William Blake 505 LA TIGRE Tigre, Tigre, che bruci luminosa nelle foreste della notte, quale immortale mano o occhio ha potuto foggiare la tua orribile simmetria? In quali distanti profondità o cieli è bruciato il fuoco dei tuoi occhi? Su quali ali ha osato levarsi? Quale mano osò afferrare il fuoco? E quale braccio, & quale arte, poté piegare i nervi del tuo cuore? E quando il tuo cuore prese a battere, quale mano atroce? & quali atroci piedi? Quale il martello? Quale la catena, In quale fornace era il tuo cervello? Quale l'incudine? Quale atroce stretta osò prendere in mano i suoi mortali terrori? Quando le stelle buttarono giù le loro lance e bagnarono con le loro lacrime il cielo, sorrise lui a vedere il proprio lavoro? Colui che fece l'Agnello ti ha fatto? Tigre, Tigre, che bruci luminosa nelle foreste della notte, quale immortale mano o occhio ha osato foggiare la tua orribile simmetria? (Trad. G. Conserva) « Bambino Caro, anch'io Jungo quieti Fiumi ho vagato tutta la Notte nel Paese dei Sogni; ma sebbene calme & calde le grandi acque, non sono potuto arrivare dall'altra parte.» « Padre, oh Padre! cosa facciamo qui in questa Terra di rifiuto & paura? Il Paese dei Sogni è molto migliore, sopra la luce della Stella del Mattino. » L'Armadietto di Cristallo La Ragazza mi ha catturato in Campagna, dove stavo ballando gioiosamente; mi ha messo -nel suo Armadietto, e mi ha Chiuso dentro con una Chiave dorata. L'Armadietto è fatto d'Oro e Perle & Cristalli che luminosi splendono, e all'interno si apre in un Mondo e una piccola dolce Notte di Luna. Un'altra Inghilterra U ho visto, un'altra Londra con la sua Torre, un altro Tamigi & altre Colline, e un altro dolce Surrey Bower. Un'altra Ragazza come lei, traslucente, bella, splendente chiara, tre volte ognuno nell'altro chiusioh che dolce trepida paura! Oh che sorriso! un triplice Sorriso mi riempl, che come una fiamma ardevo; mi chinai a Baciare la meravigliosa Ragazza, e trovai un Triplice Bacio restituito. Tentai di afferrare la più interna Forma con ardore fiero & mani di fiamma; ma ruppi l'Armadietto di Cristallo e divenni come un Bimbo Piangente: 179 A weeping Babe upon •the wild And weeping Woman pale reclin'd, And in the outward air again I fill'd with woes the passing Wind. The Grey Monk « I die, I die! » the Mother said, « My Children die for lack of Bread. What more has the merdless Tyrant said? » The Monk sat down on the Stony Bed. The blood red ran from the Grey Monk's side, His hands & feet were wounded wide, H is Body bent, his arms & knees Like to the roots of ancient trees. His eye was dry; no tear could flow: A hollow groan fi.rst spoke his woe. He trembled & shudder'd upon the Bed; At length with a feeble cry he said: « When God commanded this band to write In the studious hours of deep midnight, H e told me the wri ting I wrote should prove The Bane of all that on Earth I lov'd. My Brother starv'd between two Walls, His Children's Cry my Soul appalls; I mock'd at the wrack & griding chain, My bent body mocks their torturing pain. Thy Father drew his Sword in the North, With his thousands strong he marched forth, Thy Brother has arm'd himself in Steel, To avenge the wrongs •thy Children feel. But vain the Sword & vain the Bow, They never can work War's overthrow. I SO Vagavo solitario come una nuvola… 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. Vagavo solitario come una nuvola che fluttua in alto sopra valli e colline, quando vidi all’improvviso una moltitudine, un mare, di narcisi dorati; accanto al lago, sotto gli alberi, tremolanti e danzanti nella brezza. Ininterrotti come le stelle che splendono e luccicano lungo la Via Lattea, si dispiegavano in una linea infinita lungo le rive di una baia: con uno sguardo ne vidi diecimila, che muovevano la testa danzando briosi. Le onde accanto a loro danzavano; ma essi superavano in gioia le luccicanti onde: un poeta non poteva che esser felice, in una compagnia così gaia Osservavo - e osservavo - ma non pensavo a quanto bene un tale spettacolo mi avesse donato: poiché spesso, quando mi sdraio sul mio divano di umore assente o pensieroso, essi appaiono davanti a quell’occhio interiore che è la gioia della solitudine; e allora il mio cuore si riempie di piacere, e danza coi narcisi. Samuel Taylor Coleridge 597 KUBLAKHAN A Xanadu Kubla Khan volle un'imponente dimora di piacere, dove Alfeo, il sacro fiume, trascorre per caverne smisurate ad occhio umano e s'immerge in un mare senza sole. Così, due volte cinque miglia di fertile terreno di mura e torri furono recinte: e sorsero giardini di rivoli sinuosi luccicanti, dove a mille e mille fiorivano alberi d'incenso; e foreste, antiche quanto le colline, che custodivano macchie di solatie verzure. Ma, oh, quell'orrido profondo e misterioso che traverso un cespo di cedri fendeva il verde colle! Che luogo selvaggio! Incantato e sacro come mai alla falce calante della luna fu quello posseduto da gemiti di donna al suo incubo d'amore! E da quest'orrido, con fragore incessante e ribollìo, quasi che il suolo s'abbandonasse a un tumulto di sospiri, sboccava a tratti un impetuoso rivo: e nei suoi soffi repenti e discontinui enormi schegge rimbalzando volteggiavano come chicchi di grandine o pula di grano sotto il correggiato del battitore; e in mezzo a quella ridda di rocce, subitaneo ma perenne, montava il fiume sacro a fiotti. Cinque miglia penetrando con tortuoso passo boschi e valli il sacro fiume misurava per poi toccare le caverne ad occhio umano smisurate e in tumulto precipitare in un oceano senza vita: in quel tumulto Kubla udì remote ed ancestrali voci profetare la guerra! Samuel Taylor Coleridge 599 L'ombra della dimora di piacere fluttuando scivolava sulle onde, ove si udiva la ben commista misura di fonte e di caverne. Miracolo di rara perizia, solatìa dimora dalle caverne di ghiaccio! D'una dama col dolcemele un tempo ebbi visione: abissina fanciulla che col dolcemele accompagnava un canto del Monte Abora. Potessi far rivivere in me quella sinfonia ed il suo canto, a tale intima delizia mi vincerebbe che con profonde e chiare note edificherei nell'aria quella magione, quella solare dimora! Quelle caverne di ghiaccio! E chi le udisse là le vedrebbe e griderebbe: «Attenti! Attenti!» Agli occhi suoi di fiamma, alla sua chioma nel vento! Cingetelo d'un triplice cerchio, serrate gli occhi con sacro terrore, ch'egli si cibò di rugiada di miele e bevve il latte del Paradiso. (Trad. A. Ceni) Darkness 1. Un sogno… un sogno che non fu per nulla tale. 2. Estinto era l’astro solare, e le stelle 3. Vagavano al nero infinito 4. Così, spente e smarrite, e il gelido pianeta 5. Oscillava cieco in una notte priva di luna; 6. I giorni si succedevano… senza recare giorno, 7. E gl’uomini obliavano le passioni nel terrore 8. Di quale desolazione! E ciascuno 9. Impetrava per sé un quanto di luce: 10. Le anime accampate ai fuochi e i troni, 11. I palazzi del potere come le capanne, 12. Le case di tutto ciò che dimora, tutto 13. Bruciato per un faro; città si consumavano 14. E gl’uomini intorno ai loro nidi in fiamme 15. Si rimiravano l’uno con l’altro, ancora; 16. Felici coloro che stanziavano nell’occhio 17. Dei vulcani, al fuoco delle montagne: 18. Appena una terribile speranza al mondo; 19. Foreste date alle fiamme di ora in ora 20. Cadevano in cenere e al crepitìo dei tronchi 21. Seguiva lo schianto e la piena tenebra. 22. L’aspetto delle genti al tristo lucore 23. Aveva un che di poco umano, al cadere 24. A tratti dei lampi rivelatori; chi a terra 25. Blindato nel pianto; chi attonito stava, 26. I volti fissi sulle mani serrate, poi sorrideva… 27. Ed altri si dannavano avanti e indietro a nutrire 28. La propria pira funebre in qualche modo, e in alto 29. Con folle angoscia su uno stolido cielo 30. La larva d’un mondo scomparso; e ancora 31. Alla polvere si davano con le loro maledizioni, 32. Digrignanti ululavano – al pari degl’uccelli 33. Selvaggi, impantanati al terrore, 34. Si dibattevano al suolo; così i bruti 35. Si facevano docili e tremebondi; vipere 36. Strisciavano a due a due in una moltitudine 37. Sibilante, ma innocua – venivano divorate. 38. E la Guerra, solo per un istante impossibile, 39. Tornò a saziarsi: un pasto usurpato 40. Col sangue, mentre ognuno in disparte 41. Si ingozzava pallido al buio. E l’amore? 42. Non era che un pensiero di morte, tutto, 43. Senza appello e vergognoso; e il morso 44. Della fame si nutriva di sé – corpi 45. Ovunque: ossa e carni illacrimate; 46. Cannibali della propria magrezza, 47. Persino i cani addosso ai padroni, ma uno 48. Restò fedele al corpo, teneva lontani 49. Uccelli, bestie, uomini disperati 50. Finché la fame li pungeva, o con la morte 51. Cedevano le fauci smagrite; senza cibo, 52. Dopo un lunghissimo e struggente lamento 53. E un colpo desolato di pianto, leccando la mano 54. Ormai fredda di carezze, infine perì. 55. Per fame caddero uno dopo l’altro, ma due 56. Di una immane città resistettero, 57. Ed erano nemici: s’incontrarono ai piedi 58. D’un altare e a suoi tiepidi bracieri, 59. Dov’era un ammasso di oggetti sacri 60. Per uso improprio; così riuniti e tremanti 61. Strofinavano con mani di ossa intirizzite 62. Le ceneri fioche, e il fioco respiro loro 63. Tentò una misera vita, e fu una fiamma 64. Di scherno; ma poi alzarono gli occhi 65. Al crescere minimo del fuoco, e videro 66. Il proprio volto nell’altro – un grido, una morte – 67. Al reciproco ribrezzo anche morti, 68. Ignari di sé e su quale fronte la Fame 69. Avesse inciso Nemico. Vuoto il mondo, 70. Da potente e popoloso fatto grumo, 71. Non più cicli, senza verde né uomini, la vita 72. A zolla di morte – caos di fango duro. 73. I fiumi, i laghi e gli oceani in stasi 74. E nulla si scuoteva dagli abissi silenti; 75. Alla deriva lo sfacelo di navi fantasma 76. I cui alberi crollavano in pezzi, e caduti 77. Giacevano sul fondo senza turbamento 78. Di correnti ormai sepolte; onde e maree 79. Seguivano l’esito della loro padrona in cielo; 80. I venti appassivano nell’aria stagnante, 81. E le nubi in dissolvenza; poiché l’Oscurità 82. Non bisognava di nulla – Lei era l’Universo. Percy Bysshe Shelley 763 OZI'MANDIAS Incontrai un viaggiatore di ritorno da una terra antica, che disse: «Due immense gambe di pietra, senza tronco, s'ergono nel deserto ... Vicino, sulla sabbia, mezzo affondato, un volto infranto giace, il cui cipiglio, e il labbro corrucciato, e il sogghigno di gelido comando, dicono che il suo scultore lesse accuratamente le passioni che ora, impresse su quelle cose inerti, sopravvivono alla mano che le imitò, e al cuore che le alimentava; e sul piedestallo, queste parole appaiono: 'TI mio nome è Ozymandias, Re dei Re, guardate le mie Opere, o voi Potenti, e disperatevi!' Nient'altro resta. TI colossale Rudere si disfa, e attorno sconfinate e spoglie le solitarie e uniformi sabbie si stendono lontano». (Trad. F. Rognonz) Percy Bysshe Shel!ey LA NUVOLA [o porto freschi scrosci per i fiori assetati, dai mari e le correnti, porgo ombra lieve alle foglie adagiate nei loro sogni meridiani. Dalle mie ali goccia la rugiada che ridesta ogni dolce bocciolo quando è cullato sul grembo di sua madre, che danza intorno al Sole. Roteo un flagello di sferzante grandine e imbianco i verdi prati, ~ poi di nuovo la dissolvo in pioggia, e rido, tuono e passo. Ilaglio la neve sopra i monti in basso, e i grandi pini gemono spauriti: ~ tutta notte è il mio bianco guanciale, mentre io dormo in braccio alla bufera. 5ublime sulle torri dei miei aerei pergolati, lampeggiando il mio pilota siede; in una grotta sotto è incatenato il tuono, urla e spasmodico si torce; mpra la Terra e il Mare, dolcemente, questo pilota mi conduce, :.ttratto dall'amore dei genii che si muovono nelle profondità del mare viola; ;opra i torrenti, sulle rupi e i colli, sopra i laghi e le pianure, :!ovunque sogni, sotto una montagna o un fiume, lo Spirito che egli ama indugia; ~ mentre io mi crogiolo nel sorriso del Cielo, egli si dissolve in pioggia. 789 Percy Bysshe Shelley L'Aurora rosso sangue, coi suoi occhi di meteora, e le sue penne ardenti dispiegate balza in groppa al mio nembo veleggiante, quando la stella del mattino splende morta; come sul dente di una rupe montagnosa, che un terremoto fa oscillare, un'aquila posata può un attimo fermarsi nella luce delle sue ali d'oro. Quando il Tramonto esala, dal Mare sotto illuminato, i suoi ardori di riposo e amore, e il vermiglio manto della sera cade dalla profondità del Cielo, con le ali chiuse mi riposo, sul mio aereo nido, immobile come una colomba che cova. Quella sferica vergine, di bianco fuoco carica, che Luna chiamano i mortali, scivola scintillando sul mio lanoso piano, dalle brezze di mezzanotte sparso; e ovunque il battito dei suoi piedi invisibili, che solo gli angeli odono, abbia strappato il fine tetto della mia tenda, stelle le spuntan dietro, e occhieggiano; e io rido nel vederle sfrecciare e vorticare, come uno sciame di api d'oro, quando allargo lo strappo della mia tenda di vento, finché i calmi fiumi, i laghi e i mari, come lembi di cielo caduti dall'alto attraverso di me, sono coperti dalla luna e dalle stelle. lo stringo il trono del Sole in una cinta ardente e quello della Luna in un laccio di perle; i vulcani s'oscurano, e le stelle ruotano e nuotano quando i turbini il mio stendardo spiegano. Da un promontorio all'altro, come l'arco di un ponte su un mare turbolento, non lasciando che i raggi del sole mi attraversino, resto sospesa come un tetto- 791 fohn Keats ODE A UN USIGNOLO I n cuore si strugge e un'ottusità plumbea Mfligge i miei sensi, quasi, pieno di cicuta, O d'un sonnifero pesante trangugiato Pochi istanti fa, fossi affondato nd Lete: E non certo per invidia della tua razza fdice, Ma troppo felice nella tua fdicità Tu, arborea driade dalle lievi ali, Che in una macchia melodiosa Di faggi verdi e sparsa d'ombre innumeri Canti l'estate con la felicità della gola spiegata. n Avere un sorso di vino! E ghiacciato Da secoli nelle profondità della terra, Saporoso di Flora e della campagna verde, Dei balli, dei canti provenzali, d'allegria solare! Oh, sì, bere una coppa piena di caldo meridione, Colma di rosso, vero Ippocrene, Con rosari di bolle che s'affacciano all'orlo E la bocca macchiata di porpora; Sì, poter bere, e inosservato lasciare il mondo Per svanire, infine, con te, nelle foreste oscure: ili Sparire, lontano, dissolvermi, e dimenticare poi Ciò che tu, tra le foglie, non hai mai conosciuto: La stanchezza, la malattia, l'ansia Degli uomini, qui, che si sentono soffrire, 807 ]ohnKeats 809 Qui, dove il tremito scuote gli ultimi, scarsi capelli grigi, Dove la gioventù impallidisce, si consuma e simile a un fantasma muore, Dove il pensare stesso è riempirsi di dolore, E la disperazione regna, dalle ciglia di piombo, Dove la bellezza vede spenta la luce dei suoi occhi E l'amore nuovo non riesce a piangerla oltre il domani. IV Andarsene, andarsene. E arrivare da te, Non portato da Bacco e dai suoi leopardi, Ma sulle ali della poesia, invisibili, Anche se la mente, lenta, ha perplessità e indugi: E lì, con te, subito la notte è tenera Con la sua luna regina sul trono E le fate stellate tutt'intorno: Qui, invece, adesso, non ce n'è più di luce, niente, Se non quella che dal cielo è soffiata Giù dal vento, nel buio verde e tortuoso di muschio. v I fiori che ho intorno, non li vedo, E neppure l'incenso dolce che impende sui rami, Ma nell'oscurità profumata intuisco ogni dolcezza Con cui il mese propizio rende ricca L'erba, il bosco e il selvaggio albero da frutta, n biancospino e l'arcadica eglantina, Le viole, presto appassite, sepolte tra le foglie, E la figlia più grande del maggio maturo: La rosa in boccio, muschiata, piena di vino di rugiada, Casa sussurrante d'insetti nelle sere estive. VI Nel buio ascolto, io che spesso Ho quasi fatto l'amore con la facile morte,