Rivista Biolca I Piani Eterici Spesso risulta difficile, per chi studia e pratica una via spirituale, dare fondamento alle proprie teorie senza necessariamente doversi allontanare dalla visione scientifica. Purtroppo il rischio è di perdere contatto con la realtà e per questo risultare dei creduloni sognatori o, peggio, dei ciarlatani. Soprattutto in questo particolare frangente storico, vivendo in un occidente razionale e postilluministico abitato dal disincanto, risulta impossibile far attecchire alcune nuove, seppur antichissime, concezioni del mondo. L’impronta cartesiana ha portato con sé numerosi importantissimi strumenti per la valutazione della realtà, ma anche una serie di limiti, alcuni dei quali deleteri. Per il comune senso del vero la realtà al di là dei sensi semplicemente non esiste, vorrei perciò dare alcuni spunti di riflessione per comprovare come siano proprio gli aspetti intangibili di tale realtà a risultare determinanti nel dispiegarsi della vita. Siamo talmente abituati a giudicare reale solo ciò che tocchiamo che risulta quasi impossibile pensare che da migliaia di anni le tradizioni orientali bollino tale realtà come illusione, maya, creazione della nostra mente gabbata dalle percezioni sensoriali. Eppure ormai sempre più teorici della fisica moderna affermano che la realtà, così come la percepiamo, è generata dalla mente, dall’osservatore. È perciò fondamentale individuare il ponte, l’anello di congiunzione, esistente tra mondo spirituale e materiale. A mio modo di vedere quel quid è l’Etere. Da migliaia di anni, in India come in altre grandi tradizioni filosofiche e spirituali, si analizza il cosmo e l’essere umano non esclusivamente dal punto di vista fisico, ma spaziando sui cosiddetti piani sottili. L’idea olistica dell’essere umano trascende la visione organica e affronta la vita in modo totale, profondo, e per questo necessariamente più completo. Mentre nelle tradizioni orientali il piano eterico è una parte sostanziale del corpo umano e, anzi, la vita non potrebbe sussistere senza, in occidente viene ancora considerato solo un elemento di fantasia, senza basi scientifiche. Tutto ciò perché nella teoria della relatività non se ne riteneva opportuna l’esistenza, seppur Einstein non l’avesse esplicitamente negata. Ma procediamo con ordine. Il percorso umano nello studio di questo elemento ha radici millenarie. Se ne riscontrano chiare tracce nella visione vedica, nelle upanishad, nella Bhagavad Gita e nell’antichissima filosofia Samkhya. L’energia vitale viene indicata dagli indiani come Prana, dai cinesi come Ki, dagli egiziani come Ka, come Nephesh dall’ebraismo o più correttamente Avir e come Aether, splendore, dai greci. Il Prana è perciò l’energia vitale presente nella luce solare e veicolata nel corpo umano attraverso una sorta di immenso, onnipresente reticolo energetico. L’etere è quindi un veicolo, un fluido plastico attraverso il quale scorre la vita e da esso emerge, si manifesta, acquista forma percettibile. Le sue caratteristiche peculiari sono: onnipresenza, impalpabilità, fluidità ed enorme capacità di conduzione energetica simultanea in ogni dove. La visione occidentale abbracciò e fece proprio, ben presto, il concetto di etere. Parmenide nel suo Poema sull’essere lo cita nel IV capitolo: “e l’etere che tutto abbraccia”, dando forma, con quei versi, ad una delle caratteristiche fondamentali di questo elemento, l’onnipresenza. Anassagora e Leucippo lo citano nei loro scritti così come Platone, seguito poi da Aristotele, descrisse l’etere come parte sostanziale della realtà. Nella scienza moderna alcuni nuovi teorici della fisica eterica utilizzano proprio i solidi di Platone per esplicare l’etere. 1 Dice il filosofo greco, padre del pensiero moderno: “Pertanto vi sono cinque corpi elementari e cioè fuoco ed acqua; il terzo l'aria, il quarto la terra, ed il quinto l'etere; e, a seconda che l'uno o l'altro di tali elementi predomini, si forma una moltitudine differente di animali.” Nel Timeo indicò il dodecaedro quale solido legato all’etere e lo pose al di là dell’elemento fuoco, ritenendolo perfetto. Ma approssimiamoci a tempi più vicini ai nostri. Come si accennava all’inizio, Cartesio circa 300 anni or sono, si prese la libertà di tracciare una sorta di spartiacque tra ciò che è materiale e ciò che non lo è. Definì in questo modo, secondo la sua visione filosofica, ciò che è fisico e ciò che è metafisico. Ciò che riguarda la fisica è la realtà tangibile mentre il resto è campo della religione o della filosofia, seppur egli avesse le idee chiare sull’elemento eterico e lungi dal ritenerlo una fantasia. Nell’antichità lo studioso di qualsiasi disciplina, dall’astronomo al guaritore, dal filosofo al matematico vivevano un continuum ininterrotto che conduceva dal tangibile all’intangibile senza soluzione di continuità. Il loro studio contemplava sia il mondo fisico che quello non percepibile con i normali canali sensoriali. Questa sorta di linea Maginot tracciata dalla visione cartesiana indusse ad una divisione netta, creando così due classi di studiosi: quelli che si occupano della fisica e quelli che si occupano della metafisica. Questa visione resiste tutt’ora, ma vistose crepe si stanno creando e moderne teorie stanno proponendo una realtà di gran lunga più complessa. Fino alla fine dell’ottocento il famoso quinto elemento era giunto in buone condizioni e quasi esente da critiche o condanne esplicite. L’etere era visto come indispensabile elemento di propagazione della luce al pari dell’aria come mezzo indispensabile per la propagazione delle onde sonore o all’acqua quale elemento di supporto cinetico. Il primo duro colpo inferto all’etere venne da due studiosi Michaelson e Morley e dal famoso esperimento del 1887 che porta il loro nome. I due studiosi attraverso una serie di verifiche sulla propagazione della luce, più precisamente sulla velocità della Terra immersa nell’ipotetico elemento eterico, dedussero in maniera inconfutabile che l’etere come mezzo fluido e plastico di propagazione dell’energia non esistesse poiché la velocità di propagazione della luce si manteneva costante. Oggi, però, un buon numero di scienziati contestano i risultati di quell’esperimento. Lo stesso Michaelson molto più tardi, nel 1927, in un suo scritto ebbe a dire: “L'esistenza di un etere appare inconsistente con la teoria della Relatività; ma senza un mezzo come si può spiegare la propagazione delle onde di luce?” Ma fu ad inizio ‘900 che Einstein inferse il colpo di grazia definitivo all’idea di etere, bollandolo come inutile. Nella teoria della relatività ristretta non vi sono tracce dell’esistenza dell’etere anzi, l’etere luminifero, come veniva chiamato all’epoca, non era necessario in nessun caso alla propagazione della luce che manteneva intatte le sue caratteristiche anche nel vuoto. Nonostante tutto l’etere non scomparve completamente, all’epoca di Einstein esistevano studiosi che ne affermavano esistenza e sostanzialità ricercandone caratteristiche scientificamente comprovabili. Uno tra tutti Lorentz, contemporaneo di Einstein, diede alla luce una serie di esperimenti che rimisero in pista l’esistenza dell’etere seppur affinandone le caratteristiche. È però certo che l’enorme celebrità sorta dalla Teoria della Relatività oscurò gli altri studiosi dell’epoca relegando l’etere in soffitta. Desidero precisare però, puramente a scopo di riflessione, un carteggio di Einstein del 1919, indirizzato proprio a Lorentz, riguardo l’esistenza dell’elemento eterico. Dice Einstein: “Sarebbe stato più corretto se nelle mie prime pubblicazioni mi fossi limitato a sottolineare l’irrealtà della velocità dell’etere, invece di sostenerne la sua non esistenza. Ora comprendo che con la parola etere non si intende nient’altro che la necessità di rappresentare lo spazio come portatore di proprietà fisiche.” 2 Quindi l’etere, sbattuto fuori dalla porta della fisica, ne rientra qualche anno dopo dalla finestra. Negli stessi anni prende avvio, grazie alle intuizioni di un grandissimo studioso, Max Planck, quella che potrebbe essere descritta come la superstar della fisica moderna, la meccanica quantistica. Quasi nemesi contemporanea della fisica classica e per certi versi contrapposta ad essa, la fisica delle particella subatomiche ha rianimato il concetto di etere seppur sotto altri nomi. Una folta schiera di fisici moderni, da La violette a Winter, da Puthoff a Kozyrev, dal celebre Tesla al quasi sconosciuto, ma non per questo meno importante, Todeschini hanno riportato in auge l’idea di etere con una grande quantità di prove sperimentali e di pubblicazioni scientifiche. Il termine etere è stato un po’ abbandonato, forse per paura di ricevere gli strali della comunità scientifica più ortodossa e restia ai cambiamenti. Ora, sotto i nomi: Vacuum fisico, Energia del punto Zero, Campo morfogenico, Energia oscura si cela l’antico e imperituro etere. Lascio al lettore il piacere di scovare quali e quante esperienze scientifiche sono nate, negli ultimi anni, attorno a questo elemento. La scienza di frontiera sta mettendo in discussione le fondamenta classiche della realtà che ci circonda. Le parole di Jeans, brillante studioso di metà secolo scorso, al seguito di una serie di esperimenti e considerazioni sulla Relatività Einsteniana, sono tali da far riflettere chiunque si cimenti in questo campo: “Esiste oggi un largo accordo, che sul versante fisico della scienza quasi raggiunge l’unanimità, che la corrente della conoscenza si dirige verso una realtà non meccanica. L’universo comincia ad apparire più come un grande pensiero che come una grande macchina. La mente non sembra più un’intrusa accidentale nel regno della materia. Dovremmo piuttosto salutarla come creatrice e regina del regno della materia.” Io, però, mi occupo in primis di spiritualità e di ricerca interiore, non sono un esperto di fisica, e desidero perciò tornare a ciò che più mi compete e appassiona. Lo studio olistico della conformazione del corpo umano porta alla contemplazione di un piano di esistenza che viene comunemente chiamato eterico. Come indicato in precedenza, il piano eterico, è stato formulato fin dall’antichità e con grande precisione dalle tradizioni indù. A metà, fine ‘800 le discipline esoteriche quali la Teosofia e in seguito molte altre tornarono a formulare l’idea di uomo non come un insieme organico e meccanicistico, ma come un’entità essenzialmente spirituale la cui forma esteriore non è che lo strumento, seppur indispensabile, per la realizzazione del Sé superiore, l’Anima, termine ormai scomparso dai nostri vocabolari. Il corpo grossolano, o come dicono i vedantini annamaya kosha, è composto di parti dense, liquide e gassose e ognuna di tali particelle viene vivificata dall’energia eterica che le permea. L’etere quindi, attraverso le sue qualità conduttrici, porta a noi la vita sostenendoci e di fatto collegandoci con ogni altro essere esistente in questo universo. L’immaginazione ci viene in aiuto e tenterò di corroborarla attraverso un esempio. Tentiamo di immaginare il nostro corpo eterico, doppio eterico per alcune tradizioni spirituali, come una sorta di armatura sottilissima formata da innumerevoli filamenti densamente intricati quasi a formare un reticolo che compenetra la nostra forma esteriore fin nei più reconditi meandri. Il termine sanscrito corretto sarebbe Linga Sharira ed equivale a ciò che i greci denominavano eidolon o prototipo ombra dell’uomo. La dott.ssa Celia Green, studiosa inglese di psicofisica, propose un nome più moderno: corpo parasomatico, proprio per le caratteristiche di sembianza identica a quella del corpo grossolano o Shtula Sharira. Le tradizioni orientali hanno indagato a fondo sulla struttura del corpo eterico. Gli innumerevoli punti di contatto tra i filamenti di questa sorta di armatura sottilissima sono chiamati nadi. Quando si trasformano in grandi snodi energetici, collocati in punti nevralgici del corpo, lungo la spina dorsale a pochi centimetri da essa, portano il nome di Chakra (Ruote). 3 È interessante notare come ogni Chakra corrisponda ad una ben precisa ghiandola del sistema endocrino. Tentiamo di immaginare questa sorta di armatura sottilissima e totalmente compenetrata che interseca e tocca ogni punto vitale dei nostri sistemi nervosi e che ogni ghiandola principale sia in diretta corrispondenza con uno dei Chakra maggiori. Dice in un suo scritto A. Besant, studiosa di teosofia di inizio secolo scorso, che non esiste alcuna particella materiale che sia in contatto con un’altra, ma tutte sono immerse in una sorta di oceano eterico che le mantiene in contatto vibrazionale. Curioso, lo stesso fatto è oggi sostenuto da molti teorici della meccanica quantistica, basti dare un’occhiata al celebre documentario What the Bleep do we know? Sarà interessante scoprire quanto collimino le due visioni. Quali compiti quindi assolve l’etere compenetrando completamente il corpo? Prima di procedere vale la pena indicare che il piano eterico, nella catalogazione classica, si suddivide in quattro sottoclassi di eteri che si distinguono per compito e per frequenza vibrazionale. La luce del sole, quindi, è letteralmente vita in forma di prana e il corpo eterico raccoglie tale energia trasportandola alle particelle del nostro corpo vivificandolo attraverso il sistema nervoso. Ma vi è anche un altro grande compito a cui assolve il corpo eterico. Egli è il diaframma tra il nostro vero Sé e lo strumento fisico. Dal mondo delle idee, l’Iperuranio platonico, cogliamo le idee con la mente, le coloriamo con le emozioni per poi esprimerle, manifestarle attraverso il nostro strumento fisico. L’elemento trasportatore è proprio l’eterico. L’etere non decide, non discerne, non discrimina, veicola ciò che noi pensiamo e formuliamo nella nostra mente. Ecco perché è fondamentale una disciplina della mente, ecco perché diventa sostanziale capire cosa partorisce la nostra mente e da quali idee è abitata. Ciò che pensiamo ci trasforma, mutando in maniera sostanziale il nostro corpo. Uno studioso su tutti si staglia, nel panorama mondiale odierno, per questo tipo di studi: il biologo Bruce Lipton. Nei suoi studi risulta chiaramente come non sia il corredo genetico a condurre la nostra vita, relegandoci al ruolo di robot trasporta-geni, ma la mente che rigenera o distrugge ciò che siamo. L’etere è l’elemento di trasmissione che permette tutto ciò, quel fluido così indigesto a un certo tipo di scienza, ma fondamentale per chi ha una visione olistica della realtà. Un ultimo concetto, direi molto esoterico, mi sento di condividere con il lettore prima di chiudere questo scritto. Le antiche tradizioni affermano che è l’Anima ad istruire i piani eterici affinché addensino, concentrino attorno al Sé la materia grossolana, necessaria alla realizzazione del corpo. L’Anima vitalizza la sua forma attraverso due filamenti eterici che si ancorano nel nostro corpo: uno nel cervello e uno nel cuore. Il filamento eterico che si ancora nel cervello conferisce la coscienza, la consapevolezza del Sé e quindi la possibilità di definirci quali individui auto consapevoli. Il secondo filamento che si ancora nel cuore è quello che dona la vita. Durante la notte, nel sonno, il primo filamento si distacca conducendo la consapevolezza lontano dal corpo fisico per raggiungere un altro piano esperienziale, il sogno. Nel momento della morte, invece, anche il filamento del cuore si ritrae dando inizio, immediatamente, alla decomposizione del corpo. La vita si ritrae e l’involucro esteriore inizia a decomporsi. Di fatto restituiamo ciò che abbiamo avuto in dono dalla Terra. In Ecclesiaste, cap. XII-8, è riportato: “prima che il cordone d’argento si stacchi, il vaso d’oro si spezzi…”, metafora perfetta dell’idea di filamento eterico e di corpo. Lasciandovi alle necessarie considerazioni desidero sottolineare come questo mio scritto, pur passibile di errori ed imprecisioni, abbia il solo intento di aprire nuovi sentieri alla riflessione sul significato della vita. Demetrio Battaglia 4