dispensa di sociologia del diritto e deontologia delle professioni

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FACOLTA’ DI SCIENZE ECONOMICHE E GIURIDICHE
INDICAZIONI ESAME DI SOCIOLOGIA E DEONTOLOGIA DELLE
PROFESSIONI LEGALI
A PARTIRE DA GENNAIO 2017
INDICAZIONI PER L’ESAME
PARTE GENERALE
1) Lo studente dovrà dimostrare di conoscere le dispense di Sociologia e
Deontologia delle professioni legali che si allegano ( di seguito);
PARTE SPECIALE
Lo studente dovrà dimostrare di conoscere i capitoli dei volumi di seguito indicati:
a) La devianza minorile ( N. Malizia) e-book, solo i paragrafi dei seguenti capitoli:
Cap. 1 paragrafi 1.6 -1.7-1.8-1.9-1.10
Cap. 3 paragrafi 3.4-3.10-3.13-3.16
b) Suicidio e tentato suicidio in adolescenza ( N. Malizia) e-book, solo i paragrafi dei
seguenti capitoli:
Cap. 1 paragrafi 1.6. – 1.7. – 1.8. – 1.11 – 1.13 – 1.16
Cap.. 2 paragrafi 3.2 – 3.3.
DISPENSA DELLE LEZIONI TENUTE SULLA PARTE DI SOCIOLOGIA DEL
DIRITTO
SINTESI
PREMESSA
La sociologia del diritto è la scienza che studia il diritto come modalità d'azione
sociale. Attraverso la metodologia, i concetti e le principali visioni teoriche proprie della
sociologia, questa branca specializzata analizza l'azione sociale in relazione al diritto,
come questo la ispiri, indirizzi od influenzi, e come a sua volta ne venga influenzato.
Sono oggetto della sociologia del diritto:
il sistema giuridico in generale.
il rapporto tra diritto, azioni e comportamenti, in particolare nella determinazione della
liceità o meno dell'azione.
il problema dell’influenza dei valori sociali sullo sviluppo del diritto (problema
dell’evoluzione del diritto).
le singole istituzioni giuridiche nel contesto sociale (ad esempio il governo, la famiglia,
la ricchezza).
il problema della effettiva rilevanza del diritto come strumento di mutamento e di
controllo sociale (problema dell’efficacia del diritto).
i ruoli giuridici e le relative aspettative sociali (i giuristi, accademici e non, i giudici, il
legislatore, gli avvocati).
l'opinione sociale nei confronti del diritto, il consenso o il dissenso rispetto alle norme
stesse ed ai valori ad esse sottintesi.
Secondo tale indirizzo di studio del diritto, l’efficacia delle norme giuridiche non viene
necessariamente garantita dai tipici strumenti della coercizione giuridica, come la pena e
l’esecuzione forzata, ma dipende piuttosto dalla pressione sociale esercitata
sul singolo dagli altri membri del gruppo; un altro importante fattore di efficacia del
diritto è il prestigio sociale dell’autore della norma (in particolare per quanto riguarda il
diritto giurisprudenziale).
Altrettanto, secondo i fautori della sociologia del diritto, può dirsi per quanto riguarda il
diritto statale, il quale, pur avendo la funzione di ordinare i rapporti fra i vari gruppi, è
reso efficace da quegli strumenti di pressione sociale usati dagli stessi piccoli gruppi; lo
Stato, inoltre, è considerato come un semplice organo della società, per cui se in qualche
parte di esso dovesse manifestarsi una resistenza nei confronti della società, o un
tentativo di agire contro di essa, questa avrebbe sicuramente la meglio.
Per quanto riguarda la figura del giurista, questi viene tendenzialmente considerato
un organo della giustizia sociale e la sua attività intesa come immune da valutazioni
individuali e portavoce degli indirizzi valutativi predominanti nella società.
Società e mutamento sociale, di cosa si tratta?
Cosa sono le istituzioni giuridiche? Cos’è il mutamento sociale?
Mutamento giuridico e mutamento sociale vengono intesi come concetto alternativo
per intendere la sociologia del diritto.
in Italia, Gran Bretagna, Europa, America Latina, Giappone e Cina, gli sviluppi della
sociologia del diritto sono stati influenzati dai progressi delle istituzioni giuridiche e del
mutamento sociale.
Come comprendere il mutamento giuridico, il mutamento sociale il nesso tra il diritto e
la società?
La sociologia del diritto può insegnarci verità universali sul diritto?
Oppure serve per aiutarci a spiegare la verità contingente sul diritto in tempi e luoghi
diversi? Il diritto ha la sua propria verità? La sociologia può coglierla?
Le leggi e le decisioni giuridiche spesso non raggiungono gli obiettivi che si
propongono. Questo è noto come ‘il problema del ‘gap’ (divario) nella sociologia del
diritto’.
Cosa è il diritto?
Il diritto lo possiamo definire come il complesso delle norme di legge e consuetudine
che ordinano la vita di una o più collettività in un determinato momento storico.
Una delle concezioni più risalenti è la cosiddetta teoria del diritto naturale,
o giusnaturalismo.
tale teoria postula l'esistenza di una serie di princìpi eterni e immutabili,
inscritti nella natura umana, cui si dà il nome di diritto naturale. Il diritto
positivo (cioè il diritto effettivamente vigente) non sarebbe altro che la
traduzione in norme di quei princìpi. Il metodo adottato dal legislatore è
dunque un metodo deduttivo: da princìpi universali si ricavano (per deduzione) le
norme particolari. Il problema è che non sempre vi è pieno accordo su quali siano
i princìpi universali ispiratori delle norme giuridiche.
- Le Chiese, principali assertrici del diritto naturale, tendono ad identificarlo con i
princìpi dettati dai loro testi sacri (la Bibbia, il Corano, etc.).
- Gli studiosi laici con princìpi diversi (di giustizia, equità, il popolo, lo stato etc.).
- Non essendoci accordo sui princìpi-base (a meno che essi non siano imposti da un
potere autoritario), viene a cadere il fondamento stesso della teoria del diritto
naturale.
Verso la fine dell'Ottocento, sull'onda delle teorie filosofiche positiviste, si afferma (e
rimane a lungo predominante) il cosiddetto positivismo giuridico o giuspositivismo che,
contrapponendosi al giusnaturalismo, asserisce tutto al contrario che il diritto è solo ed
esclusivamente diritto positivo, cioè diritto effettivamente posto, e non c'è alcuno spazio
per alcun diritto naturale trascendente il diritto positivo.
Secondo la gran parte degli studiosi giuspositivisti (specie in Italia) il diritto si identifica
con la norma giuridica (giuspositivismo normativistico).
Il diritto dunque non sarebbe altro che una serie di norme che regolano la vita dei
membri di una società, allo scopo di assicurarne la pacifica convivenza.
Il diritto (e i princìpi che ne stanno alla base) si sposta così dal campo del
trascendente a quello dell'immanente, dal dominio della natura a quello della
cultura.
ll metodo adottato dai giuspositivisti è, al contrario di quello dei giusnaturalisti, un
metodo induttivo: non esistendo princìpi universali ed eterni, i princìpi su cui si basa il
diritto vengono ricavati per induzione (cioè per astrazione) dalle norme giuridiche
particolari e contingenti.
I fautori del giuspositivismo hanno però qualcosa in comune con quelli del
giusnaturalismo: essi rientrano tutti nella categoria filosofica dei "realisti", ossia di
coloro che pensano alla realtà come a un "dato" oggettivo, esterno, e come tale
indipendente dall'osservatore.
Anche il diritto sarebbe, come tutta la realtà, un dato oggettivo, che lo studioso si limita
ad indagare e il giudice ad applicare, senza modificarlo in alcun modo. Una concezione
statica del diritto, insomma.
Realisti o scettici
Le tesi "realiste" sono contestate dai teorici che possono ascriversi alla corrente
filosofica del relativismo o scetticismo.
Al contrario dei "realisti", gli "scettici" pensano (sulla scia delle moderne teorie
scientifiche e filosofiche del Novecento) che un'osservazione "oggettiva" e "distaccata"
della realtà non sia possibile, e che l'osservatore, interpretando la realtà, la influenzi
necessariamente.
Ogni analisi dovrà per forza essere "soggettiva", poiché ineliminabile è la componente
del soggetto nell'analisi della realtà. Il soggetto non si limita ad "osservare", bensì
"(ri)crea" la realtà.
Quindi, il soggetto non si limita ad "osservare", bensì "(ri)crea" la realtà. Per chi
abbraccia le tesi scettiche, il diritto non può dunque essere un mero "dato", un insieme
fisso e immutabile di norme (giuspositivismo) o di princìpi eterni (giusnaturalismo).
I teorici che studiano il diritto (i giuristi, il cui insieme di scritti costituisce la c.d.
"dottrina") e i pratici che lo applicano (i giudici, il cui insieme di sentenze costituisce la
c.d. giurisprudenza) non sono "indagatori" o "applicatori" di una realtà già data ma,
nello stesso momento in cui la interpretano, ne diventano veri e propri "creatori".
Il teorico, disquisendo sul diritto, "crea" diritto; il giudice, emanando una sentenza,
"crea" diritto. La concezione del diritto propria dello scetticismo è dunque dinamica, e
non statica.
Costruttivismo giuridico
Una concezione teorica più moderna, che vuole superare le contraddizioni di quelle
citate, è il costruttivismo giuridico.
• Esso si è imposto alla fine del XX secolo, soprattutto tra i teorici anglosassoni.
• Secondo il costruttivismo noi, contemporaneamente, osserviamo e modifichiamo,
influenziamo e veniamo influenzati, interpretiamo e creiamo;
• la realtà è allo stesso tempo scoperta ed inventata, osservata e costruita; noi non siamo
completamente liberi, ma non siamo neanche completamente vincolati; subiamo
pesanti interferenze dalla realtà, ma interveniamo pesantemente a modificarla.
• Per il costruttivismo, dunque, da una parte l'interprete (giurista o giudice) è ancorato
alle norme esistenti, in quanto non può prescindere da esse: egli non può essere
interamente creativo, come pretenderebbero gli scettici.
• D'altra parte è anche vero che egli, interpretando le norme giuridiche a scopo
teorico ovvero per applicarle al caso concreto, vi immette sempre qualcosa di
suo: influisce su di esse in quanto influisce sulla loro futura interpretazione ed
applicazione. Il ruolo dell'interprete non è pertanto interamente notarile e passivo,
come pretenderebbero i realisti.
La figura del giurista
Il giurista (o il giudice) non si limita solo ad interpretare, né solo a creare. Egli interpreta
e crea: crea mentre interpreta. E fa entrambe le cose non in maniera arbitraria, ma
sempre fortemente vincolato dall'ambiente storico, culturale e giuridico in cui si pone.
il diritto, secondo il costruttivismo, è in conclusione un fatto dinamico, un processo,
una pratica sociale di carattere interpretativo in cui norma giuridica e sua interpretazione
interagiscono costantemente.
Diritto oggettivo e diritti soggettivi
Per diritto oggettivo s'intende il diritto tutto, ossia l'insieme delle norme concepite in un
concetto unico, unitariamente; norme queste ultime che se prese una ad una concernono
diritti soggettivi (es.: i codici sono il diritto oggettivo, il diritto di proprietà è un diritto
soggettivo e sta nel contesto del codice, ossia oggettivo). Nel linguaggio quotidiano e in
quello tecnico-giuridico spesso si afferma: "Ho il diritto di..., ho il diritto a..., è stato leso
un mio diritto...";
Diritto in senso soggettivo
In tutte queste espressioni noi usiamo il termine "diritto" non nel senso oggettivo (come
insieme di norme), ma nel senso soggettivo, cioè come un "potere di agire per soddisfare
un interesse tutelato dalle norme giuridiche".
Molteplici sono i diritti soggettivi di cui sono titolari i soggetti del diritto (persone
fisiche e persone giuridiche). Tutti i diritti soggettivi si possono classificare in due
grandi categorie:
• diritti soggettivi assoluti
• diritti soggettivi relativi
• I diritti soggettivi assoluti si distinguono a loro volta in due sub-categorie:
• PRIMA CATEGORIA
diritti della personalità o diritti fondamentali dell'uomo, tutti di natura non patrimoniale
(diritto alla vita
• all'integrità fisica
• alla salute
• all'immagine
• all'onore
• alla privacy
• diritti di libertà personale
• di pensiero, di religione, di associazione, di riunione, ecc. riconosciuti e garantiti dalla
Costituzione e dai principali strumenti convenzionali internazionali);
SECONDA CATEGORIA
Diritti patrimoniali, i quali hanno ad oggetto i beni; al loro interno, i diritti reali (dal
latino res, cosa) sono diritti sulle cose e il principale fra questi diritti è il diritto di
proprietà che garantisce al soggetto il potere pieno ed esclusivo di godere delle utilità
ricavabili da un bene entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dalla legge.
I diritti soggettivi assoluti sono sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo, che afferma che tali diritti sono innati in ogni persona.
Si dice tradizionalmente che i diritti assoluti sono efficaci erga omnes, cioè verso tutti:
io posso far valere, per esempio, il mio diritto di proprietà nei confronti di chiunque.
La Sociologia giuridica nella visione degli studiosi Classici
Il tema del rapporto tra diritto e realtà sociale è l’oggetto di studio dell’analisi
sociologica del diritto dal momento in cui il diritto non si considera più determinato
sulla base di norme e principi di grado superiore, ma in rapporto alla società. Il
riferimento polemico è alla dottrina del diritto naturale, rispetto alla quale la sociologia
del diritto, pur condividendo il proposito dello studio di un diritto diverso da quello
positivo, si distingue nettamente per la via seguita e l’oggetto prescelto. Pertanto, alla
via della speculazione la sociologia del diritto sostituisce la via dell’esperienza; alla
ricerca di un diritto assoluto e immutabile che trova il proprio fondamento, a seconda dei
tempi e degli Autori, nella natura, in dio o nell’uomo, la sociologia del diritto
contrappone lo studio di un diritto relativo e variabile, indissolubilmente legato al
contesto sociale.
Nonostante l’attenzione riservata da alcuni autorevoli esponenti della scuola moderna
del diritto naturale, quali Hobbes, Locke o Rousseau, alle funzioni che il diritto ricopre
all’interno della società (tema che rimarrà centrale nel dibattito sociologico), solo
l’abbandono del razionalismo astratto e della pretesa di assolutezza della dottrina del
diritto naturale a favore di una nuova sensibilità per il divenire storico e la concreta
realtà sociale condurrà alla nascita della sociologia del diritto.
A caratterizzare l’analisi sociologica del fenomeno giuridico è infatti, fin dagli albori, la
distinzione operata a livello metodologico tra diritto come struttura normativa e società e
la concezione degli stessi come due variabili legate tra loro da un nesso di
interdipendenza interpretato in chiave evolutiva e controllabile empiricamente. In tale
prospettiva l’evoluzione sociale è letta come aumento della complessità ed il diritto
come un elemento condizionante e condizionato di questo processo di sviluppo che esso
stesso favorisce nel momento in cui si adatta alle sue esigenze. È proprio questa
interpretazione in chiave evolutiva del rapporto diritto-società che caratterizza le
prospettive dei classici della disciplina. Senza pretesa di essere esaustivi, ne presentiamo
di seguito le più note.
La problematica evolutiva è centrale per esempio alla teoria di Henry J.S. Maine (18221888), il quale dimostra come lo sviluppo di sistemi sociali ad elevata complessità
implichi necessariamente un allentamento della relazione tra struttura sociale e
configurazione giuridica, con un venir meno del rapporto diretto tra le principali
direttrici della differenziazione sociale e il diritto, a favore di un’elevata mobilità dei
rapporti giuridici.
Questo processo si concretizza nel passaggio dalle società di status alle società di
contratto: lo status indica la condizione propria della società primitiva in cui i rapporti
personali si riducono a rapporti di famiglia e la posizione degli individui, determinata
dalla nascita, appare immutabile; il contratto indica invece la condizione caratteristica
delle società complesse, in cui gli individui, indipendenti dal proprio
gruppo, si raccolgono in associazioni volontarie e determinano con atti di volontà i
propri rapporti giuridici.
Il tema viene ripreso dal sociologo evoluzionista contemporaneo Herbert Spencer
(1820-1903) il quale analogamente sostiene che è nel passaggio dalla società militare
organizzata in regime di status al tipo di società industriale organizzata in un regime di
contratto che si definisce l’evoluzione del diritto.
Considerando come motore dell’evoluzione la lotta per l’esistenza che Charles Darwin
aveva posto quale base della selezione naturale, Spencer attribuisce alla guerra una
funzione civilizzatrice: la guerra avrebbe spinto gli uomini ad uscire dallo stato di
omogeneità ed uguaglianza proprio delle società semplici, avrebbe formato le prime
differenziazioni nell’organizzazione sociale specificando organi e funzioni, favorendo la
creazione della struttura politica autoritaria e gerarchica che contraddistingue le società
militari. A tale società in seguito subentrerà la società industriale, che invece di
richiedere la subordinazione delle azioni individuali in funzione di un’azione collettiva,
tenderà a promuoverle e a difenderle attraverso l’amministrazione della giustizia,
espressione della volontà comune.
Agli stessi aspetti, ma con riferimento alla complessità del moderno sistema economico,
si dedica l’analisi operata da Karl Marx (1818-1883): per l’Autore è centrale il
passaggio del primato nell’attribuzione di significati sociali dalla politica all’economia.
La constatazione della moderna indipendenza dei grandi processi di decisione da ogni
valutazione inerente al soddisfacimento di bisogni soggettivi e locali conduce ad
un’interpretazione del diritto come strumento in grado di servire la complessità sociale,
assicurando un’elevata variabilità senza intaccare la struttura. Per Marx lo stato e il
diritto sono da considerarsi variabili dipendenti rispetto a quella parte della società che
detiene il potere, ovvero dispone della forza: essi sono una
sovrastruttura rispetto alla struttura economica della società costituita dall’insieme dei
rapporti di produzione all’interno dei quali gli uomini entrano indipendentemente dalla
propria volontà. Il diritto, quindi, lungi dal rappresentare gli interessi di tutta la società,
esprime quelli della sola classe dirigente che impone a tutta la società le norme di
condotta maggiormente funzionali al proprio sviluppo.
Anche Tonnies (1855-1936) nel suo scritto Comunità e società distingue due diversi tipi
di relazioni sociali a cui corrisponderebbero due diverse tipologie di diritto: le relazioni
sociali che danno luogo alla comunità, intesa come insieme organico organizzato sulla
base di rapporti di sangue, di luogo e di spirito, e le relazioni sociali che danno luogo
alla società come formazione ideale e meccanica, in cui i rapporti sono essenzialmente
rapporti di scambio che trovano la loro espressione tipica nel contratto.
Dipendente dal tipo di relazione sociale prevalente, il diritto è nel primo caso
essenzialmente diritto comunitario, determinato dal costume e trasfigurato dalla
religione; nel secondo caso diritto societario, definito dalla volontà arbitraria e sovrana
dei singoli e garantito dallo stato.
A caratterizzare il pensiero di Tonnies, comunque centrato sull’interdipendenza tra
forme della società e forme del diritto, è una posizione ideologica contraria rispetto a
quella dei suoi contemporanei: Tonnies afferma infatti la superiorità delle norme di
diritto comunitario su quelle di diritto societario ed auspica un’integrazione delle
strutture della società industriale, di cui riconosce l’importanza, con quelle della
comunità, al cui spirito si sente maggiormente vicino.
Figlio di generazioni di contadini, giunge al socialismo spinto da spontanea simpatia per
i lavoratori agricoli e guarda al movimento operaio come all’attore che, reagendo contro
l’ordinamento giuridico astratto e ai principi del liberalismo economico, riaffermerà
nuove esigenze comunitarie. Criticherà d’altro canto il marxismo per il suo spirito
societario e per aver messo in secondo piano la morale comunitaria.
La problematica evolutiva è centrale anche all’interpretazione di Durkheim (18581917), il quale nel testo La divisione del lavoro sociale individua nel graduale passaggio
da una differenziazione sociale segmentaria ad una differenziazione funzionale la
necessità di un nuovo tipo di solidarietà sociale e quindi di una trasformazione del diritto
che della nuova solidarietà è espressione: alla solidarietà meccanica, intrisa di regole
morali, va sostituendosi una solidarietà organica che sostituisce all’uniformità dei
referenti di valore il riconoscimento dell’interdipendenza tra le diverse parti sociali.
La prima, caratteristica delle società primitive, implica una somiglianza tra gli individui
ed un assorbimento della personalità individuale nella personalità collettiva; la seconda,
tipica delle società evolute, implica invece una differenziazione dei suoi membri che
deriva dalla divisione del lavoro, dalla distinzione dei campi d’azione e delle personalità
individuali.
Tutta l’analisi giuridica di Durkheim si basa su questa distinzione: le società fondate
sulla solidarietà meccanica prediligono un diritto costituito da regole munite di sanzioni
repressive che si accompagnano al biasimo collettivo ed esigono l’espiazione di una
colpa (diritto penale); le società che si fondano sulla solidarietà organica prediligono
invece un diritto costituito da regole munite di sanzioni restitutive volte a ristabilire la
situazione
originaria
attraverso
la
semplice
riparazione
(diritto
contrattuale,
amministrativo e costituzionale). L’evoluzione del diritto è quindi caratterizzata per
Durkheim dal passaggio dalla prevalenza del diritto repressivo alla preferenza per un
diritto restituivo (o cooperativo).
A Max Weber (1864-1920) si deve il riconoscimento del processo della
razionalizzazione come carattere fondamentale dello sviluppo della moderna società
europea. In Economia e società Weber sostiene che tale processo, che raggiunge la sua
espressione più caratteristica nel capitalismo della civiltà occidentale, è volto ad
organizzare la vita sociale in modo prevedibile e orientato al raggiungimento dei fini
desiderati. Per quanto concerne il diritto, esso conduce ad una sua ristrutturazione da
insieme di contenuti eticamente stabiliti ad insieme di concetti formali astratti e
utilizzabili nei procedimenti. Questa trasformazione avviene attraverso quattro stadi: 1)il
primo riguarda la creazione carismatica di norme da parte degli anziani del gruppo o dei
sacerdoti, ovvero dei c.d. profeti giuridici;
2) il secondo concerne la produzione empirica di regole ad opera dei notabili giuridici;
3) il terzo si concretizza nell’imposizione del diritto da parte di un imperium secolare o
di un potere teocratico;
4) infine l’ultimo è relativo alla statuizione sistematica del diritto e all’amministrazione
della giustizia specializzata ad opera di giuristi di professione.
Giambattista Vico
Già dal titolo, si può notare che Vico vuole delineare un’opera scientifica; si propone
infatti di gettare le basi di una nuova disciplina o, se si preferisce, di una nuova indagine
cognitiva, organizzata intorno ad un determinato oggetto, che è poi il mondo umano, la
storia.
Frutto di venticinque anni di “aspra meditazione”, il capolavoro di Vico ebbe il suo
primo germe nella Scienza nuova in forma negativa, stesa tra il 1723 e il 1725 e non
pubblicata per difficoltà finanziarie; vide poi la luce nel 1725 con il titolo Principi di una
Scienza nuova dintorno alla natura delle nazioni e fu arricchita nella seconda edizione
del 1730 (Scienza nuova seconda) e nell'ultima del 1744.
Secondo Vico gli uomini si sono stranamente affannati a studiare il mondo della natura,
«del quale, perché Iddio egli il fece, esso solo ne ha la scienza», e hanno
trascurato il mondo civile, i cui principi, rintracciabili entro le modificazioni della mente
umana, costituiscono le leggi della “storia ideale eterna”.
Pur essendo arcaica nella sua impostazione generale, la teoria dei “corsi e ricorsi”
fornisce però al filosofo la chiave per comprendere l'uomo primitivo: la modernità del
pensiero vichiano consiste appunto nello sforzo di ricostruire la mentalità degli «stupidi
insensati ed orribili bestioni», i cui miti sono genialmente considerati da Vico come una
forma prelogica di conoscenza della realtà.
La storia si riconduce, per Vico, al succedersi di tre età, corrispondenti alle tre fasi dello
sviluppo mentale degli uomini che «dapprima sentono senza avvertire, poi avvertono
con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura»: all'età del
senso o degli “dei” succede l'età della fantasia o degli “eroi” e infine l'età della ragione o
degli “uomini”. Giunta al culmine dell'ultimo stadio, l'umanità ricade nella barbarie,
aprendo così un nuovo ciclo.
Vico concepisce la propria opera come uno strumento che punta a traguardi non solo
cognitivi : la conoscenza si intreccia con un impegno pragmatico. Sapere per fare, sapere
per trasformare e migliorare l’esistenza e la società : ecco l’impegno di Vico.
Ciò che in concreto Vico si propone di realizzare è una grandiosa ricognizione storica
alla ricerca della possibile esistenza di denominatori comuni a tutte le società; se
risulterà positiva, tale ricerca permetterà di cogliere i fondamenti più generali dell’essere
e dell’agire dell’uomo, offrendo all’uomo un sapere di evidente rilievo, non solo teorico
ma anche pratico.
I principi teorici più originali sono tre :
1) i fenomeni umani nascono e si svolgono nel divenire storico;
2) vi è uno stretto rapporto fra la dimensione psicologico-individuale e la dimensione
sociale e civile dell’uomo;
3) vi è una logica delle azioni umane che consente di confrontarle e di ricavarne – se ci
sono – delle leggi generali.
Vico e la concezione dell’uomo
I suoi atti non possono non possedere delle precise matrici e referenti mentali; e se
l’accadere storico-sociale è teatro di gesta umane, esso dovrà avere certo un gioco di
cause e, insieme, di effetti, anche in sede psicologica.
L’uomo vichiano è anzitutto un essere attivo e dinamico; in secondo luogo, è un
essere animato non solo dalla ragione ma anche da forti affetti.
Le molle del suo agire e dell’agire umano in genere, sono: paura, bisogno, affetto,
desiderio, elementi sui quali Vico insiste di più.
L’aggregazione degli individui
Se gli individui si aggregano in gruppi e nazioni, lo fanno per motivi di utilità e
convenienza (anche senza negare una innata socievolezza).
A questa interpretazione Vico giustappone anche una componente teorica di ascendenza
cristiana : la Provvidenza.
E’ essa che instilla negli uomini certe esigenze (l’insieme di ideali – giustizia, bontà,
sacralità della vita ecc. – verso cui gli uomini sin dai primordi hanno orientato la loro
condotta), è lei che li aiuta a compiere il salto dallo stato naturale allo stato sociale.
La religione è per Vico una delle esperienze primarie, sia singolo che associato; è uno
dei fattori di cui non si può non tenere conto in un’analisi antropologico-sociale che si
voglia scientifica.
Montesquieu e la Sociologia del diritto
Partendo dalla considerazione che il "potere assoluto corrompe assolutamente", l'autore
analizza i tre generi di poteri che vi sono in ogni Stato: il potere legislativo (fare le
leggi), il potere esecutivo (farle eseguire) e il potere giudiziario (giudicarne i
trasgressori). Condizione oggettiva per l'esercizio della libertà del cittadino, è che
questi tre poteri restino nettamente separati.
Montesquieu cercò di dimostrare come, sotto la diversità degli eventi, la storia abbia un
ordine e manifesti l'azione di leggi costanti. Ogni ente ha le proprie leggi.
Le istituzioni e le leggi dei vari popoli non costituiscono qualcosa di casuale e arbitrario,
ma sono strettamente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi, dalla
loro religione e sicuramente anche dal clima. Al pari di ogni essere vivente anche gli
uomini, e quindi le società, sono sottoposte a regole fondamentali che scaturiscono
dall'intreccio stesso delle cose.
Queste regole non debbono considerarsi assolute, cioè indipendenti dallo spazio e dal
tempo; esse al contrario, variano col mutare delle situazioni; come i vari tipi di governo
e delle diverse specie di società. Ma, posta una società di un determinato tipo, sono dati i
principi che non può derogare, pena la sua rovina.
La tesi fondamentale - secondo Montesquieu - è che può dirsi libera solo quella
costituzione in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato.
Per contrastare tale abuso bisogna far sì che "il potere arresti il potere", cioè che i tre
poteri fondamentali siano affidati a mani diverse, in modo che ciascuno di essi possa
impedire all'altro di esorbitare dai suoi limiti e degenerare in tirannia.
La riunione di questi poteri nelle stesse mani, siano esse quelle del popolo o del despota,
annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella "bilancia dei poteri" che costituisce
l'unica salvaguardia o "garanzia" costituzionale in cui risiede la libertà effettiva. "Una
sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica".
L'argomento della libertà è sicuramente molto importante, però questa parola, secondo
il filosofo, è spesso confusa con altri concetti, come, ad esempio, quello
dell'indipendenza.
Nella democrazia sembra che il popolo possa fare quello che vuole, il potere del popolo
è confuso così con la libertà del popolo; la libertà è infatti il diritto di fare ciò che le
leggi permettono. Se un cittadino potesse fare ciò che le leggi proibiscono non ci
sarebbe più libertà.
Montesquieu spiega la divisione dei poteri e definisce le rispettive sfere di
attribuzioni:
Il potere legislativo verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per
rappresentare il popolo, ciascuno dei quali avrà le proprie assemblee e le proprie
deliberazioni a parte, e vedute e interessi distinti. Dei tre poteri di cui abbiamo parlato,
quello giudiziario è in qualche senso nullo. Non ne restano che due; e siccome hanno
bisogno di un potere regolatore per temperarli, la parte del corpo legislativo composta di
nobili è adattissima a produrre questo effetto.
Il potere esecutivo deve essere nelle mani d'un monarca perché questa parte del
governo, che ha bisogno quasi sempre d'una azione istantanea, è amministrata meglio da
uno che da parecchi; mentre ciò che dipende dal potere legislativo è spesso ordinato
meglio da parecchi anziché da uno solo.
Infatti, se non vi fosse monarca, e il potere esecutivo fosse affidato a un certo numero di
persone tratte dal corpo legislativo, non vi sarebbe più libertà, perché i due poteri
sarebbero uniti, le stesse persone avendo talvolta parte, e sempre potendola avere,
nell'uno e nell'altro.
Se il corpo legislativo rimanesse per un tempo considerevole senza riunirsi, non vi
sarebbe più libertà. Infatti vi si verificherebbe l'una cosa o l'altra: o non vi sarebbero più
risoluzioni legislative, e lo Stato cadrebbe nell'anarchia, o queste risoluzioni verrebbero
prese dal potere esecutivo, il quale diventerebbe assoluto.
Il potere esecutivo deve prender parte alla legislazione con la sua facoltà d'impedire di
spogliarsi delle sue prerogative. Ma se il potere legislativo prende parte all'esecuzione, il
potere esecutivo sarà ugualmente perduto. Se il monarca prendesse parte alla
legislazione con la facoltà di statuire, non vi sarebbe più libertà. Ma siccome è
necessario che abbia parte nella legislazione per difendersi, bisogna che vi partecipi con
la sua facoltà d'impedire.
Il contributo di Savigny
Savigny è una tipica espressione del romanticismo nel campo giuridico, egli non solo si
contrappone alle idee di chi voleva nuovi codici, che con la completezza
dell'amministrazione della giustizia, garantissero una certezza meccanica,in modo che il
giudice esonerato da ogni giudizio proprio si limitasse all'applicazione letterale della
legge, secondo l'ideale legislativo illuministico.
Egli cercò di riconoscere i presupposti filosofici delle teorie illuminIstiche per quanto
riguarda la legislazione e l'interpretazione del diritto e li ritrovò in quella cultura del
diciottesimo secolo in cui si era perso il senso della storia e si credeva la propria epoca
destinata alla realizzazione della perfezione assoluta.
Alle tesi dell'illuminismo riguardanti il diritto, cioè alla teoria di un diritto naturale
immutabile ed universale dedotto dalla ragione, il Savigny si oppone decisamente, per
lui il diritto è proprio di ciascun popolo, come il linguaggio, i costumi,
l'organizzazione politica, sono tutti elementi connessi tra di loro, e come per il
linguaggio cosi per il diritto non vi è un attimo di sosta assoluta, esso cresce con il
popolo, prende forma con esso, e alla fine muore quando il popolo ha perso la sua
personalità.
Con l'evolversi del popolo si evolve anche il diritto,che si manifesta dapprima con atti
in cui si esprimono i sentimenti della collettività, e vive come consuetudine che del
diritto è la prima spontanea forma. Più tardi a questo diritto spontaneo si sovrappone
quello elaborato scientificamente dai giuristi,che tuttavia continua a partecipare all'intera
vita del popolo.
Savigny definisce elemento politico la connessione del diritto con la vita sociale del
popolo,ed elemento tecnico la sua separata vita scientifica,e ha cura di fare osservare
come in entrambi i casi ciò che crea il diritto non è mai l'arbitrio di un legislatore ma è
sempre una forza interiore che opera tacitamente.
Il diritto legislativo, secondo Savigny, dovrebbe fornire solo un sussidio alla
consuetudine,diminuendone l'incertezza e l'indeterminatezza e portando alla luce e
conservando puro il vero diritto, che è l'effettiva volontà del popolo.
Agli inconvenienti del diritto comune il Savigny propone come rimedio non la
codificazione, ma l'elaborazione scientifica del diritto.
Il contributo di Bentham
Il diritto in Inghilterra era tradizionalmente un affare estraneo alle università. La
formazione degli avvocati e dei giudici avveniva negli Inns of Courts. Il primo docente
di diritto a Oxford, William Blackstone (1723-80) tenta una teoria giusrazionalistica
della common law, individuando un nesso fra essa e il diritto naturale.
Contro la tradizione giuridica inglese prende posizione il filosofo Jeremy Bentham
(1748-1832), legato alla tradizione dell’illuminismo francese ed erede della critica
hobbesiana della common law.
Bentham dice di comprendere cosa è a law = legge, comando sovrano “un insieme di
segni dichiarativo della volontà concepita o adottata dal sovrano di uno stato”; per
contro the Law come ordinamento giuridico, ‘diritto’ è un’entità fittizia.
La law of nature è un insieme di oggetti fittizi: “un oscuro fantasma che indica a volte
quel che la legge è, a volte quel che deve essere” .
Se ha un senso, l’espressione ‘diritto naturale’ indica la morale. Che per Bentham è
ricondotta al principio di utilità.
Secondo Bentham gli uomini sono mossi, anzi tiranneggiati, dal dolore e dal piacere, che
determinano le loro azioni. Riconoscendo questa realtà, l’utilitarismo identifica il bene
con la massimizzazione del piacere e la minimizzazione del dolore, ossia con il
“principio della massima felicità per il maggior numero”.
Nel caso della common law ‘diritto’ indica leggi e comandi fittizi che i giudici
fingerebbero di applicare ma in realtà creerebbero.
Le loro pene arbitrarie – ad esempio l’impiccagione di un panettiere che imbroglia sul
peso del pane – vengono recepiti come un monito: in simili casi in futuro si ripeteranno
atti simili. Allo stesso modo viene attribuito valore di legge agli “atti autocratici” dei
giudici inglesi, come se rispondessero ad una legge emanata dal sovrano.
La common law, come ogni diritto consuetudinario, è per Bentham barbarica, conviene
ai bruti. Contro il judge-made law Bentham delinea il progetto (fallito) di una riforma
del diritto penale inglese e di una codificazione del diritto civile e del diritto
costituzionale.
Infine, Bentham delinea il progetto di una teoria generale dei concetti giuridici, la
Jurisprudence, che articola in: Expository jurisprudence (analisi del diritto come è)
Censory jurisprudence (critica del diritto esistente e definzione del diritto come deve
essere) Bentham distingue inoltre una local jurisprudence (analisi del diritto positivo di
un paese) universal jurisprudence (analisi dei termini comunicati da vari sistemi
giuridici).
Il contributo di Saint-Simon E’ il fondatore della sociologia del diritto. Egli sostiene
che la sociologia attraversa tre epoche:
N. 2 ORGANICHE: in cui la vita si svolge armonicamente e idee e principi sono
conosciuti e accettati da tutti.
N. 1 CRITICA: le idee precedentemente sostenute sono attaccate e criticate, l’ordine
sociale viene meno, gli individui sono in contrasto tra di loro.
La dottrina di SAINT-SIMON non è collocata in un contesto medioevale e feudatario,
ma in una società industriale, in particolare all’avvento della società industriale, dopo la
Rivoluzione Francese.
I fautori e gli ideatori della Rivoluzione Francese, i metafisici, cioè i teorici del diritto
naturale, e gli uomini di legge, non riuscirono dopo la rivoluzione, a far uscire la società
dall’epoca critica perché, pur essendo riusciti ad abbattere il regime militare divennero
un gruppo di oziosi e improduttivi che vive a carico dell’industria che li nutre, li alloggia
e li veste gratuitamente.
Costoro si occupano più della forma che del contenuto, lavorano con idee astratte non
concrete: Saint-Simon sostiene che fin quando metafisici e uomini di legge si
occuperanno degli affari pubblici, la rivoluzione non arriverà mai alla fine.
Per arrivare ad una società organica che vada incontro alle esigenze della classe più
povera, occorre che il sistema giuridico sia affidato ai produttori, ossia agli imprenditori
industriali ed anche ai lavoratori.
Una società così conformata avrà come obiettivo quello di favorire l’industria, intesa
come l’insieme di tutti i lavori utili, quelli intellettuali e quelli manuali.
La società dovrà avere di un parlamento di tipo industriale cioè composto da tre
camere: a) quella dell’invenzione che elabora una serie i progetti e ne stimola la
produzione;
b) quella dell’esame che verifica la possibile attuazione dei progetti quella
dell’esecuzione che attua il progetto.
Il governo non dovrà più comandare ma amministrare.
Nella sua famosa “parabola” risulta chiaro che per Saint-Simon le organizzazioni
giuridico-politiche non sono l’elemento essenziale della società: egli ipotizza che se la
Francia dovesse perdere improvvisamente migliaia di uomini che esercitano funzioni di
primo piano nell’industria la nazione cadrebbe al livello di molte altre nazioni perché
non sarebbe in grado di sostituirli rapidamente.
Al contrario se venissero meno migliaia di esponenti della struttura giuridico politica,
come i membri della Corte, i componenti del governo o gli alti gradi della gerarchia
ecclesiastica, la Francia non correrebbe il rischio di divenire improduttiva poiché le
funzioni di tali personalità sarebbero facilmente sostituibili.
Saint-Simon e i suoi discepoli, i sansimoniani, sono contrari alle ideologie liberali e
democratiche, aspirano ad uno Stato autoritario organizzato su una gerarchia industriale
dove l’educazione dovrà essere il più potente mezzo di direzione della società e la
legislazione ne costituirà il complemento al fine di ottenere nel miglior modo l’ordine
sociale.
Il Contributo di Comte
Comte fu discepolo di Saint-Simon ma abbandonò il maestro perché non era d’accordo
sul fatto che per avere una nuova società industriale bastasse un’azione politica: per
Comte si doveva verificare prima una profonda rivoluzione intellettuale e morale.
Nella sua opera Cours de philosophie positive, opera fondamentale del positivismo,
l’autore ribadisce il concetto di far precedere ad una rivoluzione politica una rivoluzione
filosofica: ognuna delle nostre conoscenze principali e ogni settore delle conoscenze
passa attraverso tre stati teorici:
- lo stato Teologico, o fittizio, dove i fenomeni sono concepiti come il frutto dell’azione
di agenti soprannaturali al fine di spiegare le anomalie dell’universo;
- lo stato Metafisico, o astratto, dove gli agenti soprannaturali sono sostituiti da delle
forze astratte che sono delle vere e proprie entità;
- lo stato Scientifico, o positivo, dove i fenomeni vengono analizzati e spiegati tramite
il ragionamento e l’osservazione stabilendo le loro leggi effettive.
Tutte le scienze sono interessate da questa metodologia e quindi anche la sociologia che
Comte chiamerà fisica sociale.
Di questo argomento l’autore divide la fisica sociale in due parti: 1) quella statica, a cui
appartengono il problema di assicurare l’ordine e l’armonia tramite una ripartizione
delle funzioni e la suddivisione della società in famiglia, che è l’unità sociale di base, e
la “società in generale” ossia l’insieme delle famiglie; 2) quella dinamica secondo la
quale la società globale e quella particolare si sviluppano attraverso tre tipi di
organizzazioni che si manifestano in tre epoche successive:
l’epoca teologica e militare, l’epoca metafisica e giuridica, l’epoca positiva e
industriale.
E’ nel passaggio tra l’epoca metafisica a quella industriale che Comte conclude la sua
sociologia del diritto.
Nell’età metafisica gli uomini di legge, assieme ai metafisici, hanno preso il posto dei
teologi e sono diventati la classe dirigente: essi vogliono creare un ordine sociale nuovo
attraverso la legislazione.
Il loro modo di lavorare basato su astrazioni e la loro facoltà di persuasione non hanno
che legittimato il dispotismo regio e farlo coesistere, in precario equilibrio, con le libere
attività individuali.
Nell’età positiva la classe dirigente dovrà essere composta da scienziati e tecnici che
lavorano con i metodi dell’osservazione e di sperimentazione.
Con questo passaggio della direzione della società si dovranno verificare dei
cambiamenti radicali nei riguardi del diritto: la parola diritto e l’ideologia che ne sta
alla base dovranno essere eliminate, dovrà scomparire l’ideologia individualistica e
liberale che trovò nella dichiarazione dei diritti dell’uomo la sua massima espressione.
Per Comte ciascuno ha dei doveri verso gli altri, ma non dei diritti, le garanzie
individuali risultano dalla reciprocità degli obblighi. In poche parole nessuno ha altro
diritto all’infuori che fare il proprio dovere.
Non si deve pensare che Comte sia avverso al diritto poiché il diritto deve essere
profondamente rinnovato: è subordinato alla politica e alla morale e si presenta come
un ordinamento oggettivo, non più soggettivo, alla cui base stanno regole stabilite dalla
società a cui gli individui appartengono.
DISPENSA DI DEONTOLOGIA DELLE PROFESSIONI LEGALI
PROF.NICOLA MALIZIA
8 DA UTILIZZARE PER L’ESAME A PARTIRE DA GENNAIO 2017)
TITOLO II
RAPPORTI CON IL CLIENTE E CON LA PARTE ASSISTITA
Art. 23 – Conferimento dell’incarico
1. L’incarico è conferito dalla parte assistita; qualora sia conferito da un terzo,
nell’interesse proprio o della parte assistita, l’incarico deve essere accettato solo con il
consenso di quest’ultima e va svolto nel suo esclusivo interesse.
2. L’avvocato, prima di assumere l’incarico, deve accertare l’identità della persona che
lo conferisce e della parte assistita.
3.L’avvocato, dopo il conferimento del mandato, non deve intrattenere con il cliente e
con la parte assistita rapporti economici, patrimoniali, commerciali o di qualsiasi altra
natura, che in qualunque modo possano influire sul rapporto professionale, salvo quanto
previsto dall’art. 25.
4.L’avvocato non deve consigliare azioni inutilmente gravose.
5.L’avvocato è libero di accettare l’incarico, ma deve rifiutare di prestare la propria
attività quando, dagli elementi conosciuti, desuma che essa sia finalizzata alla
realizzazione di operazione illecita.
6.L’avvocato non deve suggerire comportamenti, atti o negozi nulli, illeciti o
fraudolenti.
7.La violazione dei doveri di cui ai commi 1 e 2 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei divieti di cui ai commi 3 e 4 comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare della censura. La violazione dei doveri di cui
ai commi 5 e 6 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione
dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.
Art. 24 – Conflitto di interessi
1. L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa
determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire
con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.
2. L’avvocato nell’esercizio dell’attività professionale deve conservare la propria
indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni
genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale.
3. Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la
violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la
conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita
o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato
nello svolgimento del nuovo incarico.
4. L’avvocato deve comunicare alla parte assistita e al cliente l’esistenza di circostanze
impeditive per la prestazione dell’attività richiesta.
5.Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si
rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione
professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in
maniera non occasionale.
6.La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 3 e 5 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a
tre anni. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 25 – Accordi sulla definizione del compenso
1. La pattuizione dei compensi, fermo quanto previsto dall’art. 29, quarto comma, è
libera. È ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente
ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della
prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore
dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, non
soltanto a livello strettamente patrimoniale.
2.Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso, in tutto o in
parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.
3.La violazione del divieto di cui al precedente comma comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a
sei mesi.
Art. 26 – Adempimento del mandato
1.L’accettazione di un incarico professionale presuppone la competenza a svolgerlo.
2.L’avvocato, in caso di incarichi che comportino anche competenze diverse dalle
proprie, deve prospettare al cliente e alla parte assistita la necessità di integrare
l’assistenza con altro collega in possesso di dette competenze.
3. Costituisce violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente
compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e
rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita.
4. Il difensore nominato d’ufficio, ove sia impedito di partecipare a singole attività
processuali, deve darne tempestiva e motivata comunicazione all’autorità procedente
ovvero incaricare della difesa un collega che, ove accetti, è responsabile
dell’adempimento dell’incarico.
5. La violazione dei doveri di cui ai commi 1 e 2 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei doveri di cui ai commi 3 e 4 comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 27 – Doveri di informazione
1. L’avvocato deve informare chiaramente la parte assistita, all’atto dell’assunzione
dell’incarico, delle caratteristiche e dell’importanza di quest’ultimo e delle attività da
espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione.
2. L’avvocato deve informare il cliente e la parte assistita sulla prevedibile durata del
processo e sugli oneri ipotizzabili; deve inoltre, se richiesto, comunicare in forma scritta,
a colui che conferisce l’incarico professionale, il prevedibile costo della prestazione.
3.L'avvocato, all'atto del conferimento dell'incarico, deve informare la parte assistita
chiaramente e per iscritto della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione
previsto dalla legge; deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso
giudiziario, pure previsti dalla legge.
4.L’avvocato, ove ne ricorrano le condizioni, all’atto del conferimento dell’incarico,
deve informare la parte assistita della possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello
Stato.
5.L’avvocato deve rendere noti al cliente ed alla parte assistita gli estremi della propria
polizza assicurativa.
6. L’avvocato, ogni qualvolta ne venga richiesto, deve informare il cliente e la parte
assistita sullo svolgimento del mandato a lui affidato e deve fornire loro copia di tutti gli
atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e
l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, fermo restando il
disposto di cui all’art. 48, terzo comma, del presente codice.
7. Fermo quanto previsto dall’art. 26, l’avvocato deve comunicare alla parte assistita la
necessità del compimento di atti necessari ad evitare prescrizioni, decadenze o altri
effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso.
8.L’avvocato deve riferire alla parte assistita, se nell’interesse di questa, il contenuto di
quanto appreso legittimamente nell’esercizio del mandato.
9.La violazione dei doveri di cui ai commi da 1 a 5 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei doveri di cui ai commi 6, 7 e
8 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 28 – Riserbo e segreto professionale
1. È dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il
segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano
fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a
conoscenza in dipendenza del mandato.
2. L’obbligo del segreto va osservato anche quando il mandato sia stato adempiuto,
comunque concluso, rinunciato o non accettato.
3. L’avvocato deve adoperarsi affinché il rispetto del segreto professionale e del
massimo riserbo sia osservato anche da dipendenti, praticanti, consulenti e collaboratori,
anche occasionali, in relazione a fatti e circostanze apprese nella loro qualità o per
effetto dell’attività svolta.
4. È consentito all’avvocato derogare ai doveri di cui sopra qualora la divulgazione di
quanto appreso sia necessaria:
a)per lo svolgimento dell’attività di difesa;
b)per impedire la commissione di un reato di particolare gravità;
c)per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte
assistita;
d)nell’ambito di una procedura disciplinare.
In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il
fine tutelato.
5. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura e, nei casi in cui la violazione attenga al segreto
professionale, l’applicazione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale
da uno a tre anni.
Art. 29 – Richiesta di pagamento
1. L’avvocato, nel corso del rapporto professionale, può chiedere la corresponsione di
anticipi, ragguagliati alle spese sostenute e da sostenere, nonché di acconti sul
compenso, commisurati alla quantità e complessità delle prestazioni richieste per
l’espletamento dell’incarico.
2. L’avvocato deve tenere la contabilità delle spese sostenute e degli acconti ricevuti e
deve consegnare, a richiesta del cliente, la relativa nota dettagliata.
3.L’avvocato deve emettere il prescritto documento fiscale per ogni pagamento ricevuto.
4.L’avvocato non deve richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati
all’attività svolta o da svolgere.
5. L’avvocato, in caso di mancato pagamento da parte del cliente, non deve richiedere
un compenso maggiore di quello già indicato, salvo ne abbia fatta riserva.
6. L’avvocato non deve subordinare al riconoscimento di propri diritti, o all’esecuzione
di prestazioni particolari da parte del cliente, il versamento a questi delle somme riscosse
per suo conto.
7. L’avvocato non deve subordinare l’esecuzione di propri adempimenti professionali al
riconoscimento del diritto a trattenere parte delle somme riscosse per conto del cliente o
della parte assistita.
8.L'avvocato, nominato difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato,
non deve chiedere né percepire dalla parte assistita o da terzi, a qualunque titolo,
compensi o rimborsi diversi da quelli previsti dalla legge.
9.La violazione dei doveri di cui ai commi da 1 a 5 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura. La violazione dei doveri di cui ai commi 6, 7 e 8.
comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio
dell’attività professionale da sei mesi a un anno
Art. 30 – Gestione di denaro altrui
1. L’avvocato deve gestire con diligenza il denaro ricevuto dalla parte assistita o da terzi
nell’adempimento dell’incarico professionale ovvero quello ricevuto nell’interesse della
parte assistita e deve renderne conto sollecitamente.
2. L’avvocato non deve trattenere oltre il tempo strettamente necessario le somme
ricevute per conto della parte assistita, senza il consenso di quest’ultima.
3. L’avvocato, nell’esercizio della propria attività professionale, deve rifiutare di
ricevere o gestire fondi che non siano riferibili ad un cliente.
4. L’avvocato, in caso di deposito fiduciario, deve contestualmente ottenere istruzioni
scritte ed attenervisi.
5. La violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della censura. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività
professionale da sei mesi a un anno. La violazione del dovere di cui al comma 3
comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio
dell’attività professionale da uno a tre anni.
Art. 31 – Compensazione
1. L’avvocato deve mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le
somme riscosse per conto della stessa.
2. L’avvocato ha diritto di trattenere le somme da chiunque ricevute a rimborso delle
anticipazioni sostenute, con obbligo di darne avviso al cliente.
3. L’avvocato ha diritto di trattenere le somme da chiunque ricevute imputandole a titolo
di compenso:
a)quando vi sia il consenso del cliente e della parte assistita;
b)quando si tratti di somme liquidate giudizialmente a titolo di compenso a carico della
controparte
e l’avvocato non le abbia già ricevute dal cliente o dalla parte assistita;
c) quando abbia già formulato una richiesta di pagamento del proprio compenso
espressamente accettata dal cliente.
4. La violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.
La violazione del dovere di cui al comma 2 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della censura.
Art. 32 – Rinuncia al mandato
1. L’avvocato ha la facoltà di recedere dal mandato, con le cautele necessarie per evitare
pregiudizi alla parte assistita.
2. In caso di rinuncia al mandato l’avvocato deve dare alla parte assistita un congruo
preavviso e deve informarla di quanto necessario per non pregiudicarne la difesa.
3. In ipotesi di irreperibilità della parte assistita, l’avvocato deve comunicare alla stessa
la rinuncia al mandato con lettera raccomandata all’indirizzo anagrafico o all’ultimo
domicilio conosciuto o a mezzo p.e.c.; con l’adempimento di tale formalità, fermi
restando gli obblighi di legge, l’avvocato è esonerato da ogni altra attività,
indipendentemente dall’effettiva ricezione della rinuncia.
4. L’avvocato, dopo la rinuncia al mandato, nel rispetto degli obblighi di legge, non è
responsabile per la mancata successiva assistenza, qualora non sia nominato in tempi
ragionevoli altro difensore.
5. L’avvocato deve comunque informare la parte assistita delle comunicazioni e
notificazioni che dovessero pervenirgli.
6. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 33 – Restituzione di documenti
1. L’avvocato, se richiesto, deve restituire senza ritardo gli atti ed i documenti ricevuti
dal cliente e dalla parte assistita per l’espletamento dell’incarico e consegnare loro copia
di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del
mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, fermo
restando il disposto di cui all’art. 48, terzo comma, del presente codice.
2.L’avvocato non deve subordinare la restituzione della documentazione al pagamento
del proprio compenso.
3.L’avvocato può estrarre e conservare copia di tale documentazione, anche senza il
consenso del cliente e della parte assistita.
4. La violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento. La violazione del divieto di cui al comma 2 comporta
l’applicazione della censura.
Art. 34 – Azione contro il cliente e la parte assistita per il pagamento del compenso
1. L’avvocato, per agire giudizialmente nei confronti del cliente o della parte assistita
per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, deve rinunciare a tutti gli
incarichi ricevuti.
2. La violazione del dovere di cui al comma precedente comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 35 – Dovere di corretta informazione
1. L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale deve rispettare i
doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso
riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.
2. L’avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti né
equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli,
funzioni o incarichi non inerenti l’attività professionale.
3.L’avvocato, nel fornire informazioni, deve in ogni caso indicare il titolo professionale,
la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza.
4.L’avvocato può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato
docente universitario di materie giuridiche; specificando in ogni caso la qualifica e la
materia di insegnamento.
5.L’iscritto nel registro dei praticanti può usare esclusivamente e per esteso il titolo di
“praticante avvocato”, con l’eventuale indicazione di “abilitato al patrocinio” qualora
abbia conseguito tale abilitazione.
6. Non è consentita l’indicazione di nominativi di professionisti e di terzi non
organicamente o direttamente collegati con lo studio dell’avvocato.
7. L’avvocato non può utilizzare nell’informazione il nome di professionista defunto,
che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente
previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi.
8. Nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri
clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano.
9. L’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini
propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale
associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al
Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso.
10. L’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non
può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta
che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito.
11.Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di
dignità e decoro della professione.
12.La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 36 - Divieto di attività professionale senza titolo e di uso di titoli inesistenti
1.Costituisce illecito disciplinare l'uso di un titolo professionale non conseguito ovvero
lo svolgimento di attività in mancanza di titolo o in periodo di sospensione.
2.Costituisce altresì illecito disciplinare il comportamento dell'avvocato che agevoli o, in
qualsiasi altro modo diretto o indiretto, renda possibile a soggetti non abilitati o sospesi
l'esercizio abusivo dell'attività di avvocato o consenta che tali soggetti ne possano
ricavare benefici economici, anche se limitatamente al periodo di eventuale sospensione
dell'esercizio dell'attività.
3.La violazione del comma 1 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della
sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da sei mesi a un anno. La violazione
del comma 2 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione
dall'esercizio dell'attività professionale da due a sei mesi.
Art. 37 – Divieto di accaparramento di clientela
1.L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori
o con modi non conformi a correttezza e decoro.
2.L’avvocato non deve offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o altri
compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per l’ottenimento di
incarichi professionali.
3. Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o prestazioni a terzi ovvero la
corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi.
4. E’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni
professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in
generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
5.E’ altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione
personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare.
6.La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
TITOLO III
RAPPORTI CON I COLLEGHI
Art. 38 – Rapporto di colleganza
1. L’avvocato che intenda promuovere un giudizio nei confronti di un collega per fatti
attinenti all’esercizio della professione deve dargliene preventiva comunicazione per
iscritto, salvo che l’avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare.
2. L’avvocato non deve registrare una conversazione telefonica con un collega; la
registrazione nel corso di una riunione è consentita soltanto con il consenso di tutti i
presenti.
3.L’avvocato non deve riportare in atti processuali o riferire in giudizio il contenuto di
colloqui riservati intercorsi con colleghi.
4.La violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei divieti di cui ai comma 2 e 3 comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 39 – Rapporti con i collaboratori dello studio
1. L’avvocato deve consentire ai propri collaboratori di migliorare la loro preparazione
professionale e non impedire od ostacolare la loro crescita formativa, compensandone in
maniera adeguata la collaborazione, tenuto conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture
dello studio.
2. La violazione dei doveri di cui al presente articolo comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare dell’avvertimento.
Art. 40 – Rapporti con i praticanti
1. L’avvocato deve assicurare al praticante l’effettività e la proficuità della pratica
forense, al fine di consentirgli un’adeguata formazione.
2. L’avvocato deve fornire al praticante un idoneo ambiente di lavoro e, fermo l’obbligo
del rimborso delle spese, riconoscergli, dopo il primo semestre di pratica, un compenso
adeguato, tenuto conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio.
3.L’avvocato deve attestare la veridicità delle annotazioni contenute nel libretto di
pratica solo in seguito ad un adeguato controllo e senza indulgere a motivi di favore o
amicizia.
4.L’avvocato non deve incaricare il praticante di svolgere attività difensiva non
consentita.
5.La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 2 e 3 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione del divieto di cui al comma 4
comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 41 – Rapporti con parte assistita da collega
1. L’avvocato non deve mettersi in contatto diretto con la controparte che sappia assistita
da altro collega.
2. L’avvocato, in ogni stato del procedimento e in ogni grado del giudizio, può avere
contatti con le altre parti solo in presenza del loro difensore o con il consenso di questi.
3. L’avvocato può indirizzare corrispondenza direttamente alla controparte, inviandone
sempre copia per conoscenza al collega che la assiste, esclusivamente per richiedere
comportamenti determinati, intimare messe in mora, evitare prescrizioni o decadenze.
4. L’avvocato non deve ricevere la controparte assistita da un collega senza informare
quest’ultimo e ottenerne il consenso.
5. La violazione dei doveri e divieti di cui al presente articolo comporta l’applicazione
della sanzione disciplinare della censura.
Art. 42 – Notizie riguardanti il collega
1. L’avvocato non deve esprimere apprezzamenti denigratori sull’attività professionale
di un collega.
2. L’avvocato non deve esibire in giudizio documenti relativi alla posizione personale
del collega avversario né utilizzare notizie relative alla sua persona, salvo che il collega
sia parte del giudizio e che l’utilizzo di tali documenti e notizie sia necessario alla tutela
di un diritto.
3. La violazione dei divieti di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare dell’avvertimento.
Art. 43 – Obbligo di soddisfare le prestazioni affidate ad altro collega
1. L’avvocato che incarichi direttamente altro collega di esercitare le funzioni di
rappresentanza o assistenza deve provvedere a compensarlo, ove non adempia il cliente.
2. La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 44 – Divieto di impugnazione della transazione raggiunta con il collega
1. L’avvocato che abbia raggiunto con il collega avversario un accordo transattivo,
accettato dalle parti, deve astenersi dal proporne impugnazione, salvo che la stessa sia
giustificata da fatti sopravvenuti o dei quali dimostri di non avere avuto conoscenza.
2. La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 45 – Sostituzione del collega nell’attività di difesa
1. Nel caso di sostituzione di un collega per revoca dell’incarico o rinuncia, il nuovo
difensore deve rendere nota la propria nomina al collega sostituito, adoperandosi, senza
pregiudizio per l’attività difensiva, perché siano soddisfatte le legittime richieste per le
prestazioni svolte.
2. La violazione dei doveri di cui al precedente comma comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare dell’avvertimento.
TITOLO IV
DOVERI DELL’AVVOCATO NEL PROCESSO
Art. 46 – Dovere di difesa nel processo e rapporto di colleganza
1. Nell’attività giudiziale l’avvocato deve ispirare la propria condotta all’osservanza del
dovere di difesa, salvaguardando, per quanto possibile, il rapporto di colleganza.
2. L’avvocato deve rispettare la puntualità sia in sede di udienza che in ogni altra
occasione di incontro con colleghi; la ripetuta violazione del divieto costituisce illecito
disciplinare.
3. L’avvocato deve opporsi alle istanze irrituali o ingiustificate che, formulate nel
processo dalle controparti, comportino pregiudizio per la parte assistita.
4. Il difensore nominato di fiducia deve comunicare tempestivamente al collega, già
nominato d’ufficio, l’incarico ricevuto e, senza pregiudizio per il diritto di difesa, deve
sollecitare la parte a provvedere al pagamento di quanto dovuto al difensore d’ufficio
per l’attività svolta.
5. L’avvocato, nell’interesse della parte assistita e nel rispetto della legge, collabora con
i difensori delle altre parti, anche scambiando informazioni, atti e documenti.
6.L’avvocato, nei casi di difesa congiunta, deve consultare il codifensore su ogni scelta
processuale e informarlo del contenuto dei colloqui con il comune assistito, al fine della
effettiva condivisione della difesa.
7.L’avvocato deve comunicare al collega avversario l’interruzione delle trattative
stragiudiziali, nella prospettiva di dare inizio ad azioni giudiziarie.
8. La violazione dei doveri di cui ai commi da 1 a 6 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione del dovere di cui al comma 7
comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 47 – Obbligo di dare istruzioni e informazioni al collega
1.L’avvocato deve dare tempestive istruzioni al collega corrispondente e questi, del pari,
è tenuto a dare al collega sollecite e dettagliate informazioni sull’attività svolta e da
svolgere.
2.L’elezione di domicilio presso un collega deve essergli preventivamente comunicata e
da questi essere consentita.
3. L’avvocato corrispondente non deve definire direttamente una controversia, in via
transattiva, senza informare il collega che gli ha affidato l’incarico.
4. L’avvocato corrispondente, in difetto di istruzioni, deve adoperarsi nel modo più
opportuno per la tutela degli interessi della parte, informando non appena possibile il
collega che gli ha affidato l’incarico.
5. La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 2 e 4 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione del divieto di cui al comma 3
comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 48 – Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega
1. L’avvocato non deve produrre, riportare in atti processuali o riferire in giudizio la
corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualificata come riservata, nonché
quella contenente proposte transattive e relative risposte.
2. L’avvocato può produrre la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando la stessa:
a)costituisca perfezionamento e prova di un accordo;
b)assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.
3.L’avvocato non deve consegnare al cliente e alla parte assistita la corrispondenza
riservata tra colleghi; può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al
collega che gli succede, a sua volta tenuto ad osservare il medesimo dovere di
riservatezza.
4.L’abuso della clausola di riservatezza costituisce autonomo illecito disciplinare.
5.La violazione dei divieti di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 49 – Doveri del difensore
1. L’avvocato nominato difensore d’ufficio deve comunicare alla parte assistita che ha
facoltà di scegliersi un difensore di fiducia e informarla che anche il difensore d’ufficio
ha diritto ad essere retribuito.
2.L’avvocato non deve assumere la difesa di più indagati o imputati che abbiano reso
dichiarazioni accusatorie nei confronti di altro indagato o imputato nel medesimo
procedimento o in procedimento connesso o collegato.
3.L’avvocato indagato o imputato in un procedimento penale non può assumere o
mantenere la difesa di altra parte nell’ambito dello stesso procedimento.
4. La violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei divieti di cui al commi 2 e 3 comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività
professionale da sei mesi a un anno.
Art. 50 – Dovere di verità
1. L’avvocato non deve introdurre nel procedimento prove o elementi di prova,
dichiarazioni o documenti che sappia essere falsi.
2.L’avvocato non deve utilizzare nel procedimento prove o elementi di prova,
dichiarazioni o documenti prodotti o provenienti dalla parte assistita che sappia o
apprenda essere falsi.
3.L’avvocato che apprenda, anche successivamente, dell’introduzione nel procedimento
di prove o elementi di prova, dichiarazioni o documenti falsi, provenienti dalla parte
assistita, non può utilizzarli e deve rinunciare al mandato.
4.L’obbligo di rinuncia al mandato non sussiste se produzione o introduzione avvengano
ad opera di parte diversa dal proprio assistito.
5. L’avvocato non deve impegnare di fronte al giudice la propria parola sulla verità dei
fatti esposti in giudizio.
6. L’avvocato, nel procedimento, non deve rendere false dichiarazioni sull’esistenza o
inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza e suscettibili di essere assunti come
presupposto di un provvedimento del magistrato.
7. L’avvocato, nella presentazione di istanze o richieste riguardanti lo stesso fatto, deve
indicare i provvedimenti già ottenuti, compresi quelli di rigetto.
8. La violazione dei divieti di cui al comma 1, 2, 3, 5 e 6 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a
tre anni. La violazione del dovere di cui al comma 7 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare dell’avvertimento.
Art. 51 – La testimonianza dell’avvocato
1. L’avvocato deve astenersi, salvo casi eccezionali, dal deporre, come persona
informata sui fatti o come testimone, su circostanze apprese nell’esercizio della propria
attività professionale e ad essa inerenti.
2. L’avvocato deve comunque astenersi dal deporre sul contenuto di quanto appreso nel
corso di colloqui riservati con colleghi nonché sul contenuto della corrispondenza
riservata intercorsa con questi ultimi.
3. Qualora l’avvocato intenda presentarsi come testimone o persona informata sui fatti
non deve assumere il mandato e, se lo ha assunto, deve rinunciarvi e non può
riassumerlo.
4. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 52 – Divieto di uso di espressioni offensive o sconvenienti
1.L’avvocato deve evitare espressioni offensive o sconvenienti negli scritti in giudizio e
nell’esercizio dell’attività professionale nei confronti di colleghi, magistrati, controparti
o terzi.
2.La ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono la rilevanza
disciplinare della condotta.
3.La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della censura.
Art. 53 – Rapporti con i magistrati
1.I rapporti con i magistrati devono essere improntati a dignità e a reciproco rispetto.
2.L’avvocato, salvo casi particolari, non deve interloquire con il giudice in merito al
procedimento in corso senza la presenza del collega avversario.
3.L’avvocato chiamato a svolgere funzioni di magistrato onorario deve rispettare tutti gli
obblighi inerenti a tali funzioni e le norme sulle incompatibilità.
4. L’avvocato non deve approfittare di rapporti di amicizia, familiarità o confidenza con
i magistrati per ottenere o richiedere favori e preferenze, né ostentare l’esistenza di tali
rapporti.
5. L’avvocato componente del Consiglio dell’Ordine non deve accettare incarichi
giudiziari da parte dei magistrati del circondario, fatta eccezione per le nomine a
difensore d’ufficio.
6. La violazione dei doveri e divieti di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione
della sanzione disciplinare della censura.
Art. 54 – Rapporti con arbitri, conciliatori, mediatori, periti e consulenti tecnici
1.I divieti e doveri di cui all’art. 53, commi 1, 2 e 4, si applicano anche ai rapporti
dell’avvocato con arbitri, conciliatori, mediatori, periti, consulenti tecnici d’ufficio e
della controparte.
2.La violazione dei divieti e doveri di cui al presente articolo comporta l’applicazione
della sanzione disciplinare della censura.
Art. 55 – Rapporti con i testimoni e persone informate
1.L’avvocato non deve intrattenersi con testimoni o persone informate sui fatti oggetto
della causa o del procedimento con forzature o suggestioni dirette a conseguire
deposizioni compiacenti.
2.Il difensore, nell’ambito del procedimento penale, ha facoltà di procedere ad
investigazioni difensive nei modi e termini previsti dalla legge e nel rispetto delle
disposizioni che seguono e di quelle emanate dall’Autorità Garante per la protezione dei
dati personali.
3. Il difensore deve mantenere il segreto sugli atti delle investigazioni difensive e sul
loro contenuto, finché non ne faccia uso nel procedimento, salva la rivelazione per
giusta causa nell’interesse della parte assistita.
4. Nel caso in cui il difensore si avvalga di sostituti, collaboratori, investigatori privati
autorizzati e consulenti tecnici, può fornire agli stessi tutte le informazioni e i documenti
necessari per l’espletamento dell’incarico, anche nella ipotesi di segretazione degli atti,
imponendo il vincolo del segreto e l’obbligo di comunicare esclusivamente a lui i
risultati dell’attività.
5. Il difensore deve conservare scrupolosamente e riservatamente la documentazione
delle investigazioni difensive per tutto il tempo necessario o utile all’esercizio della
difesa.
6.Gli avvisi che il difensore e gli altri soggetti eventualmente da lui delegati sono tenuti
a dare per legge alle persone interpellate ai fini delle investigazioni, devono essere
documentati per iscritto.
7.Il difensore e gli altri soggetti da lui eventualmente delegati non devono corrispondere
alle persone, interpellate ai fini delle investigazioni, compensi o indennità sotto qualsiasi
forma, salva la facoltà di provvedere al rimborso delle sole spese documentate.
8.Per conferire con la persona offesa dal reato, assumere informazioni dalla stessa o
richiedere dichiarazioni scritte, il difensore deve procedere con invito scritto, previo
avviso all’eventuale difensore della stessa persona offesa, se conosciuto; in ogni caso
nell’invito è indicata l’opportunità che la persona provveda a consultare un difensore
perché intervenga all’atto.
9.Il difensore deve informare i prossimi congiunti della persona imputata o sottoposta ad
indagini della facoltà di astenersi dal rispondere, specificando che, qualora non
intendano avvalersene, sono obbligati a riferire la verità.
10.Il difensore deve documentare in forma integrale le informazioni assunte; quando è
disposta la riproduzione, anche fonografica, le informazioni possono essere documentate
in forma riassuntiva.
11.Il difensore non deve consegnare copia o estratto del verbale alla persona che ha reso
informazioni, né al suo difensore.
12.La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi.
La violazione dei
doveri, dei divieti, degli obblighi di legge e delle prescrizioni di cui ai commi 3, 4 e 7
comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio
dell’attività professionale da sei mesi a un anno. La violazione dei doveri, dei divieti,
degli obblighi di legge e delle prescrizioni di cui ai commi 5, 6, 8, 9, 10 e 11 comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 56 – Ascolto del minore
1.L’avvocato non può procedere all’ascolto di una persona minore di età senza il
consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale, sempre che non sussista conflitto
di interessi con gli stessi.
2.L’avvocato del genitore, nelle controversie in materia familiare o minorile, deve
astenersi da ogni forma di colloquio e contatto con i figli minori sulle circostanze
oggetto delle stesse.
3. L’avvocato difensore nel procedimento penale, per conferire con persona minore,
assumere informazioni dalla stessa o richiederle dichiarazioni scritte, deve invitare
formalmente gli esercenti la responsabilità genitoriale, con indicazione della facoltà di
intervenire all’atto, fatto salvo l’obbligo della presenza dell’esperto nei casi previsti
dalla legge e in ogni caso in cui il minore sia persona offesa dal reato.
4. La violazione dei doveri e divieti di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione
della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da
sei mesi a un anno.
Art. 57 – Rapporti con organi di informazione e attività di comunicazione
1.L’avvocato, fatte salve le esigenze di difesa della parte assistita, nei rapporti con gli
organi di informazione e in ogni attività di comunicazione, non deve fornire notizie
coperte dal segreto di indagine, spendere il nome dei propri clienti e assistiti, enfatizzare
le proprie capacità professionali, sollecitare articoli o interviste e convocare conferenze
stampa.
2.La violazione dei divieti di cui al comma precedente comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a
sei mesi.
Art. 58 – Notifica in proprio
1. Il compimento di abusi nell’esercizio delle facoltà previste dalla legge in materia di
notificazione costituisce illecito disciplinare.
2. Il comportamento di cui al comma precedente comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi.
Art. 59 – Calendario del processo
1.Il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario del processo civile, ove
determinato esclusivamente dal comportamento dilatorio dell’avvocato, costituisce
illecito disciplinare.
2.La violazione del comma precedente comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento.
Art. 60 – Astensione dalle udienze
1. L’avvocato ha diritto di astenersi dal partecipare alle udienze e alle altre attività
giudiziarie quando l’astensione sia proclamata dagli Organi forensi, ma deve attenersi
alle disposizioni del codice di autoregolamentazione e alle norme vigenti.
2.L’avvocato che eserciti il proprio diritto di non aderire alla astensione deve informare
con congruo anticipo gli altri difensori costituiti.
3.L’avvocato non può aderire o dissociarsi dalla proclamata astensione a seconda delle
proprie contingenti convenienze.
4. L’avvocato che aderisca all’astensione non può dissociarsene con riferimento a
singole giornate o a proprie specifiche attività né può aderirvi parzialmente, in certi
giorni o per particolari proprie attività professionali.
5. La violazione dei doveri di cui ai commi 1 e 2 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei doveri di cui ai commi 3 e 4 comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 61 – Arbitrato
1.L’avvocato chiamato a svolgere la funzione di arbitro deve improntare il proprio
comportamento a probità e correttezza e vigilare che il procedimento si svolga con
imparzialità e indipendenza.
2.L’avvocato non deve assumere la funzione di arbitro quando abbia in corso, o abbia
avuto negli ultimi due anni, rapporti professionali con una delle parti e, comunque, se
ricorre una delle ipotesi di ricusazione degli arbitri previste dal codice di rito.
3. L’avvocato non deve accettare la nomina ad arbitro se una delle parti del
procedimento sia assistita, o sia stata assistita negli ultimi due anni, da altro
professionista di lui socio o con lui associato, ovvero che eserciti negli stessi locali.
In ogni caso l’avvocato deve comunicare per iscritto alle parti ogni ulteriore circostanza
di fatto e ogni rapporto con i difensori che possano incidere sulla sua indipendenza, al
fine di ottenere il consenso delle parti stesse all’espletamento dell’incarico.
4. L’avvocato che viene designato arbitro deve comportarsi nel corso del procedimento
in modo da preservare la fiducia in lui riposta dalle parti e deve rimanere immune da
influenze e condizionamenti esterni di qualunque tipo.
5. L’avvocato nella veste di arbitro:
a)deve mantenere la riservatezza sui fatti di cui venga a conoscenza in ragione del
procedimento arbitrale;
b)non deve fornire notizie su questioni attinenti al procedimento;
c)non deve rendere nota la decisione prima che questa sia formalmente comunicata a
tutte le parti.
6.L’avvocato che ha svolto l’incarico di arbitro non deve intrattenere rapporti
professionali con una delle parti:
a)se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento;
b)se l’oggetto dell’attività non sia diverso da quello del procedimento stesso.
7.Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi
locali.
8.La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7 comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività
professionale da due a sei mesi.
La violazione del divieto di cui al comma 2 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un
anno.
Art. 62 – Mediazione
1. L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati
dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione,
nei limiti in cui queste ultime previsioni non contrastino con quelle del presente codice.
2.L’avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata
competenza.
3.Non deve assumere la funzione di mediatore l’avvocato:
a)che abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una
delle parti;
b)se una delle parti sia assistita o sia stata assistita negli ultimi due anni da professionista
di lui socio o con lui associato ovvero che eserciti negli stessi locali.
In ogni caso costituisce condizione ostativa all’assunzione dell’incarico di mediatore la
ricorrenza di una delle ipotesi di ricusazione degli arbitri previste dal codice di rito.
4. L’avvocato che ha svolto l’incarico di mediatore non deve intrattenere rapporti
professionali con una delle parti:
a)se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento;
b)se l’oggetto dell’attività non sia diverso da quello del procedimento stesso.
Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi
locali.
5. L’avvocato non deve consentire che l’organismo di mediazione abbia sede, a qualsiasi
titolo, o svolga attività presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso
l’organismo di mediazione.
6. La violazione dei doveri e divieti di cui al 1 e 2 comma comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura; la violazione dei divieti di cui ai commi 3, 4 e 5
comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio
dell’attività professionale da due a sei mesi.
TITOLO V
RAPPORTI CON TERZI E CONTROPARTI
Art. 63 – Rapporti con i terzi
1. L’avvocato, anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei
rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e
l’affidamento dei terzi.
2. L’avvocato deve tenere un comportamento corretto e rispettoso nei confronti dei
propri dipendenti, del personale giudiziario e di tutte le persone con le quali venga in
contatto nell’esercizio della professione.
3. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare dell’avvertimento.
Art. 64 – Obbligo di provvedere all’adempimento di obbligazioni assunte nei
confronti dei terzi
1.L’avvocato deve adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi.
2.L’inadempimento ad obbligazioni estranee all’esercizio della professione assume
carattere di illecito disciplinare quando, per modalità o gravità, sia tale da
compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi.
3.La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a
sei mesi.
Art. 65 – Minaccia di azioni alla controparte
1. L’avvocato può intimare alla controparte particolari adempimenti sotto comminatoria
di azioni, istanze fallimentari, denunce, querele o altre iniziative, informandola delle
relative conseguenze, ma non deve minacciare azioni o iniziative sproporzionate o
vessatorie.
2.L’avvocato che, prima di assumere iniziative, ritenga di invitare la controparte ad un
colloquio nel proprio studio, deve precisarle che può essere accompagnata da un legale
di fiducia.
3.L’avvocato può addebitare alla controparte competenze e spese per l’attività prestata
in sede stragiudiziale, purché la richiesta di pagamento sia fatta a favore del proprio
cliente.
4. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 66 – Pluralità di azioni nei confronti della controparte
1.L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la
situazione debitoria della controparte, quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di
tutela della parte assistita.
2.La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della censura.
Art. 67 – Richiesta di compenso professionale alla controparte
1.L’avvocato non deve richiedere alla controparte il pagamento del proprio compenso
professionale, salvo che ciò sia oggetto di specifica pattuizione e vi sia l’accordo del
proprio cliente, nonché in ogni altro caso previsto dalla legge.
2.L’avvocato, nel caso di inadempimento del cliente, può chiedere alla controparte il
pagamento del proprio compenso professionale a seguito di accordi, presi in qualsiasi
forma, con i quali viene definito un procedimento giudiziale o arbitrale.
3. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento.
Art. 68 – Assunzione di incarichi contro una parte già assistita
1.L’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo
quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale.
2.L’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita
quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza.
3.In ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del
rapporto già esaurito.
4.L’avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di
natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno
di essi in controversie successive tra i medesimi.
5.L’avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre
astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive
controversie aventi la medesima natura, e viceversa.
6.La violazione dei divieti di cui al comma 1 e 4 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi.
La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 2, 3 e 5 comporta l’applicazione della
sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a
tre anni.
TITOLO VI
RAPPORTI CON LE ISTITUZIONI FORENSI
Art. 69 – Elezioni e rapporti con le Istituzioni forensi
1. L’avvocato, chiamato a far parte delle Istituzioni forensi, deve adempiere l’incarico
con diligenza, indipendenza e imparzialità.
2. L’avvocato che partecipi, quale candidato o quale sostenitore di candidati, ad elezioni
ad Organi rappresentativi dell’Avvocatura deve comportarsi con correttezza, evitando
forme di propaganda ed iniziative non consone alla dignità delle funzioni.
3.È vietata ogni forma di iniziativa o propaganda elettorale nella sede di svolgimento
delle elezioni e durante le operazioni di voto.
4.Nelle sedi di svolgimento delle operazioni di voto è consentita la sola affissione delle
liste elettorali e di manifesti contenenti le regole di svolgimento delle operazioni.
5.La violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della censura. La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 2, 3 e 4
comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.
Art. 70 – Rapporti con il Consiglio dell’Ordine
1. L’avvocato, al momento dell’iscrizione all’albo, ha l’obbligo di dichiarare l’eventuale
sussistenza di rapporti di parentela, coniugio, affinità e convivenza con magistrati, per i
fini voluti dall’ordinamento giudiziario; tale obbligo sussiste anche con riferimento a
sopravvenute variazioni. 2. L’avvocato deve dare comunicazione scritta e immediata al
Consiglio dell’Ordine di appartenenza, e a quello eventualmente competente per
territorio, della costituzione di associazioni o società professionali, dell’apertura di studi
principali, secondari e di recapiti professionali e dei successivi eventi modificativi.
3.L’avvocato può partecipare ad una sola associazione o società tra avvocati.
4.L’avvocato deve assolvere gli obblighi assicurativi previsti dalla legge, nonchè quelli
contributivi nei confronti delle Istituzioni forensi.
5. L’avvocato deve comunicare al proprio Consiglio dell’Ordine gli estremi delle polizze
assicurative ed ogni loro successiva variazione.
6.L’avvocato deve rispettare i regolamenti del Consiglio Nazionale Forense e del
Consiglio dell’Ordine di appartenenza concernenti gli obblighi e i programmi formativi.
7.La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 2, 3, 5 e 6 del presente articolo comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento; la violazione dei doveri di
cui al comma 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 71 – Dovere di collaborazione
1. L’avvocato deve collaborare con le Istituzioni forensi per l’attuazione delle loro
finalità, osservando scrupolosamente il dovere di verità; a tal fine deve riferire fatti a sua
conoscenza relativi alla vita forense o alla amministrazione della giustizia, che
richiedano iniziative o interventi istituzionali.
2. Qualora le Istituzioni forensi richiedano all’avvocato chiarimenti, notizie o
adempimenti in relazione a situazioni segnalate da terzi, tendenti ad ottenere notizie o
adempimenti nell’interesse degli stessi, la mancata sollecita risposta dell’iscritto
costituisce illecito disciplinare.
3.Nell'ambito di un procedimento disciplinare, o della fase ad esso preliminare, la
mancata sollecita risposta agli addebiti comunicatigli e la mancata presentazione di
osservazioni e difese non costituiscono autonomo illecito disciplinare, pur potendo tali
comportamenti essere valutati dall'organo giudicante nella formazione del proprio libero
convincimento.
4.La violazione dei doveri di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei doveri di cui al comma 2 comporta
l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Art. 72 – Esame di abilitazione
1. L'avvocato che faccia pervenire, in qualsiasi modo, ad uno o più candidati, prima o
durante la prova d’esame, testi relativi al tema proposto è punito con la sanzione
disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi.
2. Qualora sia commissario di esame, la sanzione non può essere inferiore alla
sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.
3. Il candidato che, nell'aula ove si svolge l'esame di abilitazione, riceva scritti o appunti
di qualunque genere, con qualsiasi mezzo, e non ne faccia immediata denuncia alla
Commissione, è punito con la sanzione disciplinare della censura.
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