Lo strano Illuminismo di Joseph Ratzinger

\ineenzo
Ferrone
Lo strano Illuminismo
di Joseph Ratzinger
Chiesa, modernità e diritti
dell’uomo
Lateiza
Prefazione
1 2013, Gius, Laterza & Figli
Prima edizione febbraio 2013
1
2
34
Ed
5
l(iìI
6
il ,i,is
2012 201
2015 2016 2017
2018
Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
Questo libro è stampato
su carta amica delle foreste
Stampato da
SEDIT Bari (Italy)
per conto della
Gius. Laterza & Figli Spa
ISBN 978-88-581-0441-5
-
vietata la riproduzione, anche
parziale, con qualsiasi mezzo efieituata,
compresa la fotocopia, anche
ad uso interno o didattico.
Per la legge italiana la fowcopia è
lecita solo per uso personale piin-h
,:‘n Jaungg, l.lalsii Quindi ogni
fotocopia che eviti l’acquisto
di un libro è illecita e minaccia
la sopravvivenza di un modo
di trasmettere la conoscenza.
Chi fotocopia un libro, chi mette
a disposizione i mezzi per fotocopiare,
chi comunque favorisce questa pratica
commette un furto e opera
ai danni della cultura.
Appositamente argomen tato come un polemico pamph lei, questo
piccolo libro’ vuole denunciare l’uso disinvolto della storia da parte
delle gerarchie vaticane quando si tratta di fare i conti con la mo
dernità, i diritti dell’uomo e il cosiddetto post-moderno. Un uso,
condotto a fini strategici e di grande ambizione politico-culturale
sul futuro della Chiesa, che, in taluni casi, sconfina sempre più
nell’abuso mistificatorio. Tutto ciò in un momento politico crucia
le per l’umanità: un momento in cui la storia, a fronte della crisi di
scienze umane e sociali come l’economia e la sociologia, sta tornan
do finalmente a essere una risorsa importante per la conoscenza
della realtà, per il dibattito pubblico e i suoi processi di formazione.
Com’è noto, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la
Una prima versione del testo, qui aggiornata e c-ortetta, è stata presentata
e discussa, anche con toni talvolta aspri e polemici, il 6 febbraio 2004 in un
apposito seminario organizzato dalla Fondazione Michele Pellegrino presso l’u
niversità di Torino. Vi parteciparono molti studiosi, personalmente o con l’invio
di commenti, tra cui Paolo Prodi, Antonio Padoa-Schioppa, Luciano Guer
ci, Silvio Ferrari, Giovanni Miccoli, Giovanni Conso, Oteste Aime, Giorgio
Bouchard, Corrado VivanO, Errnis Segatti, Massimo Firpo, Antonio RotondI>,
Gustavo Zagrebelsky, Roberto Repole, Claudio Ciancio, Leopoldo [la, Franco
Bolgiani, Edoardo Tortarolo, Daniele Menozzi, Antonio Trampus, Mario Do
gliam, Pietro Scoppola, Francesco Tranidilo e altri ancora. Gli atti complessivi
del seminario, con i commenti dei partecipanti, furono poi raccolti dalla Fon
dazione Michele Pellegrino nel volume chiesa cattolica e modero it2 a cura di F.
Bolgiani, V. Ferrone e E Margiotta Broglio, Bologna 2004.
,
v
vexata quaestio del post-moderno che era stata precedentemen
te dibattuta nel Nord America soprattutto in campo artistico e
letterario è divenuta oggetto specifico di riflessione filosofica e
storica in ogni angolo d’Europa. Tutto ha avuto inizio in Francia
nel 1979, con La condition posimoderne di jean-Franois Lyotard.
In quelle pagine si teorizzava l’avvento di una svolta epocale dei
saperi nelle società più sviluppate: la crisi e il superamento defi
nitivo della «narrazione dei Lumi», delle filosofie emancipatorie
dominate dall’idea di progresso di matrice positivistica, idealistica
e marxista, con la conseguente liquidazione delle antiche forme di
.
2
legittimazione dei vincoli sociali
Il contributo italiano più significativo al dibattito apparve
nel 1985, con la pubblicazione del volume di Gianni Vattimo
La /ne della modernitd, L’obiettjvo dichiarato era quello di ar
ruolare Nietzsche e Heidegger tra i profeti del nuovo culto post
moderno: il già formidabile arsenale a disposizione era arricchito
di riferimenti al definitivo superamento dell’Io e alla denuncia
degli effetti perversi della scienza e della tecnica nei processi di
disumanizzazione e nelle moderne logiche di dominio. Da teorico
del “pensiero debole”, Vattimo invitava a ripensare la verità come
esperienza sociale, estetica e retorica e non più razionale e scien
tifica. Questo, soprattutto, significava fare finalmente i conti con
la «fine della storia».
11 segno autentico della nuova età post-moderna stava proprio
li. nella definitiva presa di coscienza che la storia, intesa come pro
cesso unitario, progressivo, capace di legittimare una possibile e
concreta lettura del mondo, era definitivamente evaporata. Espli
cito era in tal senso il richiamo di Vattimo ad Arnold Gehlen che,
nei suoi lavori sulla posi-bistoire, rivendicava il superamento della
nozione di storicità alla base di tutta la costruzione della moderni
. Quel secolare modo di concepire la realtà pareva infatti come
3
tà
—
—
2
CIr. 1.-E Lvotard, La condizione posi moderna, Milano 1981.
Cfr. G. Vattuno. La fine della modcrnttd. Nichilismo ed ermeneinca
scomparso d’incanto di fronte alla sostanziale stasi delle nuove
società virtuali, in cui dominavano le comunicazioni di massa e la
potenza delle tecnologie.
E tuttavia il paese in cui con maggiore serietà, profondità e pas
sione civile furono dibattute le ragioni e le conseguenze del post
moderno fu certamente la Germania. Ne furono protagonisti teo
logi, artisti, letterati come Gùnter Grass autore, nel 1984, di una
serie di conferenze sul tema in cui erano acriticamente rilanciate
le tesi della Dialettica dell’Illuminismo di Adorno e Horkheimner;
il titolo era quanto mai significativo: Miserie rlell’llluminismo.
Jùrgen Habermas fu innegabilmente tra quanti s’impegnarono di
più in quello spinoso e difficile confronto che avrebbe potuto
rimettere in discussione il modo stesso in cui la Germania stava
facendo i conti con il suo passato. Lo fece a partire dal 1980, am
mettendo con sincera inquietudine che «da allora questo tema,
assai discusso e ricco di sfaccettature, non mi ha più dato pace»’.
E in effetti la posta in gioco era quanto mai alta e avrebbe condi
zionato a lungo tutta l’opinione pubblica internazionale.
Sostenitore della tesi della modernità come «progetto incom
piuto» e semmai da completare esplorando ulteriormente limiti
e potenzialità della ragione e dell’agire comunicativo, Habermas
tentò vanamente di limitare gli effetti corrosivi prodotti dal libro
celeberrimo di Adorno e Horkheimer, i quali mescolando arbi
trariamente storia e filosofia avevano segnalato una fragorosa e
insospettabile paternità illuministica nella nascita dei totalitarismi
e nelle terribili tragedie del Novecento; lo fece ricostruendo au
tore dopo autore tutto il discorso filosofico della modernità, met
tendo in guardia da coloro che nascondevano la «complicità con
una veneranda tradizione del contro-illuminismo, spacciandola
per post-illuminismo»
. Un compito di denuncia, questo, oltre6
modo difficile, arduo da comunicare alle orecchie sorde di molti
—
—
—
Cfr. G. Grass, Der Traini, der Vernonfi. lede zur Eròjjioi,g 2cr E’ra,ista/
rwigsreihe «1ìim Elend der Aufklirting> in dir .4kade,me der Kùnste Berlin, in
Essas o,zd Reden 1980-2007, Gòtunger Ausgabe, Gòttingen 2007, voI. 12, pp.
nella
cii!flai poitmoderna, Milano 1985 Sulla polemica in Italia cfr. CA. Viano, Va’pen
si’,v: il cani//ere de/la /;iosofia italiima contemporanea, Tormo 1985; e soprattutto le
acute considerazioni di P. Rossi, Paragone degli ingegili moderni epostmoderni. Bo
logna 1989, in particolare laddove sinteticamente, ma con efficacia, afferma che «il
pensiero debole è in realtà solo una sottospecie dellantiillummismo forte» (p. 23).
Ivi, p. 5. Su questi temi efr. 5. Petrucciani, Lilluminismo autocritico” di
Jùrgen Habermas, in «Hermencutica», 2010, pp. 47-66.
VI
VII
120-125.
6
J. Habernias, Il discorso frmoso/ico della moclerni/cì, Roma-Bari 20032. p. VII.
laici e progressisti che non avevano mai amato l’Illuminismo, e
certamente del tutto vano nei caso del mondo cattolico.
Il clamoroso successo mediatico di quelle pagine e più in gene
rale della querelle sul post-moderno che anche ad esse ma non
solo ad esse si ispiravano è infatti stato colto dal mondo catto
lico come un via libera a un’insperata opera di aggiornamento di
antiche, rabbiose polemiche contro i Lumi, rimesse a nuovo con
il ricorso continuo e ossessivo alle raffinate argomentazioni post
moderniste e alle pagine più controverse e discutibili di Adorno e
di Horkheimer. Non c’è ormai un soio parroco di campagna me
diamente colto o uno studente universitario cattolico, per quanto
sprovveduto, che non sappia far tesoro di apologia delle tesi della
scuola di Francoforte, attingendo ai francofortesi per inchiodare
il povero Voltaire per non parlare di Rousseau alle sue respon
sabilità nella Shoah e nei totalitarismi più sanguinari.
Ma il frutto più succoso e seducente in questa direzione, per via
della sua sottile ed elegante struttura intellettuale, era maturato sin
dal 1980 con un puntuale intervento dell’allora cardinale Joseph
Ratzinger. Si trattava niente meno che di una proposta di teologiz
zazione dell’illuminismo il cui fine era di impedirne la fatale dege
nerazione totalitaria. Sulla base di una franca ed entusiastica con
divisione delle analisi di Adorno e Horkheirner circa l’inevitabile
tralignamento totalitario della ragione illuministica allorché essa si
trasforma in autonoma ragione «positiva del pensiero funzionale»,
l’attuale pontefice candidava la Chiesa del nuovo millennio post
moderno, forte del suo rinnovamento teologico, a trovare un’medita missione sah’ifica sospendendo «nella dialettica dell’Illuminidell’Illuminismo» salvandone la prima fase
,
sino [...j le condizioni 7
dialettica, quella emancipatoria settecentesca, e condannandone
le derive posteriori, in tal modo la Chiesa non solo si proclamava
di fatto erede legittima di quella prima fase, ma si attribuiva il
compito di evitare il dialettico capovolgimento del progresso della
ragione in quel terrifico futuro post-moderno già annunciato dal
totalitarismo del secolo scorso e che appariva inevitabile qualora
si fosse continuato a voler escludere Dio dalla storia.
—
—
—
—
Cfr. il saggio Teologia e politica della Chiesa in j. Ratzinger, Chiesa, ecume
nismo e politii-a. Nuovi saggi di ecclesiologia, Milano 1987, p. 154.
VIII
È in questo contesto teorico, innegabilmente suggestivo, che
ha preso corpo l’inattesa campagna filosofica e storiografica volta
a cristianizzare l’ingombrante Illuminismo dei diritti dell’uomo:
quello della sacrosanta battaglia per la libertà religiosa, la tolleranza
e la neutralità dello Stato, tanto odiato e combattuto invece in
passato da generazioni di papi, vescovi e frati come un’evidente
opera del demonio.
Dimenticando con disinvoltura il rilievo che ebbero per l’Illu
minismo la tradizione classica, le grandi opere pagane della lette
ratura greca e latina, la scoperta del Nuovo Mondo, la Rivoluzione
scientifica, Ratzinger non ha mai mostrato alcuna esitazione nel
rivendicare l’esistenza di improbabili radici cristiane dei Lumi,
tacendo di questi ultimi l’autentica dimensione di autonomia e di
forte discontinuità, che storicamente ne fece una vera e propria
rivoluzione culturale rispetto all’identità moderna dell’Europa:
«L’Illuminismo è di origine cristiana così sintetizza una peren
toria affermazione del 2005 ed è nato non a caso proprio ed
esclusivamente nell’ambito della fede cristiana».
Persino il cardinale Camillo Ruinì, che pure la storia, quella
vera, la conosce assai bene, ha dovuto seguire l’impegnativa linea
teologico-politica imposta dal nuovo pontefice, annunziando gatt
i/io magno una paradossale santificazione di Voltaire: «E pertanto
merito dell’Illuminismo aver riproposto, per lo più in polemica
con la Chiesa, quei valori di razionalità e libertà che trovano ali
. Come stupirsi allora del crescente
9
mento nella fede cristiana»
sviluppo e del successo di una storiografia internazionale so
prattutto americana, più recentemente, ma già prima tedesca,
—
—
—
i Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture, in «11 Regno-documenti»,
9,2005, p. 218,
Prtfiizione di Ruini a J. Rarzmger l3enedetto XVI, Fede, ragione, verità e
amore, La teologia diJoseph Ratzmgcr. Un’antologia, a cura di U. Casale. Torino
2009, p. 6. tI curatore dell’unponente e meritevole antologia, don Casale, non
esita nel risvolto di copertina ad aflermarc che «Ratsingcr ha proposto un illu
minismo sinonimo di intelligenza e di ricerca della verità, espressione dell’uomo
che, grazie alla conoscenza della verità di cui è capace, acquisisce sia la propria
dignità “trascendente”, sia il proprio potere critico e demistificatore, entrambi
sinonimi di libertà».
19
Cfr,, ad esempio, D. Sorkin. The Religious Enlightennient. Protestants,
Jews, and Catholics from London io Vienna, Princcton 2008. Sull’Illuminismo
cattolico v. anche il recente A Lompanion to the Catholic Enlighten meni in
Ix
Europe, a cura di UI. Lehner e M. Printy, Leiden-Boston 2010. Com’è noto,
nella Germania cattolica l’Illuminismo è stato rivalutato solo nei primi decenni
del Novecento ad opera dello storico della Chiesa Sebastian Merkle, nel sag
gio Pie katholirche Beurteilung der Aufklàrungszettalters, del 1911, ora in Id.,
Ausgewabite Reden undAufsàtzo, Wùrzburg 1965.
Ctr. ad esempio l’enciclica Spe salvi, dove forte è l’influenza delle idee
di Guardini e ricorrenti sono i suoi espliciti riferimenti a Bacone, ad Adorno
e all’lllumuiismo. Sempre all’Illuminismo e ai diritti dell’uomo sono dedicate
pagine significative che denunciano inopinatarnente il «concetto anarchico di
libertà» del povero Rousseau, accusato di aver portato la Rivoluzione francese
a diventare «incuitabilmente una dittatura sanguinaria», stigmatizzando le sue
gravi responsabilità nell’aver trasformato attraverso la «radicalizzazione della
tendenza individualistica dell’illuminismo» l’aborto in un diritto di libertà
delle donne (cfr. J. Ratzmger, Libertà e verità, in Id., Fede, ragione cit., pp. 537
e sgg). Inutile dire che ogni riferimento alla verità storica è puramente casuale.
Rousseau, oltre a essere un fervente credente, era pure contrario all’aborto.
Sempre sulla «dialettica dell’età moderna» di Adorno, costantemente citata con
favore neanche fosse il vangelo, cfr. ivi, La sacralità della vita umana, pp. 551 e
sgg. Più in generale su questi temi, e in particolare sul continuo ricorso alle tesi
di Adorno e Horkheimer e alla riflessione di H. Staudinger, 6’I.’r,stentum und
Aufklàrung, m «Forum Kathohsche Theologie», 6, 1990, pp. 192-206, cfr, J.
Ratzinger, Svolta per l’Europa2 Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti,
Cinisello Balsamo 1992, pp. 140 e sgg.
2
Mi permetto di rinviare al capitolo Postmoderni e anti-illumznigti: dal
confronto tra Cassirer e Heidegger alla kathohsche Aufklàrung di Benedetto XVJ,
in V. Ferrone, Lezioni illuministiche, Roma-Bari 2010, pp. 53 e sgg.
bensì qualcosa di molto serio e preoccupante, un vero e proprio
progetto politico e culturale di restaurazione di un’idea egemonica
della cristianità. Un progetto finemente argoinentato, dotato di ra
dici forti e profonde, guidato dalla necessità di proiettare la Chie
sa nel nuovo millennio con una rinnovata funzione storica nello
spazio pubblico. Esso è stato alimentato dalle considerazioni della
Nouvelle théologie in merito a quella che era una improcrastinabile
“svolta antropologica” dopo gli orrori e gli errori del totalitarismo;
a orientarlo, le amare riflessioni di settori del cristianesimo libera
le circa le insufficienze della Chiesa nei confronti dell’Olocausto,
come pure le opere pionieristiche e profetiche del teologo Roma
no Guardini, assai presenti nei dibattiti del Vaticano IL Sin dal
1951 (quindi molto prima che si mettessero all’opera le chiassose e
fumose falangi filosofiche post-moderne con cui siamo costretti a
discorrere) Guardini aveva pubblicato a Wùrzburg un volume dal
titolo quanto mai significativo, La fine delf’epoca moderna, denso di
toni apocalittici e di argomentazioni simili a quelle dei francofortesi
e di quanti, tra i seguaci di Heidegger, scorgevano la corrusca alba
di una nuova angosciosa epoca ancora peraltro tutta da definire,
Guardini fu tra i pochi a indicare chiaramente, dopo la tragedia
dell’Olocausto, il presunto fallimento della modernità illuministi
ca che aveva preteso di emancipare l’uomo attraverso l’uomo, ave
va escluso il dito di Dio dalla storia e aveva finito così col liberare
il campo al nazismo, alimentando la volontà di potenza disumana
e tecnocratica dell’uomo del Novecento. Di fronte alla prospettiva
nichilistica e post-moderna incombente, egli vide lucidamente il
vuoto immenso che si stava aprendo, e con esso la possibilità e
soprattutto la necessità di un pronto rientro in scena della Chiesa,
armata di una consapevole e nuova cultura storica e antropologica,
impegnata nello spazio pubblico a difesa della persona e forte della
rivendicazione dei propri diritti nel campo della politica e della
bioetica. Insomma, non stupisce affatto che le questioni poste dai
protagonisti del dibattito sul post-moderno abbiano trovato facil
mente orecchie sensibilissime da parte delle gerarchie vaticane,
e in particolare da un fedele allievo di Guardini come Ratzinger,
rivelatosi da subito particolarmente abile nel capovolgere, ad ma
iorem Dei glorzam, molti dei temi allora dibattuti,
E tuttavia, nell’immediato secondo dopoguerra, il problema
non era certo il dibattito sul post-rnoderno ancora di là da venire,
x
XI
francese e italiana decisa ad esplorare e a imporre lo studio della
katholische Aufklà’rung nelle università del mondo intero?
E forse inutile sottolineare quanto questo archetipo astratta
mente filosofico, degno della migliore tradizione della teologia
politica agostiniana impastata sapientemente con la teoria hege
liana del “superamento” che ricorre in molti degli interventi
successivi del teologo Ratzinger sino ai giorni nostri, dando forza
e sostanza teorica anche a importanti documenti ufficiali della
Chiesail stia creando non pochi problemi nella ricerca della
verità storica, costretta quasi sempre a piegarsi alle forti torsioni
teologiche indicate dalle gerarchie.
Nel saggio che segue come pure altrove, forse con maggiore
2 abbiamo cercato di spiegare che quell’inattesa
agio di analisi’
teologizzazione dei Lumi e più in generale lo sforzo di cristianizzare
in qualche modo la modernità non sono stati affatto una brillante
trovata da liquidare con un sorriso, come è stato fatto sino ad oggi,
—
—
—,
—
—
—
—
—
ma seminai il bisogno di chiudere una volta per tutte, dopo la
costante e furibonda dernonizzazione del passato, la pratica fasti
diosa della modernità, senza eccessive perdite, e con qualche cre
dibilirà in vista del rilancio cruciale della rinnovata funzione della
Chiesa nello spazio pubblico: e in particolare di quella modernità
dei diritti dell’uomo, della nuova scienza del Galileo processato
e condannato dalla Santa Inquisizione, della democrazia, della
libertà religiosa e del superamento dello Stato confessionale che
era la modernità politica. E innanzitutto a questo tema specifico
che è dedicato questo volume. La storia della Chiesa e del suo
rapporto strumentale e incestuoso con il post-moderno, ancora
tutta da scrivere, la lasciamo volentieri ad altri’
.
3
Per molto tempo si è pensato che il Vaticano lI potesse fi
nalmente aver avviato con il mondo moderno una nuova fase di
sereno dialogo e di reciproco ascolto: «Una vera conciliazione
tra Chiesa e modernità»’
, per riprendere le parole ireniche di
4
Ratzinger. In realtà solo ora si è cominciato a capire che quelle
Sul tema non sono comunque mancati interventi, ma quasi sempre sfuocati
e reticenu, come il recente libro di G. Mannion, Chiesa e postmoderno. Doman
de per leccleiiolo,gia del noitro tenipo, Bologna 2009. Con toni di rimprovero.
l’autore non solo noi, vede traccia di un disegno della Chiesa cattolica rispetto
alle urgenti questioni del post-moderno, ma anzi sollecita la Chiesa a prendere
finalmente posizione. Esattamente la tesi opposta alla nostra, che mira invece
a denunciare l’evidente e consapevole strumentalizzazione, da parte di settori
specilici delle gerarchie vaticane, proprio dell’arsenale post-moderno a fini re
staurativi. Sempre su questi temi cfr. anche M. junker-Kenny, Chiesa, modernzt2
epostmoderiio, in «Concilium», XXXV, 1999, pp. 145-154; C. Dotolo, La rela
zione tra teologia e posi modern ud: problemi e prospettive, www,carmelodotolo.
eu/relazione teologia postmoderno.pdf. Da notare che già nel 1996 Patrick
Evrard e Pierre Gisel, nella loro Présentation a La tbéologie ei postmodernzté
(Actes du 3’ cycle de théologie systématique des Facultés de theologie de Suisse
romande, Gcnève, Labor et Fides, 7.10, 9), scrivono di quattro “filoni” della
teologia post-modcrna, di cui quello «restaurateur» sarebbe rappresentato da
Peter Koslowski e Robert Spaemann, al quale si riallaceerebbe l’allora cardinale
Ratiinger «faisant foimd sur la “fin dcs teinps modernes” annoncée par Romano
Guardmni», Da segnalare anche F.-X. Kaufmann, La Chiesa cattolica e le sfide
della poitmoderniid, in Il fenomeno religioso oggi. 7iadizione, mutamento, nega
zione, Città dcl Vaticano 2002, pp. 39-5 1, dove sostiene che l’ostilità di Ratzin
ger verso l’interpretazione della storia umana come evoluzione naturale è una
battaglia di retroguardia, dal momento che la post-modernità ha decretato la
fiime delle ideologie totalizzanti, siano quelle razionalistiche o quelle fideistiehe.
°
Cfr. j. Ratzinger, EEuropa nella crisi delle culture cit., p. 218.
Xli
speranze erano probabilmente mal riposte e che ben altro stava
inaspettatamente prendendo corpo: e cioè un vero e proprio con
gedo definitivo, consacrato e teologicamente sancito, dalla mo
dernità, da parte di quel settore più conservatore dei vertici della
Chiesa risultato vincitore nello scontro tra ie differenti possibili
interpretazioni del concilio, dopo la morte di Paolo VI. Un conge
do all’insegna dell’appropriazione e dell’abuso più sfrontato: una
vera e propria cristianizzazione integrale della modernità quella
positiva dei diritti dell’uomo e delle lotte emancipatorie e per la
democrazia, opportunamente separata da quella negativa, senza
Dio, che avrebbe favorito i totalitarismi che ha finito con il tro
vare, più o meno consapevolmente, una sponda preziosa in quello
che, nelle pagine che seguono, abbiamo sinteticamente definito il
nuovo paradigma storiografico conciliare elaborato da autorevoli
storici che si rifanno ai valori e alla cultura del cristianesimo.
Va da sé che quando si parla di storiografia, di ricerche condotte
nel rigoroso rispetto delle regole del gioco, e non di certi prodotti
avariati di un filone neotradizionalista e clericale che qui abbiamo
volutamente escluso da ogni valutazione, tutti i punti di vista sono
legittimi. Spetta infatti alla comunità scientifica valutare la bontà
delle prove presentate e le argomentazioni addotte da chi pensa
che la tanto bistrattata modernità occidentale sia frutto naturale
del cristianesimo. Si può discutere e lo abbiamo fatto in questo
pamphlet anche con forte spirito polemico se le tesi prospettate
siano valide: se davvero è possibile ricostruire la storia della libertà
in Occidente mettendo in primo piano, quasi fosse un program
ma teologicarnente pensato e storicamente realizzato, il cosiddetto
dualismo dei poteri (tanto caro già alla storiografia germanica all’i
nizio del Novecento e oggi rilanciato con nuova enfasi da quella ita
liana), prospettato per la prima volta nella storia dal cristianesimo
con la pericope evangelica che attribuisce a Gesù Cristo le celebri
parole: «Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio
quello che è di Dio» (Matteo, 22,21). Se davvero è accettabile che
si rivendichi alla cultura cristiana 1
a genesi del moderno linguaggio
dei diritti dell’uomo, del costituzionalismo, dell’idea di libertà, di
democrazia, della stessa scienza moderna, dimenticando che per
secoli ebbero grande successo nel cuore e nella mente degli intel
lettuali cattolici europei le celebri parole di un grande reazionario
come Louis de Bonald: «La rivoluzione è cominciata con la procla
—
—
—
—
XIII
mazione dei diritti dell’uomo e finirà soltanto con la proclamazione
dei diritti di Dio» (Législation primitive, Paris 1802, p. 184).
Ciò che invece non è accettabile è l’abuso di quelle tesi, ancora
tutte da verificare e comunque assai discutibii, da parte dei vertici
della Santa Sede nella sfera pubblica e in particolare nel delicato
confronto tra religioni e civiltà differenti. L’attuale pontefice ad
esempio senza dubbio la vera testa pensante del gruppo che ha
costruito in questi decenni, pezzo dopo pezzo, l’interpretazione re
stauratrice, e per il momento vincente, del Vaticano 1115 non ha
mai esitato a contrapporre nei suoi discorsi l’Occidente dualista, in
cui grazie al cristianesimo la politica è stata teologicamente separata
dalla religione’>, al ferreo monismo dell’Islam incarnato nel calif
fato; sino ad accusare recentemente quella religione di non avere
solide basi razionali nel suo codice geneticoS: forse perché nella sua
secolare storia non ha mai conosciuto la katholische Aufklà’rung!
Un altro esempio significativo di abuso della storia nello spazio
pubblico lo si può riscontrare anche nella questione dell’inseri
mento di un preciso riferimento alla religione cristiana nel pre
ambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
proclamata a Nizza nel 2000. A ben vedere, quella pretesa, avan
zata con forza dal Vaticano, non aveva molto senso né dal punto di
vista storico né da quello giuridico. Eppure ha suscitato un grande
clamore e alimentato non poche confusioni.
Nessuno si è mai sognato di negare il rilievo e l’importanza
positiva e negativa a seconda delle epoche, dei punti di vista e
delle questioni in gioco del cristianesimo nell’identità moltepli
ce dell’Europa: anche il vecchio Diderot, che certo non amava i
—
—
preti, non aveva avuto mai esitazioni al riguardo, ammettendo
l’esistenza nel tempo di un’Europe sauvage», cui era subentra
ta un’<Europe payenne>, poi un’<Europe chrétienne» e infine
quella dei Lumi, l’<Europe raisonnable>. E tuttavia, rispetto al
sacrosanto riconoscimento del ruolo del cristianesimo nell’iden
tità europea, ben altra cosa era quel furibondo rivendicare un
ruolo esplicito della Chiesa nella carta dei diritti, e quindi nella
lotta per la libertà, la democrazia, la tolleranza: mistificando il
passato, trasformando ad arte l’Inquisizione e il concilio di Trento
in fulgidi esempi di modernità al servizio di efficaci pratiche di
disciplinamento sociale investite di valore razionale e progressivo.
Il fatto è che la Chiesa ha sempre avuto problemi con la sto
ria, definita da Vico, nel De constantia mrisprudentis, come la
testimone del tempo l<Historia autem est temporum testis»), e in
particolare con la verità storica. Non a caso per secoli si è opposta
alla nascita di cattedre di storia della Chiesa e del cristianesimo al
di fuori dei collegi ecclesiastici, quasi avesse qualcosa da nascon
dere. Anche in questo caso bisognerà infatti attendere il XVIII
secolo per vedere nascere i primi insegnamenti universitari in que
sto campo. Da quel momento in poi la guerra tra storici e teologi,
avviata all’indomani degli esiti clamorosi della moderna critica fi
lologica nel campo dell’esegesi biblica e dell’epocale separazione
voluta dagli illuministi tra storia sacra e storia profana, non ha più
avuto fine. Oggi i teologi paiono in vantaggio’
. Essi conoscono
8
—
—
>
La pretesa di” verità” degli storici e la sua pericolosità per l’ortodossia è
particolarmente presente nella riflessione di Ratzinger dcl natale 2005, che ne
ha fatto un punto cruciale della sua reinterpretazione del Vaticano Il nel suo
complesso rapportarsi alla modernità. Cir. l’importante Discorso di Sua Sa,itità
Be,,edeno XVI a/la Curia Romana in j. Ratzinger. Fede, ragione cii., pp. 675 e
sgg. «Innanzitutto occorreva definire scrive Raizinger in modo nuovo la
relazione tra fede e scienze moderne; ciò riguardava, del resto, non soltanto le
scienze naturali, ma anche la scienza storica perché, in una certa scuola, il me
todo storico-critico reclamava per sé l’ultima parola nell’interpretazione della
Bibbia e, pretendendo la piena esclus,v,tà per la sua comprensione delle sacre
Sul ruolo centrale di Ratzinger cfr. G. Miccol,, La Chiesa de/l’anticoncilio.
I tracliziona/isti a/la ricomjznsta di Roma, Roma-Bari 2011.
Contro la sostenibilità storica di questa tesi e a favore di una corretta
interpretazione subordinazionista della pericope evangelica «rendete dunque a
.:csare...» ctr. V Ferrone, La “sana laicità” della Chiesa bel la rminiana di Benedet.
fo Xl’! tra potestas indirccta” e parresza”, in «Passato e Presente», XXVI, 2008,
P1’ 21-40. Più in generale su questi temi cfr. il fascicolo di «Contemporanea», X,
2007, dedicato al tenia La laicità tra storia e tempo presente, a cura di F. Traniello
e F. De Giorgi.
Cfr. il Discorso del Santo Padre in occasione dell’incontro con i rappre
se,,! anti dc/la Scienza durante il viaggio apostolico a Munche,i, Altòtting e Re
genshurg, in J. Ratzinger, Fede, ragione cit., pp. 685 e sgg.
Chiesa aveva elaborato». Più in generale, contro i fautori dell’<erineneutica del
la discontinuità» era suhìto chiarito che «Il Concilio Vaticano Il con la nuova
definizione del rapporto tra la fede e certi elementi essenziali del pensiero mo
derno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa ap
parente discontinuità ha invece mantenuto e approfondito la sua mtima natura
xlv
xv
—
—
Scritture, si opponeva in punti importanti all’interpretazione che la fede della
la seconda delle Considerazioni inattuali di Nietzsche, .S’ullutilitcì
e il danno della storia per la vita, e sanno bene quanto la storia
sia importante per l’esistenza e per l’agire politico: conoscono i
pericoli di un passato che non vuoi passare e che sempre impone
al presente l’onere della verità e si comportano di conseguenza.
Sta semmai agli storici reagire.
Con spirito profetico e onestà che gli va riconosciuta, Gio
vanni Paolo TI mostrò di avere consapevolezza dell’urgenza della
qLlestione per la credibilità stessa del futuro ruolo della Chiesa
nello spazio pubblico. Lo fece pubblicando in occasione del Giu
bileo del 2000 un’importante lettera apostolica, irtio millennio
adueniente, sulla «purificazione della memoria», in cui invitava i
cattolici a compiere finalmente, in vista del nuovo millennio, «un
atto di coraggio e di umiltà nel riconoscere le mancanze compiute
da quanti hanno portato e portano il nome di cristiani». Non ebbe
alcuna risposta significativa. I laici non lo presero neppure sul se
rio. Dai sacri palazzi si è preferito invece glissare, ignorare l’invito,
arroccandosi e continuando ad abusare della storia. Certo Galileo
è stato recentemente riabilitato e financo santificato, senza però
mai interrogarsi sul fatto che quel processo seppure in forme
differenti —potrebbe ancora ripetersi in futuro se le questioni pro
fonde che esso ha sempre celato non verranno coraggiosamente
affrontate°.
Tra mille cautele e forti reticenze, pochi coraggiosi hanno co
minciato ad esplorare le responsabilità del Vaticano nei confronti
dell’Olocausto E tuttavia da parte delle gerar
.
dei totalitarismi e 20
chie forti sono rimasti la tendenza e il vezzo di attribuire alla mo
—
vera idrntito’. Sulla «sovrana noncuranza della storia che costituisce
un aspetto caratteristico del magistero di Benedetto XVI» cfr. G. ?‘1iecoll, La
( biesa dcli annconczlio cit., pp. 336 e sgg.
(fr. gli atti dei convegni tenutisi a Tormo e a Firenze, rispettivamente nei
marzo e nel maggio 2009: Il processo a Galileo Galilei e la questione gallleiana,
a cura di (,M. Bravo e V Ferrone, Roma 2011); il caso Galileo. Una rilettura
stormi, filosofica, teologica, a cura di M. Bueciantini, M. Camerota e F. Giudice,
Firenze 21)11.
Per un primo quadro generale dello stato della ricerca a livello interna
zionile cIr. gli interventi di G. Miccoh, G. Verueei, L. Mangoni, W. Schieder
e L. Klinkhammer in La cbiera cattolica e il totalitarisino. Atti del Convegno
presso la Fondazione L. Firpo. Tornio, 2 -26 ottobre 2001, a cura di V Ferrone,
Firenze 21104.
e
ia sua
XV)
dernità ifiurninistica dei “senza Dio” ogni autentica responsabilità
degli orrori del Novecento. Salvo poi proclamarsi in
ogni occasione eredi di quel mondo di valori, padri naturali della
libertà, della democrazia e dei diritti dell’uomo, continuando pe
rò imperterriti a non voler applicare questi ultimi all’interno della
Chiesa. Basti pensare al triste epilogo della tormentata vicenda dei
teologi della Liberazione in America Latina, duramente repressi
da Giovanni Paolo TI e dall’allora prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger.
Forse bisognerà davvero attendere un nuovo papa. meno teolo
go, meno competente nella raffinata “dialettica dell’Illuminismo”,
per sperare di veder finalmente rispettato per intero lo spazio
valoriale dei non credentP, la loro autonomia morale, il bisogno
esistenziale, 11 significato profondamente umano e quindi sacro
della verità storica, indispensabile anche, e soprattutto, per quei
cattolici riformatori di una Chiesa «nunquam reformata, semper
reformanda». Una Verità senza la quale è impossibile auspicare
per il futuro quella tolleranza e quella libertà di pensiero necessa
rie per “camminare insieme”, credenti e non credenti, cristiani ed
eredi dei valori emancipatori dell’Illuminismo, secondo l’auspicio
di un grande storico e intellettuale cattolico, vescovo di Torino,
mai troppo rimpianto, come il cardinale Michele Pellegrino.
Questo saggio è dedicato a due amici carissimi, Paolo Rossi e
Massimo Firpo. Dal primo, recentemente scomparso, ho appreso
la necessità di una storiografia militante in difesa della verità; dal
secondo quanto sia difficile, ma anche affascinante, il mestiere
nei confronti
dello storico.
Bonzo, Alpi Graie. dicembre 2012
2
A tal proposito cfr, V. Ferrone, La laicitd, spazio di valori. interrogativi
d’un laico sulle tesi del card. K. Lehmann, in «11 Regno», L, n. 967,2003, pp. 282
e sgg.; E. Bianchi, Per un’etica condivisa, Torino 2009.
6.
Magistero autoritario o dialogo?
Nelle pagine della Gaudruin ci spe venivano a precipitazione de
cenni di dibattiti sull’identità, la funzione, i ritardi e le responsabi
4
lità della Chiesa rispetto al mondo e all’uomo; dibattiti resi ancora
più acuti e drammatici nel corso del Novecento dopo ia crisi del
modernismo, la restaurazione organizzata dal partito romano su
salde basi tomistiche e a partire da un’accentuazione assolutistica
del diritto canonico nel periodo fascista, dal forte travaglio su
scitato dalle esperienze dei totalitarismi e dell’Olocausto. Tra le
righe di quel testo affiorava ovunque la voce di quanti, vanamente
repressi, avevano dato vita alla cosiddetta «nouvelle théologie», al
rinnovamento di tutto il pensiero cristiano attraverso la riscoperta
di una cristologia rinnovata, con al centro Cristo adulto, vero Dio
ma anche vero uomo, e una nuova ecclesiologia che superasse
finalmente la concezione autoritaria della Chiesa come corpo mi
stico di Cristo in direzione di una teologia del laicato, dell’ecume
nismo, del rilancio della funzione episcopale, della stessa formula
felice (di matrice agostiniana, coniata nel 1937 dal benedettino
Anschaire Vonier) di una Chiesa come «popoio di Dio», peregri
nante nella storia. Contro l’irrigidimento antimodernista della cu
ria romana, decisa a resistere a ogni novità dietro il solido bastione
della metafisica neotomista e di una teologia dogmatica collocata
al di fuori di ogni tempo e di ogni spazio, la pubblicazione di ope
re importanti scritte da personaggi come von Balthasar, de Lubac,
Rahner, Chenu, Maritaii, Marrou, Congar e tanti altri aveva susci
tato dibattiti sempre più difficili da sopire e da controllare. Ben
ché quegli studiosi fossero così diversi tra di loro, un filo rosso le
gava in qualche modo idealmente le loro ricerche: la rivalutazione
della storia, ad esempio, e, parallelamente, dell’esistenza umana
come luogo teologico; un’ipotesi controversa e sempre osteggiata
da Roma’. Nei loro scritti, attraverso l’attenzione al dato storico,
fermentava forte la necessità, ormai irrinunciabile, di ridurre la
contrapposizione tra incarnazione ed escatologia, tra il messaggio
salvifico e il fluire delle vicende sempre più drammatiche dell’u
. In quella direzione umanistica, di un nuovo umanesimo
2
manità
integrale e cristiano, vennero rafforzati gli studi di esegesi biblica
e presero corpo nuove iniziative, prestigiose dal punto di vista
critico-filologico, nel campo della patristica, della storia delle ori
gini del cristianesimo; nacquero straordinarie ricerche filosofiche
e teologiche capaci d’interpretare i «segni del tempo» e di repli
care, assai meglio di tanti cosiddetti filosofi laici, ai fautori del
moderno nichiismo sulla base di un coraggioso esistenzialismo
cristiano attento ai lavori di Kierkegaard e di Heidegger.
La Gatdium et spes ha rappresentato senza dubbio il punto
d’arrivo di tutti i più importanti dibattiti suscitati dalla «nouvelle
théologie»: quel documento ne ha come racchiuso e distillato i
La riconsiderazione della storicità del cristianesimo, e quindi il rilievo da
attribuire al nesso storia-teologia, era tuttavia già cominciata agli inizi del Nove
cento, prima che prendesse corpo la «nouvelle théologie». Ad esempio, negli an
ni Trenta, rivahitando gli studi di esegesi biblica di padre Lagrange, il fondatore
della prestigiosa Ecole biblique deJérusalem, il domenicano Chenu, lanciò un
vasto programma di ricerche sul cristianesimo «come storia e teologia confes
salite», alimentando un forte movinnento destinato a contare nelle vicende della
Chiesa. CIr. la nota introduttiva di G. Alberigo al volume di M.-D. Chenu, Le
Saalchoir Una salo/a liteologiiz cit,, pp. ix e sgg. Nell’edizione italiana di questi
suoi vecchi saggi, che tanto scandalo e condanne avevano suscitato a Roma alla
loro apparizione, Chenu scriveva compiaciuto: «Uno dei meriti principali del
Vaticano 11 è qiello di aver misurato la dimensione storica della Chiesa; lo stesso
termine hzstoria, assente dal vocabolario del magistero, vi è utilizzato 63 volte. Il
nicrodo di Le Saiil<-hoir introduceva la storia nella teologia, come quarant’anni
prima, e contro le stesse opposizioni, padre Lagrange aveva introdotto il “meto
di) storico” nell’intelligenza della scrittura. Il Concilio ha convalidato entrambe
le imprese» (p. xxxiv).
2
Per un quadro generale su questi temi cfr. E. Fouiiloux, Il cattolicesimo,
in Storia dcl criitia,ies,mo, a cura dij.-M. Mayeur, Ch. Pietri, A. Vauchez e M.
\nard, voI. 12. Roma 199], pp. 159 e sgg.
92
fermenti migliori e il messaggio complessivo più vero, di autentico
e orgoglioso confronto a distanza rispetto al vecchio umanesimo
illuministico, nel quadro di una cristologia rinnovata nei profon
do. «Si tratta di salvare la persona umana, di edificare l’umana
società era precisato, non a caso, proprio in avvio del documento,
con toni che avrebbero entusiasmato Voltaire e Diderot E luo
mo dunque, ma l’uomo singolo e integrale, nell’unità di corpo e di
anima, di cuore e di coscienza, di intelletto e volontà che sarà il
cardine di tutta la nostra esposizione». Da qui le domande cruciali
che avevano già angosciato gli uomini dei Lumi: «Cos’è l’uomo?
Qual è il significato del dolore, del male, della morte che malgra
. Le risposte erano
3
do ogni progresso continuano a sussistere?»
in quanto mutati radicalmen
tradizionali
scontate
e
tutt’altro che
l’analisi e il giudizio sul
soprattutto
erano
passato,
te, rispetto al
era più individuata e
non
modernità
La
contemporan
eo.
mondo
demonio da esor
del
l’opera
assoluto,
male
denunciata come il
una sfida e allo
conti:
i
fare
cui
con
realtà
come
la
cizzare, bensì
del terzo
rinnovata
cristianità
per
la
un’opportuni
tà
stesso tempo
e della
scienza
della
sbalorditivo
potere
millennio. Di fronte al
politico
economico
e
sociale,
l’ordine
stravolto
tecnica, che aveva
delle nazioni, ai nuovi strumenti di comunicazione di massa, alla
crescita esponenziale di beni di consumo in Occidente con i suoi
innegabili effetti positivi, ma anche in grado di accentuare squili
bri, di rompere l’armonia sociale provocando ingiustizie, malesse
ri, tragedie e genocidi nei terzo mondo, l’uomo tornava clamoro
samente al centro del discorso storico e teologico della Chiesa. Un
uomo «a un tempo potente e debole, capace di operare il meglio
e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della
schiavitù, del progresso e del regresso, della fraternità o dell’o
dio». I padri conciliari raccoglievano senza timori revereflziali,
anzi con schietto cipiglio aggressivo contro i sommessi borbottii
degli epigoni dell’eredità illuministica, la sfida della modernità,
convinti di avere nella nuova cristologia più attenta al lato uma
no, in «Cristo, l’alfa e l’omega» rivisnato e fatto conoscere la
risposta più giusta e attuale al dilagante disagio esistenziale, alla
crisi profonda dell’umanità, al vuoto nichilistico di senso della
—
—.
—
—
Gaudium e! spr’s cit., p. 1074.
93
storia prodotto dal fallimento del progetto illuministico di salvare
l’uomo solo attraverso l’uomo stesso e non attraverso la grazia e la
Rivelazione. Nel documento, il progetto di una possibile e auspi
cabile cristianizzazione della modernità muoveva dalla considera
zione, ritenuta assolutamente centrale, che Dio aveva fatto l’uomo
a sua immagine e somiglianza indicandogli la via della salvezza.
Da quel legame derivavano il sacro rispetto della dignità umana
e, soprattutto, la riscoperta del fondamento evangelico dei diritti
della persona. Al di là del compimento del processo escatologico
e della diffusione del messaggio salvifico, l’obiettivo finale della
«missione della Chiesa nel mondo contemporaneo» diveniva così
il «inondo da costruire e da condurre al suo fine»
. Finalmente
4
padrona del linguaggio dei diritti all’interno di una rassicurante
cornice teologica e di un efficace schema storico di tipo dualistico,
la Chiesa poteva in tal modo tornare al centro della scena e inter
pretare la realtà, meglio di chiunque altro, affrontando i gravi pro
blemi dell’<uomo moderno», raccogliendo di fatto quell’eredità
dei Lumi sempre più dimenticata e abbandonata dai cosiddetti
laici affascinati dal nichilismo e dai teorici del pensiero debole,
interrogandosi sui diritti di libertà dei popoli, sulla funzione so
ciale della proprietà, sui diritti sociali, su come affrontare la sete
inestinguibile di giustizia e di equità del mondo intero.
E tuttavia, indipendentemente dai contenuti innovatori ela
borati nelle sessioni, o dallo strascico di «equivoci, compromessi,
ambiguità» (subito onestamente ammessi e denunciati, ad esem
pio, da Dossetti’), come tutti i grandi concili anche il Vaticano
Il ha iniziato a rivelare per intero le sue potenzialità d’impatto
(positive o negative a seconda dei punti di vista) solo nei decenni
successivi, in primo luogo e non potrebbe essere diversamente,
perdurando la struttura assolutistica della gerarchia ecclesiasti
ca nell’opera dei pontefici chiamati a darne l’interpretazione
autentica. Il ritorno tanto atteso e auspicato a un’analisi meno
preconcetta della realtà storica da parte della Chiesa, che di per
sé resta comunque una grande conquista dei vescovi riformatori,
ha lasciato infatti aperte e impregiudicate due strade fortemente
—
—
1135.
Ctr.
G. Alberigo,
Transizione epoca/e?
94
cit.,
629.
divergenti. La strada dell’ascolto dell’altro, del dialogo sincero e
responsabile tra mondo e Chiesa, di quel camminare insieme in
vista del bene comune che presuppone la possibilità di un recipro
co e positivo condizionamento nel cercare e vivere liberamente la
verità; e la strada, invece, dell’imposizione dogmatica e autoritaria
di una verità data una volta per tutte, ritenuta immobile e graniti
ca di fronte all’ingiuria della storia (la grande metastasi della teo
logia), limitandosi a concedere all’altro i necessari aggiornamenti
imposti dal tempo, ma al solo fine di meglio sviluppare lo spirito
e la propaganda missionaria con nuovi e più raffinati strumenti di
comunicazione sociale.
Va da sé che al termine di questa seconda strada, che mira a
strumentalizzare di fatto il recente approdo dualistico e il ricono
scimento dei diritti dell’uomo nell’ambito della comunità politi
ca e civile per impedire parallelamente ogni sostanziale riforma
all’interno della Chiesa, non vi potrà essere che l’ennesimo conflit
to, la chiusura inevitabile alle ragioni del mondo, ai bisogni degli
stessi cristiani, e quindi il declino definitivo della Chiesa. E infatti
impensabile che nel terzo millennio, senza l’avvio di una onesta
strategia del dialogo, la logica implacabile dei diritti capace di
mettere in crisi e liquidare l’Antico regime non sgretoli dall’in
terno le solide fondamenta dell’attuale Chiesa, “società perfetta”
e gerarchica, ancora prigioniera dello spirito del Tridentino. Cosa
succederà quando l’interpretazione autentica della «svolta antro
pologica» auspicata dalla «nouvelle théologie», la teoria universa
le dei diritti, il principio etico dell’eguaglianza e della democrazia
penetreranno davvero, e polemicamente, nelle mura del Vaticano,
divenendo finalmente armi micidiali nelle mani delle donne esclu
se dal sacerdozio, dei chierici obbligati al celibato, dei cristiani
costretti a obbedire alla volontà e alle decisioni del papa-re, del
sovrano pontefice, ultimo signore assoluto e infallibile, nel deli
cato campo dei comportamenti morali pubblici e privati profon
damente condizionati dai mutamenti della storia? Probabilmente
assisteremo all’ennesima rovinosa rivoluzione dovuta a qualche
noveflo Lutero e alla miopia degli uomini di curia, e dal “paradiso
degli illuministi”, sempre che esista, Voltaire, Diderot e Lessing si
fregheranno le mani, consapevoli di aver anticipato il futuro e di
aver compiuto, da buoni seguaci della religione naturale, la mis
sione cui il Dio di tutti gli uomini li aveva appositamente destinati.
—
—
95
Al di là delle facili battute, questo dilemma connesso alla pro
blematica gestione del linguaggio dei diritti da parte della Chiesa,
in particolare rivolto al proprio interno, apparve subito chiaro
all’indomani del Vaticano TI. Non è casuale, in questa direzione,
l’atteggiamento inquieto e titubante di Paolo VI, deciso a chiude
re al più presto un effervescente concilio durato troppo a lungo,
e a demandare le questioni scabrose e difficili ad apposite com
romana Quel
.
missioni maggiormente controllabili dalla curia 6
te segnata
bilmen
innega
pontefice, la cui opera complessiva è stata
dialogo e
del
strada
la
tratti
dalla scelta di percorrere per lunghi
XXIIF,
ni
Giovan
da
ata
del confronto con la modernità enunci
do
Portan
o.
dualism
il
non ebbe mai il coraggio di andare oltre
ca
specifi
una
dedicò
egli
a compimento il disegno di Maritain,
prin
il
Chiesa
della
rno
attenzione soprattutto a radicare all’este
democratico ad affermare in ogni occasione i diritti della
,
cipio 6
persona tra i popoli. Solo con Giovanni Paolo 11 si è avuta la prima
lettura del Vaticano Il destinata a segnare profondamente le sorti
della Chiesa del terzo millennio. Peccato, però, che al di là di
un’apparente modernizzazione nella forma, nei linguaggio e negli
e
strumenti di propaganda usati, essa stia rivelando con lo scorrer
casi
taluni
in
,
vatrice
conser
degli anni la sua complessiva natura
francamente reazionaria, volta a proclamare in ogni occasione il
vecchio e anacronistico principio d’autorità tridentino intima
mente connesso alla figura del sovrano pontefice.
Il progetto di quella che potremmo definire la grande Restaura
zione del primato morale e spirituale della Chiesa nel mondo con
temporaneo è stato limpidamente enunciato da Giovanni Paolo
11 sin dalla prima enciclica, Redernptor hominis del 1979, quando,
commentando la svolta antropologica del concilio, egli ha subito
messo in chiaro che «l’umanesimo autentico è strettamente colle
a Cristo», e quindi agli insegnamenti del suo vicario in terra
e delle gerarchie ecclesiastiche. La «regalità» delfuomo, i suoi
«oggettivi ed inviolabili diritti», il significato ultimo della vicenda
umana sono intimamente connessi ai mistero della redenzione:
«Il senso essenziale di questa “regalità” e di questo “dominio”
dell’uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo
stesso Creatore, consiste nella priorità dell’etica sulla tecnica, nel
primato della persona sulle cose, nella superiorità dello spirito
materia» Al contrario, tutti questi elementi sembrano esser
.
sulla 9
stati banditi da una realtà che mostra in ogni aspetto la profonda
ui
crisi morale dell’uomo d’oggi, il «grande dramma» degli individ
o
«quadr
ridotti a merce senz’anima, a soggetti inconsapevoli nel
o
della civiltà consumistica» dominata dalla logica del profitt e
s
dell’utilitarismo individuale. Una crisi esistenziale dove il progre
so materiale, non accompagnato da quello spirituale, e il trionfo
della tecnica e della scienza, lungi dal risolvere i problemi dell’u
manità, hanno finito con il rendere schiavo l’uomo, alimentando
la
le sue angosce, l’alienazione «nei suoi rapporti con la natura»,
rinun
può
non
o
«L’uom
vivere:
di
sua ormai irrefrenabile paura
ciare a se stesso ha denunciato Giovanni Paolo TI con nobili
parole e toni profetici assolutamente condivisibili anche da parte
di chi continua a credere nei valori e negli ideali dell’umanesimo
non
illuministico né al posto che gli spetta nel mondo visibile;
ici,
econom
i
sistem
può diventare schiavo delle cose, schiavo dei
La
ti».
prodot
schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri
r
viceve
scienza e la tecnica sono nate per servire l’uomo e non
no
appaio
. E tuttavia, se nelle pagine della kedempiorhominis
10
sa
isibili la cruda diagnosi dei mali
quanto mai opportune e condiv
senso
del pianeta, la denuncia del vuoto morale, della perdita di
prodotta da una modernità male intesa, priva di valori e dimentica
dei diritti dell’uomo, sconcertante e inaccettabile è invece la cura
gato
—
—
del
e
Cfr. R. Bungana, G. Turbanti, L’intersezione: preparare la cOnClUSiOn
sgg.
565
e
concilio cit., Pi>.
e pubbli
Cfr. questa volontà di dialogo con la modernità, esplicitament e
Paolo VI.
camente dichiarata sm dall’inizio del pontificato, in Insegnamenti di
sgg.
e
712
11,
pp.
1965. Roma 1966,1
inter
suo
Per l’interesse di Paolo VI verso la democrazia cfr. ad esempio il
dei cat
sociali
ne
settima
alle
ani,
Cicogn
Stato
rio
di
segreta
il
rso
vento, attrave
société
La
1963,
Caen
n
5(Y
>essio
.
France
de
s
tolici francesi, in Semaines soczale
démocratuue. Compte rendo “m extenso”, Lyon 1963, pp. 5 e sgg.
-
96
iche cii..
Giovanni Paolo Il, Redemptor hominis. in Enc/sirzdioo dc/le Encicl
voi. 8, pp. 89 e sgg.
isti,
19
In realtà, storicamente questa è sempre stata anche la tesi degli illumin
quelle
con
e
arte
ad
confus
spesso
troppo
le cui concezioni scientifiche sono state
e,
dei positivisti della seconda metà dell’Ottocento; cfr. al riguardo V. Ferrondel
ropa
nel/Eu
frca
scw;in
zione
e
Rivolu
ismo
Illumin
.
Una scienza per l’uomo
Settecento, Torino 2007.
97
I
proposta. Essa si fonda principalmente sulla tradizionale conce
zione paolina della minorità ontologica dell’uomo macchiato dal
peccato originale, sull’accusa di aver alzato gli occhi e osato co
noscere senza timori (per riprendere l’oraziano sapere aude reso
celebre da Kant), prescindendo dal rispetto del disegno salvifi
co, affrancandosi dalle aucioritates con un inaccettabile peccato
d’orgoglio di matrice pelagiana. Da qui, dalla presunzione della
sostanziale sconfitta storica del progetto ernancipatorio illumi
nistico, nasceva l’indicazione verso un rinnovato e formidabile
ruolo di guida e di tutela del magistero morale e spirituale della
Chiesa, chiamata (anche grazie agli “aggiornamenti” del Vaticano
11) a dar vita a una «nuova primavera» del cristianesimo dopo gli
orrori dell’Olocausto e gli sbandamenti tragici di un’errata esegesi
della modernità: «La Chiesa non può abbandonare l’uomo, la cui
“sorte”, cioè la scelta, la chiamata, la nascita e la morte, la salvezza
o la perdizione, sono in modo così stretto ed indissolubile unite
in Cristo»”.
Tutto il pontificato di Giovanni Paolo ii è stato, a ben vedere,
dominato dall’assillo di cristianizzare la modernità, rilanciare la
sfida, rafforzando e attrezzando la Chiesa, «soggetto sociale della
responsabilità per la verità divina», ai nuovi compiti di cura, d’in
dirizzo, di promozione, e allo stesso tempo di evangelizzazione,
di un’umanità impaurita e disperata, ormai priva di riferimenti
credibili. A tal fine, condizionato dal suo temperamento di com
battente, di mi/csfidei, esperto in comunicazioni sociali, ma anche
abile stratega, Giovanni Paolo Il ha ritenuto necessario rimettere
ordine prima in casa propria, tra le sue confuse, stanche e sem
pre più sbandate truppe, per muovere poi coraggiosarnente alla
riconquista missionaria del mondo. Novello Mosè alla testa di una
«Chiesa in cammino» nel deserto, tra ostacoli e nemici di ogni ge
nere, egli ha ricordato al «popolo di Dio» le leggi, il fondamento
divino del principio d’autorità, il dovere dell’obbedienza di fronte
alla verità e alle gerarchie ecclesiastiche. Non a caso, quasi tutte
le sue encicliche sono soprattutto dirette all’interno della Chie
sa, a catechizzare un «popolo» sempre più indisciplinato, turba
to, inquieto, pericolosamente contaminato dai virus della società
del
consumistica e dai suoi disvalori. Dalla Dwes tu ,,izscr:cordia
ori
RIeiìip
alla
1986,
del
1980, alla Dominurn ci vivsficantem
alla Veritaiis
mater del 1987, alla Kedempioris i,nssio dcl 1990,
alla Ecclesta
sino
1998,
dcl
spiendor del 1993 e alla Fides e! ratto
e i nodi ne
entali
fondam
de eucharistia del 2003, tutti i dogmi
Trento sono
a
ti
elabora
co
vralgici dell’arsenale dottrinario cattoli
acritico
spirito
stesso
lo
con
stati riconfermati, punto per punto,
amavano,
i
parroc
vecchi
e la candida determinazione con cui i
creduli fanciulli de
nel secolo scorso, indottrinare gli ingenui e
. Nulla è stato
urbane
ie
gli oratori delle campagne e delle perifer
di tutti i
pratica
della
risparmiato: dalla riproposizione integrale
io, al
trinitar
dogma
sacramenti, anche quelli ormai in disuso, al
il
probab
(fatte
o
peccato originale alle novità del culto marian
lecu
are
rilanci
mente apposta si perdoni la facile ironia per
che mai le accet
menismo nei confronti delle Chiese protestanti straordinario e
teranno), cui è stato attribuito un rilievo teologico
morale sessuale,
particolare nel disegno salvifico. Nel campo della
nascite, dei diritti
del costume delle famiglie, del controllo delle
continuare ancora
dei gay, del celibato dei preti e si potrebbe
intransigente,
con altri esempi la chiusura della Chiesa è stata rafforzamento
pressoché assoluta. All’identità e al conseguente
state dedi
dell’originario impegno missionario della Chiesa sono
Redemptoris
cate grandi attenzioni. Basta leggere pochi passi della veemenza
passione e la
missio per cogliere l’energia esplosiva, la
tare la Chiesa alla
mobili
di
cercato
con cui Giovanni Paolo TI ha
ti: «Noi non
creden
non
i
verso
lotta e allo «slancio missionario»
ento e
Testam
Vecchio
il
possiamo tacere ha tuonato citando
una
“a
esimo
cristian
il
rimproverando coloro che osano ridurre
—l’au
vivere”
buon
del
sapienza meramente umana, quasi scienza
promozione
tentico messaggio salvifico che lega intimamente la
ento di
“sacram
,
umana all’evangelizzazione. Alla nuova Chiesa
a tutti
re
spiega
di
salvezza per tutta l’umanità”, spetta il compito
della
mezzo
per
i popoli della terra che la redenzione, avvenuta
della
senso
il
e
croce, ha ridato definitivamente all’uomo la dignità
mondo»’
.
sua esistenza nel 2
—
—
—
—,
—
Giovanni Paolo Il, Redcmpioris ,mssio.
cit., voI. 8, p. 8)5.
12
Giovanni Paolo I I, Re/euipior bommis
98
,t.
p. 67.
in
E,;hirzlion delle Encicliche
9%
4
All’opera di proselitismo e propaganda della nuova Chiesa,
Gio anni Paolo 11 ha dedicato certamente i suoi sforzi migliori.
Dialogo ecumenico, promozione dei diritti dell’uomo nel mon
do, ma allo stesso tempo ferreo arroccamento identitario e neo
disciplinamento sono stati i punti qualificanti del suo pontificato.
Efficacissimo nella veste di grande comunicatore, questo sovrano
pontefice venuto dalla Polonia non ha esitato a rilanciare in forme
ammodernate e spregiudicare antichi modelli e vecchi stereotipi
devozionali vedi padre Pio) pur di esercitare la sua funzione di
pastore mondiale di anime. Preoccupato di nulla scartare dell’ere
dità storica della Chiesa, ha proposto la beatificazione di Pio IX e
quella di Giovanni XXIII. Incurante dell’accusa venuta soprat
tutto da ambienti cattolici e protestanti abituati a forme più sobrie
e composte di religiosità di favorire, seppure inconsapevolmen
te. pericolosi processi di fanatizzazione religiosa delle folle, egli si
è impegnato in una stupefacente produzione industriale di santi
come non si era mai visto in passato, così come nella riscoperta
dei miracoli e della presenza di Satana nella vita quotidiana, o,
ancora, in adunate oceaniche di fedeli ripresi in mondovisione
(per lo più giovani in delirio), degne di essere comparate ai con
certi delle più celebrate e scatenate rockstar. Ma è a una granitica,
autoritaria concezione della verità e alla rigorosa difesa del pri
mato del pontefice, custode della secolare continuità del magiste
ro, che Giovanni Paolo lI ha affidato una parte importante della
sua interpretazione del Vaticano Il. Dopo la Veritaiis spiendor, è
stato soprattutto nella Fides ci ratio del 1998 che il suo persona
le astio contro l’illuminismo, contro quel progetto di modernità
politica colpevole di aver sempre predicato l’autonomia dell’uo
mo, l’en ancipazione dell’individuo dalla tutela ecclesiastica, è
sgorgato prorompente e irrefrenabile, rivolto, ancora una volta,
soprattutto all’interno della Chiesa, agli smarriti e inquieti filoso
fi e teologi cattolici affascinati prima dall’umanesimo dei Lumi,
poi dall’esistenzialismo e, da ultimo, dalle post-moderne filoso
fie <del nulla». Ai frastornati epigoni della «nouvelle théologie>
Giovanni Paolo TI ha ricordato, con parole severe, l’importanza
del «rinnovamento tomista e neotomista», il ruolo anciUare e
subordinato della filosofia, come «amore per la saggezza», nei
confronti della teologia. Alla filosofia ma il discorso vale anche,
a storia spetta il solo compito di aiutare
e a maggior ragione, per 1
—
—
—
—
100
i vescovi a testimoniare la verità, ad assistere il vicario di Cristo nel
suo «secolare cammino di comprensione della fede, riflettendo
sulla Rivelazione alla luce dell’insegnamento biblico e dell’intera
.
3
tradizione patristica»’
Ai centro di ogni processo critico che prevede l’uso della ragio
ne sta insomma, secondo gli insegnamenti della Fzdes ci ratio, la
fede assoluta nella verità del messaggio evangelico: «La Rivelazio
ne cristiana è la vera stella di orientamento per l’uomo che avanza
tra i condizionamenei della mentalità immanentistica e ie strettoie
di una logica tecnocratica». A difesa di questa verità che rende
davvero liberi (<conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv,
8,32]) non può esservi che la Chiesa: «Il magistero ecclesiastico,
quindi, può e deve esercitare autoritativamente, alla luce della
fede, il proprio discernimento nei confronti delle filosofie e delle
. Molti
4
affermazioni che si scontrano con la dottrina cristiana»’
in passato;
compito
difficile
pontefici sono stati chiamati a questo
TI ha
Paolo
Giovanni
con malcelato orgoglio, senza esitazioni,
grazia
con
(definiti,
censori
rivendicato la totalità degli interventi
e leggerezza tutta curiale, «preziosi contributi») dei suoi «vene
randi predecessori» contro i Lumi del Settecento e poi contro
le filosofie moderne dei secoli successivi, troppo sbilanciate ver
so l’autonomia dell’uomo da Dio; sino all’ultimo, suo personale
“prezioso contributo” al trionfo della verità e della singolare con
cezione della libertà religiosa riservata all’uomo cattolico, contro
«alcuni teologi della liberazione»l>, duramente repressi nel nome
dell’ortodossia.
E ciò nondimeno, accanto a questa politica autoritaria di di
sciplinamento e di vero e proprio arroccamento identitario della
Chiesa al suo interno, su cui molto vi sarebbe da dire dopo le
speranze suscitate dal concilio, un capitolo decisivo della potente
opera di rilancio della cristianità da parte di Giovanni Paolo 11 è
stato riservato soprattutto all’esterno: alla costruzione di un nuovo
rapporto tra Chiesa e inondo contemporaneo funzionale alla svol
ta antropologica del Vaticano TI. In quest’ambito la strategia mis
sionaria del pontificato, fondata programmaticamente sullo stretto
‘
Fzdesetrtio,ivi,p. 1825.
lvi, p. 1899.
Ivi, p. 1909.
101
i
binomio tra evangelizzazione e promozione umana, si è sviluppata,
da un lato, attraverso l’uso costante e privilegiato del linguaggio
dei diritti de[l’uomo elevato a strumento pastorale; dall’altro, con
la precisa volontà di giungere alla resa dei conti finale della secola
re sfida contro l’umanesimo e la modernità ifiuministica. Non v’è
infatti documento ufficiale della Santa Sede che non ricorra ormai
con ossessivo spirito propagandistico al linguaggio universale dei
diritti per parlare a tutti i popoli sulla terra. Allo stesso tempo,
però, unanimemente accreditato nella stampa internazionale co
me portavoce e campione dei diritti umani nel mondo, Giovanni
Paolo Il non ha mai rinunciato, in tutte le occasioni, a fornire la
sua interpretazione autentica in merito alla delicata questione della
natura oggettiva dei diritti dell’uomo all’interno del cosmo tornista, sottolineando la loro intima relazione con i diritti di Dio. Non
a caso, la straordinaria forza politica di quel linguaggio è risultata
particolarmente evidente ed efficace soprattutto nel campo delle
encicliche sociali. In questo specifico settore la Chiesa aveva del
resto riconosciuto per tempo e lo abbiamo già segnalato il
rilievo dei diritti sociali dei lavoratori, le ragioni dei sindacati, i
diritti dei corpi intermedi. Abilmente (e anche meritoriamente, va
riconosciuto) Giovanni Paolo Il ha ulteriormente ammodernato
e reso più penetranti le tradizionali posizioni della Chiesa, facen
dola diventare, di fronte a una sinistra mondiale afona, irresoluta,
imbelle e priva di idee, l’unica autorevole voce critica contro il
capitalismo selvaggio, la degenerazione della legge del profitto,
il consurnismo che degrada l’uomo a merce. Sin dalla Laborem
exercens, del 1981, la dignità dell’uomo e i suoi diritti sono stati
rivendicati contro l’economicismo imperante e il culto fanatico
del nuovo Dio pagano rappresentato dal mercato. Incurante delle
mode, in quelle pagine appassionate Giovanni Paolo Il chiedeva
una franca revisione critica del «rigido capitalismo [...] sotto l’a
spetto dei diritti dell’uomo, intesi nel modo più vasto e connessi
con il suo lavoro»’
. Nella Sollicitudo rei socialis, del 1987, sempre
6
usando il linguaggio dei diritti, egli levava il suo sguardo critico
al modello di sviluppo capitalistico che condannava interi popoli
alla povertà e alla miseria. Ma è stato soprattutto nella Centesimus
—
Labore’,, exercens, ivi,
p. 30.
—
an,ius, dei 1991, che Giovanni Paolo lI ha compiuto il capolavoro
politico di collocare la Chiesa all’avanguardia della contestazione
alle ingiustizie dell’attuale ordine sociale ed economico mondiale.
Grande protagonista della vittoriosa lotta al comunismo, egli si è
concesso il lusso (di fronte a una sinistra internazionale divisa tra
quanti si attardano nel seguire i vecchi schemi della lotta di classe
e quelli che ancora non hanno compreso le potenzialità eversive
della teoria dei diritti, preferendo inseguire la moda del pensiero
unico” dominato dalla lex mercaforiii) di citare con favore Marx
e le sue critiche all’alienazione umana prodotta dal capitalismo,
quasi a volerne ereditare idealmente lo spirito rivoluzionario ed
emancipatorio. Nell’enciclica tutto l’arsenale sociale e politico
della Santa Sede è stato dispiegato per intero alla luce della pro
mozione dei diritti nel mondo: dalle denunce dell’anima totalitaria
dell’econornicismo e di un malinteso esercizio della democrazia, al
superamento dell’odiato statalismo attraverso il ricorso al princi
pio di sussidiarietà e ai diritti dei corpo intermedi.
Dove però la costruzione e la strategia di Giovanni Paolo lI
hanno mostrato crepe vistose e difficolta insuperabili, anche agli
occhi degli stanchi e avviliti epigoni della tradizione laica ormai
abituati a subire passivamente la martellante offensiva pontificia.
è stato nel campo dei diritti civili degli individui, nella valutazio
ne dei comportamenti etici, pubblici e privati. Il fatto è che la
1 comunismo nel 1989 aveva probabilmente
trionfale vittoria su
polacco e la curia romana che fosse giunto il
papa
il
convinto
portare
di
a segno l’attacco finale e risolutivo alle radici
momento
illuministica, denunciandone la falsa con
modernità
stesse della
cezione dei diritti e l’idea sbagliata di libertà come «scelta tra due
tertnini». Nell’enciclica Evangelium vitae, del 199, la requisitoria
contro gli eredi dei Lumi è esplosa durissima e implacabile su
questi temi spinosi. In opposizione alla pretesa laica di legittimare
il controllo delle nascite, l’aborto, l’eutanasia, sulla base della te
oria soggettiva dei diritti dell’uomo, Giovanni Paolo Il ha negato
che si potessero attribuire diritti unicamente a individui liberi e
capaci di piena autonomia prescindendo da «qualsiasi tradizione
, come invece aveva proclamato solennemente Kant
7
ed autorità»’
Evan geliiii?1
102
i’itae, ivi, p. 14 3
103
i
in Was isi Aiifklàrung?. Quell’ipotesi non era più un grave errore
filosofico e teologico solo perché relegava ai margini il magistero
ecclesiastico e negava i diritti di Dio sull’uomo, ma soprattutto
perché, trasformando la società in «un insieme di individui posti
l’uno accanto all’altro, senza legami reciproci», apriva la strada
agli egoismi individuali, al materialismo, all’utilitarismo, all’e
donismo, alla violenza; minava la convivenza civile, impediva la
tutela dei soggetti strutturalmente deboli come il «nascituro o il
morente», creava i presupposti di un nuova e più terribile espe
rienza totalitaria: «Se è vero che talvolta la soppressione della vita
nascente o terminale si cobra anche di un malinteso senso di al
truismo e di umana pietà, non si può negare che una tale cultura
di morte nel suo insieme tradisce una concezione della libertà
del tutto individualistica che finisce per essere la libertà dei “più
forti” contro i deboli destinati a soccombere». Nessuno Stato,
nessuna democrazia avrebbe mai potuto legittimare questi crimi
ni fondati sull’<oblio di Dio» e delle sue leggi. «La democrazia,
ha scritto con autentica ira Giovanni Paolo TI ad onta delle
totalitarismo»’
sue regole, cammina sulla strada di un sostanziale 8
quando vota a favore dell’aborto e disubbidisce agli insegnamenti
della Chiesa, maestra di etica.
Nell’Evangelium t’i/de finalmente, i nodi venivano al pettine.
La rivendicazione della poi estas indirecia sulle decisioni in campo
etico dei governi democraticamente eletti svelava la deriva teo
cratica del nuovo dualismo. Criminalizzare i fautori dell’aborto,
delegittimare le leggi democraticamente votate con toni da cro
ciata, infatti, metteva in luce il contrasto irriducibile tra Chiesa e
Stato su chi debba essere ritenuto l’autorità ultima e sovrana nel
campo dei diritti. Già nel 1946 Costantino Mortati aveva lucidamente posto la questione scrivendo che non esiste un codice «di
principi di diritto naturale ben determinati cui ci si possa riferire
obiettivamente; è necessario affidarne la determinazione ad un
: la corte costituzionale. La questione è stata ripro
19
interprete»
posta in un dialogo sulla Rivoluzione francese e l’Illuminismo tra
Franois Furet e il cardinale jean-Marie Lustiger: il primo ha in
—
—
p. 1455.
C. Mortati, i a’iriitz pubblici 3uhwtizr’i in I cattolicia’, moc,aticie la costino
715
.jO/le Cii., VOI, 11,
» lvi,
sistito sulla funzione dirimente e interpretativa delle democrazie
e delle supreme corti costituzionali, mentre il seconda ha ribadito
la fondazione in Dio dei diritti, attribuendo la loro legittima inter
.
20
pretazione al magistero ecclesiastico
Giovanni Paolo Il sembra non avere il minimo dubbio sul fat
to che spetti anzitutto alla Chiesa decidere in questo campo. Non
a caso, anche la carta dei diritti delluomo dell’Onu è stata frontal
mente investita dalla sua inarrestabile vocazione pedagogica con
l’accusa di aver privilegiato un impianto teorico di tipo individua
listico, dimenticando i diritti oggettivi delle società naturali come
. Senza mai accennare ai me
21
la famiglia e, soprattutto, ie nazioni
e della cultura laica verso la teoria
Lumi
dei
riti di primogenitura
dei diritti, nel volume intervista Varcare la soglia della speranza,
del 1994, il «programma illuministico», considerato all’origine di
tutti i moderni mali con la sua errata visione antropologica, è stato
platealmente accusato dal papa polacco di aver colpito al «cuore
22 con la sua idea di una indistinta re
tutta la soteriologia cristiana»
sull’ipotesi di un Dio assente dal mondo,
centrata
ligione naturale,
umane. Alla dialettica dei Lumi, così
vicende
disinteressato delle
2’
Cfr. j.-M. Lustiger, Dico merci, les dc nts de Ibomme ce., pp. 123 e sgg.
In realtà il problema della incompatibdità tra la democrazia e la verità religiosa
perché di questo si tratta era già stato posto da Hans Kelsen a Jacques Ma
ritain negli anni Cinquanta. La questione è stata rivisitata da G. Zagrebelsky, Il
non ci
«crucijige!» e la democrazia, Torino 1995, e da G. Ruscom, Come se Dio
vista
di
punto
dal
Ponendosi
2000.
Torino
democrazia,
iO
e
fosse, I laici i cattolici
della necessaria creazione di uno spazio pubblico e di una democrazia procedu
rale e discorsiva capace di garantire il plurahsmo dei valori e delle fedi, Rusconi
ha giustamente rilanciato la sfida dal sapore illuministico dcl luterano Dietrich
Bonhoeffer, che dalla prigione nazista, prima di morire, scriveva con grande co
raggio: «Non possiamo essere onesti senza r,conoscere che dobbiamo vivere nel
mondo etsr Deus non daretur. Dio stesso ci costringe a questo riconoscimento
della nostra situazione. La conquista della maggiore età ci porta dunque al vero
riconoscimento della nostra situazione. Dio ci fa sapere che dobbiamo vivere
come uomini che se la cavano senza di lui» (p. 137).
21 Cfr. il discorso in tal senso di Giovanni Paolo lI alla cinquantesiina as
semblea generale delle Nazioni Unite e il commento di G. Filibeck, Il magistero
della Chiesa e la Dichiàrazione dl 1948, in «L’Osservatore Romano», 4 dicembre
12. In generale sui problematici rapporti tra la Chiesa e le Nazioni
1998,
Unite cfr. E.J. Gratsch, The Holy Sec and the United ‘sanons 1945-199, New
York 1996.
22
Giovanni Paolo 11, Uircare la soglia cii., p. 65.
—
—
.
104
105
I
cara aJoseph Ratzinger, alla sua reificazione dell’uomo, egli, come
del resto molti altri esponenti nella comunità cattolica, non ha mai
esitato a attri uire a responsa ita inte ettua e verso a genesi
totalitarismo insomma, chi si attendeva, dopo le pubbliche
.
del 23
richieste di perdono per le colpe della Chiesa in passato e la sof
ferta riabilitazione del povero Galileo, la trionfale canonizzazione
in massa dei philosophes, dovrà attendere ancora a lungo: almeno
fino al concilio Vaticano III.
Negli ultimi anni la letteratura cattolica contro l’Illuminismo è molto
cresciuta, dopo le ultime prese di posizione del pontefice in campo etico; cfr., ad
esempio, il delirante intervento di padre G. Mucci, La coscienza aniilliiministica
dei cattolici, in «Civiltà cattolica», CXLVII, 1996, pp. 17 e sgg.
Che dire di fronte a questa sapiente restaurazione dell’antico «to
tato» di sarpiana memoria, ammodernata dalla tele’isione e dai
satelliti? Quando Giovanni Paolo lI, nella Evanelium vitae, af
ferma con cipiglio autoritario che «la libertà rinnega se stessa, si
autodistrugge e si dispone all’eliminazione dell’altro quando non
riconosce e non rispetta più il suo costitutivo legame con la veri
tà», non lascia molto spazio a quanti tra credenti e non credenti
vorrebbero «camminare insieme» in vista del bene comune, La
sua secca e perentoria alternativa tra il nulla o il medioevo lascia
sgomenti. Davvero non esistono alternative ragionevoli tra la con
—
—
versione più o meno forzata al magistero teocratico della Chiesa,
«incorrotta maestra di moralità», secondo le orgogliose parole di
Leone XIII nell’enciclica Lihertas, dominatrice delle coscienze in
un medioevo prossimo venturo, e i post-moderni profeti del co
siddetto pensiero debole, di una flebile conversione al nulla? La
sconcertante criminalizzaziorie totalitaria del programma emanci
patorio illuministico in atto e le manipolazioni storiografiche che
mirano a collocare in un cono d’ombra il merito storico dei Lumi
nell’aver dato vita alla moderna teoria dei diritti dell’uomo non
paiono lasciare scampo ai fautori di quel dialogo libero e sereno
auspicato da Giovanni XXIII.
E invece quel dialogo va ripreso con coraggio e determinazio
ne. Mai come in questo momento credenti e non credenti hanno
bisogno gli uni degli altri: di riflettere insieme superando le taci107
proche diffidenze e soprattutto riconoscendo le attuali recipro
che debolezze. Se infatti il mondo cosiddetto laico attraversa una
drammatica crisi di fiducia nei suoi stessi valori, nell’etica della
responsabilità individuale, e i tradimenti dei suoi chierici si susse
guono senza soste, il mondo cattolico non sta molto meglio. Non
traggano in inganno le luminarie di piazza San Pietro perennemente accese o i raduni oceanici di folle osannanti: la verità sullo
stato di salute della Chiesa è assai più oscura di quanto non ap
paia. Tra qualche decennio, probabilmente, si prenderà coscienza
che il celebratissimo e trionfale papato di Giovanni Paolo TI e
quello attuale, così grigio e stanco, hanno soltanto funzionato da
tappo: bloccando un drammatico, ma inevitabile processo di reale
aggiornamento della Chiesa di fronte alle sfide autentiche della
modernità. La lettura politica del nuovo dualismo fatta da Gio
vanni Paolo Il e da Benedetto XVI per evitare ogni riforma all’in
terno non reggerà a lungo. Il dialogo tra tutti gli uomini di buona
volontà dovrà riprendere su basi nuove e di reciproco rispetto. E a
tal fine va subito detto che, a parte l’opinione di qualche attardato
anticlericale, è ormai maturata la profonda convinzione dello stra
ordinario ruolo positivo che la Chiesa conquistata finalmente ai
valori della democrazia e alle ragioni dei diritti dell’uomo può
svolgere per l’emancipazione dell’intera umanità. Ma questo im
portante compito comune tra credenti e non credenti va svolto
nella chiarezza d’intenti, nell’assoluta trasparenza delle posizioni
di partenza, nel reciproco rispetto della verità storica, intesa come
dato necessario e fondativo di un sereno dialogo e di una proficua
collaborazione. Da queste considerazioni traggono origine le stes
se motivazioni di questo pamphlet, condotto polemicamente con
la tecnica, franca, e magari provocatoria, dello smascheramento
ideologico di alcune delle mistificanti operazioni storiografiche
presenti nei documenti vaticani degli ultimi decenni’.
La storia è una disciplina pericolosa, diceva Flaubert nello
Sciocchezza/o, e la Chiesa lo ha sempre saputo: pericolosa per la
teologia, pericolosa per chi vuole imporre la propria opinione
falsificando i fatti. In primo luogo agli storici e agli intellettuali
cattolici spetta pertanto un compito difficilissimo, ma allo stesso
tempo decisivo: dare basi conoscitive solide e condivise ai futuri
dialoghi tra credenti e non credenti. Ciò vale in particolare nello
sforzo comune di approdare alla verità storica senza smarrire la
propria identità e le proprie convinzioni. E insomma necessario
che si prenda definitivamente congedo da una concezione della
storia della Chiesa come aedtjcatio corporis C’hristi, disciplina che
allo stesso tempo «è teologia e storia»
2 in grado di assorbire inden
ne le lacerazioni e le drammatiche contraddizioni che il doppio
lealismo di uomo di studio e di uomo di fede comporta da parte
dello storico cattolico. Ma può la Chiesa d’oggi affrontare, senza
pagare dei costi alla modernità, un coraggioso tentativo di stori
cizzare se stessa e andare oltre il dualismo asimmetrico praticato
da Giovanni Paolo lI e le volute barocche di un raffinato cultore
della dialettica dell’Illuminismo come Benedetto XVI?
—
—
Ma non solo vaticani, si badi bene. Come esempio del persistente astio
di matrice post-tridentina e ncoguelfa contro la modernità politica dei diritti
dell’uomo, ammantato di suggestioni revisionistiche, cfr. l’ambizioso progetto
storiografico delineato da C. Mozzarelli nell’introduzione al volume collettaneo
da lui curato Identità italiana e cattolicesimo, Una prospettiva storica, Roma,
2003, pp. 13-36. Il volume è stato realizzato in collaborazione con il Servizio
nazionale per il progetto culturale della Conferenza episcopale italiana.
108
2 Cfr. H. Jedin, Chiesa della fede Chiesa
della storia, Brescia 1972, p. 7,
Interrogandosi sul compito dello storico della Chiesa, nell’assoluta convinzionc
che «nella vita della Chiesa agisce qualcosa che è superiore alla storia>,, jedin
affermava: «Tutti sono d’accordo nel riconoscere che la storia della Chiesa sia
anzitutto e soprattutto teologia, e precisamente teologia storica, avendo come
oggetto la Chiesa di Cristo, il cui concetto essa trae dalla dogmatica. In quanto
però si propone di seguire lo sviluppo della Chiesa nel tempo e nello spazio, la
sua azione come portatrice di verità e di grazia, essa è storia, e come tale opera
con il metodo Storico» (p. 19). Molto più problematica sul ncsso tra teologia e
storia appare la posizione di altri storici cattolici. Cfr., ad esempio, la prefazione
di G. Alberigo, Nuove frontiere della storia della chiesa, al volumetto di H.
Jcdin, Introduzione alla stor%i della (Y,iesa, Brescia 1973, pp. 17 e sgg.