Consultazione pubblica sulla riforma della Pubblica Amministrazione
Contributo di Confindustria
Premessa
Il 30 aprile scorso il Governo ha sottoposto a consultazione pubblica alcune linee generali di
riforma della pubblica amministrazione, con l’obiettivo di rafforzare la competitività dell’Italia.
In particolare, le azioni ipotizzate dal Governo si sviluppano lungo tre direttrici: i) capitale
umano; ii) tagli alle strutture non necessarie; iii) innovazione e semplificazione.
Confindustria condivide l’impostazione complessiva dell’iniziativa, nonché l’approccio organico
nei confronti dei problemi della PA. Si tratta, infatti, di un processo ambizioso di
riorganizzazione ed efficientamento, che coinvolge sia l’organizzazione della macchina
amministrativa che i procedimenti di interesse per le imprese.
In particolare, è positivo il legame tra semplificazione, riforma della PA e digitalizzazione dei
servizi, in quanto gli interventi sui procedimenti amministrativi non possono prescindere da
azioni volte a incidere sulle performance degli uffici e a dematerializzare le pratiche
burocratiche.
Inoltre, appare condivisibile la volontà del Governo di accelerare l’attuazione di alcune
semplificazioni (fisco, edilizia e ambiente) e di procedere speditamente alla riduzione del
perimetro pubblico (società partecipate, accorpamento e soppressione di enti).
Di seguito, alcune considerazioni sulle proposte formulate dal Governo.
1. Organizzazione della macchina amministrativa
1.1 L’organizzazione del personale
Confindustria guarda con interesse al tema del personale della PA, considerata la forte
connessione tra l’organizzazione interna della macchina amministrativa e la crescita economica
del Paese.
Questa connessione può essere spiegata sotto due diverse prospettive.
In una prima prospettiva, questi aspetti incidono in misura importante sulla spesa pubblica
corrente. La loro adeguata gestione, dunque, potrebbe contribuire a ridurre il carico fiscale o la
misura del debito con i quali la spesa viene finanziata. In ogni caso, se anche non si volesse
ragionare in termini di finanza pubblica, le risorse assorbite in modo inefficiente potrebbero
essere indirizzate a fini più proficui.
In una seconda prospettiva, il personale e, in particolare, la dirigenza rappresenta il punto di
snodo tra la legge o la decisione politica e la sua attuazione concreta. Il tema, dunque, ha
un’incidenza molto forte sulla vita dell’impresa. Non solo le decisioni politiche passano
attraverso la “cinghia di trasmissione” della dirigenza e del personale, ma dirigenza e personale
sono titolari di prerogative amministrative proprie che tradizionalmente incidono sull’accesso e
sull'operatività dell’impresa nel mercato.
La connessione tra efficienza dell’organizzazione interna della PA e crescita economica assume
una centralità ancor più marcata in tempi di “spending review”, cioè in tempi in cui le condizioni
critiche della finanza pubblica impongono di trovare idee per la crescita senza risorse. Le risorse
vanno dunque recuperate da processi di riqualificazione della spesa o, comunque, attraverso
una razionalizzazione dell’organizzazione pubblica che consenta di assecondare al meglio le
energie del mercato con un approccio cooperativo e senza ostruzionismi.
Una riforma dell’organizzazione della PA è necessaria anche come fattore di tenuta complessiva
del sistema democratico. Il tema si colloca nel quadro più generale della crisi di legittimazione
degli istituti democratici, che risiede nell’inadeguatezza dei poteri pubblici a soddisfare le
esigenze della collettività. Tale crisi investe trasversalmente ogni potere dello Stato. I poteri
pubblici non sono più visti nella funzione servente per cui sono nati, ma ormai in una
dimensione avversativa e conflittuale: più “nemici” che “alleati”. Il legislatore legifera male e in
modo incomprensibile, le pubbliche amministrazioni ostacolano le imprese e i cittadini e la
giustizia non funziona come presidio dei diritti e delle libertà dei singoli.
Con riferimento agli obiettivi generali del processo di riforma della PA, il tema principale è
senz’altro quello della dirigenza. Confindustria condivide le proposte che sono emerse nel
dibattito più recente e che vanno nelle seguenti direzioni:

qualificare le competenze della dirigenza, sia sul versante tecnico-specialistico che su quello
manageriale, anche puntando sulle esperienze e conoscenze maturate all'estero;

rafforzare l’orientamento e la responsabilità sull’attuazione delle politiche e la produzione
del risultato;

rendere più flessibile l’organizzazione e la gestione del personale secondo logiche
tendenzialmente privatistiche e con i soli correttivi indispensabili per assicurare il rispetto
dei principi cardine del nostro ordinamento, come quello di imparzialità;

valorizzare i meriti individuali e il contributo al miglioramento delle strutture gestite;

creare un contesto adeguato all’esercizio delle responsabilità manageriali proprie di ogni
dirigente, sia in termini di autonomia e responsabilità delle decisioni, sia in termini di
chiarezza e semplicità degli obblighi;

favorire l’accesso di giovani risorse con alto potenziale e selezionate secondo criteri in grado
di cogliere la reale propensione e le capacità che richiedono le nuove esigenze manageriali.
In merito agli obiettivi più specifici di policy, occorre affiancare agli obiettivi quantitativi
tradizionali (riduzione dei dirigenti in servizio, massiccio turn-over nell’arco di 10 anni, riduzione
dell’età media, ecc.), obiettivi qualitativi che mirino a:

bilanciare i dirigenti laureati nelle diverse discipline (giurisprudenza, economia, scienze
politiche, ecc.);
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
imporre una percentuale (almeno il 50%) di dirigenti con il possesso di un qualificato titolo
post-laurea;

imporre una percentuale (almeno il 50%) di dirigenti con esperienza internazionale e/o nel
settore privato;

valorizzare l’esperienza conseguita in altri ministeri, nelle regioni e negli enti locali o nel
settore privato.
La necessità di un impatto quantitativo forte si giustifica per il fatto che piccole dosi di nuove
immissioni - per quanto qualificate - non riuscirebbero a sortire quello shock virtuoso che
auspichiamo.
La riforma deve poi perseguire un approccio incentivante all’utilizzo delle nuove metodologie
gestionali, piuttosto che quello alla “costrizione” secondo regole predefinite e omogenee. Su
questo è bene essere realistici: un’efficace sistema di incentivazione richiede risorse cospicue e
controlli severi, anche perché l’ambito in questione è contraddistinto da resistenze e
opportunismi radicati. È bene, dunque, che gli incentivi viaggino insieme a efficaci sanzioni
deterrenti.
La realizzazione concreta degli obiettivi indicati passa attraverso una serie di interventi integrati
che vanno a incidere sugli aspetti più qualificanti del rapporto tra dirigenti e PA, dal sistema di
reclutamento fino alla risoluzione del rapporto.
Con riferimento al sistema di inquadramento, è necessario superare le due distinte fasce a
favore di quella unica. A ciò si deve aggiungere la temporaneità degli incarichi e la
valorizzazione della retribuzione di posizione.
Questo sistema potrebbe garantire una maggiore flessibilità nell’impiego della dirigenza e
persegue sia l’interesse delle amministrazioni, che possono modificare più facilmente la loro
organizzazione, sia l’interesse dei singoli, i quali possono confidare in un meccanismo più
dinamico e aperto alle migliori competenze.
In tal modo si può evitare con maggiore efficacia il verificarsi di posizioni di rendita e di
cristallizzazione della burocrazia, favorendo una dinamicità virtuosa e quindi il merito.
È naturale che proposte di questo tipo possono determinare gli effetti sperati in un quadro di
risorse economiche adeguate.
Un altro profilo fondamentale riguarda la selezione per i nuovi inserimenti. L’attuale sistema
non è in grado di testare in modo adeguato le competenze di tipo manageriale e
comportamentale che sono richieste per l’esercizio evoluto del ruolo dirigenziale.
La preparazione ai concorsi ha carattere nozionistico e giuridico-contabile e incentiva fenomeni
di “professionismo del concorso”.
Questo limite può essere superato prendendo come punto di riferimento le esperienze
sovranazionali e, in particolare, quella europea. Nel 2010, l’ESPO ha superato il precedente
modello di concorso classico a favore di un meccanismo più pragmatico, che testa
effettivamente le attitudini e le competenze manageriali e comportamentali.
Un ulteriore problema a valle della selezione riguarda il regime giuridico applicabile al dirigente.
Il ricorso al contratto a tempo indeterminato va ripensato, perché l’utilizzo esteso di questo
strumento irrigidisce la struttura organizzativa e rallenta il ricambio di persone e competenze.
Un riequilibrio sarebbe auspicabile per ragioni organizzative e per garantire una maggiore
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efficacia nella trasmissione delle scelte politiche in azioni concrete. È noto, infatti, che
burocrazie troppo cristallizzate finiscono per rallentare l’attuazione delle agende politiche.
Serve, comunque, equilibrio, perché in molte occasioni il problema non sono le burocrazie, ma
al contrario un’eccessiva invasività della politica, che aspira a gestire l’interesse pubblico
secondo logiche parziali e contrarie al buon andamento.
Un altro profilo decisivo è il sistema di valutazione. In questo ambito c’è un gap di attuazione,
ovvero un distacco tra quanto già scritto nelle norme esistenti e quanto effettivamente
realizzato.
Si pensi alla riforma Brunetta del 2009. Per quanto migliorabile, il suo punto dolente è
l’attuazione. Si sono registrate situazioni limite, nelle quali non sono stati adottati efficaci criteri
e parametri di giudizio o, comunque, sono state realizzate forme di verifica del tutto
insoddisfacenti, quanto ai loro effetti concreti sia sul versante premiale che su quello punitivo
nei confronti dei soggetti valutati.
Questo per dire che, invece di rivoluzionare nuovamente il sistema di valutazione, andrebbero
anzitutto applicate le norme esistenti, agendo sui comportamenti. A partire dalla politica, che
ha visto sempre con ritrosia il suo dovere di definire criteri certi e obiettivi di valutazione dei
dirigenti e valutarli di conseguenza.
Bisognerebbe comunque migliorare e ampliare il sistema di valutazione, andando al di là della
valutazione individuale e includendo anche le performance delle singole unità organizzative.
Sotto altro profilo, la riforma dell’organizzazione della PA implica necessariamente processi di
ristrutturazione del personale. Riteniamo che ciò debba avvenire nell’ambito di una visione
coerente degli strumenti a disposizione del settore pubblico e di quello privato. Anche
quest’ultimo, caratterizzato da una legislazione spesso rigida che ha ingessato la flessibilità
organizzativa, deve affrontare costosi processi di ricambio generazionale, necessari per
orientare i processi industriali in funzione della crescita.
In questa ottica, va valutata con attenzione la scelta ipotizzata di disegnare per il solo settore
pubblico norme ad hoc per poter derogare alle regole sui requisiti minimi per il pensionamento
previsti dalla riforma Fornero. Il sistema pensionistico pubblico è stato riformato, uniformando
regole e enti di gestione tra lavoratori pubblici e privati. Inoltre, poiché rivedere alcune regole
della fase transitoria della riforma Fornero ha un costo per il sistema pensionistico, solo
attendendosi al vincolo di tenere insieme tutti gli aspetti rilevanti si può evitare di addossare al
sistema costi eccessivi e squilibrati.
Pertanto, se sono da condividere le istanze di ricambio generazionale che sono alla base delle
proposte ipotizzate dal Governo, è in parallelo auspicabile una rivisitazione complessiva e
unitaria della fase transitoria della riforma Fornero.
1.2 La riorganizzazione degli apparati pubblici
Il tema della riorganizzazione degli apparati pubblici è stato già posto da Confindustria
all’attenzione del Parlamento e del Governo in occasione del dibattito, ancora in corso, sulle
riforme istituzionali.
Non è infatti possibile ridare efficienza alla PA se non si interviene in modo incisivo sulla
frammentazione del sistema. La nostra macchina amministrativa è elefantiaca e le competenze
polverizzate in un assetto organizzativo ormai fuori controllo. L’effetto è di una costante
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sovrapposizione di ruoli e competenze, che finisce per moltiplicare all’infinito i passaggi,
ritardando il momento della decisione.
L’impressione generale che si ha osservando la platea di attori pubblici è che si sia perso di vista
l’insegnamento di Massimo Severo Giannini, secondo cui “in principio sono le funzioni”. Il
numero di enti pubblici prolifera senza criteri razionali e negli stessi enti pubblici le varie
ramificazioni non rispondono spesso ad una esigenza di efficienza.
In questa sede non si vuole porre il tema della riduzione dei livelli di governo e della
conseguente riallocazione delle funzioni amministrative, che va affrontato a livello
costituzionale.
Esistono, tuttavia, altre questioni che meritano attenzione.
Da un lato, esistono enti pubblici o “semi-pubblici” superflui o, in altri casi, enti pubblici
organizzati in modo inefficiente per territorio o per funzioni.
Dall’altro lato, bisogna evitare di farsi suggestionare - per ragioni di contenimento degli oneri
economici - da scorciatoie inutili, che non vanno al cuore dei problemi: ancora una volta la
corretta organizzazione delle funzioni amministrative.
Confindustria ritiene che il processo di riorganizzazione della PA deve comunque rispondere a
uno schema coerente, che:

parta dalle funzioni amministrative effettivamente necessarie e organizzi di conseguenza il
numero degli enti pubblici e la loro ramificazione territoriale, secondo i principi di efficienza,
efficacia ed economicità;

consenta l’adozione di decisioni tempestive, evitando il continuo “rimpallo” di
responsabilità tra amministrazioni e la stagnazione dei procedimenti;

riduca drasticamente il numero di enti, società e altri soggetti strumentali a vario titolo
costituiti da Regioni ed Enti locali, che spesso duplicano le funzioni e costituiscono fonti di
sprechi e di fenomeni corruttivi.
A quest’ultimo riguardo, solo una responsabile presa di coscienza, soprattutto in occasione di
consultazioni ambiziose come quella in corso, può consentire di conseguire risultati concreti in
ordine alla riduzione del perimetro pubblico.
Di seguito si svolgono alcune considerazioni su profili di respiro più generale che incidono sul
perimetro dell’azione pubblica e sul governo del sistema economico.
1.2.1 Società pubbliche
Secondo i dati elaborati dal nostro Centro Studi, le amministrazioni pubbliche centrali e locali
detengono quote in 7.712 organismi. Con oneri per i contribuenti che nel 2012 erano di 22,7
miliardi.
Il 63,9% di queste non produce servizi pubblici. Con oneri complessivi per 12,8 miliardi.
Molte società, dunque, non sono strettamente connesse al perseguimento di interessi pubblici,
ma operano sul libero mercato invadendo spazi impropri. Altre società, pur essendo correlate al
perseguimento di interessi pubblici, sono comunque inefficienti e sistematicamente in perdita.
Assorbono, dunque, senza ragione risorse pubbliche che potrebbero essere utilizzate in ambiti
più funzionali alla crescita economica.
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È urgente un riassetto delle partecipazioni pubbliche. Si tratta di un passaggio necessario al
duplice fine di recuperare risorse per ridurre il carico fiscale e il debito pubblico e di liberare il
mercato dalla presenza impropria dello Stato a scapito dell’efficienza e della concorrenza.
L’utilizzo dello strumento societario è divenuto una fonte di abuso sempre più diffusa, che
rende possibili vantaggi anticoncorrenziali e, soprattutto, consente di eludere i vincoli
pubblicistici: quelli di finanza pubblica, anzitutto, ma anche quelli inerenti al reclutamento del
personale e all’acquisto di beni e servizi.
Sono dunque necessarie misure severe ed efficaci per un attacco deciso ai confini
dell’intervento pubblico.
A tal fine, occorre andare al di là delle norme che negli ultimi anni hanno irrigidito
l’organizzazione delle società pubbliche (si pensi alle disposizioni che riducono il numero degli
amministratori e i loro compensi o quelle che obbligano al rispetto delle procedure ad evidenza
pubblica) e realizzare, invece, un ben più radicale riassetto.
Non ci si deve porre solo il problema di “come” le PA debbano utilizzare la forma societaria. Si
deve a monte mettere in discussione l’opportunità stessa che esse conservino queste
partecipazioni.
Si è provato negli ultimi tempi ad arginare il fenomeno, ma con disposizioni inefficaci e di fatto
inattuate o, ancor peggio, con norme contraddittorie.
Purtroppo la legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013) non ha mostrato una chiara
discontinuità, finendo anzi per indebolire i presidi legislativi rigoristici degli ultimi anni.
È necessario dunque emanciparsi da una visione contingente, mettere al centro l’efficienza e
trarre da questo principio le conseguenti scelte di politica legislativa.
Non è un’operazione “indolore”. Occorre coraggio politico e visione, ma gli strumenti non
mancano. Basti pensare, e questo dà l’idea di quanto il fenomeno sia fuori controllo, che solo
vietando i “ripiani” delle perdite maturate dalle società che abbiano chiuso gli ultimi tre esercizi
in passivo sarebbe possibile risparmiare circa 1,8 miliardi di euro. Risorse che potrebbero essere
investite molto più proficuamente per la crescita.
1.2.2 Riordino delle Autorità Amministrative Indipendenti
Nel nostro Paese le Autorità Amministrative Indipendenti (AAI) sono sorte in assenza di un
disegno unitario ed organico. L’origine e la diffusione del modello delle AAI è da ricondurre a
una serie di fattori:

in primo luogo, l’esigenza di tutelare nuovi interessi “sensibili” (es. la concorrenza, il
risparmio), che né l’apparato amministrativo tradizionale, né la magistratura erano in grado
di gestire e che richiedevano interventi di regolazione e vigilanza neutrali e caratterizzati da
notevole specializzazione tecnica;

il processo di integrazione europea, che ha imposto di individuare, in ciascuno Stato
membro, Autorità indipendenti dai rispettivi apparati governativi per l’attuazione delle
regole comuni (sono nate così l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e il
Garante per la Protezione dei Dati Personali);

i processi di liberalizzazione e privatizzazione degli anni ’90. Infatti, per evitare che il
passaggio da un controllo pubblico diretto del mercato a un controllo indiretto si traducesse
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in un abbassamento dei livelli di tutela della concorrenza e dei consumatori, i compiti di
regolazione e vigilanza in questi settori sono stati attribuiti a soggetti indipendenti
dall’esecutivo.
L’attività svolta dalle AAI e i risultati raggiunti in questi anni hanno dimostrato l’utilità del
modello. Tuttavia, non sono mancati eccessi nel suo utilizzo, che hanno portato a una
proliferazione delle AAI, con conseguente moltiplicazione del numero degli organismi,
disomogeneità tra gli stessi, ma anche sovrapposizioni di competenze, eccesso di
regolamentazione e carenze nei controlli.
L’esperienza di questi anni ha poi mostrato una serie di limiti in termini di indipendenza,
funzionamento, accountability e modalità di finanziamento delle AAI, cui occorre porre rimedio.
In altre parole, le Autorità sono troppe, le modalità di funzionamento e nomina dei componenti
disomogenee, non è sempre chiaro chi fa cosa e i costi di questo sistema gravano soprattutto
sulle imprese.
Confindustria condivide l’idea di riorganizzare il sistema delle Autorità Amministrative
Indipendenti. È, infatti, necessaria una generale opera di riordino delle AAI, che passi attraverso
l’individuazione di una serie di principi comuni applicabili a tutte le Authorities, l’affermazione
della piena indipendenza rispetto al potere esecutivo e una seria razionalizzazione.
Occorre innanzitutto ridurre il numero delle AAI, ad esempio istituendo Autorità
“multisettoriali”. Ciò renderebbe le AAI più efficienti e ridurrebbe anche i rischi di cattura da
parte dei soggetti regolati o vigilati, rischi cui sono maggiormente esposte le Autorità più
piccole.
In Europa vi sono già dei precedenti in tal senso: nel Regno Unito, l’Independent regulator and
competition authority for the UK communications industries (OFCOM) riassume sia le
competenze regolamentari sia quelle antitrust, più rilevanti, per il settore delle comunicazioni
elettroniche. In Spagna, nel 2013, è stata creata la Comisión Nacional de los Mercados y la
Competencia (CNMC), che è un’Autorità Amministrativa Indipendente con competenze,
regolamentari e antitrust, nei settori delle comunicazioni elettroniche, energia elettrica e gas,
poste, audiovisivo, aeroporti e ferrovie.
Vanno poi uniformate le regole di governance e di funzionamento delle stesse.
Affinché il modello funzioni, infatti, è necessario che le Autorità non subiscano condizionamenti
dal mondo politico e dalle imprese che operano nei mercati regolati. L’indipendenza può essere
perseguita attraverso molteplici strumenti, tra cui le modalità di nomina dei componenti e la
predeterminazione di criteri precisi di elevata professionalità per l’assunzione dell’incarico.
Fortemente correlato al tema dell’indipendenza è anche quello del finanziamento delle AAI.
Nell’ultimi anni il sistema di finanziamento è stato oggetto di numerose modifiche che hanno
portato a una progressiva riduzione dei contributi a carico del bilancio dello Stato e all’aumento
della quota a carico del mercato. In particolare, quest’ultimo modello, adatto per le Autorità di
regolazione e vigilanza settoriale (es. la Consob), è stato esteso anche alle AAI che hanno
competenze trasversali (es. l’Autorità Garante della Concorrenza). In tal modo si è posto carico
delle imprese il finanziamento di attività che vanno a vantaggio dell’intera collettività.
Infine, in tempi di spending review, è fondamentale il controllo sulla gestione finanziaria delle
Autorità e la loro accountability, così da assicurare efficienza e una chiara percezione da parte
di cittadini e imprese della qualità e dell’importanza delle attività che esse svolgono.
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1.2.3 Razionalizzazione delle Autorità Portuali
Confindustria condivide la proposta di razionalizzare il sistema delle Autorità Portuali. Infatti, il
numero di tali Autorità è eccessivo ed alcune di esse non hanno una gestione efficiente.
Tuttavia, tale processo di razionalizzazione non deve realizzarsi mediante tagli lineari, ma
attraverso un disegno generale di riforma della portualità per rilanciarne efficienza e
competitività.
Ciò anche in linea con le recenti indicazioni della Commissione europea contenute nelle
"Raccomandazioni del Consiglio europeo sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia"
del 2 giugno scorso.
1.2.4 Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura
Confindustria non condivide la proposta di eliminare l’obbligo di iscrizione delle imprese alle
Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (CCIAA).
Tale misura, infatti, trasformerebbe le CCIAA in soggetti ad adesione volontaria, mettendole in
concorrenza con il ruolo e le attività tipiche delle associazioni di rappresentanza
imprenditoriale.
È fondamentale mantenere separata la funzione propria delle associazioni ad iscrizione
volontaria da quella delle CCIAA, intese come enti pubblici che perseguono obiettivi di interesse
generale su ambiti specifici e ben delimitati.
Peraltro, la facoltatività dell’iscrizione alle Camere svuoterebbe la funzione del Registro
imprese, che si concretizza in una certificazione “qualificata” di informazioni necessarie per
operare in “maniera accreditata” nei mercati nazionali e internazionali.
Quanto al piano organizzativo, la misura proposta non incide sulle inefficienze del sistema
camerale, costituito oltre che dalle 105 Camere provinciali anche dall’apparato di aziende
speciali (molte delle quali in perdita) e strutture pubbliche collegate. Questo sistema assorbe
risorse ingenti, provoca distorsioni concorrenziali a danno dei privati, genera frammentazioni e
duplicazioni di ruoli con altri enti pubblici di promozione del territorio e provoca un contenzioso
oneroso per la formazione della governance.
La razionalizzazione del sistema camerale, invece, deve essere perseguita attraverso una
riforma profonda, che incida su tutti i profili strutturali e risolva i problemi connessi al
contenimento dei costi, all’allocazione delle funzioni e alla governance degli enti camerali. Sul
tema, Confindustria ha già avviato un confronto con il Governo, al quale ha inviato un
pacchetto di misure volte all'efficientamento del sistema delle Camere di Commercio.
2. Semplificazioni di carattere generale
2.1 La governance della semplificazione
La riforma dell’organizzazione di per sé non basta per migliorare il rapporto tra privati e PA.
Uno dei pilastri fondanti del processo di riforma deve essere proprio la semplificazione del
rapporto amministrativo. Aspetto, quest’ultimo, che è rimasto troppo sullo sfondo nella
consultazione, ma che Confindustria auspica possa divenire uno dei tratti più qualificanti del
processo riformatore.
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Un’efficace strategia di semplificazione richiede una governance stabile e autorevole, che ne
assicuri la coerenza e la concreta attuazione da parte delle varie strutture amministrative
(contro)interessate.
Ciò comporta, sul piano politico, la necessità di concentrare su un unico Ministro il ruolo di
impulso e coordinamento delle attività di semplificazione e attribuire alla Consiglio dei Ministri
la verifica periodica dell’attuazione delle misure adottate e la responsabilizzazione dei singoli
Ministri.
Sul piano organizzativo, occorre superare la frammentazione e la precarietà degli uffici
impegnati nelle attività di semplificazione, valorizzando l’esperienza acquisita dal Dipartimento
della funzione pubblica e rafforzando le professionalità dedicate.
Questa nuova governance andrebbe poi accompagnata dalla previsione di strumenti di
concertazione (es. cabina di regia), che garantiscano la realizzazione delle politiche di
semplificazione a tutti i livelli di governo (Stato, Regioni ed Enti locali).
2.2 ICT e Agenda Digitale
Il percorso di modernizzazione della PA non può prescindere da un processo di switch on al
digitale, sia attraverso la digitalizzazione dei processi interni sia tramite l’erogazione di servizi
digitali evoluti a beneficio di imprese e cittadini.
Tuttavia, nonostante l’adozione dell’Agenda per l’Italia Digitale, scontiamo significativi ritardi in
termini di innovazione tecnologica nei confronti dei principali competitors a livello europeo e
mondiale.
Per riportare l’Italia a un accettabile livello di competitività e di attrattività, Confindustria ritiene
prioritario:

dare concreta attuazione all’Agenda Digitale Italiana, rispettando le scadenze e
recuperando i ritardi accumulati, rafforzando la governance unitaria presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri, che risulta priva di un peso determinante nelle politiche di
sostegno alla società dell’informazione;

coinvolgere le Regioni e le Province Autonome nei processi decisionali e attuativi, in quanto
esse hanno competenze specifiche e sono titolari di autonomia gestionale in determinate
materie;

avviare progetti di digitalizzazione a livello nazionale per l’efficientamento e la
modernizzazione di settori strategici (es. sanità, turismo, manifatturiero);

favorire la diffusione della “cultura digitale” sul territorio, avviando azioni di
alfabetizzazione e formazione al digitale per imprenditori, cittadini e operatori della PA;

accelerare la riforma digitale della PA, attraverso: i) una maggiore interoperabilità delle
banche dati, che consenta anche di accrescere l’efficacia della PA nella lotta all’evasione e
all’economia sommersa; ii) un maggior efficientamento della funzione di procurement, che
consenta di acquistare in modo appropriato, abbandonando la sola logica del prezzo più
basso a beneficio del miglior mix qualità/prezzo. Infatti, la vera spending review si realizza
acquistando il bene/servizio necessario, appropriato per l’utilizzo previsto, al prezzo più
corretto; iii) la formazione sul digitale dei dipendenti della PA, al fine di incrementarne la
produttività del lavoro.
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2.3 Gli istituti chiave della semplificazione
Confindustria ritiene necessario un intervento strutturale su alcuni istituti chiave della
semplificazione e, più in generale, su alcuni profili fondamentali del diritto amministrativo.
Gli obiettivi sono: i) porre le condizioni affinché sia possibile superare le situazioni di stallo
procedimentale che si verificano nell’ambito delle conferenze di servizi; ii) ricondurre il potere
di ripensamento della PA alla sua fisiologia, eliminandone la connotazione strumentale che ha
spesso assunto nella prassi.
Quanto all’istituto della conferenza di servizi, il problema principale è rappresentato dai
meccanismi per il superamento dissenso espresso dalle amministrazioni portatrici di interessi
sensibili.
Infatti, l’attuale sistema di rimessione al Consiglio dei Ministri si è rivelato inefficace per le
opere di carattere medio-piccolo, trasformando il dissenso in un vero e proprio potere di veto
sulla realizzazione delle stesse.
L’esperienza degli ultimi anni ha fatto emergere la necessità che il confronto tra le
amministrazioni, in caso di dissensi espressi in conferenza di servizi, avvenga in un consesso non
politico ma tecnico, in grado di individuare specifiche indicazioni operative volte a superare i
punti di contrasto.
È, quindi, necessario prevedere un meccanismo che assicuri un’efficace e definitiva
ponderazione degli interessi pubblici coinvolti, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi
e assicurando un confronto paritario tra le diverse amministrazioni.
Un efficace meccanismo di ponderazione degli interessi deve poi essere accompagnato
dall’introduzione di limiti ragionevoli al potere di ripensamento delle amministrazioni.
Infatti, la prassi ha dimostrato che il potere di autotutela viene esercitato dalla PA per rimediare
a inerzie e/o carenze istruttorie, compromettendo l’efficacia di importanti istituti di
semplificazione (silenzio-assenso) e liberalizzazione (SCIA). In altre parole, si evidenzia la
necessità, ormai condivisa nel dibattito su questi temi, di ricondurre il potere di autotutela della
PA alla sua fisiologia, eliminandone la connotazione strumentale che ha spesso assunto nella
pratica degli uffici pubblici.
In concreto, occorrono istituti di completamento, anche di carattere processuale, che aiutino a
superare incertezze e comportamenti ostruzionistici della PA.
In particolare, si propone di:

eliminare la possibilità dell’amministrazione di agire in autotutela sulla SCIA, per tener
conto della natura dell’istituto e coordinarlo con i poteri di divieto e di intervento esistenti;

introdurre un limite temporale definito per l’annullamento d'ufficio;

introdurre una sanzione pecuniaria nel caso in cui la PA abbia utilizzato l’autotutela per
ovviare alle conseguenze del silenzio-assenso;

prevedere un’azione ad hoc per accertare la formazione del silenzio-assenso.
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2.4 I controlli amministrativi sulle imprese
Un ulteriore punto dolente nei rapporti tra PA e imprese è rappresentato dal sistema dei
controlli sulle imprese, che risulta particolarmente complesso, anche a causa di una
regolamentazione eccessiva e frammentata. Tale circostanza compromette la certezza e la
conoscibilità degli obblighi ai quali l’impresa deve adempiere, con effetti negativi in termini di
compliance e costi.
Inoltre, il sistema italiano è caratterizzato dall’assenza di: i) un coordinamento tra i soggetti
preposti alle attività di controllo, che comporta duplicazioni e sovrapposizioni nello svolgimento
degli stessi; ii) una cultura del controllo orientata all’effettivo livello di rischio; iii) efficaci
meccanismi di tutela contro l’esercizio abusivo ovvero illegittimo del controllo.
Un recente studio della CGIA di Mestre sostiene che sulle piccole imprese italiane gravano 97
tipologie di controlli, di competenza di 16 Enti/Istituti differenti. In particolare, secondo i dati
della CGIA, le imprese italiane sono soggette annualmente a:

50 controlli in materia di ambiente e sicurezza nei luoghi di lavoro, di competenza di 11
Enti/Istituti diversi;

23 controlli in materia fiscale, di competenza di 7 Enti/Istituti diversi;

18 controlli in materia lavoristica, di competenza di 4 Enti/Istituti diversi;

6 controlli in materia amministrativa, di competenza di 3 Enti/Istituti diversi.
Nel corso degli ultimi anni, il legislatore ha cercato di rimediare a tale situazione, prevedendo
interventi di semplificazione e coordinamento dei controlli sulle imprese. Si tratta di norme in
gran parte inattuate e che, peraltro, escludono dal processo di riforma alcuni settori “sensibili”,
come il fisco e la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Occorre dare attuazione alle disposizioni in tema di controlli, in modo da improntare il sistema
delle verifiche sulle imprese ai criteri di: i) semplicità; ii) proporzionalità dei controlli e dei
relativi adempimenti al rischio effettivo connesso alle attività considerate; iii) coordinamento
dell’azione svolta dalle amministrazioni statali, regionali e locali; iv) programmazione dei
controlli; v) trasparenza dell’azione e dei risultati; vi) professionalità e indipendenza dei soggetti
preposti alle attività di controllo.
Inoltre, in linea con le raccomandazioni dell’OCSE, sarebbe opportuno estendere la riforma dei
controlli sulle imprese ai settori del lavoro e del fisco.
3. Semplificazioni settoriali
Insieme agli interventi di carattere trasversale, Confindustria sostiene da tempo la necessità di
introdurre alcuni interventi di semplificazione riguardanti i principali ambiti dell’agire
imprenditoriale: fisco, ambiente, paesaggio, contratti pubblici, lavoro e previdenza, salute e
sicurezza sul lavoro.
Rispetto al documento posto in consultazione dal Governo, è da condividere la proposta di
proseguire nelle attività di predisposizione dei moduli unici per i procedimenti amministrativi in
materia edilizia e ambientale.
La standardizzazione della modulistica, infatti, rappresenta un importante strumento di
omogeneizzazione delle prassi, necessaria per agevolare l’avvio e l’esercizio dell’attività di
impresa su tutto il territorio nazionale. La modulistica, peraltro, assolve la funzione di facilitare
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la conoscenza delle prescrizioni normative e, quindi, velocizzare l’interlocuzione con le
pubbliche amministrazioni attraverso standard predefiniti.
Per tali ragioni, la standardizzazione assume un maggior valore in ordinamenti come il nostro,
caratterizzati da un’eccessiva proliferazione normativa, peraltro dislocata su più livelli
territoriali.
Agli interventi sulla modulistica devono però affiancarsi ulteriori misure di carattere puntuale,
per le quali si rinvia a un apposito allegato con le relative proposte di articolato normativo. Gli
obiettivi devono essere di:
1. accompagnare il rilancio dell’economia. A tal fine, è necessario agire per:
 riattivare da subito la filiera dei pagamenti (es. abrogazione della disciplina della
responsabilità fiscale negli appalti; possibilità per l’affidatario di un contratto pubblico di
servizi e forniture di risolverlo in caso di mancato pagamento del corrispettivo oltre
certe soglie);
 favorire nuovi investimenti con tempistiche compatibili con la programmazione
industriale (es. semplificazione del procedimento di rilascio del permesso di costruire;
aumento di 2 anni del periodo di efficacia del permesso di costruire; semplificazione
delle operazioni di bonifica o di messa in sicurezza);
2. attuare il principio di proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione a
particolari interessi sensibili. Al riguardo, è urgente:
 superare le principali criticità operative delle norme sulla documentazione antimafia,
semplificandone le procedure di rilascio, senza compromettere in alcun modo l’obiettivo
di prevenire le infiltrazioni mafiose (es. possibilità di riutilizzare tale documentazione per
più di una gara);
 semplificare alcuni adempimenti in materia ambientale senza compromettere i livelli di
tutela degli interessi pubblici coinvolti (es. applicazione delle procedure semplificate ai
rifiuti di demolizione);
3. eliminare gli oneri superflui e ridondanti, che incidono non solo sull’attività delle imprese,
ma anche sulla complessiva efficienza della macchina amministrativa, senza incidere sui
livelli di tutela degli interessi pubblici coinvolti. Ad esempio, in ambito fiscale, non è più
rinviabile un alleggerimento degli adempimenti più complessi e costosi. Tra le misure che
proponiamo, si segnalano:
 il miglioramento delle procedure di rimborso, rivedendo i criteri e i costi per la
prestazione delle garanzie bancarie e assicurative;
 l’alleggerimento degli adempimenti a carico dei sostituti di imposta, a partire
dall’armonizzazione delle procedure di pubblicazione delle delibere relative alle
addizionali comunali e regionali IRPEF, fino alla tassazione del TFR;
 l’eliminazione e la semplificazione di alcuni obblighi informativi o comunicativi
(contenuto informativo degli elenchi intrastat; apposizione del visto di conformità sulla
dichiarazione annuale IVA; accorpamento di comunicazione di dati o per l’esercizio di
opzioni).
I decreti attuativi della delega fiscale potrebbero essere il veicolo per recepire queste
misure, volte anche a migliorare il rapporto tra amministrazione tributaria e imprese
contribuenti. Peraltro, anche alla luce delle best practices europee, l’esercizio della delega
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fiscale costituisce un’importante occasione per: i) rivedere il sistema sanzionatorio,
improntandolo a criteri di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti; ii)
introdurre una norma generale in materia di abuso del diritto; iii) razionalizzare la fiscalità
d’impresa, eliminando le distorsioni esistenti e restituendo coerenza al sistema.
In materia di salute e sicurezza sul lavoro (SSL), si propone di:
 assicurare la tassatività agli obblighi in materia di SSL, mediante il riconoscimento in via
normativa del principio di determinatezza per l’adempimento di tali obblighi;
 parificare gli enti pubblici e i soggetti privati abilitati per le verifiche periodiche sulle
attrezzature;
 utilizzare gli strumenti informatici nella consultazione dei rappresentanti dei lavoratori
per la sicurezza in via telematica o nella tenuta della documentazione.
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