Clima, l`allarme degli scienziati Onu

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Clima, Ipcc: "Ridurre le
emissioni di CO2 in economia
globale"
Gli scienziati dell'Onu lanciano un appello per l'emergenza dovuta al
costante aumento di produzione di anidride carbonica: "Agire in fretta
per evitare scenari peggiori". Serve una riduzione diu gas serra del 4070% entro il 2050 per evitare un aumento superiore ai due gradi della
temperatura. Critici gli industriali: "Preoccupati per i costi"
17 gennaio 2014
ROMA - Per salvare la Terra è
urgente puntare subito verso un
sistema economico a bassa
emissione di CO2, cioè
decarbonizzare l'economia.
L'appello urgente è contenuto nel
"Quinto rapporto di valutazione"
da parte dell'Ipcc
(Intergovernmental panel on
climate change), gli scienziati
che studiano il clima per conto
dell'Onu. Dalla ricerca emerge
come le emissioni di CO2 siano
aumentate notevolmente nel
corso degli ultimi anni nonostante gli sforzi internazionali.
Per gli esperti delle Nazioni Unite occorre agire in fretta per evitare effetti
peggiori. Le emissioni di CO2 e di altri gas serra aumentano "in media del
2,2% all'anno tra il 2000 e il 2010, rispetto all'1,3% l'anno dal 1970-2000"; i
fattori principali che hanno contribuito sono "crescita economica" e "aumento
della popolazione mondiale". Il maggior contributo alle emissioni globali è
derivato dalla "combustione di petrolio e carbone"; ed in base ad alcune
proiezioni, legate all'uso del carbone per rispondere alla crescente domanda di
energia elettrica, "le emissioni del settore potrebbero raddoppiare o triplicare
entro il 2050, rispetto al livello del 2010".
Per rimanere al di sotto dei due gradi di un aumento della temperatura media
globale, nel report si afferma che sarebbe necessario ridurre entro il 2050 le
emissioni di gas serra del 40%-70% rispetto ai livelli del 2010 puntando su
"nuovi modelli di investimento e su un'economia a basse emissioni di
carbonio".
Il taglio delle emissioni di gas serra è al centro del nuovo pacchetto Ue "climaenergia" per il 2030, in discussione da mercoledì prossimo alla Commissione. I
provvedimenti sono al centro di una polemica tra industriali, che lo vedono con
"forte preoccupazione", e ambientalisti, per i quali invece sono una spinta allo
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sviluppo.
Bene tagliare le emissioni ma con "obiettivi raggiungibili" e che non mettano
ulteriormente in difficoltà l'industria europea, avverte il vicepresidente della
Commissione Ue, Antonio Tajani, spiegando che questa "deve essere al
centro dell'azione per uscire dalla crisi" con l'obiettivo di raggiungere il 20% del
Pil Ue entro il 2020. Dello stesso parere anche Giorgio Squinzi, presidente di
Confindustria: "I traguardi stabiliti devono essere raggiungibili al minore costo
per le imprese" altrimenti sarebbero una misura "catastrofica" per la
competitività del sistema manifatturiero, scrive Squinzi in una lettera al
presidente del Consiglio Enrico Letta.
Ma la partita sul nuovo pacchetto di misure al 2030 a Bruxelles è ancora
aperta e ci si attende battaglia. La presentazione delle misure in Commissione
è solo il primo passo. Poi, toccherà discuterne agli stati Ue e ai ministri
interessati, per giungere al vertice europeo in programma a marzo. In ogni
caso, una proposta legislativa vera e propria non dovrebbe essere presentata
fino al 2015.
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Clima, l'allarme degli scienziati Onu:
dati confermati, bisogna intervenire subito
Presentati oggi a Stoccolma i numeri del rapporto sul cambiamento climatico (stilato ogni sei anni) del panel di esperti dell'Ipcc che
concludono: bisogna dimezzare le emissioni di gas serra in pochi anni. Altrimenti le temperature saliranno di 3,7 gradi e i mari di 61
centimetri con scenari apocalittici
di ANTONIO CIANCIULLO
Lo leggo dopo
(afp)
QUELLO che preoccupa non sono i dati, un affinamento di previsioni già note, ma il
progressivo restringersi dei margini di incertezza: le decine di centimetri che i mari
ruberanno nell'arco del secolo, le onde roventi che colpiranno le città, la crescente
violenza degli uragani fanno parte di una nuova natura che, a suo danno, l'uomo
costruisce bruciando combustibili fossili e deforestando. E' questa la principale novità
contenuta nel quinto rapporto dell'Ipcc (http://www.ipcc.ch/), la task force
intergovernativa dei climatologi Onu, presentato oggi a Stoccolma. Rispetto al quarto
rapporto, quello del 2007, c'è un nuovo salto di conoscenza.
"E' estremamente probabile che l'influenza umana sul clima abbia causato più della metà dell'aumento di temperatura tra il 1951 e
il 2010", si legge nel testo. Vuol dire che le probabilità che gli esseri umani stiano logorando l'equilibrio climatico su cui si è basata
l'evoluzione della nostra specie sono comprese tra il 95 e il 100%. Lo confermano i dati sui ghiacci che battono quasi ovunque in
ritirata, specialmente nell'Artico dove il pack perde più del 3,5% di superficie ogni dieci anni.
Assieme al termometro - ognuno degli ultimi tre decenni è stato più caldo del precedente e la prima decade del secolo ha toccato il
record da quando, il 1850, vengono registrate le temperature globali - salgono anche gli oceani. Tra il 1901 e il 2012 si è già
registrato un aumento di temperatura pari a 0.89 gradi. Nello stesso periodo i mari si sono alzati di 19 centimetri ed è "virtualmente
certo" (probabilità tra il 99 e il 100%) che il ritmo di crescita è diventato più rapido negli ultimi due secoli. A rischio ci sono un
miliardo di persone (http://www.repubblica.it/ambiente/2013/09/23/news/ipcc_rapporto_stato_clima-67117529/) che vivono nelle
aree costiere: potrebbero dover sostituire la macchina con la canoa.
Cosa ci aspetta nel prossimo futuro, nell'arco di vita di un bambino che nasce oggi? Tutto dipende dal taglio dei gas serra. Per
l'effetto di inerzia del sistema climatico, un'ulteriore crescita di temperatura compresa tra 0,3 e 0,7 gradi viene considerata
inevitabile nel periodo 2016 - 2035. E' un altro colpo di acceleratore brusco, ma sopportabile con danni contenuti.
IPCC, gli scenari e l'andamento reale delle
Slideshow
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emissioni
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(http://www.repubblica.it/ambiente/2013/09/23/foto/ipcc_gli_scenari_e_l_andamento_reale_delle_emissioni67119555/1/)
La vera partita si apre dopo il 2035, quando molti tra coloro che oggi prendono le decisioni cruciali non saranno più a un posto di
responsabilità. Da allora sino alla fine del secolo si aprono 4 scenari estremamente diversi. Nel primo ci sarà un aumento medio di
temperatura (rispetto al presente) di 1 grado con una crescita dei mari di 40 centimetri. Nel secondo l'aumento di temperatura sarà
di 1,8 gradi e degli oceani di 47 centimetri. Nel terzo il termometro salirà di 2,2 gradi e le acque di 47 centimetri. Nel quarto avremo
un + 3,7 gradi e un + 62 centimetri per i mari (con un possibile picco fino a 81 centimetri).
Come si vede la differenza è molto ampia. Tutto dipenderà da quello che si decide oggi sul fronte dell'energia e delle foreste. Il
cosiddetto "business as usual", andare avanti come se niente fosse continuando a sparare CO2 in atmosfera, ci porta dritto dritto
verso lo scenario peggiore. Imboccare questa strada non è difficile: basta continuare ad aumentare le emissioni serra del 2 o 3%
l'anno come siamo riusciti a fare, a livello globale, anche durante questi ultimi anni di crisi economica.
Per prendere invece la via che garantisce un buon livello di sicurezza ai 9 miliardi di esseri umani che affolleranno il pianeta nella
seconda metà del secolo, bisogna dimezzare le emissioni serra nell'arco di pochi anni. Cioè dare un taglio immediato agli sprechi e
puntare con decisione sul passaggio dai combustibili fossili
(http://www.repubblica.it/ambiente/2013/09/23/news/intervista_espero_cnr_clima-67121443/) alle fonti rinnovabili rilanciando con
forza sul fronte dell'innovazione tecnologica. Un modello che i paesi più avanzati stanno già sperimentando e che potrebbe
costituire anche il volano per far ripartire l'economia.
TAG ipcc (http://www.repubblica.it/argomenti/ipcc), ambiente e territorio (http://www.repubblica.it/argomenti/ambiente_e_territorio),
clima (http://www.repubblica.it/argomenti/clima), Cambiamenti climatici (http://www.repubblica.it/argomenti/Cambiamenti_climatici),
artico (http://www.repubblica.it/argomenti/artico)
APPROFONDIMENTI
Onu, Ue, Stati Uniti
tutti d'accordo:
"Il riscaldamento
c'è, ora bisogna
agire"
Più caldo, più
alluvioni e siccità:
così il clima
trasformerà l'Italia
Cambiamenti
climatici 2013
il rapporto degli
scienziati Onu
© RIPRODUZIONE RISERVATA
(27 settembre 2013)
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Clima, negli ultimi 15 anni
uragani sempre più devastanti.
Colpa del riscaldamento globale
Uno studio dell'Accademia nazionale delle Scienze britannica ha
trovato un legame tra l'aumento delle temperature e la violenza delle
perturbazioni. Le Filippine tra le più flagellate della storia
22 novembre 2013
Le Filippine dopo il passaggio del tifone
Haiyan (ap)
ROMA - C'è un collegamento tra
l'aumento dei fenomeni
meteorologici estremi e
l'innalzamento delle temperature
globali. Lo sostiene una ricerca
dell'Accademia nazionale delle
Scienze del Regno Unito. Nello
studio, il fenomeno del
riscaldamento terrestre viene
legato a filo doppio con i "super
tifoni" che si stanno abbattendo,
soprattutto negli ultimi anni, su
diverse aree del pianeta. Una
concentrazione di disastri
meteorologici e ambientali mai
verificatasi prima.
In questo quadro, l'uragano Katrina ha rappresentato uno spartiacque. Il
tifone, nel 2005, devastò le coste della Louisiana, mettendo in ginocchio la
città di New Orleans. I venti registrati allora, che soffiarono fino a 280
chilometri all'ora, accesero un campanello d'allarme nei climatologi. Fu allora
che iniziarono alcuni studi per verificare un legame tra quel tipo di fenomeni e
l'aumento delle temperature.
Tutto partirebbe dagli oceani: il riscaldamento degli oceani avrebbe fatto
aumentare l'evaporazione e, di conseguenza il tasso di umidità dell'aria.
Condensa che, pian piano, avrebbe generato un sistema di precipitazioni
violente: le così dette "bombe d'acqua". Le stesse che, sia pure con
un'intensità notevolmente inferiore rispetto alle aree oceaniche, si sono
verificate anche nel Mediterraneo. Il tifone che ha recentemente investito la
Sardegna ne sarebbe l'ulteriore testimonianza. Il riscaldamento del mare e
degli oceani, in particolare, viene visto come il vero "carburante" degli uragani;
altrimenti non si spiegherebbe la violenza, costantemente crescente, delle
precipitazioni che negli ultimi due decenni hanno flagellato il globo terrestre.
Lo studio prende in esame i 13 uragani più violenti dal 1935. Ebbene,
addirittura 6 di essi si sono succeduti 'solamente' dal 1998 ad oggi. Ad
avvalorare la tesi dell'Accademia britannica ci sarebbe proprio la tempesta più
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violenta tra quelle analizzate. E non a caso si tratta dell'ultimo fenomeno in
ordine di tempo: il tifone Haiyan, quello che ha devastato le coste delle
Filippine appena due settimane fa, con venti a fino a 312 km/h. Subito dietro,
l'uragano Camilla (l'unico 'datato' della classifica) che nel 1969 investì lo stato
americano del Mississippi con venti a 304 km/h. Ben 5, invece, gli eventi (tra
tifoni, uragani e tornado) con venti dai 270 ai 300 chilometri all'ora, che si sono
concentrati tra il 1998 e il 2012: Zeb (288 km/h di potenza) che colpì per primo
il sud-est asiatico nel 2006; il ciclone Monica (288 km/h) registrato in Australia
sempre nel 2006; l'uragano Dean (280 km/h) che nel 2007 devastò il Messico;
l'uragano Megi (288 km/h) che nel 2012 colpì ancora le Filippine; il tifone
Bopha (280 km/h) che nel 2012 si accanì sempre sulle Filippine.
Ma non tutti sono d'accordo con la ricostruzione dell'Accademia. Almeno per
quel che riguarda l'intervallo temporale. Secondo l'Ipcc (Intergovernmental
Panel on Climate Change, il Gruppo intergovernativo di esperti sul
cambiamento climatico), infatti, si starebbe assistendo ad un aumento
dell'intensità delle manifestazioni cicloniche nel Nord Ataltico e nel Nord
Pacifico fin dal lontano 1970. In particolare, fenomeni di particolare violenza,
sono stati osservati nel Nord Pacifico occidentale, a partire da quel periodo,
proprio dove si trovano le Filippine. Una tesi, quest'ultima, avvalorata anche
da un rapporto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) pubblicato
all'inizio di quest'anno negli atti della National Academy of Sciences.
Diverse scuole di pensiero scientifico si confrontano anche sull'aumento del
numero degli uragani, fenomeno che non sarebbe suffragato da una casistica
sufficiente a dimostrarne la veridicità. Fatto sta, però, che la crescita
dell'intensità dei fenomeni sia un dato ormai acquisito e che la correlazione tra
questa e l'aumento della temperatura globale non possa essere messo in
discussione.
Peccato che, nel corso della Conferenza Onu sul clima, in corso a Varsavia,
sia emersa una differente visione dell'emergenza uragani tra Paesi ricchi e
poveri: se da una parte, infatti, i primi manifestano una riluttanza nel fissare
obiettivi più ambiziosi e cercare una effettiva riduzione delle emissioni di gas a
effetto serra, i secondi chiedono politiche più decise ed efficaci. Anche perché,
nell'empasse generale, i Paesi più poveri del pianeta continuano a pagare un
prezzo altissimo (in termini soprattutto di vite umane) ai cambiamenti climatici.
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Più caldo, più alluvioni e siccità:
così il clima trasformerà l'Italia
La penisola potrebbe soffrire gli effetti il cambiamento climatico già nei prossimi 40 anni, spiegano gli esperti riuniti a Lecce. Si
allungherà la stagione dei roghi, aumenteranno le ondate di calore e le precipitazioni brevi ma intense. E il rischio idrogeologico
sarà molto maggiore
di JACOPO PASOTTI
Lo leggo dopo
I TEMI "caldi" che illustrano i mutamenti ambientali in atto a livello globale e quelli
previsti nel nostro Paese. Ecco una selezione dei risultati degli ultimi studi sull'impatto
del cambiamento climatico in Italia. Sono stati presentati durante la Prima Conferenza
Annuale della Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC), da poco conclusa a
Lecce. Sono ricerche sul futuro di coste, montagne, e pianure della nostra penisola. Gli
studi presentati dagli esperti rappresentano un campanello d'allarme per chi si occupa
della gestione del territorio, delle risorse, e dei rischi naturali.
Incendi, risorse idriche e livello marino. Cambierà la temperatura, e questo si sa, ma
insieme alla temperatura (che cresce soprattutto nelle massime e soprattutto in estate)
aumenteranno anche gli incendi. In uno studio condotto nella Sardegna settentrionale,
Pierpaolo Duce (CNR di Sassari) mostra che entro il 2050 la stagione degli incendi,
attualmente tra giugno e ottobre, si allungherà mediamente di 7-9 giorni. Una
eventualità, questa, "che genererà difficoltà nella gestione del controllo degli incendi", spiega l'esperto. Entro il 2100 la stagione
potrebbe allungarsi anche di 30 giorni.
L'aumento delle temperature sarà ancora più serio lungo la catena alpina, dove potrebbe essere perfino tre volte maggiore della
media europea, dice Camilla Di Bari (Università di Firenze). Secondo i risultati delle sue ricerche le Alpi potrebbero perdere il 16%
dei pascoli. Alcune specie erbacee più rare e di alta montagna spariranno del tutto. Aumenteranno gli eventi climatici estremi,
come le precipitazioni intense ma di breve durata, con un acuirsi del rischio idrogeologico.
Aumenteranno poi le ondate di calore come quella che ha colpito l'Europa nel 2003 (in crescita del 10-15% per la metà del secolo).
Queste ultime oltre all'impatto sulla salute colpiranno il settore energetico, spiega Paola Faggian (RSE di Milano). A soffrire della
carenza delle risorse idriche saranno soprattutto la produzione di energia termo e idroelettrica. La pioggia, oltre ad influenzare la
produzione idroelettrica, è fondamentale per il raffreddamento delle centrali termoelettriche, costruite proprio lungo i fiumi per
sfruttare l'acqua per il raffreddamento. Un altro problema è la temperature dell'aria, che influenza la produzione elettrica, poiché le
centrali a turbogas diminuiscono la loro potenza nei giorni con alta temperatura, quindi in coincidenza con i picchi di maggior
fabbisogno per il raffrescamento richiesto dalla popolazione.
La carenza idrica contribuirà anche all'approfondirsi della falda. La regione mediterranea (escluse le Alpi in inverno) subirà infatti
una diminuzione delle precipitazioni fra il 10% in inverno e il 30% in estate entro la fine del secolo. Questo provocherà un deficit
idrico in particolare durante la stagione estiva. Secondo uno studio presentato da Silvia Torresan (Università Cà Foscari di
Venezia), ad esempio, verso la fine del secolo le falde acquifere potrebbero ridursi del 7% (175 milioni di metri cubi persi) in Veneto
e dell'11% (335 milioni di metri cubi) in Friuli. Il fenomeno colpirà prevalentemente il settore agricolo.
C'è poi il livello marino, che aumenta e continuerà a farlo. Quanto, dove, e con che ritmo (ciò che gli scienziati definiscono
"incertezza") varia molto a seconda della costa considerata, spiega Piero Lionello (Università del Salento e CMCC). "Per il nord
Adriatico, per esempio, l'espansione sarà maggiore di 15cm, forse anche più di mezzo metro. Ciò provocherà una maggiore
frequenza di potenziali inondazioni delle regioni costiere e dei danni causati dalle mareggiate". Dice ancora Lionello: "L'acuirsi dei
fenomeni estremi come le mareggiate aggraveranno i problemi già esistenti. Provocheranno l'inondazione di alcune aree di piana
costiera depresse, forti problemi di erosione costiera per tutte le coste basse e sabbiose, infiltrazioni di acqua salata nelle falde
costiere di acqua dolce e danni alla biodiversità di alcune zone umide costiere".
Eppure qualcosa si può fare. Il nuovo rapporto dell'IPCC
(http://www.repubblica.it/ambiente/2013/09/27/news/ipcc_rapporto_onu_ambiente-67369644/), che include ora i modelli regionali e
non solo quelli globali, apre però una nuova fase non solo nelle scienze del clima ma anche nella produzione di strumenti per la
mitigazione e l'adattamento al mutamento del clima. A spiegarlo è Donatella Spano, della Università di Sassari e dell'EuroMediterranean Center on Climate Change (CMCC), da pochi giorni eletta Presidente della SISC: "Ora possiamo studiare la
penisola italiana con maggiore dettaglio ed accuratezza, regione per regione". Spano nota però che ci possiamo attendere dei
benefici per esempio in alcuni settori agricoli: "l'area di coltivazione dell'olivo si espanderà e l'aumento della CO2 atmosferica
agisce da fertilizzante nella coltivazione dei cereali", spiega.
Ma questo è forse poco più di un premio di consolazione. Il quadro che esce dalla Conferenza di Lecce è quello di una penisola
che potrebbe soffrire già durante i prossimi 40 anni, e molto probabilmente patirà ancora di più entro la fine del secolo. In un
territorio che si allunga per 1300 chilometri tagliando più di dieci paralleli da Sud a Nord ed in cui si trovano sia ghiacciai che aree
desertiche il clima del prossimo futuro forma un mosaico di impatti diversi e importanti per ogni ecosistema ed ogni attività umana.
Molti studi però mostrano una differenza tra gli scenari in cui le azioni per ridurre le emissioni sono scarse o nulle (scenari A1 e A2)
e quelli in cui si sviluppano politiche di riduzione delle emissioni (scenari B1 e B2). In mezzo a tante incognite un messaggio è
chiaro: si può fare qualcosa, se non per eliminare il problema, almeno per ridurne gli impatti negativi. Impossibile non prenderne
atto, difficile ma importante prendere dei provvedimenti.
TAG clima (http://www.repubblica.it/argomenti/clima), sisc (http://www.repubblica.it/argomenti/sisc), ipcc (http://www.repubblica.it/argomenti/ipcc),
Cambiamenti climatici (http://www.repubblica.it/argomenti/Cambiamenti_climatici), italia (http://www.repubblica.it/argomenti/italia)
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(27 settembre 2013)
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Varsavia, al convegno Onu
l'allarme sul clima e sui ritardi
dei governi
Parte nella capitale polacca la conferenza mondiale contro il global
warming. Dopo il rapporto Ipcc e il tifone che ha sconvolto le Filippine,
il tempo dei dibattiti è finito: è ora di passare all'azione
di ANTONIO CIANCIULLO
11 novembre 2013
NELLE FILIPPINE il tifone
Haiyan ha agito in modo veloce e
irruento uccidendo nel week end
più di 10 mila persone. A
Varsavia la diciannovesima Cop,
la conferenza delle Nazioni Unite
per la difesa della stabilità del
clima, comincia oggi con passo
lento e fiacco. Tra questi due
estremi, la realtà e la
rappresentazione politica della
realtà, sta una questione
climatica resa più che mai
pericolosa dallo stallo in cui si
dibatte da anni: le conseguenze del cambiamento climatico sono sempre più
nette, la cura tarda ad arrivare.
La comunità scientifica ha ormai espresso un parere molto netto. Con il quinto
rapporto Ipcc, reso noto a settembre, ha calcolato che con il 95% di probabilità
siamo noi, la specie umana, a modificare il clima a nostro danno: è come se
ripetessimo il disastro che ha cancellato il dominio dei dinosauri favorendo
l'avvento dei mammiferi. Quello però fu un evento casuale, probabilmente
l'impatto di un gigantesco meteorite. Adesso invece è l'azione dell'homo
sapiens sapiens a gettare le basi dell'autodistruzione.
Per fortuna c'è ancora tempo - anche se poco - per agire e la parte sapiens
della specie ha messo a punto una risposta che permette di tenere assieme la
difesa degli ecosistemi sul lungo periodo e la tenuta immediata degli equilibri
sociali senza i quali non ci sarebbe la possibilità di programmare il futuro. La
green economy - quella che scommette sull'efficienza, sulle fonti rinnovabili,
sul recupero dei materiali - ha costruito un modello produttivo che già oggi
sarebbe vincente se si applicasse il principio "chi inquina paga". Ma
l'inquinamento prodotto dai combustibili fossili è in gran parte a carico della
collettività (sotto forma di danni sanitari e di perdite produttive determinate
dalle malattie) e viene finanziato con proventi che derivano dalle tasse e che
superano di varie volte gli incentivi per le fonti rinnovabili. Questo è il nodo che
si dovrebbe affrontare alla conferenza Onu di Varsavia.
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Senza scioglierlo sarà difficile risolvere il problema perché dal 1990 al 2012,
nonostante la crescita di consenso attorno alle politiche di difesa del clima, le
emissioni serra sono cresciute del 32%. Il protocollo di Kyoto, firmato nel
1997, ha impresso un salto di qualità alle trattative sulla difesa degli
ecosistemi stabilendo per la prima volta obblighi di taglio della CO2 per i paesi
di antica industrializzazione. Ma non è stato sufficiente. Con il sorpasso della
Cina sugli Stati Uniti come primo inquinatore si è resa evidente la necessità di
un impegno globale. Questo impegno però entrerà in vigore solo nel 2020.
Non è troppo tardi?
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