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Firenze, Biblioteca di Scienze sociali, mercoledì 12 ottobre 2011
Festa per gli ottant’anni di Alberto -- Intervento di Angela Dogliotti Marasso
Vorrei intervenire brevemente in questa ricorrenza per ricordare, tra le tante attività di Alberto, il
suo impegno nell’educazione alla pace.
Per farlo, ho pensato di sintetizzare in 8 punti gli aspetti a mio parere più significativi del libro che
raccoglie le sue esperienze, fuori e dentro l’Università, in questo campo: Giovani e pace. Ricerche
e formazione per un futuro nonviolento, Pangea, Torino, 2001
Ci sono quattro aspetti metodologici importanti da rilevare:
1- in primo luogo balza in evidenza il costante intreccio di Ricerca-Educazione-Azione come
impianto costitutivo dell’approccio proposto ed elemento comune a tutte le esperienze
presentate: la ricerca muove dagli interrogativi e dai problemi della realtà ed è orientata
all’azione; l’educazione è uno dei processi fondamentali per promuovere e mettere in atto il
cambiamento.
2- Un altro aspetto molto importante è la costante attenzione all’interazione tra i diversi livelli,
delle caratteristiche personali e situazionali da un lato e delle dinamiche strutturali dall’altro,
nella convinzione che ogni cambiamento è possibile solo se si agisce su entrambi i versanti.
3- Come presupposto vi è una proposta formativa che coinvolge le tre fondamentali dimensioni
della mente (dimensione cognitiva, sapere), del corpo (dimensione operativa, saper fare),
dell’anima (dimensione esistenziale, saper essere)
4- L’accento, infine, è posto sulla centralità delle metodologie e degli strumenti usati: nella
cultura della nonviolenza mezzi e fini coincidono, non c’è subalternità, ma coessenzialità tra
strumento usato e fine perseguito.
In merito ai contenuti si possono evidenziare i seguenti quattro punti:
1- Globalmente l’educazione alla pace è concepita come “educazione a combattere ingiustizie
e violenza senza usare le loro stesse armi”(pag.184), vale a dire come educazione alla
trasformazione nonviolenta dei conflitti.
2- Il conflitto è inteso come processo interattivo e l’accento è posto sui fattori personali,
strutturali e situazionali che ne caratterizzano la dinamica. Si intende inoltre superare
l’atteggiamento “schizofrenico” che la nostra società ha nei confronti del conflitto: esaltato a
livello politico, rifiutato e negato a livello educativo,. Ispirandosi alla “pedagogia degli
oppressi” , Alberto auspica la reintroduzione del conflitto nella pedagogia e l’assunzione
della nonviolenza come strada maestra per l’umanizzazione del conflitto stesso.
3- Tra le fonti sociali della violenza viene individuato il pregiudizio, come elemento fondante
per creare e mantenere quella distanza sociale che consente la de-umanizzazione dell’altro,
fino all’uccisione. Ciò è un elemento strutturalmente necessario, insieme all’obbedienza
acritica e all’indifferenza, per mantenere in vita l’istituto della guerra.
4- Da diverse ricerche tra i giovani delle scuole fiorentine e toscane emerge, infine , il ruolo
centrale dell’assertività nella trasformazione costruttiva dei conflitti, in connessione con la
teoria nonviolenta del potere diffuso. Essa risulta infatti essere un potente antidoto alla
violenza e una componente essenziale dei comportamenti di pace.
L’opzione che sottende tutto il lavoro di Alberto L’Abate è dunque che guerra e pace non sono
“fatti” che avvengono per caso o per qualche causa sconosciuta, ma sono piuttosto “processi” che
iniziano e si sviluppano secondo certe modalità, sulle quali si può incidere, agendo in modo
appropriato, anche a livello educativo. Si potrebbe dire che l’educazione, nella concezione di
Alberto, fa parte di quel “programma costruttivo” che gli è tanto caro e senza il quale nessun
cambiamento è efficace e duraturo.
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