ESERCITAZIONI DI ECONOMIA POLITICA (programma di MICROECONOMIA) anno accademico 2012 – 2013 seconda parte Per domande, dubbi o chiarimenti scrivere a: [email protected] 1 1. IMPORTANZA DEI COSTI (MEDI) DI PRODUZIONE In mercati perfettamente concorrenziali, il confronto tra costi (medi) di produzione e il prezzo di mercato (cioè il ricavo medio delle imprese) è di cruciale importanza. Il rispetto della condizione di massimizzazione del profitto (prezzo = costo marginale), di cui si parlerà in dettaglio più avanti, infatti, non esclude che l’impresa possa essere non redditizia o costretta a uscire dal mercato. L’impresa è non redditizia quando il costo totale (CT) è maggiore del ricavo totale (P∙Q), cioè l’impresa sopporta delle perdite anziché avere profitti: P ∙ Q – CT < 0, cioè P ∙ Q < CT dividendo ambo i membri per Q si ricava la seguente condizione finale: P < CT/Q L’impresa è non redditizia se per ogni livello di Q il prezzo è inferiore al costo medio totale. Il profitto unitario, infatti, è calcolato come differenza tra prezzo e costo medio totale. Inoltre, può accadere che all’impresa convenga cessare l’attività e uscire dal mercato, al fine di non incorrere in perdite più elevate. Poiché il costo fisso è di fatto irrecuperabile, All’impresa conviene uscire dal mercato se per ogni livello di Q, il costo medio variabile è superiore al prezzo. Non ha senso, infatti, continuare a produrre se l’impresa non riesce nemmeno a coprire i costi variabili. Esercizi di riepilogo 1. 2 2 Sia CT = 10 + Q il costo totale, dove 10 è il costo fisso e Q è il costo variabile. Si determini: (a) Il costo marginale, il costo medio totale, il costo medio variabile; (b) Il prezzo di mercato, il prezzo al di sotto del quale l’impresa non è redditizia, e il prezzo al di sotto del quale l’impresa è costretta ad uscire dal mercato, per Q = 5; (c) il punto di minimo della curva del costo medio totale. ∗ Risp. Il costo marginale è la derivata del costo totale rispetto a Q, cioè 2Q (crescente quindi in Q). Il costo medio totale è pari al costo totale diviso la quantità: ∗ 10 + Q 2 10 = + Q (andamento Q Q Facoltativo. 2 ambiguo, poiché il primo termine, il costo medio fisso è decrescente in Q, mentre il secondo, il costo medio variabile è crescente in Q. Il costo medio variabile è pari al costo variabile diviso la quantità, cioè Q (crescente in Q). Per Q = 5, si ha che il costo marginale è pari a 2Q = 10, quindi, dalla regola di massimizzazione del profitto si ricava che anche il prezzo di mercato deve essere pari a 10. Il costo medio totale è pari invece a (10/5) + 5 = 7; quindi, il prezzo al di sotto del quale l’impresa non è redditizia è appunto 7. Infine, il costo medio variabile è 5, quindi, il prezzo al di sotto del quale l’impresa è costretta ad uscire dal mercato è 5. Derivando la curva del costo medio totale rispetto a Q e ponendola uguale a zero si trova il punto di minimo della curva che corrisponde al valore di Q in cui la funzione cambia segno: d 10 10 + Q = − 2 + 1 dQ Q Q poiché − 10 10 ≡ 10 ⋅ Q −1 e la derivata di 10 ⋅ Q −1 rispetto a Q è pari a (− 1) ⋅ 10 ⋅ Q −2 ≡ − 2 . Q Q 10 10 + 1 = 0 ⇒ 1 = 2 ⇒ Q 2 = 10 ⇒ Q = 10 = 3.16 2 Q Q In sostanza, per valori superiori a Q = 3.16, la curva è crescente; mentre, per valori inferiori a Q = 3.16, la curva è decrescente (proprio come mostrato nel grafico). La prova può essere effettuata scegliendo un valore maggiore di 3.16 e uno inferiore a 3.16. Per Q = 4 si ha che: d 10 10 + Q = − 2 + 1 = 0.375 dQ Q 4 Per Q = 2 si ha che: d 10 10 + Q = − 2 + 1 = −1.5 dQ Q 2 Risulta così spiegato il classico andamento ad “U” della curva del costo medio totale. 2. Sia Prezzo = 8, Quantità = 5, Costo Fisso = 5; Costo Variabile = Q2 = 25. Si calcoli con riferimento ad un mercato di concorrenza perfetta: a) il Costo totale (5 + 25 = 30); b) il Ricavo (5 ∙ 8 = 40); c) il Ricavo medio e quello marginale (8); d) il Profitto (40 – 30 = 10); e) il costo medio totale (30/5 = 6), 3 il costo medio variabile (25/5 = 5) e il costo medio fisso (1); f) il costo marginale (2Q). g) l’impresa è redditizia ? (Si, poiché 8 > 6) h) all’impresa conviene uscire dal mercato (No, poiché 8 > 5). 2. MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO Ogni agente economico (razionale), sia esso consumatore o produttore/venditore, pone in essere le proprie decisioni sulla base dei costi e dei benefici associati alla scelta in questione. In particolare, egli deciderà di svolgere (o meglio di continuare a svolgere) una determinata attività economica se e solo se il beneficio marginale corrispondente è positivo o nullo (cioè pari al relativo costo marginale). Nel caso del consumatore, il beneficio marginale altro non è che l’utilità marginale, cioè l’utilità derivante dal consumo di un’ulteriore unità di bene. Nel caso del produttore/venditore, il beneficio marginale altro non è che il ricavo marginale, cioè il ricavo derivante dalla vendita di un’unità aggiuntiva di prodotto. Dal lato dell’offerta, esiste una regola analoga a quella della spesa razionale (sul problema del consumatore si vedano gli appunti precedenti) che consente all’impresa di massimizzare i profitti derivanti dalla vendita: Rmg = Cmg (1) dR / dQ = dCT / dQ → Q* In sostanza, la regola della massimizzazione del profitto ci dice che l’impresa massimizza il profitto, quando sceglie il livello di produzione (ottimo) Q*, tale per cui il ricavo marginale Rmg (la derivata del ricavo totale rispetto a Q, cioè dR / dQ) è esattamente pari al costo marginale Cmg (la derivata del costo totale rispetto a Q, cioè dCT / dQ). Tale regola è assolutamente generale e si applica sia in un contesto di mercati perfettamente concorrenziali che in mercati caratterizzati da una qualche inefficienza (monopolio, presenza di imposte e/o esternalità). In particolare, in caso di mercati perfettamente concorrenziali, la formula (1) può essere riscritta come: Prezzo = Cmg In concorrenza perfetta, il ricavo marginale altro non è che il prezzo fissato dal mercato (e che ogni singola impresa prende come dato e non può modificare). Dall’equazione del ricavo totale, con P dato, R = P ∙ Q, infatti, si ricava che d(P ∙ Q) / dQ = P. 4 In monopolio, invece, la precedente condizione non vale più dal momento che il monopolista può modificare il prezzo al fine di incrementare i ricavi. In particolare, è possibile mostrare che il prezzo in mercati non concorrenziali è sempre maggiore del ricavo marginale. Sia P(Q) la già nota curva di domanda inversa che in qualche modo limita il potere/le scelte del monopolista: il monopolista, infatti, può decidere di aumentare il prezzo ma così facendo i consumatori ridurranno la quantità domandata.1 Dall’equazione del ricavo totale R = P(Q) ∙ Q, usando la regola di derivazione di un prodotto tra funzioni, ora si ricava che dR / dQ = [dP(Q) / dQ] ∙ Q + P(Q). Poiché il segno di dP(Q) / dQ è negativo, si ricava che Rmg < P, quindi, se vale Rmg = Cmg, P > Cmg e, di conseguenza, la quantità ottima in monopolio è inferiore a quella di concorrenza perfetta e il prezzo è più alto. In sostanza, quando P = Cmg, Rmg < Cmg, di conseguenza il monopolista avrà interesse a ridurre la quantità prodotta al punto in cui Rmg = Cmg.2 La differenza è definita come la perdita secca di efficienza derivante dal monopolio. Monopolio e Concorrenza perfetta Esercizi 1. Sia P = 10 il prezzo in un mercato di concorrenza perfetta e Q = 16 – P la curva di domanda fronteggiata da un monopolista. Si ipotizzi, infine, che il costo marginale sia uguale in entrambi i mercati e pari a Cmg = 2Q. Si determini la perdita di produzione derivante dal monopolio. Risp. Al fine di determinare la perdita secca, occorre determinare i livelli ottimi di Q in entrambi i mercati. Per la concorrenza perfetta si ha che: 10 = 2Q, cioè Q*CP = 5. Per il monopolista, dalla curva di domanda si ricava la curva di domanda inversa P = 16 – Q, ottenendo la seguente funzione del ricavo totale: (16 – Q) ∙ Q = 16Q – Q2. Di conseguenza, il Rmg è pari a 16 – 2Q. Il livello ottimo in monopolio è, quindi, dato dalla seguente uguaglianza: 16 – 2Q = 2Q, cioè Q*M = 4, con un prezzo ovviamente più alto pari a P*M = 16 – 4 = 12. La perdita di produzione è dunque pari a 5 – 4 = 1. 1 Il monopolista può in realtà scegliere di fissare il prezzo e lasciare che la quantità di equilibrio sia determinata dalla curva di domanda dei consumatori. Tuttavia, al fine di rendere omogenea la trattazione, si considera solamente il caso in cui anche il problema del monopolista si concretizza nella scelta della quantità di equilibrio. 2 L’equilibrio di concorrenza perfetta è l’ottimo paretiano, rappresenta cioè la soluzione ottima (ideale) per quanto riguarda l’allocazione delle risorse. In sostanza, si tratta di una situazione in cui non è possibile migliorare la situazione di un soggetto economico senza peggiorare quella di un altro. Per questo motivo l’equilibrio di concorrenza perfetta viene preso come modello di riferimento per valutare l’inefficienza delle altre forme di mercato. 5 2. Con riferimento all’esercizio precedente, si determini: a) il costo totale, il costo fisso e il costo variabile; b) il ricavo medio e marginale per entrambi i mercati; c) l’indice di Lerner. Risp. Poiché Cmg = 2Q, allora CT = Q2 (il costo marginale è la derivata del costo totale rispetto alla quantità prodotta). Di conseguenza, il costo fisso è pari a zero e il costo variabile coincide con il costo totale. In concorrenza perfetta ricavo medio e ricavo marginale coincidono con il prezzo di mercato: poiché il ricavo è P ∙ Q, allora dP/dQ = (P ∙ Q) / Q = P. In regime di monopolio, invece, il ricavo medio è sempre pari al prezzo ma il ricavo marginale è inferiore a P (infatti P = 12 e Rmg = 8). Essendo l’indice di Lerner dato da: (prezzo – costo marginale) / prezzo, è pari a zero nel caso di concorrenza perfetta (le imprese non hanno potere di mercato e scelgono un livello di produzione tale per cui il prezzo eguaglia il costo marginale). Nel caso del monopolio, invece, si ha che (12 – 2 ∙ 4) / 12 = 0,34. 3. Sia P = 2Q la curva di offerta di mercato e P = 16 – Q la curva di domanda (inversa) di mercato. Si determini la perdita di surplus e la quota di surplus sottratta al consumatore in caso di monopolio. Risp. Per poter risolvere l’esercizio, occorre in primo luogo determinare prezzi e quantità di equilibrio in concorrenza perfetta e in regime di monopolio. In concorrenza perfetta, prezzo e quantità sono ottenuti eguagliando domanda e offerta di mercato: 16 – Q = 2Q → 3Q = 16 → Q = 5,3 e P = 10,7. Per il monopolista ciò che conta è il proprio ricavo marginale: dR/dQ = (16 – Q) ∙ Q = 16Q – Q2 → Rmg = 16 – 2Q. Il livello ottimo in monopolio è dunque pari 16 – 2Q = 2Q, cioè Q*M = 4 (intersezione tra curva di offerta e ricavo marginale) con un prezzo P*M = 16 – 4 = 12 (ottenuto sostituendo la quantità ottima nella curva di domanda inversa). Infine, il Rmg è pari a 16 – 2Q = 8. A questo punto, graficando il tutto, 6 è possibile determinare la perdita di surplus totale (l’area in grigio) = [(12 – 8) ∙ (5,3 – 4)]/ 2 = 2,6 e la quota di surplus sottratta al consumatore dal monopolista (area in celeste) = (12 – 10,7) ∙ (4 – 0) = 5,2 Il fatto che in monopolio la quantità è inferiore e il prezzo superiore a quello di concorrenza perfetta (l’ottimo paretiano) determina questa doppio esito negativo. Beneficio e costo marginale sociale e benefici e costi esterni (esternalità) Si supponga esista un’esternalità negativa (inquinamento) prodotta da un’impresa che determina un costo marginale sociale pari a 2Q. L’impresa, però, tiene conto solo del proprio costo marginale privato pari a 3Q. Supponendo che il ricavo marginale dell’impresa sia pari a 15 e che non vi siano benefici esterni, determinare la quantità di produzione ottima scelta dall’impresa e la quantità socialmente ottima. Si produce di più o di meno di quello che sarebbe socialmente desiderabile ? Suggerimento: Come la condizione di massimizzazione del benessere individuale è data dall’uguaglianza tra beneficio marginale privato (il ricavo marginale dell’impresa) e costo marginale privato, così la massimizzazione del benessere sociale (dell’intera collettività) è dato dall’uguaglianza tra beneficio marginale sociale e costo marginale sociale. Il beneficio (costo) marginale sociale è dato dalla somma dei benefici (costi) privati ed esterni, questi ultimi dovuti a esternalità. In assenza di esternalità, quindi, benefici (e costi) marginali privati e sociali coincidono. Risposta: La quantità di produzione ottima scelta dall’impresa è 15 = 3Q, con Q* = 5; mentre quella socialmente ottima, che tiene conto anche dell’esternalità negativa è (15 + 0) = 2Q + 3Q, con Q*= 3; di conseguenza, si produce più di quello che sarebbe stato ottimale dal punto di vista sociale (5 – 3 = 2) considerando che l’impresa produce anche inquinamento. 7 Bene pubblico Sia Cmg = 5 il costo marginale di produzione di un bene pubblico. Il beneficio marginale (decrescente) derivante dalla produzione del suddetto bene per i soggetti A e B che compongono l’intera collettività è pari, rispettivamente, a 3 – Q e 7 – Q. Si determini la quantità ottimale da produrre del bene pubblico. Perché è possibile che il bene non venga prodotto (c.d. problema del free-rider) ? Suggerimento: La condizione di ottimo per la produzione di un bene pubblico è analoga a quella di un bene privato e prevede che il costo marginale sia uguale a(lla somma de)i benefici individuali. Risposta: La quantità ottima di bene pubblico da produrre è dunque pari a 5 = 3 – Q + 7 – Q, con Q* = 5/2. Se entrambi gli individui (A e B), convinti che il bene pubblico sarà comunque prodotto, dichiarassero – al fine di non pagare il costo che dovrebbe essere commisurato al beneficio marginale ricevuto – di non ricevere alcun beneficio/godimento dalla produzione del bene pubblico, si avrebbe che 5 = 0 + 0, cioè con Q* = 0. 8