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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, TERZA SEZIONE CIVILE,
SENTENZA 14 gennaio 2014, n. 531.
A cura di Dario Marcello Sacco
Il Collegio di piazza Cavour ribadisce l’unitarietà del danno non patrimoniale e la natura
meramente descrittiva delle diverse voci utilizzate nelle Corti italiane
MASSIMA: “Le espressioni "danno esistenziale" e "danno biologico" non esprimono distinte
categorie di danno, tantomeno l'uno può ritenersi una sottocategoria dell'altro, trattandosi,
piuttosto, di locuzioni meramente descrittive dell'unica categoria di danno, che è quella del danno
non patrimoniale, da identificarsi nel danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la
persona non connotati da rilevanza economica”.
Sommario: 1. Premessa; 2. l’art. 2059 c.c.: una norma problematica; 3. La questio juris sottoposta
alla S.C. 3.1. La sentenza costituzionale n. 184/86, 3.2. Le sentenze gemelle della Cassazione del
2003; 4. La conferma della natura descrittiva delle voci di danno; 5. Conclusioni.
1. - La questione affrontata dalla pronuncia in commento si inserisce nell’alveo di un ricco
filone giurisprudenziale, relativo alla natura e alla risarcibilità del danno non patrimoniale.
La domanda ricorrentemente sottoposta all’attenzione della S.C. si fonda sul valore che
assumono espressioni quali danno morale soggettivo, danno biologico e danno esistenziale, sulla
possibilità, cioè, che essi possano fungere da autonome sottocategorie del danno non patrimoniale
oppure se, al contrario, essi non siano altro che mere espressioni linguistiche, utili solo come sintesi
descrittiva dei molteplici aspetti che, concretamente, può assumere, l’unitaria categoria del danno
non patrimoniale (di cui tali voci rappresentano solo i diversi pregiudizi in esso contenuti).
Su tale interrogativo si fonda la questio juris1 sottoposta dai ricorrenti all’attenzione della terza
sezione della S.C., in una vicenda relativa al riconoscimento del diritto al risarcimento in favore dei
genitori di un operaio, rimasto totalmente invalido, a causa della rovinosa caduta da un’impalcatura.
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Che, come si dirà di qui a breve, è stata eliminata dal panorama dell’ordinamento giuridico dalla l. n. 69/09.
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La S.C. conferma le conclusioni dei gradi di giudizio precedenti, nei quali era stato riconosciuto
il risarcimento del danno patito, nonostante l’intervenuta archiviazione in sede penale: ciò in quanto
le vicende intervenute in tale sede non implicano ripercussioni per ciò che concerne il risarcimento
del danno a favore della vittima in sede civile (ad es. per intervenuta archiviazione).
Il tratto saliente di questa pronuncia risiede nel fatto che, ancora una volta, e a più di settant’anni
dall’entrata in vigore del vigente codice civile, il danno non patrimoniale suscita ancora discussioni
più che mai vive e frequentemente riproposte all’attenzione della S.C.; sintomo di una questione su
cui non si sono sopiti interrogativi e spunti dialettici, nonostante la chiara presa di posizione assunta
dalla giurisprudenza di legittimità.
Le ragioni di questa pervicacia vanno ricercate nelle vicende storiche che hanno contrassegnato
questo dibattito e da cui è opportuno prendere le mosse.
2. - Fin dalla sua comparsa nel panorama giuridico, l’art. 2059 c.c. è stato oggetto di diverse
ricostruzioni interpretative, tanto più se si pensa che nel codice civile del 1865 non vi era una norma
analoga che limitasse la risarcibilità del danno non patrimoniale alle sole ipotesi previste dalla
legge.
Fino agli inizi del ‘900 si ammetteva, infatti, il risarcimento anche del danno non patrimoniale,
comprensivo della lesione della salute e dell’integrità morale, ma tutto ciò cambia all’atto
dell’introduzione del codice civile del 1942, tra le cui norme trova posto l’art. 2059 il quale, in
modo molto scarno, dispone che “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi
determinati dalla legge”.
Viene così sancita l’eccezionalità del risarcimento dei danni non patrimoniali, ammesso nelle
sole ipotesi legislativamente determinate, a fronte della regola generale che non pone alcuna
limitazione nel caso dei danni patrimoniali.
Tra le varie letture offerte, due, in particolare, si sono contese fin da principio i favori degli
interpreti.
a) Secondo una tesi estensiva (fedele alla lettera dell’art. 2059 c.c.), per danno non patrimoniale
deve intendersi il c.d. danno morale soggettivo cioè ogni pregiudizio, diverso dalla lesione del
patrimonio in senso stretto, inteso quale turbamento emotivo transeunte, sofferenza contingente,
patemi, ansie e ogni altra offesa di beni non patrimoniali2, inclusa quindi la lesione della salute.
b) Secondo una tesi più restrittiva, il danno non patrimoniale farebbe, invece, riferimento
solamente al c.d. danno morale puro transeunte in quanto, accogliendo l’opposta tesi estensiva si
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Non a caso al riguardo il risarcimento del danno non patrimoniale veniva definita con l’espressione “pretium ovvero
pecunia doloris”.
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giungerebbe a risultati iniqui, poiché essa comporterebbe la risarcibilità del danno alla salute nei
soli casi previsti dalla legge (cioè nelle sole ipotesi in cui l’illecito integri gli estremi del fatto di
reato ex art. 185 c.p.3, più altre ipotesi contenute in leggi speciali e settoriali).
Con riferimento al nevralgico tema della salute, valore consacrato dalla nostra Carta
Fondamentale nel novero dei diritti fondamentali di cui ogni cittadino gode, la tesi estensiva è stata,
inizialmente, ritenuta contrastante con l’art. 3 Cost., in quanto se si preferisse tale teoria si
riconoscerebbe la tutela della salute esclusivamente nell’ipotesi di lesione provocata da un fatto
costituente reato.
Inoltre, tale riconoscimento comporterebbe forti limitazioni in tema di accertamento probatorio,
date dalla necessità di fornire la prova di tutti gli elementi del reato, incluso l’elemento soggettivo:
in tali casi, infatti, la vittima dell’illecito non potrebbe sfruttare le speciali presunzioni di
responsabilità valevoli ai fini della prova della sussistenza del danno puramente patrimoniale (artt.
2047 e ss. c.c.).
In proposito l’esempio classico cui fanno riferimento gli interpreti è dato dal sinistro stradale,
ipotesi per la quale l’art. 2054 c.c. prevede una presunzione di responsabilità civile solidale di
conducente e proprietario del veicolo.
In tal caso se si accogliesse l’impostazione estensiva si potrebbe ottenere solo il risarcimento del
danno patrimoniale, in quanto le fattispecie di reato di cui all’art. 185 c.p. non risulterebbero
integrate.
Pertanto, nel caso di danno alla salute derivante da illecito non penale, il risarcimento del danno
al bene salute verrebbe limitato ai soli casi in cui l’offeso percepisca reddito, in modo che la lesione
si traduca in una menomazione della capacità lavorativa specifica comportante un danno
patrimoniale risarcibile ex art. 2043 c.c.
3. Su questo dibattito si innestano le dispute che hanno segnato la vita del danno non
patrimoniale e su cui si fondano le richieste dei ricorrenti che, lamentando violazione e falsa
applicazione dell'art. 2059 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 4 c.p.c., hanno chiesto alla S.C. di
chiarire se, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.5 "il danno esistenziale è suscettibile di autonoma
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Il cui co. 2 recita: “ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al
risarcimento”
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Norma che riguarda le ipotesi di ricorso per Cassazione e che, all’interno di tale numero prevede, i casi di “violazione
o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”.
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Il quesito di diritto previsto da questa norma è stato abrogato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69 dopo una breve ma intensa
vita (prova ne è la copiosa giurisprudenza sul tema) segnata dal suo ingresso nel nostro ordinamento attraverso il d.lgs.
n. 40/2006. In particolare l'articolo recitava che "nei casi previsti dall'articolo 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4),
l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di
diritto. Nel caso previsto dall'articolo 360, primo comma, n. 5), l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena
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valutazione rispetto al danno biologico o se invece va considerato nell'ambito di quest'ultimo come
componente di esso".
Orbene prima di attenzionare le ragioni che hanno portato l’opinione dominante a propendere per
l’unitarietà del danno non patrimoniale, è utile definire il significato delle espressioni suddette
secondo le tesi maggiormente accreditate.
Partendo dal “danno esistenziale”, tale nozione indica la compromissione della dimensione
esistenziale della persona che si vede costretta a dover adottare stili di vita diversi dal passato, frutto
della lesione cagionata alla vittima. Corollario di tale variazione nei bioritmi è data dal
peggioramento della qualità della vita data dal suo diverso modo di relazionarsi con sé stesso e con
l’ambiente esterno.
Dal canto suo l’espressione “danno biologico” è, oggi, definita positivamente dall’art. 139 co. 2
d.lgs. 209/2005 come “la lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona,
suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività
quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da
eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.
La lesione all’integrità psico-fisica è un valore tutelato dalla Costituzione all’art. 32 e, come si
dirà a breve, va risarcita indipendentemente dalla riparazione economica dovuta a titolo di danno
patrimoniale e, dunque a favore dei soggetti appartenenti alle categorie areddituali.
Anche ai familiari di questi viene riconosciuta tutela dal punto di vista del danno biologico
psichico da questi subìto, che viene inteso quale esito normale e prevedibile di un atto illecito
plurioffensivo, in quanto lesivo sia della vittima che dei suoi prossimi congiunti, con ciò superando
i paventati dubbi circa possibili duplicazioni.
Verrà, però, richiesto al congiunto di provare l’esistenza concreta di un legame affettivo con la
vittima e la misura in cui esso è stato leso e, inoltre, che sussiste danno psichico solo se vi è
malattia.
Poste queste debite coordinate va attenzionata la ratio dell’art. 2059 c.c., vero e proprio perno su
cui ruota tutto il dibattito e base per le considerazioni che hanno spinto la S.C. a negare autonomia
alle varie etichette che, nel corso degli anni, sono state coniate per esprimere le diverse sfumature in
cui il danno non patrimoniale si articola.
di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare
la decisione.": ovviamente il quesito di diritto è rimasto in vigore per le cause antecedenti all’abrogazione nelle quali i
ricorrenti, vivente la norma, avevano provveduto a formularlo.
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3.1. - Sulla base di queste osservazioni critiche, la Corte Costituzionale, con la famosa sentenza
n. 184/1986, ha preferito abbracciare la tesi limitativa.
Inizialmente, al fine di sottrarre il danno biologico alle restrizioni di cui all’art. 2059 c.c., si
affermò la tesi secondo cui il danno alla salute, di per sé qualificabile come danno non patrimoniale,
poteva essere risarcito alla stregua di un danno patrimoniale se il danneggiato avesse provato
l’esistenza di un riflesso economico nella propria sfera giuridica (ad es. perdita di opportunità di
lavoro): in ragione di ciò, tale lesione veniva, quindi, ritenuta quale danno conseguenza risarcibile
ex art. 2043 c.c.
Conscia delle spinte sociali volte a garantire una tutela risarcitoria della salute anche in favore di
categorie prive di reddito (casalinghe, disoccupati, pensionati), la giurisprudenza introdusse il tema
del danno reddituale presunto, per il quale essa ammetteva una dimostrazione semplificata del
suddetto riflesso patrimoniale, facendo leva sul concetto di capacità lavorativa generica, propria di
tutti i soggetti, indistintamente e a prescindere dal possesso di una capacità lavorativa specifica.
Tuttavia, permaneva l’esigenza di tutelare il diritto alla salute in sé considerato, tenuto conto
della sua rilevanza costituzionale.
La storica sentenza costituzionale n. 184/1986, fornisce allora un’innovativa visione dei rapporti
tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 2059 c.c.
In particolare con tale statuizione, il Giudice delle leggi sostiene che la nozione di patrimonio
deve essere intesa come comprensiva non solo dell’aspetto economico ma, altresì, di quello
personale, facendovi rientrare anche il bene della salute.
La lesione di diritti costituzionalmente sanciti in norme precettive, come l’art. 32 Cost. deve,
quindi, essere risarcita necessariamente alla stregua dell’art. 2043 c.c., in quanto costituisce vulnus
di una posta attiva del patrimonio individuale inteso in senso lato.
Si fece così strada una nuova categoria di lesione, il c.d. danno-evento alla persona, con
particolare riferimento al danno alla salute o danno biologico, che si affianca al danno patrimoniale
classico e al danno morale (danni-conseguenza).
Inoltre, nel caso di illecito aquiliano lesivo della salute altrui sono state configurati tre tipi di
danno:
a) danno alla salute, quale danno-evento, uguale per tutti, risarcibile ex se per il semplice fatto
dell’alterazione dell’integrità psico-fisica a prescindere dalla prova della ricorrenza di conseguenze
patrimoniali o non;
b) danno patrimoniale in senso stretto, quale danno-conseguenza variabile a seconda della
dimostrazione, comunque, necessaria, della perdita di capacità lavorativa specifica derivante
dall’illecito;
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c) danno morale puro, quale danno-conseguenza risarcibile solo 1. nei casi espressamente
previsti dal legislatore e 2. se il danneggiato dia prova della sussistenza di una sofferenza transitoria
derivante dall’illecito.
Con questa tripartizione si è venuto a realizzare un vero e proprio ribaltamento nei rapporti tra
l’art. 2043 e l’art. 2059 c.c.: quest’ultima norma, infatti, non è più comprensiva di tutti i danni non
patrimoniali, come tali non rientranti nella previsione dell’art. 2043 c.c., ma ha ad oggetto soltanto
il danno morale puro.
Attraverso la tecnica del travaso tutte le altre voci di danno sono state traslate nella disciplina di
cui all’art. 2043 c.c.
Ma a questo punto la Corte Cost. n. 184/1986, non è andata oltre, lasciando irrisolte molte
questioni dal momento che tale pronuncia non chiarisce se il danno biologico (danno alla salute) sia
da considerare un pregiudizio patrimoniale ex art. 2043 c.c., un danno non patrimoniale risarcibile
in deroga all’art. 2059 c.c. oppure un tertium genus derivante dalla norma costituzionale precettiva
ex art. 32 Cost., che pone le basi della tutela sia inibitoria sia risarcitoria della salute.
3.2. - La suddetta tricotomia del danno ha subìto un ulteriore “ribaltone” da parte della Corte di
Cassazione con le note sentenze gemelle nn. 8827 e 8828 del 2003, che si sono interessate a
riesaminare i rapporti tra gli art. 2043 e 2059 c.c.
Come è noto queste due pronunce hanno abbandonato la qualificazione del danno biologico
come danno evento, facendo rientrare nell’alveo del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., oltre
al vecchio danno morale subiettivo e al danno esistenziale da lesione di beni fondamentali della
persona costituzionalmente tutelati, anche il danno biologico derivante dalla lesione del bene salute
di cui all’art. 32 Cost.
In considerazione di ciò, i predetti danni sono stati definiti come pregiudizi non patrimoniali
risarcibili ai sensi e non già in deroga all’art. 2059 c.c. e, inoltre, sulla base di un’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., si è affermato che le norme costituzionali che
sanciscono i diritti fondamentali della persona, costituiscono “casi determinati dalla legge” ulteriori
rispetto alla classica previsione contenuta nell’art. 185 c.p.
Pertanto, il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. non si identifica più, esclusivamente,
con il danno morale soggettivo, in quanto ogni lesione a valori costituzionalmente tutelati integra
gli estremi di un danno di natura non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c., dal momento che il
riconoscimento a livello costituzionale dei diritti inviolabili della persona, privi di natura
economica, configura un’ipotesi di riparazione del danno non patrimoniale determinata dalla legge.
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Questo passaggio del danno biologico dalla categoria del danno-evento (ex art. 2043 c.c.) a
quella del danno conseguenza (ex art. 2059 c.c.) è stata confermata altresì da Corte Cost., sent. n.
233/2003, la quale ha ribadito che il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. copre ogni
danno di natura non patrimoniale derivante dalla lesione di valori relativi alla persona6.
In tal modo si è giunti a definire il danno biologico quale lesione dell’integrità psico-fisica non in
quanto tale (danno-evento), ma in quanto idonea a ripercuotersi negativamente sulla vita del
danneggiato (danno-conseguenza)7.
Il danno biologico viene così ad assurgere al rango di pregiudizio medico-legale, disfunzionale
(consistente nella perdita di funzionalità esistenziali), omnicomprensivo (nella liquidazione è
necessario tenere conto di tutte le ripercussioni negative che la lesione ha avuto sulla vita del
danneggiato con esclusione di quelle patrimoniali e morali), areddituale (perché slegato dalle
capacità reddituali della vittima venendo in rilievo esclusivamente il valore uomo, a parità di
lesione uguale per tutti) e primario (va liquidato prima di qualsiasi altra considerazione reddituale).
Nel corso dell’ultimo decennio il lavorio della S.C. non si è arrestato a queste conclusioni, ma ha
aggiunto ulteriori elementi alla tematica del danno non patrimoniale.
Tra le numerose pronunce si ricordano, al riguardo, le S.U., sent. n. 4063/2010, che hanno
richiesto, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, che la lesione subita dal danneggiato
sia grave e che non si tratti di danni bagatellari (danni futili e pregiudizi comportanti solo meri
disagi o fastidi).
Altro importante contributo è giunto, altresì, da sentenze come Cass. n. 12929/07, la quale ha
esteso la risarcibilità anche in favore delle persone giuridiche e degli enti non personificati.
La vitalità del dibattito sul danno non patrimoniale, non si è però arrestata agli esempi ora
proposti ma ha prodotto altri frutti significativi, tant’è vero che l’anno successivo una nuova nidiata
di pronunce delle S.U. (cc.dd. sentenze di San Martino8), ha accolto l’idea di un danno non
patrimoniale risarcibile nei casi di violazione di diritti costituzionalmente qualificati.
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Il dictum delle sentenze del 2003 ha riscosso ampio consenso a livello giurisprudenziale tra cui si ricorda, ex plurimis,
Cass. sez III, n. 3399/04 secondo cui il danno biologico è un danno conseguenza, risarcibile subordinatamente alla
dimostrazione delle conseguenze che dalla lesione della salute sono derivate per la vittima dell’illecito: tale prova può
essere fornita per presunzioni tra cui spicca il peggioramento della qualità della vita. Nel frattempo la giurisprudenza ha
mutato atteggiamento quanto al profilo dell’accertamento probatorio. Si è ritenuto, infatti, che “ai fini della risarcibilità
del danno non patrimoniale ex artt. 2059 e 185 c.p. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore
del danno se essa, come nel caso di cui all’art. 2051 c.c., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di
legge” (Cass. 12 maggio 2003 n. 7281): il giudice civile, nell’accertare la sussistenza della responsabilità aquiliana,
potrà utilizzare gli strumenti riconosciutigli dal c.c.p., quindi anche le presunzioni legali e le c.d. prove legali,
sconosciute al processo penale.
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Più in generale viene contestata la stessa distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza, ritenendosi che tutti i
danni siano da qualificarsi danni-conseguenza in quanto costituiscono ripercussioni negative sul patrimonio personale
ed economico del danneggiato.
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Punto di riferimento per le pronunce successive della Corte tra cui quella in esame che la cita espressamente.
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In tal modo sono state eliminate le diverse categorie concettuali presenti nel panorama giuridico
allo scopo di evitare duplicazioni di voci risarcitorie, nonché risarcimenti inerenti a danni c.d.
bagatellari (cioè di modestissimo valore) senza, però, far chiarezza tra l’altro, su quali siano tali
diritti e su come procedere al momento della quantificazione del danno9.
Per dovere di completezza al novero delle pronunce sul danno non patrimoniale si aggiungono, a
tal proposito, altri interventi della S.C. riguardanti i criteri di quantificazione del risarcimento alle
vittime delle predette lesioni.
Infatti, una problematica endemica del danno non patrimoniale inerisce il fatto che, proprio a
causa della sua natura di lesione che incide su valori della persona che non sono contraddistinti da
rilevanza economica, tale danno è di difficile liquidazione.
Il combinato disposto degli artt. 2056 co. 1 e 1226 c.c., rimette al giudice il compito di
provvedere a liquidare il danno sulla base di una “valutazione equitativa”.
È di pronta comprensione che, a fronte di una maggiore flessibilità, questa soluzione implica,
inequivocabilmente, una pericolosa alea riguardo la non uniformità nella quantificazione delle
somme risarcite da parte di ogni singolo giudice adito, con evidente violazione del principio di
parità di trattamento che deve essere garantito a tutti i cittadini10.
Nel tentativo di risolvere questo problema, il legislatore ha previsto l‘emanazione di tabelle
(peraltro mai avvenuta) da cui il giudice, comunque, poteva sganciarsi, seppure entro determinati
limiti, tramite equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato 11.
4. - Alla luce di quanto finora osservato emerge un quadro d’insieme dalle tinte relativamente
definite in cui, da un lato si pone la giurisprudenza della S.C. la quale, nonostante i citati dubbi
lasciati sul campo, si è orientata, in modo pressoché univoco, nel denegare dignità autonoma a
espressioni quali danno biologico ed esistenziale mentre, dall’altro, permangono le voci di dissenso
della dottrina alimentate dalle oscillazioni interpretative e dalle disomogenee applicazioni
liquidatorie operate dai giudici di merito.
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Cioè a quali guide lines si debba far riferimento nella fase della liquidazione del danno patito dal soggetto
danneggiato. Le critiche avverso le citate S.U. si sono soffermate, oltre che sulle suddette questioni, anche sul tipo di
tutela da applicare nel caso di danno tanatologico o da morte immediata (con i ben noti riverberi in tema di
trasmissibilità jure successionis o meno nel caso in cui il soggetto sia morto all’istante o con un seppur brevissimo ma
successivo lasso di tempo) nel caso in cui la vittima nell’attimo prima di morire non sia stata cosciente.
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Sul punto cfr., tra gli altri Cass. 20 febbraio 2009, n. 4240 e Cass. 7 giugno 2011, n. 12408.
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Come di consueto accade in questi casi, l’inerzia del creatore di leggi è stata tamponata dal lavorio degli interpreti tra
cui Cass. n. 12408/11 che ha sottolineato che i criteri dettati dal legislatore in tema di lesioni micropermanenti possono
essere applicati solo nel caso di sinistri stradali, dovendosi in tutti gli altri casi farsi riferimento alla “tabella per la
liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica” del Tribunale di Milano e
adottata da decine di altre corti italiane.
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Come si è visto, ritenere che la riserva di legge, rinvii anche ai diritti costituzionali, tra cui quello
alla salute (art. 32 cost.), rappresenta il completamento di un’evoluzione ermeneutica che ha
scardinato le convinzioni secondo cui il risarcimento si fondi sul combinato disposto degli art. 2043
e 32 cost., ponendo al suo posto, quale fondamento del diritto al risarcimento, l’art. 2059 c.c.
Proprio a tal riguardo la pronuncia in commento pone, tra i passaggi essenziali della sua
argomentazione, la propria appartenenza al filone delle sentenze citate sottolineando che non
sussistono incongruenze logico-giuridiche12 nel fatto che i giudici di merito abbiano riconosciuto,
nei gradi di giudizio precedenti, il risarcimento del danno esistenziale e non già di quello biologico.
Ciò alla luce della natura meramente descrittiva di siffatte locuzioni, sostenuta dalle S.U., sentt.
“San Martino” che, in tema di danno alla persona, hanno riconosciuto il carattere omnicomprensivo
del risarcimento del danno non patrimoniale senza, con ciò, sacrificare il principio dell’integralità
di tale risarcimento.
Il danno biologico, quello morale, e quello esistenziale, prosegue la S.C., “non costituiscono una
conseguenza indefettibile in tema di lesione dei diritti della persona, occorrendo valutare, caso per
caso, se il danno non patrimoniale, nella fattispecie concreta, presenti o meno siffatti aspetti”.
Il giudice è, dunque, chiamato ad accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, senza
curarsi del nomen juris attribuitogli, individuando e risarcendo le ripercussioni negative che si sono
prodotte sul “valore-uomo”.
La mancata liquidazione di un danno biologico ai due genitori della vittima, non esclude la
configurabilità in astratto di un danno morale soggettivo (sofferenza interiore) e di un danno
"dinamico-relazionale" che promana autonomamente, dalla lesione medicalmente accertabile, il
quale trova la propria dimensione nella sfera dinamico-relazionale della vittima.
5. - Provando a tirare le fila di quanto finora detto, è possibile notare come le istanze che hanno
spinto e spingono ampi settori della dottrina a confrontarsi (spesso a scontrarsi) con le soluzioni
adottate dalla giurisprudenza della S.C., trovano il proprio fondamento nella delicatezza del tema
trattato.
Stante l’indiscutibile rilevanza che assume il risarcimento del danno non patrimoniale all’interno
del diritto civile (e prescindendo dalle implicazioni di carattere penale nei confronti dell’agente),
generazioni di giuristi si sono profusi nello sforzo di trovare adeguate soluzioni ad istanze sociali
che il legislatore si è dimostrato sordo o incapace di soddisfare con lo strumento legislativo se non
12
In tal modo rispondendo negativamente allo specifico quesito sottopostole dai ricorrenti ma, più ampiamente,
rivolgendosi alla dottrina avversa.
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in settori specifici, non applicabili alla generalità dei casi (il pensiero si volge facilmente al citato
codice delle assicurazioni o agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali13).
Fermo restando l’indiscutibile difficoltà di dare un valore monetario a questo tipo di lesioni,
dottrina e giurisprudenza si sono impegnate a elaborare soluzioni sia sotto l’aspetto quantitativo,
legato all’entità delle somme da risarcire, sia per ciò che concerne la sfera dei diritti lesi, i quali
rappresentano i valori più sacri e inviolabili della persona: salute, integrità fisica, manifestazione
della propria personalità all’interno della famiglia e dei gruppi sociali in cui la vittima è inserita,
fino ad arrivare alla tutela dei congiunti del danneggiato nell’estrema ipotesi in cui questi sia morto
in conseguenza dell’evento lesivo (con l’accennato annoso dibattito circa le ragioni giustificative e
la tempistica dell’evento morte).
Pur essendo comprensibili le esigenze della giurisprudenza di trovare un modello e dei criteri di
risarcimento univoci a cui i vari giudici di merito possano fare riferimento in modo da non incorrere
in pronunce palesemente discordanti da una Corte all’altra (anche di uno stesso tribunale), non si
può non sottolineare come l’assordante silenzio del legislatore o, peggio, i suoi interventi maldestri
o poco incisivi, invece di porre fine al suddetto dibattito, abbiano contribuito a creare nuove fonti di
discussione e conflitto.
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D.lgs. n. 38/2000.
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