Federico Corronca Patologia generale Professor Laconi 15/11/2012

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Federico Corronca
Patologia generale
Professor Laconi
15/11/2012
lezione n°18
parte 2
Domanda posta durante l’intervallo (da integrare nella sbobinatura di Carlo Sanna): Perché ci sono individui
sani con anticorpi contro la tiroide? La presenza di autoanticorpi non implica necessariamente tiroidite
(infiammazione della ghiandola tiroidea) quindi la presenza di auto-anticorpi da sola non basta a scatenare
la risposta immunitaria, evidentemente ci vogliono anche altre componenti che ancora non conosciamo
(l’argomento è molto complesso). In alcuni casi gli anticorpi sono coinvolti nella patogenesi di malattie
autoimmuni, in altri casi invece riscontriamo anticorpi ma non sappiamo che ruolo abbiano nella patologia
autoimmune; ci sono malattie in cui sono presenti anticorpi rivolti verso strutture molto diverse, il lupus
eritematoso sistemico è un esempio, che ruolo preciso abbiano nella patogenesi di queste malattie non è
noto, al di là del fatto che la presenza di autoanticorpi può scatenare la formazione di nuovi complessi e
quindi la patologia può essere in parte legata alla presenza di immunocomplessi di per se, quindi una sorta
di ipersensibilità di tipo 3, di cui abbiamo discusso. Ma ci sono casi ancora più controversi, uno dei quali è
sicuramente il ruolo degli autoanticorpi nella celiachia, dove ci sono anticorpi anti-enzima trans-glutaminasi
che alcuni considerano diagnostici, cioè se si riscontrano questi anticorpi si può fare diagnosi di celiachia. È
dibattuto l’argomento, c’è in più la componente che se a uno viene diagnosticata la celiachia riceve un
sussidio, anche se minimo, ed è quindi possibile che a volte la diagnosi venga fatta in base ad elementi che
non sono quelli che clinicamente la sostengono.
La diapositiva illustra la prevalenza di alcune malattie autoimmuni nel sesso femminile rispetto al sesso
maschile, il rapporto tra femmine e maschi nell’incidenza di lupus eritematoso sistemico sfiora il numero
10, così come la sclerodermia, la sindrome di Sjogren, la polimiosite, l’artrite reumatoide, la
trombocitopenia autoimmune, la miastenia, sono tutti rapporti superiori a 2, 3, 5; è un dato che non ha
ancora ricevuto una spiegazione soddisfacente, implica fattori ormonali e c’entra sicuramente il modo in cui
è “costruito” il sistema immunitario, il modo in cui viene stabilita la soglia di tolleranza in un individuo che
deve essere preparato a sopportare la convivenza con un individuo diverso (come nel caso della
gravidanza), deve essere strutturato in maniera diversa in qualche componente di base, ma c’è ancora
molto da capire su questo argomento. Per quanto riguarda il ruolo delle malattie infettive, relativamente
alla genesi delle malattie autoimmuni, abbiamo detto che quando le malattie infettive sono molto diffuse
proteggono dalle malattie autoimmuni e questo è un dato acquisito, epidemiologico; però è anche vero che
molte malattie autoimmuni insorgono dopo episodi infettivi e questa è l’altra faccia della medaglia: in
generale diminuiscono il rischio, con meccanismi che potrebbero essere simili a quelli che abbiamo già
discusso prima, però può anche essere che in qualche caso favoriscano l’insorgere di patologie autoimmuni
perché sono fenomeni cosiddetti di molecular mimicry. In senso lato significa che ci sono antigeni che
possono essere condivisi dal microrganismo con antigeni self, per cui scatenare una risposta contro questi
antigeni può scatenare anche una risposta contro antigeni self.
Altro modo in cui antigeni estranei (microrganismi) possano favorire una risposta autoimmune è
rappresentato nella diapositiva: un linfocita T-helper (potenzialmente autoreattivo, cioè che può
riconoscere anche antigeni self), che quando non è attivato, ha scarse possibilità di riconoscimento di
antigeni self; mentre se viene attivato (perché magari riconosce anche altri antigeni microbici) la sua soglia
di riconoscimento di antigeni self può diminuire o aumentare, dipende dai punti di vista. Infatti riconosce
più facilmente anche antigeni self presentati sulle nostre cellule, quindi questi linfociti vengono messi in
allerta, un po’ come succede per alcuni virus come l’Hepstein-Barr, che si pensa sia responsabile di
un’attivazione complessiva del sistema immunitario (e dei linfociti, in quel caso B) che possa essere un
maggiore fattore di rischio per lo sviluppo di una patologia autoimmune. Quindi è un meccanismo analogo
anche se orientato verso uno specifico antigene, quindi non è un’attivazione generalizzata del sistema
immunitario.
Qui vedete invece un grafico sulla presenza di anticorpi antinucleo anti-tiroide a diversa età: quello che
emerge è che durante l’invecchiamento si ha una maggiore presenza di individui che hanno in circolo
anticorpi sia contro i nuclei sia contro la tiroide (si tratta solo di due esempi) e anche qui non si ha una
spiegazione certa del perché succeda (è possibile che si tratti di fenomeni random): noi accumuliamo cloni
di linfociti auto-reattivi quindi più andiamo avanti con gli anni più c’è la possibilità che anche questi
anticorpi vengano espressi; potrebbe anche trattarsi del fatto che quel meccanismo di controllo che limita
in maniera del tutto perfetta il self da quello che non è self venga meno con l’età, l’invecchiamento in un
certo senso è anche una perdita dei meccanismi di funzionamento che mantengono la nostra integrità e
anche identità, perché le due cose vanno di pari passo, quindi potrebbero anche essere implicati dei
meccanismi più complessi e generali (ma non lo sappiamo per certo!). Fatto sta che questo succede e
quindi aumenta con l’età anche la suscettibilità alle malattie autoimmuni legate a questi meccanismi.
Vediamo adesso alcuni esempi di patologie autoimmuni legate prima di tutto ad autoanticorpi: per esempio
nelle anemie emolitiche e trombocitopenie ci anticorpi contro i neutrofili e anticorpi contro la cardiolipina,
che causano coagulopatie; nel caso della tiroide la malattia di Graves, con anticorpi anti-recettore TSH, che
è un anticorpo stimolatorio, quindi è una situazione di ipertiroidismo, mentre la malattia di Hashimoto,
causa ipertiroidismo fino a che la funzione della ghiandola viene addirittura esaurita per una sola
stimolazione, quindi nelle fasi attive la malattia di Graves si manifesta come una iperattività della
ghiandola. La malattia di Hashimoto invece è il contrario perché gli anticorpi in questo caso sono contro la
tireoglobulina (le impediscono di funzionare) e contro la perossidasi. Nel caso della miastenia invece
l’anticorpo è contro il recettore dell’acetilcolina e in questo caso le strutture bersaglio sono i muscoli
scheletrici, nella sindrome di Goodpasture è invece la membrana del glomerulo (anticorpi anti-collagene di
tipo 4, ed anche qui c’è una forte associazione con HLA); nell’anemia perniciosa gli anticorpi sono antiATPasi, si provoca una atrofia della mucosa gastrica, mancata secrezione del fattore intrinseco che serve
per l’assorbimento della vitamina B12 (sono stati anche direttamente riscontrati anticorpi verso il fattore
intrinseco). Nella cute il pemfigo sono invee presenti anticorpi anti-caderine dei cheratinociti (più delle
caderine sono le desmogleine, delle proteine di adesione).
Nella slide seguente sono riportate patologie da immunocomplessi con auto-anticorpi: lupus eritematoso
sistemico dove ci sono anticorpi contro il DNA a doppia catena, anticorpi contro gli eritrociti, piastrine,
linfociti, fattori della coagulazione; deposizione diffusa di immunocomplessi (sicuramente il fattore
patogenetico più importante) e come abbiamo già detto c’è anche associazione di difetti con C1q e C4 e
quindi difetti di rimozione degli immunocomplessi, che presuppongono la presenza di questi determinanti
per il legame con i recettori.
Queste invece sono patologie autoimmuni in cui il ruolo fondamentale si pensa sia legato alle cellule T. Tra
questi c’è il diabete mellito insulino-dipendente, in cui ci sono anche anticorpi anti-insulina, ma si pensa che
la patologia sia dovuta soprattutto alla presenza di cellule T (in quanto l’infiltrazione delle cellule
infiammatorie è soprattutto di tipo T), e anche qui c’è associazione con HLA soprattutto di Q8 e Q2 (e
ancora di più quando ci sono tutt’e due). Vi è poi la sclerosi multipla in cui il bersaglio è la proteina basica
della mielina: esiste un modello sperimentale che è la cosiddetta encefalite allergica sperimentale e si può
trasferire ad un altro animale se voi prendete le cellule TH1 (ovviamente avviate contro la proteina basica
mielinica e le trasferite in un animale ospite) questo per far capire l’importanza delle cellule TH1 nella
patogenetica di questa malattia. Nell’artrite reumatoide è presente un anticorpo contro il frammento
costante dell’immunoglobulina, in cui le stesse immunoglobuline possono diventare bersaglio (e nell’artrite
reumatoide è quello che succede, il cosiddetto “fattore reumatoide”) e lo spazio sinoviale è il
maggiormente coinvolto. Nella malattia di Crohn l’antigene è sconosciuto ma anche qui si pensa ad una
patologia autoimmune su base delle cellule T, come anche per la celiachia (anticorpi anti-transglutaminasi)
considerati da alcuni diagnostici sebbene allo stato attuale non ci sia un loro ruolo definito nella patogenesi
della malattia (quindi è un po’ una convenzione questa, quando ci sono vengono considerati fattori
determinanti per la diagnosi). Nella malattia di Hashimoto si trovano anticorpi contro immunoglobuline e
perossidasi e anche qui c’è infiltrazione della tiroide con cellule T citotossiche; dal punto di vista
dell’approccio terapeutico, come nel caso dei trapianti l’unica cosa che possiamo fare è
immunosopprimere, nonostante qui ci sia molto più “spazio” per migliorare rispetto al caso dei trapianti. In
questa patologia sarebbe fondamentale poter ripristinare quella funzione regolatoria che in questo caso è
venuta meno; sappiamo che esiste il pool di linfociti T regolatori che potrebbero regolare questa risposta
autoimmune; se i T regolatori quando vengono attivati trovano citochine che sono anche infiammatorie e
che quindi possono controllare la risposta infiammatoria generale, quindi sarebbe vincente avere questa
funzione attiva.
In assenza di questa funzione che si può fare? C’è il trapianto di midollo: c’è una buona probabilità che il
nuovo midollo non cada nello stesso errore di quello vecchio, il problema è che per trapiantare il midollo
significa eradicare quello endogeno, tramite procedure molto invasive (o con farmaci fortemente citotossici
o con le radiazioni). Se ne parlò anche per la sclerosi multipla diversi anni fa, ma il discorso non andò avanti
(c’è una logica in questo approccio, ma non è così lineare e probabilmente le percentuali di successo non
furono tali da decidere di proseguire). C’è anche l’utilizzo di cellule T regolatorie, il problema sta nel
prenderle dal paziente (perché devono essere sue), coltivarle in vitro, farle espandere e poi re-infonderle
nel paziente stesso; oltretutto c’è il problema che dovrebbero essere T regolatorie antigene specifiche
(dovrebbero reagire contro l’antigene specifico che è coinvolto nella patogenesi della malattia autoimmune
di cui stiamo parlando); si sta anche tentando di trovare il modo di modulare la risposta infiammatoria,
strategie immunosoppressive che non siano citotossiche (per esempio modulando l’espressione di CTLA-4
un antigene che modula la risposta immunitaria) come lo sono invece i farmaci usati contro anti-CD-4, anti-
MHC di classe 2; infine gli anti-recettori per l’ interleuchina 2 (che agisce a diversi livelli di maturazione). Da
considerare anche la plasmaferesi, una tecnica molto efficace che ha come scopo l’eliminazione dal plasma
gli auto-anticorpi (quando giocano un ruolo importante nella patogenesi della malattia) tramite un
macchinario che filtra il sangue rimuovendoli. Infine una serie di farmaci anti-infiammatori tra cui i
cortisonici, la ciclosporina, l’azatioprina (altri farmaci citotossici).
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