"Distonia focale, la mia via per combatterla: ballo per tornare a

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MALATTIE RARE
"Distonia focale, la mia via per combatterla: ballo per tornare a
camminare"
La battaglia e il lento recupero da un disturbo neurologico incurabile grazie alla neuroplasticitá, al pop di Madonna e al coraggio
di un ricercatore spagnolo che a Toronto sta portando avanti la sua rivoluzione, un paziente alla volta
di FEDERICO BITTI
Lo leggo dopo
Federico Bitti (foto di Chloë Ellingson)
COSA ho in comune con Shania Twain, Glenn Gould, il campione Nba
Charles Barkley e col direttore dell'orchestra sinfonica di Toronto, Earl
Lee? Purtroppo non il loro talento, ma una malattia chiamata distonia
focale, un disturbo del movimento che provoca contrazioni involontarie
in diverse zone del corpo (collo, dita, gambe, palpebre, corde vocali). I
muscoli coinvolti possono contrarsi con una forza e una durata tale da
rendere i movimenti più elementari un'impresa titanica. Perdono la
coordinazione, smettono di collaborare finendo per provocare spasmi e
tremori costanti e una postura generalmente distorta, innaturale. Una
lotta continuacon un corpo improvvisamente incapace di rilassarsi. Per
me fu il collo e avevo 33 anni.
VIDEO (http://www.theglobeandmail.com/life/life-video/video-choosing-madonna-over-meds-one-mans-quest-to-walk
/article23338135/)Choosing Madonna over (http://www.theglobeandmail.com/life/life-video/video-choosing-madonnaover-meds-one-mans-quest-to-walk/article23338135/)meds (http://www.theglobeandmail.com/life/life-video/videochoosing-madonna-over-meds-one-mans-quest-to-walk/article23338135/) (dal Globe and Mail)
Nessuna cura
Sono un giornalista, era il dicembre del 2007 e stavo intervistando in diretta web un collega su un importante reportage che
aveva realizzato. Sedevo alla sua destra e improvvisamente sentii questo impulso inarrestabile di voltare il capo in direzione
opposta. Per fermare la testa dovetti usare le mani. I 20 minuti più lunghi della mia vita: panico, paura.
Dopo una serie infinita di esami arrivò la diagnosi (distonia focale) e l'amara scoperta che non avevo molte strade a disposizione.
Infiltrazioni di botulino nei muscoli coinvolti, farmaci (miorilassanti, benzodiazepine, anticolinergici) e in ultima istanza un
intervento per inserire un elettrostimolatore nelle zona del cervello apparentemente responsabile del disturbo (DBS: deep brain
stimulation).
Ho fatto tutto - e di tutto - tranne l'intervento. Una parte di me era terrorizzata dall'idea che la chirurgia sarebbe stata una strada
senza ritorno . Ingiustificatamente, perché l'apparecchio può essere rimosso. Ma i sintomi - mi dissero - "possono migliorare dal
40 al 70 per cento, nessuna garanzia, non c'è una cura perché non c'è una causa accertata della malattia". Idiopatica è il
termine.
Il Botox e i farmaci non mi aiutavano. Peggioravo. A causa delle contrazioni, guidare, bere da un bicchiere, stare semplicemente
seduto su una sedia erano diventati battaglie che non potevo vincere. Lavorare era impossibile e per un paio di anni la mia vita
l'ho trascorsa sdraiandomi su divano, annegando nell'auto-commiserazione e nella depressione.
I movimenti correggono i movimenti
Non ho mai smesso di cercare e mi è capitato così di ritrovarmi con un libro tra le mani - "Intertwined "- di Joaquin Farias
(http://www.focaldystonia.net), un professore spagnolo associato all'Università di Toronto, che aveva "riabilitato" centinaia di
persone in tutto il mondo, utilizzando una nuova tecnica fondata sul principio (noto ma non applicato in casi come il mio) che il
cervello può dimenticare la coordinazione, ma può essere rieducato a ricordare quei sentieri inspiegabilmente perduti.
Tra i suoi "studenti" figuravano rockstar, campioni del mondo dello sport, musicisti classici, ballerini, cuochi, prestigiatori, politici
e, incredibile, medici e chirurghi. I casi trattati nel saggio erano affascinanti e un mese dopo ero in volo verso Toronto.
Quando ho incontrato Joaquin per la prima volta non avevo aspettative. In quel momento la distonia aveva raggiunto la schiena
e camminare era uno sforzo insostenibile. Disilluso da tutto quello che avevo provato, mi chiedevo: "In che modo quest'uomo, le
cui teorie non sono nemmeno riconosciute in ospedale, può aiutarmi laddove medici, neurologi, guaritori di ogni genere, fisio e
psicoterapisti hanno sostanzialmente fallito?". Parte del mio scetticismo scomparve quando mi disse che lui stesso aveva
sofferto di distonia e ne era uscito: nei suoi movimenti non c'era traccia di contrazioni, posture strane, nessun sintomo.
Abbiamo iniziato a lavorare (stiamo ancora lavorando) e finora ho imparato e reimparato tantissimo sul mio corpo. Ad esempio,
mi focalizzavo sul fatto che alcuni muscoli stavano spingendo troppo, senza rendermi conto che altri da anni non si muovevano
affatto. Il mio cervello rifiutava movimenti e direzioni e dovevo allenarlo a riaccettare quei luoghi perduti, prestando attenzione a
ciò che avevo trascurato, sentendo senza pensare troppo al resto. "Il corpo - mi ripeteva Joaquin - ricorda e ricorderà più della
tua mente".
La rieducazione consisteva nel ripercorrere quei sentieri con pazienza e determinazione. Quando la mia spalla, ad esempio,
spingeva verso l'alto, io dovevo riportarla in basso anche solo per un istante. Quell'istante sarebbe poi diventato un secondo, due
secondi poi tre, quattro e così via. Il mio cervello doveva riapprendere che la posizione corretta era in basso e dovevo
gridarglielo giorno dopo giorno. Il mio cervello torturava il corpo da anni e dovevo invertire questa dinamica anche solo per pochi
minuti ma con costanza, disciplina, ogni giorno.
Scoppiai in un pianto interminabile quando riuscimmo per la prima volta a rilassare i miei muscoli addominali e spinali e non
dimenticherò mai la mia prima passeggiata finalmente "dritto" dopo quasi 5 anni. Con la lenta riabilitazione arrivarono dolori di
ogni genere, nausea e una sensazione di disagio a volte insopportabile. Il mio corpo aveva confuso così a lungo la distorsione
con la rettitudine tanto da sentire ogni postura corretta come mostruosamente sbagliata.
Dopo una delle sessioni con Joaquin, mentre tornavo in albergo, nella mia playlist "non pensare" arriva "Vogue", un successo
anni '90 della signora Ciccone che i miei coetanei non avranno dimenticato. Il beat della canzone mi ricordò immediatamente i
miei vent'anni, una fase della mia vita nella quale mi concedevo la leggerezza di un ballo sfrenato, di fare lo stupido per il gusto
di farlo, giocando liberamente col corpo senza farmi troppo condizionare dalle aspettative degli altri o reclamando la loro
approvazione. Perso in questi pensieri, mi resi conto che i miei movimenti erano più fluidi, naturali, facili: la distonia stava
spingendo meno.
Con Joaquin decidemmo di integrare la sua tecnica con il ballo e i risultati furono impressionanti. Mentre ballavo il mio corpo era
libero. Il collo, le spalle, il bacino avevano una mobilità impossibile fino a quel momento e durante la pseudo coreografia riuscivo
anche fermare il tremore e gli spasmi: "strike a pose" misteriosamente funzionava.
Dancing Queen
È solo un inizio, ma è una strada. Il recupero da una condizione che ti ha tormentato per sette anni richiede tempo. La squadra
cervello-corpo deve allenarsi quotidianamente per ritrovare la complicità perduta. Le ricadute, la stanchezza e la mancanza di
fiducia sono ostacoli che si presentano di continuo forse per non affrontare quelle emozioni e quelle paure nascoste - nel mio
caso - nelle violente contrazioni dei muscoli. Rispetto e comprendo completamente chi trova sollievo nei farmaci, nel Botox o
sceglie l'intervento. Sono opzioni e risorse che io stesso mi riservo di integrare nel cammino. Ma mi chiedo quanto dolore, fatica
e tempo si potrebbero risparmiare mettendo insieme i due approcci? E soprattutto: quanto si potrebbe ulteriormente migliorare?
Per essere chiari. Joaquin Farias non è uno di quei guaritori olistici che è contro la medicina o la chirurgia a priori. Tutt'altro.
Dopo un dottorato in Biomeccanica, Farias ha conseguito tre Master in riabilitazione neuropsicologica, psicosociologia e
ergonomia e ricopre il ruolo di professore associato presso l'Università di Toronto. La sua tecnica è stata sviluppata e raffinata in
collaborazione con neurologi, psicologi e fisioterapisti.
A ciascuno il suo
Il sistema sanitario occidentale è costretto (generalmente per mancanza di fondi, tempo, risorse) a definire dei protocolli
terapeutici quando dei pazienti mostrano sintomi simili che finiscono per essere inevitabilmente raggruppati sotto un cappello
spesso troppo vasto e variegato. A volte è come cercare il cappotto giusto per tutte le stagioni. Impossibile. Soprattutto per
disturbi come la distonia focale che richiedono un trattamento personalizzato, cucito intorno al paziente e, come la mia
esperienza sta mostrando, quasi creativo.
Per me sta funzionando il pop di Madonna, ma nel saggio di Farias troveremo la storia di un violinista che è migliorato
cucinando, di un pianista che ha ripreso a suonare scalando montagne o di una donna che ha ricominciato a parlare leggendo
solo in francese: la sua lingua madre.
Non si muore di distonia focale e gerarchizzare il dolore in base alla gravità di un male sarebbe un esercizio inutile e crudele. Ma
stiamo parlando di circa 10 milioni di persone che soffrono in forme distinte, la cui vita viene stravolta a volte irreparabilmente.
Uomini e donne che spesso sprofondano nell'isolamento e nella depressione. Joaquin Farias sta lavorando da quasi 20 anni
cercando di trasmettere il messaggio che, quando niente sembra funzionare, un'altra strada è forse possibile. Che si può
imparare anche a convivere con questa condizione e riprendere in mano la propria vita. Tutti meritano quanto meno di esplorare
questa possibilità e avere una seconda opportunità.
TAG distonia focale (http://www.repubblica.it/argomenti/distonia_focale), malattie rare (http://www.repubblica.it/argomenti/malattie_rare)
(10 marzo 2015)
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