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Federica Rosellini: Noi siamo tutti coloro che abbiamo
amato e perso, noi portiamo testimonianza. Ed è giusto
che il passato ci abiti.
13/05/2015
Il Teatro Tordinona ha reso protagonista la drammaturgia ispirata all’Hamlet di William Shakespeare ospitando lo
spettacolo HAMLETOPHELIA, scritto e diretto dal bravissimo Luca Gaeta.<o:p />
Come spiega il regista, la drammaturgia dello spettacolo è contaminata dall’utilizzo di altre forme artistiche, la video-arte,
la pittura e la musica, per esasperare il concetto di possibilità di scelta, e per rafforzare così la fuga da essa, e per
moltiplicare l’effetto dell’isolamento sui protagonisti.<o:p />
Amleto, interpretato da Massimiliano Vado, resta un eterno bambino, relegato in un ovattato kindergarten, in cui oggetti,
odori e sapori rievocano lo stato infantile che il protagonista non riesce a superare. Ophelia, portata in scena dalla
giovane Federica Rosellini, accompagna e asseconda Amleto nella sua follia ma c’è un tragico destino che la attende.
L’origine dei mali di Amleto si nasconde nell’infanzia, dove un unico personaggio aveva accesso alla sua serenità, il
buffone di corte Yorick, interpretato da Salvatore Rancatore. Il giocattolo mancante che con una sorta di flash-foward
dall’aldilà ci racconta l’esistenza ancora da compiere e i perché irrisolti del protagonista.<o:p />
Il nostro art magazine incontra la protagonista femminile Federica Rosellini, vincitrice del prestigioso premio “Hystrio
alla vocazione” nel 2011.
Federica raccontaci qualcosa in più del tuo personaggio Ophelia..
Innanzitutto voglio ringraziarvi per questa intervista. Grazie per il vostro interessamento al mio e al nostro lavoro. Passando alla
tua domanda, tutti i grandi personaggi, ed i personaggi di Shakespeare sono grandi personaggi, sono sempre una sfida e allo
stesso momento una trappola. Quando ci si trova a confrontarsi con tanta bellezza e complessità il rischio è altissimo. Quando ho
iniziato a parlare con Luca Gaeta di questo personaggio partivamo da posizioni diverse: le donne guardano alle donne con occhi
lontani da quelli maschili, è inevitabile. Ma è stato interessante provare ad aderire ad un disegno registico che vedeva Ophelia
come una groupie melanconica, come una creatura “incastrata”, come un’ombra che tenta di emanciparsi dalle altre ombre che
ancora la perseguitano dopo la morte.
Molto significativo è l’allestimento scenico: la stanza di Amleto potrebbe essere la stanza di qualsiasi bambino di oggi:
piena di ogni cosa dal PC ai giocattoli. Eppure il senso che pervade Amleto e forse anche parte dei giovanissimi di oggi
è proprio la noia. Si ha tutto troppo presto?
Non credo che la questione sia avere o non avere tutto troppo presto. Credo, ma è solo un’opinione personale, che la noia e
l’horror vacui siano in questo momento uno stesso mostro, a due teste. Viviamo in un mondo che continuamente ci stimola, che ci
vuole sempre performativi e se non sei performativo sei, per usare un gergo un po’ giovanilistico, out. Siamo sempre più incapaci
di stare soli, seduti in una stanza, con le mani nelle mani ed i nostri pensieri annidati fra i nostri capelli. Più che una generazione
annoiata siamo, forse, una generazione che non sostiene la noia. Non parliamo sempre e solo della noia con accezione negativa,
la noia è anche un tempo franco, può essere, ed a teatro per esempio è giusto che lo sia, rivoluzionaria.
HAMLETOPHELIA pone l’attenzione sulla negazione del presente ed il rifugio nel ricordo. Francesca, sei una ragazza che
guarda avanti sempre o ti è mai capitato di rifugiarti in un ricordo?
Non sono così brava a guardare in avanti. Per niente. Sono sempre stata una bambina “vecchia”. Quando ero piccola andavo in
giro per casa con una foto di una cara amica di mia madre che non conoscevo e dicevo a tutti: “io ero così quando ero grande”.
Penso di essere una persona feroce e malinconica e di essere feroce proprio perché sono malinconica. Perché nei ricordi non
trovo rifugio, ma mi eccedono. Perché il passato non abita in un altro luogo, ma accade continuamente. Noi siamo tutti coloro che
abbiamo amato e perso, noi portiamo testimonianza. Ed è giusto che il passato ci abiti.
Sei giovanissima ma hai già un buon bagaglio di esperienze. Come ti sei avvicinata al teatro?
Ero una bambina molto estroversa – come si cambia - una rompi… di prima categoria. Amavo recitare poesie eccetera, dicevo
che avrei fatto l’attrice da grande, ma in fondo credo che non l’avrei fatta davvero. Sono convinta che alla fine avrei scelto di fare
medicina, sì, neurologia. Ne sono certa. Poi alle scuole medie ho incontrato una persona che ha cambiato la mia vita. Oddio,
sembra plateale, ma non saprei dirlo diversamente. E’ stata un modello, una guida, è stata un po’ un amore. E poi questa persona
è venuta a mancare, improvvisamente. E io sono rimasta incastrata. Il teatro era ciò che più ci univa. E quando si spengono le luci
in sala il tempo si ferma e non sai più chi c’è e chi se n’è andato. La mia non è una vocazione, semplicemente non avrei potuto
fare nient’altro che quello che faccio ora.
Hai lavorato con grandi attori e registi come Matteo Tarasco in “Troiane” da Euripide, Metamorfosi da Ovidio, Luca
Ronconi ne “I beati anni del castigo” di Fleur Jaeggy, Pier Paolo Sepe in Corsaro Nero di Emilio Salgari, con Carmelo
Rifici in Giulio Cesare di William Shakespeare, con Monica Conti in La mite di Dostostoevskj e con Gianfranco De Bosio
in Compianto delle Vergine di Jacopone da Todi. Ti dedicherai anche al cinema o preferisci il contatto live con il
pubblico?
Mi piacerebbe molto poter avvicinarmi anche al cinema, è un mondo che sto imparando a conoscere e apprezzare. Spero di
poterne avere presto la possibilità.
Parlaci della Compagnia Teatrale Expersona della quale fai parte.
Ho fondato la compagnia Expersona nel <st1:metricconverter productid="2009, a" w:st="on"> 2009, a </st1:metricconverter> 19
anni, compagnia della quale sono stata attrice, per un periodo, e soprattutto regista. Abbiamo fatto molti spettacoli,
prevalentemente nel Nord Italia, da “From Medea” di Grazia Verasani a “Fuochi” della Yourcenar, fino ad esperimenti di
drammaturgia come “Made in Japan”, una collezione di monologhi tratti da racconti di autori giapponesi contemporanei. Dal 2012
è iniziata la nostra collaborazione con Francesca Manieri, bravissima sceneggiatrice e drammaturga, e con lei ho scritto a quattro
mani “HOTEL A.”, libero adattamento dalle fiabe di Andersen, “APOCALITTICA AIRLINE” e abbiamo ideato “POLKA DOTS”, uno
spettacolo ispirato all’opera e alla vita di Francesca Woodman, di cui firmo la regia e che andrà in scena il 28 maggio al Teatro
dell’Orologio per il Festival ALL IN (posso approfittarne per farci un po’ di pubblicità?). Da quest’anno la compagnia Expersona
verrà inglobata nella nuova compagnia che abbiamo fondato con Francesca Manieri: ARIEL dei MERLI.
Ho letto che sei secondo violino e cantante solista dell’Orchestra Giovanile La Rejouissace. Il tuo futuro lo immagini su
un palco accarezzando corde di violino o recitando?
L’esperienza con l’Orchestra giovanile la Rejouissance è stata ed è una delle più significative nel mio percorso. La collaborazione
con Elisabetta Maschio, direttrice nonché anima dell’orchestra, è più che mai viva. A luglio con ARIEL dei MERLI saremo ad Asolo
con un nuovo spettacolo, al teatro Duse, ospite della rassegna Gioie Musicali organizzata, appunto, dalla Maschio e a settembre
con la Rejouissance riprenderemo il “Rockquiem” di Mozart-Wurtz , incredibile commistione di musica classica e rock-metal, di cui
sono una delle quattro voci soliste. Detto questo, credo che il teatro abbia il dono di ospitare ed inglobare in sé tutte le arti, e, per
quanto mi riguarda, più un attore è poliedrico, più è affascinante. Per esempio, Cristina Gardumi, che sarà nostra attrice in
“BIGODINI (OH, MARY)” è anche una bravissima artista visiva. Questa commistione la rende particolarissima e interessante.
All'inizio del XVII secolo la satira politica venne scoraggiata e i drammaturghi vennero puniti per i lavori “offensivi”.
L'ambientazione in Danimarca, infatti, fu un espediente di Shakespeare per poter fare satira politica sfuggendo alla
censura del regno inglese. Ritieni oggi il Teatro libero da ogni forma di censura?
Ormai temo la censura si sia raffinata, che la satira politica sia diventata strumento della pubblicità.
Parliamo di attualità ed in particolare dell’emergenza clandestini. Il Veneto si sta mobilitando per non ospitare profughi,
addirittura si sono coalizzati i sindaci del PD e della Lega Nord per evitarlo. Da trevigiana come ti poni dinanzi a questa
presa di posizione?
Non ho parole. Trovo questa informazione veramente triste.
Del nostro Premier e delle riforme sul lavoro che sta apportando invece che idea hai?
Temo sia un uomo con poco rispetto della democrazia, arrivato a liberare la sinistra dai suoi spettri e purtroppo da se stessa.
Siamo nell’era digitale e la comunicazione è molto più facile ed immediata attraverso un social network piuttosto che vis
à vis. Viviamo in un mondo dove tutti andiamo troppo di fretta o è solo una moda del momento?
Mi sa che parlando della noia, ho risposto un poco anche a questa domanda. Non me ne intendo troppo di social, ho facebook, ma
lo uso prevalentemente per lavoro. E’ un modo funzionale per promuovere le proprie iniziative e un modo per raggiungere molte
persone in poco tempo, ma per il resto ammetto di non sapere quasi come funzionino twitter, instagram ecc.
Federica, dal 19 al 31 maggio sarai ancora al Teatro dell’Orologio con lo spettacolo Bigodini. Ti va anticiparci qualcosa
sul personaggio che porterai in scena?
BIGODINI (OH, MARY) è un libero adattamento dal “Frankenstein” di Mary Shelley, firmato da Francesca Manieri e da me. Lo
spettacolo lavora sulla sovrapposizione tra l’esperienza biografica di Mary Shelley e quella narrativa del protagonista del romanzo,
lo scienziato Victor Frankenstein. Entrambi condividono un lutto primigenio: la morte della madre. Non molti sanno infatti che la
madre di Mary Shelley, Mary Wallstoncraft, figura di spicco all’interno del panorama culturale dell’Inghilterra dell’epoca, morì nel
darla alla luce. Io incarnerò appunto Victor-Mary adulta, una creatura melanconica e fragile, ossessionata dal pensiero di essere
portatrice di morte (Mary Shelley restò più volte incinta e, un destino infausto le fece perdere prima del parto o subito dopo tutti i
suoi bambini incrementando l’idea dolorosa e insopportabile di essere lei stessa il veicolo perenne di quella reiterata tragedia),
incastrata in un limbo tenero e straziante che è un perpetuo inseguirsi con la sua Creatura, ovvero Se Stessa Bambina, ovvero
tutti coloro che nella vita ha amato e perso.
Sara Grillo
Ph Giorgia Lucci
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