L’avvocato: un mestiere entusiasmante. Una breve riflessione sull’avvocato (penalista, in modo particolare) e sul modo di atteggiarsi verso la propria professione. I giuristi hanno a lungo ritenuto che la loro forza consista in rigide separazioni scientifiche. Questo vecchio camicie merita rispetto e serve ancora. Ma non può contenere tutto ciò che conta. Il postulato dell’autonomia è utile solo per metà. Il diritto e la procedura penetrano il terreno dell’antropologia, della letteratura, delle belle arti, della religione, del giornalismo e d’altro ancora. Se si vuol capire che cosa essi sono, come si attuano, quali miserie e quali altezze portano con sé, non si può ignorare il pensiero, le difese, le accuse che vengono da tali aree limitrofe. In particolare per chi si dedichi alla materia penale, è escluso che possa tornare da simili spaventose ispezioni identico a quando vi era entrato. La dogmatica, gli studi giuridici autonomi restano opportuni, ma non bastano: soprattutto se essi accantonano le immoralità intrinseche dello strumento penale. Così quel tipo d’attenzione scientifica, si risolve in rimozioni tali da lasciarci materia e immagini assai preferibili, ma – proprio dai libri puri del diritto – indebitamente selezionate o create. Gli avvocati devono essere capaci di avere un senso critico, soprattutto attraverso il potenziamento della cultura umanistica che è sempre più necessaria per riuscire ad intercettare gli svariati mosaici che interferiscono sulla percezione della realtà. Non può esistere di fatti diritto, legge, che non si basi anche sulla storia, sulla sociologia, sull’estetica, sull’antropologia, sulla filosofia e sulla letteratura, tutte discipline che servono al fine di conoscere l’umano. Gli avvocati, ma anche tutti i giuristi, magistrati e notai compresi, utilizzano necessariamente e quotidianamente le moderne scienze umanistiche per uno svolgimento consapevole del proprio ruolo. Concludo, questa breve considerazione sull’avvocato, ricordando le qualità che un avvocato dovrebbe avere, scritta, nella prima metà del 1800, da un celebre avvocato francese, Paillet, che diceva: “Date ad un uomo tutte le doti dello spirito, dategli tutte quelle del carattere, fate che abbia tutto veduto, tutto appreso, e tutto ritenuto, che egli abbia lavorato senza posa per trent’anni della sua vita, che egli sia insieme un letterato, un critico, un moralista, che abbia l’esperienza di un vecchio, l’ardore di un giovane, la memoria infallibile di un fanciullo, e forse con tutto ciò formerete un avvocato completo”. Gli avvocati sono dei tecnici del diritto, ma non solo: debbono per cercare di essere degli eccellenti avvocati anche degli interpreti delle norme, sempre più spesso oscure, incomplete, di un legislatore preso dalle emergenze che legifera a seconda dei casi concreti, dato che tali riforme si fanno strada solo in virtù dell’emergere mediatico di singoli casi giudiziari, nella cui eco appare di volta in volta assolutamente imprescindibile abolire o allungare i termini di prescrizione, triplicare le pene edittali di questo o quel reato, abolire o ridurre i mezzi impugnazione (non da ultimo il d.d.l. sulla prescrizione in seguito alla sentenza Eternit) Quindi a fronte di un testo poco chiaro, è compito degli avvocati far luce sul testo che non dice, su un testo che non racconti tutto il raccontabile. Poiché l’avvocato si deve fare interprete delle norme, ossia porre in luce ciò che il testo non dice, ma al tempo stesso ne sia fondamento e giustificazione del segno visibile, creando l’esegesi che porti all’ermeneutica, ovvero ad una lettura sistematica, che conduca il tutto sotto i principi generali dell’ordinamento, faro dell’interpretazione del sistema. Francesco Ungaretti