Ecologia delle malattie nelle popolazioni Modello ecologico di malattia Fattori condizionanti la presenza, mantenimento e diffusione di una malattia nelle popolazioni I termini salute e malattia non hanno un significato assoluto: 1. uomo → per salute si intende lo stato di completo benessere fisico e mentale (WHO); 2. animali da reddito → per salute si intende la massima espressione della produttività. Una malattia può avere un decorso: 1. clinico: in genere, per l’individuo, è più grave della malattia subclinica; 2. subclinico: in genere, per l’individuo, è meno grave della malattia clinica ma in una popolazione una malattia subclinica può essere molto dannosa perché il numero di animali colpiti è elevato. Oggi si ritiene che la patologia sia comparabile ad un iceberg: 9/10 della malattia non è riconducibile a qualcosa di certo (malattia subclinica), 1/10 invece è rappresentato da una sintomatologia che può essere indicativa (malattia clinica). Es. in un allevamento di 100 bovine, 10 presentano i sintomi di mastite e le altre 90 no, ma sono affette dalla forma subclinica. Facendo la somma delle loro singole perdite produttive di latte scopro che è nettamente superiore a quella che si verifica nelle 10 che presentano i sintomi. In un allevamento di 100 maiali ne muoiono 10 con sintomi di infezione, con una perdita di un tot di kg di carne. Gli altri 90 maiali continuano a mangiare come animali sani ma perdono 1kg di peso ciascuno, determinando una perdita produttiva al macello, più la perdita economica legata al fatto che hanno mangiato come animali sani ma hanno prodotto molto meno, per cui si è persa più carne con loro che con i 10 suini morti (i quali non hanno consumato più alimento). Quindi, a parità di alimentazione ed ambiente, l’animale sano è quello che esprime al meglio le sue caratteristiche genetiche di razza relative alla sua potenzialità produttiva. Se questa diminuisce, l’animale è considerato malato. La malattia può anche essere data da uno scorretto management aziendale (ambiente ed alimentazione non idonei) che comporta un calo della produttività. Secondo il modello ecologico (olistico) la malattia è come uno sgabello che poggia su 3 gambe: 1. ospite → caratterizzato da propri determinanti interni (endogeni); 2. parassita (agente eziologico) → determinante primario (necessario ma non sufficiente) di cui possiamo descrivere tipo, quantità, virulenza, tropismo, ecc; 3. ambiente → consiste in clima, microclima, ricoveri, alimentazione, ecc. Affinché ci sia una malattia infettiva le 2 gambe fondamentali sono l’ospite e il parassita. In realtà l’ambiente non è indispensabile, ma è in grado di modulare in maniera decisiva l’effetto della malattia: alcune malattie si diffondono solo con un vettore (es. la zanzara per la malaria), ma il vettore necessita di condizioni ambientali precise: umidità, temperatura, altitudine, ecc. In certi ambienti quindi la malattia non può essere presente, mentre in altri, proprio a causa dell’ambiente stesso, può essere più grave. La base di una prevenzione efficace è agire sull’ambiente (bonifiche del territorio, lotta ai vettori, mantenimento di un microclima sfavorevole allo sviluppo di certi agente eziologico, buone condizioni igieniche); la spesa è contenuta e l’efficacia è maggiore sul lungo periodo. Se invece somministro terapie sull’animale già malato le spese sono maggiori e ormai il danno è fatto. Infezione e malattia Infezione: ciò che l’agente eziologico provoca quando penetra nell’ospite, si moltiplica e non evoca sintomi (animale clinicamente sano). Malattia: si ha quando l’agente eziologico penetra nell’ospite, si moltiplica ed evoca sintomi. La malattia è spesso una conseguenza dei meccanismi difensivi messi in atto dall’ospite per rispondere all’infezione, con sintomi clinici evidenti. Se il parassita uccidesse l’ospite ciò per lui rappresenterebbe uno svantaggio, poiché non potrebbe più moltiplicarsi, nutrirsi e sopravvivere. L’evoluzione degli agente eziologico è andata in questa direzione dagli anni passati fino ad oggi: le malattie sono cambiate e continueranno a cambiare. 1 Caratteristiche dell’agente eziologico 1. 2. 3. 1. 2. 3. 4. 1. 2. 3. 4. 5. L’agente eziologico è un organismo microscopico o submicroscopico che: penetra o è già presente nell’ospite; è in grado o meno di evocare sintomi; è il fattore indispensabile ma non sufficiente per evocare un evento morboso. Un parassita, per poter sopravvivere come specie, deve: penetrare nell’organismo ospite attraverso una via naturale; raggiungere gli organi bersaglio e permanervi per il tempo necessario alla sua replicazione; uscire dall’organismo ospite con mezzi naturali; sopravvivere nell’ambiente esterno per il tempo sufficiente a raggiungere un nuovo ospite. Caratteristiche dell’agente eziologico: contagiosità; infettività; invasività; virulenza; patogenicità. Contagiosità È la capacità di un agente di trasmettersi naturalmente da un animale eliminatore ad un animale recettivo. La capacità di un agente di trasmettersi a distanza presuppone una sua elevata resistenza ambientale, a meno che esso non sfrutti vettori biologici entro i quali sopravvivere o replicarsi. Non tutte le malattie infettive sono contagiose (es. tetano). Per le malattie contagiose vi è una scala di variabilità: quelle a scarsa contagiosità si diffondono lentamente nella popolazione, viceversa quelle ad alta contagiosità. Andamento di una malattia in una popolazione recettiva: più una malattia è contagiosa e più si diffonderà con un andamento di tipo esponenziale. Da un animale infetto in grado di contagiare altri soggetti l’infezione si propaga, mentre si ferma quando giunge ad un animale non in grado di contagiare altri soggetti (immune o morto). Col passare del tempo, la recettività della popolazione decresce (riga tratteggiata), mentre l’immunità aumenta (riga continua). La contagiosità all’interno di una popolazione può essere misurata con il tasso di attacco secondario, che rappresenta il numero di casi secondari, cioè il numero di soggetti che vengono infettati da un caso di infezione primario in un arco di tempo pari al tempo di incubazione. ๐๐ด๐ = ๐๐ ๐๐ Me: malati tra gli esposti ai casi primari durante il periodo di incubazione Ne: esposti ai casi primari Incubazione: lasso di tempo che intercorre tra la penetrazione dell’agente eziologico all’interno dell’ospite e la comparsa della sintomatologia. La contagiosità dipende da: 1. durata del periodo in cui l’ospite è infettante; 2. quantità di agente escreta dall’ospite; 3. resistenza ambientale dell’agente; 4. ecc. A = contagiosità bassa B = contagiosità elevata → nello stesso lasso di tempo si ha un numero di infetti nettamente superiore Gli agenti eziologici a contagiosità nulla necessitano di un vettore (virus della Peste equina, Rift Valley Fever, Blue Tongue, West Nile) oppure di particolari fattori (Clostridium tetani: anaerobiosi, traumatismi, spore; Bacillus anthracis: spore). A contagiosità scarsa abbiamo il virus della Rabbia che necessita alte cariche virali nella saliva e per poco tempo. Agente eziologico a contagiosità elevata: virus dell’Afta, Peste bovina: ne viene eliminato tanto e ne serve poco per dare infezione. 2 Infettività Capacità dell’agente eziologico di penetrare in un ospite (o di colonizzarne le superfici) e di moltiplicarsi. È 1/α al numero di microrganismi necessari per l’instaurarsi dell’infezione in un determinato ospite. Varia in rapporto ai diversi agenti eziologici e alle vie di infezione. Si misura con: 1. DI50 → quantità di agente eziologico necessaria ad indurre infezione nel 50% della popolazione; 2. DImin → quantità minima di agente eziologico che deve penetrare nell’ospite per instaurare l’infezione. Se la concentrazione di agente eziologico è inferiore, morirà nel tentativo di superare le difese immunitarie aspecifiche. È indicativa del rischio corso da un individuo di contrarre l’infezione. Quindi non tutti gli agenti che entrano nell’ospite sono in grado di replicarsi e causare infezione. Si ha infezione, che eventualmente può evolvere in malattia, solo quando vi è replicazione. Non necessariamente l’ingresso di un agente eziologico in una specie recettiva porta alla replicazione: ci deve essere un numero consistente di particelle di agente eziologico per infettare; questo è importante perché riducendo la quantità di agente eziologico al di sotto della dose infettante, si riduce anche la probabilità che l’animale si infetti, perciò si fanno le vaccinazioni: in questo modo l’animale per infettarsi dovrebbe venire a contatto con una dose di agente eziologico maggiore. Non esistono però dei vaccini che annullino totalmente la possibilità di infettarsi, possono invece ridurre la sintomatologia. Se aumenta la DImin e l’animale si infetta comunque, i sintomi sono più blandi e viene a ridursi l’arco di tempo in cui l’animale elimina l’agente eziologico; ad es. se ho la tosse per 10 gg, elimino l’agente eziologico per 10 gg, ma se mi vaccino e la tosse dura solo 5 gg, di conseguenza si dimezzano tempo e quantità di agente eziologico presente ed espulso nell’ambiente, e quindi diminuisce anche la possibilità di infettare altri individui. DImin per l’uomo di alcuni batteri trasmessi con gli alimenti Agente eziologico DImin E. coli enteropatogeni (EPEC) 106 E. coli enterotossigeni (ETEC) 106 Shigella, E. coli enteroinvasivo (EIEC) 101-102 E. coli enteroemorragici (EHEC) 102 106, 101/103 se veicolata in alimenti Salmonella (esclusa Salmonella typhi) grassi come cioccolata e formaggio Salmonella typhi 101-102 Campylobacter 5x102 Vibrio cholerae 106 Agenti eziologici con infettività scarsa (alta DI) sono: 1. virus della Rabbia: deve avere un’alta carica virale nella saliva dell’animale infetto per poterne infettare un altro. Se però il soggetto è immunodepresso le malattie infettive hanno maggiore probabilità di trasmettersi: diminuisce la DImin; 2. micobatterio tubercolare TBC: ha bassa infettività, per cui sono necessari lunghi tempi (anni) di stretta convivenza per avere la trasmissione da un soggetto infetto ad uno recettivo → perciò per evitarlo basta eliminare dalla popolazione il soggetto infetto; 3. Nocardia, Histoplasma, responsabili di micosi sistemiche. Agenti con infettività elevata (bassa DI ed enorme quantità di agente eziologico eliminata dall’ospite) sono: 1. virus dell’Afta; 2. virus della Stomatite vescicolare; 3. virus dell’Esantema vescicolare; 4. Bacillus anthracis: nella cavia sono sufficienti 3-5 spore per riprodurre la malattia (Carbonchio ematico). Invasività Capacità di un agente eziologico di diffondersi e colonizzare diversi tessuti ed organi dell’ospite. Quindi alcuni, dal sito di penetrazione, possono muoversi e spostarsi verso altri distretti; altri restano nel sito d’ingresso (es. micosi del gatto). Dipende da numerosi fattori che interagiscono tra loro in modo complesso (corredo enzimatico dell’agente eziologico, età, stato immunitario, situazione metabolica dell’ospite, ecc). L’invasività può essere definita indirettamente in base alla capacità dell’agente eziologico di invadere il circolo sanguigno o linfatico inducendo setticemia, batteriemia o viremia, le quali rappresentano proprio lo spostamento dell’agente eziologico per raggiungere poi gli organi bersaglio. Per fare ciò l’agente eziologico deve sfuggire al sistema immunitario: molti agenti eziologici si fanno fagocitare dalle cellule immunitarie, in cui si replicano, e tramite queste si spostano nei vari distretti (però per non essere sciolti dall’acido del fagolisosoma devono essere muniti di capsula). Lo spostamento dell’agente eziologico è dovuto alla necessità di trovare qualcosa (es. metaboliti..) che non è presente nel punto d’ingresso. Es. la Brucella dà problemi solo all’animale gravido perché necessita di un metabolita presente solo negli uteri gravidi. 3 Agenti eziologici molto invasivi colonizzano molti organi o apparati, causando forme patologiche gravi e con corredo sintomatologico ampio. In questi casi le vie di escrezione possono essere numerose (proprio perché ha invaso numerosi organi), fino ad arrivare a condizioni in cui l’agente eziologico viene eliminato con tutti gli escreti e secreti. Se invece un agente eziologico resta nel punto d’ingresso, potrà essere espulso solo da quella parte. Agenti eziologici con invasività nulla: Clostridium tetani si moltiplica esclusivamente nella ferita (in circolo troviamo esclusivamente le sue esotossine), quindi è inutile somministrare un antibiotico in EV, e tratteremo solo la zona della ferita (punto d’ingresso dell’agente eziologico, che vi permane). Agenti eziologici con invasività scarsa: il virus della Rabbia ha tropismo spiccato per il SNC. Per raggiungere l’encefalo passa attraverso gli spazi perineurali, sfruttando i recettori per l’Ach (non entra in circolo), passa invece in circolo per spostarsi dall’encefalo alle ghiandole salivari. Agenti eziologici con invasività elevata: nel Bacillus anthracis i ceppi capsulati sono i più patogeni. È responsabile di forme setticemiche, difficili da trattare perché poco sensibili agli antibiotici. Hanno un particolare tipo di invasività: 1. alcuni enterobatteri (E. coli, Salmonella) possono essere in grado di attraversare la parete intestinale ed entrare nel circolo; 2. batteri responsabili di mastiti ascendenti che risalgono e si spostano solo per via canalicolare. Virulenza Esprime la diversa capacità patogena di sottopopolazioni di uno stesso agente eziologico (stessa specie e genere) rispetto ad un determinato ospite. All’interno della popolazione di uno stesso agente eziologico vi sono delle subpopolazioni identiche dal punto di vista immunologico, ma alcune sono capaci di uccidere ed altre no. La virulenza evidenzia quindi dei ceppi con caratteristiche epidemiologiche e cliniche diverse all’interno della popolazione. È una caratteristica regolata su base genetica, quindi si può fare una differenziazione di ceppi o stipiti diversi nell’ambito della stessa specie e genere di agente eziologico. Si modifica in risposta ad una pressione selettiva naturale o artificiale; è correlata alla gravità di una malattia. Viene misurata con la DL50 o con il tasso di letalità: numero di morti sul totale di animali infetti. Il tasso di mortalità è il numero di morti in una popolazione. Una elevata virulenza non è necessariamente associata ad una maggiore diffusibilità dell’agente eziologico nella popolazione: un agente eziologico molto virulento provoca in genere la morte dell’ospite in breve tempo e ciò riduce la probabilità che l’agente eziologico si trasmetta, sono cioè autolimitanti. Sono molto più pericolosi i ceppi a bassa letalità perché sono difficilmente identificabili dal punto di vista clinico, viceversa per quelli ad alta letalità. Es. se ad un allevatore muoiono 2-3 capi non si allarma, ma nel tempo moriranno tutti in seguito alla diffusione dell’infezione, invece se muoiono subito 70 capi l’allevatore si rivolge immediatamente al veterinario. I ceppi a bassa virulenza hanno elevata capacità di sopravvivenza e tendono a soppiantare anche per lunghi periodi quelli a media e alta virulenza, che tendono a mutare in forme ancora più virulente. I virus a RNA possono mutare (errore di trascrizione), come quelli a DNA, ma nei DNA la possibilità di individuazione e correzione dell’errore è più alta. Ciò rappresenta un pericolo perché possono avvenire salti di specie e si possono diffondere nuove malattie. Anche i batteri mutano, ma più raramente dei virus. L’importanza dei ceppi a bassa virulenza risiede anche nel fatto che possono trasformarsi in strumenti di vaccinazione: vaccini vivi attenuati. Patogenicità Misura la capacità dell’agente eziologico di provocare una malattia di gravità variabile. Può esprimere anche le capacità patogene di un agente eziologico in specie differenti di ospiti recettivi: 1. malattia di Aujesky: suino ed altre specie; 2. Mal rosso: suino e tacchino. Può essere considerata come la congiunzione logica dei concetti di infettività, invasività e virulenza. Ragionando in termini di popolazione, la patogenicità di un AE è direttamente correlata alla proporzione di soggetti infetti che sviluppano la malattia clinica (rapporto numero malati e numero esposti). Fattori di patogenicità: 1. batteri a. esotossine: proteine solubili rilasciate da Gram+ (B. anthracis, C. tetani) e Gram- (E. coli, P. aeruginosa); b. endotossine: lipopolisaccaridi componenti della parete dei batteri Gram-; c. enzimi extracellulari: collagenasi, ialuronidasi, leucocidine, emolisine; d. cere, pili per adesione. 2. virus a. azione distruttiva su cellule bersaglio; b. azione sulle cellule deputate alla difesa immunitaria. 4 Caratteristiche dell’ospite L’ospite è un animale in grado di essere infettato da un parassita. Si definisce recettività la potenzialità di un individuo a ospitare un AE ed a permetterne lo sviluppo o la moltiplicazione. Un agente è in grado di infettare un animale in base ad alcune caratteristiche dell’ospite stesso: specie, razza e caratteristiche produttive, età, sesso, stato delle difese immunitarie, condizioni di salute, trattamenti terapeutici e/o profilattici, alimentazione, stress, professione (uomo). Specie È il principale determinante di recettività nei confronti di un determinato AE, e può essere limitata ad una sola specie ospite o coinvolgere specie diverse. Ad esempio, il pollo è l’unica specie recettiva per il virus della malattia di Marek, mentre tutte le specie animali a sangue caldo sono recettive nei confronti del virus della rabbia. La recettività di specie è regolata da meccanismi di interazione determinati geneticamente: caratteristica innata di ciascun individuo di una determinata specie. I meccanismi sono complessi e spesso non del tutto noti: 1. virus: recettori cellulari in quella data specie e/o in quel determinato organo bersaglio (determina anche il tropismo)che consentono l’adesione virale (adsorbimento). Per il virus della rabbia, il recettore è quello per l’acetilcolina (enorme numero di specie recettive e suo particolare tropismo per le cellule del SN); 2. batteri o tossine batteriche (E. coli enterotossigeni): presenza sulle membrane cellulari di alcuni distretti dell’ospite di specifici recettori; la crescita batterica è condizionata anche de temperatura, pH, ossigeno… In altri casi la recettività è la conseguenza della produzione da parte dell’ospite di sostanze indispensabili alla replicazione del microrganismo. Razza/variabilità genetica Fra gli individui di una stessa specie, la recettività può variare come conseguenza della selezione di individui geneticamente più resistenti. Possiamo avere razze o linee genetiche con recettività inferiore ad un determinato AE per la risposta ad una pressione selettiva esercitata dall’AE sulla specie ospite. È un carattere innato e quindi trasmissibile per via ereditaria. Molte razze si sono evolute in un determinato contesto geografico (es. bovini di razza Chianina, Romagnola, ecc.), questi animali hanno subito un processo di co-evoluzione con gli AE costantemente presenti nella stessa area geografica, sviluppando progressivamente una maggiore resistenza. L’introduzione in queste aree di animali appartenenti a razze non autoctone (animali sentinella), e quindi non adattate, può provocare la comparsa di forme cliniche di malattia fino a quel momento assenti negli animali autoctoni. Età L’età dell’ospite condiziona l’incidenza e la gravità di una malattia, ad esempio i parvovirus non possiedono i geni che codificano per le DNA polimerasi e quindi utilizzano quelle presenti nelle cellule ospite. La quantità di DNA polimerasi è massima nelle cellule in attiva mitosi (fase S): 1. PPV causa manifestazioni cliniche solo negli embrioni e nei feti; 2. CPV causa manifestazioni cliniche solo nei cuccioli (distrugge le cellule intestinali). L’età condiziona lo stato immunitario: soggetti molto giovani non hanno ancora sviluppato una immunità attiva nei confronti degli AE presenti nell’ambiente in cui vivono. Possiedono immunità passiva solo a condizione che la madre sia immune e che sia avvenuto il trasferimento passivo degli anticorpi (in particolare quello che si realizza mediante l’assunzione del colostro). Alcuni meccanismi aspecifici di difesa nei confronti delle infezioni si sviluppano progressivamente nel corso della vita e spesso non sono pienamente efficaci nelle prime ore o nei primi giorni di vita dell’animale. Sesso Il sesso influenza il ruolo epidemiologico dell’ospite, la natura della malattia e la sua gravità (in particolare per le patologie che possono interessare l’apparato genitale e/o i prodotti del concepimento). B. abortus e B. melitensis provocano epididimiti nei maschi e aborti nelle femmine; dal punto di vista epidemiologico, la malattia è più pericolosa nel maschio, dal punto di vista clinico ed economico, è più grave nella femmina. Difese immunitarie 1. 2. 3. 4. Possibili interazioni dovute a: immunità passiva; immunità attiva (vaccinale o pregressa infezione); immunità crociata; co-infezioni con AE immunodeprimenti. Condizione di salute Un animale sano ha minori probabilità di contrarre una malattia infettiva ed ha maggiori probabilità di guarire rispetto ad un individuo debilitato, denutrito, affetto da altre patologie, infezioni o infestioni secondarie o opportunistiche. 5 Trattamenti terapeutici e/o profilattici Lo stato di salute dipende anche da attività umane, perchè nelle specie allevate (e negli animali da compagnia), vengono effettuati trattamenti terapeutici o profilattici che possono modificare sia la condizione immunitaria sia la composizione della flora microbica (soprattutto in sede intestinale). La vaccinazione non è sempre in grado di prevenire l’infezione. Tuttavia, nel vaccinato la gravità dei sintomi, durata della malattia e quantità di AE escreta sono significativamente inferiori rispetto ai soggetti non vaccinati. L’utilizzo indiscriminato/errato di antibiotici può determinare la selezione di ceppi con ampi spettri di antibiotico-resistenza, riducendo le possibilità terapeutiche (mangimi medicati, prodotti long-acting, trattamenti con cortisonici). I fattori stressanti attivano l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con aumento di produzione di ACTH (adenocorticotropo) che induce una serie di reazioni organiche positive, ma anche una modulazione in senso negativo del sistema immunitario. Esempio di fattori stressanti sono: trasporto, interventi veterinari, variazioni climatiche o di dieta, affollamento, competizione per il cibo, cambio di gruppo (e conseguenti lotte gerarchiche), parto, ecc. Caratteristiche produttive Le caratteristiche produttive dell’ospite (selezione genetica) e, di conseguenza, le scelte gestionali negli all’allevamenti intensivi condiziona l’incidenza di patologie definibili come tecnopatie 1. mastiti nella BLAP; 2. ipofertilità; 3. sindromi enterico/respiratorie negli animali all’ingrasso; 4. patologia podalica. Professione (uomo) L’uomo può avere un ruolo di sentinella della presenza di una infezione/malattia in un territorio L’uomo (veterinario, allevatore, macellatore, conciatore, ecc.) è esposto professionalmente a numerose zoonosi: Brucellosi, Carbonchio ematico, Mal rosso, Epatite E, Dermatomocisi, ecc. Alimentazione La qualità dell’alimentazione modula le condizioni fisiologiche dell’animale e quindi delle sue capacità di risposta nei confronti degli AE. Diete non equilibrate e stati carenziali possono condizionare negativamente anche l’attività del sistema immunitario. Alcuni AE possono essere già presenti negli alimenti zootecnici o contaminarli dopo la produzione. Alcune tecniche di alimentazione hanno rappresentato un importante veicolo di trasmissione di infezioni o anche abitudini alimentari (zoonosi alimentari). Esempi: 1. l’utilizzo di farine di carne prodotte a partire dalle carcasse di animali infetti ha permesso la diffusione del prione responsabile della BSE; 2. l’utilizzo degli insilati contribuisce alla diffusione dell’infezione da Listeria monocytogenes; 3. l’impiego di scarti di mensa nell’alimentazione del suino ha favorito la trasmissione, anche su scala internazionale, del virus della PSC; 4. consumo di alimenti crudi, poco cotti, non pastorizzati: trichinosi da carne di cavallo, anisakiasi, brucellosi, epatite E, sindrome emolitico-uremica da coli VTEC, ecc. L’ospite può essere: 1. definitivo → ospite nel quale l’agente va incontro ad uno sviluppo (in parassitologia spesso con una fase sessuata del ciclo riproduttivo); 2. primario → specie animale responsabile del mantenimento dell’agente in un’area geografica; 3. secondario → ulteriore specie animale coinvolta nel ciclo. In parassitologia è l’ospite mediante il quale l’agente viene trasferito meccanicamente e in cui non compie nessuno sviluppo; 4. intermedio → in parassitologia è l’ospite in cui l’agente va incontro a qualche tipo di sviluppo, tipicamente una fase asessuata; 6 5. accidentale (o incidentale o a fondo cieco o dead end) → specie ospite che generalmente non è in grado di trasmettere l’infezione; 6. paratenico → in parassitologia è l’ospite mediante il quale l’agente viene trasferito meccanicamente e in cui non compie nessun sviluppo. In altre discipline è il vettore meccanico; 7. di amplificazione → specie animale (inclusi i vettori biologici) o categoris di individui che favoriscono una rapida diffusione dell’agente 8. serbatoio → ospite in cui un agente vive eeplica, anche senza provocare malattia spesso rappresenta una fonte occulta di infezione; 9. portatore → animale infetto, che non manifesta sintomi e potenzialmente capace di trasmettere l’agente: a. portatore in incubazione → animale nella fase pre-clinica della malattia; è eliminatore ma clinicamente sano; b. portatore convalescente → animale che ha superato la fase clinica della malattia e di solito elimina il patogeno per un breve periodo; c. portatore latente → caso particolare in cui l’agente non può essere dimostrato con metodi convenzionali (infezioni da Herpes virus); non evidenziabile mediante diagnodi diretta; d. portatore clinico → elimina l’agente in fase clinica manifesta; e. portatore asintomatico → elimina l’agente senza aver mai presentato sintomi; f. portatore a fondo cieco → può indicare che all’interno della popolazione c’è un agente; questo però non si moltiplica e non viene eliminato (può essere trasmesso solo con vettori o carnivorismo): g. portatore cronico → elimina l’agente per un tempo indefinito (in modo continuo o intermittente) a volte anche per tutta la vita e può diventare serbatoio. È molto pericoloso e spesso è la normale evoluzione della malattia (TBC). L’eliminazione intermittente rende indispensabile effettuare più prelievi e valutare più volte l’animale per fare la diagnosi. Caratteristiche dell’ambiente Sono tutti i determinanti esterni all’ospite che sono in grado di modulare l’espressione della malattia, la sua frequenza, la diffusione, la continuità nel tempo, ecc… È possibile distinguere fattori ambientali: 1. abiotici, relativi all’ambiente fisico; 2. biotici, relativi alla biocenosi (insieme delle popolazioni di animali, piante e microrganismi che vivono in una determinata area geografica con condizioni di vita uniformi - biotopo). Fattori biotici Sono in funzione di: 1. presenza/densità di specie serbatoio 2. presenza/densità di ospiti recettivi → capacità portante del territorio e soglia di estinzione della malattia; 3. presenza/densità di ospiti intermedi e/o di vettori biologici. La tipologia di allevamento (intensivo, estensivo, nomade, familiare, brado, semibrado) modula le dimensioni di un’area interessata da una malattia e la natura della malattia stessa: 1. allevamenti intensivi (alte densità di animali, elevate probabilità di contatto): maggiore incidenza di patologie a trasmissione diretta; 2. allevamenti estensivi o al pascolo (densità di animali ridotta ma contatto con il terreno è frequente): maggiormente diffuse le patologie a trasmissione indiretta o quelle in cui il parassita ha una fase del ciclo all’interno di un invertebrato a vita libera (es. fasciolosi da Fasciola hepatica). Anche le attività umane interferiscono: 1. commercio nazionale e internazionale di animali e di prodotti (legale/illegale/triangolazioni); 2. viabilità/mezzi di comunicazione, velocità di spostamento; 3. disponibilità di tecnici e di strutture diagnostiche; 4. ambiente sociale; 5. educazione sanitaria; 6. …… 7 Fattori abiotici Le caratteristiche pedologiche sono importanti per AE di malattie non contagiose, per i nematodi, platelminti e artropodi. Le caratteristiche del suolo (pH, struttura fisica, umidità, temperatura, biocenosi, ecc.) condizionano sviluppo, disseminazione, e sopravvivenza di batteri sporigeni o non sporigeni, o di stadi a vita libera del ciclo biologico di alcuni nematodi parassiti. Ad esempio nei terreni permeabili, l’acqua piovana percola rapidamente in profondità ed è improbabile che si realizzino condizioni di ristagno che costituiscono un habitat di deposizione e sviluppo di molti vettori. Terreni argillosi, ricchi di ferro chelato, aumentano i tempi di sopravvivenza ambientale di Mycobacterium avium subsp. Paratuberculosis. Clima (macroclima): temperatura, umidità relativa, tipo e quantità di precipitazioni, quantità di irraggiamento solare e quantità di radiazioni UV, ventosità, ecc., di un’area geografica. È condizionato da latitudine, altitudine e conformazione (valli, pianure), presenza di grandi masse d’acqua (mari, laghi), ecc. Influenza la presenza e l’abbondanza di ospiti intermedi e/o vettori, determina la ciclicità stagionale degli eventi o condiziona le probabilità di resistenza ambientale dei microrganismi. Molti vettori hanno un areale di diffusione che è condizionato dalle caratteristiche climatiche dell’area geografica; B. abortus e B. melitensis sopravvivono per pochi minuti in condizioni di elevato irraggiamento (elevata componente UV), alte temperature ambientali e bassi livelli di umidità relativa nei paesi tropicali e sub-tropicali l’incidenza di brucellosi è bassa. Il macroclima condiziona il microclima dei ricoveri, cioè le condizioni di temperatura e umidità degli ambienti chiusi in cui vengono allevati gli animali. I parametri ottimali di temperatura e umidità dei ricoveri variano a seconda della specie e dell’età degli animali, sono influenzati dalle caratteristiche costruttive e di stabulazione degli ambienti e devono essere garantiti per evitare condizioni di stress. Parametri microclimatici ottimali per i suini all’ingrasso (dati CRPA) Temperatura ambientale Umidità relativa (%) Velocità dell’aria (m/s) Suini di 30-50 kg Stabulazione su lettiera pavimento pieno pavimento fessurato 16-17 19-20 22-23 60-80 60-80 60-80 0,2-3 0,2-2 0,2-2 lettiera pavimento pieno pavimento fessurato 14-15 17-18 20-21 60-80 60-80 60-80 0,3-3,5 0,3-2,5 0,3-2,5 lettiera pavimento pieno pavimento fessurato 13-14 15-16 18-19 60-80 60-80 60-80 0,4-4 0,4-3 0,4-3 Suini di 51-100 kg Stabulazione su Suini di 101-160 kg Stabulazione su Nelle strutture di stabulazione, la qualità dell’aria e le sue caratteristiche fisico-chimiche (es. polveri) e microbiologiche, rivestono un ruolo importante nel determinismo di forme patologiche di tipo respiratorio. Esempio: se la ventilazione non è adeguata la concentrazione di AE per m3 d’aria può raggiungere la DI; la concentrazione di alcuni gas che derivano dalla fermentazione di feci, urine e lettiera (NH3, H2S), può raggiungere valori tali da determinare alterazioni a carico dei sistemi aspecifici di difesa dell’apparato respiratorio (ciglia vibratili). L’NH3 ha effetti irritanti; ha odore acre, pungente ed è incolore. L’esposizione prolungata porta a difficoltà respiratorie seguite da convulsioni. Concentrazione (ppm) 5 6-20: 50 (max concentrazione ammessa) 100 ppm per 1 ora 400 700 5.000 10.000 Concentrazione (ppm) 50 100 300 Effetti sull’uomo Odore avvertibile Lieve irritazione oculare e dell’apparato respiratorio (inizia la paralisi delle ciglia vibratili) Mal di testa nausea e perdita di appetito, bruciore, irritazione e forte lacrimazione oculare irritazione grave delle mucose respiratorie Infiammazione agli occhi e alle vie respiratorie Gravissima infiammazione immediata agli occhi e alle vie respiratorie, tosse e bava alla bocca Spasmi respiratori, asfissia (tempo di esposizione 30 min.) Morte (tempo di esposizione 40 min.) Effetti sul suino Riduzione delle performance e dello stato sanitario. Un’esposizione prolungata incrementa l’incidenza di polmoniti e altre patologie respiratorie Starnuti e attacchi di tosse, salivazione, perdita di appetito e riduzione delle performance Gravissima irritazione immediata agli occhi e alle vie respiratorie, tosse e bava alla bocca. L’assenza e/o l’inadeguatezza di impianti igienici (sistemi di raccolta e stoccaggio delle deiezioni, fogne, depuratori) possono favorire la diffusione di malattie a ciclo oro-fecale, comprese talune zoonosi parassitarie. 8 Test diagnostici Un test diagnostico è una procedura o tecnica che si basa su un criterio obiettivo (oggettivo), piuttosto che su un giudizio soggettivo. Definisce un “valore soglia” della misurazione di una variabile biologica rispetto al quale i soggetti (es. animali) sono classificati come: 1. positivi (+) → malati, infetti; 2. negativi (-) → sani. Una diagnosi clinica è un processo che si basa sulla valutazione di test diagnostici, sintomi, segni ed esami di laboratorio oltre che sul giudizio soggettivo (occhio clinico, esperienza). Un test diagnostico è una qualunque procedura utile all’identificazione di uno stato di malattia, come la misura e valutazione di: 1. glicemia → diabete; 2. SGOT e SGPT → malattie epatiche; 3. Proteinuria → malattie renali; 4. reazione immunitaria → malattie infettive; 5. presenza dell’antigene → malattie infettive. Se l’esito di un test è positivo ciò induce a sospettare la presenza della malattia. Se l’esito di un test è negativo ciò induce ad escludere la presenza della malattia. Misure ed errori di misura Il risultato di un’operazione di misura (titolazione, esame di laboratorio, ecc) è un numero reale (x), che esprime il valore vero (θ) di una quantità caratteristica del sistema oggetto di misura (concentrazione del soluto, livello sierico od urinario dell’indicatore biologico, concentrazione di Ab) ed è detto misura analitica. La successione delle operazioni effettuate per ottenere la misura, secondo un complesso di istituzioni scritte che costituiscono il metodo analitico, è detta procedimento analitico. Se si eseguono più misurazioni di una stessa quantità, raramente le misure coincidono: la conclusione ovvia è che i valori misurati sono in genere diversi dal vero valore della quantità oggetto di misura. La differenza tra il valore misurato (x) e quello vero (θ) è detto errore totale (ฮฎ). ฮฎ=๐ฅ−θ una misura affetta da errore totale di lieve entità ha elevata attendibilità. La misurazione non consente di determinare con certezza il vero valore della quantità misurata (y), ma produce stime, o “misure” (x), il cui grado di approssimare il vero valore (attendibilità) dipende dal metodo di analisi e da come è stato eseguito il procedimento di analisi Per valutare la qualità di procedimenti di analisi in base all’attendibilità delle misure da essi fornite è necessario considerare la natura degli errori di misura: 1. errori grossolani; 2. errori sistematici; 3. errori casuali. Errori grossolani Gli errori grossolani sono quelli che vengono commessi in seguito ad un’inappropriata applicazione (esecuzione) del metodo di analisi, ad esempio, in un laboratorio microbiologico gli errori grossolani derivano dallo scambio di campioni e reagenti, oppure dall’uso scorretto degli strumenti. Gli errori grossolani non possono essere quantificati ma possono essere prevenuti con un’accorta organizzazione del laboratorio. Errori sistematici (e accuratezza) L’errore sistematico è la distanza tra il valore «misurato» e quello «vero». Minore è l’entità dell’errore sistematico (ES) maggiore è l’accuratezza (esattezza). Esempio: vuoi verificare l’accuratezza di un metodo di determinazione della glicemia del cane. Per tale motivo, esamini per 9 volte una soluzione di glucosio a concentrazione nota (90 mg/dl) ed ottieni i seguenti valori: 94, 90, 93, 86, 96, 98, 88, 90, 93. 94 + 90 + 93 + 86 + 96 + 98 + 88 + 90 + 93 = 92 ๐๐/๐๐ 9 ๐ด๐๐๐ข๐๐๐ก๐๐ง๐ง๐ = ๐๐๐๐๐๐ ๐๐๐๐๐ ๐๐๐๐๐ ๐๐๐ ๐ข๐๐๐ง๐๐๐๐ − ๐๐๐๐๐๐ ๐ฃ๐๐๐ = 92 − 90 = 2 ๐๐/๐๐ ๐๐๐๐ข๐๐๐ก๐๐ง๐ง๐ 2 ๐ผ๐๐๐๐๐ข๐๐๐ก๐๐ง๐ง๐ = = = 0,022 = 2,22% ๐ฃ๐๐๐๐๐ ๐ฃ๐๐๐ 90 ๐๐๐๐๐๐ ๐๐๐๐๐ ๐๐๐๐๐ ๐๐๐ ๐ข๐๐๐ง๐๐๐๐ = Errori casuali (e precisione) La precisione è il grado di “convergenza” (o “dispersione”) di un campione di dati rilevati individualmente rispetto al valore medio della serie cui appartengono ovvero, in altri termini, la loro deviazione standard rispetto alla media campionaria. Una misura è tanto più precisa quanto minore è l’entità dell’errore casuale (EC) da cui è affetta. Esempio: vuoi verificare la precisione di un metodo di determinazione della glicemia del cane. Per tale motivo, esamini per 9 volte una soluzione di glucosio a concentrazione nota (90 mg/dl) ed ottieni i seguenti valori: 94, 90, 93, 86, 96, 98, 88, 90, 93. Devi calcolare la devianza, la deviazione standard (S) e, da questa, il coefficiente di variazione: 9 ๐๐๐ฃ๐๐๐๐ง๐ ๐ฅ − ๐)2 118 = √๐ด( =√ ๐๐๐๐๐ ๐๐ ๐๐๐๐๐๐กà ๐−1 1 ๐ 3,841 ๐๐ฃ% = = = 4,27% ๐ฃ๐๐๐๐๐ ๐ฃ๐๐๐ 90 ๐=√ Precisione e accuratezza Risultati di 50 determinazioni analitiche di un medesimo «valore vero» eseguite con 4 differenti metodi: ๏ผ A - preciso e accurato ๏ผ B - preciso e inaccurato ๏ผ C - impreciso e accurato ๏ผ D - impreciso e inaccurato Malattia ed esiti del test Gli individui sottoposti a test diagnostico, possono essere classificati come veri positivi (VP), falsi positivi (FP), falsi negativi (FN) e veri negativi (VN) in funzione dell’esito del test e della loro reale condizione sanitaria. T+ TTotale M+ VP FN Malati MFP VN Sani Totale Positivi Negativi Popolazione Il rapporto malati/popolazione è detto prevalenza di malattia. VP: veri positivi (malati e positivi al test) FP: falsi positivi (sani e positivi al test) FN: falsi negativi (malati e negativi al test) VN: veri negativi (sani e negativi al test) Sensibilità e Specificità Un buon test diagnostico tende a fornire esiti positivi in soggetti malati. Se abbiamo un insieme di soggetti malati sottoposti al test, se l’esito è: 1. positivo (T+), si tratta di veri positivi (VP); 2. negativo (T-), si tratta di falsi negativi (FN). La probabilità che un test diagnostico ha di dare esiti positivi (T+) nei malati (M+) prende nome di sensibilità (Se). M+ Ma b c d ๐ ๐๐ ๐๐ ๐๐ = → ๐๐ = → ๐๐ = ๐+๐ ๐๐ + ๐น๐ ๐ก๐๐ก๐๐๐ ๐๐๐๐๐ก๐ T+ T- Quindi è la probabilità di identificare come positivi i soggetti infetti. Un test molto sensibile ha pochi falsi negativi. Un buon test diagnostico tende a fornire esiti negativi in soggetti sani. Se abbiamo un insieme di soggetti sani sottoposti al test, se l’esito è: 1. positivo (T+), si tratta di falsi positivi (FP); 2. negativo (T-), si tratta di veri negativi (VN). La probabilità che un test diagnostico ha di dare esiti negativi (T-) nei non malati (M-) prende nome di specificità (Sp). M+ Ma b c d ๐ ๐๐ ๐๐ ๐๐ = → ๐๐ = → ๐๐ = ๐+๐ ๐๐ + ๐น๐ ๐ก๐๐ก๐๐๐ ๐ ๐๐๐ T+ T- Quindi è la probabilità di identificare come negativi i soggetti sani. Un test molto specifico ha pochi falsi positivi. Sensibilità e specificità sono: 1. caratteristiche intrinseche e proprie di ciascun test diagnostico; 2. caratteristiche misurabili comprese tra 0 e 1 (in senso probabilistico) o tra 0% e 100%; 3. raramente entrambi uguali a 1 (o 100%). 10 Consideriamo la diagnosi di morte. Il rigor mortis è un sintomo assolutamente specifico: nessun vivo lo presenta! Tuttavia il rigor mortis non è presente nei morti da poco o da troppo tempo. L’EEG piatto è un sintomo assolutamente sensibile: tutti i morti hanno l’EEG piatto! Tuttavia l’EEG può presentarsi transitoriamente piatto in soggetti in coma profondo. Nota bene: i test diagnostici non forniscono mai certezze. Calcolo di Sensibilità e Specificità: ๏ผ es. 1 malati sani 180 40 220 20 760 780 200 800 1.000 ๐ 180 ๐๐ = = = 0,90 (90%) ๐ + ๐ 200 ๐ 780 ๐๐ = = = 0,95 (95%) ๐ + ๐ 800 test + test - ๏ผ es. 2 malati sani 190 80 270 10 720 730 200 800 1.000 ๐ 190 ๐๐ = = = 0,95 (95%) ๐ + ๐ 200 ๐ 720 ๐๐ = = = 0,90 (90%) ๐ + ๐ 800 test + test - Relazione tra Se, Sp e Prevalenza Prevalenza apparente (PR) = (a+c)/n Prevalenza reale (PR) = (a+b)/n Se=90% Sp=95% malati sani test + 180 40 220 test 20 760 780 200 800 1.000 PR = 200 / 1000 = 20% PA = 220 / 1000 = 22% Se=95% Sp=90% malati sani test + 190 80 270 test 10 720 730 200 800 1.000 PR = 200 / 1000 = 20% PA = 270 / 1000 = 27% Perché un animale sano reagisce come falso positivo? (ad un test sierologico) 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. I motivi sono: motivi biologici: a. contatti con organismi antigenicamente simili (crossreazioni); b. immunità passiva (naturale, artificiale); errori di misurazione: a. inadeguata standardizzazione della tecnica e/o degli antigeni; b. altri errori umani/strumentali; errori grossolani: a. contaminazione del siero; b. errori di identificazione; stato fisiologico/parafisiologico/patologico: a. parto, estro, fattori stressanti; b. immunodepressione conseguente a infezione; terapie immunodepressive; mancata produzione di anticorpi (immunotolleranza); fase iniziale dell’infezione. BVD-MD e immunotolleranza Il virus supera la barriera placentare ma l’evoluzione della malattia varia in funzione del periodo di gestazione/maturità del sistema immunitario del feto: 1. fino a 125 gg di gravidanza: riassorbimento embrionale, aborto, natimortalità, nascita di vitelli viremici, immunotolleranti e persistentemente infetti (sieronegativi e viremici) 2. da 125 a 150 gg di gravidanza provoca malformazioni facciali, atassia, tremori, lesioni oculari e al SNC;interazioni virus/sistema immunitario? Sieropositivi precolostro, a volte viremici. 3. oltre 180 gg di gravidanza non provoca danni al feto che nasce sieropositivo 11 DOMANDA: conoscendo il numero totale di soggetti (700), il numero reale di malati (300), la Se del test (0,95) e la Sp (0,70) posso calcolare: 1. quanti soggetti malati è in grado di individuare il test? ๐ ๐ → 0,95 = = 285 ๐+๐ 300 ๐ ๐ ๐๐ = → 0,70 = = 280 ๐+๐ 400 malati sani test + 285 120 405 test 15 280 295 300 400 700 ๐๐ = 2. la probabilità che un soggetto positivo sia realmente malato? La probabilità che un soggetto positivo al test sia realmente malato prende il nome di valore predittivo di un esito positivo al test (Vp+): ๐๐ ๐ 285 ๐๐+ = = = = 70,4% ๐ + ๐ + ๐ 405 3. la probabilità che un soggetto negativo sia realmente sano? La probabilità che un soggetto negativo al test sia realmente sano prende il nome di valore predittivo di un esito negativo al test (Vp-): ๐๐ ๐ 280 ๐๐− = = = = 94,9% ๐ − ๐ + ๐ 295 12 Valori predittivi Vp+ dipende da: 1. Sp del test; 2. prevalenza dell’infezione (Vp+ diminuisce al diminuire della PR). Vp- dipende da: 1. Se del test; 2. prevalenza dell’infezione (Vp- aumenta al diminuire della PR). Variazione dei valori Vp+ e Vp- al variare della PR (test con Se=95% e Sp=80%) Il valore predittivo da preferire è: 1. Se il fine è individuare il maggior numero di malati il test migliore è quello a sensibilità maggiore. Ciò comporta: a. un migliore valore predittivo negativo (un esito negativo indica quasi certamente un soggetto sano); b. un minore valore predittivo positivo (in molti casi, ad un esito positivo può corrispondere un soggetto sano); 2. Se il fine è individuare i soggetti sicuramente malati il test migliore è quello a specificità maggiore. Ciò comporta: a. un migliore valore predittivo positivo (un esito positivo indica quasi certamente un soggetto malato); b. un minore valore predittivo negativo (in molti casi, ad un esito negativo può corrispondere un soggetto malato). Se e Sp riflettono in modo incompleto l’applicabilità del test nella pratica. Non esistono test comunemente usati che siano considerati 100% Se e Sp. Di conseguenza, ogni test avrà una determinata % di FP e/o FN. I test diagnostici hanno un ampio range di Se e Sp. Aumentare la sensibilità e la specificità di un test Sensibilità e Specificità sono caratteristiche interne e proprie di un test diagnostico ma in alcuni contesti è possibile (e utile) modificare Se e Sp di una procedura diagnostica: 1. modificando la soglia di positività (cut-off); 2. utilizzando più di un test per la diagnosi. Strategia 1: modifica della soglia di positività Presupposto: il test deve fornite un risultato quantitativo Esempio: inibizione dell’emoagglutinazione (HI) 13 Distribuzione dei valori di D.O. dei soggetti di 2 gruppi (sani e malati) a) scelgo la D.O. 0,89 come valore di cut-off b) scelgo la D.O. 0,75 come valore di cut-off c) scelgo la D.O. 1,05 come valore di cut-off 14 Modificare Se e Sp di una procedura diagnostica Strategia 1: modifica della soglia di positività Quindi: 1. la riduzione del valore di cut-off determina un aumento della Se ma una riduzione della Sp; 2. l’aumento del valore di cut-off determina una riduzione della della Se ma un aumento della Sp. Perche??? Spiegazione «biologica» Strategia 2: esecuzione di 2 test distinti Esecuzione di 2 test distinti A e B 1. in serie: test A e poi, sui soli positivi, test B 2. in parallelo: test A e test B su tutti i soggetti Come interpreto il risultato di 2 test in serie? Un animale per essere considerato positivo deve reagire positivamente a entrambi i test NEG se [+,-] [-,-] POS se [+,+] Vantaggi: 1. riduzione dei costi per la diagnosi; 2. aumento della Sp complessiva (ma riduzione della Se). 15 2 test in parallelo (test A e test B su tutti i soggetti) 1. 2. 3. 4. 5. 1. 2. 3. 4. 5. Come interpreto? 2 test distinti. Come scegliere la modalità di esecuzione? In parallelo considero positivo un soggetto che abbia dato esito positivo in almeno una prova aumenta la sensibilità e si riduce la specificità aumenta il Vpmaggiore certezza di escludere la malattia nei negativi rapida stima dei “positivi” In serie (OR) considero positivo un soggetto che abbia dato esito positivo in entrambe le prove si riduce la sensibilità e aumenta la specificità aumenta il Vp+ maggiore certezza di confermare la malattia nei positivi fase finale piani Relazione tra prevalenza apparente (PA) e reale (PR) 16 Campionamento Il campionamento è una procedura per la quale alcuni membri della popolazione sono selezionati come rappresentativi della intera popolazione. Più grande sarà il campione e minore sarà il margine d’errore (si annulla quando il campione coincide con l’intera popolazione). La distanza tra il valore medio del campione e quello reale della popolazione è detto forbice o forchetta: minore sarà la distanza e maggiore sarà la precisione della misurazione. Occorre raccogliere informazioni su base campionaria quando è impraticabile raccogliere informazioni sull’intera popolazione per motivi: 1. pratici → popolazione eccessivamente vasta, animali selvatici, tempo a disposizione; 2. economici; 3. altro → disponibilità di personale, di laboratori, ecc. Il campionamento è in equilibrio tra le variabili precisione e costo. Un paradosso diffuso: mio nonno fumava 40 sigarette al giorno ed è morto a 92 anni, è chiaro, quindi, che il fumo non fa male. In realtà non funziona così perché: 1. i campioni a numerosità 1 sono inutili; 2. l’individuo che costituisce il campione può rappresentare una eccezione; 3. la storia del singolo (o di pochi) non può essere rappresentativa di una popolazione; 4. tutti tendiamo a generalizzare partendo dalle nostre (limitate) esperienze personali; 5. per ogni esempio che induce a generalizzare in un senso, è sempre possibile trovare un altro esempio che spinge nella direzione opposta (il nonno è morto alla sua prima sigaretta). Definizioni e termini del Campionamento Unità di Campionamento: unità di base di Campionamento intorno alla quale il Campionamento è pianificato. Frazione di Campionamento: rapporto tra la dimensione del campione e la dimensione della popolazione. Universo di Campionamento: ogni lista di tutte le unità di Campionamento della popolazione. Schema di Campionamento: metodo di selezione delle unità di Campionamento dall’universo di Campionamento. Campionamento e rappresentatività Popolazione Bersaglio → popolazione Campionaria → campione Raramente possono essere studiate tutte le unità che compongono una popolazione, pertanto si studia spesso soltanto una parte (campione) della popolazione, per poi generalizzare i risultati (interferenza). Rappresentatività: il campione è rappresentativo quando riassume in se, nelle medesime proporzioni, le caratteristiche della popolazione da cui viene estratto. Popolazione: insieme omogeneo di individui definito secondo uno o più criteri univoci di classificazione: 1. individuali → età, sesso, altre caratteristiche demografiche, esposizione/recettività; 2. spaziali, di tipologia → intensivo/estensivo, rurale/urbana; 3. temporali → stagionalità, mese, giorno della settimana, ora del giorno. Errore di campionamento Quando si effettua un’indagine campionaria si possono ottenere risultati più o meno validi in funzione di: 1. scelta della popolazione; 2. metodo di selezione dei soggetti; 3. periodo di osservazione; 4. metodi per l’identificazione dei casi (test). In qualsiasi modo venga scelto (estratto) il campione, i suoi caratteri non saranno mai identici a quelli della popolazione di origine. La differenza tra il risultato ottenuto dal campione e la vera caratteristica della popolazione è detta errore di campionamento (che può essere stimato). L’errore di campionamento si verifica per: 1. variazione casuale → dovuta al caso e non evitabile. L’errore può però essere stimato (buon campione); 2. selezione viziata → fatta su un settore non rappresentativo della popolazione. Questo è un campione distorto (cattivo) perché l’errore non può essere stimato. 17 Tipo di campioni Il campionamento può essere: 1. non-probabilistico: a. campioni di convenienza → viziati; scenario migliore o peggiore; b. campioni soggettivi → basati sulla conoscenza; tempo/risorse e vincoli; 2. campionamento probabilistico → il solo metodo di campionamento che consente di estrarre valide conclusioni circa la popolazione. Campioni probabilistici Nel campionamento casuale ogni soggetto ha una probabilità nota di essere scelto. Riduce la possibilità di vizio di selezione di soggetti e consente l’applicazione della teoria statistica ai risultati. Nessun campione è una perfetta immagine della popolazione e la grandezza di errore può essere misurato nei campioni probabilistici (espressione dell’errore standard di media, di proporzione, di differenze, etc) in funzione della dimensione del campione e della quantità di variabilità nella misura del fattore di interesse. Aspetti: 1. quantitativi → quanti soggetti esaminare per ottenere una stima attendibile. i punti principali sono: a. ridurre il più possibile il n° di soggetti; b. non campionare su base percentuale; vanno considerati: a. prevalenza attesa dell’infezione; b. dimensioni della popolazione; c. accuratezza della stima; 2. qualitativi → quali soggetti esaminare per ottenere una stima attendibile. Obiettivi di una indagine campionaria Gli obiettivi di una indagine campionaria sono: 1. rilevazione della presenza della malattia → risultato qualitativo: malattia presente o assente. Si rilevare, con un margine d’errore accettabile, se la malattia è presente nella popolazione, con un valore di prevalenza ≥ ad un minimo fissato come soglia ( monitoraggio sierologico m. di aujeszky); 2. stima della prevalenza → risultato quantitativo: viene stabilito il n° di capi infetti. Si stima la prevalenza della malattia nella popolazione con un margine d’errore accettabile, dato un valore di prevalenza attesa. Obiettivo 1: Rilevazione della presenza di una malattia Permette di stabilire il numero di soggetti da testare per una determinata infezione allo scopo di escluderne la presenza. A tal fine occorre conoscere: 1. il numero di soggetti N componenti la popolazione (può essere considerata infinita per valori >10000 unità o comunque quando la prevalenza minima corrisponde ad almeno 100 soggetti positivi nella popolazione); 2. la prevalenza minima (%) nella popolazione al di sotto della quale si ritiene che l’ infezione non possa esistere; 3. il livello di confidenza (generalmente 95% o 99%) che fornisce l’indicazione sulla veridicità dei risultati ottenuti; maggiore è il valore del livello di confidenza, maggiore sarà la veridicità dei risultati. Qualora i soggetti così campionati si rilevassero tutti negativi, si potrà asserire, con una probabilità pari al livello di confidenza scelto, che l’infezione nella popolazione di riferimento non esiste o, se esiste, la sua prevalenza è inferiore a quella ipotizzata. Esempio: Piano Nazionale di Controllo della Malattia di Aujeszky - Decreto 1° aprile 1997 Art. 5.: al fine di valutare l’andamento del presente piano, i suini sono sottoposti a controllo sierologico annuale […] secondo quanto previsto dall’allegato V: 1. […] gli allevamenti da riproduzione con più di 6 scrofe devono essere sottoposti a controllo sierologico secondo lo schema specificato al punto 2. 2. numero di campioni da prelevare per evidenziare almeno un animale positivo (alla glicoproteina E) data una prevalenza in ogni categoria dell’80% (IC 95%). Categorie animali Primipare Pluripare Magroni 120-180 gg Grassi > 180 gg Ciclo chiuso 3 3 3 3 Ciclo aperto 3 3 Obiettivo 2: stima della prevalenza 1. 2. 3. 4. Per la stima della prevalenza occorre conoscere: il numero di soggetti N componenti la popolazione da cui estrarre il campione; il livello ipotizzato di prevalenza (espresso in %) della malattia “ x “; l’errore massimo ammesso (espresso in %) nella determinazione della stima del livello di prevalenza; il livello di confidenza (generalmente 95% o 99%) che fornisce l’indicazione sulla veridicità dei risultati ottenuti; maggiore è il valore del livello di confidenza, maggiore sarà la veridicità dei risultati. 18 Fissando i parametri richiesti si potrà affermare che la stima del livello di prevalenza sarà pari a quello ipotizzato ± l’errore massimo stabilito. Calcolare l’ampiezza di un campione di bovini necessario per affermare che il livello di prevalenza della malattia “x” nella popolazione di riferimento è pari al 10% ± un 3% di errore ammesso: 1. popolazione finita (N = 1000); 2. prevalenza attesa =10%; 3. errore massimo ammesso = ± 3%; 4. livello di confidenza = 0,95; 5. dimensione del campione richiesta =278. Aspetti quantitativi del campionamento probabilistico Campionamento casuale semplice Principio: ogni individuo della popolazione ha le stesse, e conosciute, probabilità di entrare a far parte del campione. Procedura: 1. numerare tutte le unità (non è sempre fattibile: allevamento di polli, pesci,…); 2. estrarre unità casuali . Vantaggi: 1. semplice se ci si può affidare ad un’anagrafe corretta; 2. errore di Campionamento facilmente misurabile. Svantaggi: 1. richiede la completa lista delle unità campionarie; 2. non sempre ottiene la migliore rappresentatività. Campionamento sistematico Principio: unità estratte con un constante intervallo tra successive unità e uguale opportunità per ogni unità di essere estratta. Procedura: 1. calcolare l’intervallo di campionamento (k = N/n); 2. estrarre una lista di numeri casuali (≤ k); 3. estrarre ogni k unità dalla prima unità. Vantaggi: Assicura rappresentatività attraverso la lista 1. facile da implementare; 2. può migliorare la precisione. Svantaggi: rischioso se la lista ha cicli. Utile in condizioni pratiche di campo, quando non si disponga della numerazione di tutti i soggetti, o quando sia difficile individuare i singoli soggetti corrispondenti al numero selezionato. Campionamento stratificato Principio: 1. classificare la popolazione in sottogruppi internamente omogenei (strato) 2. estrarre un campione da ogni strato 3. combinare i risultati di tutti gli strati Vantaggi: più precisose la variabile è associata con lo strato; tutti sottogruppi sono rappresentati, quindi permette conclusioni separate per ciascuno di essi. Svantaggi: errore di Campionamento di difficile misurazione e perdita di precisione se tutti i soggetti vengono campionati in un unico strato. La popolazione viene divisa in strati sulla base di caratteristiche importanti (età, sesso, dimensioni dell’allevamento, distribuzione geografica ...). Entro ogni strato viene effettuato un campionamento casuale. Devono essere noti in anticipo gli effetti delle caratteristiche in base alle quali stratificare e la composizione della popolazione relativamente ad esse e ogni strato viene rappresentato nel campione. 19 Campionamento a Cluster È un campione casuale di gruppi (“clusters”) di unità. Nei cluster selezionati, sono incluse tutte le unità o proporzioni di unità (campione). Il campionamento entro il cluster può essere: 1. casuale semplice; 2. casuale sistematico. Le unità campionarie non sono singoli individui, ma gruppi omogenei di essi (allevamenti, cucciolate, partite...), definiti clusters. I clusters possono poi essere selezionati in uno dei modi previsti per unità campionarie costituite da singoli individui È semplice poiché non è richiesta la lista di Campionamento completa delle unità entro la popolazione, ma è impreciso se i clusters non sono omogenei e quindi la variazione tra campioni è maggiore della variazione nella popolazioneL’errore di Campionamento è difficile da misurare. Campionamento Multistadio 1. 2. 1. 2. 3. 4. Principio: molteplici Campioni concatenati e molteplici unità statistiche. Vantaggi: non esiste una completa lista di popolazione richiesta; più facile approccio per grandi popolazioni. Svantaggi: molteplici liste di Campionamento ed errore di Campionamento difficile da misurare. Determinare la prevalenza di paraTBC nelle bovine di una regione: campione di regioni estratte dalla nazione; campione di province estratte da ogni regione selezionata; campione di allevamenti estratti da ogni provincia selezionata; campione bovine entro gli allevamenti selezionati. Scelta del metodo di Campionamento 1. 2. 3. 4. 5. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. È in funzione di: popolazione che deve essere studiata; dimensione e distribuzione geografica; eterogeneità della variabile livello di precisione richiesta; risorse disponibili; importanza di avere una precisa stima dell’errore di Campionamento. Per stimare la dimensione del campione occorre: identificare una variabile maggiore dello studio; determinare tipo di stima (%, presenza,...); indicare la frequenza attesa di fattore di interesse; decidere la precisione di stima desiderata; decidere il rischio accettabile che la stima cada fuori dal valore della sua popolazione reale; correggere per la proporzione attesa di risposta; (correggere per la dimensione della popolazione). Variazione percentuale delle dimensioni del campione Dimensioni campionarie per 3 livelli di confidenza(popolazione di dimensioni infinite, accuratezza desiderata: ± 5%) All’aumentare della popolazione di origine, diminuisce la percentuale di estrazione del campione. Usando le tabelle (simili a quelle dei logaritmi) è possibile trovare le dimensioni del campione in funzione di determinate caratteristiche. 20 Dimensioni del campione richieste per stimare la prevalenza di un fenomeno in una popolazione di dimensioni infinite, per diverse probabilità di errore e con diverse precisioni della stima Livello di confidenza 90% Accuratezza desiderata Prevalenza attesa 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 Livello di confidenza 95 % Accuratezza desiderata Livello di confidenza 99 % Accuratezza desiderata 10% 5% 1% 10% 5% 1% 10% 5% 1% 24 34 43 51 57 62 65 67 68 67 65 62 57 51 43 34 24 97 138 173 203 227 246 260 268 271 268 260 246 227 203 173 138 97 2435 3449 4329 5073 5681 6155 6493 6696 6763 6696 6493 6155 5681 5073 4329 3449 2435 35 49 61 72 81 87 92 95 96 95 92 87 81 72 61 49 35 138 196 246 288 323 350 369 380 384 380 369 350 323 288 246 196 138 3457 4898 6147 7203 8067 8740 9220 9508 9604 9508 9220 8740 8067 7203 6147 4898 3457 60 85 106 124 139 151 159 164 166 164 159 151 139 124 106 85 60 239 338 425 498 557 604 637 657 663 657 637 604 557 498 425 338 239 5971 8459 10616 12440 13933 15094 15923 16421 16587 16421 15923 15094 13933 12440 10616 8459 5971 Dimensioni campionarie richieste per verificare la presenza di una malattia quando la probabilità di rilevare almeno un capo positivo nel campione è del 95% 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500 1000 1500 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000 Infinita 80 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 50 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 40 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 30 8 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 20 12 13 13 13 14 14 14 14 14 14 14 14 14 14 14 14 14 14 14 14 14 14 15 16 17 18 18 18 18 18 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 10 22 25 26 27 27 28 28 28 28 28 29 29 29 29 29 29 29 29 29 29 29 29 5 35 45 46 51 53 54 54 55 55 56 57 58 58 58 58 59 59 59 59 59 59 59 2 48 78 95 105 112 117 121 124 127 129 138 142 143 145 146 147 147 147 147 148 148 149 1 50 96 117 155 175 189 201 211 218 225 258 271 277 284 268 290 291 292 293 294 294 299 0,5 50 100 143 190 228 260 287 311 331 349 450 468 517 542 556 564 569 573 576 579 581 598 La teoria è quando si conosce tutto ma non funziona niente; la pratica è quando funziona tutto e non si sa il perché. Il nostro obiettivo è unire la teoria alla pratica: non funziona niente e non si sa il perché. Modalità di trasmissione delle malattie infettive 1. 2. 3. 4. Le malattie si trasmettono per: contatto diretto → contatto fisico immediato tra malato e recettivo; può essere tramite: morso, lambitura, graffio, coito, contatto cutaneo, contatto con secreti escreti (feci, sperma, urine…; a condizione che l’agente sia labile nell’ambiente altrimenti diventa indiretto); contatto indiretto →mediato da animali e/o oggetti; via verticale → da un ospite eliminatore ad uno recettivo nell’ambito della stessa generazione; via orizzontale → da una generazione ad un’altra mediante il colostro, la via transovarica, transuterina, transtadiale. Contatto indiretto Può essere trasmesso tramite: 1. veicolo: vettore inanimato; 2. fomites: oggetti per gli animali; 21 3. strumentario veterinario: via iatrogena; 4. vettori. Artropode vettore Può essere un vettore: 1. meccanico passivo (ago volante): a. zanzare: mixomatosi; b. mosche: malattie a ciclo oro fecale; 1. biologico attivo con ciclo (malattie parassitarie; è l’ospite intermedio): malaria dell’uomo, tripanosomosi dei ruminanti, malattia del sonno; 2. biologico propagatore (per virus, l’artropode diventa amplificatore): Febbre gialla dell’uomo, Peste equina, Blue tongue, Rift Valley Fever. Trasmissione orizzontale La malattia è trasmessa da un ospite eliminatore ad uno recettivo nell’ambito della stessa specie, da un qualsiasi segmento di popolazione ad un altro. Trasmissione verticale La malattia è trasmessa da una generazione all’altra con l’infezione dell’embrione, del feto, in ovo. Può essere: 1. congenita, cioè acquisita in utero o in ovo; 2. mediante il colostro, cellule germinali, sangue; 3. transovarica, transuterina, transtadiale. Andamento temporale delle malattie infettive L’andamento di una malattia / infezione in una popolazione può essere: 1. sporadico; 2. endemico; 3. epidemico. Sporadico I nuovi casi appaiono raramente e senza regolarità, perché: 1. l’infezione è endemica nella popolazione e solo sporadicamente compare la malattia; 2. l’agente è assente e viene sporadicamente introdotto; 3. l’agente è presente, ma in un’altra popolazione che ha sporadici contatti con quella considerata. Endemico Situazione di stabilità nel rapporto ospite-parassita. Il numero di nuovi casi è prevedibile: iperendemia, mesoendemia, ipoendemia. La pandemia è la diffusione di una malattia infettiva su scala planetaria. Questo però non vuol dire che sia per forza una malattia molto grave o più grave di una con andamento sporadico. 22 Epidemico Il numero di nuovi casi è in eccesso rispetto ai casi attesi, sulla base delle conoscenze delle caratteristiche degli ospiti, dei parassiti e delle misure di controllo applicate. L’epidemia può essere puntiforme (a fonte comune) o protratta. Andamento epidemico a punta Andamento epidemico protratto Di solito sono malattie molto infettive e contagiose, tipo l’afta epizootica, che provocano gravi perdite È pericoloso perché aumentano le possibilità di economiche. Possono essere anche delle malattie diffusione dell’agente gravi e mortali eradicate (anche un solo caso è pericoloso). Andamento epidemico (endemizzazione) Questo tipo di curva avviene quando si perde il controllo della malattia. I casi incidenti aumentano per un certo periodo e poi si stabilizzano su un plateau. Non si può sempre dire che una certa malattia abbia sempre lo stesso andamento: se da noi l’afta è epidemica, in Sud America magari è endemica. Lo stamping out mi garantisce la scomparsa dell’agente eziologico nell’allevamento. Principali fattori condizionanti l’andamento di una curva epidemica 1. 2. 3. 4. I fattori sono: periodo di incubazione; contagiosità dell’agente eziologico; proporzione di soggetti recettivi nella popolazione; densità della popolazione. Profilassi delle malattie infettive Profilassi: provvedimenti atti a prevenire l’insorgenza, la propagazione e la diffusione delle malattie Prevenzione: misure in grado di proteggere una popolazione prima dell’entrata di una malattia in un territorio, quindi protezione di una popolazione sana. Si attua mediante: 1. quarantena; 23 2. controllo e divieto di importazioni; 3. vaccinazione di massa. Controllo: misure per diminuire la diffusione e i danni di una malattia presente in una popolazione; per “control” si intendono tutte le norme di profilassi. Eradicazione: eliminazione totale e programmata di una malattia in una data area geografica. Non è sufficiente eliminare solo i casi clinici, occorre prevede un intervento sui serbatoi e su eventuali vettori. Profilassi diretta Spopolamento, sfoltimento Vuoto sanitario, eliminazione della specie recettiva a quella malattia Vuoto biologico eliminazione di tutte le specie recettive compresi i vettori Stamping out Teorizzato da Lancisi nel 1700, consiste nell’isolamento e abbattimento di tutti gli animali presenti nel focolaio: malati, infetti e sospetti di infezione. metodo molto duro giustificato in focolai di prima insorgenza di malattie diffusive. Divieto di spostamento e trasporto di animali malati e infetti È il caposaldo della profilassi diretta, irrinunciabile per il RPV fino a qualche anno fa. È permesso in particolari condizioni epidemiologiche per la distruzione di carcasse in emergenze epidemiche. Quarantena In partenza, ma anche in arrivo. In passato il trasporto via nave fungeva da quarantena. Molti paesi hanno parchi di quarantena. Disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione Sterilizzazione: distruzione di ogni forma vivente, sia microrganismi patogeni che saprofiti, comprese le spore. Disinfezione: distruzione mirata di microrganismi patogeni e loro eventuali spore. Ha lo scopo di distruggere i microrganismi patogeni che vengono eliminati dai malati, per impedire la loro persistenza e diffusione nell’ambiente e l’arrivo fino ai soggetti recettivi La disinfezione può essere: 1. disinfezione meccanica (o pulizia) → rimozione dello sporco da oggetti e superfici contaminate ottenuta con acqua, azione meccanica e detergenti; 2. disinfezione chimica → utilizzo dei composti chimici ad azione germicida su oggetti inanimati (disinfettanti) e cute e mucose (antisettici); 3. disinfezione periodica → si pratica a intervalli regolari di tempo (es. ogni settimana, ogni mese). Si trattano i locali dove si possono accumulare microrganismi patogeni e di tutte le parti dell’ambiente, fisse (pareti, pavimento, soffitto, infissi) e mobili (apparecchiature, strumenti); 4. disinfezione occasionale (di emergenza) → in occasione di particolari eventi (es. dopo un focolaio di malattia). I mezzi di disinfezione si dividono in: 1. naturali: a. luce; b. essiccamento; c. temperatura; d. concorrenza vitale; e. diluizione; 2. artificiali: a. fisici; b. chimici. I fattori che condizionano l’attività biocida di un disinfettante sono: 1. natura chimica del disinfettante; 2. concentrazione d’uso; 3. qualità e quantità della popolazione microbica; 4. tempo di esposizione; 5. natura del substrato; 6. temperatura; 7. pH. Disinfettante Batteriofagi Acqua calda Cloro attivo Iodofori H2O2 Ac. Peracetico Composti di + ++ + + ++ - Virus piccoli Virus grandi + ++ + + ++ - + ++ ++ + ++ ++ Gram + Gram - + ++ ++ ++ ++ ++ + ++ ++ ++ ++ + Spore batteriche + + + + ++ - Lieviti Muffe + ++ ++ + ++ ++ + + ++ + + + 24 ammonio quaternario Aldeidi + + + + + + + + Lotta Contro serbatoi e ospiti intermedi. Creazione di zone Creazione di zone di: 1. protezione; 2. sorveglianza; 3. tampone con vaccinazione e spopolamento. Controllo dei flussi commerciali Conoscere il flusso commerciale degli animali e dei prodotti di origine animale in tempo reale serve per: 1. identificazione degli animali; 2. costruzione delle mappe di rischio; 3. chiusura dei mercati. Controllo sanitario per animali e prodotti comunitari presso gli uffici UVAC Controllo alle frontiere per animali e prodotti extraconunitari Bloccare le triangolazioni. Predisporre piani di emergenza Educazione sanitaria Compito istituzionale del Servizio Veterinario Pubblico. Per molte malattie ha un costo/beneficio molto buono. Informazione e sistemi informativi Bollettini e Internet. Profilassi indiretta Vaccino È un agente eziologico, proteina, antigene che ha perso la virulenza e la patogenicità, ma in grado di stimolare l’immunità specifica. Si valuta mediante la misurazione di: 1. efficacia: grado di protezione che riesce a conferire: 2. innocuità: capacità di non dare effetti collaterali; 3. stabilità: conservazione nel tempo; Azione di profilassi Si basa su: 1. controllo della malattia: a. riduzione della prevalenza di forme cliniche; b. riduzione della gravità delle forme cliniche; 2. controllo dell’infezione: a. riduzione della prevalenza dell’infezione; b. riduzione della circolazione del patogeno (entità e durata della fase escretiva); questi due punti sono propedeutici alla eradicazione del patogeno. Caratteristiche di un vaccino Le caratteristiche di un vaccino sono: 1. sicurezza: a. sicuro nelle specie per le quali è stato approntato; b. sicuro negli animali da laboratorio; c. sicuro per l’ambiente; d. sicuro a seguito di accidentale esposizione umana; e. sicuro in diverse condizioni di campo e in diverse aree geografiche; 25 2. innocuità: capacità di non dare effetti collaterali a. assenza di sintomi b. no reisolamento/eliminazione c. mancanza di effetti collaterali d. assenza di non patogenicità per specie target 3. efficacia: il vaccino deve proteggere l’animale: a. sviluppo dell’immunità; b. durata dell’immunità; c. minima dose proteggente; d. interferenze con altri antigeni. Può essere valutata mediante: a. titolazione di anticorpi circolanti; b. prove di challenge; c. incrementi ponderali; 4. stabilità: conservazione nel tempo. Profilassi indiretta: vaccini vivi I Vaccini virulenti sono vietati per legge; impiegati in passato in Italia, aftizzazione. Attualmente solo in alcuni Paesi. Vaccini vivi attenuati, sono mutazioni e inducono un’infezione. Sono attenuati per passaggi seriali su substrati o in specie diverse e sono termosensibili. Pregi: 1. inducono una risposta bilanciata e sistemica; 2. risposta locale, umorale, cellulo mediata; 3. risposta molto rapida (5-7 gg). Rischi: 1. rieliminazione del virus; 2. patogenicità per specie non bersaglio; 3. retromutazioni; 4. effetti collaterali. Profilassi indiretta: vaccini spenti, inattivati Sono batteri e virus in toto, tossine inattivati mediante agenti fisici (calore e radiazioni), agenti chimici (formalina, betapropiolattone, azeridine). Problematiche connesse con i vaccini spenti: 1. concentrare in un piccolo volume Ag purificato; 2. scarsa risposta a livello delle mucose; 3. non molto attivi a stimolare immunità cellulo mediata; 4. possibile alterazione del disegno antigenico; 5. verifica dei lotti vaccinali per l’infettività; 6. rischio di inquinamento con altri agenti patogeni. Profilassi indiretta: vaccini deleti Sono ceppi virali privi di una o più proteine per diminuire la virulenza o come marker: 1. SHV1: TK- e gE-; 2. BHV1 gE-. Profilassi indiretta: Sieri iperimmuni Hanno costi elevati e sono di breve durata. Sono impiegati nella rabbia e nel tetano. Profilassi indiretta: Chemioprofilassi 26 Sono antibiotici e chemioterapici utilizzati per via alimentare o intramuscolo, molecole long acting. La profilassi vaccinale può essere: 1. obbligatoria, di Stato e spesso gratuita: a. in passato: afta, brucellosi, peste suina classica; b. Attualmente: malattia di Aujeszky; 2. raccomandata → in funzione del rapporto costi/benefici; 3. interdetta: a. per le malattie esotiche; b. per le malattie sottoposte a piani di eradicazione o piani di monitoraggio sierologico. 27