire comunicativo, Habermas tentò vanamente di limitare gli effetti corrosivi prodotti dal libro celeberrimo di Adorno e Horkheimer, i quali mescolando arbi trariamente storia e filosofia avevano segnalato una fragorosa e insospettabile paternità illuministica nella nascita dei totalitarismi e nelle terribili tragedie del Novecento; lo fece ricostruendo au tore dopo autore tutto il discorso filosofico della modernità, met tendo in guardia da coloro che nascondevano la «complicità con una veneranda tradizione del contro-illuminismo, spacciandola per post-illuminismo» . Un compito di denuncia, questo, oltre6 modo difficile, arduo da comunicare alle orecchie sorde di molti — — — Cfr. G. Grass, Der Traini, der Vernonfi. lede zur Eròjjioi,g 2cr E’ra,ista/ rwigsreihe «1ìim Elend der Aufklirting> in dir .4kade,me der Kùnste Berlin, in Essas o,zd Reden 1980-2007, Gòtunger Ausgabe, Gòttingen 2007, voI. 12, pp. nella cii!flai poitmoderna, Milano 1985 Sulla polemica in Italia cfr. CA. Viano, Va’pen si’,v: il cani//ere de/la /;iosofia italiima contemporanea, Tormo 1985; e soprattutto le acute considerazioni di P. Rossi, Paragone degli ingegili moderni epostmoderni. Bo logna 1989, in particolare laddove sinteticamente, ma con efficacia, afferma che «il pensiero debole è in realtà solo una sottospecie dellantiillummismo forte» (p. 23). Ivi, p. 5. Su questi temi efr. 5. Petrucciani, Lilluminismo autocritico” di Jùrgen Habermas, in «Hermencutica», 2010, pp. 47-66. VI VII 120-125. 6 J. Habernias, Il discorso frmoso/ico della moclerni/cì, Roma-Bari 20032. p. VII. laici e progressisti che non avevano mai amato l’Illuminismo, e certamente del tutto vano nei caso del mondo cattolico. Il clamoroso successo mediatico di quelle pagine e più in gene rale della querelle sul post-moderno che anche ad esse ma non solo ad esse si ispiravano è infatti stato colto dal mondo catto lico come un via libera a un’insperata opera di aggiornamento di antiche, rabbiose polemiche contro i Lumi, rimesse a nuovo con il ricorso continuo e ossessivo alle raffinate argomentazioni post moderniste e alle pagine più controverse e discutibili di Adorno e di Horkheimer. Non c’è ormai un soio parroco di campagna me diamente colto o uno studente universitario cattolico, per quanto sprovveduto, che non sappia far tesoro di apologia delle tesi della scuola di Francoforte, attingendo ai francofortesi per inchiodare il povero Voltaire per non parlare di Rousseau alle sue respon sabilità nella Shoah e nei totalitarismi più sanguinari. Ma il frutto più succoso e seducente in questa direzione, per via della sua sottile ed elegante struttura intellettuale, era maturato sin dal 1980 con un puntuale intervento dell’allora cardinale Joseph Ratzinger. Si trattava niente meno che di una proposta di teologiz zazione dell’illuminismo il cui fine era di impedirne la fatale dege nerazione totalitaria. Sulla base di una franca ed entusiastica con divisione delle analisi di Adorno e Horkheirner circa l’inevitabile tralignamento totalitario della ragione illuministica allorché essa si trasforma in autonoma ragione «positiva del pensiero funzionale», l’attuale pontefice candidava la Chiesa del nuovo millennio post moderno, forte del suo rinnovamento teologico, a trovare un’medita missione sah’ifica sospendendo «nella dialettica dell’Illuminidell’Illuminismo» salvandone la prima fase , sino [...j le condizioni 7 dialettica, quella emancipatoria settecentesca, e condannandone le derive posteriori, in tal modo la Chiesa non solo si proclamava di fatto erede legittima di quella prima fase, ma si attribuiva il compito di evitare il dialettico capovolgimento del progresso della ragione in quel terrifico futuro post-moderno già annunciato dal totalitarismo del secolo scorso e che appariva inevitabile qualora si fosse continuato a voler escludere Dio dalla storia. — — — — Cfr. il saggio Teologia e politica della Chiesa in j. Ratzinger, Chiesa, ecume nismo e politii-a. Nuovi saggi di ecclesiologia, Milano 1987, p. 154. VIII È in questo contesto teorico, innegabilmente suggestivo, che ha preso corpo l’inattesa campagna filosofica e storiografica volta a cristianizzare l’ingombrante Illuminismo dei diritti dell’uomo: quello della sacrosanta battaglia per la libertà religiosa, la tolleranza e la neutralità dello Stato, tanto odiato e combattuto invece in passato da generazioni di papi, vescovi e frati come un’evidente opera del demonio. Dimenticando con disinvoltura il rilievo che ebbero per l’Illu minismo la tradizione classica, le grandi opere pagane della lette ratura greca e latina, la scoperta del Nuovo Mondo, la Rivoluzione scientifica, Ratzinger non ha mai mostrato alcuna esitazione nel rivendicare l’esistenza di improbabili radici cristiane dei Lumi, tacendo di questi ultimi l’autentica dimensione di autonomia e di forte discontinuità, che storicamente ne fece una vera e propria rivoluzione culturale rispetto all’identità moderna dell’Europa: «L’Illuminismo è di origine cristiana così sintetizza una peren toria affermazione del 2005 ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana». Persino il cardinale Camillo Ruinì, che pure la storia, quella vera, la conosce assai bene, ha dovuto seguire l’impegnativa linea teologico-politica imposta dal nuovo pontefice, annunziando gatt i/io magno una paradossale santificazione di Voltaire: «E pertanto merito dell’Illuminismo aver riproposto, per lo più in polemica con la Chiesa, quei valori di razionalità e libertà che trovano ali . Come stupirsi allora del crescente 9 mento nella fede cristiana» sviluppo e del successo di una storiografia internazionale so prattutto americana, più recentemente, ma già prima tedesca, — — — i Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture, in «11 Regno-documenti», 9,2005, p. 218, Prtfiizione di Ruini a J. Rarzmger l3enedetto XVI, Fede, ragione, verità e amore, La teologia diJoseph Ratzmgcr. Un’antologia, a cura di U. Casale. Torino 2009, p. 6. tI curatore dell’unponente e meritevole antologia, don Casale, non esita nel risvolto di copertina ad aflermarc che «Ratsingcr ha proposto un illu minismo sinonimo di intelligenza e di ricerca della verità, espressione dell’uomo che, grazie alla conoscenza della verità di cui è capace, acquisisce sia la propria dignità “trascendente”, sia il proprio potere critico e demistificatore, entrambi sinonimi di libertà». 19 Cfr,, ad esempio, D. Sorkin. The Religious Enlightennient. Protestants, Jews, and Catholics from London io Vienna, Princcton 2008. Sull’Illuminismo cattolico v. anche il recente A Lompanion to the Catholic Enlighten meni in Ix Europe, a cura di UI. Lehner e M. Printy, Leiden-Boston 2010. Com’è noto, nella Germania cattolica l’Illuminismo è stato rivalutato solo nei primi decenni del Novecento ad opera dello storico della Chiesa Sebastian Merkle, nel sag gio Pie katholirche Beurteilung der Aufklàrungszettalters, del 1911, ora in Id., Ausgewabite Reden undAufsàtzo, Wùrzburg 1965. Ctr. ad esempio l’enciclica Spe salvi, dove forte è l’influenza delle idee di Guardini e ricorrenti sono i suoi espliciti riferimenti a Bacone, ad Adorno e all’lllumuiismo. Sempre all’Illuminismo e ai diritti dell’uomo sono dedicate pagine significative che denunciano inopinatarnente il «concetto anarchico di libertà» del povero Rousseau, accusato di aver portato la Rivoluzione francese a diventare «incuitabilmente una dittatura sanguinaria», stigmatizzando le sue gravi responsabilità nell’aver trasformato attraverso la «radicalizzazione della tendenza individualistica dell’illuminismo» l’aborto in un diritto di libertà delle donne (cfr. J. Ratzmger, Libertà e verità, in Id., Fede, ragione cit., pp. 537 e sgg). Inutile dire che ogni riferimento alla verità storica è puramente casuale. Rousseau, oltre a essere un fervente credente, era pure contrario all’aborto. Sempre sulla «dialettica dell’età moderna» di Adorno, costantemente citata con favore neanche fosse il vangelo, cfr. ivi, La sacralità della vita umana, pp. 551 e sgg. Più in generale su questi temi, e in particolare sul continuo ricorso alle tesi di Adorno e Horkheimer e alla riflessione di H. Staudinger, 6’I.’r,stentum und Aufklàrung, m «Forum Kathohsche Theologie», 6, 1990, pp. 192-206, cfr, J. Ratzinger, Svolta per l’Europa2 Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti, Cinisello Balsamo 1992, pp. 140 e sgg. 2 Mi permetto di rinviare al capitolo Postmoderni e anti-illumznigti: dal confronto tra Cassirer e Heidegger alla kathohsche Aufklàrung di Benedetto XVJ, in V. Ferrone, Lezioni illuministiche, Roma-Bari 2010, pp. 53 e sgg. bensì qualcosa di molto serio e preoccupante, un vero e proprio progetto politico e culturale di restaurazione di un’idea egemonica della cristianità. Un progetto finemente argoinentato, dotato di ra dici forti e profonde, guidato dalla necessità di proiettare la Chie sa nel nuovo millennio con una rinnovata funzione storica nello spazio pubblico. Esso è stato alimentato dalle considerazioni della Nouvelle théologie in merito a quella che era una improcrastinabile “svolta antropologica” dopo gli orrori e gli errori del totalitarismo; a orientarlo, le amare riflessioni di settori del cristianesimo libera le circa le insufficienze della Chiesa nei confronti dell’Olocausto, come pure le opere pionieristiche e profetiche del teologo Roma no Guardini, assai presenti nei dibattiti del Vaticano IL Sin dal 1951 (quindi molto prima che si mettessero all’opera le chiassose e fumose falangi filosofiche post-moderne con cui siamo costretti a discorrere) Guardini aveva pubblicato a Wùrzburg un volume dal titolo quanto mai significativo, La fine delf’epoca moderna, denso di toni apocalittici e di argomentazioni simili a quelle dei francofortesi e di quanti, tra i seguaci di Heidegger, scorgevano la corrusca alba di una nuova angosciosa epoca ancora peraltro tutta da definire, Guardini fu tra i pochi a indicare chiaramente, dopo la tragedia dell’Olocausto, il presunto fallimento della modernità illuministi ca che aveva preteso di emancipare l’uomo attraverso l’uomo, ave va escluso il dito di Dio dalla storia e aveva finito così col liberare il campo al nazismo, alimentando la volontà di potenza disumana e tecnocratica dell’uomo del Novecento. Di fronte alla prospettiva nichilistica e post-moderna incombente, egli vide lucidamente il vuoto immenso che si stava aprendo, e con esso la possibilità e soprattutto la necessità di un pronto rientro in scena della Chiesa, armata di una consapevole e nuova cultura storica e antropologica, impegnata nello spazio pubblico a difesa della persona e forte della rivendicazione dei propri diritti nel campo della politica e della bioetica. Insomma, non stupisce affatto che le questioni poste dai protagonisti del dibattito sul post-moderno abbiano trovato facil mente orecchie sensibilissime da parte delle gerarchie vaticane, e in particolare da un fedele allievo di Guardini come Ratzinger, rivelatosi da subito particolarmente abile nel capovolgere, ad ma iorem Dei glorzam, molti dei temi allora dibattuti, E tuttavia, nell’immediato secondo dopoguerra, il problema non era certo il dibattito sul post-rnoderno ancora di là da venire, x XI francese e italiana decisa ad esplorare e a imporre lo studio della katholische Aufklà’rung nelle università del mondo intero? E forse inutile sottolineare quanto questo archetipo astratta mente filosofico, degno della migliore tradizione della teologia politica agostiniana impastata sapientemente con la teoria hege liana del “superamento” che ricorre in molti degli interventi successivi del teologo Ratzinger sino ai giorni nostri, dando forza e sostanza teorica anche a importanti documenti ufficiali della Chiesail stia creando non pochi problemi nella ricerca della verità storica, costretta quasi sempre a piegarsi alle forti torsioni teologiche indicate dalle gerarchie. Nel saggio che segue come pure altrove, forse con maggiore 2 abbiamo cercato di spiegare che quell’inattesa agio di analisi’ teologizzazione dei Lumi e più in generale lo sforzo di cristianizzare in qualche modo la modernità non sono stati affatto una brillante trovata da liquidare con un sorriso, come è stato fatto sino ad oggi, — — —, — — — — — ma seminai il bisogno di chiudere una volta per tutte, dopo la costante e furibonda dernonizzazione del passato, la pratica fasti diosa della modernità, senza eccessive perdite, e con qualche cre dibilirà in vista del rilancio cruciale della rinnovata funzione della Chiesa nello spazio pubblico: e in particolare di quella modernità dei diritti dell’uomo, della nuova scienza del Galileo processato e condannato dalla Santa Inquisizione, della democrazia, della libertà religiosa e del superamento dello Stato confessionale che era la modernità politica. E innanzitutto a questo tema specifico che è dedicato questo volume. La storia della Chiesa e del suo rapporto strumentale e incestuoso con il post-moderno, ancora tutta da scrivere, la lasciamo volentieri ad altri’ . 3 Per molto tempo si è pensato che il Vaticano lI potesse fi nalmente aver avviato con il mondo moderno una nuova fase di sereno dialogo e di reciproco ascolto: «Una vera conciliazione tra Chiesa e modernità»’ , per riprendere le parole ireniche di 4 Ratzinger. In realtà solo ora si è cominciato a capire che quelle Sul tema non sono comunque mancati interventi, ma quasi sempre sfuocati e reticenu, come il recente libro di G. Mannion, Chiesa e postmoderno. Doman de per leccleiiolo,gia del noitro tenipo, Bologna 2009. Con toni di rimprovero. l’autore non solo noi, vede traccia di un disegno della Chiesa cattolica rispetto alle urgenti questioni del post-moderno, ma anzi sollecita la Chiesa a prendere finalmente posizione. Esattamente la tesi opposta alla nostra, che mira invece a denunciare l’evidente e consapevole strumentalizzazione, da parte di settori specilici delle gerarchie vaticane, proprio dell’arsenale post-moderno a fini re staurativi. Sempre su questi temi cfr. anche M. junker-Kenny, Chiesa, modernzt2 epostmoderiio, in «Concilium», XXXV, 1999, pp. 145-154; C. Dotolo, La rela zione tra teologia e posi modern ud: problemi e prospettive, www,carmelodotolo. eu/relazione teologia postmoderno.pdf. Da notare che già nel 1996 Patrick Evrard e Pierre Gisel, nella loro Présentation a La tbéologie ei postmodernzté (Actes du 3’ cycle de théologie systématique des Facultés de theologie de Suisse romande, Gcnève, Labor et Fides, 7.10, 9), scrivono di quattro “filoni” della teologia post-modcrna, di cui quello «restaurateur» sarebbe rappresentato da Peter Koslowski e Robert Spaemann, al quale si riallaceerebbe l’allora cardinale Ratiinger «faisant foimd sur la “fin dcs teinps modernes” annoncée par Romano Guardmni», Da segnalare anche F.-X. Kaufmann, La Chiesa cattolica e le sfide della poitmoderniid, in Il fenomeno religioso oggi. 7iadizione, mutamento, nega zione, Città dcl Vaticano 2002, pp. 39-5 1, dove sostiene che l’ostilità di Ratzin ger verso l’interpretazione della storia umana come evoluzione naturale è una battaglia di retroguardia, dal momento che la post-modernità ha decretato la fiime delle ideologie totalizzanti, siano quelle razionalistiche o quelle fideistiehe. ° Cfr. j. Ratzinger, EEuropa nella crisi delle culture cit., p. 218. Xli speranze erano probabilmente mal riposte e che ben altro stava inaspettatamente prendendo corpo: e cioè un vero e proprio con gedo definitivo, consacrato e teologicamente sancito, dalla mo dernità, da parte di quel settore più conservatore dei vertici della Chiesa risultato vincitore nello scontro tra ie differenti possibili interpretazioni del concilio, dopo la morte di Paolo VI. Un conge do all’insegna dell’appropriazione e dell’abuso più sfrontato: una vera e propria cristianizzazione integrale della modernità quella positiva dei diritti dell’uomo e delle lotte emancipatorie e per la democrazia, opportunamente separata da quella negativa, senza Dio, che avrebbe favorito i totalitarismi che ha finito con il tro vare, più o meno consapevolmente, una sponda preziosa in quello che, nelle pagine che seguono, abbiamo sinteticamente definito il nuovo paradigma storiografico conciliare elaborato da autorevoli storici che si rifanno ai valori e alla cultura del cristianesimo. Va da sé che quando si parla di storiografia, di ricerche condotte nel rigoroso rispetto delle regole del gioco, e non di certi prodotti avariati di un filone neotradizionalista e clericale che qui abbiamo volutamente escluso da ogni valutazione, tutti i punti di vista sono legittimi. Spetta infatti alla comunità scientifica valutare la bontà delle prove presentate e le argomentazioni addotte da chi pensa che la tanto bistrattata modernità occidentale sia frutto naturale del cristianesimo. Si può discutere e lo abbiamo fatto in questo pamphlet anche con forte spirito polemico se le tesi prospettate siano valide: se davvero è possibile ricostruire la storia della libertà in Occidente mettendo in primo piano, quasi fosse un program ma teologicarnente pensato e storicamente realizzato, il cosiddetto dualismo dei poteri (tanto caro già alla storiografia germanica all’i nizio del Novecento e oggi rilanciato con nuova enfasi da quella ita liana), prospettato per la prima volta nella storia dal cristianesimo con la pericope evangelica che attribuisce a Gesù Cristo le celebri parole: «Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Matteo, 22,21). Se davvero è accettabile che si rivendichi alla cultura cristiana 1 a genesi del moderno linguaggio dei diritti dell’uomo, del costituzionalismo, dell’idea di libertà, di democrazia, della stessa scienza moderna, dimenticando che per secoli ebbero grande successo nel cuore e nella mente degli intel lettuali cattolici europei le celebri parole di un grande reazionario come Louis de Bonald: «La rivoluzione è cominciata con la procla — — — — XIII mazione dei diritti dell’uomo e finirà soltanto con la proclamazione dei diritti di Dio» (Législation primitive, Paris 1802, p. 184). Ciò che invece non è accettabile è l’abuso di quelle tesi, ancora tutte da verificare e comunque assai discutibii, da parte dei vertici della Santa Sede nella sfera pubblica e in particolare nel delicato confronto tra religioni e civiltà differenti. L’attuale pontefice ad esempio senza dubbio la vera testa pensante del gruppo che ha costruito in questi decenni, pezzo dopo pezzo, l’interpretazione re stauratrice, e per il momento vincente, del Vaticano 1115 non ha mai esitato a contrapporre nei suoi discorsi l’Occidente dualista, in cui grazie al cristianesimo la politica è stata teologicamente separata dalla religione’>, al ferreo monismo dell’Islam incarnato nel calif fato; sino ad accusare recentemente quella religione di non avere solide basi razionali nel suo codice geneticoS: forse perché nella sua secolare storia non ha mai conosciuto la katholische Aufklà’rung! Un altro esempio significativo di abuso della storia nello spazio pubblico lo si può riscontrare anche nella questione dell’inseri mento di un preciso riferimento alla religione cristiana nel pre ambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000. A ben vedere, quella pretesa, avan zata con forza dal Vaticano, non aveva molto senso né dal punto di vista storico né da quello giuridico. Eppure ha suscitato un grande clamore e alimentato non poche confusioni. Nessuno si è mai sognato di negare il rilievo e l’importanza positiva e negativa a seconda delle epoche, dei punti di vista e delle questioni in gioco del cristianesimo nell’identità moltepli ce dell’Europa: anche il vecchio Diderot, che certo non amava i — — preti, non aveva avuto mai esitazioni al riguardo, ammettendo l’esistenza nel tempo di un’Europe sauvage», cui era subentra ta un’<Europe payenne>, poi un’<Europe chrétienne» e infine quella dei Lumi, l’<Europe raisonnable>. E tuttavia, rispetto al sacrosanto riconoscimento del ruolo del cristianesimo nell’iden tità europea, ben altra cosa era quel furibondo rivendicare un ruolo esplicito della Chiesa nella carta dei diritti, e quindi nella lotta per la libertà, la democrazia, la tolleranza: mistificando il passato, trasformando ad arte l’Inquisizione e il concilio di Trento in fulgidi esempi di modernità al servizio di efficaci pratiche di disciplinamento sociale investite di valore razionale e progressivo. Il fatto è che la Chiesa ha sempre avuto problemi con la sto ria, definita da Vico, nel De constantia mrisprudentis, come la testimone del tempo l<Historia autem est temporum testis»), e in particolare con la verità storica. Non a caso per secoli si è opposta alla nascita di cattedre di storia della Chiesa e del cristianesimo al di fuori dei collegi ecclesiastici, quasi avesse qualcosa da nascon dere. Anche in questo caso bisognerà infatti attendere il XVIII secolo per vedere nascere i primi insegnamenti universitari in que sto campo. Da quel momento in poi la guerra tra storici e teologi, avviata all’indomani degli esiti clamorosi della moderna critica fi lologica nel campo dell’esegesi biblica e dell’epocale separazione voluta dagli illuministi tra storia sacra e storia profana, non ha più avuto fine. Oggi i teologi paiono in vantaggio’ . Essi conoscono 8 — — > La pretesa di” verità” degli storici e la sua pericolosità per l’ortodossia è particolarmente presente nella riflessione di Ratzinger dcl natale 2005, che ne ha fatto un punto cruciale della sua reinterpretazione del Vaticano Il nel suo complesso rapportarsi alla modernità. Cir. l’importante Discorso di Sua Sa,itità Be,,edeno XVI a/la Curia Romana in j. Ratzinger. Fede, ragione cii., pp. 675 e sgg. «Innanzitutto occorreva definire scrive Raizinger in modo nuovo la relazione tra fede e scienze moderne; ciò riguardava, del resto, non soltanto le scienze naturali, ma anche la scienza storica perché, in una certa scuola, il me todo storico-critico reclamava per sé l’ultima parola nell’interpretazione della Bibbia e, pretendendo la piena esclus,v,tà per la sua comprensione delle sacre Sul ruolo centrale di Ratzinger cfr. G. Miccol,, La Chiesa de/l’anticoncilio. I tracliziona/isti a/la ricomjznsta di Roma, Roma-Bari 2011. Contro la sostenibilità storica di questa tesi e a favore di una corretta interpretazione subordinazionista della pericope evangelica «rendete dunque a .:csare...» ctr. V Ferrone, La “sana laicità” della Chiesa bel la rminiana di Benedet. fo Xl’! tra potestas indirccta” e parresza”, in «Passato e Presente», XXVI, 2008, P1’ 21-40. Più in generale su questi temi cfr. il fascicolo di «Contemporanea», X, 2007, dedicato al tenia La laicità tra storia e tempo presente, a cura di F. Traniello e F. De Giorgi. Cfr. il Discorso del Santo Padre in occasione dell’incontro con i rappre se,,! anti dc/la Scienza durante il viaggio apostolico a Munche,i, Altòtting e Re genshurg, in J. Ratzinger, Fede, ragione cit., pp. 685 e sgg. Chiesa aveva elaborato». Più in generale, contro i fautori dell’<erineneutica del la discontinuità» era suhìto chiarito che «Il Concilio Vaticano Il con la nuova definizione del rapporto tra la fede e certi elementi essenziali del pensiero mo derno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa ap parente discontinuità ha invece mantenuto e approfondito la sua mtima natura xlv xv — — Scritture, si opponeva in punti importanti all’interpretazione che la fede della la seconda delle Considerazioni inattuali di Nietzsche, .S’ullutilitcì e il danno della storia per la vita, e sanno bene quanto la storia sia importante per l’esistenza e per l’agire politico: conoscono i pericoli di un passato che non vuoi passare e che sempre impone al presente l’onere della verità e si comportano di conseguenza. Sta semmai agli storici reagire. Con spirito profetico e onestà che gli va riconosciuta, Gio vanni Paolo TI mostrò di avere consapevolezza dell’urgenza della qLlestione per la credibilità stessa del futuro ruolo della Chiesa nello spazio pubblico. Lo fece pubblicando in occasione del Giu bileo del 2000 un’importante lettera apostolica, irtio millennio adueniente, sulla «purificazione della memoria», in cui invitava i cattolici a compiere finalmente, in vista del nuovo millennio, «un atto di coraggio e di umiltà nel riconoscere le mancanze compiute da quanti hanno portato e portano il nome di cristiani». Non ebbe alcuna risposta significativa. I laici non lo presero neppure sul se rio. Dai sacri palazzi si è preferito invece glissare, ignorare l’invito, arroccandosi e continuando ad abusare della storia. Certo Galileo è stato recentemente riabilitato e financo santificato, senza però mai interrogarsi sul fatto che quel processo seppure in forme differenti —potrebbe ancora ripetersi in futuro se le questioni pro fonde che esso ha sempre celato non verranno coraggiosamente affrontate°. Tra mille cautele e forti reticenze, pochi coraggiosi hanno co minciato ad esplorare le responsabilità del Vaticano nei confronti dell’Olocausto E tuttavia da parte delle gerar . dei totalitarismi e 20 chie forti sono rimasti la tendenza e il vezzo di attribuire alla mo — vera idrntito’. Sulla «sovrana noncuranza della storia che costituisce un aspetto caratteristico del magistero di Benedetto XVI» cfr. G. ?‘1iecoll, La ( biesa dcli annconczlio cit., pp. 336 e sgg. (fr. gli atti dei convegni tenutisi a Tormo e a Firenze, rispettivamente nei marzo e nel maggio 2009: Il processo a Galileo Galilei e la questione gallleiana, a cura di (,M. Bravo e V Ferrone, Roma 2011); il caso Galileo. Una rilettura stormi, filosofica, teologica, a cura di M. Bueciantini, M. Camerota e F. Giudice, Firenze 21)11. Per un primo quadro generale dello stato della ricerca a livello interna zionile cIr. gli interventi di G. Miccoh, G. Verueei, L. Mangoni, W. Schieder e L. Klinkhammer in La cbiera cattolica e il totalitarisino. Atti del Convegno presso la Fondazione L. Firpo. Tornio, 2 -26 ottobre 2001, a cura di V Ferrone, Firenze 21104. e ia sua XV) dernità ifiurninistica dei “senza Dio” ogni autentica responsabilità degli orrori del Novecento. Salvo poi proclamarsi in ogni occasione eredi di quel mondo di valori, padri naturali della libertà, della democrazia e dei diritti dell’uomo, continuando pe rò imperterriti a non voler applicare questi ultimi all’interno della Chiesa. Basti pensare al triste epilogo della tormentata vicenda dei teologi della Liberazione in America Latina, duramente repressi da Giovanni Paolo TI e dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger. Forse bisognerà davvero attendere un nuovo papa. meno teolo go, meno competente nella raffinata “dialettica dell’Illuminismo”, per sperare di veder finalmente rispettato per intero lo spazio valoriale dei non credentP, la loro autonomia morale, il bisogno esistenziale, 11 significato profondamente umano e quindi sacro della verità storica, indispensabile anche, e soprattutto, per quei cattolici riformatori di una Chiesa «nunquam reformata, semper reformanda». Una Verità senza la quale è impossibile auspicare per il futuro quella tolleranza e quella libertà di pensiero necessa rie per “camminare insieme”, credenti e non credenti, cristiani ed eredi dei valori emancipatori dell’Illuminismo, secondo l’auspicio di un grande storico e intellettuale cattolico, vescovo di Torino, mai troppo rimpianto, come il cardinale Michele Pellegrino. Questo saggio è dedicato a due amici carissimi, Paolo Rossi e Massimo Firpo. Dal primo, recentemente scomparso, ho appreso la necessità di una storiografia militante in difesa della verità; dal secondo quanto sia difficile, ma anche affascinante, il mestiere nei confronti dello storico. Bonzo, Alpi Graie. dicembre 2012 2 A tal proposito cfr, V. Ferrone, La laicitd, spazio di valori. interrogativi d’un laico sulle tesi del card. K. Lehmann, in «11 Regno», L, n. 967,2003, pp. 282 e sgg.; E. Bianchi, Per un’etica condivisa, Torino 2009. 6. Magistero autoritario o dialogo? Nelle pagine della Gaudruin ci spe venivano a precipitazione de cenni di dibattiti sull’identità, la funzione, i ritardi e le responsabi 4 lità della Chiesa rispetto al mondo e all’uomo; dibattiti resi ancora più acuti e drammatici nel corso del Novecento dopo ia crisi del modernismo, la restaurazione organizzata dal partito romano su salde basi tomistiche e a partire da un’accentuazione assolutistica del diritto canonico nel periodo fascista, dal forte travaglio su scitato dalle esperienze dei totalitarismi e dell’Olocausto. Tra le righe di quel testo affiorava ovunque la voce di quanti, vanamente repressi, avevano dato vita alla cosiddetta «nouvelle théologie», al rinnovamento di tutto il pensiero cristiano attraverso la riscoperta di una cristologia rinnovata, con al centro Cristo adulto, vero Dio ma anche vero uomo, e una nuova ecclesiologia che superasse finalmente la concezione autoritaria della Chiesa come corpo mi stico di Cristo in direzione di una teologia del laicato, dell’ecume nismo, del rilancio della funzione episcopale, della stessa formula felice (di matrice agostiniana, coniata nel 1937 dal benedettino Anschaire Vonier) di una Chiesa come «popoio di Dio», peregri nante nella storia. Contro l’irrigidimento antimodernista della cu ria romana, decisa a resistere a ogni novità dietro il solido bastione della metafisica neotomista e di una teologia dogmatica collocata al di fuori di ogni tempo e di ogni spazio, la pubblicazione di ope re importanti scritte da personaggi come von Balthasar, de Lubac, Rahner, Chenu, Maritaii, Marrou, Congar e tanti altri aveva susci tato dibattiti sempre più difficili da sopire e da controllare. Ben ché quegli studiosi fossero così diversi tra di loro, un filo rosso le gava in qualche modo idealmente le loro ricerche: la rivalutazione della storia, ad esempio, e, parallelamente, dell’esistenza umana come luogo teologico; un’ipotesi controversa e sempre osteggiata da Roma’. Nei loro scritti, attraverso l’attenzione al dato storico, fermentava forte la necessità, ormai irrinunciabile, di ridurre la contrapposizione tra incarnazione ed escatologia, tra il messaggio salvifico e il fluire delle vicende sempre più drammatiche dell’u . In quella direzione umanistica, di un nuovo umanesimo 2 manità integrale e cristiano, vennero rafforzati gli studi di esegesi biblica e presero corpo nuove iniziative, prestigiose dal punto di vista critico-filologico, nel campo della patristica, della storia delle ori gini del cristianesimo; nacquero straordinarie ricerche filosofiche e teologiche capaci d’interpretare i «segni del tempo» e di repli care, assai meglio di tanti cosiddetti filosofi laici, ai fautori del moderno nichiismo sulla base di un coraggioso esistenzialismo cristiano attento ai lavori di Kierkegaard e di Heidegger. La Gatdium et spes ha rappresentato senza dubbio il punto d’arrivo di tutti i più importanti dibattiti suscitati dalla «nouvelle théologie»: quel documento ne ha come racchiuso e distillato i La riconsiderazione della storicità del cristianesimo, e quindi il rilievo da attribuire al nesso storia-teologia, era tuttavia già cominciata agli inizi del Nove cento, prima che prendesse corpo la «nouvelle théologie». Ad esempio, negli an ni Trenta, rivahitando gli studi di esegesi biblica di padre Lagrange, il fondatore della prestigiosa Ecole biblique deJérusalem, il domenicano Chenu, lanciò un vasto programma di ricerche sul cristianesimo «come storia e teologia confes salite», alimentando un forte movinnento destinato a contare nelle vicende della Chiesa. CIr. la nota introduttiva di G. Alberigo al volume di M.-D. Chenu, Le Saalchoir Una salo/a liteologiiz cit,, pp. ix e sgg. Nell’edizione italiana di questi suoi vecchi saggi, che tanto scandalo e condanne avevano suscitato a Roma alla loro apparizione, Chenu scriveva compiaciuto: «Uno dei meriti principali del Vaticano 11 è qiello di aver misurato la dimensione storica della Chiesa; lo stesso termine hzstoria, assente dal vocabolario del magistero, vi è utilizzato 63 volte. Il nicrodo di Le Saiil<-hoir introduceva la storia nella teologia, come quarant’anni prima, e contro le stesse opposizioni, padre Lagrange aveva introdotto il “meto di) storico” nell’intelligenza della scrittura. Il Concilio ha convalidato entrambe le imprese» (p. xxxiv). 2 Per un quadro generale su questi temi cfr. E. Fouiiloux, Il cattolicesimo, in Storia dcl criitia,ies,mo, a cura dij.-M. Mayeur, Ch. Pietri, A. Vauchez e M. \nard, voI. 12. Roma 199], pp. 159 e sgg. 92 fermenti migliori e il messaggio complessivo più vero, di autentico e orgoglioso confronto a distanza rispetto al vecchio umanesimo illuministico, nel quadro di una cristologia rinnovata nei profon do. «Si tratta di salvare la persona umana, di edificare l’umana società era precisato, non a caso, proprio in avvio del documento, con toni che avrebbero entusiasmato Voltaire e Diderot E luo mo dunque, ma l’uomo singolo e integrale, nell’unità di corpo e di anima, di cuore e di coscienza, di intelletto e volontà che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione». Da qui le domande cruciali che avevano già angosciato gli uomini dei Lumi: «Cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte che malgra . Le risposte erano 3 do ogni progresso continuano a sussistere?» in quanto mutati radicalmen tradizionali scontate e tutt’altro che l’analisi e il giudizio sul soprattutto erano passato, te, rispetto al era più individuata e non modernità La contemporan eo. mondo demonio da esor del l’opera assoluto, male denunciata come il una sfida e allo conti: i fare cui con realtà come la cizzare, bensì del terzo rinnovata cristianità per la un’opportuni tà stesso tempo e della scienza della sbalorditivo potere millennio. Di fronte al politico economico e sociale, l’ordine stravolto tecnica, che aveva delle nazioni, ai nuovi strumenti di comunicazione di massa, alla crescita esponenziale di beni di consumo in Occidente con i suoi innegabili effetti positivi, ma anche in grado di accentuare squili bri, di rompere l’armonia sociale provocando ingiustizie, malesse ri, tragedie e genocidi nei terzo mondo, l’uomo tornava clamoro samente al centro del discorso storico e teologico della Chiesa. Un uomo «a un tempo potente e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso e del regresso, della fraternità o dell’o dio». I padri conciliari raccoglievano senza timori revereflziali, anzi con schietto cipiglio aggressivo contro i sommessi borbottii degli epigoni dell’eredità illuministica, la sfida della modernità, convinti di avere nella nuova cristologia più attenta al lato uma no, in «Cristo, l’alfa e l’omega» rivisnato e fatto conoscere la risposta più giusta e attuale al dilagante disagio esistenziale, alla crisi profonda dell’umanità, al vuoto nichilistico di senso della — —. — — Gaudium e! spr’s cit., p. 1074. 93 storia prodotto dal fallimento del progetto illuministico di salvare l’uomo solo attraverso l’uomo stesso e non attraverso la grazia e la Rivelazione. Nel documento, il progetto di una possibile e auspi cabile cristianizzazione della modernità muoveva dalla considera zione, ritenuta assolutamente centrale, che Dio aveva fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza indicandogli la via della salvezza. Da quel legame derivavano il sacro rispetto della dignità umana e, soprattutto, la riscoperta del fondamento evangelico dei diritti della persona. Al di là del compimento del processo escatologico e della diffusione del messaggio salvifico, l’obiettivo finale della «missione della Chiesa nel mondo contemporaneo» diveniva così il «inondo da costruire e da condurre al suo fine» . Finalmente 4 padrona del linguaggio dei diritti all’interno di una rassicurante cornice teologica e di un efficace schema storico di tipo dualistico, la Chiesa poteva in tal modo tornare al centro della scena e inter pretare la realtà, meglio di chiunque altro, affrontando i gravi pro blemi dell’<uomo moderno», raccogliendo di fatto quell’eredità dei Lumi sempre più dimenticata e abbandonata dai cosiddetti laici affascinati dal nichilismo e dai teorici del pensiero debole, interrogandosi sui diritti di libertà dei popoli, sulla funzione so ciale della proprietà, sui diritti sociali, su come affrontare la sete inestinguibile di giustizia e di equità del mondo intero. E tuttavia, indipendentemente dai contenuti innovatori ela borati nelle sessioni, o dallo strascico di «equivoci, compromessi, ambiguità» (subito onestamente ammessi e denunciati, ad esem pio, da Dossetti’), come tutti i grandi concili anche il Vaticano Il ha iniziato a rivelare per intero le sue potenzialità d’impatto (positive o negative a seconda dei punti di vista) solo nei decenni successivi, in primo luogo e non potrebbe essere diversamente, perdurando la struttura assolutistica della gerarchia ecclesiasti ca nell’opera dei pontefici chiamati a darne l’interpretazione autentica. Il ritorno tanto atteso e auspicato a un’analisi meno preconcetta della realtà storica da parte della Chiesa, che di per sé resta comunque una grande conquista dei vescovi riformatori, ha lasciato infatti aperte e impregiudicate due strade fortemente — — 1135. Ctr. G. Alberigo, Transizione epoca/e? 94 cit., 629. divergenti. La strada dell’ascolto dell’altro, del dialogo sincero e responsabile tra mondo e Chiesa, di quel camminare insieme in vista del bene comune che presuppone la possibilità di un recipro co e positivo condizionamento nel cercare e vivere liberamente la verità; e la strada, invece, dell’imposizione dogmatica e autoritaria di una verità data una volta per tutte, ritenuta immobile e graniti ca di fronte all’ingiuria della storia (la grande metastasi della teo logia), limitandosi a concedere all’altro i necessari aggiornamenti imposti dal tempo, ma al solo fine di meglio sviluppare lo spirito e la propaganda missionaria con nuovi e più raffinati strumenti di comunicazione sociale. Va da sé che al termine di questa seconda strada, che mira a strumentalizzare di fatto il recente approdo dualistico e il ricono scimento dei diritti dell’uomo nell’ambito della comunità politi ca e civile per impedire parallelamente ogni sostanziale riforma all’interno della Chiesa, non vi potrà essere che l’ennesimo conflit to, la chiusura inevitabile alle ragioni del mondo, ai bisogni degli stessi cristiani, e quindi il declino definitivo della Chiesa. E infatti impensabile che nel terzo millennio, senza l’avvio di una onesta strategia del dialogo, la logica implacabile dei diritti capace di mettere in crisi e liquidare l’Antico regime non sgretoli dall’in terno le solide fondamenta dell’attuale Chiesa, “società perfetta” e gerarchica, ancora prigioniera dello spirito del Tridentino. Cosa succederà quando l’interpretazione autentica della «svolta antro pologica» auspicata dalla «nouvelle théologie», la teoria universa le dei diritti, il principio etico dell’eguaglianza e della democrazia penetreranno davvero, e polemicamente, nelle mura del Vaticano, divenendo finalmente armi micidiali nelle mani delle donne esclu se dal sacerdozio, dei chierici obbligati al celibato, dei cristiani costretti a obbedire alla volontà e alle decisioni del papa-re, del sovrano pontefice, ultimo signore assoluto e infallibile, nel deli cato campo dei comportamenti morali pubblici e privati profon damente condizionati dai mutamenti della storia? Probabilmente assisteremo all’ennesima rovinosa rivoluzione dovuta a qualche noveflo Lutero e alla miopia degli uomini di curia, e dal “paradiso degli illuministi”, sempre che esista, Voltaire, Diderot e Lessing si fregheranno le mani, consapevoli di aver anticipato il futuro e di aver compiuto, da buoni seguaci della religione naturale, la mis sione cui il Dio di tutti gli uomini li aveva appositamente destinati. — — 95 Al di là delle facili battute, questo dilemma connesso alla pro blematica gestione del linguaggio dei diritti da parte della Chiesa, in particolare rivolto al proprio interno, apparve subito chiaro all’indomani del Vaticano TI. Non è casuale, in questa direzione, l’atteggiamento inquieto e titubante di Paolo VI, deciso a chiude re al più presto un effervescente concilio durato troppo a lungo, e a demandare le questioni scabrose e difficili ad apposite com romana Quel . missioni maggiormente controllabili dalla curia 6 te segnata bilmen innega pontefice, la cui opera complessiva è stata dialogo e del strada la tratti dalla scelta di percorrere per lunghi XXIIF, ni Giovan da ata del confronto con la modernità enunci do Portan o. dualism il non ebbe mai il coraggio di andare oltre ca specifi una dedicò egli a compimento il disegno di Maritain, prin il Chiesa della rno attenzione soprattutto a radicare all’este democratico ad affermare in ogni occasione i diritti della , cipio 6 persona tra i popoli. Solo con Giovanni Paolo 11 si è avuta la prima lettura del Vaticano Il destinata a segnare profondamente le sorti della Chiesa del terzo millennio. Peccato, però, che al di là di un’apparente modernizzazione nella forma, nei linguaggio e negli e strumenti di propaganda usati, essa stia rivelando con lo scorrer casi taluni in , vatrice conser degli anni la sua complessiva natura francamente reazionaria, volta a proclamare in ogni occasione il vecchio e anacronistico principio d’autorità tridentino intima mente connesso alla figura del sovrano pontefice. Il progetto di quella che potremmo definire la grande Restaura zione del primato morale e spirituale della Chiesa nel mondo con temporaneo è stato limpidamente enunciato da Giovanni Paolo 11 sin dalla prima enciclica, Redernptor hominis del 1979, quando, commentando la svolta antropologica del concilio, egli ha subito messo in chiaro che «l’umanesimo autentico è strettamente colle a Cristo», e quindi agli insegnamenti del suo vicario in terra e delle gerarchie ecclesiastiche. La «regalità» delfuomo, i suoi «oggettivi ed inviolabili diritti», il significato ultimo della vicenda umana sono intimamente connessi ai mistero della redenzione: «Il senso essenziale di questa “regalità” e di questo “dominio” dell’uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo stesso Creatore, consiste nella priorità dell’etica sulla tecnica, nel primato della persona sulle cose, nella superiorità dello spirito materia» Al contrario, tutti questi elementi sembrano esser . sulla 9 stati banditi da una realtà che mostra in ogni aspetto la profonda ui crisi morale dell’uomo d’oggi, il «grande dramma» degli individ o «quadr ridotti a merce senz’anima, a soggetti inconsapevoli nel o della civiltà consumistica» dominata dalla logica del profitt e s dell’utilitarismo individuale. Una crisi esistenziale dove il progre so materiale, non accompagnato da quello spirituale, e il trionfo della tecnica e della scienza, lungi dal risolvere i problemi dell’u manità, hanno finito con il rendere schiavo l’uomo, alimentando la le sue angosce, l’alienazione «nei suoi rapporti con la natura», rinun può non o «L’uom vivere: di sua ormai irrefrenabile paura ciare a se stesso ha denunciato Giovanni Paolo TI con nobili parole e toni profetici assolutamente condivisibili anche da parte di chi continua a credere nei valori e negli ideali dell’umanesimo non illuministico né al posto che gli spetta nel mondo visibile; ici, econom i sistem può diventare schiavo delle cose, schiavo dei La ti». prodot schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri r viceve scienza e la tecnica sono nate per servire l’uomo e non no appaio . E tuttavia, se nelle pagine della kedempiorhominis 10 sa isibili la cruda diagnosi dei mali quanto mai opportune e condiv senso del pianeta, la denuncia del vuoto morale, della perdita di prodotta da una modernità male intesa, priva di valori e dimentica dei diritti dell’uomo, sconcertante e inaccettabile è invece la cura gato — — del e Cfr. R. Bungana, G. Turbanti, L’intersezione: preparare la cOnClUSiOn sgg. 565 e concilio cit., Pi>. e pubbli Cfr. questa volontà di dialogo con la modernità, esplicitament e Paolo VI. camente dichiarata sm dall’inizio del pontificato, in Insegnamenti di sgg. e 712 11, pp. 1965. Roma 1966,1 inter suo Per l’interesse di Paolo VI verso la democrazia cfr. ad esempio il dei cat sociali ne settima alle ani, Cicogn Stato rio di segreta il rso vento, attrave société La 1963, Caen n 5(Y >essio . France de s tolici francesi, in Semaines soczale démocratuue. Compte rendo “m extenso”, Lyon 1963, pp. 5 e sgg. - 96 iche cii.. Giovanni Paolo Il, Redemptor hominis. in Enc/sirzdioo dc/le Encicl voi. 8, pp. 89 e sgg. isti, 19 In realtà, storicamente questa è sempre stata anche la tesi degli illumin quelle con e arte ad confus spesso troppo le cui concezioni scientifiche sono state e, dei positivisti della seconda metà dell’Ottocento; cfr. al riguardo V. Ferrondel ropa nel/Eu frca scw;in zione e Rivolu ismo Illumin . Una scienza per l’uomo Settecento, Torino 2007. 97 I proposta. Essa si fonda principalmente sulla tradizionale conce zione paolina della minorità ontologica dell’uomo macchiato dal peccato originale, sull’accusa di aver alzato gli occhi e osato co noscere senza timori (per riprendere l’oraziano sapere aude reso celebre da Kant), prescindendo dal rispetto del disegno salvifi co, affrancandosi dalle aucioritates con un inaccettabile peccato d’orgoglio di matrice pelagiana. Da qui, dalla presunzione della sostanziale sconfitta storica del progetto ernancipatorio illumi nistico, nasceva l’indicazione verso un rinnovato e formidabile ruolo di guida e di tutela del magistero morale e spirituale della Chiesa, chiamata (anche grazie agli “aggiornamenti” del Vaticano 11) a dar vita a una «nuova primavera» del cristianesimo dopo gli orrori dell’Olocausto e gli sbandamenti tragici di un’errata esegesi della modernità: «La Chiesa non può abbandonare l’uomo, la cui “sorte”, cioè la scelta, la chiamata, la nascita e la morte, la salvezza o la perdizione, sono in modo così stretto ed indissolubile unite in Cristo»”. Tutto il pontificato di Giovanni Paolo ii è stato, a ben vedere, dominato dall’assillo di cristianizzare la modernità, rilanciare la sfida, rafforzando e attrezzando la Chiesa, «soggetto sociale della responsabilità per la verità divina», ai nuovi compiti di cura, d’in dirizzo, di promozione, e allo stesso tempo di evangelizzazione, di un’umanità impaurita e disperata, ormai priva di riferimenti credibili. A tal fine, condizionato dal suo temperamento di com battente, di mi/csfidei, esperto in comunicazioni sociali, ma anche abile stratega, Giovanni Paolo Il ha ritenuto necessario rimettere ordine prima in casa propria, tra le sue confuse, stanche e sem pre più sbandate truppe, per muovere poi coraggiosarnente alla riconquista missionaria del mondo. Novello Mosè alla testa di una «Chiesa in cammino» nel deserto, tra ostacoli e nemici di ogni ge nere, egli ha ricordato al «popolo di Dio» le leggi, il fondamento divino del principio d’autorità, il dovere dell’obbedienza di fronte alla verità e alle gerarchie ecclesiastiche. Non a caso, quasi tutte le sue encicliche sono soprattutto dirette all’interno della Chie sa, a catechizzare un «popolo» sempre più indisciplinato, turba to, inquieto, pericolosamente contaminato dai virus della società del consumistica e dai suoi disvalori. Dalla Dwes tu ,,izscr:cordia ori RIeiìip alla 1986, del 1980, alla Dominurn ci vivsficantem alla Veritaiis mater del 1987, alla Kedempioris i,nssio dcl 1990, alla Ecclesta sino 1998, dcl spiendor del 1993 e alla Fides e! ratto e i nodi ne entali fondam de eucharistia del 2003, tutti i dogmi Trento sono a ti elabora co vralgici dell’arsenale dottrinario cattoli acritico spirito stesso lo con stati riconfermati, punto per punto, amavano, i parroc vecchi e la candida determinazione con cui i creduli fanciulli de nel secolo scorso, indottrinare gli ingenui e . Nulla è stato urbane ie gli oratori delle campagne e delle perifer di tutti i pratica della risparmiato: dalla riproposizione integrale io, al trinitar dogma sacramenti, anche quelli ormai in disuso, al il probab (fatte o peccato originale alle novità del culto marian lecu are rilanci mente apposta si perdoni la facile ironia per che mai le accet menismo nei confronti delle Chiese protestanti straordinario e teranno), cui è stato attribuito un rilievo teologico morale sessuale, particolare nel disegno salvifico. Nel campo della nascite, dei diritti del costume delle famiglie, del controllo delle continuare ancora dei gay, del celibato dei preti e si potrebbe intransigente, con altri esempi la chiusura della Chiesa è stata rafforzamento pressoché assoluta. All’identità e al conseguente state dedi dell’originario impegno missionario della Chiesa sono Redemptoris cate grandi attenzioni. Basta leggere pochi passi della veemenza passione e la missio per cogliere l’energia esplosiva, la tare la Chiesa alla mobili di cercato con cui Giovanni Paolo TI ha ti: «Noi non creden non i verso lotta e allo «slancio missionario» ento e Testam Vecchio il possiamo tacere ha tuonato citando una “a esimo cristian il rimproverando coloro che osano ridurre —l’au vivere” buon del sapienza meramente umana, quasi scienza promozione tentico messaggio salvifico che lega intimamente la ento di “sacram , umana all’evangelizzazione. Alla nuova Chiesa a tutti re spiega di salvezza per tutta l’umanità”, spetta il compito della mezzo per i popoli della terra che la redenzione, avvenuta della senso il e croce, ha ridato definitivamente all’uomo la dignità mondo»’ . sua esistenza nel 2 — — — —, — Giovanni Paolo Il, Redcmpioris ,mssio. cit., voI. 8, p. 8)5. 12 Giovanni Paolo I I, Re/euipior bommis 98 ,t. p. 67. in E,;hirzlion delle Encicliche 9% 4 All’opera di proselitismo e propaganda della nuova Chiesa, Gio anni Paolo 11 ha dedicato certamente i suoi sforzi migliori. Dialogo ecumenico, promozione dei diritti dell’uomo nel mon do, ma allo stesso tempo ferreo arroccamento identitario e neo disciplinamento sono stati i punti qualificanti del suo pontificato. Efficacissimo nella veste di grande comunicatore, questo sovrano pontefice venuto dalla Polonia non ha esitato a rilanciare in forme ammodernate e spregiudicare antichi modelli e vecchi stereotipi devozionali vedi padre Pio) pur di esercitare la sua funzione di pastore mondiale di anime. Preoccupato di nulla scartare dell’ere dità storica della Chiesa, ha proposto la beatificazione di Pio IX e quella di Giovanni XXIII. Incurante dell’accusa venuta soprat tutto da ambienti cattolici e protestanti abituati a forme più sobrie e composte di religiosità di favorire, seppure inconsapevolmen te. pericolosi processi di fanatizzazione religiosa delle folle, egli si è impegnato in una stupefacente produzione industriale di santi come non si era mai visto in passato, così come nella riscoperta dei miracoli e della presenza di Satana nella vita quotidiana, o, ancora, in adunate oceaniche di fedeli ripresi in mondovisione (per lo più giovani in delirio), degne di essere comparate ai con certi delle più celebrate e scatenate rockstar. Ma è a una granitica, autoritaria concezione della verità e alla rigorosa difesa del pri mato del pontefice, custode della secolare continuità del magiste ro, che Giovanni Paolo lI ha affidato una parte importante della sua interpretazione del Vaticano Il. Dopo la Veritaiis spiendor, è stato soprattutto nella Fides ci ratio del 1998 che il suo persona le astio contro l’illuminismo, contro quel progetto di modernità politica colpevole di aver sempre predicato l’autonomia dell’uo mo, l’en ancipazione dell’individuo dalla tutela ecclesiastica, è sgorgato prorompente e irrefrenabile, rivolto, ancora una volta, soprattutto all’interno della Chiesa, agli smarriti e inquieti filoso fi e teologi cattolici affascinati prima dall’umanesimo dei Lumi, poi dall’esistenzialismo e, da ultimo, dalle post-moderne filoso fie <del nulla». Ai frastornati epigoni della «nouvelle théologie> Giovanni Paolo TI ha ricordato, con parole severe, l’importanza del «rinnovamento tomista e neotomista», il ruolo anciUare e subordinato della filosofia, come «amore per la saggezza», nei confronti della teologia. Alla filosofia ma il discorso vale anche, a storia spetta il solo compito di aiutare e a maggior ragione, per 1 — — — — 100 i vescovi a testimoniare la verità, ad assistere il vicario di Cristo nel suo «secolare cammino di comprensione della fede, riflettendo sulla Rivelazione alla luce dell’insegnamento biblico e dell’intera . 3 tradizione patristica»’ Ai centro di ogni processo critico che prevede l’uso della ragio ne sta insomma, secondo gli insegnamenti della Fzdes ci ratio, la fede assoluta nella verità del messaggio evangelico: «La Rivelazio ne cristiana è la vera stella di orientamento per l’uomo che avanza tra i condizionamenei della mentalità immanentistica e ie strettoie di una logica tecnocratica». A difesa di questa verità che rende davvero liberi (<conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv, 8,32]) non può esservi che la Chiesa: «Il magistero ecclesiastico, quindi, può e deve esercitare autoritativamente, alla luce della fede, il proprio discernimento nei confronti delle filosofie e delle . Molti 4 affermazioni che si scontrano con la dottrina cristiana»’ in passato; compito difficile pontefici sono stati chiamati a questo TI ha Paolo Giovanni con malcelato orgoglio, senza esitazioni, grazia con (definiti, censori rivendicato la totalità degli interventi e leggerezza tutta curiale, «preziosi contributi») dei suoi «vene randi predecessori» contro i Lumi del Settecento e poi contro le filosofie moderne dei secoli successivi, troppo sbilanciate ver so l’autonomia dell’uomo da Dio; sino all’ultimo, suo personale “prezioso contributo” al trionfo della verità e della singolare con cezione della libertà religiosa riservata all’uomo cattolico, contro «alcuni teologi della liberazione»l>, duramente repressi nel nome dell’ortodossia. E ciò nondimeno, accanto a questa politica autoritaria di di sciplinamento e di vero e proprio arroccamento identitario della Chiesa al suo interno, su cui molto vi sarebbe da dire dopo le speranze suscitate dal concilio, un capitolo decisivo della potente opera di rilancio della cristianità da parte di Giovanni Paolo 11 è stato riservato soprattutto all’esterno: alla costruzione di un nuovo rapporto tra Chiesa e inondo contemporaneo funzionale alla svol ta antropologica del Vaticano TI. In quest’ambito la strategia mis sionaria del pontificato, fondata programmaticamente sullo stretto ‘ Fzdesetrtio,ivi,p. 1825. lvi, p. 1899. Ivi, p. 1909. 101 i binomio tra evangelizzazione e promozione umana, si è sviluppata, da un lato, attraverso l’uso costante e privilegiato del linguaggio dei diritti de[l’uomo elevato a strumento pastorale; dall’altro, con la precisa volontà di giungere alla resa dei conti finale della secola re sfida contro l’umanesimo e la modernità ifiuministica. Non v’è infatti documento ufficiale della Santa Sede che non ricorra ormai con ossessivo spirito propagandistico al linguaggio universale dei diritti per parlare a tutti i popoli sulla terra. Allo stesso tempo, però, unanimemente accreditato nella stampa internazionale co me portavoce e campione dei diritti umani nel mondo, Giovanni Paolo Il non ha mai rinunciato, in tutte le occasioni, a fornire la sua interpretazione autentica in merito alla delicata questione della natura oggettiva dei diritti dell’uomo all’interno del cosmo tornista, sottolineando la loro intima relazione con i diritti di Dio. Non a caso, la straordinaria forza politica di quel linguaggio è risultata particolarmente evidente ed efficace soprattutto nel campo delle encicliche sociali. In questo specifico settore la Chiesa aveva del resto riconosciuto per tempo e lo abbiamo già segnalato il rilievo dei diritti sociali dei lavoratori, le ragioni dei sindacati, i diritti dei corpi intermedi. Abilmente (e anche meritoriamente, va riconosciuto) Giovanni Paolo Il ha ulteriormente ammodernato e reso più penetranti le tradizionali posizioni della Chiesa, facen dola diventare, di fronte a una sinistra mondiale afona, irresoluta, imbelle e priva di idee, l’unica autorevole voce critica contro il capitalismo selvaggio, la degenerazione della legge del profitto, il consurnismo che degrada l’uomo a merce. Sin dalla Laborem exercens, del 1981, la dignità dell’uomo e i suoi diritti sono stati rivendicati contro l’economicismo imperante e il culto fanatico del nuovo Dio pagano rappresentato dal mercato. Incurante delle mode, in quelle pagine appassionate Giovanni Paolo Il chiedeva una franca revisione critica del «rigido capitalismo [...] sotto l’a spetto dei diritti dell’uomo, intesi nel modo più vasto e connessi con il suo lavoro»’ . Nella Sollicitudo rei socialis, del 1987, sempre 6 usando il linguaggio dei diritti, egli levava il suo sguardo critico al modello di sviluppo capitalistico che condannava interi popoli alla povertà e alla miseria. Ma è stato soprattutto nella Centesimus — Labore’,, exercens, ivi, p. 30. — an,ius, dei 1991, che Giovanni Paolo lI ha compiuto il capolavoro politico di collocare la Chiesa all’avanguardia della contestazione alle ingiustizie dell’attuale ordine sociale ed economico mondiale. Grande protagonista della vittoriosa lotta al comunismo, egli si è concesso il lusso (di fronte a una sinistra internazionale divisa tra quanti si attardano nel seguire i vecchi schemi della lotta di classe e quelli che ancora non hanno compreso le potenzialità eversive della teoria dei diritti, preferendo inseguire la moda del pensiero unico” dominato dalla lex mercaforiii) di citare con favore Marx e le sue critiche all’alienazione umana prodotta dal capitalismo, quasi a volerne ereditare idealmente lo spirito rivoluzionario ed emancipatorio. Nell’enciclica tutto l’arsenale sociale e politico della Santa Sede è stato dispiegato per intero alla luce della pro mozione dei diritti nel mondo: dalle denunce dell’anima totalitaria dell’econornicismo e di un malinteso esercizio della democrazia, al superamento dell’odiato statalismo attraverso il ricorso al princi pio di sussidiarietà e ai diritti dei corpo intermedi. Dove però la costruzione e la strategia di Giovanni Paolo lI hanno mostrato crepe vistose e difficolta insuperabili, anche agli occhi degli stanchi e avviliti epigoni della tradizione laica ormai abituati a subire passivamente la martellante offensiva pontificia. è stato nel campo dei diritti civili degli individui, nella valutazio ne dei comportamenti etici, pubblici e privati. Il fatto è che la 1 comunismo nel 1989 aveva probabilmente trionfale vittoria su polacco e la curia romana che fosse giunto il papa il convinto portare di a segno l’attacco finale e risolutivo alle radici momento illuministica, denunciandone la falsa con modernità stesse della cezione dei diritti e l’idea sbagliata di libertà come «scelta tra due tertnini». Nell’enciclica Evangelium vitae, del 199, la requisitoria contro gli eredi dei Lumi è esplosa durissima e implacabile su questi temi spinosi. In opposizione alla pretesa laica di legittimare il controllo delle nascite, l’aborto, l’eutanasia, sulla base della te oria soggettiva dei diritti dell’uomo, Giovanni Paolo Il ha negato che si potessero attribuire diritti unicamente a individui liberi e capaci di piena autonomia prescindendo da «qualsiasi tradizione , come invece aveva proclamato solennemente Kant 7 ed autorità»’ Evan geliiii?1 102 i’itae, ivi, p. 14 3 103 i in Was isi Aiifklàrung?. Quell’ipotesi non era più un grave errore filosofico e teologico solo perché relegava ai margini il magistero ecclesiastico e negava i diritti di Dio sull’uomo, ma soprattutto perché, trasformando la società in «un insieme di individui posti l’uno accanto all’altro, senza legami reciproci», apriva la strada agli egoismi individuali, al materialismo, all’utilitarismo, all’e donismo, alla violenza; minava la convivenza civile, impediva la tutela dei soggetti strutturalmente deboli come il «nascituro o il morente», creava i presupposti di un nuova e più terribile espe rienza totalitaria: «Se è vero che talvolta la soppressione della vita nascente o terminale si cobra anche di un malinteso senso di al truismo e di umana pietà, non si può negare che una tale cultura di morte nel suo insieme tradisce una concezione della libertà del tutto individualistica che finisce per essere la libertà dei “più forti” contro i deboli destinati a soccombere». Nessuno Stato, nessuna democrazia avrebbe mai potuto legittimare questi crimi ni fondati sull’<oblio di Dio» e delle sue leggi. «La democrazia, ha scritto con autentica ira Giovanni Paolo TI ad onta delle totalitarismo»’ sue regole, cammina sulla strada di un sostanziale 8 quando vota a favore dell’aborto e disubbidisce agli insegnamenti della Chiesa, maestra di etica. Nell’Evangelium t’i/de finalmente, i nodi venivano al pettine. La rivendicazione della poi estas indirecia sulle decisioni in campo etico dei governi democraticamente eletti svelava la deriva teo cratica del nuovo dualismo. Criminalizzare i fautori dell’aborto, delegittimare le leggi democraticamente votate con toni da cro ciata, infatti, metteva in luce il contrasto irriducibile tra Chiesa e Stato su chi debba essere ritenuto l’autorità ultima e sovrana nel campo dei diritti. Già nel 1946 Costantino Mortati aveva lucidamente posto la questione scrivendo che non esiste un codice «di principi di diritto naturale ben determinati cui ci si possa riferire obiettivamente; è necessario affidarne la determinazione ad un : la corte costituzionale. La questione è stata ripro 19 interprete» posta in un dialogo sulla Rivoluzione francese e l’Illuminismo tra Franois Furet e il cardinale jean-Marie Lustiger: il primo ha in — — p. 1455. C. Mortati, i a’iriitz pubblici 3uhwtizr’i in I cattolicia’, moc,aticie la costino 715 .jO/le Cii., VOI, 11, » lvi, sistito sulla funzione dirimente e interpretativa delle democrazie e delle supreme corti costituzionali, mentre il seconda ha ribadito la fondazione in Dio dei diritti, attribuendo la loro legittima inter . 20 pretazione al magistero ecclesiastico Giovanni Paolo Il sembra non avere il minimo dubbio sul fat to che spetti anzitutto alla Chiesa decidere in questo campo. Non a caso, anche la carta dei diritti delluomo dell’Onu è stata frontal mente investita dalla sua inarrestabile vocazione pedagogica con l’accusa di aver privilegiato un impianto teorico di tipo individua listico, dimenticando i diritti oggettivi delle società naturali come . Senza mai accennare ai me 21 la famiglia e, soprattutto, ie nazioni e della cultura laica verso la teoria Lumi dei riti di primogenitura dei diritti, nel volume intervista Varcare la soglia della speranza, del 1994, il «programma illuministico», considerato all’origine di tutti i moderni mali con la sua errata visione antropologica, è stato platealmente accusato dal papa polacco di aver colpito al «cuore 22 con la sua idea di una indistinta re tutta la soteriologia cristiana» sull’ipotesi di un Dio assente dal mondo, centrata ligione naturale, umane. Alla dialettica dei Lumi, così vicende disinteressato delle 2’ Cfr. j.-M. Lustiger, Dico merci, les dc nts de Ibomme ce., pp. 123 e sgg. In realtà il problema della incompatibdità tra la democrazia e la verità religiosa perché di questo si tratta era già stato posto da Hans Kelsen a Jacques Ma ritain negli anni Cinquanta. La questione è stata rivisitata da G. Zagrebelsky, Il non ci «crucijige!» e la democrazia, Torino 1995, e da G. Ruscom, Come se Dio vista di punto dal Ponendosi 2000. Torino democrazia, iO e fosse, I laici i cattolici della necessaria creazione di uno spazio pubblico e di una democrazia procedu rale e discorsiva capace di garantire il plurahsmo dei valori e delle fedi, Rusconi ha giustamente rilanciato la sfida dal sapore illuministico dcl luterano Dietrich Bonhoeffer, che dalla prigione nazista, prima di morire, scriveva con grande co raggio: «Non possiamo essere onesti senza r,conoscere che dobbiamo vivere nel mondo etsr Deus non daretur. Dio stesso ci costringe a questo riconoscimento della nostra situazione. La conquista della maggiore età ci porta dunque al vero riconoscimento della nostra situazione. Dio ci fa sapere che dobbiamo vivere come uomini che se la cavano senza di lui» (p. 137). 21 Cfr. il discorso in tal senso di Giovanni Paolo lI alla cinquantesiina as semblea generale delle Nazioni Unite e il commento di G. Filibeck, Il magistero della Chiesa e la Dichiàrazione dl 1948, in «L’Osservatore Romano», 4 dicembre 12. In generale sui problematici rapporti tra la Chiesa e le Nazioni 1998, Unite cfr. E.J. Gratsch, The Holy Sec and the United ‘sanons 1945-199, New York 1996. 22 Giovanni Paolo 11, Uircare la soglia cii., p. 65. — — . 104 105 I cara aJoseph Ratzinger, alla sua reificazione dell’uomo, egli, come del resto molti altri esponenti nella comunità cattolica, non ha mai esitato a attri uire a responsa ita inte ettua e verso a genesi totalitarismo insomma, chi si attendeva, dopo le pubbliche . del 23 richieste di perdono per le colpe della Chiesa in passato e la sof ferta riabilitazione del povero Galileo, la trionfale canonizzazione in massa dei philosophes, dovrà attendere ancora a lungo: almeno fino al concilio Vaticano III. Negli ultimi anni la letteratura cattolica contro l’Illuminismo è molto cresciuta, dopo le ultime prese di posizione del pontefice in campo etico; cfr., ad esempio, il delirante intervento di padre G. Mucci, La coscienza aniilliiministica dei cattolici, in «Civiltà cattolica», CXLVII, 1996, pp. 17 e sgg. Che dire di fronte a questa sapiente restaurazione dell’antico «to tato» di sarpiana memoria, ammodernata dalla tele’isione e dai satelliti? Quando Giovanni Paolo lI, nella Evanelium vitae, af ferma con cipiglio autoritario che «la libertà rinnega se stessa, si autodistrugge e si dispone all’eliminazione dell’altro quando non riconosce e non rispetta più il suo costitutivo legame con la veri tà», non lascia molto spazio a quanti tra credenti e non credenti vorrebbero «camminare insieme» in vista del bene comune, La sua secca e perentoria alternativa tra il nulla o il medioevo lascia sgomenti. Davvero non esistono alternative ragionevoli tra la con — — versione più o meno forzata al magistero teocratico della Chiesa, «incorrotta maestra di moralità», secondo le orgogliose parole di Leone XIII nell’enciclica Lihertas, dominatrice delle coscienze in un medioevo prossimo venturo, e i post-moderni profeti del co siddetto pensiero debole, di una flebile conversione al nulla? La sconcertante criminalizzaziorie totalitaria del programma emanci patorio illuministico in atto e le manipolazioni storiografiche che mirano a collocare in un cono d’ombra il merito storico dei Lumi nell’aver dato vita alla moderna teoria dei diritti dell’uomo non paiono lasciare scampo ai fautori di quel dialogo libero e sereno auspicato da Giovanni XXIII. E invece quel dialogo va ripreso con coraggio e determinazio ne. Mai come in questo momento credenti e non credenti hanno bisogno gli uni degli altri: di riflettere insieme superando le taci107 proche diffidenze e soprattutto riconoscendo le attuali recipro che debolezze. Se infatti il mondo cosiddetto laico attraversa una drammatica crisi di fiducia nei suoi stessi valori, nell’etica della responsabilità individuale, e i tradimenti dei suoi chierici si susse guono senza soste, il mondo cattolico non sta molto meglio. Non traggano in inganno le luminarie di piazza San Pietro perennemente accese o i raduni oceanici di folle osannanti: la verità sullo stato di salute della Chiesa è assai più oscura di quanto non ap paia. Tra qualche decennio, probabilmente, si prenderà coscienza che il celebratissimo e trionfale papato di Giovanni Paolo TI e quello attuale, così grigio e stanco, hanno soltanto funzionato da tappo: bloccando un drammatico, ma inevitabile processo di reale aggiornamento della Chiesa di fronte alle sfide autentiche della modernità. La lettura politica del nuovo dualismo fatta da Gio vanni Paolo Il e da Benedetto XVI per evitare ogni riforma all’in terno non reggerà a lungo. Il dialogo tra tutti gli uomini di buona volontà dovrà riprendere su basi nuove e di reciproco rispetto. E a tal fine va subito detto che, a parte l’opinione di qualche attardato anticlericale, è ormai maturata la profonda convinzione dello stra ordinario ruolo positivo che la Chiesa conquistata finalmente ai valori della democrazia e alle ragioni dei diritti dell’uomo può svolgere per l’emancipazione dell’intera umanità. Ma questo im portante compito comune tra credenti e non credenti va svolto nella chiarezza d’intenti, nell’assoluta trasparenza delle posizioni di partenza, nel reciproco rispetto della verità storica, intesa come dato necessario e fondativo di un sereno dialogo e di una proficua collaborazione. Da queste considerazioni traggono origine le stes se motivazioni di questo pamphlet, condotto polemicamente con la tecnica, franca, e magari provocatoria, dello smascheramento ideologico di alcune delle mistificanti operazioni storiografiche presenti nei documenti vaticani degli ultimi decenni’. La storia è una disciplina pericolosa, diceva Flaubert nello Sciocchezza/o, e la Chiesa lo ha sempre saputo: pericolosa per la teologia, pericolosa per chi vuole imporre la propria opinione falsificando i fatti. In primo luogo agli storici e agli intellettuali cattolici spetta pertanto un compito difficilissimo, ma allo stesso tempo decisivo: dare basi conoscitive solide e condivise ai futuri dialoghi tra credenti e non credenti. Ciò vale in particolare nello sforzo comune di approdare alla verità storica senza smarrire la propria identità e le proprie convinzioni. E insomma necessario che si prenda definitivamente congedo da una concezione della storia della Chiesa come aedtjcatio corporis C’hristi, disciplina che allo stesso tempo «è teologia e storia» 2 in grado di assorbire inden ne le lacerazioni e le drammatiche contraddizioni che il doppio lealismo di uomo di studio e di uomo di fede comporta da parte dello storico cattolico. Ma può la Chiesa d’oggi affrontare, senza pagare dei costi alla modernità, un coraggioso tentativo di stori cizzare se stessa e andare oltre il dualismo asimmetrico praticato da Giovanni Paolo lI e le volute barocche di un raffinato cultore della dialettica dell’Illuminismo come Benedetto XVI? — — Ma non solo vaticani, si badi bene. Come esempio del persistente astio di matrice post-tridentina e ncoguelfa contro la modernità politica dei diritti dell’uomo, ammantato di suggestioni revisionistiche, cfr. l’ambizioso progetto storiografico delineato da C. Mozzarelli nell’introduzione al volume collettaneo da lui curato Identità italiana e cattolicesimo, Una prospettiva storica, Roma, 2003, pp. 13-36. Il volume è stato realizzato in collaborazione con il Servizio nazionale per il progetto culturale della Conferenza episcopale italiana. 108 2 Cfr. H. Jedin, Chiesa della fede Chiesa della storia, Brescia 1972, p. 7, Interrogandosi sul compito dello storico della Chiesa, nell’assoluta convinzionc che «nella vita della Chiesa agisce qualcosa che è superiore alla storia>,, jedin affermava: «Tutti sono d’accordo nel riconoscere che la storia della Chiesa sia anzitutto e soprattutto teologia, e precisamente teologia storica, avendo come oggetto la Chiesa di Cristo, il cui concetto essa trae dalla dogmatica. In quanto però si propone di seguire lo sviluppo della Chiesa nel tempo e nello spazio, la sua azione come portatrice di verità e di grazia, essa è storia, e come tale opera con il metodo Storico» (p. 19). Molto più problematica sul ncsso tra teologia e storia appare la posizione di altri storici cattolici. Cfr., ad esempio, la prefazione di G. Alberigo, Nuove frontiere della storia della chiesa, al volumetto di H. Jcdin, Introduzione alla stor%i della (Y,iesa, Brescia 1973, pp. 17 e sgg.