Assicurazioni eque Una lotteria si dice equa, come sappiamo, se il costo di parteciparvi è uguale al suo valore monetario atteso. Per esempio, se la lotteria dipende dal lancio di una moneta non truccata, e se mi promette 100 nel caso ‘testa’ e nulla nel caso ‘croce’, allora la vincita attesa è 50 = 100 ⋅ 0,5 + 0 ⋅ 0,5 . Quindi, per essere equa, il costo di partecipazione deve essere 50. Una proprietà analoga vale per le assicurazioni: un’assicurazione si dice ‘equa’ se lascia l’assicurato con la stessa ricchezza attesa che aveva senza assicurazione. Immaginate la situazione di un soggetto che può subire un danno di valore D con probabilità p, e dunque nessun danno (danno = 0) con probabilità (1–p). Il danno atteso è pari a p ⋅ D + (1 − p ) ⋅ 0 = p ⋅ D . Un altro modo di dire la stessa cosa è che la ricchezza attesa di quel soggetto è pari alla ricchezza iniziale meno p⋅D. Infatti, se chiamo R la ricchezza iniziale, il nostro soggetto, senza assicurarsi, potrebbe rimanere con una ricchezza pari a R se non si verifica il danno, cioè con probabilità (1–p); oppure potrebbe rimanere con una ricchezza pari a R − D se si verifica il danno, cioè con probabilità p. La ricchezza attesa è dunque R ⋅ (1 − p ) + (R − D ) ⋅ p = R − pR + pR − pD = R − pD Immaginate ora che quel soggetto si voglia assicurare con una copertura ‘integrale’: il risarcimento, cioè, sarà pari all’intero danno D, e in tal modo la ricchezza del nostro soggetto sarà ricostituita al livello R, un valore certo. Qual è il premio che si dovrebbe pagare per avere un’assicurazione equa? La risposta è semplicemente p⋅D. Infatti, pagando esattamente questo premio la sua ricchezza finale sarà per certo R − p·D, uguale al valore atteso che il nostro soggetto aveva senza assicurazione1. Nella realtà non esistono lotterie e assicurazioni eque, perché in tal caso chi le organizzasse non avrebbe, in termini attesi, alcun guadagno netto (che serve se non altro a coprire le spese sostenute). Il fatto che le assicurazioni realmente esistenti non siano eque (nel senso che lasciano un guadagno netto atteso all’assicuratore) non va necessariamente a sfavore degli assicurati: se infatti costoro sono avversi al rischio, abbiamo già visto (v. documento su “Incertezza”) che sono disposti a rinunciare a valore monetario atteso se si possono liberare di un po’ di varianza. Riprendiamo questo punto con un esempio numerico. Supponiamo che un soggetto abbia una ricchezza iniziale di 100, ma che possa subire una perdita D di 36 con probabilità 0,25. Inoltre, supponiamo che la funzione di utilità del soggetto sia M , e dunque sia avverso al rischio. Se non si assicura, l’utilità attesa è 100 ⋅ 0,75 + 100 − 36 ⋅ 0,25 = 10 ⋅ 0,75 + 8 ⋅ 0,25 = 9,5 . Supponiamo ora che il nostro soggetto voglia dotarsi di una assicurazione a risarcimento completo, cioè il risarcimento è 36. Qual è il premio massimo che è disposto a pagare? Siccome la sua ricchezza (inclusiva del risarcimento) sarà comunque 100 con certezza, indicando con Pr il premo massimo che è disposto a pagare, la sua utilità sarà 100 − Pr , e questa utilità non deve essere inferiore a 9,5 (lo stessa che aveva prima di assicurarsi: notare, quindi, che 100−Pr è l’equivalente certo della lotteria). Richiediamo quindi 100 − Pr = 9,5 da cui otteniamo 100 − Pr = 90,25 (ovvero, il premio massimo è 9,75). Qual era invece la ricchezza attesa prima di assicurarsi? Era 100 ⋅ 0,75 + 64 * 0,25 = 75 + 16 = 91 . Dunque, per quanto di poco, il nostro soggetto è disposto a rinunciare a parte della ricchezza attesa (90,25 contro 91) pur di liberarsi dell’incertezza. Ne segue che c’è uno spazio di convenienza sia per l’assicurato sia per l’assicuratore: un contratto con un premio, diciamo, di 8 può essere conveniente per entrambi (l’assicuratore riceve 9,75 e deve pagare, in valore atteso, un risarcimento di 36⋅0,25 = 9). 1 Si potrebbe calcolare il premio equo anche nei casi di copertura non integrale, ma in questa sede ce lo evitiamo.