Semeiotica Medica 09/05/2013 (Prima ora) Lezione 24 Prof.ssa

Semeiotica Medica
09/05/2013 (Prima ora) Lezione 24
Prof.ssa Mandas
Gianluca Cadeddu
Concludiamo il discorso sull’elettrocardiografia con la valutazione delle alterazioni elettrocardiografiche in
corso di patologia ischemica.
Trattandosi di un corso di Semeiotica Medica funzionale non si terrà conto del quadro clinico (quindi della
sintomatologia) ma solamente delle alterazioni evidenziabili a livello dell’elettrocardiogramma.
Vi possono essere diverse alterazioni a seconda che ci si trovi in una condizione di ischemia, di lesione o di
necrosi miocardica.
In corso di ischemia è possibile evidenziare alterazioni a carico dell’onda T.
La volta scorsa sono state analizzate le caratteristiche del complesso QRS, del tratto ST e dell’onda T in
tutte le derivazioni.
Si è visto come la morfologia del complesso QRS, quindi la cosiddetta “progressione dell’onda R”, debba
essere valutata nell’ambito delle derivazioni precordiali.
Si è anche detto che si deve andare a valutare il tratto ST rispetto alla linea isoelettrica (dove quindi le
cariche positive con quelle negative si equivalgono - e ciò significa che non c’è attività elettrica misurabile ); deve essere riferita [non specifica il soggetto] al tratto TP quindi al completamento della ripolarizzazione
dei ventricoli e l’inizio della depolarizzazione degli atri.
Si è visto come l’onda T possa avere morfologie differenti senza che questo abbia necessariamente un
significato patologico.
L’onda T è generalmente positiva qualora il complesso QRS fosse prevalentemente positivo.
Ricordiamo ancora che, in riferimento alle derivazioni precordiali, per quel che riguarda la progressione
dell’onda R, il complesso QRS è prevalentemente negativo in V1-V2, tendenzialmente difasico in V3 e
positivo in V4, V5 e V6.
L’onda T, per quanto riguarda la prima derivazione precordiale, è nell’80% dei casi positiva; nel 20% dei casi
può però essere negativa senza nessun significato patologico.
Si stanno riprendendo queste informazioni per sottolineare un aspetto di rilievo: non sempre un’onda T
invertita ha un significato di ischemia miocardica.
Un segno importante di ischemia è (come si può
vedere nell’immagine a sinistra) un’onda T
appuntita con un’ampiezza assolutamente
aumentata rispetto alla norma (l’ampiezza
supera di gran lunga quella dell’onda R).
Si può avere un tracciato di questo tipo nel caso
in cui ci fosse un’ischemia in sede subepicardica.
È da ricordare che l’ischemia può interessare
una parte o totalmente la parete muscolare e si
parla quindi di ischemia subepicardica nel caso
in cui l’ischemia fosse in corrispondenza della
parte più esterna del muscolo cardiaco (quindi verso l’epicardio); si parla di ischemia subendocardica nel
caso in cui fosse interessata solamente quella porzione di muscolo cardiaco subito al di sotto
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dell’endocardio; si parla infine di necrosi transmurale quando l’infarto del miocardio va ad interessare tutto
lo spessore della parete muscolare cardiaca.
Si è già detto che le alterazioni dell’onda T non hanno necessariamente un significato patologico: un’onda T
invertita in V1, V2 e V3 può non avere un significato patologico anche perché si tratta di una condizione
fisiologica osservabile nei giovani e nelle donne. Ma se si evidenzia un’onda T positiva in V1 e un’onda T
negativa in V2 allora questo è patologico.
In ogni caso qualora si avesse un’onda T invertita bisogna poi andare a verificare la direzione della bisettrice
rispetto all’angolo formato dall’onda T in quanto, questa bisettrice, quando l’onda T è invertita, è spostata
verso destra (vedi immagine a destra a pagina 1).
La lesione del miocardio, invece, può essere riconosciuta se si evidenzia lo “slivellamento”1 del tratto ST.
Ricordiamo che per dare un significato patologico di tipo ipossico-ischemico allo slivellamento del tratto ST,
deve essere assente l’onda S in modo da poterlo distinguere dalle alterazioni legate alla ripolarizzazione.
Quindi è importante non confondere lo slivellamento del tratto ST, dato da una patologia ischemica,
rispetto alle alterazioni della ripolarizzazione ventricolare.
Il tratto ST slivellato può mostrare diversi
andamenti.
Si può avere uno sottoslivellamento (tipo
plateau) nel caso in cui ci fosse una lesione
ischemica a livello subendocardico (in
prossimità dell’endocardio).
Mentre la lesione miocardica in corrispondenza
della zona subepicardica si evidenzia
generalmente come sovraslivellamento.
Viene riproposto lo schema analizzato anche nel
corso della lezione precedente (a sinistra):
 Le alterazioni del tratto ST possono
essere secondarie: è ciò che può verificarsi, per
esempio, in corso di blocco di branca sia destro
che sinistro.
 Le alterazione del tratto ST possono
anche essere primarie (queste non sono
precedute da alterazioni del complesso QRS).
Nell’ambito delle alterazioni primarie si può
distinguere tra alterazioni: specifiche (legate a una patologia ischemica) e aspecifiche.
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La Prof.ssa preferisce dire “il slivellamento”. A parer mio è alquanto cacofonico e ho corretto in tutti quanti i casi con
“lo slivellamento”. Usate ciò che preferite.
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Ci stiamo proponendo di analizzare le alterazioni primarie (non precedute da alterazioni del
complesso QRS) specifiche dovute,
quindi, a una patologia di tipo ischemico.
Ricapitolando:


Se è presente una patologia di tipo
ischemico si ha una variazione dell’onda
T e si può avere:
- Un’inversione
simmetrica
dell’onda T in caso di
ischemia
subendocardica
oppure
- Onda T appuntita in caso di
ischemia subepicardica.
Lo slivellamento del tratto ST si osserva se si sta andando incontro a lesioni del miocardio e si può
avere:
- Sovraslivellamento nel caso in cui la lesione interessasse la porzione più distante
dall’endocardio (quindi lesione subepicardica);
- Sottoslivellamento qualora la lesione riguardasse la porzione di miocardio più vicina
all’endocardio (quindi lesione subendocardica).
Qualora venisse fatto un elettrocardiogramma nella fase di avvenuta necrosi miocardica si avrebbe la
possibilità di osservare alterazioni del complesso QRS.
Che significato ha ciò che è stato detto fino a ora?
Che le alterazioni che possono essere evidenziate sul tracciato elettrocardiografico sono espressione di una
patologia ischemica in fase evolutiva: le alterazioni del tracciato vanno in concomitanza al fenomeno
ischemico che si sta realizzando.
Abbiamo già accennato a lezione, quando è stato trattato il dolore toracico precordiale di origine cardiaca,
al fatto che tale dolore possa essere dovuto ad un’ischemia transitoria (quindi ad un’angina) oppure ad un
infarto. Se ci si trova di fronte ad un’ infarto acuto del miocardio significa che l’ischemia che si è realizzata è
protratta nel tempo tanto da determinare una lesione irreversibile (di tipo necrotico) a carico della
porzione del muscolo cardiaco di pertinenza della terminazione arteriosa coinvolta dal processo - nella
stragrande maggioranza dei casi - aterosclerotico che si è eventualmente complicato tanto da causare
ostruzione completa del vaso o comunque riduzione importante del flusso.
Se quindi si osservano alterazioni a carico delle onde T significa che ci si trova in una fase di ischemia, se si
osserva lo slivellamento (sia sovra che sottoslivellamento) del tratto ST significa che si sta andando incontro
alla lesione e infine quando si riscontrano le alterazioni tipiche della necrosi (e dunque dell’infarto) significa
che ci si trova in una condizione di irreversibilità e di danno stabilizzato.
Per cui se si evidenzia semplicemente un’alterazione a carico dell’onda T bisogna comunque considerarla
come espressione di una possibile alterazione evolutiva nel senso che, se l’ischemia non si risolve, nel
tempo si andrà incontro alle altre alterazioni (dapprima quelle tipiche della lesione e poi quelle della
necrosi) documentabili attraverso l’esecuzione, in successione, di tutta una serie di elettrocardiogrammi.
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Se si dovesse avere una reversibilità del processo e in particolare qualora regredisse la fase ischemica, nei
successivi elettrocardiogrammi le alterazioni a carico dell’onda T devono essere assenti.
Si è già detto che può accadere di osservare delle alterazioni che, in determinate circostanze, possono non
avere significato patologico. Ma se si ha la possibilità di disporre di un tracciato elettrocardiografico
precedente all’evento ischemico e poi di tutta una serie di elettrocardiogrammi indicativi dell’evoluzione
del processo ischemico, è ovvio come, in questo caso, si possano dare significati assolutamente patologici a
quelle alterazioni rispetto ai casi in cui si osserva quella alterazione come unico elemento.
La Prof.ssa prova a rispiegarsi: un’onda T negativa in V1, V2 e V3 può non avere alcun significato. Ma se si
avesse un tracciato elettrocardiografico di un soggetto, eseguito in precedenza rispetto all’ipotetico evento
ischemico, in cui si ha la possibilità di documentare un’onda T positiva in V1, l’evidenza di un’onda T in V1
che è diventata negativa (in seguito all’ipotetico evento ischemico), ha un significato patologico.
Torniamo alle alterazioni del
complesso QRS che si osservano in
corso di necrosi del miocardio.
Ricordiamo ancora una volta che
quando ci si trova nella fase precoce
di ischemia o in quella di lesione
non si ha ancora alterazione del
complesso QRS, ma solo alterazione
a carico dell’onda T o del tratto ST
rispettivamente.
Quando l’onda Q è alterata è
profonda e non viene più rispettata quella proporzione dell’ampiezza che normalmente si deve osservare
tra l’onda Q, appunto, e l’onda R. Generalmente l’onda Q non deve superare ¼ (quindi il 25%) di ampiezza
rispetto all’onda R. Si parla quindi di onda Q patologica quando l’ampiezza supera il 25% rispetto all’onda R
successiva e la sua durata (quella dell’onda Q) è superiore a 0,04 secondi (quindi la durata supera il piccolo
quadratino).
Quando sono state esaminate le morfologie del complesso QRS si è visto come un’onda QS in aVR e aVL
(quindi nelle derivazioni unipolari periferiche del braccio destro e del braccio sinistro rispettivamente)
possa essere una condizione assolutamente fisiologica che può essere evidenziata in caso di “cuore
verticale” condizione che si realizza frequentemente nel soggetto con fenotipo longilineo. In caso di
orizzontalizzazione del cuore si osserva l’onda QS in DIII e in aVR e anche questa situazione non ha
significato patologico esattamente come QS in V1 e V2 in quanto, quest’ultimo reperto, può essere
indicativo di una rotazione oraria del cuore.
Ha invece sempre significato patologico il riscontro dell’onda QS in DI, DII e aVF, per quanto riguarda le
derivazioni periferiche, e in V3, V4, V5 e V6, per quel che riguarda le derivazioni precordiali.
[Ndr. Attenzione: la Prof si imbarca in un periodo molto contorto che non riesco a sbrogliare; fino a ora tutte le frasi
sono state riadattate in modo da rendere immediata la lettura; in questo caso riporto le sue parole per evitare di
commettere errori di contenuto …] È però importante ricordare che se è presente l’onda QS in V3, anche se vi è
associata la negatività dell’onda T (in quanto questa può fisiologicamente essere negativa in V1, V2 e V3
nelle donne e nei giovani) … però se è presente l’onda QS nelle derivazioni precordiali dove deve avere, in
condizioni fisiologiche, o un aspetto difasico (perché il complesso QRS in V3 deve essere difasico) o
decisamente positivo nelle ultime tre derivazioni cioè in V4, V5 e V6. Tant’è vero che in caso di necrosi del
miocardio (quindi in presenza di una lesione irreversibile - perché si è realizzata la morte di un certo
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numero di cellule miocardiche -) si verifica una mancata o più lenta progressione dell’onda R nelle
derivazioni precordiali.
Si può quindi ben capire il significato che assume la valutazione della morfologia del complesso QRS nelle
derivazioni precordiali (e in particolare in quelle in cui l’onda R deve essere positiva), ma anche la
valutazione di tutta la progressione dell’onda R dalle derivazioni in cui, in condizioni fisiologiche, è presente
un complesso QRS prevalentemente negativo (quello difasico), fino a quelle in cui il complesso è
decisamente positivo.
È inoltre da ricordare che le alterazioni a carico del complesso QRS (e quindi l’evidenza dell’onda Q con una
riduzione del voltaggio dell’onda R) generalmente si riscontrano quando la necrosi si realizza in maniera
estesa e quindi quando il processo interessa tutto lo spessore della parete muscolare. Questi vengono
definiti: infarti transmurali.
Le immagini riportate rimandano ai concetti appena
trattati.
Ci deve essere, in condizioni normali, nelle derivazioni
precordiali, la normale progressione dell’onda R.
La perdita di voltaggio delle onde R nelle derivazioni
precordiali ha un significato assolutamente patologico.
Bisogna però ricordare che una riduzione di voltaggio
dell’onda R solo nelle ultime due derivazioni precordiali
(V5 e V6) non ha necessariamente un significato
patologico.
Può
infatti
capitare
di
osservare
l’ampiezza massima dell’onda
R in V4 e di riscontrare in V5 e
V6
una
riduzione
del
voltaggio. A cosa è dovuto
questo?
Al
fatto
che
nonostante la direzione del
vettore medio - e quindi della
risultante - sia normale, se si
sovrappone una quantità
maggiore di tessuto polmonare tra il muscolo cardiaco e la parete toracica, lo strumento lo andrà a
percepire con una minore intensità perché c’è un mezzo che attenua la registrazione dell’attività elettrica.
Si giudica come segno attendibile di infarto acuto del miocardio (IMA) la riduzione del voltaggio dell’onda R
in almeno due derivazioni precordiali che devono essere ovviamente comprese tra V2 e V5. Questo
semplicemente significa che nell’ambito di queste derivazioni si deve avere una riduzione dell’ampiezza del
voltaggio rispetto a quello atteso.
Questa riduzione di voltaggio non ha più significato patologico se contestualmente si ha un blocco di branca
sinistro (BBsn) [Vedi quanto detto la lezione precedente a proposito dell’alterazione del complesso QRS in
condizioni di BBsn].
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Questa immagine ci permette di fare un sunto circa le alterazioni legate alla patologica ischemica
miocardica.
 Nella
fase
ischemica,
potenzialmente reversibile, della
patologia si ha evidenza di onde
T appuntite o invertite.
 Nella fase di lesione (ancora
potenzialmente reversibile) si
riscontra slivellamento del tratto
ST. Lo slivellamento deve essere
più ampio di 1 mV (millivolt)
quindi superare un piccolo
quadratino al di sopra o al di
sotto della linea isoelettrica partendo dal punto J. Il punto J è quel punto che dista 80 millisecondi
rispetto alla fine dell’onda S e che quindi si trova spostato di due piccoli quadratini rispetto alla
conclusione della depolarizzazione ventricolare.
Se vi è, per esempio, uno sovraslivellamento si evidenzia un innalzamento del tratto ST a partire dal
punto J ed è inoltre assente l’onda S (è infatti proprio l’assenza dell’onda S l’elemento che consente
di differenziare questa situazione da un’eventuale alterazione aspecifica della ripolarizzazione).
 Nella fase della necrosi si ha l’evidenza dell’onda Q patologica.
In quest’altra diapositiva (a sinistra)
sono riportate le derivazioni che
consentono di vedere in maniera
specifica le diverse parti del
miocardio.
Ad esempio la regione antero-apicale
è quella regione del miocardio
esplorata in particolare da due
derivazioni precordiali (la V3 e la V4)
e da due derivazioni periferiche: una
bipolare (la DI) e una unipolare (la aVL).
Questo schema permette di comprendere che se si ritrovano le alterazioni che sono state descritte in
alcune derivazioni piuttosto che in altre, si può non soltanto dire che ci si trova di fronte a una patologia
ischemica miocardica, ma anche quale sia la zona maggiormente interessata da tale processo.
È importante, in conclusione, ribadire il concetto dell’evoluzione (la modifica nel tempo) delle alterazioni
elettrocardiografiche legate alla patologica ischemica acuta miocardica che consentono di monitorizzare
l’evoluzione del processo.
Sarebbe fondamentale poter disporre di un elettrocardiogramma che sia stato effettuato prima
dell’insorgenza del processo ischemico, per poi seguirlo nell’evoluzione - durante l’evento acuto - fino
all’alterazione stabilizzata. Si parla di alterazione stabilizzata in quanto, in caso di IMA, si realizzeranno poi
delle alterazioni irreversibili legate al processo di “cicatrizzazione” nella zona interessata dalla necrosi: si ha
infatti la sostituzione del tessuto danneggiato con del tessuto fibroso che non ha la capacità di comportarsi
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come un tessuto eccitabile in cui l’impulso può trasmettersi. L’interruzione della trasmissione dell’impulso
porta all’alterazione del complesso QRS e le caratteristiche di questa alterazione saranno legate all’entità,
alla quantità e alla posizione del tessuto fibroso che ha sostituito il tessuto miocardico.
In questo modo è possibile evidenziare delle alterazioni che sono indicative di IMA pregressi.
Se l’infarto acuto miocardico è stato sintomatico si può monitorizzare il paziente e valutare tutte le diverse
tappe (ischemia -> lesione -> necrosi -> riparazione del danno -> alterazione che esita dopo la riparazione).
Può però capitare - ad esempio in caso di dolore atipico toracico ed extratoracico di origine miocardica da
patologia ischemica, ma anche semplicemente in caso di infarto asintomatico - che l’evidenza di
un’alterazione legata a un pregresso infarto acuto del miocardio sia un’evenienza occasionale. Nel senso
che, se il paziente non ha avuto una sintomatologia legata al processo necrotico miocardico, è difficile che
sia arrivato all’osservazione clinica del medico. È più probabile che l’esito della necrosi venga evidenziato
successivamente ed occasionalmente effettuando un’ECG, non necessariamente per il sospetto della
patologia in atto, ma anche semplicemente nell’ambito del controllo routinario così come è ad esempio
previsto per tutta una serie di patologie croniche nelle quali potrebbero aversi ripercussioni, quindi
alterazioni secondarie, a livello cardiaco (come in caso di ipertensione arteriosa o di diabete mellito).
L’ipertensione arteriosa se non adeguatamente controllata dalla terapia farmacologica anti-ipertensiva può
portare ad alterazioni a carico dei cosiddetti “organi bersaglio” (cuore, rene e cervello) maggiormente
coinvolti da complicanze secondarie; il soggetto affetto da ipertensione arteriosa deve effettuare
periodicamente un tracciato elettrocardiografico per seguire nel tempo lo stato cardiologico e tutta un’altra
serie di indagini come l’ecocardiogramma.
Anche in caso di diabete mellito, in virtù delle complicanze di tipo micro e macroangiopatico, essendo più
alto il rischio di aterosclerosi e di patologia ischemica cardiaca, si presenta la necessità di fare controlli
periodici anche dell’attività elettrica cardiaca attraverso l’ECG. L’eventualità di riscontro, nell’ECG, di una
registrazione indicativa di un pregresso IMA è un’evenienza non rara nel paziente affetto da diabete mellito
in quanto, tali soggetti, non infrequentemente, soprattutto se di età avanzata, possono andare incontro a
IMA senza una sintomatologia soggettiva significativa oppure possono mostrare una sintomatologia
soggettiva assolutamente atipica.
Si conclude così il discorso relativo all’elettrocardiografia.
Ricapitoliamo i punti fondamentali da verificare durante la lettura dell’ECG:
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Verificare se il ritmo è sinusale oppure no;
Verificare se il ritmo è regolare oppure no;
Valutare la frequenza;
Valutare l’asse cardiaco;
Valutare la morfologia delle onde e la durata delle onde, dei tratti e degli intervalli;
Valutare la presenze di eventuali alterazioni morfologiche delle onde e l’eventuale andamento
alterato dei tratti e degli intervalli;
Analizzare la progressione dell’onda R nell’ambito delle derivazioni precordiali;
Valutare alterazioni del ritmo o la presenza improvvisa di battiti ectopici, come extrasistoli;
Verificare se il battito ectopico ha un’origine sopraventricolare o ventricolare.
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Il battito ectopico sopraventricolare è meno grave rispetto al battito ectopico ventricolare (BER). Anche il
BER può essere assolutamente privo di significato ma qualora lo si evidenziasse sarebbe necessario
approfondire il problema in quanto ci si potrebbe trovare di fronte ad una condizione di battito bigemino
(alternarsi di un battito ectopico e di un battito sinusale) con il rischio di avere poi la sommazione dell’onda
TR (o RT). In tal caso si verificherebbe una sovrapposizione tra il precedente complesso QRS sinusale con il
nuovo complesso ectopico. Questa evenienza espone a gravi tachiaritmie ventricolari che possono portare
a gravi conseguenze: in presenza di numerosi battiti ectopici ventricolari si può infatti avere come
conseguenza una tachicardia ventricolare da non confondere con la tachicardia normale!
La tachicardia normale può essere sinusale oppure no. Si parla di tachicardia sinusale se ci si trova di fronte
ad un’aumentata frequenza dovuta alla normale azione del pacemaker naturale (nodo del seno). In questo
caso il tracciato elettrocardiografico è normale, di alterato vi è la frequenza che è superiore ai 100 battiti al
minuto [già oltre i 90 si parla di tachicardia, ma la tachicardia è considerata importante oltre i 100 battiti al
minuto].
Si parla, invece, di tachicardia ventricolare in condizioni di esaltata eccitazione ventricolare: l’impulso è
idioventricolare e quindi la frequenza è dettata dai battiti ectopici ventricolari che originano però con
un’elevata frequenza.
In condizioni normali la frequenza, eventualmente data da un ritmo idioventricolare, è estremamente bassa
(il ritmo è decisamente bradicardico) e non si evidenzia per il semplice motivo che la frequenza data dal
nodo del seno è maggiore tanto da sovrastare la potenziale azione di auto-eccitazione che si ha a livello
ventricolare. Ma se il ritmo idioventricolare, per qualunque ragione, dovesse diventare di elevata
frequenza, a quel punto si avrebbe un ritmo ventricolare e quindi una tachicardia ventricolare.
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