AUGUST SANDER ARCHETIPI E MASCHERE DELLA SOCIETA’ TEDESCA TRA LE DUE GUERRE Giovanni Ciarlo Universita’ degli Studi di Genova Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Scienze della Comunicazione Corso di Sociologia della Comunicazione A.A. 2005-2006 LA SOCIETA’ IN GERMANIA TRA LE DUE GUERRE Tra gli anni 20 e 30, nel clima di depressione del dopoguerra, la Repubblica di Weimar conobbe un drammatico momento di crisi economica e sociale, a causa della inflazione e della disoccupazione, che aprì la strada al nazismo. Si tratta tuttavia di un periodo di grande fervore creativo e culturale nel campo delle arti figurative (Nuova Oggettivita’), della letteratura, del teatro (Brecht), che vide gli intellettuali schierarsi sul campo dell’impegno sociale e della denuncia politica. Immagini e società: dal reduce al “pescecane” L’OPERA DI AUGUST SANDER Negli anni 20 il fotografo August Sander inizia il monumentale progetto, proseguito per tutta la sua vita, per documentare la struttura sociale della sua epoca con i ritratti di individui appartenenti a classi sociali o occupati nel lavoro , che si riflette su di essi creando “tipi” e “icone” delle loro categorie. Tema centrale è l’uomo inserito nel suo contesto sociale e professionale, il che rende ogni foto un documento storico, e il suo corpus fotografico quasi un “trattato di sociologia per immagini”. IL VOLTO DEL TEMPO. UOMINI DEL XX SECOLO Sander classifica la società tedesca in sette gruppi: l’uomo di campagna il lavoratore specializzato la donna e la famiglia classi e professioni la città gli artisti gli ultimi. Tra questi sono zingari, lavoratori del circo, folli ed emarginati; conclude la serie il disoccupato, a cui la mancanza di lavoro nega ogni identità. Sander fu per questa raffigurazione della gente tedesca avversato dai nazisti, che distrussero gran parte della sua opera come “arte degenerata”. UN TRATTATO DI SOCIOLOGIA PER IMMAGINI Le classi della società tedesca Un trattato di sociologia per immagini La definizione di Doblin La Fotografia comparata Gli archetipi La definizione di Doblin Lo scrittore Alfred Doblin, che descrisse la società berlinese dell’anteguerra nel romanzo Berlin Alexanderplatz, scrisse la prefazione all’opera di Sander. Sander si è dedicato allo studio della “fotografia comparata” realizzando un esauriente trattato sociologico in immagini. Il principio che “il cibo foggia l’essere umano”, al pari del lavoro e della ideologia, è rappresentato da generazioni di contadini segnati dalle fatiche, nelle “ immagini di dare e avere” dei ceti borghesi, dei ricchi impresari ben pasciuti e tranquilli e in quelli delle nuove leve dei consigli operai, degli anarchici e dei rivoluzionari., che riflettono anche il mutamento di convinzioni morali e ideologiche contemporanee”. Il linguaggio fotografico di Sander non ha“ fini artistici” e non ritrae l’ aspetto individuale delle cose nei particolari poiché Sander “ritiene i grandi universali operanti e reali attraverso la forza livellatrice della società, delle classi e del livello culturale” Le “immagini archetipe” create da Sander sono “stereotipi” ,“tipi non di una sola generazione, biologicamente parlando, ma di generazioni di generazioni” persone che nell’insieme rappresentano il senso della storia. LA FOTOGRAFIA COMPARATA Ogni sorta di condizionamenti modellano un essere umano: il cibo che consuma, l'aria che respira, la luce che lo circonda, il lavoro fatto - o no - , infine l'ideologia tipica della sua classe sociale. Come esiste un'anatomia comparata, che illumina la nostra comprensione della natura e della storia dei nostri organi, così Sander ci propone la fotografia comparata, una fotografia che supera il dettaglio per collocarsi in una prospettiva scientifica. “Sander parte dal contadino,dall’uomo legato alla terra,conduce la sua osservazione attraverso tutti i ceti e attraverso tutte le professioni fino ai rappresentanti della cultura più alta e giù, fino all’idiota. Passiamo poi ai tipi cittadini, cominciando da quelli delle piccole città, poi agli artigiani - poco diversi ancora da quelli dei grandi centri urbani. Confrontiamo questi ritratti con quelli degli industriali moderni. Perveniamo infine al proletariato delle metropoli contemporanee. Abbracciamo d'un colpo d'occhio l'evoluzione economica di questi ultimi decenni. i tipi dei consigli operai, degli anarchici e dei rivoluzionari. La società è in piena trasformazione, le grandi città hanno assunto proporzioni gigantesche, si incontrano ancora alcuni originali, ma già si preparano altri tipi. Queste immagini chiare e penetranti ci insegnano rapidamente cose che riguardano noi e gli altri, molto meglio di quanto potrebbero farlo gli elaborati e le teorie. L’uomo di campagna L’uomo di campagna “Ecco i tipi della gente di campagna: essi sono probabilmente fissati nella misura in cui la forma del piccolo sfruttamento rurale ha raggiunto ormai da molto tempo una certa stabilità. Ecco quindi queste famiglie unite, e non c'è bisogno di scorgere aratro e solco per leggere sui tratti di questi uomini e di queste donne i segni di un lavoro penoso e monotono. Un lavoro che indurisce i volti, li consuma. E successivamente notiamo dei cambiamenti i loro volti si rilassano per effetto di una certa agiatezza e per l'alleviarsi della dura fatica quotidiana” Il lavoratore specializzato Classi e professioni L’imprenditore La segretaria Classi e professioni Classi e professioni La donna e la famiglia Artisti e intellettuali Artisti e intellettuali Giovani studenti La città Gli ultimi Gli ultimi Le vittime della società Le fotografie de “Il Volto del Tempo”erano organizzate secondo un arco sociologico che inizia con i “contadini”, “ascendendo” attraverso la gente della piccola città, i lavoratori, i borghesi, gli studenti, gli uomini politici, i rivoluzionari, il clero, i liberi professionisti, gli industriali, gli artisti, scrittori e musicisti e “ discendendo” quindi alle occupazioni più umili, come cameriere di bar, donne delle pulizie, artisti e lavoratori di circo, emarginati e folli, fino alla tragica immagine del lavoratore disoccupato in una grande città, e alle “vittime” tra cui il prigioniero politico e la donna scampata ai bombardamenti. E’ in particolare interessante osservare il modo di ritrarre le “vittime”di Sander. E’ sintomatico che l’ultimo anello della catena sociale sia l’immagine del disoccupato, “vittima della società”, privato del lavoro e quindi della sua identità e del suo status sociale ed economico, un “non classificato”, emarginato dal sistema, che osserva il mondo con sguardo vacuo e vacillante, appoggiato a un muro cittadino, escluso da ogni rassicurante appartenenza di categoria. Vittime La vittima del bombardamento La “vittima del bombardamento” è invece rappresentata in modo curioso da Sander, ma coerente con la sua visione: si tratta di una donna dal volto devastato dalle cicatrici di un evento bellico passato, con gli occhi coperti da spessi occhiali scuri; ma la figura a mezzo busto è rivestita, si direbbe, con il “vestito buono” per essere fotografata, come farebbe una sposa o qualcuno che posi per una foto ricordo o una foto tessera. L’immagine risulta nel complesso un “ibrido” molto spiazzante che unisce l’esibizione delle tracce della devastazione delle ferite subite, nel volto umano dai connotati non ben identificabile se maschili o femminili, unito agli occhiali, chiaro indizio di una protesi per la cecità o l’offesa alla vista, mentre l’abito civile indossato riconduce all’appartenenza alla categorie del sociale. Sebbene non vi sia nessuna caricatura o pietismo nella presentazione della figura di un reduce, il fatto di indossare abiti per l’occasione ci dimostra qui che le violenze subite dall’individuo sono soprattutto di tipo fisico e non ne hanno alterato la dignità morale. La vittima del potere Il prigioniero politico(1941-44) La “vittima del potere”, il prigioniero politico, è invece presentato nella nudità, come eloquente immagine equivalente alla “spogliazione” di ogni status civile da parte di un potere prevaricante; la figura a mezzo busto fissa con intensità l’obiettivo, in posizione statica; gli occhi sono segnati da aloni scuri, ma non notiamo altri segni espliciti allusivi a maltrattamenti o percosse. La fissità della posa e dello sguardo di questa vittima le conferiscono la dignità di una maschera tragica, in coordinate che sono fuori dal luogo e dal tempo, e costituiscono quindi la denuncia non di un singolo contro un singolo potere, ma della categoria stessa della condizione di oppressione da parte dell’arroganza e della prevaricazione del poterere. Lo “sguardo”ci indica che la vittima ha la sua consapevolezza di individuo, per quanto “spogliato”materialmente ed emblematicamente di ogni abito indizio di uno status civile. Manca ogni connotazione di ambiente, lo sfondo è neutro, non sono visibili carcerieri o arnesi di tortura; l’accenno ai maltrattamenti non turba la compostezza dell’immagine, che potrebbe altrimenti facilmente identificarsi con un “ecce homo” martoriato e percosso. Quello che colpisce di più è certamente la nudità, la mancanza di ogni abito riferibile a una condizione civile, che denuncia la spoliazione e la violenza subita dall’individuo. La “Nuova Oggettività” tedesca Le immagini di Sander si avvicinano a quelle della Nuova Oggettività tedesca, che, malgrado il pregiudizio della critica verso il realismo tra le due guerre, espresse con artisti quali Otto Dix e Christian Shad una forte denuncia sociale . L’accentuazione del dato oggettivo, con un’adozione di tagli fotografici, posto in un isolamento straniante dal contesto, si pone sulla linea di più attuali esiti della ricerca artistica contemporanea, fino ad accentuare l’ossessione delle cose in modo quasi iperrealistico. Otto Dix e Grosz ritraggono gente del popolo, operai e contadini, nel momento della carestia e dell’inflazione della Repubblica di Weimar,: la loro anonimità e il loro aspetto dimesso li trasfigura e li eroizza; la teorizzazione dell’eroismo della debolezza” da parte dei letterati tedeschi contemporanei viene incarnata dall’“eroe bastonato” di Brecht all’epopea berlinese d Doblin che narra “l’educazione sentimentale del delinquente” narrando la storia diFranz Biberkopft in Berlin Alexanderplatz”(1929), Dalla tematica dell’uomo nudo” dell’Espressionismo si passa alla tematica dell “uomo della strada” ma con segno cambiato, con la rinuncia al pathos dell’Espressionismo; questo ritorno al realismo si esprime nella pittura figurativa della “Nuova Oggettività”, nella letteratura, nel teatro, nel cinema cosiddetto“della strada e dell’asfalto” e nel reportage fotografico che ebbe particolare diffusione nel periodo. George Grosz Otto Dix Christian Schad Confronti tra pittura e fotografia Il giudizio di Roland Barthes La foto e la maschera Come Nadar per la Francia e Avedon per l’ America. Sander ha riprodotto col ritratto gli archetipi e lo spirito della società tedesca del suo tempo. “La Fotografia può significare solo assumendo una maschera … essa è abbastanza critica, ma anche troppo “discreta” per costituire una critica sociale efficace. La fotografia è sovversiva non quando spaventa, sconvolge o stigmatizza, ma quando è “pensosa” La foto e la maschera “Dal momento che ogni foto è contingente , la Fotografia può significare (definire una generalità) solo assumendo una maschera. Questa è ciò che fa di un volto il prodotto di una società e della sua storia. Così nel ritratto di William Casby, fotografato da Avedon: l’essenza della schiavitù vi è messa a nudo: la maschera è il senso, in quanto è assolutamente puro (come lo era nel teatro antico). E’ per questa ragione che i grandi ritrattisti sono dei grandi mitologi: Nadar(la borghesia francese), Sander(i tedeschi della Germania prenazista), Avedon (la high-class newyorkese)”. “La maschera - avvisa Barthes - è tuttavia la regione difficile della Fotografia. la società diffida dal senso puro: essa vuole che questo senso sia circondato dal rumore (come si dice in cibernetica) che lo renda meno acuto. Così la foto in cui il senso (non dico l’effetto) è troppo impressivo, viene presto travisata; la si consuma esteticamente, non politicamente. La Fotografia della Maschera è in effetti abbastanza critica da destare preoccupazione (nel 1934 i nazisti censurarono Sander perché i suoi “Volti del tempo” non corrispondevano all’archetipo nazista della razza), ma d’altra parte essa è troppo “discreta” ( o troppo “raffinata”) per costituire veramente una critica sociale efficace , almeno secondo le esigenze del militantismo: quale scienza impegnata riconoscerebbe l’interesse della fisiognomonia?”. L’attitudine a cogliere il senso , sia questo politico o morale, di un volto, non è forse essa stessa una deviazione di classe? E’ ancora troppo dire: il Notaio di Sander è compenetrato di sussiego e di rigore, il suo Ufficiale giudiziario è compenetrato d’imponenza e di brutalità; mai un notaio o un ufficiale giudiziario avrebbero potuto vedere questi segni . La foto e la maschera Come distanza, lo sguardo sociale passa, qui necessariamente attraverso il relais di un’estetica sottile, che la rende vana: esso è critico solo in coloro che già hanno attitudine alla critica E’un po’ l’impasse di Brecht: egli fu ostile alla fotografia a causa (diceva) del suo scarso potere critico; il suo teatro però non ha mai potuto essere politicamente efficace, a causa della sua acutezza e della sua qualità estetica. Se si eccettua il campo della Pubblicità, in cui il senso deve essere chiaro e distinto solo in ragione della sua natura commerciale, la semiologia della Fotografia è dunque limitata agli splendidi risultati di pochi ritrattisti. Per il resto, per l’accozzaglia delle “buone fotografie, tutto ciò che di buono si può dire è che l’oggetto parla , che , vagamente, esso induce a pensare. E ancora: anche questo corre il rischio di essere considerato pericoloso. Al limite è meglio che non vi sia senso alcuno: è più sicuro, i redattori di “Life” rifiutarono le foto di Kertèsz, quando nel 1937 questi arrivò negli Stati Uniti, perché, dissero, le sue foto “parlavano troppo” ; esse facevano meditare, suggerivano un senso – un senso diverso da quello della lettera. In fondo la Fotografia è sovversiva non quando spaventa, sconvolge, o solo stigmatizza, ma quando pensosa. Roland Barthes, La Camera chiara, Torino, Einaudi, 1980, pp. 35-36,cap. 15 Il giudizio di Susan Sontag Susan Sontag (Sulla fotografia, realtà e immagine della nostra società, 1978) ritiene priva di mordente e in qualche modo “classista” l’impassibilità dell’analisi della società di Sander. Una chiave di lettura solo sociologica porta a inserire Sander tra quanti hanno dato una visione più descrittiva e classificatoria che critica della realtà Il giudizio di Walter Benjamin Walter Benjamin dà invece grande importanza a Sander per il suo “sguardo dotato di una capacità di osservazione senza pregiudizi” e cita le parole di Doblin che curò la prefazione alla prima edizione de “Il volto del tempo” nel 1929, definita “un'analisi sociologica che, cogliendo volti, immagini e relative verità, fa a meno delle parole e si fonda esclusivamente sulle immagini. Sander ci propone la fotografia comparata, una fotografia che supera il dettaglio per collocarsi in una prospettiva scientifica. che illumina la nostra comprensione della natura e della storia”. Per Benjamin , Sander ha affrontato questo compito “sulla base dell’osservazione immediata”, audace e libera da presupposti, con un’ “empiria delicata” che si identifica intimamente con l’oggetto e che così diventa vera e propria teoria ”. “E’grande merito di Sander se il volto umano è ricomparso sulla lastra con un significato nuovo, enorme. Ma non si tratta più di ritratti. August Sander ha raccolto una serie di teste paragonabili alla poderosa galleria di fisionomie di un Ejsenstein o un Pudovkin, e lo ha fatto da un punto di vista scientifico superiore a quello dei fotografi del particolare.”( W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Ed. Einaudi, Torino 1966, p.72). Conclusioni Nella lettura dei volti della società attraverso le maschere, tanto “tipiche” da diventare “atipiche”, Sander si spinge ben oltre la classificazione e trova comune rispondenza nella poetica della Nuova Oggettività tedesca. La fissità frontale e “straniante”di questi ritratti di archetipi della società,emblemi rassicuranti dell’identità positiva dell’individuo che si ancora alle certezze sociali, sottintende per contrapposizione l’angoscia esistenziale dell’individuo:è sintomatico che proprio il viso del disoccupato esprima la perdita di identità. Il senso di ambiguità delle immagini di Sander, più che alla sua “neutralità” secondo il giudizio di S. Sontag, è da ricondurre a una operazione critica sul reale assai sottile, di tipo concettuale, anche se non espressa in termini di militanza politica. Non va condivisa pertanto la critica di Susan Sontag, che coglie un’attitudine reazionaria e conservatrice nell’opera di Sander . Condivido invece il giudizio di Benjamin espresso nel commento su Sander nel saggio Piccola Storia sulla fotografia (1931): per l’autore avviene infatti un rovesciamento, per cui “non è la fotografia ad essere una forma d’arte”attraverso abbellimenti o ritocchi del soggetto, me è piuttosto “l’arte ad essere una forma di fotografia”, capace di restituirci la verità sociale, una fotografia “costruttiva” che non tende “alla grazia e alla suggestione, bensì all’esperimento e all’indottrinamento”, paragonata alle potenti immagini del grande cinema russo. Le foto di Sander sono l’esempio, così come quelle di Atget che presenta le foto su Parigi che scompare, di un’autenticità rivelatrice delle immagini. La forte percezione del “sociale” con cui Sander rappresenta i volti della Repubblica di Weimar tra le due guerre riflette il forte bisogno di appartenenza con cui la società si ancora allo spirito di corporazione espresso dagli attributi dallo status sociale, come contraltare al clima di generale insicurezza. I volti questa società prenazista sono descritti a livello di arti figurative dalla Nuova Oggettività tedesca, il cui realismo fotografico è una filiazione dell’Espressionismo con segno contrario. I reduci e i disoccupati si contrapongono ai ricchi “pescecani” borghesi, mentre la parte più deflazionata del popolo tedesco troverà il suo senso di identità nel leader carismatico di Hitler, aprendo le porte al Nazismo e ai suoi rituali celebrativi della razza ariana. Sander rappresenta la società tedesca attraverso le sue molteplici maschere, classificando tutti gli strati della società, senza mai affidarsi al “verismo”, ma piuttosto all’individuazione di archetipi il cui assoluto e cristallino realismo, quasi “iperrealista” provoca un senso di “spiazzamento” Gli “eroi bastonati” di Brecht nel teatro, l’ immagine di reduci mutilati e dei borghesi corrotti deformati in modo grottesco ed espressionista dalla pittura di Otto Dix, o congelati con nitidezza fotografica da Cristian Schad , l’analisi di Sander delle maschere e degli archetipi di questa società si collocano agli antipodi della visione del Nazismo e dei suoi mitografi che ben presto celebreranno la purezza della razza nel realismo idealizzato e classicheggiante delle foto degli atleti alle olimpiadi di Berlino e nei rituali di massa intesi a controllare il consenso. E’ evidente che il furore iconoclasta nazista condannò come arte degenerata le visioni alternative della società tedesca che, come quella di Sander inducevano a “pensare”, rappresentando anche l’altra faccia della medaglia, e non è certo casuale che si bruciassero e distruggessero materialmente foto ed immagini ancor prima delle persone.