La stella nova di Natale
di Mauro Pedrazzoli
in “il foglio” - mensile di alcuni cristiani torinesi – del dicembre 2013
Nel Nuovo Testamento troviamo conservati modi diversi di considerare Gesù, distribuiti in una
«storia della fede» che potremmo ritenere un suo elemento portante, così come in filosofia la
dimensione storica del pensiero è costituiva del pensiero stesso. Dovremmo appunto pensare di più
alla storia della fede come alla storia della filosofia, senza raggiungere un punto finale, una
definizione onnicomprensiva, una concezione esaustiva come pienezza della verità: anzi il pensiero
s'incarna nelle varie epoche storiche con paradigmi differenti.
Solo l'unico Dio è buono, non Gesù
Ad es. nei tre vangeli sinottici non v'è alcuna idea né della divinità né della pre-esistenza di Gesù
(cioè che per Natale sia disceso dal cielo come dice S. Alfonso in maniera semplice e popolare nel
canto Tu scendi dalle stelle): nemmeno nei racconti dell'infanzia, e prescindendo dalle finali tardive
aggiunte come la formula trinitaria-battesimale in Mt 28,19. Anzi Marco 10,17-18 pare affermare il
contrario: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non l'unico Dio soltanto». Il detto è così
micidiale per la dogmatica classica (Gesù in quel momento sembra non avere alcuna coscienza né
della sua pre-esistenza né della sua divinità, poiché si pensa come decisamente diverso e staccato
dall'unico Dio) che, per il criterio d'imbarazzo, è del Gesù storico al mille per mille. Abbiamo pure
la formula di fede di Romani 1,3-4: «nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito figlio di
Dio... a partire dalla resurrezione dai morti».
Non è difficile ripercorrere questo cammino, questa storia che va dal figlio di Dio nella
resurrezione, al figlio di Dio nel battesimo, al figlio di Davide sino al prologo del quarto vangelo
col Logos pre-esistente che s'incarna. Così si esprime Ursicin G. G. Derungs: «Fu egli figlio di Dio,
oppure venne costituito Figlio di Dio nella risurrezione? Oppure già prima nel suo battesimo?
Oppure fin dall'inizio della sua esistenza umana secondo il racconto dell'annunciazione... Dunque,
anche figlio di David?» («Servitium» n. 208, p. '71). Ricordiamo che il titolo Figlio di Dio (ben
diverso da Il Figlio presente in modo massiccio nell'ultimo vangelo) all'inizio non vuol dire più di
tanto; anche il popolo d'Israele è figlio di Dio, nonché Adamo nella genealogia (Luca 3,38), e pure
il Re come in una parte molto antica, quasi sinottica, del quarto vangelo (Gv 1,44-49), dove Gesù
viene definito seccamente figlio di Giuseppe di Nazareth, Betsaida la città di Andrea e Pietro, e in
cui Natanaele dice: «Tu sei il figlio di Dio, tu sei il Re d'Israele» (figlio di Dio e re sono quasi
sinonimi).
Derungs rivendica giustamente e con forza che nessuno di questi sia risucchiato e spazzato via dal
successivo: «Nessuno di questi punti o passaggi viene annullato dal prossimo! ... In altre parole: è
presente una "storia" della fede come elemento costitutivo di essa» (ibidem). Il NT tiene
giustamente unite le varie concezioni. Paolo stesso, pur avendo una visione più «avanzata» (quale
risulta da alcuni suoi inni), cita la suddetta formula di fede a lui anteriore, anche se essa suona
(almeno apparentemente) più «arcaica», «primitiva», poiché sembra una «decisione a scelta
ritardata» nei termini di un'adozione.
Tre vangeli stravolti (anche dai canti)
Purtroppo però la storia dei dogmi, con l'incarnazione della seconda persona della Trinità, ha
fagocitato tutto quanto la precedeva condannandolo all'irrilevanza ed all'insignificanza; figlio di
Davide, figlio dell'uomo, e figlio di Dio a partire dalla resurrezione non dicono più niente, semmai
costituiscono solo un disturbo per la dogmatica cattolica. La stella di Natale non sarà tanto una
stella-cometa (che comunque anche quest'anno arriverà e, diversamente da quella dell'anno scorso,
dovrebbe essere visibile a occhio nudo) bensì una stella-nova che esploderà (metaforicamente)
proprio in quei giorni: con la lettura dei vangeli dell'infanzia (Luca da Natale a San Silvestro,
Matteo da Capodanno all'Epifania), unita a quella del prologo giovanneo («E il Verbo, che era
Dio ... si è fatto carne» nella terza Messa di Natale e il 1° Gennaio), abbiamo una gigantesca
esplosione di supernova che spazza via tre vangeli su quattro. Il risultato è la formazione di una
prima galassia, quella della visione catechistica, ossia l'incarnazione del Verbo nel «bambino mio
divino»" di Tu scendi dalle stelle, nel «Deum infantem pannis involutum» dell' Adeste fideles, e nel
«bimbo grazioso dai capelli ricci...nella cui bocca divina ride l'amor» di Stille Nacht; il valore
estetico-musicale degli ultimi due non toglie la loro pericolosità, anzi la rafforza.
È possibile tuttavia una contro-esplosione, che possiamo chiamare la supernova di Pasqua, con un
Gesù adottato a scoppio ritardato che spazzerebbe via quasi tutta la dogmatica cattolica; la
debolezza dell'adozione unita alla frase al (giovane) ricco in Mc 10,18, significa che Gesù non
aveva alcuna coscienza della sua figliolanza divina poiché essa... ancora non c'era, cosa assurda
nella vecchia concezione sia dell'essenza che del tempo. Si formerebbe così una seconda galassia,
col figlio dell'uomo che non è mai disceso dal cielo. Come spesso avviene nell'universo, le due
galassie si sono scontrate unendosi: ma storicamente è stata la prima che ha fagocitato la seconda
risucchiandola e nascondendola. Tuttavia è forse giunta l'ora che sia la seconda a ridurre
drasticamente la prima, cambiando i paradigmi come nelle rivoluzioni scientifiche.
Certo nelle vecchie concezioni esse appaiono inconciliabili: nella visione e terminologia
tradizionale Gesù o era pre-esistente o non lo era; nel primo caso c'è stata la discesa del FiglioVerbo dal cielo sulla terra, ed «era Dio» (come dice la gente) sin dalla nascita-infanzia, con un Gesù
bambino che dialoga alla pari coi dottori nel Tempio, anzi da sempre poiché abbiamo l'incarnazione
di un essere pre-esistente dall'eternità.
Ma l'alternativa secca funziona solo in una concezione pre-quantistica (prima della teoria dei quanti
all'inizio del '900) e pre-relativistica (prima delle due teorie di Einstein, quella ristretta o speciale
del 1905, e quella generale del 1916). In teoria quantistica ogni evento deve essere visto nella
complessità delle sue relazioni con (tutti) gli altri eventi (compreso l'osservatore), in un'attitudine
situazionale ed olistica, sino all'incredibile «decisione a scelta ritardata»: l'azione dello
sperimentatore, posto 50 metri più avanti nel laboratorio, influenza istantaneamente, senza alcuna
trasmissione a velocità finita, lo stato dei fotoni di luce 50 metri prima; è come se i fotoni sapessero
cosa il fisico farà dopo! In quest'ottica la decisione a scoppio ritardato di adottare Gesù a partire
dalla resurrezione (con eventuale valore retro-attivo, temporalmente possibile nelle due teorie
relativistiche) non sarebbe poi una cosa così indigesta come nella teologia classica.
Prendiamo però ora in considerazione non la pre-esistenza [che affronteremo nei prossimi articoli],
bensì la più facile post-esistenza, ossia la presenza del Cristo risorto in tutte le epoche successive, in
particolare quella più forte, oggettiva e sostanzialista nelle specie eucaristiche: pur permanendo gli
accidenti del pane e del vino (secondo la dottrina di Aristotele e Tommaso), la loro sostanza si
trasforma nel «corpo, sangue, anima e divinità» del Figlio. E questo perdura fino a che si
conservano le specie eucaristiche nei tabernacoli, a prescindere dalla presenza dei credenti e dalla
celebrazione vera e propria (Messa).
Né sostanze né accidenti
L'evento della misurazione-osservazione, che costituisce il cardine dell'interpretazione di
Copenaghen, è un evento di relazione per definizione. I processi quantistici sono tali da rendere
esplicito il legame con l'osservatore, mentre quelli della fisica classica coi loro oggetti macroscopici
sono immuni dalla sua presenza. La meccanica quantistica infatti sembra legare in modo
indissolubile il fatto di esistere con il fatto di "essere-in-relazione-con"; la sua principale vittima
pare così essere il concetto classico di sostanza. Niente può esistere indipendentemente dal resto
della realtà, nulla è depositali() dell'essenza autosufficiente della propria esistenza. Qui non è
possibile pensare a un insieme di atomi (portatori impassibili della «sostanza classica») che
attendono quietamente di essere osservati; in pratica tutto è in (cor)relazione con tutto, soprattutto
se qualche ente cosciente è in grado di osservare. La teoria ci costringe ad abbandonare la
concezione dualista che vede l'atto percettivo come qualcosa di autonomo e distinto rispetto alla
realtà fisica. Detto in altre parole per la nostra questione, soggetto (il credente) e oggetto (pane e
vino) si determinano contemporaneamente e contestualmente in maniera sintetica.
La cosa può diventar ancor più chiara col riferimento al fenomeno dei «Lunoni» grandi quando
sono bassi sull'orizzonte: dato che la Luna grande è un'interpretazione del nostro cervello, la Luna è
grande solo se la si guarda. Allo stesso modo la presenza eucaristica di Cristo c'è solo se si guarda:
fuor di metafora, solo se ci sono credenti riuniti in assemblea (popolo di Dio) che celebrano
l'eucarestia nel memoriale della passione-morte di Gesù.
Come i medievali si sono rifatti alla loro tradizione filosofica, noi ci rifacciamo alla nostra
tradizione scientifica ed esistenziale, ossia alle telecomunicazioni in cui sono completamente
immersi soprattutto i giovani, i nativi digitali. Più in generale il rapporto unicamente spirituale fra
Dio e l'uomo è come un telecollegamento, radio-televisivo o telefonico-cellulare, oppure via
Internet con portali, mail, forum, social-network [migliaia di cristiani collegati fra loro su Facebook,
e in quanto popolo di Dio anche con l'Altissimo in un nuovo raduno di tipo eucaristico?].
Facciamo notare come nelle tele-connessioni non si possa intervenire sull'altro in maniera fisica,
materiale; non lo si può toccare, colpire, fermare se sta facendo del male, salvare da un terremoto o
guarire. Allo stesso modo Dio è tele-collegato spiritualmente con noi, senza alcuna possibilità
d'interferire in maniera concreta e diretta ad es. evitando incidenti gravi o malattie infettive (come la
vecchia peste o la nuova Sars), senza guarigioni miracolose da parte sua, della Madonna o dei santi.
Possiamo però parlarci (il che è fondamentale), chiedere luce, ispirazione e aiuto, ringraziare,
suscitare, suggerire, proporre, insistere e protestare (come nella preghiera di protesta nell'AT).
L'immagine metaforica da noi proposta, che all'inizio può sembrare banale, a pensarci bene risulta
invece sempre più pertinente, comunque non più cervellotica della transustanziazione di tutte le
«particole» che si trovano sul corporale di lino inamidato.
(continua)