“ “ Serve ancora l`esempio di Gandhi?

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MARTEDÌ 12 SETTEMBRE 2006
LA REPUBBLICA 45
DIARIO
DI
CENTO ANNI FA NASCEVA IL SATYAGRAHA
L’11 settembre
del 1906 a
Johannesburg il
Mahatma parlò
di nonviolenza
Tra ingiustizie,
incomprensioni
e guerre, il ruolo
che oggi può
giocare la pace
(segue dalla prima pagina)
a metanoia è la sola nozione di rivoluzione capace di sopravvivere
quando l’idea della rivoluzione
politica si è provata vana o sciagurata. Dunque è vero che la
nonviolenza non è la risorsa dei
deboli o dei senza speranza.
Non interviene quando la violenza si mostra destinata alla
sconfitta, ma dopo che la violenza ha provato la propria degradazione, perfino — se non
più — quando abbia conquistato la vittoria e i suoi palazzi.
Questo pensiero “che viene
dopo” non è mai dato una volta
per tutte. E’ una tensione, più
che una soluzione. Alla stessa
conversione non può essere assegnata una compiutezza irreversibile: si torna a sbagliare, e
a peccare, mille volte di nuovo.
Ecco un’altra ragione per respingere la consolazione dei
princìpi “senza se e senza ma”.
Gandhi sperimentò la relatività
del proprio ideale. Quando fu
tentato dall’assolutezza, propose soluzioni ingenuamente
disastrose, come di fronte al
nazismo. Ammise che, piuttosto che l’inerzia di fronte all’ingiustizia, avrebbe compreso la
violenza. E sapeva che la non
resistenza è meno ardua quando si tratti di sé che quando sia
minacciata un’esistenza altrui,
specialmente la più debole. Accolse anche lui l’argomentazione casistica, che è per definizione anti-assoluta, benché
debba comunque scegliere un
discrimine. «In alcuni casi può
essere necessario perfino versare sangue umano. Supponiamo che un uomo venga preso
da una follia omicida e cominci
a girare con una spada in mano
uccidendo chiunque gli si pari
dinnanzi... Dal punto di vista
dell’ahimsa è chiaro dovere di
ciascuno uccidere un simile
uomo... Colui che non uccide
un assassino che sta per uccidere suo figlio (quando non
può impedirglielo in altro modo) non ha alcun merito, ma
commette peccato...». Questione che non sa bene dove
mettere il suo punto fermo: e il
figlio d’altri? Oggi, la scelta autentica della nonviolenza deve
proporsi le condizioni perché il
punto sia messo prima del passaggio dall’uso legittimo e proporzionato della forza alla smisuratezza legale e materiale
della guerra. Una frontiera
analoga va ricercata nella propria esistenza personale. Si capisce come sia difficile. Un
campione come Zidane non sa
resistere ai colpi di testa, e non
una sola volta: figuriamoci i generali e i grandi della terra.
Dunque la nonviolenza non
è una tattica. Si può dire che sia
insieme mezzo e fine, che è fine
a se stessa. Arundhati Roy, impegnata nella lotta contro la diga di Narmada, dice: «Vorrei
capire perché abbiamo fallito;
perché, dopo tutti gli scioperi
NONVIOLENZA
Serveancoral’esempiodiGandhi?
ADRIANO SOFRI
MOHANDAS K. GANDHI
NONVIOLENZA
LA NONVIOLENZA è la legge della razza
umana ed è infinitamente più grande e superiore alla forza
della bestia. In ultima analisi, non giova a chi non possegga una viva fede nel Dio dell’Amore. La nonviolenza consente la più piena tutela della propria dignità e del proprio
senso dell’onore, ma non sempre anche quella del possesso della terra o dei beni mobili, anche se la sua pratica
abituale si rivela un miglior baluardo di quello assicurato
dal ricorso a uomini armati. La nonviolenza, per sua stessa natura, non è di alcun aiuto nella difesa dei guadagni illeciti e degli atti immorali. Gli individui o le nazioni che vogliano praticare la nonviolenza, devono essere pronti a sacrificare (le nazioni fino all’ultimo uomo) tutto ciò che posseggono, fuorché l’onore. L’Ahimsa, perciò, è incompatibile con l’usurpazione di terre di altri popoli, come dire col
moderno imperialismo, innegabilmente basato sulla
forza. La nonviolenza, assunta come Legge di Vita,
non va applicata solo ad azioni isolate, ma deve pervadere l’intero essere.
“
sassini-suicidi, è così soverchiante da far disperare della
nonviolenza. Tuttavia, un censimento delle trasformazioni
del mondo sarebbe meno disperato. La conversione di
Gandhi, la sua “notte”, venne
quando lo buttarono fuori dal
treno per Pretoria, Sudafrica,
www.edizionidedalo.it
violenza?» Risposta: «No, cerco
una strada».
La cerchiamo tutti. Però l’esperienza che abbiamo fatto è
soprattutto quella opposta:
che siamo falliti con la violenza.
Oggi la violenza dei potenti e
dei vendicatori, fino alla vera
mutazione degli entusiasti as-
Edizioni Dedalo
della fame e le iniziative legali,
la resistenza nonviolenta è stata repressa con una brutalità
pari a quella usata contro la lotta armata. Ci siamo fidati troppo dello stato di diritto? In India
i potenti devono prendersi un
bello spavento...». Domanda:
«Sta facendo un’apologia della
“
Repubblica Nazionale 45 12/09/2006
L
perché si era seduto al posto di
prima classe di cui aveva il regolare biglietto. Il 5 dicembre
del 1955 sugli autobus di Montgomery, Alabama, viaggiarono
solo 12 persone di colore, invece dei 12 mila di ogni altro giorno. Tutto perché una certa Rosa Parks aveva deciso di metter-
Daniele Gouthier - Elena Ioli
Le parole di Einstein
Comunicare scienza fra rigore e poesia
prefazione di Tullio De Mauro
Un viaggio al confine tra scienza e linguaggio, per scoprire come nascono le
parole e le metafore scientifiche alla
base dell’edificio della scienza e della
sua comunicazione.
Jean-Pierre Luminet
L’invenzione
del Big Bang
Storia dell’origine dell’Universo
prefazione di Carlo Bernardini
I protagonisti della scienza dell’ultimo
secolo raccontano il percorso che ha
condotto a «ricostruire il fulgore scomparso della formazione dei mondi».
si a sedere in un posto riservato
dell’autobus. Il comunismo sovietico era incrollabile: la sua
vera anima era il culto della potenza e la derisione degli inermi. «Quante divisioni ha il Papa?» Non ne aveva neanche
una, il Papa, quando radunò
nelle piazze della Polonia folle
milionarie e disciplinate, né
quando operaie e operai devoti alla Madonna Nera scioperarono in nome della Solidarietà.
L’Urss stessa, anima d’acciaio e
cortina di ferro, è crollata come
un castello di carte. Il Muro di
Berlino è diventato nel giro di
una notte un parco dei divertimenti. La Cina è troppo occupata a comprare il mondo, e il
mondo a farsi comprare, per
perdere tempo coi diritti umani: ma un giorno la figurina del
ragazzo che gioca a mani alzate
col carro armato come il topo
col gatto sarà innalzata sulla
Tian An-men. La responsabilità più grave della dirigenza
palestinese e di Arafat, dopo la
prima intifada, non fu forse di
rifiutare una lotta popolare
nonviolenta, di fronte alla quale una democrazia come quella
israeliana sarebbe stata vulnerabile e lacerata, e di consegnare invece il popolo arabo più
laico al fanatismo islamista e al
terrorismo kamikaze? La Cecenia, ispirata all’inizio da un formidabile senso del valor militare e dell’onore virile, dunque
destinata a soccombere sotto la
brutalità militarista russa, e a
cedere al terrore e al fratricidio,
che strada poteva avere se non
quella di una resistenza nonviolenta, che tramutasse le sue
donne da vittime sopraffatte a
protagoniste? Il delitto dell’occidente non è solo nell’affarismo complice delle repressioni
e nell’omissione del soccorso,
ma nella mancata sollecitazione e solidarietà con una resistenza nonviolenta. La polizia
internazionale e l’educazione
alla nonviolenza (materna, in
primo luogo) sono complementari: lo sono, dall’altra parte, la guerra e la violenza, che
oggi tramuta pressoché irreparabilmente ogni Resistenza in
terrorismo.
Lasciare che il proprio corpo
testimoni della verità, piuttosto che farne un’arma di aggressione: c’è una ricerca lucida e realista di metodi che non
si contentino della testimonianza. Si impara a fare un sitin, a condurre un digiuno, a esigere il rispetto letterale della
legge ecc. Tuttavia la nonviolenza non è una “scienza”, né
un manuale di istruzioni per
l’uso. Lungi dal rafforzarla,
questa illusione può impoverirla fino alla recita scolastica.
Così, la nonviolenza scommette sulla possibilità che in ogni
essere umano ci sia una capacità di ascoltare e di disarmare.
Scommette, ma non alla cieca.
Non al punto di convincersi
che non esista il male, e che non
esista il nemico.
DIARIO
46 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
GANDHI 1869-1948
Nel 1906 a Johannesburg, durante
un’assemblea di indiani immigrati in Sud
Africa, il Mahatma parla per la prima volta
di “nonviolenza”. E’ l’atto di nascita del
Satyagraha, “forza della verità”.
ALDO CAPITINI 1899-1968
Pacifista e antifascista, è uno dei primi in
Italia a sostenere il pensiero gandhiano. Il
24 settembre 1961 è organizzata la prima
Marcia per la Pace Perugia-Assisi. Nel
1964 fonda la rivista Azione Nonviolenta
MARTEDÌ 12 SETTEMBRE 2006
NELSON MANDELA 1918E’ stato uno dei leader del movimento
anti-apartheid. Inizialmente coinvolto nella
battaglia di massa nonviolenta, accetta la
causa armata dopo l’uccisione di
manifestanti a Sharpeville nel 1960
DALLE LOTTE PER L’INDIPENDENZA ALLA NASCITA DI UNA DEMOCRAZIA
L’EREDITÀ GANDHIANA
TRA INDIA E OCCIDENTE
FEDERICO RAMPINI
I LIBRI
MOHANDAS
GANDHI
Teoria e
pratica della
non-violenza,
Einaudi 2006
(a cura di G.
Pontara)
GIORGIO
BORSA
Gandhi,
Bompiani
2003
ALDO
CAPITINI
Le ragioni della
nonviolenza:
antologia degli
scritti (a cura di
Mario Martini),
ETS 2004 /
WALTER
BENJAMIN
Angelus
Novus, Einaudi
2006
NORBERTO
BOBBIO
Elogio della
mitezza, Net
2006 (Pratiche
1998)
ANDREA
COZZO
Conflittualità
nonviolenta,
Mimesis 2004
Repubblica Nazionale 46 12/09/2006
ARUNDHATI
ROY
Guerra è pace,
TEA 2003
MARTIN
LUTHER
KING
I have a dream,
Mondadori
2001
LEV
NIKOLAEVIC
TOLSTOJ
Il regno di Dio è
in voi, Marco
Valerio 2001
BERTRAND
RUSSELL
Un’etica per la
politica,
Laterza 1994
HENRY D.
THOREAU
Disobbedienza
civile, SE 1992
GIUSEPPE
LANZA DEL
VASTO
Che cos’è la
nonviolenza,
Jaca Book
1990
ndré Malraux sosteneva che furono dei santi
a creare l’India, e questo accadde all’ombra di Hitler, Stalin e Mao. «Non solo ci
siamo risparmiati le due guerre mondiali — ha scritto Gurcharan Das — ma siamo diventati liberi senza versare
una goccia di sangue, grazie al
Mahatma Gandhi. È perché
eravamo assuefatti alla pace,
che abbiamo
creato la più
grande democrazia
del
mondo».
L’origine di
quel miracolo
risale al Satyagraha, il primo movimento moderno di
resistenza
non violenta
che ebbe il suo
battesimo l’11
settembre
1906 in un teatro di Johannesburg.
Tremila indiani si riunirono là, richiamati dal
giovane avvocato Gandhi,
per organizzare l’opposizione alle politiche razziste del Sudafrica. Quarant’anni dopo lo stesso
movimento
avrebbe riscosso il suo
trionfo più
grande, l’indipendenza dell’India dall’impero britannico, ottenuta
senza fare ricorso a forme di
lotta armata o di terrorismo
ma solo attraverso digiuni,
pacifiche manifestazioni di
massa, sit-in, scioperi fiscali.
Un capolavoro politico dalla
suggestione così forte che
avrebbe poi generato emuli in
tutti i continenti, dal pastore
Martin Luther King nella battaglia per i diritti civili dei neri
americani negli anni Sessanta
fino a Nelson Mandela in Sudafrica.
Il lascito più importante del
Satyargraha all’India contemporanea, nuova superpotenza dell’economia globale,
è una liberaldemocrazia parlamentare genuina, forte, dove su tredici elezioni legislative dal 1952 a oggi, per sei volte
il partito di governo è stato
mandato a casa. In nessun’altra zona del mondo l’esercizio
del diritto democratico a eleggere i propri governanti da
parte di un popolo sovrano
avviene su questa scala, assume le proporzioni di un evento così gigantesco. La magnifica anomalia dell’India è questa democrazia federale fiorita nelle condizioni meno facili: una popolazione immensa,
ancora in gran parte povera e
analfabeta; delle disparità
economiche, sociali, religiose, etniche e linguistiche molto superiori all’Europa o agli
Stati Uniti. Un aspetto di questo laboratorio politico è cruciale per il mondo intero. L’India è l’unico paese al mondo
A
‘‘
,,
SATYAGRAHA
Vuol dire forza della verità, essa
ha consentito che la democrazia
diventasse in India qualcosa di
profondamente genuino
dove ben 150 milioni di musulmani sono integrati in un
sistema democratico dove
eleggono liberamente i propri
rappresentanti, vivono sotto
le regole di uno Stato laico, tollerante e rispettoso di tutte le
identità confessionali. E’ l’India, non l’Iraq né la Palestina
né le banlieues francesi, il luogo dove si svolge il test più cruciale e su vasta scala di convivenza tra l’Islam e la democrazia.
WALTER BENJAMIN
L’eredità gandhiana non è
estranea a un altro fascino del
modello indiano nei nostri
giorni. L’India è anche il paese
che meglio ha saputo conservare il proprio passato e la
propria memoria storica, pur
raccogliendo la sfida della
modernizzazione. E’ un concetto caro al Mahatma Gandhi
quello per cui l’identità indiana è spaziosa e assimilativa,
pluralista e ricettiva, inclusiva e umanista. Per questo
motivo l’India
è meno vulnerabile di fronte alla globalizzazione dei
prodotti culturali e degli
stili di vita,
perché nella
sua storia ha
sempre saputo integrare
influenze
esterne senza
smarrire la
sua forte fisionomia. E’ un
paese orgoglioso delle
proprie tradizioni ma ammette volentieri un debito
istituzionale
verso l’Inghilterra da cui ha
voluto importare le istituzioni parlamentari e giudiziarie. In India, nonostante la lunga
dominazione
coloniale britannica, non si
sente mai nessuno attribuire
qualche problema del paese
agli inglesi, all’Occidente. La
cultura del vittimismo che paralizza la modernizzazione
del mondo arabo non è di ca-
PROTESTA
A sinistra,
manifestanti
gandhiani
dispersi dalla
polizia inglese
negli anni ’30
MAX WEBER
C’è una sfera a tal punto
nonviolenta di intesa
umana da essere affatto
inaccessibile alla violenza:
la vera e propria sfera
dell’“intendersi”, la lingua
I grandi virtuosi di amore
e bontà, sia che vengano da
Nazareth o da Assisi o dai
palazzi reali indiani, non
hanno agito con il mezzo
politico della violenza
Per la critica della violenza
1920
La politica come professione
1919
RENÉ GIRARD
ALDO CAPITINI
Se tutti amassero i loro
nemici, non vi sarebbero
più nemici. Ma se ci si
sottrae al momento decisivo
cosa accadrà all’unico che
non si sottrae?
La nonviolenza è apertura
all’esistenza, alla libertà
e allo sviluppo di tutti gli
esseri, e perciò interviene
anche nel campo sociale e
politico, orientandolo
Delle cose nascoste sin dalla
fondazione del mondo (1978)
Cammino per la pace
1962
sa a New Delhi. Gli indiani si
sentono padroni del proprio
destino, se hanno dei problemi ne danno la responsabilità
alla propria classe dirigente, si
adoperano per cambiarla e
migliorarla, non cercano capri espiatori altrove.
La stupenda eccezione indiana ed in particolare il miracolo della convivenza democratica con 150 milioni di musulmani purtroppo attira anche ostilità, in un mondo dove
la loro fede troppo spesso si
associa a regimi intolleranti e
liberticidi, oppressori dei diritti umani. Proprio perché è
un ostacolo ai progetti più incendiari l’India è stata aggredita più volte, e spesso prima
dell’Occidente. In realtà questo paese è sotto tiro dal 1947.
Il 1947 è l’anno della sciagurata “partizione” delle sue regioni islamiche destinate a diventare il Pakistan e poi anche
il Bangladesh. I due padri dell’indipendenza indiana,
Gandhi e Nehru, non volevano quella secessione e la subirono. Nehru era convinto che
la creazione di uno Stato confessionale ai confini del suo
paese sarebbe diventato una
minaccia permanente per il
modello laico e multireligioso
dell’India. I nazionalisti indù
ci misero del loro, con periodiche fiammate di intolleranza e pogrom anti — islamici.
La maggioranza degli indiani
però ha sempre cercato la
convivenza e i partiti dell’estremismo religioso hanno
avuto meno seguito di quanto
DIARIO
MARTEDÌ 12 SETTEMBRE 2006
MARTIN LUTHER KING 1929-68
Guida della protesta nonviolenta dei
neri d’America contro la segregazione
razziale. Nel 1963 si reca in India. Nello
stesso anno, a Washington, pronuncia
il discorso I have a dream...
LA REPUBBLICA 47
DALAI LAMA 1935Il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, è
stato insignito nel 1989 del premio
Nobel per la Pace. Dal 1959 la guida
spirituale del buddismo tibetano vive in
esilio a Dharamsala in India
OGGI
Il movimento pacifista (dai cattolici ai
laici di sinistra) rifiuta la guerra come
mezzo di risoluzione dei conflitti. I
disobbedienti di Seattle invece non
escludono a priori gli scontri
I MOLTI MODI IN CUI LA VIOLENZA È STATA CONDANNATA
DA TOLSTOJ A CAPITINI
LA FINE DEL NEMICO
ENZO BIANCHI
a cinque anni, ogni volta
che ritorna la data dell’11
settembre, il pensiero e il
ricordo di tutti va all’attacco terroristico al cuore degli Stati Uniti e alla tragica svolta che ha impresso alla nostra storia, stabilendo un “prima” e un “dopo”
nell’approccio ai problemi più
complessi, che siano di natura
geopolitica o economica, di globalizzazione o di confronto tra
mondi culturali o religiosi, di giustizia internazionale o di concezione della guerra. Ma l’11 settembre è anche l’anniversario di
altri eventi. Due risalgono a
quattro secoli fa, ma sono stranamente legati ai luoghi o alle
problematiche del 2001: è in quel
giorno del 1609 che l’esploratore
Henry Hudson sbarcò per la prima volta sull’isola di Manhattan,
proprio mentre al di qua dell’Atlantico, a Valencia, veniva emanato un ordine di espulsione
contro i musulmani che non accettavano di convertirsi, preludio alla cacciata di tutti i moriscos
dalla Spagna. E come dimenticare, in tempi più recenti, l’11 settembre 1973? In Cile una giunta
di militari appoggiata dai servizi
segreti della più grande potenza
democratica rovesciò nel sangue
il governo democraticamente
eletto di Salvador Allende, instaurando una dittatura tra le più
feroci e longeve dell’America latina.
Ma l’11 settembre di quest’anno è anche il primo centenario di
un evento raramente ricordato
nelle cronache, la cui memoria
tuttavia fornisce preziosi elementi di riflessione e di azione
proprio nel contesto di conflittualità globale scatenato dall’11
settembre 2001. Siamo a Johannesburg, Sudafrica. Una proposta di legge vorrebbe confinare
gli indiani e gli altri asiatici presenti nel paese in una condizione
di semi-illegalità, per non dire di
sub-umanità. Alcune migliaia di
loro si riuniscono al Teatro imperiale per decidere la forma di resistenza da adottare contro quel
provvedimento iniquo. Uno dei
promotori della manifestazione,
un giovane avvocato di nome
Gandhi, proclama la sua ferma
risoluzione di affrontare anche la
morte piuttosto che sottomettersi alla legge ingiusta. Dopo il
suo appassionato discorso, tutti i
presenti giurano di non piegarsi
a quel sopruso. L’11 settembre
1906 diviene così il giorno della
nascita della nonviolenza.
Questo termine – che uno dei
suoi sostenitori più lucidi, Aldo
Capitini, insegnerà a scrivere (e a
pensare) tutto attaccato, per distinguerlo dalla “non violenza”,
la semplice assenza di violenza, e
declinarlo invece come lotta tenace, limpida e coerente contro
ogni violenza – racchiude in sé
due concetti complementari elaborati da Gandhi ma, per sua
stessa affermazione, “antichi come le montagne”: quello di
ahimsa (lotta contro la violenza,
in-nocenza come rifiuto di nuocere, riconciliazione) e quello di
satyagraha (forza della verità,
ma anche energia di amore, rispetto per la pienezza della vita).
Ma l’aspetto più significativo
della nonviolenza è il suo essere
al contempo teoria e prassi, riflessione e azione, interiorità e
lotta. Così la storia ha conosciuto declinazioni diverse di questo
convincimento interiore che si fa
agire concreto: se Tolstoj, per
D
si temeva. L’esistenza oltre la
frontiera di uno Stato militaresco che si proclama islamico ha offerto un referente permanente alle frange più radicali tra i musulmani dell’India.
GLI AUTORI
Il testo del Sillabario
di
Mohandas
Gandhi è tratto
da Gli scritti e
discorsi più
importanti
( N e w t o n
C o m p t o n ,
1991). Enzo
Bianchi è priore della Comunità di Bose
LE IMMAGINI
Tutti i numeri
del “Diario” di
Repubblica sono consultabili
in Rete al sito
www.repubblica.it nella sezione “Cultura e
spettacoli”. Qui
i lettori troveranno le pagine
con tutte le illustrazioni
La catena di esplosioni che
l’11 luglio scorso fecero stragi
multiple su tutti i treni per
pendolari di Mumbai, è solo
l’ultimo di una lunga serie di
attentati di matrice islamica.
Anche se gli occidentali ne sono poco informati, da tempo
l’India è diventato un laboratorio sperimentale del terrorismo. Nel 1985 l’esplosione di
un aereo di Air India è la prova
generale per l’attentato contro il volo PanAm (Lockerbie,
Scozia) del 1988. In un dirottamento indiano del 1999 entra
in azione un commando che
anticipa le tecniche dell’11
settembre 2001. Le caratteristiche del terrorismo hanno
seguito un’evoluzione. Nella
strage del 1993 di fronte all’hotel Taj Mahal di Mumbai,
la mano dei servizi segreti pachistani è pressoché certa e
manovra la mafia islamica locale. Negli attentati del 2003
invece la polizia indiana scopre in casa propria una nuova
leva di terroristi, non più legati a rivendicazioni locali come
il Kashmir: sono giovani professionisti incensurati e insospettabili, molto simili alle reclute di Al Qaeda per l’11 settembre; informati degli avvenimenti mondiali e pronti ad
autoreclutarsi per stragi di risonanza planetaria, in una
sorta di “franchising” delle
cellule di Osama bin Laden. La
forza suggestiva della nonviolenza indiana cent’anni dopo
è troppo importante perché
qualcuno non tenti di ucciderla.
‘‘
,,
PRINCIPI
Il rispetto della vita e della dignità
è parte integrante della
nonviolenza, la quale ha per scopo
la valorizzazione dell’umanità
‘‘
,,
LEZIONE
La storia ci dovrebbe insegnare
che la risposta violenta e armata
spesso non è la soluzione del
problema ma il suo aggravamento
esempio, ne ha valorizzato soprattutto l’aspetto di ritrovata
armonia con se stessi, con gli altri e con la creazione, Martin
Luther King l’ha interpretato come “forza dell’amore” capace di
abbracciare anche il nemico per
disarmarlo, mentre i quaccheri
lo vivono ancora oggi come pacifismo radicale che rifiuta ogni
guerra.
E se diversi e complementari
sono stati gli approcci teorici a
questa visione del mondo e dei
rapporti sociali, altrettanto svariati sono stati e possono essere
gli strumenti utilizzati per tradurre le convinzioni in prassi ca-
LETTERA
Qui sopra, una
lettera di
Gandhi contro
la tassa sul
sale, che gli
costò l’arresto.
In alto,
giornali che
annunciano la
morte del
Mahatma
pace di mutare gli eventi della
storia: digiuni e marce, boicottaggi e difesa popolare nonviolenta, battaglie legislative e interposizioni disarmate. Ma l’obiettivo costante di ogni iniziativa nonviolenta va ben al di là del
coinvolgimento del maggior numero possibile di uomini e donne nella lotta e mira a ricondurre
anche l’avversario all’interno di
un’unica comunità umana riconciliata. Con estrema lucidità
lo storico inglese Arnold J. Toynbee ha osservato che il satyagraha predicato e attuato da
Gandhi «ci ha reso impossibile
continuare a governare l’India,
ma ci ha permesso di partire senza rancore e senza disonore».
Così, se si confrontano due lotte
di liberazione dalla presenza coloniale vissute a una dozzina
d’anni di distanza – quella dell’Algeria dalla Francia e quella
dell’India dalla Gran Bretagna –
non si può fare a meno di constatare che la prima, condotta principalmente con metodi violenti,
ha causato quasi un milione di
perdite umane e ha tuttora pesanti strascichi di incomprensione e di insofferenza, mentre la
seconda, condotta con mezzi essenzialmente nonviolenti, ha
conosciuto appena un migliaio
di morti – pur in un paese ben più
popoloso – e ha facilitato da subito nuovi rapporti di cooperazione e scambio pacifico.
Sì, il rispetto della vita e della
dignità anche del peggior nemico è parte integrante della nonviolenza perché scopo di quest’ultima non è il trionfo di una
fazione contro un’altra ma il riconoscimento e la valorizzazione dell’umanità comune a tutti
gli esseri umani. E’ lo stesso concetto, espresso con il termine
africano di ubuntu, che ha reso
possibile uno dei più straordinari processi di guarigione della
memoria che il nostro mondo
abbia conosciuto: la “Commissione per la verità e la riconciliazione” istituita in Sudafrica dopo
la fine dell’apartheid è riuscita là
dove ha fallito il tribunale di Norimberga e dove si sta arenando
quello internazionale dell’Aia:
rileggere il passato, riconoscere e
condannare il male commesso
offrendo nel contempo a vittime
e carnefici la possibilità di cogliere un senso nel dolore, di pesarne le ferite e la speranza di poter
vivere un futuro liberato dalle
atrocità conosciute.
Certo, ci si chiederà come sia
possibile vivere la nonviolenza
nel contesto tragicamente inedito del terrorismo suicida e della
guerra asimmetrica tra eserciti
nazionali o sovranazionali e civili assoldati per imprese mortifere disperate: non è forse utopia
pensare di contrastare le bombe
a mani nude? Ma la storia ci dovrebbe insegnare che la risposta
violenta e armata non solo è altrettanto inadeguata a fronteggiare questi nuovi scenari apocalittici, ma sempre più spesso si
mostra non come la soluzione
del problema bensì come il suo
progressivo aggravamento: la
spirale della violenza, infatti,
non viene spezzata ma accelerata da una violenza più forte che
non fa che precipitare tutti sempre più velocemente nel baratro
della disumanizzazione. Ecco allora che l’11 settembre 1906 ha
ancora molto da insegnare a noi
sconvolti dall’inaudito piombatoci dal cielo l’11 settembre 2001.
I FILM
GANDHI
La vita del
Mahatma, da
giovane
avvocato a
leader
dell’indipendenza
indiana. Nel
kolossal,
premiato con
otto Oscar,
Gandhi ha il
volto
smagrito dai
digiuni di
protesta di
Ben Kingsley.
di Richard
Attenborough
1982
LA LUNGA
STRADA
VERSO
CASA
In Alabama,
nel 1956, i
neri danno
vita alla lotta
nonviolenta
contro la
segregazione
razziale con il
boicottaggio
degli
autobus. La
domestica
Whoopi
Goldberg
aiuta la
“padrona”
bianca, Sissy
Spacek, a
prendere
coscienza
delle
ingiustizie.
di Richard
Pearce, 1990
IN MY
COUNTRY
Negli anni
Novanta il
Sud Africa
scava nel
proprio
passato di
apartheid con
la Trc,
Commissione
per la verità e
la riconciliazione, voluta
da Nelson
Mandela e dal
premio Nobel
per la Pace
Desmond
Tutu. Un
giornalista
(Samuel L.
Jackson) e
una scrittrice
(Juliette
Binoche)
seguono le
udienze.
di John
Boorman,
2004
Fondatore Eugenio Scalfari
mar 12 set 2006
Anno 31 - Numero 214
Direttore Ezio Mauro
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martedì 12 settembre 2006
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Francia (se con D o Il Venerdì € 2,00), Germania, Lussemburgo,
Monaco P., Olanda € 1,85; Finlandia, Irlanda € 2,00; Albania
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Danimarca Kr.15; Egitto EP 15,50; Malta Cents 53; Marocco
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Repubblica Ceca Kc 56; Slovacchia Skk 71; Slovenia Sit. 280;
Svezia Kr. 15; Svizzera Fr. 2,80; Svizzera Tic. Fr. 2,5 (con il Venerdì
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Tutto il mondo commemora le vittime dell’attacco alle Torri gemelle di New York. La Cina invia 1.000 uomini in Libano
“ForzeOnunemichedell’Islam”
Al Zawahiri, minaccia in video. Bush: “La guerra non è finita”
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DIARIO
Gandhi
cent’anni dopo
serve ancora
la non violenza?
ADRIANO SOFRI
L’ANALISI
LA SOLITUDINE
DEL PRESIDENTE
La nuova Al Qaeda
del Jihad mediatico
VITTORIO ZUCCONI
LLA FINE del lungo giorno delle rimembranze, il
Presidente Bush ha voluto, ha dovuto, parlare per fingere di rassicurare l’America. Ma
in realtà per convincere se stesso che la strada di morte costruita a partire dal cratere delle Due Torri era la direzione
giusta e necessaria da imboccare. Ascoltandolo mentre argomentava con la passione che sa
ritrovare in questi momenti e
mentre ripeteva nei 20 minuti
della sua orazione all’America
il mantra del «resolve», della risolutezza, la sensazione era
quella di un uomo che sta ormai
cercando di autoconvincersi di
non aver commesso un errore
epocale, che vuole esorcizzare
il timore di passare alla storia
come colui che cadde nella provocazione del culto della morte, aperta dagli esecutori dell’attentato.
SEGUE A PAGINA 16
A
IL CASO
La Casa Bianca
e la fiction su Clinton
RENZO GUOLO
P
La corona di fiori deposta da Bush a Ground Zero
SERVIZI DA PAGINA 2 A PAGINA 9
Ieri il cda, debiti a 41,3 miliardi. Accordo con Murdoch sui film. “Per ora sui cellulari nessuna offerta”
Telecom,scattailpianoanti-crisi
Tronchetti: la risanerò. Scorporo di Tim. Prodi: sono sconcertato
LA STORIA
ALEXANDER STILLE
OL SUCCEDERSI degli anniversari dell’11 settembre
l’evento reale – un terrificante assassinio di massa e lo
sforzo straordinario di una metropoli di reagire alla tragedia –
tristemente svanisce dalla memoria e viene a poco a poco sostituito da una serie di rappresentazioni artificiose a sostegno di
questa o quella causa politica.
L’amministrazione Bush usò
inizialmente l’11 settembre a giustificazione dell’invasione dell’Iraq e della sua “guerra al terrore”
a tempo indeterminato, trasformando un evento che commosse
profondamente milioni di persone in un espediente politico.
SEGUE A PAGINA 4
Repubblica Nazionale 01 12/09/2006
C
UNTUALE come sempre,
nel quinto anniversario dell’attacco all’America, compare in video Ayman Al Zawahiri.
Non è una novità. Da quando la
sua leadership è dispersa e clandestinizzata e si è trasformata in
una sorta di copyright o, secondo
alcuni, in uno “stato della mente”, Al Qaeda storica ha fatto del
jihad mediatico un punto fermo
della propria strategia. Il virtuale
surroga il reale. Tanto che le apparizioni dell’ideologo egiziano,
segnate dal progressivo allargarsi nella sua fronte di un sempre
più esteso callo della preghiera,
non si contano più.
SEGUE A PAGINA 2
LA LATITANZA
DEL CAPITALE
L’epopea dei telefonini
e l’algoritmo della ritirata
MASSIMO RIVA
ALBERTO STATERA
ONTRORDINE, azionisti Telecom: la parola «incorporazione»
con la quale, poco più di un anno
fa, l’assorbimento di Tim vi era stato
presentato come la soluzione miracolosa di tutti i vostri problemi va oggi sostituita dalla parola «scorporo». Questo
in estrema sintesi il senso della comunicazione ufficiale fatta ieri dai vertici
dell’azienda a conferma, purtroppo,
delle anticipazioni che ormai circolavano da settimane.
SEGUE A PAGINA 17
N PRINCIPIO fu l’algoritmo di Viterbi,
dal cognome di Andrea Viterbi, l’esule
italiano costretto nel 1939, da bambino,
alla fuga dall’Italia con i suoi genitori a causa delle leggi razziali, il quale concepì in
America la formula matematica che oggi fa
funzionare miliardi di telefonini in tutto il
mondo. Poi fu l’algoritmo industrial–commerciale di Tim e successivamente di Omnitel, che fecero dell’Italia, tra epiche lotte
politico-finanziarie, la nazione più “telefoninizzata” dell’orbe terracqueo.
SEGUE A PAGINA 13
C
I
Marco Tronchetti Provera
ALLE PAGINE 10, 11 e 13
Il Mahatma Ghandi
A NON violenza non si misura
con l’efficacia. Del resto, la
definizione di efficacia è essa
stessa dubbia: una modificazione
vantaggiosa dei rapporti di potere,
di forza? O piuttosto un cambiamento nel modo di essere proprio e
altrui – anche del “nemico”?
Può darsi che in qualche vita personale la nonviolenza sia una scelta
originaria. Ma noi veniamo da una
lunga storia segnata dalla violenza,
non solo nella pratica, ma nell’ideale. Valore, coraggio, fermezza virile,
si misurano nel cimento della violenza. La violenza non è apparsa solo come una dura necessità. È stata
nobilitata come il fuoco in cui rigenerare e temprare l’umanità: nella
guerra, nella redenzione nazionale,
nella rivoluzione. Dunque la nonviolenza risale alla sapienza induista, greca, evangelica, ma è destinata ad affiorare come il frutto di un
pentimento, l’abbandono di una
strada che si è pretesa finora inevitabile e anzi magnanima. Anche in
san Francesco, che fu già, come ha
detto lievemente il Papa, un playboy, e comunque un militare di carriera. La nonviolenza, anche nell’espressione più laica, ha un contenuto religioso, coincide con una
conversione. Dico conversione e
non riconversione: quest’ultima è
l’aggiustamento di qualcosa che si
riconosce superato, o inefficace. Il
comunismo ecologista, o l’ecologismo comunista (o il femminismo
comunista, o il comunismo femminista) è una specie di riconversione:
il suo è un cambiamento gradualista, in cui non a caso la continuità
prevale sulla rottura. Un colore si
accosta a un altro: il rosso, il verde.
La conversione, dunque il cambiamento di sé, oltre che della propria
corazza mentale, delle abitudini, ha
bisogno di una svolta, della notte di
crisi che ti consegni diverso alla
nuova mattina.
SEGUE A PAGINA 45
BIANCHI e RAMPINI
ALLE PAGINE 46 e 47
L
LA POLEMICA
CON REPUBBLICA
LA RICERCA
Forse oggi il consiglio vara le nomine. Caso Moggi, scontro tra Mastella e Melandri
“La storia
dell’arte”
in edicola
il volume 3
Secondo un’indagine patrocinata dal Festival della Filosofia, 50 italiani su 100 ne sono convinti
I due poli al banchetto della Rai
CURZIO MALTESE
L 29 MARZO 1994, giorno della prima vittoria
elettorale, Silvio Berlusconi giurò solennemente
che non avrebbe spostato
in Rai “neppure una pianta”. Tre mesi dopo il governo sciolse con cinque righe di decreto il consiglio
dei “professori”, in anticipo di un anno e mezzo sulla scadenza, inaugurando
la più vasta lottizzazione
dai tempi di Bernabei. Nel
2001 Berlusconi tornò a
giurare che non si sarebbe
mai occupato della tv di
Stato. Nel giro di undici
mesi avrebbe sostituito
tutti i direttori di testata e
l’intera dirigenza.
SEGUE A PAGINA 17
SERVIZI ALLE PAGINE 22 e 23
I
Anche gli animali hanno un’anima
dal nostro inviato
MICHELE SMARGIASSI
MODENA
ON LO DICE la parola
stessa? Gli animali
hanno l’anima. Ne è
convinto un italiano su due.
Con tanti saluti ai pensatori
che, da Aristotele a Kant, sostennero il contrario. Bella figura, i grandi filosofi, sconfitti dalla vox populi proprio alla
vigilia del Festival Filosofia di
Modena. Che quest’anno, volendo occuparsi di Umanità,
ha buttato uno sguardo anche
al suo reciproco, l’animalità, o
almeno all’idea che noi esseri
pensanti ce ne siamo fatta; e
ha commissionato all’Istituto
Piepoli un’indagine sull’opinione che abbiamo dei nostri
coinquilini terrestri.
SEGUE A PAGINA 33
N
“L’alto medioevo”, terzo
volume de “La storia
dell’arte” è in edicola
con Repubblica a soli
12,90 euro in più
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