NEUROSCIENZA E LIBERO ARBITRIO Sommario

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NEUROSCIENZA E LIBERO ARBITRIO
Sommario: 1. Introduzione. I. LA FONDAZIONE DEL
LIBERO
ARBITRIO
NELLA
FILOSOFIA
INTELLETTUALISTICA. 2. La motivazione metafisica del libero
arbitrio. - 3 La separazione della mente dal cervello. -4. Segue. II. LA
NEGAZIONE DEL LIBERO ARBITRIO. -5. L’anima umana
nel contesto della visione atomistica dell’esistente. -6. Il “servum arbitrium”
nella teologia cristiana. -7. La responsabilità penale nella civitas hominis
III. LA MATERIALIZZAZIONE DELLA MENTE UMANA
AD OPERA DELLA NEUROSCIENZA 8. Il nichilismo come
quadro culturale di riferimento della neuroscienza. -9. La reificazione della
mente umana. -10. Dall’etica alla neuroetica, ovvero, la fondazione dell’etica
neuronale, la relativizzazione del libero arbitrio. IV. I LIMITI DELLA
NEUROSCIENZA 11. La delegittimazione della scienza ad opera del
nichilismo. La riduzione della scienza a tecnica. La neuroscienza come
tecnica. -12. Limiti della metodica sperimentale impiegata dalla
neuroscienza.
-13.
L’autocoscienza
V.
IL
PROFILO
RICOSTRUTTIVO -14. La priorità del pensiero rispetto al cervello: il
pensiero deriva dal pensiero. -15. Libero arbitrio e responsabilità penale.
1. — Introduzione
L’articolo che segue è stato occasionato da una
relativamente recente pubblicazione (1) il cui pregio risiede
nell’aver sottoposto agli studiosi del diritto, ma non solo, il
problema del libero arbitrio riguardato sulla base delle risultanze
messe a disposizione dalla neuroscienza, il cui orientamento
dominante è nel senso della sua inesistenza o di una sua valenza
marginale.
La responsabilità penale, tradizionalmente, si basa su due
principi. Il primo, si risolve nella affermazione dell’esistenza del
libero arbitrio, della capacità, specificamente umana, di scegliere i
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comportamenti da tenere. Il secondo, esprime la necessità della
preesistenza di una norma che prescriva un comportamento
vietando quello opposto.
Se il primo difetta, la responsabilità penale si dimensiona di
conseguenza. La messa in discussione della presenza del libero
arbitrio, non più relazionata all’età e neppure a particolari
affezioni patologiche, destituisce di fondamento l’etica e di
conseguenza anche il fenomeno giuridico come tradizionalmente
intesi.
Appare, dunque, necessario misurarsi con la neuroscienza
onde valutare l’attendibilità delle sue pregiudiziali nei riguardi
della libertà umana (2).
L’articolo si suddivide in quattro parti. Nella prima,
brevemente, si individuano i fondamenti sia della affermazione
che della negazione del libero arbitrio nel quadro del pensiero
tradizionale (§§ 2-7). Nella seconda, si delinea il rapporto tra il
cervello e la mente dal punto di vista della neuroscienza e la
conseguente relativizzazione del libero arbitrio (§§ 8-10). Nella
terza, vengono evidenziati i limiti della neuroscienza (§§ 11-13).
Nella quarta (§§ 14-15), si indicano le linee ricostruttive di questa
problematica assumendo questa stessa relativizzazione, ma
diversamente fondata e capace di conservare il ruolo ordinante
della mente.
I
LA FONDAZIONE DEL LIBERO ARBITRIO NELLA
FILOSOFIA INTELLETTUALISTICA
2. — La motivazione metafisica del libero arbitrio
Nella filosofia intellettualistica classica, l’anima umana, è, al
pari delle altre sub-stantiae, generata, non creata ex nihilo da Dio.
Conseguentemente, essa gli è “congenere” (), in
questo senso, è “divina” (3). Le sub-stantiae sono disposte
gerarchicamente a seconda del grado di partecipazione divina che
esse esprimono, più specificamente, a seconda del grado di
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razionalità posseduto, quindi, anche di indipendenza dalla
influenza della materia.
Poiché la razionalità è attributo divino ed è anche esclusiva
dell’uomo (4), essa, da un lato, fonda una similitudine (similitudo)
specifica tra l’uomo e Dio, dall’altro, un legame parentale
(cognatio) corrispondente: “[la razionalità] è dunque una
somiglianza tra l’uomo e Dio (est igitur homini cum Deo
similitudo). Così essendo, quale parentela (cognatio) vi potrebbe
essere più stretta e più certa?” (5).
La agnatio (cognatio) che lega l’uomo a Dio, la conseguente
parentela che si stabilisce tra tutti gli uomini, l’unicità della
substantia umana, il principio di uguaglianza degli uomini che ne
deriva, consentono di intendere la ratio del precetto: “alteri
detrahere sui commodi causa, contra naturam esse” (6). Il valore
giuridico, così espresso, è sintetizzato dall’alterum non laedere (D. 1,
1, 10, 1) (7).
Dal fatto che l’anima umana sia pars Dei, discende anche che
essa è, per natura, buona, discende, pertanto, che essa “non può
peccare” (  ) (8).
In questa visione, il male morale non ha realtà ontologica.
Esso è un non essere, è, come si esprimono i filosofi, una privatio
boni (9), una mancanza, appunto, di bene (10). In altri termini,
ciascun uomo è un bonum, ma, al tempo stesso, un bonum
limitatum. Il male, allora, può solo essere il bene di cui egli manca,
“come il buio non esiste in se stesso, ma si dà per assenza di
luce” (      
   ) (11).
Tale visione è sintetizzata dal brocardo “malum nihil est”
12
( ).
Il male morale è, allora, il frutto dell'errore (13), in quanto
tale evitabile. E’ così fondato il libero arbitrio, il cui concetto è
reso, nella lingua latina, con il termine facultas (14). Sulla sua base,
si introduce la nozione giuridica di culpa (e, quindi, anche del
dolo): “Culpam autem esse, quod, cum a diligente provideri
poterit, non esset provisum” (D. 9, 2, 31); “definitur culpa
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iuridica, ut sit deviatio ab eo, quod bonum est, et per hominum
diligentiam privideri potest” (15).
3. — La separazione della mente dal cervello
La filosofia intellettualistica classica introduce la distinzione
tra quella parte dell’anima che è connessa alla corporeità e l’altra
che ne è separata e posta, nei suoi confronti, in una posizione
gerarchicamente sovraordinata: “Perciò quella parte dell’anima
ove hanno sede i sensi, il movimento, le passioni non può
concepirsi separata dal corpo; mentre quella ove si trovano
intelletto e ragione tanto più dimostra la sua vivida luce quanto
più si distacca dal corpo” (16).
La prima, è definita come anima irrazionale, la seconda,
come anima razionale. L'anima irrazionale si divide in anima
vegetativa che, in quanto tale, non può venire in
considerazione sotto il profilo etico essendo comune a tutti i
viventi e non esclusiva dell'uomo, essendo, inoltre, sottratta
al governo della ragione (17).
L'ulteriore parte dell'anima irrazionale, soggetta, invece,
al controllo della ragione (rationale per participationem), è costituita
dall'appetito
sensitivo
(appetitus sensitivus), ovvero, dalle
passioni (passiones), appetito che, a sua volta, si suddivide in
quello concupiscibile e in quello irascibile (18).
L’uomo, dunque, percepisce se stesso come una macchina
biologica governata da leggi fisiche, ma anche come attività
spirituale indipendente dalla corporeità () e capace di
influenzarne lo svolgimento (19).
Per quanto riguarda specificamente il cervello, esso è inteso
come organo strumentale di questa quiddità spirituale. Un
organo fisico capace di riflettere su se stesso, di trascendere se
stesso, è un non senso. Sarebbe, un po’, come dire che il sole
illumina se stesso, che la mano afferra se medesima e così di
seguito.
Il fatto, pertanto, che la mente sia capace di autoriflessione,
che, così facendo, riscontri la presenza dei prima principia
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speculativa e dei prima principia moralia (20), di principî che sono
indimostrabili ricorrendo all’attività neuronale, induce a
concludere che “Il pensare è identico ai pensieri” (21).
“L’anima si muove da sé”, è , è “ [...]
”, “principio del movimento”, vale a dire, ha in sé
stessa i principî che ne informano l’attività (22). In ciò il suo libero
arbitrio.
Tutte le cose materiali sono mosse da un qualcos’altro, ma
con riferimento all’anima di questa induzione causativa non c’è
traccia (23).
I pensieri non possono essere materiali poiché,
diversamente, sarebbero grandezze fisiche, ciò che non può
essere. Essi, infatti, “costituiscono un’unità per consecuzione,
come il numero, non come la grandezza. Pertanto l’intelletto non
è un continuo in quest’ultimo modo ma è o completamente
senza parti o è continuo ma non come una grandezza. E come
penserà se è una grandezza? Con tutta la sua totalità o con una
qualunque delle sue parti?” (24).
4. — Segue
Questa concezione viene ripresa dall’Illuminismo, da quella
sua componente che si richiama al deismo. Il libero arbitrio non
forma oggetto di una specifica trattazione, la sua esistenza è
presupposta, è una verità per sé evidente, è un assioma. Su di
esso si sviluppa il giusnaturalismo illuministico a partire dal suo
fondatore, Ugo Grozio che, infatti, definisce la giustizia come
“dictatum rectae rationis, indicans actui alicui, ex ejus
convenientia aut discovenientia cum ipsa natura rationali ac
sociali, inesse moralem turpitudinem, aut necessitatem
moralem” (25).
5
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II
LA NEGAZIONE DEL LIBERO ARBITRIO
5. — L’anima umana nel contesto della visione atomistica
dell’esistente
La tesi modernamente sostenuta dalla neuroscienza non è
nuova trovando, per stare agli archetipi più noti, nel materialismo
di Leucippo, di Epicuro e di Lucrezio il proprio fondamento
remoto (26). Secondo questa filosofia, l’esistente sarebbe
costituito da atomi, di numero infinito, eterni e, quindi, increati,
eternamente in movimento nello spazio vuoto.
Questa configurazione atomistica e, quindi, materialistica
dell’esistente, riguarda anche l’anima, talché, appunto, “l’animo e
l’anima hanno natura corporea” (27). Inoltre, questa spiritualità
materiale non viene in considerazione per se stessa, ma è un
prodotto della materialità cerebrale: “L’animo è un organo
proprio della persona e sta fisso in una sede speciale, come vi
stanno le orecchie e gli occhi e tutti quegli altri sensi che reggono
la vita” (28).
Dal punto di vista di questa teoresi, il problema del libero
arbitrio non ha una reale consistenza, tutto dipendendo dal
movimento degli atomi (29). Non esistendo una spiritualità
assoluta, quella divina, chiamata ad ordinare la materia, non
esistendo, di conseguenza, una spiritualità umana chiamata, in
virtù del nesso genetico che ad essa la lega, a realizzare la imitatio
Dei, non resta che quel movimento materiale fine a se stesso.
6. — Il “servum arbitrium” nella teologia cristiana
Il cristianesimo innova sia rispetto all’umanesimo
intellettualistico classico, sia, in diversa misura, a quello opposto
indotto dal materialismo.
In questo diverso contesto, l’essere umano non è più
generato dal Dio-Uno, ma dal Dio trinitario (30). Egli, inoltre,
non è più de ipso, ma è ex ipso (31), vale a dire, è creato dal nulla (ex
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nihilo) ed è composto di anima e corpo (“Corpore et anima
unus”) (32).
La derivazione dal nulla sta a significare che l’anima non è
più pars Dei, donde il corrispondente scadimento della sua
somiglianza a Dio (“Inter creatorem et creaturam est maior
dissimilitudo quam similitudo”) (33).
Inoltre, la caduta adamitica priva l’uomo di un libero
arbitrio capace di renderlo esente, per quanto umanamente
possibile, dal peccato. Questa situazione è espressa dall’apostolo
Paolo esclamando: “non quod volo bonum hoc ago, sed quod
nolo malum hoc facio” (Rm 7, 15; 7, 18; 7, 21-23; 8, 7-8; 2 Cor
12, 7-9; Ga 5, 17); “omnes [...] sub peccato nasci propter
propaginis vitium; et ideo esse sub diabolo, donec renascantur in
Christo” (34).
E’ così introdotto nella cultura occidentale la nozione del
“servum arbitrium”.
Esiste, dunque, l’anima umana, ma non può più essere
considerata separatamente dal corpo e la loro connessione, dopo
la caduta di Adamo, è tale da pregiudicare il libero arbitrio che,
pertanto, non può più essere la fonte della salvezza eterna.
Questo assetto valoriale è superato dal primato della charitas
divina in virtù della quale l’uomo è salvato dal Dio trinitario pur
essendo del tutto privo di meriti alla stregua del Decalogo (Rm 3,
28; Rm 3, 24; Rm 3, 27-28) (“tanta est erga omnes homines
bonitas [Dei], ut eorum velit esse merita, quae sunt ipsius dona”)
(35). Questa charitas, a sua volta, diviene di precetto tra gli stessi
uomini, donde il dovere del perdono incondizionato delle
violazioni del Decalogo (1 Ts 5, 15; Rm 12, 17; 1 Pt 3, 9; 1 Cor
16, 14; Gc 2, 13), ciò che è reso da Agostino (Santo) nei seguenti
termini: “ama [i.e., habe charitatem] et quod vis fac” (36).
Per altro, da ciò non segue che il rispetto della charitas sia
una prerogativa, una conseguenza, del libero arbitrio, che, quindi,
Dio remuneri o punisca a seconda che essa sia stata, o non sia
stata, ottemperata. Se così fosse, sarebbe meritevole della
salvezza eterna colui che vive conformemente a tale valore, ciò
che, invece, non può darsi, poiché la salvezza è un dono gratuito
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del Dio trinitario, mai può ascriversi ad un merito umano (Gc 2,
13).
Le violazioni della charitas non formano oggetto della charitas
divina, non possono, dunque, essere perdonate dal Dio trinitario.
Esse, infatti, contraddicono la sua essenza (“Deus charitas est”)
(1 Gv 4, 16), risolvendosi, così, in quel peccato contro lo Spirito
Santo che è, appunto, irrimettibile (Mt 12, 31-32). In altri termini,
tali violazioni si traducono nella riviviscenza e nella attuazione
del Decalogo, talché il loro perdono da parte del Dio trinitario
varrebbe come remunerazione di un merito acquisito alla sua
stregua, di un merito che, invece, non può in alcun modo darsi.
Conclusivamente, sia in riferimento al Decalogo, sia con
riguardo alla charitas, ciò che viene in considerazione è
l’oggettività delle rispettive trasgressioni, la responsabilità morale
diviene altrettanto oggettiva, il libero arbitrio è compiutamente
obliterato.
7. — La responsabilità penale nella civitas hominis
La teoresi della charitas che si è appena esposta trova
applicazione nella civitas Dei, non anche o, per lo meno, non negli
stessi termini, nella civitas hominis che, infatti, invece di essere retta
da tale valore, è soggetta alla legge positiva e, quindi, alla
correlata responsabilità penale.
Per altro, non potendo, neppure quest’ultima, essere
fondata sul libero arbitrio, essa è la conseguenza di un
comportamento che sia contrario a quello prescritto dalla norma
giuridica (37). La colpa e il dolo non sono più aspetti del libero
arbitrio, ma circostanze che qualificano le modalità della
condotta. Su di esse, unitamente alla tipologia del fatto, si
determina, fondamentalmente, la natura e l’ammontare della
pena. In altri termini, l’essere prevale sul dover essere: “il
principio cristiano, in senso letterale, non è ‘tu devi’, ma ‘tu sei’”
(38).
Ciò non sta a significare la negazione del libero arbitrio (“Si
quis liberum hominis arbitrium post Adae peccatum amissum et
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extrinsecum esse dixerit [...] anathema sit”) (39), sta, invece, ad
indicare che, in riferimento alla legge positiva, i requisiti della
colpa e del dolo, pur essendo presenti, scadono di conseguenza.
Il diritto penale si atteggia, pertanto, alla stessa maniera
delle sanzioni naturali per i comportamenti contrari all’ordine
naturale stesso. Alla natura non interessa l’intenzionalità del
comportamento, ma solo il suo allontanamento dalle sue leggi
mentre le conseguenze negative sono meccanicisticamente
proporzionali alle modalità delle loro violazioni.
Nella visione cristiana un diritto penale rieducativo è, di
conseguenza, una contraddizione in termini.
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III
LA MATERIALIZZAZIONE DELLA MENTE UMANA
AD OPERA DELLA NEUROSCIENZA
8. — Il nichilismo come quadro culturale di riferimento della
neuroscienza
Nel contesto contemporaneo, il nichilismo è divenuto la
filosofia dominante.
Il suo statuto si può considerare sintetizzato dalla formula
“non ci sono fatti, ma solo interpretazioni” (40), dall’affermazione
della “interpretatività di ogni esperienza del vero”, della “storicità
delle aperture entro cui ogni vero può darsi” (41).
La conoscenza, dunque, non è che attribuzione di
significati, non si dà che “il puro arbitrio interpretativo del
filosofo, la sua soggettivissima sensazione rispetto al tempo che
vive (o che esamina)” (42).
Per altro, anche “l’ermeneutica come metateoria del gioco
delle interpretazioni” deve, a sua volta, essere storicizzata
“eliminando”, così, “l’ultimo equivoco metafisico che la minaccia
e che tende a farne una pura filosofia relativistica della
molteplicità delle culture” (43). Essa stessa non è che
interpretazione.
Il nichilismo diviene, per questa via, assoluto, rifiutando
anche di teorizzarsi poiché, così facendo, si tradurrebbe pur
sempre in una verità, sia pure negativa, vale a dire, nella
affermazione della inesistenza della verità. Esso trova, così,
conferma nei termini teorizzati da Cratilo che, infatti, “finì col
credere che non si debba parlare, e muoveva il dito solamente, e
biasimava Eraclito per aver detto che non è possibile immergersi
due volte nello stesso fiume: a suo avviso, neppure una volta è
possibile” (44).
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9. — La reificazione della mente umana
Allo spessore culturale così acquisito dal nichilismo, un
significativo contributo alla sua diffusione proviene dalla
neuroscienza. Per il suo tramite, si ritiene che sia stata caducata la
tradizionale distinzione tra enti fisici ed enti morali, che sia
venuto meno il convincimento secondo cui l’uomo ha natura
dualistica, essendo composto di anima (res cogitans) e di corpo (res
exstensa) (45). L’anima umana non è sussistente ma è una
derivazione della corporeità, il pensiero non è che una
produzione del cervello (46), “minds are brains” (47).
La tesi della presenza della res cogitans viene qualificata come
“the dogma of the Ghost in the Machine”, come “categorymistake”, come “a philosopher’s myth” (48): il “corpo non è più
che un insieme di valvole, setacci, chiuse, ciotole e vasi
comunicanti” (49); “noi [...] siamo composti soltanto da miliardi di
stupidi ingranaggi” (50); “human nature differs only in degree of
complexity from clockwork” (51); “l’ego cartesiano, la coscienza
[...] [diventano] una neurochimica che presto conosceremo” (52);
“l'uomo è attualmente veduto come una entità bio-macchinale,
un vivente che ha comportamenti tutti integralmente spiegabili
nelle combinatorie di flussi di informazioni, omogenei a quelli
che oggi specificano e connettono sistemi biologici e sistemi
informatici” (53).
Per questa via, gli antichi convincimenti della filosofia
materialista (54) tornano ad imporsi come verità scientifiche.
Dalla concezione dualistica dell'uomo si transita, dunque, ad
una visione monistica in cui egli è inteso come res extensa, come
machinery: “Perché il fatto che il pensiero sia una secrezione del
cervello dovrebbe essere più stupefacente che la gravità sia una
proprietà della materia?” (55).
Non è la mente (l’anima) a servirsi del cervello, è
quest’ultimo che regola la mente secondo un rapporto di natura
organica: “Quel che è certo è che la coscienza [...] si sviluppa da
ciò che fa il cervello [...] e non da ciò da cui è fatta” (56); “Quando
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affermiamo che la coscienza può agire sul corpo, sosteniamo che
le strutture neuronali agiscono sul corpo” (57).
Si sarebbe, insomma, in presenza di una seconda
rivoluzione copernicana, avente ad oggetto la relazione tra la
mente ed il cervello.
Compito, pertanto, della neuroscienza è di svelare le “radici
biologiche della mente umana” (58), è “di formulare una teoria
che riesca, in linea di principio, a fornire una spiegazione
completa del comportamento animale e umano nella sua
globalità, compreso il comportamento verbale dell’uomo” (59); “il
nostro problema consiste ormai nella ricerca dei meccanismi cellulari
che permettano di passare da un livello a un altro, di
selezionare[,] quindi di ricostruire gli ‘oggetti mentali’ partendo
dalle attività elementari d’insiemi definiti di neuroni” (60).
Ciò importa che le usuali denominazioni delle molteplici
attività culturali umane vengono ad essere precedute dal prefisso
“neuro”. Si ha, così, il neuro-essenzialismo che studia “la
corrispondenza tra il cervello e l’essenza della persona”; il neurorealismo avente ad oggetto l’“interpretazione dei dati provenienti
dalla ricerca su neuroimmagini”; la neuro-politica riguardante “la
promozione di politiche sociali sulla base delle neuroscienze” (61);
il neuro-diritto (62); la neuro-filosofia (63); in prospettiva, di certo, si
avrà, la neuro-fisica, la neuro-medicina, la neuro-arte, la neuro-musica,
etc., si transiterà alla “neuromania” (64): “Parleremo quindi
sempre meno di esperienze, percezioni, pensieri, credenze,
progetti e scopi, e sempre più invece di processi cerebrali, di
disposizioni a comportarsi e di comportamento manifesto. In
questo modo il linguaggio mentalista passerà di moda e verrà
usato soltanto nelle relazioni storiche oppure metaforicamente o
ironicamente” (65).
Si è in presenza di una visione, presentata come scientifica,
che demanda la soluzione delle problematiche umane ai neuro
scienziati, riguardati come “preti secolari” (66), ciò che induce a
configurare una società di tipo orwelliano.
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10. — Dall’etica alla neuroetica, ovvero, la fondazione dell’etica
neuronale, la relativizzazione del libero arbitrio
Sul piano della filosofia morale e, quindi, della giustizia,
l’apporto della neuroetica è nel senso che la problematica relativa
al libero arbitrio deve essere trattata nei termini dei criteri
deducibili dalla fisiologia del cervello, non diversamente da
quanto accade per qualsiasi altro organo umano, donde la
conclusione: “non siamo agenti del tutto liberi”, il libero arbitrio
non è che una “illusione” (67); donde, ancora, il dovere di
accettare “l’idea che il nostro corpo sia in continua attività,
mosso com’è da sistemi automatici che seguono leggi
deterministiche” (68): “ritengo che il pensiero morale coincida
intrinsecamente, e a tutti i livelli, con le scienze naturali” (69); “la
nostra natura morale è come è perché i nostri cervelli sono come
sono” (70); “noi siamo dei ‘burattini biochimici’” (71).
Non potrebbe, pertanto, darsi un’etica che abbia un rilievo
autonomo, ma solo una neuroetica, vale a dire, un’etica a
fondamento materialistico, in quanto riducibile a pondus, numerus
et mensura. Dall’anima moralmente orientata si transita all’Ethical
Brain (72), alla Neurobiologia della morale (73) e ad alia hujusmodi.
Le ricadute sul piano etico-giuridico possono così essere
sintetizzate: negazione della coscienza (74); negazione del libero
arbitrio (75); negazione dei valori etici (76); possibile tipizzazione
neurologica dei soggetti devianti [da che?] (77), donde ancora la
neuropredizione nei termini della “possibilità di usare dati
neuroscientifici per stabilire la futura pericolosità del reo [...] e
per decidere conseguentemente gli interventi utili per prevenire
ulteriori crimini” (78).
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IV
I LIMITI DELLA NEUROSCIENZA
11. — La delegittimazione della scienza ad opera del nichilismo. La
riduzione della scienza a tecnica. La neuroscienza come tecnica
La scienza moderna, nata da Galileo Galilei, intesa come
finalizzata alla emancipazione dallo stato di ignoranza e, pertanto,
di errore, conseguentemente, diretta alla elevazione della
condizione umana, è ormai decaduta, avendo acquisito natura
strumentale rispetto alle esigenze del sistema capitalistico della
produzione. L’universalismo della scienza è divenuto parte
costitutiva e significante dell’universalismo capitalistico, della
globalizzazione economica e, quindi, politica della società umana.
La scienza non è più espressione della filosofia dell’umanesimo,
non è più al servizio dell’uomo. Essa, integrata nel sistema
economico capitalistico, ne supporta il valore ordinante costituito
dal nichilismo concorrendo, per questa via, alla “distruzione della
filosofia” (79) intesa come conoscenza dell’esistente riguardato
come ordinamento razionale. Sul piano della filosofia della
giustizia questa stessa scienza, contribuendo alla diffusione del
nichilismo, si presta ad indurre il decadimento della teorica della
inherent dignity e dei connessi inherent rights (natural rights), in quanto
ostativi della legge del massimo profitto.
Per bene intendere le implicazioni culturali derivanti da
questa connessione della scienza con il nichilismo, si deve tenere
presente che la scienza è propriamente tale solo in quanto sia
sorretta da una precisa filosofia capace di ricondurre l’esistente
ad una causa movens prima (80), senza cui l’affermazione della sua
razionalità e della sua conoscibilità non potrebbe essere fondata.
Quando si sostiene che “l’ipotesi di Dio, una volta che
vanga accettata, può ‘spiegare’ ogni cosa (nel senso che può
ricondurre ogni evento a una causa sovrannaturale), e proprio
perciò non spiega in termini scientifici, e non predice, nulla” (81),
si fa luogo ad una affermazione che è esatta se con essa si
intende far riferimento all’intervento miracolistico divino che,
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infatti, preclude la sua comprensione in termini scientifici. Ma
non è in questo senso che può essere riguardato il frequente
ricorso all’idea di Dio che si rinviene nella fisica intellettualistica
(ad es. in Galileo, in Newton, in Keplero). Con tale richiamo,
infatti, non si intende spiegare i fenomeni naturali ancora
inesprimibili in termini scientifici, si intende, invece, attestare
che, ciò nonostante, essi sono razionalmente ordinati.
Causalità e casualità non possono essere compresenti, o
vige l’una o l’altra (82). Se esiste una fisica dell’ordine, esiste anche
una causa prima rationalis che la rende possibile. Essa pervade
l’esistente talché le casualità riscontrate dall’uomo nella natura
non sono che apparenze, non sono che conseguenze di una loro
inadeguata conoscenza.
Il transito dalla filosofia deistica al nichilismo priva
l’esistente della sua strutturazione ontologicamente razionale (83),
rendendone impossibile la scienza, donde l’affermazione della
“fisica del chaos” (84).
La scienza, di conseguenza, decade al livello della tecnica,
dell’artigianato sia pure altamente qualificato, cessando, così, di
far parte della filosofia dell’umanesimo. Per questa via, decade
anche la distinzione “tra ‘scienza’ e ‘tecnica’, poiché essa ha senso
quando la scienza ha il compito di rivelare la verità delle cose e la
tecnica quello di applicarla secondo le diverse modalità dell’agire
umano” (85). Perduta la prima funzione, non resta che la seconda.
La scienza, dunque, non è più conoscenza di una verità
oggettiva depositata nella natura. Si fa così luogo ad una certezza
scientifica che è transeunte, ad una certezza che finisce per
coniugarsi con un   privo di una causa initalis e di una
causa finalis e, quindi, privo di senso, in quanto tale
scientificamente inconoscibile.
La crisi della scienza non può non investire la neuroscienza
privandola di quella autorità che altrimenti potrebbe avere.
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12.— Limiti della metodica sperimentale impiegata dalla
neuroscienza
Il rapporto tra il cervello e la mente è trattato dalla
neuroscienza in modo tutt’altro che univoco. Questa circostanza
depone a sfavore della valenza scientifica delle ricerche, ovvero,
ciò che non cambia, incide negativamente sulla loro idoneità a
fondare convincimenti certi. I dati sono raccolti con metodiche
che riflettono la personalità dei singoli scienziati e ne sono,
quindi, significativamente influenzati. Essi formano oggetto di
interpretazione piuttosto che rivelare un loro oggettivo ed
univoco significato (86). Non esiste una metodica comune capace
di uniformare le indagini e di rendere universalmente veridici i
risultati, qualunque essi siano.
Ma non è questo il punto. Il fatto è che la tesi della
derivazione del pensiero dal cervello incontra difficoltà
insuperate. Le modalità della loro correlazione restano, infatti,
sostanzialmente sconosciute poiché non si comprende come la
materia possa produrre il pensiero che, per giunta, reagisce su di
essa facendone oggetto di una riflessione propria ed inducendo
l’acquisizione delle connesse capacità modificative. Un vero e
proprio non senso. In natura, mai l’effetto prevale sulla propria
causa, mai si pone come causa della propria causa riducendola ad
un suo effetto. La neuroscienza non si rende conto che l’indagine
svolta sui neuroni non può essere opera dei neuroni stessi,
ovvero, di un super neurone, ma soltanto della mente, la sola
capace di autocoscienza e, quindi, di autoriflessione.
L’esistenza dei valori etici è un fatto incontestabile. La loro
riduzione, al fine di delegittimarne la provenienza dal pensiero, a
folk psychology, talché le relative prescrizioni sarebbero “quasi tutte
infondate” (87), è semplicistica e, quindi, priva di scientificità. In
ogni caso, questo riduzionismo non incide minimamente sulla
loro presenza, pertanto, è inidoneo a costituirne una spiegazione.
Nessun esperimento neuroscientifico ha evidenziato la
produzione di un solo valore da parte del cervello. Ciò sta a
significare che la loro fonte è altrove. Quando la neuroscienza
16
-148Ter-
sarà stata in grado di provare l’origine neuronale del “neminem
laedere”, ovvero, su tutt’altro piano, del “cogito ergo sum”
cartesiano, vale a dire, allorché, li avrà raccolti spremendoli da un
contesto neuronale, quando, più a monte, avrà dimostrato che la
vita è la corporeità umana talché l’uomo e, più latamente, ogni
vivente, in nulla differiscono dai corpi fisici, si potrà parlare,
rispettivamente, di neuroetica e di neurofilosofia.
Allorché, argomentando dai dati messi a disposizione dalla
neuroscienza, si afferma che i valori sono il prodotto di
“passioni”, di “emozioni”, di “autoinganni” e così di seguito (88),
quando si sostiene che “Noi universalizziamo i nostri giudizi [...]
ma lo facciamo in quanto siamo spinti da intuizioni radicate nelle
nostre strutture emotive [...] e non perché guidati dalla ragione e
sulla base di una decisione autonoma o libera” (89), quando, al
fine di motivare queste dichiarazioni si fa riferimento ad una
particolare parte del cervello che ne costituirebbe la causa, non ci
si accorge che le “passioni” sono atteggiamenti dell’anima, della
mente, non della materia per sua natura insensibile.
Il patrimonio culturale umano viene destituito di
fondamento unicamente perché il neuroscienziato non ne rileva
la presenza a livello neuronale quantunque ne costituisca,
secondo i suoi stessi assunti, un prodotto specifico. Per questa
via, viene anche delegittimata la tradizione nonostante la sua
valenza ordinante sia nella vita dei singoli come delle comunità.
La historia non può più essere magistra vitae, sebbene nella realtà lo
sia (90).
Gli individui non sono uguali. Essi si distinguono non solo
per le qualità fisiche ma anche e soprattutto per quelle mentali,
tanto che la società umana, tendenzialmente, si struttura
gerarchicamente di conseguenza. La neuroscienza non ne dà
alcuna spiegazione.
I “neuroni specchio” sono inidonei a spiegare la
comprensione dell’altrui personalità non solo umana (91) ma
anche animale e, per certi versi, vegetale. I termini coinvolti sono
qualitativamente e quantitativamente così diversificati e
complessi da non poter essere ridotti ad una relazione neuronale
17
-148Ter-
“a specchio”. La materialità di quest’ultima non spiega, inoltre,
come sia possibile la relazione spirituale che si instaura con le
persone defunte allorché la loro personalità risulti da supporti
materiali (libri, testimonianze artistiche, etc.).
Nessun cervello è uguale ad un altro. Si dà un rapporto di
similitudine, ma, appunto, mai di uguaglianza. Tuttavia, è
indubbia la presenza di idee universali. Essa è particolarmente
significativa nella visone giusnaturalistica della giustizia in cui,
infatti, ex pluribus unus, è riscontrabile il valore del neminem laedere.
Ora, un’idea universale può essere basata solo su un sostrato
comune e tale non può essere il complesso dei cervelli, mentre
soddisfa questa esigenza l’anima (la mente) umana in quanto
quiddità comune a tutti gli uomini (92).
Perseguendo l’intento di delegittimare il significato della
presenza, nella cultura umana, di idee di giustizia universali viene
introdotta l’idea della evolutività del cervello (93). Per altro, tra
questi due termini non c’è nesso di conseguenzialità:
dall’evolutività del cervello non segue l’universalità dei precetti di
giustizia. Inoltre, non ci si avvede che il termine “evoluzionismo”
è una parola priva di significato scientifico. L’evoluzione è un
fatto, l’evoluzionismo ne è l’interpretazione, è una filosofia, in
quanto tale soggetta ai criteri di verifica che le sono propri.
Ancora oggi la scienza nega la presenza di una causa initialis e di
una causa finalis che ne costituisca la motivazione, ciò che sta a
significare il protagonismo del caso, la conseguente impossibilità
di spiegazioni che possano dirsi scientifiche. L’evoluzionismo è
uno di quei termini che l’uomo introduce per coprire una
situazione di ignoranza dei fenomeni naturali, come il miracolo, il
flogisto, la ghiandola pineale et similia.
Quando, al fine di negare il libero arbitrio si sostiene che
l’autocoscienza è successiva alla decisione (94), si fa luogo ad una
proposizione errata poiché è la prima a precedere la seconda. Le
quattro virtù c.d. cardinali - la prudenza, la fortezza, la
temperanza e la giustizia - presuppongono l’autocoscienza (95),
vale a dire, la consapevolezza della relazione intercorrente tra il
momento attuale e i suoi ulteriori possibili sviluppi;
18
-148Ter-
presuppongono, quindi, una decisione e l’anteriorità della volontà
rispetto alla sua attuazione; richiedono che l’autocoscienza si
estenda a queste fasi onde indurne, tramite l’ulteriore attività
discrezionale e volitiva, il costante controllo.
Se le virtù cardinali, o le altre che si vogliano prendere in
considerazione, fossero posteriori ai processi neuronali, esse
sarebbero inutili, ciò che è un non senso, ciò che è contraddetto
dalla realtà.
13. — L’autocoscienza
Esisto, infine, due ulteriori dati che ostano alla accoglibilità
della reificazione della mente umana. Il primo, è espresso dalla
presenza dell’autocoscienza. La neuroscienza non ne dà alcuna
spiegazione se non quella, semplicistica, consistente nella sua
negazione (96).
Dire che “le nostre capacità di auto-conoscenza attraverso
l’introspezione sono fallaci - l’introspezione serve all’autoinganno
e i cosiddetti Sé o Io, che dir si voglia, non esistono affatto” (97),
significa negare i fatti, significa, quindi, assumere il più
antiscientifico degli atteggiamenti. La sua sola motivazione
risiede nel fatto che autocoscienza e neuronalità del pensiero
sono termini incompatibili.
L’autocoscienza è, infatti, la consapevolezza di esistere, è la
capacità di cogliersi come esistente, come soggetto delle
molteplici relazioni con se medesimi, con gli altri, con la natura.
L’autocoscienza, in virtù di questa sua collocazione metacorporale, è, pertanto, eminentemente spirituale.
Nessun vivente è privo di autocoscienza. Le differenze
riscontrabili, sotto questo specifico profilo, sono soltanto
secundum magis et minus. Una pietra esiste senza che, di questo suo
esistere, abbia la consapevolezza. L’autocoscienza è, pertanto,
oltre l’essere meramente fisico. Il cervello, anche ammesso che
produca pensieri, non può acquisire la consapevolezza di questa
sua attività. Perché questo accada occorre che il pensiero si
autonomizzi rispetto ad esso, che si collochi al di sopra di esso,
19
-148Ter-
ciò che non è possibile poiché mai l’effetto può separarsi dalla
causa, può cessare di esserne parte. Resterebbe, comunque, che è
il pensiero a generare l’autocoscienza e non il cervello.
A rigore, l’autocoscienza non è il prodotto di un pensiero, è,
invece, uno status originario poiché, nel momento stesso in cui si
pensa, nel momento stesso in cui si vive, si ha coscienza di
esistere: “Lo stesso è pensare ed essere” (98). Pensare ed essere
sono appunto la stessa cosa, mentre nella logica della
neuroscienza, il cervello pensando dovrebbe indurre, anche se
non si sa bene come, la consapevolezza di esistere; dal suo punto
di vista, essere e pensare sono momenti distinti, vale a dire, il
primo precede il secondo. Per altro non è così poiché, appunto,
l’esse e la conscientia sono momenti coincidenti.
Il secondo dei dati che ostano alla reificazione della mente
umana è la sua infinità. La mente è finita quanto alle sue
potenzialità che, infatti, se fossero infinite, non potrebbero mai
tradursi in atto (99), ciò che, invece, è contraddetto dalla realtà. La
mente, al tempo stesso, è infinita quanto alla sua estensione.
Sotto questo profilo, non esiste un limite entro cui essa sia
ricompresa, non esiste un limite oltre il quale non possa andare
(100). Nulla esiste che non possa essere incluso in essa.
Questa qualità è incompatibile con la finitezza materiale
propria del cervello e della relativa attività neuronale.
V
IL PROFILO RICOSTRUTTIVO
20
-148Ter-
14. — La priorità del pensiero rispetto al cervello: il pensiero deriva
dal pensiero
La neuroscienza scopre che, sollecitando parti specifiche del
cervello, si verificano funzioni tipiche dell’attività mentale, donde
la conclusione secondo cui quest’ultime trarrebbero origine dal
cervello stesso.
Tale inferenza è solo apparentemente sillogistica. Dal fatto
che zone determinate del cervello siano correlate ad altrettanto
determinate manifestazioni mentali, non si può affatto inferire il
superamento della concezione spiritualistica dell’essere umano
(101), non si può indurre la conclusione secondo cui non è il
pensiero a servirsi del cervello. E’ proprio la natura strumentale
di quest’ultimo che spiega come esso sia dotato delle sedi
specificative ed identificative delle attività mentali.
La neuroscienza ha riproposto la tesi materialistica
ignorando il pensiero filosofico maturato al riguardo, in
particolare, quello platonico ed aristotelico, ma anche quello
cristiano (102), ciò che è sufficiente a minarne la serietà scientifica.
Il pensiero è immateriale, la sola sede in cui esso può essere
riscontrato, in cui possono essere rilevati i suoi specifici
contenuti è il pensiero stesso, vale a dire, l’autocoscienza. Se la
sua fonte fosse cerebrale e, quindi, materiale, anch’esso dovrebbe
essere rilevabile materialmente, ciò che non avviene. Così come il
pensiero si serve dei gesti, delle parole, degli scritti, etc.,
analogamente del cervello. Questi aspetti riguardano la sua
comunicazione, la sua esteriorizzazione, non la sua ontologia
come significata dal processo di autocoscienza (103).
Il cervello senza il pensiero non pensa. Degli altri organi
fisici è possibile la riproduzione meccanica e la relativa
implementazione, non è così per il cervello. Un cervello
meccanico capace di pensare indipendentemente da un
programma ricevuto, capace, altresì, di autocoscienza, non esiste
(104).
15. — Libero arbitrio e responsabilità penale
21
-148Ter-
Come si è precedentemente riferito, l’avvento del
cristianesimo, il suo radicamento nel tessuto culturale della
società occidentale, hanno mutato profondamente i termini della
tematica del libero arbitrio (105).
La storiografia filosofica attesta la presenza di due
componenti umane, una informata al “sapere oportet”, al
“neminem laedere” e al “Deum colere”, l’altra a valori opposti
(106).
Di conseguenza, il libero arbitrio non riguarda la scelta tra
queste due ontologie etiche essendo esse da natura, ma le
modalità della loro realizzazione.
Il fenomeno giuridico non è che la positivizzazione di
finalità etiche la cui imperatività diviene, così, coercitiva.
Il rapporto tra colui che ordina e il suo destinatario,
tradizionalmente, è caratterizzato, per quanto riguarda il primo,
dalla necessità di regolare, in funzione di specifiche esigenze, il
comportamento del secondo; per quanto riguarda quest’ultimo,
dalla libertà di eseguire o non eseguire quanto comandato. Non
si comanda a una pietra o a un vegetale.
Su queste basi, si introduce la nozione del libero arbitrio:
“Quod igitur homo aptus sit ad recipiendam obligationem, una
quidem causa est, quia voluntatem habet, quae in utramque
partem sese flectere, adeoque ad normam aliquam moralem se
componere potest” (107); “Sequitur ergo, ut ille obligationis sit
capax, qui et normam praescriptam potest cognoscese, et
voluntatem habet intrinsece liberam, et in diversa flexilem” (108).
Ma, a ben vedere, la scelta non è tra il poter obbedire e il
non poterlo, ma tra l’acquisire e il non acquisire i vantaggi che
derivano dall’obbedire, ciò che condiziona il libero arbitrio
riducendone proporzionalmente la vigenza. Libertà e dover
essere sono, infatti, termini antagonistici.
La scelta trascende questa dimensione utilitaristica allorché
sia dettata dall’imprinting etico e, quindi, allorché l’obbedienza
derivi dalla corrispondenza della legge positiva con esso;
22
-148Ter-
inversamente, allorché il rifiuto di obbedienza tragga origine
dall’assenza di una tale corrispondenza.
Più specificamente, la colpa assume rilievo come
disobbedienza restando, tuttavia, da stabilire quale sarebbe stato
il comportamento ove tale status soggettivo fosse mancato.
Il dolo, invece, diviene la modalità dell’obiezione di
coscienza.
La presenza dell’imprinting etico condiziona, dunque, la
libertà umana orientandola secondo i suoi specifici contenuti. Ciò
sta a significare che la punibilità di coloro che si attengono al
proprio imprinting, per altro, contrastante con il valore di giustizia
accolto dall’ordinamento giuridico vigente, non può essere basata
sul libero arbitrio ma sul dato oggettivo della disobbedienza,
esattamente come avviene in natura dove il vivente soggiace alle
conseguenze della violazione della legge fisica o biologica per ciò
solo che essa abbia avuto luogo.
Di conseguenza, il dolo e la colpa non sono che circostanze
aggravanti o attenuanti di questo tipo di responsabilità penale.
Id aequius quod validius, vale a dire, prevale lo statuto etico e
giuridico che è riuscito a porsi, nella società civile, come
dominante, talché l’afferenza ontologica alla statuto etico
opposto non può essere addotta come esimente dalla
responsabilità penale derivante dall’obiezione di coscienza.
Concludendo, il libero arbitrio, riguardato nelle sue
manifestazioni più elevate, non riguarda la scelta dei valori ultimi
conformativi dell’agire umano, ma attiene alla scelta dei media più
adatti alla loro realizzazione, alla loro implementazione.
Quanto sostenuto dai neuroscienziati è, pertanto, del tutto
inidoneo a spiegare questo concreto atteggiarsi della personalità
umana, la martirologia che ad esso è correlata.
23
-148Ter-
Corbellini G.-Sirgiovanni E., Tutta colpa del cervello Un’introduzione
alla neuroetica, Mondadori, Milano, 2013.
2
) Per una trattazione più estesa, si rinvia a Donati A., Diritto naturale
e globalizzazione, Roma, Aracne, 2007, Cap. IV.
3
) Su quanto esposto, vd., ubi supra, § 57.
4
) Cicero, De legibus, I, 7, 22: “[homo] solum est enim ex tot
animantium generibus atque naturis particeps rationis et
cogitationis, quom cetera sint omnia expertia”.
5
) Cicero, ubi supra., I, 8, 25; vd. anche, I, 7.
6
) Grotius H., De jure belli ac pacis Libri tres, Janssonius van
Waesberge, Amstelaedami, 1720, Lib. I, Cap. I, § III.1, richiamando
Cicero, De officiis, III, 5. Vd., altresì, ivi, 6, 27: “una continemur
omnes et eadem lege naturae, idque ipsum si ita est, certe violare
alterum naturae lege prohibemur”.
7
) Per ulteriori riferimenti bibliografici, si rinvia a Donati, Diritto
naturale e globalizzazione, cit., § 76.
8
) Plotino, Enneadi, trad. it. di G. Faggin, Rusconi, Milano, 1992, I, 1,
12.
9
) Aristoteles, in Thomas de Aquino, In decem libros Ethicorum ad
Nicomachum expositio, Marietti, Torino-Roma, 1964, Thom. Aq. expos.,
n. 808; Id., in Thomas de Aquino, In octo libros Physicorum Aristotelis
expositio, Marietti, Torino-Roma, 1965, Thom. Aq. exp., n. 135:
“privatio pertinet ad malum”.
10
) Aristoteles, in Thomas de Aquino, In duodecim libros Metaphysicorum
Aristotelis expositio, Marietti, Torino-Roma, 1950, Thom. Aq. expos., n.
896.
11
) Salustius, De Diis et mundo, trad. it. di R. Di Giuseppe, Adelphi,
Milano, 2000, Cap. 12, § 1, p. 147.
12
) Aristoteles, in Thomas de Aquino, In decem Libros Ethicorum ad
Nicomachum..., cit., Thom. Aq. expos., n. 808; Plotino, Enneadi, cit., 5,
9, 10: “il male, qui fra noi, deriva solo da mancanza, da privazione,
da difetto”.
13
) Vd. Platone, Protagora, trad. it. F. Adorno, in Opere complete, Vol. V,
Laterza, Bari, 1988, 358a-b: “nessuno volontariamente si volge a ciò
che è o che ritiene male”; Id., La Repubblica, trad. it. F. Sartori, ivi,
Vol. VI, 413a-b; Id., Liside, trad. it. P. Pucci, ivi, Vol. IV, Laterza,
Bari, 1988, 218a; Id., Alcibiade I, trad. it. P. Pucci, ivi, 118a; Id., Leggi,
trad. it. A. Zadro, ivi, Vol. VII, 863c-d; Plotino, Enneadi, cit., III, 2,
10: “gli uomini sono cattivi contro il loro stesso volere e
involontariamente”.
1
)
24
-148Ter-
Vd. Donati A., Homo e Persona. Inherent Dignity e Menschenwürde, in
Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, XVII Convegno
Internazionale, Aracne, Roma, 2010, Tom. I, §§ 6-7.
15
) Così, Bonacina M., Opera omnia, Tom. II, Lugduni, Sumptibus
Laurentii Anisson, 1546, Diput. III, Quaest. I, Punct. VI, p. 490, 2a
col., n. 1, richiamando la l. quod Nerva, ff. depositi (D. 16, 3, 32).
16
) Cicerone, Della divinazione, a cura di R. Giomini, in Tutte le opere,
Vol. 28, Mondadori, Milano, 1968, 32, 70-71, p. 214.
17
) Aristoteles, in Thomas de Aquino, In decem libros Ethicorum ad
Nicomachum..., cit., Thom. Aq. expos., nn. 231-233; vd. anche nn.
234, 235, 240.
18
) Ubi supra, n. 293: “Appetitus autem sensitivus dividitur in duas
vires: scilicet in concupiscibilem [...] et irascibilem”; vd. anche n. 437.
19
) Ubi supra, n. 241: “ratio non subditur motibus passionum
appetitus sensitivi, sed potest eos reprimere. [...] Cum enim
intellectus vel ratio non sit potentia alicuius organi corporalis, non
subditur directe alicuius virtutis corporeae actioni. Et eadem ratione
nec voluntas, quae est in ratione”.
20
) Per riferimenti bibliografici, vd. Donati A., Diritto naturale e
globalizzazione, Aracne, Roma, 2007, Cap. XII; Id., Alla ricerca di Dio,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, §§ 5-8.
21
) Aristotele, Dell’anima, trad. it. R. Laurenti, in Opere, Vol. IV,
Laterza, Roma-Bari, 1983, Cap. III, 407a, p. 113.
22
) Platone, Fedro, trad. it. P. Pucci, in Opere complete, Vol. 3, Laterza,
Roma-Bari, 1989, 245e; Id., Leggi, trad. it. A. Zadro, ivi, Vol. 7,
Laterza, Roma-Bari, 1987, 895a.
23
) Pensiero riferito e condiviso da Aristotele, Dell’anima, cit., 404 a,
p. 106, e quivi nota redazionale 27; ivi, 410 b, p. 123: “che ci sia
qualcosa di più grande dell’anima, che la domini, è impossibile”; 429
a, p. 174: “l’anima [intellettiva] è il luogo delle forme [i.e., dei
concetti]”.
24
) Aristotele, ubi supra, 407 a, p. 113.
25
) Vd. De jure belli..., cit., Lib. I, Cap. I, §. X.1.
26
) Sul piano ricostruttivo, vd. Aristotele, Dell’anima, cit., Cap. II.
27
) Lucrezio, De rerum natura, Lib. III, vv. 162-163.
28
) Ivi, vv. 547-549.
29
) Su questa problematica vd. quanto riferito da Cicerone, Sul
destino, a cura di F. Pini, 10 e 11, 21-26, in Tutte le opere, Vol. 28,
Mondadori, 1968, p. 518 sqq.
14
)
25
-148Ter-
Per riferimenti bibliografici, vd. Donati A., Diritto naturale e
globalizzazione, cit., in particolare, Cap. VIII.
31
) Augustinus A., De natura boni contra Manichaeos, in Opera, Tom.
VIII, F. Muguet, Parisiis, 1688, Capp. XXVII e XXVIII, c. 508 C-F.
32
) Vd. Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 362 sqq.
33
) Estrapolazione dalla fonte cit. in Denzinger H.-Schönmetzer A.,
Enchiridion Symbolorum Definitionum et Declarationum de rebus fidei et
morum36, Herder, Barcinone-Romae, 1976, n. 806.
34
) Augustinus, Contra duas epistolas Pelagianorum, Lib. II, § 9, in Opera,
Tom. X, Muguet, Parisiis, MDCXC, c. 436 F.
35
) Vd. la fonte cit. in Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion
Symbolorum..., cit., n. 1548; vd. anche nn. 248 e 1582.
36
) Augustinus A., In epistolam Johannis ad Parthos Tractatus decem, Tract.
VII, § 8, in Opera, Tom. III.2, Muguet, Parisiis, 1680, c. 875E; Glossa
e, a Gratianus, Decretum, Concordia discordantium canonum, Venetiis,
1605, I, Dist. I, pr.
37
) Vd. anche Quinzio S., La filosofia della Bibbia, Morcelliana, Brescia,
2015, p. 19: “Il peccato è un attentato alle radici della vita, che può
determinarsi del tutto indipendentemente dalle intenzioni e che
pertanto non ha necessariamente rapporto con la responsabilità
personale e con la vita etica [...] (2° Libro di Samuele, 6, 4-7). Il
peccato, più che alla colpevolezza in senso morale, è simile alla
malattia che minaccia la vita e contagia”.
38
) Così, Müller K., Antiteismo d’élite, in il Regno, 2010, n. 1083, p. 484.
39
) Vd. la fonte cit. in Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion
Symbolorum..., cit., n. 1555.
40
) Vattimo G., Oltre l’interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 4,
p. 17.
41
) Vattimo, op. ult. cit., p. 13.
42
) Così, sul piano ricostruttivo Flores D’Arcais P., Addio alla verità?
Addio all’essere?, in MicroMega, 2011, n. 5, p. 103.
43
) Vattimo, loc. ult. cit.
44
) Così, sul piano ricostruttivo, Aristotele, La Metafisica, trad it. A.
Carlini, Laterza, Bari, 1965, 1010a.
45
) Su tale convincimento nel pensiero contemporaneo vd. Popper
K.R., in Popper K.R.-Eccles J.C., L’Io e il Suo Cervello, trad. it. G.
Mininni, Vol. I, Armando Armando, Roma, 1981, § 5, p. 22 sq. e
Cap. P3, p. 69 sqq. Vd. anche la seguente affermazione di Rose S.,
Il cervello del ventunesimo secolo, Trad. it., Codice Ediz., 2005, p. 183:
“La vita mentale e la coscienza, come non sono riducibili alla
30
)
26
-148Ter-
biochimica, non possono nemmeno essere abbassate al livello delle
singole sinapsi o dei singoli neuroni”.
46
) Vd. Damasio A.R., E dal corpo nacque l’anima: le emozioni
nell’evoluzione, in MicroMega, 2, 2007, p. 63 sqq.; Pinker S., Come è nata
la mente?, ivi, p. 72 sqq.
47
) Così, Thagard P., The Brain and the Meaning of Life, Princeton
University Press, Priceton and Oxford, 2010, Cap. III, p. 42 sqq.
48
) Espressioni tratte da Ryle G., The Concept of Mind, Penguin Books,
1949, p. 17.
49
) Citazione riportata da Punzi A., L’ordine giuridico delle macchine La
Mettrie Helvétius D’Holbach L’uomo-macchina verso l’intelligenza collettiva,
Giappichelli, Torino, 2003, p. 25, nota 51.
50
) Così, Dennet D.C., Dove nascono le idee, trad. it. F. Garofoli, Di
Renzo Editore, Roma, 2006, p. 55.
51
) Così, Ryle, The Concept of Mind, cit., p. 20.
52
) Così, Steiner G., La barbarie dell’ignoranza, trad. it. A. Cariolato,
Nottetempo, 2005, p. 52.
53
) Così, Romano B., Prefazione a Punzi, L’ordine giuridico delle
macchine..., cit., p. VII.
54
) Vd., retro, § 5.
55
) Cit. in MicroMega, 2005, n. 4, p. 1, senza indicazione della fonte
specifica.
56
) Così, Dennet, Dove nascono le idee, cit., p. 42; ibidem: “I nostri
cervelli non sono nulla più che macchine sintattiche”.
57
) Così, Searle J.R., Libertà e neurobiologia : riflessioni sul libero arbitrio, il
linguaggio e il potere politico, a cura di E. Carli, B. Mondadori, Milano,
2005, p. 20.
58
) Così, Kandel E.R., La nuova scienza della mente, in Mente e cervello,
2006, n. 23, p. 66. Vd., altresì, Id., Psichiatria, psicoanalisi e nuova
biologia della mente, trad. it. D. Sarracino, Cortina Edit., Milano, 2007,
Cap. 8, p. 448: “l’ultimo grande mistero con il quale è chiamata a
confrontarsi la biologia è la natura della mente umana”.
59
) Così, sul piano ricostruttivo, Eccles J.C., Strutture e funzioni
cerebrali, in Popper-Eccles, L’Io e il Suo Cervello, cit., Vol. II, Cap. E7,
§ 50, p. 435. Il testo, così prosegue: “Tuttavia, credo che la strategia
riduzionistica non sarà in grado di portare a termine il suo tentativo
di spiegare i livelli superiori di attività cosciente del cervello
umano”.
60
) Così, Changeux J.-P., L’uomo neuronale, trad. it. C. Sughi,
Feltrinelli, 1996, p. 160 sq.
27
-148Ter-
Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. XI.
) Ubi supra, p. 162 sqq.
63
) Ubi supra, p. 174 sqq., p. 178.
64
) Così, Legrenzi P.-Umiltà C., Neuro-mania. Il cervello non spiega chi
siamo, il Mulino, Bologna, 2009.
65
) Così, Popper K.R., in Popper-Eccles, L’Io e il Suo Cervello, Vol. I,
cit., § 26, p. 121 sq.
66
) Per questa espressione, vd. Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. XV.
67
) Così Gazzaniga M., Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio, trad
it. S. Inglese, Le Scienze, Roma, 2013, p. 113.
68
) Ubi supra, p. 121.
69
) Così, Wilson E.O., L’armonia meravigliosa, trad. it., Mondadori,
Milano, 1999, p. 272; vd. anche p. 275: l’etica avrebbe “un’origine
puramente materiale”.
70
) Churchland P.S., cit da Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 102 sq.;
Gazzaniga M.S., The Ethical Brain, Dana Press, New York Washington, D.C., 2005, p. XIX.
71
) Espressione riferita da Nahmias E., La questione del libero arbitrio, in
Le Scienze, n. 559, Marzo, 2015, p. 60, 1a col.
72
) Titolo della omonima monografia di Gazzaniga cit. nella nota 70.
73
) Titolo della omonima monografia di Churchland P.S., trad it. S.
Zipoli, Cortina Ed., Milano, 2012.
74
) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 127 sqq.; p. 132: “il concetto di
coscienza così come lo usiamo, cioè riferito a un’entità
sovraordinante e dotata di potere causale, sembrerebbe non avere
senso. E, comunque, non c’è ‘nessuno’ che prende decisioni”.
75
) Ubi supra, p. 213 sq., riferendo il pensiero di P.S.
Churchland. Vd., altresì, Raine A., The Anatomy of Violence, Allan
Lane, 2013, come riferito da Dennet D.C., Criminali si nasce o si
diventa?, in MicroMega, 2014, n. 1, p. 114: “qualunque azione da
noi intrapresa, che siamo cittadini sani e normali oppure serial
killer, rappresenta l’effetto fisico di una combinazione complessa
di fattori genetici, fattori legati allo sviluppo e fattori dipendenti
dall’esperienza, che fanno di noi chi e cosa siamo quando
agiamo”, quantunque rimanga vero che “la biologia non è
destino”.
Sui condizionamenti della mente da parte del mondo esterno, vd.
Clark A.-Chalmers D.J., La mente oltre la testa, in MicroMega,2010, n.
7, p. 161 sqq.
61
) Così,
62
28
-148Ter-
Legrenzi P., L’empatia, il bene e il male, in MicroMega, 2014, n. 1,
p. 122 sqq.
77
) Vd. Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 103: “Questo non significa
che le nostre scelte morali sono già prestabilite dalla nascita, ma che
le capacità o predisposizioni a giudicare e scegliere sulla base di
preferenze personali sono predefinite geneticamente e
implementate epigeneticamente”; p. 143: “i geni non sono
predittori di un ‘destino’ biologico ineluttabile, ma predispongono,
in modi statisticamente più o meno significativi e rilevabili, a
manifestare particolari tratti, e in forme più o meno accentuate, a
seconda dei contesti ambientali in cui matura il fenotipo
individuale”.
78
) Ubi supra, p. 159.
79
) Così, Severino E., Téchne Le radici della violenza, Rizzoli, Milano,
2002, p. 27.
80
) Per le fonti, vd. Donati A., Alla ricerca di Dio, Rubbettino, Soveria
Mannelli, 2012, Cap. VI.
81
) Barone V., No al Dio tappabuchi, in Il Sole 24 Ore, 1 marzo 2015, p.
29.
6
82
) Vd. A.G.P.R.P. [A. Genovesi], Institutiones metaphysicae , ex
typographia J. Migliacii, Neapoli, MDCCXCIII, P. I, Theoremata,
Cap. VI, Prop. L, p. 84: “Chaos et Ordo inter sese opponuntur,
quare sit, ut in universo, aut chaos regnet, aut Ordo necesse sit.
Leges igitur cosmologicae sunt, quibus fit, ne mundus sit Chaos”.
83
) Vd., tra gli altri, Severino, Téchne..., cit., p. 244: “Il tratto essenziale
della vecchia cultura è costituito dalla metafisica. Oggi, la parola
‘metafisica’ viene usata per indicare quanto di più irreale, nebuloso,
infecondo, arbitrario esiste nel pensiero degli uomini”; p. 245: “si
può dire che la filosofia contemporanea non consista in altro che in
una critica radicale della metafisica”.
84
) Per riferimenti bibliografici, vd. Donati, Scienza della natura ed etica,
cit., Cap. IX.
85
) Severino, Téchne..., cit., p. 11.
86
) Vd. Nahmias, La questione del libero arbitrio, cit., p. 60 sq.
87
) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 184.
88
) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., Cap. V e p.183 sqq. Vd. anche p.
111 e p. 124.
89
) Ubi supra, p. 111.
90
) Vd. Deacon T.W., Natura incompleta Come la mente è emersa dalla
materia, trad. it. A. Tutino, Le Scienze, Roma, 2012, p. 19: “nessuna
76
) Vd.
29
-148Ter-
mera descrizione di processi fisici ci dirà perché insorge
l’esperienza. L’emergenza dell’esperienza va al di là di ciò che si può
derivare dalle teorie fisiche”.
91
) Vd. Hickok G., Il mito dei neuroni specchio Comunicazione e facoltà
cognitive La nuova frontiera, trad it. S. Frediani, Bollati Boringhieri,
Torino, 2015.
92
) Per riferimenti bibliografici, vd. Donati, Diritto naturale e
globalizzazione, cit., Capp. VI-XII.
93
) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 184: “Le intuizioni di senso
comune, quando sono universali, quindi distribuite attraverso tutte
le culture e maturano spontaneamente negli individui, sono
istanziate in qualche modo nel genoma e nel cervello, cioè in un
qualche modulo o meccanismo di teoria della mente che ha un'origine
evolutiva e la funzione di spiegare e predire il comportamento”.
94
) Vd. Strata P., La strana coppia Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle
neuroscienze, Carocci, Roma, 2014, p. 99, p. 159.
95
) Su cui, vd., più estesamente, il paragrafo successivo.
96
) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., pp. 127-135: “uno dei concetti
filosofici che le neuroscienze hanno messo più radicalmente in
discussione è quello di coscienza” (p. 127).
97
) Corbellini-Sirgiovanni, op. cit., p. 210.
98
) Parmenide, Sulla natura, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano,
2001, P. I, fr. 3, 45.
99
) Per riferimenti bibliografici sulla inammissibilità dell’infinito in
atto, vd. Donati, Alla ricerca di Dio, cit., nel contesto del § 28.
100
) Vd. Leopardi G., L’infinito, vv. 1-7: “Sempre caro mi fu
quest’ermo colle, / e questa siepe, che tanta parte / dell’ultimo
orizzonte il guardo esclude. / Ma sedendo e mirando, interminati /
spazi di là da quella, e sovraumani / silenzi, e profondissima quiete
/ io nel pensier mi fingo”.
101
) Vd. anche la raccolta di saggi in Göcke B.P., edited by, After
Physicalism, University of Notre Dame Press, Indiana, 2012.
102
) Vd., retro, §§ 2, 3, 6.
103
) Vd. anche Deacon, Natura incompleta..., cit., p. 13: “ci manca una
comprensione scientifica di come possano le frasi scritte in questo
libro essere riferite ad atomi, DNA o [a] qualunque altra cosa”.
104
) Vd. Strata, La strana coppia..., cit., p. 132: “Costruire programmi è
frutto della mente umana. Pertanto, tutto ciò che fa la macchina è
frutto dell’intelligenza dell’uomo, intesa come attività razionale
finalizzata a uno scopo. Le cosiddette macchine pensanti finora
30
-148Ter-
proposte elaborano simboli e risolvono problemi che possono
anche superare le capacità della mente umana, ma imitare non
significa riprodurre”.
105
) Vd., retro, § 6.
106
) Per riferimenti bibliografici, vd. Donati, Alla ricerca di Dio, cit.,
Cap. VIII; Id., Scienza della Natura ed Etica, Rubbettino, Soveria
Mannelli, 2014.
107
) Pufendorf (de) S., De jure naturae et gentium, in Gesammelte Werke,
Band 4.1, Akademie Verlag, Berlin, 1998, Lib. I, Cap. VI, § 6, p. 73,
rr. 2-4.
108
) Ubi supra, p. 75, § 8, rr. 10-12; vd. anche rr. 5-7.
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