Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani

ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Ufficio stampa
Rassegna
stampa
8 aprile 2008
Responsabile :
Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])
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Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
Pag. 3 AVVOCATI: Privacy per legali (il sole 24 ore)
Pag. 4 TARIFFE: Antitrust: dagli Albi liberalizzazioni frenate (il sole 24 ore)
Pag. 5 TARIFFE FORENSI: Le tariffe forensi sono legittime mondo prfoessionisti)
Pag. 6 ELEZIONI: Giustizia, ministro Scotti: "Tema sottovalutato nei programmi"
(www.metropolisweb.it)
Pag. 7 ELEZIONI: Studi ancora penalizzati nella politica di incentivi
di Gaetano Stella - Presidente Confprofessioni (il sole 24 ore)
Pag. 8 GIUDICI DI PACE: Niente iscrizione all'Albo degli avvocati per il giudice di
pace che esercita da più di dieci anni (diritto e giustizia)
Pag. 9 GIUDICI DI PACE: Niente Albo avvocati per i giudici di pace (italia oggi)
Pag.10 GIUDICI DI PACE: Cassazione – Sezioni unite civili – sentenza 12 febbraio – 4
aprile 2008, n. 8737 - Presidente Vittoria – Relatore Balletti
Pm Ceniccola – conforme – Ricorrente Pisarra (diritto e giustizia)
Pag.12 ANTIRICICLAGGIO: Antiriciclaggio, professioni a rilento (il sole 24 ore)
Pag.13 ANTIRICICLAGGIO: Verifica della clientela ancora in rodaggio (il sole 24 ore)
Pag.14 L’INTERVENTO: Giustizia malata, una zavorra per le imprese
di Andrea R. Castaldo - Ordinario di Diritto penale, Università degli studi di
Salerno (il sole 24 ore)
Pag.15 PROFESSIONI: Concorrenza senza steccati (italia oggi)
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IL SOLE 24 ORE
In arrivo il codice deontologico
Privacy per legali
Attività forense a prova di privacy. E’ in arrivo il codice deontologico per avvocati, praticanti e
investigatori privati. Il Garante ha messo a punto uno schema preliminare e adesso aspetta le
osservazioni delle categorie interessate, che dovranno essere sottoposte all’Authority entro il 30 aprile
prossimo. I suggerimenti dovranno essere inviati via mail all’indirizzo codice-forense@
garanteprivacy.it. La bozza delle regole di buona condotta — di cui è possibile prendere visione sul sito
dell’Autorità (www.garanteprivacy.it) — interessa l’attività forense svolta in forma individuale,
associata o societaria nonché coloro che, sulla base di uno specifico incarico anche da parte di un
difensore, effettuano investigazioni private. Nel documento si trovano le regole per raccogliere,
utilizzare e conservare i dati personali nel rispetto del Codice della privacy (Dlgs 196/2003). Tema che
— si sottolinea nello schema di documento - deve diventare parte della formazione permanente del
professionista. Da mettere sotto tutela sono tutte le informazioni personali acquisite nell’ambito di
indagini difensive oppure per far valere e difendere un diritto in sede giudiziaria, ma pure nel corso di
un procedimento, anche in sede amministrativa, di arbitrato odi conciliazione, così come nella fase
propedeutica all’instaurazione di un eventuale giudizio o in quella successiva della sua definizione.
A.Che.
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IL SOLE 24 ORE
Authority. Nuove indiscrezioni sull’indagine
Antitrust: dagli Albi liberalizzazioni frenate
Ordini ancora poco liberalizzati. Ancora troppe le cautele e le ambiguità, secondo l’Antitrust. «Perchè
se si deroga ai minimi ma poi li si vincola al decoro della professione e al rispetto per la prestazione, si
vanifica. nella pratica, l’apertura alla concorrenza”. Così come la pubblicità, che salvo in un paio di
casi, è molto cauta e, si precisa, «informativa e non comparativa”. Le indiscrezioni che periodicamente
emergono sull’indagine conoscitiva dell’Antitrust (in fase di stesura) sull’adeguamento di Ordini e
Collegi professionali alla disciplina delle liberalizzazioni decisa dal decreto Bersani del 2006,
confermano le indicazioni filtrate un anno fa e le recenti parole dello stesso presidente dell’Authority,
Antonio Catricalà (si veda «Il Sole 24 Ore» del 9 marzo scorso). Secondo l’Authority, sinora solo il
30% circa dei 14 Ordini sotto esame si è adeguato pienamente al dettato del decreto. Soprattutto, gli
Ordini fanno riferimento, nei codici, alle leggi vigenti (che hanno abolito l’inderogabilità dei minimi, il
divieto di pubblicità e di costituire società interdisciplinari). Ma il continuo riferimento al decoro della
professione nell’applicazione delle tariffe, così come la pubblicità «informativa, non elogiativa né
comparativa», non incoraggiano all’utilizzo delle nuove opportunità. Secondo l’Antitrust, i minimi
restano una soglia (sotto la quale non si va anche per timore di essere posti sotto esame dall’Ordine) e
sulla pubblicità mancano le iniziative (nessuna sperimentazione in Tv, radio, giornali locali,
volantinaggio). Parole di elogio solo per geometri (che ammettono la pubblicità comparativa), periti
industriali e psicologi (soprattutto perla carta su prezzi e qualità delle prestazioni elaborata con gli enti
dei consumatori). La replica giunge da Raffaele Sirica, presidente del Consiglio nazionale degli
architetti e del Cup (il comitato unitario delle professioni): «Continua l’ingiustificata criminalizzazione
dei professionisti e l’ennesima censura dell’Antitrust ai codici deontologici». C’è da chiedersi, ha
concluso Sirica, «come mai le posizioni degli Ordini trovino più ascolto nel Parlamento Ue e nella
Corte di Giustizia, che in Italia». Laura Cavestri
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MONDO PROFESSIONISTI
Le tariffe forensi sono legittime
"Il mantenimento di un tetto massimo delle tariffe professionali, anche con riferimento alle prestazioni
che hanno ad oggetto il diritto societario o amministrativo, è nell'interesse dei consumatori e li
garantisce da eventuali abusi contrattuali". Lo afferma il presidente del Consiglio nazionale forense
Guido Alpa nel commentare la decisione della direzione Mercato interno della Commissione europea di
procedere nella procedura di infrazione per violazione degli articoli 43 e 49 e di intimare all'Italia
l'abrogazione dei tetti massimi entro due mesi pena il deferimento davanti alla Corte di giustizia delle
comunità europee. D'altra parte gli avvocati hanno dalla loro i precedenti giurisprudenziali. "La
disciplina italiana delle tariffe nei servizi professionali, -prosegue Alpa- in particolare nei confronti
delle attività forensi è stata ritenuta conforme all'ordinamento comunitario dalla giurisprudenza
consolidata, costante e anche recente della Corte di giustizia Ue. Si invita pertanto -conclude- il
governo italiano a resistere alle pressioni della Commissione europea in quanto in contrasto con la
giurisprudenza della Corte di giustizia". Sulla stessa linea il presidente dei giovani avvocati (Aiga),
Valter Militi secondo il quale la decisione del Commissario al Mercato Interno "è l'ennesimo portato di
quel pensiero unico che fa della concorrenza senza regole un dogma indiscutibile pur limitandone gli
effetti ai rapporti civili e commerciali e senza considerare che anche in questi ambiti possono entrare in
gioco diritti fondamentali della persona". Comunque, continua il leader dei giovani avvocati,
"l'impostazione di McCreevy è più coerente di quella di Bersani che abolì solo i minimi tariffari, misura
che lungi dal favorire il consumatore, ha recato benefici solo alla committenza forte". In buona
sostanza, si tratta, ha concluso Militi, dell'ennesima sconfessione del decreto sulla competitività ed
averlo sempre ripetuto non fa che aumentare l'amarezza".
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Giustizia, ministro Scotti: "Tema sottovalutato nei programmi"
NAPOLI - IL ministro della Giustizia Luigi Scotti si dice ´´meravigliato´´ per la ´´sottovalutazione
della giustizia che c´e´ nei programmi elettorali di tutti i partiti´´. Il ministro, che si e´ confrontato a
Napoli con gli interventi tesi e polemici degli avvocati, in una iniziativa organizzata dall´Unione
regionale dei consigli dell´Ordine Forense della Campania, ha detto di condividere ´´buona parte delle
analisi ascoltate´´.
´´Riconosciamolo, la situazione e´ drammatica´´ ha detto il ministro e richiamandosi ad uno degli
interventi ha aggiunto ´´34 riti differenziati sono una enormita´, siamo alla impraticabilita´ giuridica´´.
D´accordo con le critiche degli avvocati il ministro si e´ detto anche sul problema dei minimi tariffari.
´´La loro abolizione significa portare la concorrenza sul terreno di prodotti scadenti. Questo aspetto va
rivisto e credo che ormai anche le forze politiche che hanno proposto l´abolizione si siano ricredute´´.
´´E´ vero - ha proseguito Scotti, richiamando un´espressione dell´avvocato Andrea Pisani
Massamormile - c´e´ bisogno di combattenti, ed e´ vero che fare il magistrato oppure l´avvocato in
alcuni distretti e´ un atto di eroismo, ma dobbiamo vivere in un paese nel quale non sia piu´ necessario
fare gli eroi´´.
Ai giornalisti che gli hanno chiesto se condividesse anche la richiesta, riproposta dagli avvocati, della
separazione delle carriere tra magistratura giudicante ed inquirente, il ministro ha replicato: ´´La
priorita´ sono i tempi della giustizia, una macchina che non funziona. Io abbandonerei certe
divaricazioni di carattere ideologico. la risposta che dobbiamo dare ai cittadini e´ quella sulla lunghezza
dei processi´´.
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IL SOLE 24 ORE
CATEGORIE E PROGRAMMI/Confprofessioni
Studi ancora penalizzati nella politica di incentivi
di Gaetano Stella - Presidente Confprofessioni
Imprese e professionisti,le scelte per il Paese»: Ferruccio de Bortoli in un editoriale pubblicato agli
inizi della campagna elettorale (si veda «Il Sole 24 Ore» del 16 febbraio) auspicava «che non si perda la
necessaria attenzione al cuore produttivo e sociale del nostro Paese, costituito dalle imprese, gli
autonomi e i professionisti». De Bortoli sollecitava attenzione alla «generazione pro-pro (produttori e
professionisti) che racchiude un universo di eccellenze». Nonostante i richiami, le ricette economiche e
sociali di Walter Veltroni, così come quelle di Silvio Berlusconi, benché ancora da misurare sul piano
delle coperture finanziarie e da soppesare in un contesto economico che una crescita ormai prossima
allo zero, non sono all’altezza non tanto delle aspettative, ma delle potenzialità di un comparto, quello
professionale, che copre i quattro punti cardinali della crescita del nostro Paese: economia, salute,
territorio e giustizia, incrociando quotidianamente i bisogni e le speranze delle imprese e dei cittadini.
Cosa c’è dietro una diagnosi, un master plan fiscale, il calcolo di una volumetria o la retorica di
un’arringa? Ci sono 1,8 milioni di professionisti, lo zoccolo duro di un comparto produttivo con oltre 4
milioni di operatori che producono il 12,5% del Pil nazionale, «che fa, investe, innova, studia», al pari
delle aziende. Purtroppo, la nostra classe politica ha una rappresentazione errata dei professionisti e dei
saperi che possono mettere al servizio del sistema Italia; una visione distorta, frutto dell’equivoco —
mai del tutto chiarito — che ruota intorno al riassetto degli Ordini e dei Collegi professionali: una
litania che va avanti da almeno 15 anni e che ha relegato le attività intellettuali a un ruolo di comparsa
sulla scena economica e sociale. Nell’ultimo decennio libere professioni e forze politiche hanno
maturato principi condivisi, sfociati nella cosiddetta “bozza Mantini-Chicchi”: un approccio di “autoriforma” che, anche grazie al contributo di Confprofessioni, la Confederazione che rappresenta 16 sigle
associative di categoria, chiarisce a chi spetti il controllo, il governo e la gestione del comparto del
lavoro intellettuale. Se fosse questo il nodo che soffoca .o sviluppo de! sistema professionale, qualsiasi
maggioranza politica che verrà potrebbe già disporre delle basi per varare la riforma nei primi cento
giorni di Governo e a costo zero. Ma non è questo il punto. Il nuovo contesto economico e l’evoluzione
normativa comunitaria, prima ancora delle liberalizzazioni del ministro Pierluigi Bersani, hanno dato un
nuovo assetto al sistema professionale, che ha saputo cogliere al volo le nuove esigenze del mercato,
introducendo una serie di strumenti innovativi (per esempio le coperture assicurative di responsabilità
professionale, la formazione continua, il praticantato retribuito, le nuove forme di previdenza e di
assistenza sanitaria per i dipendenti messi in campo da Confprofessioni) che pongono gli studi sullo
stesso piano delle imprese. L’introduzione “coatta” del capitale nelle società tra professionisti, fermo
restando la titolarità del valore intellettuale della prestazione e del rapporto che lega il professionista al
suo cliente, potrebbe poi ulteriormente limare le distanze tra aziende e studi. Ma a questo punto i conti
non tornano. Sul fronte legislativo, l’azione degli ultimi Governi ha disboscato una fitta trama di norme
in nome della semplificazione, fino a spingersi alla riduzione del cuneo fiscale. Bene, ne hanno
beneficiato le imprese, gli studi un po’ meno. E la stessa equazione si ripete anche con gli incentivi di
natura fiscale e contributiva che, sistematicamente non trovano applicazione nel comparto
professionale. Se non dopo le dure battaglie di Confprofessioni, come accaduto per i contratti
d’inserimento. Sono solo alcune considerazioni, tra le tante, ma danno la sensazione ai professionisti
che la campagna elettorale li abbia messi in secondo piano.
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Niente iscrizione all'Albo degli avvocati per il giudice di pace che esercita da più di
dieci anni
La Cassazione sottolinea le differenze fra giudici onorari e di carriera: i primi non hanno diritto ad
essere iscritti nell’albo degli avvocati, anche se hanno esercitati per più di dieci anni.
A questa conclusione sono pervenute le Sezioni unite civili della Corte di cassazione che, con la
sentenza n. 8737 del 4 aprile 2008 (qui leggibile come documento correlato), hanno respinto il ricorso
di un giudice di pace che chiedeva, dopo aver esercitato per più di un decennio, l’iscrizione di diritto,
nell’albo degli avvocati.
Il Consiglio dell’Ordine di Busto Arsizio aveva respinto la richiesta. Lo stesso aveva fatto il Consiglio
nazionale forense.
Così il giudice ha impugnato la decisione in Cassazione ma, ancora una volta, senza alcun successo.
Sullo sfondo, come sempre accade in questi casi, c’è una richiesta se non di equiparazione, fra
magistratura onoraria e di ruolo, almeno un avvicinamento.
Ma davanti alla Suprema corte le differenze sono diventate ancora più evidenti. Fermo restando, ha
premesso il Collegio esteso, che “i giudici di pace fanno parte dell’ordine giudiziario siffatta
appartenenza (come magistrato onorario) è meramente formale e non riveste carattere organico”.
Non solo. «La netta distinzione tra magistrati di ruolo e magistrati onorari deriva sia dal sistema di
nomina (mediante concorso pubblico il primo), sia dalla temporaneità e tendenziale gratuità delle
funzioni esercitate dal secondo». Da qui deriva, fra l’altro, hanno spiegato ancora le Sezioni unite civili
di Piazza Cavour, la legittimità della differenza dei compensi riservati ai giudici togati. Ciò a discapito
delle richieste che da anni i magistrati onorari fanno sull’adeguamento dei loro compensi.
Per tutti questi motivi la Cassazione ha messo la parola fine alla vicenda affermando espressamente che
«l’esercizio delle funzioni di giudice di pace non può essere equiparato a quello di magistrato
inquadrato nell’ordine giudiziario e, quindi, non può consentire l’iscrizione di diritto del giudice di pace
nell’albo degli avvocati per il mero decorso dell’arco temporale stabilito dalla legge». (deb.alb)
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ITALIA OGGI
Cassazione: per chi è in carica da 10 anni
Niente Albo avvocati per i giudici di pace
La Cassazione aumenta le distanze fra giudici onorari e di carriera: i primi non hanno diritto a essere
iscritti nell'Albo degli avvocati, anche se sono in carica da più di dieci anni. I magistrati togati, invece,
sì. Lo hanno deciso le Sezioni unite civili della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 8737 del 4
aprile 2008, hanno respinto il ricorso di un giudice di pace che chiedeva, dopo aver esercitato per molti
anni, l'iscrizione, cosiddetta di diritto, nell'Albo degli avvocati. Il Consiglio dell'Ordine di Busto
Arsizio aveva respinto la richiesta. Dello stesso parere era stato anche il Consiglio nazionale forense.
Così il giudice ha impugnato la decisione in Cassazione ma, ancora una volta, senza alcun successo.
Sullo sfondo, come sempre accade in questi casi, c'è una richiesta se non di equiparazione, fra
magistratura onoraria e di ruolo, almeno di avvicinamento. Ma al «Palazzaccio» il divario fra le due
categorie si è aperto ancora di più: la Suprema corte ha fatto una serie di precisazioni mettendo
l'accento sulle sostanziali differenze fra magistrati onorari e giudici che la stessa Corte ha definito «di
carriera». Fermo restando, ha premesso il Collegio esteso, che «i giudici di pace fanno parte dell'ordine
giudiziario, siffatta appartenenza (come magistrato onorario) è meramente formale e non riveste
carattere organico». Non solo. «La netta distinzione tra magistrati di ruolo e magistrati onorari deriva
sia dal sistema di nomina (mediante concorso pubblico il primo), sia dalla temporaneità e tendenziale
gratuità delle funzioni esercitate dal secondo». Da qui deriva, fra l'altro, hanno spiegato ancora le
Sezioni unite civili di piazza Cavour, la legittimità della differenza dei compensi riservati ai giudici
togati. Ciò a discapito delle richieste che da anni i magistrati onorari fanno sull'adeguamento dei loro
compensi. Per tutti questi motivi la Cassazione ha messo la parola fine alla vicenda affermando
espressamente che «l'esercizio delle funzioni di giudice di pace non può essere equiparato a quello di
magistrato inquadrato nell'ordine giudiziario e, quindi, non può consentire l'iscrizione di diritto del
giudice di pace nell'Albo degli avvocati per il mero decorso dell'arco temporale stabilito dalla legge».
Ora, se il giudice di Busto Arsizio vuole proprio esercitare come avvocato dovrà fare la pratica forense
e poi sostenere l'esame di stato. Debora Alberici
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Cassazione – Sezioni unite civili – sentenza 12 febbraio – 4 aprile 2008, n. 8737
Presidente Vittoria – Relatore Balletti
Pm Ceniccola – conforme – Ricorrente Pisarra
Svolgimento del processo
Con provvedimento in data 24 aprile/4 giugno 2005 il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Busto
Arsizio rigettava la domanda di iscrizione all'albo degli avvocati presentato dal dott. Michele Aldo
Pisarra che assumeva di averne maturato il diritto avendo svolto, per un periodo superiore a dieci anni,
le funzioni di "giudice di pace". Il cennato provvedimento veniva impugnato dal dott. Pisarra con ricorso
in data 30 maggio 2005 al Consiglio Nazionale Forense, che, con decisone del 15 dicembre 2005/21
novembre 2006, rigettava detto ricorso.
Per l'annullamento di tale decisione il dott. Michele Aldo Pisarra propone ricorso alle Sezioni Unite ex
art. 56 del r.d.l. n. 1578/1933 assistito da un motivo.
Il Consiglio Nazionale Forense e il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Busto Arsizio non hanno
spiegato attività difensiva, ancorché ritualmente raggiunti dalla notificazione del ricorso.
Motivi della decisione
I - Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente -denunciando "violazione dell'art. 26 lett. b del r.d.l. n.
1578/1933 convertito in legge n. 36/1934" formula il seguente quesito di diritto: «se l'esercizio delle
funzioni di giudice di pace possa essere equiparato a quello di Magistrato inquadrato nell'Ordine
Giudiziario e per l'effetto consentire, ai sensi dell'art. 26 cit., per il mero decorso dell' arco temporale
stabilito ex lege, l' iscrizione di diritto nell'albo degli avvocati».
II/a - Il ricorso come dianzi proposto si appalesa infondato.
Al riguardo deve premettersi che, se anche non può disconoscersi che il giudice di pace - il quale
esercita la giurisdizione e la funzione conciliativa in materia civile ex art. 1, primo comma, della legge
n. 374/1991 e, in materia penale, ha la competenza siccome fissata degli artt. 35 e 36 della legge n. 374
cit. - faccia parte dell'"Ordine Giudiziario" (testualmente, ex art. 1, secondo comma, della legge n. 374
cit.: «l'ufficio del giudizio di pace è ricoperto da un magistrato onorario appartenente all'ordine
giudiziario» pur tuttavia siffatta appartenenza (come "magistrato onorario") è meramente formale e non
riveste carattere organico (così Cass. n. 4905/1997).
Per vero la netta differenziazione tra “magistrati di ruolo” e "magistrati onorari” deriva sia dal sistema di
nomina ,- mediante concorso per il primo, tranne le eccezioni espressamente previste [così per quella ex.
art. 106, 3° comma, Cost. il quale prevede, con deroga alle regole del concorso (di cui all'art. 33,
comma 5°, Cost.), la nomina a consigliere di cassazione per meriti insigni] -, sia dalla temporaneità (per
la durata dell'ufficio di giudice di pace v. art. 7 della legge n. 374 cit.) e tendenziale gratuità (l'art. 11
della legge n. 374 cit. sancisce che «l'ufficio del giudice di pace è onorario» e prevede solo la
corresponsione di specifiche «indennità») delle funzioni esercitate dal secondo. Pervero, il periodo di
esercizio dell'attività giurisdizionale per l'iscrizione all'albo degli avvocati, richiesta per i magistrati,
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attiene ad una scelta del legislatore, ma non fa venire meno la rilevanza attribuita al superamento del
concorso; né un argomento contrario può evincersi dalla richiesta della laurea in giurisprudenza che come si sostiene - non avrebbe senso per il magistrato ordinario; il requisito ha, infatti, carattere
generale, e, anche se ultroneo per il magistrato ordinario, ben può riferirsi, ad esempio, al professore di
ruolo nelle università, che non ne deve essere necessariamente munito.
II/b - I cennati argomenti sinteticamente esposti confermano che il legislatore, in applicazione del 2°
comma dell' art. 106 Cost. ha tenuto ferma, per la categoria di cui si discute, la sostanziale distinzione
già esistente nella legge sull'ordinamento giudiziario fra ''giudici di carriera e giudici onorari" (cfr.
Cass. Sezioni Unite n. 11272/1998).
Anche la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 4 7 9/2000, ha motivato la declaratoria di manifesta
infondatezza della questione di costituzionalità degli artt. 3 della legge n. 27/1981 e 1 e 2 della legge n.
425/1984, rimarcando come non siano tra loro raffrontabili, ai fini di uno scrutinio di costituzionalità, la
posizione dei magistrati professionali e quella dei magistrati onorari, né le varie categorie di magistrati
onorari tra di loro, trattandosi di pluralità di situazioni, differenti tra loro, per le quali il legislatore, nella
sua discrezionalità, ben può stabilire trattamenti differenziati.
Sotto altro, se pure pertinente, profilo questa Corte ha statuito che la disciplina dei compensi per il
giudice di pace è dettata esclusivamente dalle fonti che specificatamente li contemplano, dovendosi
escludere ogni integrazione mediante il ricorso a regole dettate per rapporti di natura diversa e
dovendosi, in particolare, escludere l'estensibilità ai giudici di pace di indennità (nella specie, quella di
cui all'art. 3 legge n. 27 del 1981 come interpretato dall'art. 1 legge n. 425 del 1984) previste per i giudici
togati, che svolgono professionalmente e "in via esclusiva" funzioni giurisdizionali ed il cui trattamento
economico è articolato su parametri del tutto differenti (Cass. n. 1622/2001).
Più di recente la Corte Costituzionale ha espressamente confermato che «secondo la giurisprudenza
della Corte, la posizione dei magistrati che svolgono professionalmente ed in via esclusiva funzioni
giurisdizionali non è raffrontabile a quella di coloro che svolgono funzioni onorarie, ai fini della
valutazione del rispetto del principio di uguaglianza invocato dal giudice rimettente: situazioni diverse
devono essere disciplinate in modo diverso, per evitare che un giudizio di forzata parificazione possa
produrre, a sua volta, nuove e più gravi disparità di trattamento giuridico» (Corte Cost. n. 60/2006).
III - In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte con riferimento all'excursus giurisprudenziale
sinteticamente summenzionato, vale ribadire l'infondatezza del ricorso proposto da Michele Aldo
Pisarra, per cui - in senso specularmene opposto alla conclusione del quesito di diritto formulato dal
ricorrente - si statuisce che «l'esercizio delle funzioni di giudice di pace non può essere equiparato a
quello di magistrato inquadrato nell'"ordine giudiziario" e, quindi, non può consentire l'iscrizione di
diritto del giudice di pace nell'albo degli avvocati per il mero decorso dell'arco temporale stabilito ex
lege». Non è da provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, nel quale gli intimati non hanno
svolto attività difensiva.
P.Q.M.
la Corte, a Sezioni Unite civili, rigetta il ricorso; nulla sulle spese del giudizio di cassazione.
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IL SOLE 24 ORE
Obblighi comunitari. Più indicazioni (12mila) ma gli Albi segnano il passo
Antiriciclaggio, professioni a rilento
Sono in aumento costante le segnalazioni delle operazioni sospette di riciclaggio trasmesse all’Ufficio
italiano cambi: lo scorso anno hanno raggiunto quota 12 mila, contro le 9.800 del 2006 e le 8.500 del
2005. Ma il contributo dei professionisti, già minimo nel 2006 (gli obblighi si applicano agli studi dal
22 aprile di due anni fa), si è ridotto ancora. Infatti nel 2007 solo 174 segnalazioni — vale a dire
l’1,45% del totale—sono partite dagli studi, contro le 237 dell’anno precedente. I dati — trasmessi nei
giorni scorsi al ministero dell’Economia dall’Unità di informazione finanziaria (Uif) succeduta all’Uic parlano chiaro. La massa delle segnalazioni arriva dagli operatori finanziari, chiamati a sorvegliare le
transazioni già da tempo. I professionisti, invece, sono ancora in rodaggio e faticano ad adattarsi al
molo di “controllori” delle operazioni dei clienti. Il risultato è il basso numero di segnalazioni. Il 60,3%
(105 su 174) è arrivato dai circa 5 mila notai, che distanziano di molto gli altri professionisti mobilitati
dalle norme antiriciclaggio: solo 31 sono stati i campanelli d’allarme suonati dai 60 mila dottori
commercialisti e 16 dai 40 mila ragionieri (il cui dato è accorpato a quello dei tributaristi) che l’anno
scorso erano ancora divisi in due Albi; i 170 mila avvocati hanno inviato 8 segnalazioni e i 22 mila
consulenti del lavoro appena una. Il calo degli avvisi inviati dai professionisti dipende soprattutto dai
notai, che nel 2006 avevano inoltrato 170 avvisi. «Nel primo anno di applicazione degli obblighi —
spiega Bruno Barzellotti, componente del Consiglio nazionale del notariato — alcuni notai hanno
comunicato tutte le transazioni. Un numero inferiore rivela un uso più accorto dello strumento». Sono
invece rimaste quasi invariate, dai 2006 al 2007, le segnalazioni di dottori commercialisti e ragionieri.
in particolare, non è possibile stimare l’impatto dell’arruolamento dei tributaristi nella lotta al
riciclaggio, operativo dai 25 maggio dell’anno scorso: le loro comunicazioni sono accorpate a quelle
dei ragionieri, passate dalle 15 del 2006 alle 16 del 2007. «Le nostre segnalazioni potrebbero aumentare
già da quest’anno - annuncia Enrico Maria Guerra, componente del Consiglio nazionale dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili—perché il decreto legislativo 231/07, che ha riscritto le regole
antiriciclaggio, ha esteso il monitoraggio ai reati fiscali». Neppure avvocati e consulenti del lavoro sono
stupiti dèfl’esiguo numero delle operazioni sospette individuate dai-colleghi. Giuseppe Colavitti,
responsabile dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense, ricorda che «gli avvocati sono chiamati
a monitorare un’area limitata di operazioni», mentre Marina Calderone, presidente del Consiglio
nazionale dei consulenti, evidenzia che «i nostri clienti sono per lo più piccole e medie imprese, dove il
fenomeno di riciclaggio è residuale». Ma che ne è stato delle 12 mila segnalazioni arrivate all’Uic nel
2007? Per saperlo sarà necessario attendere. Infatti, se una parte delle comunicazioni (900) stata
archiviata direttamente dall’organismo, altre 300 sono state inviate all’autorità giudiziaria e sulle
restanti stanno lavorando gli organi investigativi. Valentina Maglione
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IL SOLE 24 ORE
Denaro sporco. I vincoli dettati dall’antiriciclaggio piombano negli studi
Verifica della clientela ancora in rodaggio
Adempimenti mutuati da soggetti più strutturati
La verifica della clientela rappresenta, senza alcun dubbio, uno degli oneri più incombenti per il professionista
dettati dalla disciplina sull’antiriciclaggio. Il decreto legislativo n. 231/07, attuativo della direttiva 2005/60/Ce,
introduce infatti alcune rilevanti novità in riferimento proprio agli adempimenti connessi alla verifica della
clientela. Novità, queste, che a ben vedere non appaiono esenti da notevoli profili di criticità. In generale può
osservarsi che il provvedimento attuativo ha ‘iniettato” nella disciplina antiriciclaggio alcuni principi generali
comuni ai più recenti interventi normativi comunitari destinati agli intermediari finanziari. Si pensi al principio
della proporzionalità degli obblighi rispetto ai servizi offerti e al tipo di cliente ovvero al principio di adeguata ed
effettiva conoscenza della clientela, presenti anche nella cosiddetta “direttiva Mifid” interna di servizi di
investimento (direttiva 2004/39/Ce). Segnale, questo, che se da una parte testimonia l’esigenza di convergenza e
omogeneizzazione dei comportamenti degli intermediari finanziari dall’altro conferma la tendenza, non sempre
scevra da critiche, a estendere adempimenti e modalità operative proprie di determinati soggetti ad altri (le
categorie professionali) profondamente diversi per natura, funzioni e struttura operativa.
Gli obblighi. Ai fini della concreta attuazione dei sopraindicati principi, fondamentali risultano gli obblighi
connessi all’adeguata verifica del cliente che dovranno essere assolti in riferimento all’intera durata del rapporto
professionale. Questa nozione, che sostituisce quella relativa agli adempimenti identificativi a oggi noti ai
professionisti, fa riferimento a un amplificato obbligo di conoscenza del cliente, al tempo stesso proporzionato al
rischio di riciclaggio associato al tipo di cliente. In particolare, in base alla rinnovata disciplina, agli adempimenti
identificativi (relativi alla verifica dell’identità del cliente sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da
una fonte affidabile e indipendente ovvero dell’identità dell’eventuale titolare effettivo) si aggiungeranno, in
presenza di un rapporto continuativo, ulteriori adempimenti diretti a ottenere informazioni sullo scopo e sulla sua
natura e a svolgere un controllo costante nel corso del rapporto stesso.
I dubbi operativi. Come si può osservare si tratta di un ulteriore aggravamento degli adempimenti cui però non
appare accompagnarsi la necessaria chiarezza sulle relative procedure operative. In tal senso non appare
esaustiva l’individuazione dei contenuti e delle modalità concrete di attuazione dell’obbligo di un controllo
costante che, in base a quanto attualmente previsto dalla normativa (articolo 19, comma 1, lettera c del Dlgs n.
231/07), si esplica nell’analisi delle transazioni concluse, nella verifica della compatibilità con la conoscenza del
cliente, delle sue attività e dell’origine dei fondi e nel costante aggiornamento dei dati acquisiti.
Il Consiglio nazionale. Consapevole dì queste e altre criticità che, di fatto, rischiano di rendere scarsamente
efficace la normativa rispetto alle finalità di prevenzione e contrasto di fenomeni di riciclaggio, il Consiglio
nazionale ha costituito un apposito gruppo di lavoro che sta predisponendo le procedure per il concreto
adempimento, da parte degli iscritti, degli obblighi di adeguata verifica della clientela e, al tempo stesso, ha
richiesto in una prospettiva di fattiva collaborazione con le istituzioni, i necessari chiarimenti al ministero
dell’Economia e delle finanze sui profili di maggiore criticità della rinnovata disciplina. Massimo Mellacina
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IL SOLE 24 ORE
Giustizia malata, una zavorra per le imprese
di Andrea R. Castaldo - Ordinario di Diritto penale, Università degli studi di Salerno
Il rapporto tra impresa e diritto è un grande assente della campagna elettorale, nonostante sia centrale perle
implicazioni sullo sviluppo economico del Paese Ma è mancata soprattutto una visione d’insieme in grado di
leggere — oltre il tradizionale dato della crisi della giustizia — le ricadute negative in termini economicofinanziari. E’ utile allora richiamare futuro Governo e nuovo Parlamento a una presa d’atto dello stato dell’arte e
ai rimedi per evitare l’implosione del meccanismo. L’affanno dell’attuale sistema giustizia (civile e penale) è
dovuto all’inflazione del numero di norme e alla concomitante lentezza nella decisione applicativa, in ipotesi di
contenzioso. E’ un circuito che si autoalimenta. Nell’ambito imprenditoriale, peraltro, dagli anni ‘70 si è fatta
strada una pervasiva cultura della regolamentazione, refrattaria al colore politico, in virtù dell’idea che il precetto
(e la relativa sanzione) fossero il rimedio migliore per disciplinare attività, governo e controllo dell’impresa.
Molto spesso, peraltro, l’intervento penale è stato visto come l’unico deterrente in grado di assicurare rispetto e
generare virtuosismi nella governance. Si è aggiunto, complice una tecnica legislativa non di rado scadente, il
difetto di una scarsa chiarezza della norma, che ha inevitabilmente generato il ricorso al giudice. Ultimo anello
della catena, l’allungamento dei tempi, l’incertezza della decisione nell’an e nel quando. Il meccanismo perverso
sedimentatosi negli anni nel tessuto sociale è stato anche alimentato ad arte da chi ha sfruttato il proprio torto per
convertirlo di fatto in ragione, lucrando da lungaggini processuali, formalismi esasperati e interpretazioni
ondivaghe giurisprudenziali. Insomma, fare impresa oggi rappresenta un’attività complessa e rischiosa, dove le
tradizionali difficoltà del mestiere sono aggravate da un approccio problematico con il mondo giuridico. D’altra
parte, un forte dissuaso- re della capacità d’investimento è rappresentato dall’incertezza del diritto e dalla
denegata giustizia. L’equazione tra sviluppo d’impresa e corretto funzionamento del pianeta giustizia è una
costante osservabile in qualsiasi rappresentazione democratica di Stato. Senza contare come attrarre capitali sia
in larghe zone del nostro territorio ancora più disincentivato dalla forte densità di organizzazioni criminali,che
impediscono all’impresa sana di stare sul mercato in condizioni di competitività. Negli ultimi tempi, poi, la
politica legislativa verso l’impresa si è connotata per una sostanziale traslazione sul privato di obblighi rientranti
nel potere pubblico: lo Stato ha delegato compiti di tutela e di prevenzione, istituzionalmente a esso spettanti,
all’imprenditore, in alcuni misi sanzionando anche penalmente l’inosservanza (ad esempio nelle norme
prevenzionali su sicurezza e ambiente, o in tema di antiriciclaggio).Se perla pubblica amministrazione ciò ha
comportato risparmi di costi e scarico di responsabilità, l’imprenditore ha vissuto questa linea come un implicito
messaggio di sfiducia nei suoi confronti, alimentando il diffuso malcontento per la giustizia e la distanza con il
corpo politico. La non più rinviabile inversione di tendenza che il prossimo Governo avrà in carico dovrà
cimentarsi con poche, ma significative linee-guida. Innanzi tutto, rinunciare alla tentazione di normativizzare
ogni passaggio della vita d’impresa: una politica quindi «per sottrazione» rispetto all’attuale opzione contraria.
Un asset equilibrato con una legislazione primaria d’indirizzo e una normativa regolamentare attuativa, mettendo
ordine al caos imperante mediante il ricorso al testo unico. Recuperando inoltre la sanzione civile e
amministrativa come terreno naturale di soluzione della trasgressione d’impresa, riservandosi un uso mirato e
residuale dell’intervento penale per tutelare gli interessi più rilevanti. L’agenda dell’Esecutivo dovrà inoltre
avere tra le priorità il ripristino di misure minimali di efficienza ed efficacia della giustizia. La certezza del diritto
(elemento scontato ma purtroppo alla deriva) andrà coltivata sia come certezza del processo (tempi ragionevoli di
durata, incidendo su sistemi formali ormai superati, ad esempio le notifiche) sia come certezza del risultato
(decisioni che, pur rispettose dell’autonomia del giudicante, si inquadrino in filoni omogenei di orientamento
giurisprudenziale, incentivando la cultura del precedente). Infine, la certezza dell’applicazione del risultato:
ossia dell’attuazione concreta della sentenza, quale forma di ristoro del danneggiato e in generale momento
essenziale perché tutti gli attori del processo comprendano il significato non simbolico della sanzione,
percependo la minaccia della pena in funzione di orientamento culturale e tavola di valori ai quali riferirsi nella
vita relazionale.
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ITALIA OGGI
I tributaristi dell'Ancot difendono il riconoscimento delle associazioni
Concorrenza senza steccati
È il mercato che seleziona i professionisti
Continuano le prese di posizione contro la nostra figura professionale e la regolamentazione delle associazioni
professionali da parte del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Quest'ultimo ha annunciato il ricorso
alla magistratura per l'impugnativa del decreto 206/2007 di recepimento della direttiva comunitaria e definisce la
regolamentazione delle associazioni una specie di «condono» quando gli atti di professione rientrano nell'ambito
delle competenze tipiche di professioni già dotate di un ordine. È necessario chiarire che l'art. 33 della
Costituzione si fonda su un concetto unico e inequivocabile. L'esame di stato serve quando si devono esercitare
atti di professione soggetti a «riserva» in quanto investono interessi costituzionalmente garantiti, altrimenti perde
di senso. Infatti, se un atto professionale può essere eseguito da qualsiasi persona, perché mai lo stato se ne
dovrebbe occupare? A questa conclusione è pervenuta l'Autorità garante del mercato e della concorrenza più di
dieci anni fa. Abbiamo posto il problema a Giuseppe Lupoi, coordinatore nazionale del Colap che ci ha risposto:
«La maggior parte degli atti di professione che sono tipici dei dottori commercialisti non sono soggetti a riserva:
ne discende che per porre in essere quegli atti non è necessario superare un esame di stato e non è necessario
essere iscritti all'albo dei dottori commercialisti. La conclusione è che quell'ordine è totalmente inutile e la sua
istituzione è una delle tante stranezze del panorama legislativo nazionale. Ce lo teniamo, così come siamo
costretti a tenerci tante cose di cui non avremmo bisogno, ma di cui non siamo capaci di sbarazzarci; ma non può
essere questo un buon motivo per impedire che altri eseguano atti “tipici” di quei professionisti: il solo pensarlo
equivale a ipotizzare di creare nuove riserve professionali, quando la rapidità dell'evoluzione della conoscenza
tira nella direzione opposta». Sulla questione per la quale la regolamentazione delle associazioni si
configurerebbe come una sorta di «condono». Arvedo Marinelli, presidente nazionale dell'Ancot si è così
espresso: «Nella nostra battaglia per la regolamentazione delle associazioni, ce ne hanno dette tante. Mai, però,
abbiano ascoltato espressioni così sprezzanti. Sanno i signori del Consiglio nazionale come operano le
associazioni professionali? Sanno quali sono i percorsi formativi che devono essere dimostrati? Sanno quante
ore/anno di nuova formazione devono fare gli iscritti? Sanno che ogni tre anni sono tutti assoggettati a verifica?
Sanno che tutti i professionisti iscritti alle associazioni hanno l'obbligo di stipulare un'assicurazione? E non
credono che tutto questo sistema di aggiornamento possa essere almeno paragonabile al tanto mitizzato esame di
stato, fatto una volta nella vita? Certo che lo sanno e hanno paura perché, sul mercato, subiscono la concorrenza
dei tributaristi». A meno di una settimana dalle prossime elezioni, nei programmi dei partiti non abbiamo
riscontrato esplicitamente riferimenti alla riforma delle professioni. Arvedo Marinelli e Giuseppe Lupoi hanno
più volte sollecitato tutte le parti politiche a organizzare incontri e tavole rotonde per presentare le nostre istanze
e conoscere le posizioni dei nostri interlocutori. Un primo segnale è pervenuto dal Partito democratico che ha
organizzato due eventi che si terranno oggi a Roma e a Milano. Il primo, dal titolo «Il Partito democratico
incontra il mondo delle nuove professioni» si svolgerà con inizio alle ore 9,30 presso la sala delle Conferenze in
via Sant'Andrea delle Fratte, 16. Interverranno il ministro Cesare Damiano, i senatori Giorgio Tonini e Tiziano
Treu, i rappresentanti delle associazioni del Colap con Giuseppe Lupoi e Arvedo Marinelli. Il secondo, dal titolo
«Le professioni non regolamentate e il lavoro professionale “debole”» si svolgerà dalle ore 18 presso la sala
Bauer della Società Umanitaria in via F. Daverio, 7. Interverranno i senatori Tiziano Treu e Giorgio Roilo e i
rappresentanti delle associazioni del Colap con Lupoi ed Ernesto Rimoldi. «Finalmente un segnale importante da
parte della politica italiana», ha affermato Giuseppe Lupoi. Un impegno da parte delle forze politiche di dare
ascolto a 3 milioni di professionisti italiani che ogni giorno contribuiscono allo sviluppo del nostro paese».
Marinelli ha così concluso: «Siamo convinti che l'iter della riforma riprenderà la sua strada. Se non fosse così,
tutte le polemiche innescate indeboliranno il mondo delle professioni sia ordinistico sia associativo, ma
soprattutto il peso politico dei professionisti italiani». Vito Mastrorocco
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