Ufficio ICE di Tunisi Tunisia - Quadro macroeconomico generale Marzo 2014 La crisi politica e le tensioni sociali hanno pesato molto sull’attuale situazione economica tunisina. Nel 2013 la crescita del Paese è stata rallentata dall’aumento dei sussidi e dei salari, e dalla riduzione ancora significativa dei ricavi del settore turistico. La bolletta energetica e l’aumento dei prezzi dei beni alimentari hanno generato un preoccupante deficit della bilancia dei pagamenti. L'inflazione è salita e il volume degli investimenti non ha raggiunto le aspirazioni dell’economia reale. Più nel dettaglio, il tasso di crescita nel 2013 (contro una previsione del Governo di 4,5%) è stato del 2,6%, stimolato soprattutto dai servizi resi dalle Amministrazioni pubbliche in termini di salari e appalti pubblici da cui dipendono molte PMI tunisine. L’attività è stata trainata dall’agricoltura, dal settore minerario (grazie soprattutto alla ripresa della produzione di fosfati dopo le interruzioni legate alle agitazioni dei lavoratori) e dai servizi, mentre un freno alla crescita è venuto dal comparto dell’industria manifatturiera. Nonostante il complessivo miglioramento rispetto al 2012, la congiuntura resta comunque fondamentalmente fragile. Il tasso d’inflazione è passato dal 5,5% del 2012 al 6,1% nel 2013. A poco sono serviti i programmi di gemellaggio (con le Banche Centrali di Francia e Polonia) per il controllo dell’inflazione. Il tasso di disoccupazione, leggermente in calo rispetto al 2012, resta ancora molto alto (16% della popolazione attiva e 30% quella giovanile). Permangono le forti disparità regionali. Il deficit di bilancio è aumentato al 6,8% nel 2013 (era 5,1% nel 2012) ma resta comunque inferiore alle stime di inizio 2013, imputabile soprattutto al rinvio di progetti infrastrutturali che erano previsti nel corso dell’anno scorso. Il rapporto debito pubblico e PIL è arrivato al 47,2% nel 2013. La maggior parte di tale debito (28,4% del PIL) è di natura esterna. Il rapporto non eccessivamente elevato dell’indebitamento lascia ad ogni modo ancora spazio di manovra alla politica fiscale. Secondo le stime ufficiali, le riserve non sono ancora al limite dato che possono coprire circa 109 giorni di importazioni. Stime non ufficiali parlano di 89 giorni. Ciò spiegherebbe le frequenti segnalazioni di rallentamenti condotti dalla BCT nei trasferimenti di capitali verso l’estero. Bilancia commerciale Le importazioni totali tunisine nel 2013 sono cresciute del 3,4% rispetto al 2012 , ammontando ad un importo di 39,5 Miliardi di Dinari (pari a circa 17,7 Miliardi di Euro). In aumento la voce “Energia e Lubrificanti” (+6,5%). Il comparto delle Industrie Manifatturiere, nel suo insieme, ha registrato una crescita del 3%. Anche i prodotti dell’Industria Meccanica ed Elettrica, principale componente delle importazioni tunisine, hanno mostrato una discreta crescita (1%). Le esportazioni totali tunisine presentano un trend positivo (+4,2%) simile a quello delle importazioni e la bilancia commerciale, con un disavanzo di 11,8 Miliardi di Dinari (pari a circa 5,3 Miliardi di Euro), continua ad essere negativa. Le esportazioni totali del 2013 continuano infatti ad essere inferiori alle importazioni ed ammontano a 27,7 Miliardi di Dinari (pari a circa 12,4 Miliardi di Euro). IDE Gli investimenti esteri hanno registrato un aumento del 9% circa nel 2013 rispetto al 2012. Il grado di concentrazione settoriale rimane molto elevato, con il comparto energetico che assorbe quasi i due terzi dei flussi e quello manifatturiero circa un quarto. E’ attualmente in corso la riforma dell’obsoleto “Codice degli Investimenti” (1994) basato quasi esclusivamente sugli incentivi fiscali. Il nuovo Codice si proporrebbe di semplificare le procedure amministrative, dando maggior spazio ad investimenti a “valore aggiunto” e all’innovazione, allo sviluppo regionale e all’occupazione di manodopera qualificata; dovrebbe agevolare le condizioni d’accesso al mercato, rinforzare le garanzie offerte agli investitori, creare uno sportello unico. In realtà, il testo (finora fatto circolare) non sembra far intravedere dei grossi passi avanti rispetto alla precedente normativa, soprattutto in materia di rimpatrio di capitali, di garanzia e protezione dell’investimento, accesso al mercato e arbitrato. Dopo la forte flessione registratasi a seguito della crisi attraversata dal Paese, le imprese estere hanno preferito rimandare gli investimenti di un certo rilievo in attesa della stabilizzazione del quadro politico. Le più recenti statistiche locali del 2013 (primi dieci mesi dell’anno) hanno registrato una contrazione degli investimenti pari a circa il 50% rispetto allo stesso periodo del 2012 (52,8 Milioni di Dinari nel 2013). L’analisi settoriale dei flussi degli IDE rileva una forte concentrazione nei settori energetico e manifatturiero. Negli ultimi anni si è registrata la tendenza ad una pur lieve migrazione degli IDE verso le regioni dell’interno che dispongono ormai dell’infrastruttura di accoglienza necessaria. Circa la metà delle imprese straniere sono associate in joint-venture a capitale misto con parti tunisine e circa il 76% delle imprese straniere esportano la totalità della loro produzione. Tra i settori portanti per eventuali interventi di promozione degli IDE si segnalano quelli delle nuove tecnologie e della ricerca, con la creazione di parchi tecnologici/tecnopoli (alcuni ancora in corso di realizzazione) fortemente sostenuti dagli organismi finanziari internazionali (in particolare BEI). Struttura produttiva Rispetto alla contrazione del 2012, l’indice generale di produzione industriale ha registrato un miglioramento nel primo quadrimestre del 2013 (pari a 2,7%); a livello settoriale, il turismo, settore portante dell’economia tunisina (che da solo rappresentava circa il 6,5% del PIL), ha maggiormente sofferto della crisi, ma anche quelli energetico, manifatturiero e dei trasporti. Il principale strumento di programmazione finalizzato a fissare gli orientamenti strategici sono i Piani Quinquennali di Sviluppo. Tra i principali obiettivi del XII Piano, che copre il periodo 2010-2014 , vi sono: la messa in atto di un’oculata politica di impiego; una più attenta politica economico-finanziaria in particolare nel settore della concorrenza e quello commerciale (smantellamento delle tariffe conformemente all’Accordo di Associazione); l’ottimizzazione del finanziamento dell’economia; la riforma del settore finanziario; il consolidamento della trasparenza e delle riforme legislative, istituzionali e amministrative. Struttura finanziaria Le dinamiche sopra delineate hanno causato una progressiva espansione del disavanzo della bilancia dei pagamenti, che ha avuto come corollario l’intensificarsi delle pressioni sul tasso di cambio, nonostante la non convertibilità del dinaro (il progetto di attuarla entro il 2014 è stato ormai accantonato). L’azione delle autorità monetarie a difesa del cambio è volta anche a evitare un ulteriore aumento dell’inflazione importata. Le stime per il 2013 parlano di un’inflazione del 6,1%, in aumento rispetto al 2012 (5,6%) soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi del comparto “cibi e bevande” (8%). Nonostante i progressi realizzati in materia di riforme soprattutto nel risanamento delle banche di sviluppo e la promulgazione di leggi contro il riciclaggio, il sistema finanziario non corrisponde ancora appieno alle attese degli investitori, in quanto caratterizzato dalla mancanza di concorrenza e innovazione. La recessione del 2011, segnatamente nel settore del turismo, ha provocato un grave deterioramento della qualità degli attivi bancari. Per arginarne le conseguenze, la Banca Centrale di Tunisia ha allentato il quadro regolamentare, permettendo alle aziende di credito una certa elasticità nella classificazione dei prestiti a rischio, e attuato consistenti iniezioni di liquidità nel sistema. Tale politica ha tuttavia generato un rapporto di dipendenza per molti istituti dal rifinanziamento della Banca Centrale. I crediti a rischio rappresentavano ufficialmente circa il 13 per cento del portafoglio prestiti del sistema creditizio. I prestiti in sofferenza restano per la maggior parte concentrati presso le banche pubbliche e rivolti prevalentemente ai settori turistico, manifatturiero e commerciale. Essi sono generalmente assistiti da garanzie reali, per cui, anche in caso di insolvenza, l’impatto sui conti delle banche dovrebbe in teoria essere contenuto. Peraltro, parecchi osservatori avanzano dubbi sul reale grado di copertura delle garanzie, i cui importi sarebbero almeno in parte gonfiati rispetto al valore reale. Accanto alle questioni di solvibilità, persistono rilevanti problemi di liquidità a livello sistemico, particolarmente acuti presso alcuni intermediari (soprattutto quelli in mano pubblica). Il sistema creditizio mostra, inoltre, diverse debolezze che ne minano la redditività e contribuiscono all'elevato costo del capitale nel Paese. Il sistema bancario rimane alquanto frammentato con una ventina di aziende di credito che presentano attività totali pari a circa il 100% del PIL, per una popolazione di poco meno di 11 milioni di abitanti. Lo Stato controlla ancora quasi il 40% del settore, con effetti deleteri sulla produttività, l'efficienza e l'adozione di processi e strutture innovative. Un fattore di rischio per l’economia tunisina è l’ampliarsi del deficit, dovuto non solo all’aumento degli interessi sul debito pubblico in costante crescita, ma in particolar modo alle politiche “pacificatrici” dei Governi provvisori che hanno riguardato l’aumento del salario minimo, la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro nel settore pubblico, i costi per gli indennizzi post-crisi e il sostegno dei prezzi al consumo di alcuni generi di prima necessità. Nel 2013 il valore del dinaro è precipitato del 12%. Il calo del valore della moneta tunisina è dovuto principalmente allo squilibrio tra l'offerta (indebolita a causa della crisi delle maggiori compagnie esportatrici) e la domanda di liquidità in valuta estera (amplificata dall'aumento delle importazioni). La Banca Centrale tunisina ha cercato più volte di fermare l'emorragia iniettando liquidità nel mercato finanziario. E’ presumibile che la Banca Centrale opterà per una politica monetaria espansiva basata sull’incremento della spesa per investimenti (in parte compensata dalla riduzione della componente di spesa di parte corrente) con un occhio all’inflazione. Obiettivo è quello del consolidamento fiscale che potrebbe essere raggiunto mettendo sotto controllo la spesa pubblica - razionalizzando stipendi, sussidi e spesa pensionistica - mentre dal lato delle entrate si dovrebbe agire attraverso una sostanziale riforma del sistema tributario. Il Governo, inoltre, tenterà di prevenire il deprezzamento del dinaro (ancorato ad un paniere costituito per due terzi dall’Euro) per rallentare l’acuirsi del disavanzo con l’estero delle partite correnti. Tuttavia, anche i tassi di interesse sui titoli del debito interno si mantengono su livelli abbastanza ragionevoli, a causa dei rigidi limiti imposti alle transazioni valutarie, che rendono di fatto impossibile ai risparmiatori tunisini investire in attività finanziarie oltre confine o comunque denominate in divise estere. L’ampliamento degli squilibri nei conti con l’estero ha spinto le autorità monetarie a intervenire recentemente con provvedimenti orientati a contenere l’espansione del credito al consumo, a quanto pare indirizzato soprattutto verso l’acquisto di beni di importazione. Finanziamenti esteri Prospettive La variabile fondamentale per lo sviluppo dell'economia tunisina a breve e medio termine resta il ripristino della stabilità politica e sociale e di condizioni di sicurezza adeguate. A causa della persistente debolezza dei mercati di sbocco delle esportazioni tunisine, il rilancio della congiuntura dovrà essere fondato sulle principali componenti della domanda interna, i consumi delle famiglie e gli investimenti. I consumi sono influenzati negativamente, oltre che dalle incerte prospettive salariali, anche dalla diminuita disponibilità di credito da parte del sistema bancario. Relazioni economiche bilaterali L’Italia è il secondo partner commerciale, dopo la Francia, con un interscambio pari a circa 3,7 Miliardi di Euro nei primi nove mesi del 2013 (con un volume totale stimato attorno ai 5,5 Miliardi di Euro per l’anno scorso) e un saldo commerciale in attivo previsto di circa 1 Miliardo di Euro per il 2013. L’Italia risulta il secondo cliente e il secondo fornitore della Tunisia. Secondo i dati FIPA Tunisia (Agence de Promotion de l’Investissement Exterieur), il fatturato delle imprese tunisine a partecipazione italiana ammonta a quasi 3 Miliardi di Euro. Esse apportano un valore storico complessivo di IDE (escluso il settore energetico) pari a circa 1,2 Miliardi di Dinari collocando l’Italia al secondo posto tra i Paesi stranieri che hanno investito in Tunisia (quota di mercato pari al 15,8%) con oltre 60mila posti di lavoro creati e costituiscono circa il 25% del totale delle imprese a partecipazione straniera, ossia 747 imprese (su un totale di 3006 censite). Di queste, 388 sono imprese a capitale detenuto interamente da investitori italiani, 301 a capitale tuniso-italiano e 58 sono a partecipazione italiane con Paesi terzi. Inoltre, 614 sono imprese totalmente esportatrici mentre 133 lo sono solo parzialmente. Nel 2012, il totale degli investimenti italiani è stato circa 244 Milioni di Dinari (pari a 122 Milioni di Euro), così ripartito: 128,5 Milioni di Dinari nel settore manifatturiero; 109,6 nel settore energetico; 3,4 in quello agricolo; e 2,4 nei servizi. L’anno 2012 si è caratterizzato per un numero quasi equivalente tra operazioni greenfield (37 nuove unità industriali che hanno generato oltre 2500 posti di lavoro) ed accrescimenti di unità industriali già presenti sul territorio (36 con poco meno di mille nuovi impieghi). La diversificazione settoriale degli IDE italiani si accompagna in misura minore a quella geografica. La maggior parte delle imprese italiane (83%) è concentrata infatti sulle regioni costiere e nella Grande Tunisi. Tuttavia, grazie ad una manodopera qualificata presente sull’intero territorio, esse si stanno situando sempre più nelle regioni interne dotate di servizi pubblici di buon livello e di infrastrutture adeguate. La Tunisia rappresenta una piattaforma produttiva interessante per le imprese italiane impegnate a diversificare le proprie attività e a penetrare nuovi mercati (soprattutto Nordafrica, Golfo e Africa francofona). Buona parte di esse beneficia della vigente legislazione in favore di investimenti off-shore, che attribuisce speciali privilegi in termini fiscali. Nell’ultimo decennio si è pertanto assistito ad un rilevante ed articolato processo di delocalizzazione. Circa l’82% delle imprese italiane attive nel Paese beneficia della vigente legislazione in materia di incentivi a favore delle società che destinano all’estero almeno il 70% della loro produzione (normativa off-shore che consente, tra l’altro, la defiscalizzazione degli utili su base decennale). Il settore merceologico con maggiore presenza di imprese italiane è quello del tessile/abbigliamento, ove operano sia piccole e medie imprese che noti gruppi industriali. L’Italia è presente anche nel settore siderurgico, automobilistico, bancario, delle grandi opere, dei trasporti aerei e marittimi. Alla fine del 2012, le industrie manifatturiere contavano 671 stabilimenti di cui il 42% nel settore tessile e abbigliamento (285 imprese con oltre 27mila persone) e il resto suddivisi tra settore meccanico, elettrico, cuoio e scarpe, e industria agro-alimentare. Significativa anche la rilevanza del settore energetico e del settore turistico (circa 500.000 presenze italiane annue in Tunisia prima della rivoluzione del gennaio 2011), che continua a risentire delle ricadute della Rivoluzione e della crisi economica italiana. In considerazione dei promettenti progressi politici della Tunisia e delle prospettive di sviluppi infrastrutturali, gli investimenti italiani potrebbero riguardare i settori dell’ambiente e delle energie rinnovabili, della formazione, dell’ICT, dell’industria e del turismo.