UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE Dipartimento di Ingegneria e Architettura CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA CLINICA TESI DI LAUREA IN COMPLEMENTI DI STRUMENTAZIONE BIOMEDICA OTTIMIZZAZIONE DELLA QUALITA’ DI IMMAGINI MRI AD ALTA RISOLUZIONE PER LO STUDIO DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER Laureanda Relatore Valentina Mancarella Prof.ssa Renata Longo Correlatore Dott. Francesco Brun Anno accademico 2012/2013 2 “Una volta Marina mi disse che ricordiamo solo quello che non è mai accaduto.” Da “Marina” di Carlos Ruiz Zafòn 3 4 INDICE 1. INTRODUZIONE .....................................................................................................................9 2. L’ALZHEIMER E I SUOI STUDI ......................................................................................... 12 2.1 La malattia di Alzheimer ......................................................................................................... 12 2.2 L’analisi Longitudinale ........................................................................................................... 16 2.3 Workflow automatico “MIND” ............................................................................................... 19 2.3.1 Il Denoising...................................................................................................................... 19 2.3.2 La Co-registrazione .......................................................................................................... 21 2.3.3 La Normalizzazione .......................................................................................................... 22 2.3.4 L’estrazione delle “scatole” ippocampali ......................................................................... 24 3. INTENSITY INHOMOGENEITY ......................................................................................... 26 3.1 La Risonanza Magnetica Nucleare ........................................................................................... 26 3.2 Intensity Inhomogeneity .......................................................................................................... 27 3.2.1 Le Sorgenti e i Modelli di IIH ........................................................................................... 28 3.3 La classificazione dei Metodi di Correzione ............................................................................ 32 3.3.1 I metodi Prospettici .......................................................................................................... 32 3.3.2 I metodi Retrospettivi........................................................................................................ 33 3.4 Misure Preliminari su Oggetto test........................................................................................... 36 4. MATERIALI E METODI ...................................................................................................... 45 4.1 Il campione di studio ............................................................................................................... 45 4.1.1 Il protocollo MP-RAGE .................................................................................................... 46 4.1.2 Il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione ............................................................................ 48 5 4.2 I Software di Correzione.......................................................................................................... 49 4.2.1 SPM5 ............................................................................................................................... 50 4.2.2 BRAINSUITE ................................................................................................................... 52 4.3 Il Sistema di Confronto ........................................................................................................... 54 4.4 I Riferimenti Assoluti nell’immagine ....................................................................................... 56 4.5 La Calibrazione con Riferimenti Assoluti ................................................................................ 61 5. RISULTATI ............................................................................................................................ 64 5.1 Le Correzioni di Intensity Inhomogeneity ................................................................................ 64 5.2 La Correzione SPM5 su MP-RAGE MRI ................................................................................ 68 5.3 La Correzione SPM5 su HR MRI ............................................................................................ 70 5.4 Confronto tra MP-RAGE e HR MRI ....................................................................................... 72 5.5 La Normalizzazione con Nuovo Oggetto di Calibrazione ......................................................... 73 6. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI........................................................................................ 81 APPENDICE ................................................................................................................................... 85 A.1 La Risonanza Magnetica Nucleare .......................................................................................... 85 A.1.1 Preludio all’Imaging di Risonanza Magnetica .................................................................. 85 A.1.2 La generazione del segnale RM ........................................................................................ 89 A.1.3 La localizzazione del segnale RM ..................................................................................... 93 A.1.4 La formazione dell’immagine MRI ................................................................................... 99 A.2 Procedure di Installazione e Accettazione di apparecchiature di RM ..................................... 102 A.2.1 Le Procedure d’installazione .......................................................................................... 102 A.2.2 Le Procedure d’accettazione .......................................................................................... 109 A.3 Lo standard DICOM ............................................................................................................. 113 6 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA .............................................................................................. 117 RINGRAZIAMENTI .................................................................................................................... 125 7 8 1. INTRODUZIONE Negli ultimi anni, le tecniche di imaging del sistema nervoso centrale e del cervello in particolare, hanno assunto un ruolo sempre più decisivo in ambito clinico, come strumenti in grado di permettere la visualizzazione in vivo delle strutture neuro-anatomiche e di rilevarne cambiamenti morfologici o funzionali, permettendo così la diagnosi e la prognosi di malattie cerebrali. Una delle tecniche di neuroimaging di maggior rilevanza, in questo contesto, è l’imaging di Risonanza Magnetica (RM) Nucleare. Una sfida importante nel campo della medicina attuale è la diagnosi precoce della Malattia di Alzheimer. Le immagini di RM (o MRI – Magnetic Resonance Imaging) possono evidenziare l’atrofia dei tessuti cerebrali, causata dalla malattia stessa, e la letteratura scientifica evidenzia che nei malati di Alzheimer, l’atrofia ha in genere una diffusione nel cervello non uniforme ed interessa in primis le strutture anatomiche dei lobi temporali e dell’ippocampo; ed è per tale motivo che l’ippocampo è ritenuto un promettente biomarker per la valutazione dell’Alzheimer. Una linea di sviluppo di metodi di diagnosi precoce si basa quindi sulle immagini di RM, ed ha portato alla nascita di ampie collaborazioni internazionali per la raccolta di tali immagini insieme a dati clinici e biochimici, da rendere disponibili ai gruppi di ricerca. Per studiare l’evoluzione della malattia, si segue l’analisi longitudinale, ovvero l’osservazione della patologia nel tempo, basata sul confronto di immagini di RM dello stesso paziente acquisite in tempi diversi, a distanza di 6 mesi l’una dall’altra per esempio, per valutarne i cambiamenti morfologici causati dall’atrofia cerebrale. L’intento è quello di verificare se tale atrofia anticipa il presentarsi dei sintomi della malattia di Alzheimer. Poiché le terapie attuali hanno solo la capacità di rallentare l’evoluzione della malattia, la diagnosi precoce è l’unico strumento per garantire la qualità della vita del paziente. In quest’ottica di analisi longitudinale, è stata sviluppata una procedura automatica di elaborazione delle immagini MRI, in grado di estrarre le informazioni anatomiche della sola regione ippocampale del cervello così che le “scatole”, o “box”, ippocampali estratte dalle immagini ripetute, possano essere analizzate per valutare l’evoluzione della degenerazione neuronale. Questa pipeline automatica è stata implementata dal progetto MIND (Medical Imaging for Neurodegenerative Diseases) dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) sezione di Genova e permette di estrarre da un’immagine volumetrica del cervello intero la sola area anatomica relativa 9 all’ippocampo per poi svolgere analisi statistiche sul suo grado di atrofia e sulla velocità della stessa. Dagli studi condotti sui grandi database di immagini si dimostra che le immagini RM dello stesso soggetto sano (ossia senza alcuna patologia cerebrale) acquisite in momenti diversi, anche a poca distanza l’una dall’altra, risultano non essere perfettamente sovrapponibili. Per poter allora utilizzare con successo le procedure automatiche appena descritte, in ambito clinico, come strumenti di supporto alla diagnosi radiologica, occorre ridurre queste variabilità. In termini di analisi longitudinale, è necessario che dal confronto di immagini ripetute nel tempo dello stesso paziente le differenze riscontrate siano imputabili ad effettive variazioni della morfologia delle strutture cerebrali e non alle incertezze sulle misure o agli artefatti che degradano le immagini stesse. Per affrontare tale problematica, l’INFN, sezione di Trieste e di Genova, e l’Università degli studi di Trieste hanno recentemente sviluppato una nuova sequenza di acquisizione di immagini RM ad Alta Risoluzione (High Resolution, HR) per ottenere immagini ad alto contrasto e ad alta risoluzione spaziale (0.60 x 0.60 x 0.59 mm3), centrate sulle regioni ippocampali e paraippocampali del cervello. Aumentare la risoluzione spaziale significa incrementare il numero di pixel dal contenuto omogeneo permettendo così di apprezzare meglio i dettagli anatomici e ottenere maggiori informazioni morfologiche. Lo scopo del presente lavoro di tesi è l’ottimizzazione della qualità delle immagini HR acquisite con questo nuovo protocollo. Per raggiungere tale obiettivo si sono seguite due strade: la prima rivolta a correggere la disomogeneità di segnale che altera l’immagine di RM, definita Intensity Inhomogeneity (IIH), applicando metodi proposti dalla letteratura ed implementati da software di correzione. La seconda strada punta alla definizione di una nuova procedura di normalizzazione dei toni di grigio dell’immagine, applicabile alle HR, che si basi su riferimenti assoluti presenti nell’immagine stessa con la realizzazione di un apposito oggetto di calibrazione. Pertanto in questo lavoro di tesi, il secondo capitolo è dedicato alla presentazione della malattia di Alzheimer e del progetto MIND dell’INFN. In particolare verrà presentata la tecnica di analisi delle immagini sviluppata per la valutazione dell’ippocampo e della sua degenerazione. Di questa procedura verranno analizzati alcuni punti critici, oggetto di questo 10 lavoro di tesi: la correzione per gli artefatti da disomogeneità del segnale e la calibrazione di toni di grigio per permettere confronti quantitativi tra le immagini. Il capitolo successivo è dedicato alla correzione delle immagini per l’artefatto della Intensity Inhomogeneity. Sarà quindi introdotto il problema della stima e della correzione della IIH, saranno descritti i metodi di correzione proposti in letteratura e sarà presentato uno studio preliminare su immagini di oggetti test acquisiti per questa tesi. Il capitolo 4 è dedicato alla presentazione del sistema RM utilizzato in questo lavoro di tesi, delle sequenze di acquisizione, del gruppo di volontari studiato e dei SW di correzione utilizzati. Viene inoltre presentato un nuovo fantoccio di calibrazione sviluppato per la correzione dei toni di grigio. Nel capitolo 5 sono presentati i risultati relativi al pre-processing di correzione della IIH e al suo contributo alla correlazione tra le scatole dell’ippocampo ripetute sui volontari sani. E inoltre vengono presentati i primi risultati ottenuti con il nuovo metodo di calibrazione basato su riferimenti assoluti presenti nell’immagine grazie al nuovo fantoccio sviluppato. Questa metodica viene proposta come un valido metodo alternativo al criterio di normalizzazione attualmente utilizzato dalla pipeline automatica MIND, basato sulla definizione di toni di grigio di un cervello standard di riferimento, che quindi non tiene conto della variabilità interindividuale. Il capitolo conclusivo riassume e discute i risultati ottenuti ed indica l’evoluzione della ricerca che sembra pronta alla fase di studio clinico. In Appendice, a completamento della presentazione della strumentazione per imaging di RM, si riporta un estratto della relazione di tirocinio universitario svolto dalla laureanda, riguardante le procedure d’installazione e accettazione di apparecchiature per imaging di Risonanza Magnetica Nucleare. 11 2. L’ALZHEIMER E I SUOI STUDI 2.1 La malattia di Alzheimer La malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease AD), detta anche morbo di Alzheimer [1], è la forma di demenza degenerativa invalidante più comune, con esordio prevalentemente senile. La sua ampia e crescente diffusione nella popolazione, la non efficacia delle terapie disponibili e l’elevate risorse necessarie per la sua gestione (sociali, emotive ed economiche che gravano in gran parte sui familiari dei malati), la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del Mondo [2][3]; in Italia ne soffrono circa 492.000 persone e 26,6 milioni nel Mondo, secondo lo studio della Johns Hopkins Bloomberg “School of Public Health” di Baltimora (USA). Tali dati sono destinati a crescere nei prossimi anni a causa dell’innalzamento dell’età media della popolazione. Viene anche definita demenza di Alzheimer essendo un deterioramento cognitivo cronico progressivo e tra tutte le demenze è la più comune con 80-85% di tutti i casi totali. La patologia è stata decritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neurologo tedesco Aloysius Alzheimer (Marktbreit 1864 – Breslavia 1915), a seguito del caso di una sua paziente, la signora Auguste Deter, di 51 anni. Nel corso della visita, le mostrò diversi oggetti e poco dopo le domandò cosa le era stato mostrato, Lei però non poteva ricordare. Inizialmente registrò il suo comportamento come “disordine di amnesia”, ma in seguito la signora Deter fu la prima paziente alla quale venne diagnosticata la malattia di Alzheimer. Anche se il decorso clinico della malattia è in parte specifico per ogni individuo, la patologia causa diversi sintomi comuni alla maggior parte dei pazienti. I primi sintomi osservabili sono spesso erroneamente considerate problematiche legate all’età, o manifestazioni di stress. Quando s’ipotizza presenza di Alzheimer, la diagnosi viene confermata tramite specifici test cognitivi e comportamentali, seguiti da indagini cliniche su immagini cerebrali. Normalmente le fasi dell’evoluzione della malattia di Alzheimer sono tre. La prima fase è caratterizzata da un calo degli interessi e della memoria di lieve entità, che significa l’incapacità di acquisire nuovi ricordi e la difficoltà nel ricordare eventi osservati recentemente (ricordare cosa si è mangiato a pranzo, cosa si è fatto durante il giorno, ricordare l’immediato futuro, come andare a un appuntamento). Nella seconda fase il calo delle capacità cognitive è più evidente e si 12 manifestano deficit dell’attenzione, della capacità critica e di giudizio; la perdita della memoria arriva a colpire anche la memoria retrograda (riguardanti fatti della vita passata). Al termine di questa fase si presentano problemi nell’orientamento, nello scrivere e nel leggere, nel comprendere e pronunciare parole. La terza fase è quella in cui si hanno gravi disturbi della memoria a breve e a lungo termine, totale incapacità di riconoscere volti, difficoltà a compiere movimenti, a mangiare e a deglutire. Nelle fasi intermedie possono manifestarsi problematiche comportamentali (vagabondaggio, coazione a ripetere movimenti o azioni, reazioni comportamentali incoerenti) o psichiatriche (confusione, ansia, depressione, deliri e allucinazioni). Con l’invecchiamento naturale, il cervello va incontro a modifiche anatomo-funzionali non molto diverse da quelle che si determinano alla presenza della malattia di Alzheimer. Fisiologicamente si ha una perdita graduale della sostanza cerebrale con conseguente riduzione del peso e del volume del cervello, tuttavia in presenza della malattia, questa perdita è molto più marcata (figura 2.1). Figura 2.1: Confronto tra il cervello di un soggetto sano (a sinistra) e di un soggetto malato di Alzheimer (a destra), di pari età. La letteratura medica [5] mette in evidenza che nei malati di AD, l’atrofia ha in genere una diffusione nel cervello non uniforme ed interessa le strutture anatomiche dei lobi temporali e in particolare l’ippocampo. L’ippocampo (destro e sinistro) è una struttura fondamentale nei meccanismi di memoria, ed è quella che risente più precocemente degli effetti della malattia di Alzheimer (figura 2.2). Un cervello umano è costituito da circa cento miliardi di neuroni 13 comunicanti attraverso il sistema di connessione, chiamato sinapsi (regione in cui un terminale assonale incontra la sua cellula bersaglio) [8], attraverso il quale si propagano i segnali nervosi. Studi medici in ambito di AD sostengono che la causa del deterioramento delle cellule nervose sia un frammento proteico chiamato beta-amolide, responsabile della formazione di depositi amiloidi che gradualmente si accumulano e vanno ad interferire con l’attività delle cellule cerebrali causandone il deterioramento e successivamente la morte. In particolare vengono danneggiate le sinapsi celebrali, con una notevole perdita delle funzioni collegate ai processi cognitivi e alla memoria. Il fattore di rischio maggiore per lo sviluppo della patologia è l’età. Nella maggior parte dei casi, la prima manifestazione dei sintomi caratterizzanti l’AD avviene in età superiore a 65 anni, ma è lecito ipotizzare che l’inizio vero e proprio avvenga ad età inferiore ma in modo silente, senza manifestazione di sintomi. La diagnosi dell’AD si basa, inizialmente, sulla valutazione di sintomi neurologici e comportamentali legati a disturbi sulla memoria, del linguaggio e della percezione spaziale. Ad oggi gli esami neuropsicologici sono l’unico criterio clinico riconosciuto per la diagnosi della patologia. Tale esame consiste nel sottoporre il paziente ad una serie di test con lo scopo di verificarne le capacità cognitive. Per quanto la neuropsicologia abbia una lunga tradizione e sia migliorata nei metodi e nell’analisi dei dati, essa richiede un’interazione diretta medico paziente, che molto spesso è difficile rendere standard tra i diversi casi clinici. Per stabilire dei criteri diagnostici più oggettivi ed uniformi si ricorre spesso all’utilizzo di esami neurologici, tipicamente Tomografia ad Emissione di Protoni (PET, Positron Emission Tomography) e Risonanza Magnetica (RM). Attraverso lo studio d’immagini di RM è possibile individuare la malattia anche negli stadi iniziali e distinguere forme lievi da forme più gravi della stessa, valutando il livello di atrofia cerebrale (figura 2.3). Attualmente non esiste una cura per la malattia di Alzheimer; gli unici interventi medici palliativi eseguibili hanno lo scopo di rallentare il più possibile l’avanzare della malattia e di ridurre gli effetti dei sintomi, garantendo il più possibile al paziente uno stile di vita autonomo e dignitoso. 14 Figura 2.2: Lobo temporale e ippocampo. Figura 2.3: Confronto tra l’atrofia dovuta al naturale invecchiamento (sinistra) e quella patologica (destra). 15 2.2 L’analisi Longitudinale Negli ultimi anni le tecniche avanzate d’indagini morfologiche hanno permesso lo sviluppo di nuovi metodi diagnostici e chirurgici. In particolare, le immagini digitali hanno dato la possibilità di ottenere informazioni sia quantitative, come volumi, aree e distanze, sia la realizzazione di una rete multimediale di condivisione delle immagini. L’imaging di Risonanza Magnetica (RM) Nucleare è parte integrante del processo di valutazione clinica dei pazienti con sospetta malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD). La letteratura medica considera l’atrofia di alcune strutture del lobo temporale come un valido marcatore diagnostico in fase di lieve alterazione cognitiva e l’imaging di RM è in grado di evidenziare le caratteristiche tipiche della patologia. La ricerca di nuovi biomarker dell’AD, ha lo scopo di permettere una diagnosi quanto più precoce possibile, quando la patologia è ancora asintomatica [7] e quindi segnare l’inizio di un eventuale trattamento. In questo contesto, trova un ruolo fondamentale l’Analisi Longitudinale delle immagini RM dell’encefalo di soggetti a rischio di AD. Quest’analisi consiste nell’osservazione nel tempo dell’evoluzione della degenerazione dei tessuti cerebrali, valutando l’atrofia su immagini di RM. Nella pratica clinica i pazienti vengono classificati in tre gruppi: Sani (detti anche controlli), Mild Cognitive Impairment (MCI) e soggetti affetti da demenza (AD). Chi appartiene al gruppo MCI manifesta un deficit cognitivo lieve e rappresenta uno stato intermedio tra una situazione di normali capacità cognitive e di demenza; tuttavia l’appartenenza a questo gruppo non implica lo svilupparsi della demenza. Al gruppo AD appartengono tutti i soggetti affetti da malattia di Alzheimer con severi deficit cognitivi e funzionali. La figura 2.4 mette in evidenza come alcuni test di memoria e di linguaggio siano sensibili in modo diverso nei differenti stati della malattia e quindi la loro utilità per la diagnosi cambia a seconda dello stato di avanzamento della patologia. I test di memoria sono utili per la diagnosi nella fase MCI, perché i risultati variano sensibilmente con l’avanzare della malattia, ma sono meno utili nel monitorarne l’avanzamento nella fase di demenza. I risultati dei test di comprensione verbale iniziano a cambiare più tardi nel corso della malattia, durante la fase MCI mostrano una lieve o nessuna compromissione (4), quindi non possono essere usati in fase di diagnosi. Questi test diventano più sensibili in fase di demenza, quando risentono di un rapido cambiamento con l’avanzare della malattia (5). 16 Figura 2.4: Andamento temporale dell’efficacia dei test neuropsicologici nei vari stadi della malattia di Alzheimer. Uno degli obiettivi dell’analisi longitudinale per l’AD è ricercare nuovi marcatori biologici che siano in grado di discriminare i soggetti sani dai malati, già nella fase asintomatica della malattia. La figura 2.5, ottenuta tramite studi longitudinali e valutazioni statistiche, evidenzia le curve di sensibilità attese per alcuni indici morfologici. Si può osservare come alcuni di questi indicatori siano sensibili al progredire della patologia già anni prima della comparsa dei primi sintomi [23]. Queste considerazioni indicano che sia possibile trovare un metodo, basato sui dati clinici e sulle neuro immagini, in grado di fornire delle informazioni relative alla malattia di Alzheimer in tempi antecedenti alla comparsa dei sintomi. 17 Figura 2.5 :Ipotesi della capacità discriminante dei marcatori morfologici e funzionali nei vari stadi della malattia di Alzheimer. 18 2.3 Workflow automatico “MIND” Per studiare l’evoluzione della malattia, si segue l’Analisi Longitudinale, ovvero l’osservazione della patologia nel tempo, e basata sul confronto di immagini di RM dello stesso paziente acquisite in tempi diversi, a distanza di 6 mesi l’una dall’altra per esempio, per valutarne i cambiamenti morfologici causati dall’atrofia cerebrale. In quest’ottica di analisi longitudinale è stata sviluppata una procedura automatica di elaborazione delle immagini di RM, in grado di estrarre le informazioni anatomiche della sola regione ippocampale del cervello, così che le “scatole”, o “box”, ippocampali estratte dalle immagini ripetute possano essere confrontate per valutare l’evoluzione della degenerazione neuronale. Questa pipeline automatica è stata implementata dal progetto MIND (Medical Imaging for Neurodegenerative Diseases) dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) sezione di Genova, e permette di estrarre da un’immagine a cervello intero la sola area anatomica relativa all’ippocampo. Durante il processo le immagini subiscono diversi trattamenti (definiti pre-processing) per raggiungere un buon grado di omogeneità e rendere possibile il confronto tra le stesse. Il trattamento di pre-processing conta tre operazioni fondamentali: 1. Denoising 2. Co-registrazione 3. Normalizzazione Successivamente, le immagini sono “pronte” per l’estrazione della box ippocampale. 2.3.1 Il Denoising La riduzione del rumore introdotto in fase di acquisizione, permette di migliorare il rapporto segnale rumore e uniformare la qualità delle immagini provenienti anche da apparecchiature diverse. Per ridurre il rumore si applica un filtro piramidale agente nello spazio delle frequenze tramite una trasformata Wavelet particolare [24] invariante per rotazioni e traslazioni. Per eseguire il denoising (figura 2.6) si sceglie un valore di soglia sotto al quale gli artefatti dell’immagine si assumano attribuibili al rumore. Tale soglia viene individuata tramite lo Structural Similiraty Index (SSI) [25], che misura la similarità delle strutture, 19 dell’intensità e del contrasto tra l’immagine prima e dopo l’applicazione del filtro. Per ogni direzione dello spazio, e per ogni slice, si applica il filtro. Le tre immagini filtrate sono poi fuse in un’immagine “media” per migliorare il rapporto segnale-rumore. Per stabilire la soglia di rumore, l’idea è di preservare le strutture dell’immagine, perciò si utilizza il SSI tra l’immagine grezza e quella filtrata, calcolando la derivata prima, la derivata seconda e il punto di flesso della funzione SSI e il valore della soglia quindi è definito come il punto medio tra lo zero della derivata prima e il punto di flesso. Il risultato di questo processo è mostrato in figura 2.7. Figura 2.6: Il processo di Denoising. Figura 2.7: esempio del risultato del processo di denoising su un’immagine sagittale dell’ippocampo destro: immagine originale (a sinistra) e corretta dal rumore (a destra). 20 2.3.2 La Co-registrazione Una volta che le immagini sono state pulite da artefatti dovuti al rumore, devono essere necessariamente allineate per poter rendere automatica l’individuazione e l’estrazione delle varie strutture. Il processo di co-registrazione è una mappatura di un’immagine “mobile” rispetto un’altra “fissa” di riferimento (o template). La necessità di questa fase è che si vogliono confrontare tra loro i singoli voxel di più immagini di RM per paziente, perciò questi devono essere più allineati possibile. Il procedimento ricerca una trasformazione spaziale che esegue la mappatura dei punti di ogni immagine sugli omologhi dell’immagine di riferimento che nel caso in esame è il volume ICBM152, definito dal Montreal Neurological Institute (MNI) (figura 2.8). Oltre alla trasformazione (per esempio rigida, affine, deformabile), il processo definisce una metrica (per esempio somma dei quadrati delle differenze delle intensità, cross-correlazione) e un processo di ottimizzazione. Nel contesto di lavoro la trasformazione è a 12 parametri che definiscono i gradi di libertà, di cui 3 corrispondono alla traslazione, 3 alla rotazione, 3 all’applicazione di una dilatazione su ogni asse e 3 all’applicazione di trasformazioni trasversali (figura 2.9). Figura 2.8: Il template ICBM152. 21 Translation (3 parameters) Rotation (3 parameters) Shearing (3 parameters) Scaling (3 parameters) * Shearing slides one edgeFigura of an image along the X or Y axis, creating a parallelogram 2.9: La Co-registrazione. 2.3.3 La Normalizzazione La procedura di normalizzazione ha lo scopo di uniformare i valori dei livelli di grigio delle immagini, in modo tale che in ogni immagine vengano associati ai tessuti come materia bianca, grigia o liquido cerebrale, gli stessi valori di grigio. Per fare questo, la procedura automatica considera una regione del cervello come riferimento, per esempio il corpo calloso, facilmente riconoscibile e contenete tutti i tre tipi di tessuto appena elencati. La regione scelta nell’immagine di riferimento, il template ICBM152 (figura 2.8), conta 50x120x50 = 300.000 voxel ed è orientata lungo l’asse del corpo calloso dell’encefalo (figura 2.10). All’interno di questa regione d’interesse, per ciascuno dei tre tessuti viene riportato il valore medio ricavato dagli istogrammi delle intensità dell’immagine. Questa regione ora viene registrata sull’immagine di cui vogliamo estrarre la regione dell’ippocampo, attraverso una trasformazione analogamente al processo descritto in 2.3.2. Ora da ogni regione definita sull’immagine acquisita, si identificano i tre tessuti GM, WM, e CFS e se ne calcolano i valori medi, che vengono poi abbinati ai corrispondenti livelli medi della regione di riferimento, attraverso una spline cubica che passa tra 0, 1 e i tre punti definiti dal template, normalizzati tra 0 e 1. 22 Figura 2.10: rappresentazione della regione utilizzata per la normalizzazione dei livelli di grigio (scatola rossa). Le intensità dei livelli di grigio sono portati a valori comprese tra 0 e 1 attraverso la seguente trasformazione: new Iij = dove Imax e Imin rappresentano rispettivamente i valori massimi e minimi delle intensità di grigio. Questa normalizzazione dei livelli di grigio non lineare confronta le intensità medie dei tre tessuti della regione d’interesse tra l’immagine da normalizzare e il riferimento, ed interpola a tutti gli altri punti (figura 2.11). Figura 2.11: esempio di normalizzazione dei livelli di grigio sull’immagine. Si specifica che per le immagini acquisite mediante il nuovo protocollo ad alta risoluzione (HR), non è possibile applicare il metodo di normalizzazione appena descritto, poiché infatti il corpo calloso non è completamente visibile. Pertanto per le HR questa fase del processing 23 viene saltata ed è stato definito un criterio per la normalizzazione dei livelli di grigio, per avere un’immagine con tali livelli compresi tra [0,1]. E’ stato utilizzato un metodo in cui l’immagine normalizzata g’ è ottenuta mediate la seguente formula: g’ = g(x,y) / 4096 – μg + 0.5 in cui, g(x,y) rappresenta il pixel alla posizione (x,y) dell’immagine in input g; 4096 è il risultato di 212 con 12 bit usati per la quantizzazione dei livelli di grigio nel sistema di RM e μg è il valore medio dei livelli di grigio nell’immagine in input, dopo la normalizzazione. Si somma un fattore 0.5 affinché il risultato della normalizzazione non sia centrata sullo 0. 2.3.4 L’estrazione delle “scatole” ippocampali L’evidenza clinica stabilisce che la malattia di Alzheimer colpisca dapprima in maniera più marcata le zone e le strutture del lobo temporale, rispetto alle altre strutture del cervello. E lo scopo ultimo della seguente procedura automatica è la valutazione del livello di atrofia delle stesse, causata dalla malattia. La procedura dell’estrazione di un biomarker per la diagnosi della malattia di Alzheimer è completamente automatica e comincia con le procedure pre-processing, descritte ai paragrafi 2.3.1, 2.3.2 e 2.3.3. Le immagini acquisite vengono inviate al gruppo in collaborazione MIND dell’INFN di Genova, per l’estrazione delle “scatole” dell’ippocampo, che identificano un volume di cervello a forma di parallelepipedo (box) con dimensioni dell’ordine di alcuni cm per lato; in particolare vengono estratte le scatole relative all’ippocampo destro (40x75x30 mm3) e all’ippocampo sinistro (40x75x30 mm3). Una volta che i template (scatole di riferimento) sono definiti per un dato VOI, viene applicata una registrazione rigida per mapparli sulle immagini in studio. In figura 2.12 è riportato un esempio di VOI estratto. 24 Figura 2.12: volume dell’ippocampo sinistro da immagine acquisita con protocollo MP-RAGE (a sinistra) e da immagine acquisita con il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione (a destra). 25 3. INTENSITY INHOMOGENEITY 3.1 La Risonanza Magnetica Nucleare La Risonanza Magnetica (RM) Nucleare rappresenta lo studio delle proprietà magnetiche del nucleo dell’atomo; sia i protoni che i neutroni esibiscono proprietà magnetiche legate al loro spin (momento angolare) e alla loro distribuzione di carica. In particolare tutto l’imaging di RM si basa sul segnale del nucleo di Idrogeno (H+), costituito da un unico protone. I primi studi di RM risalgono agli anni 40, come strumento d’indagine per ricerche in ambito chimico e biochimico; negli anni 70, è stato scoperto che i gradienti di campo magnetico possono permettere la localizzazione del segnale RM e la generazione d’immagini il cui contrasto e’ determinato dalle proprietà magnetiche del protone, fornendo importanti informazioni cliniche. Dal 1980 si è verificata la grande diffusione di tale apparecchiatura in ambito clinico. Infatti l’alto contrasto, la differenziazione dei tessuti molli e la sicurezza per il paziente (dato dal fatto che non utilizza radiazioni ionizzanti) hanno fatto si che la RM diventasse per molti esami la tecnica di indagine preferenziale, a dispetto della CT (Computed Tomography). Tuttavia ci sono alcuni svantaggi da considerare, che includono l’elevato costo dell’apparecchiatura, i lunghi tempi per l’acquisizione di un immagine, artefatti significativi e problemi legati alla claustrofobia dei pazienti sottoposti all’indagine. Approfondimenti sulla fisica della Risonanza Magnetica Nucleare e sulla formazione delle immagini MRI sono riportati in Appendice 1, la descrizione tecnica del tomografo RM e le procedure di installazione ed accettazione sono riportate in Appendice 2. 26 3.2 Intensity Inhomogeneity L’imaging di Risonanza Magnetica (RM) misura la risposta dei nuclei d’idrogeno immersi in un campo magnetico, i quali, a seguito di un impulso di eccitazione a Radiofrequenza (RF), vengono perturbati dalla loro condizione di equilibrio. L’immagine è ottenuta misurando e processando il segnale emesso dai nuclei d’idrogeno nel loro ritorno all’equilibrio. Un’immagine è normalmente affetta da artefatti che ne alterano la qualità. La stessa immagine invece “non corrotta”, mostrerebbe il segnale dipendente solamente dalle caratteristiche del tessuto (densità protonica, T1 e T2) e dai parametri di acquisizione dell’immagine stessa (TE e TR). Nell’attuale sviluppo di tools diagnostici, un problema comune è la correzione della Intensity Inhomogeneity (IIH) o Bias Field, che altera l’intensità di segnale delle immagini di risonanza magnetica. La IIH comporta una variazione dell’intensità del segnale proveniente dallo stesso tessuto non imputabile ad effettive differenze anatomiche o morfologiche. Ciò può essere causato dalla strumentazione, dalla non uniformità dell’impulso di eccitazione a radiofrequenza (che genera la disomogeneità dovuta a campo magnetico B1), dalla disomogeneità del campo magnetico principale, o anche dal posizionamento e dai movimenti del paziente [9] all’interno del gantry. Inoltre questo fenomeno è particolarmente severo nelle immagini MRI acquisiste con bobine di superficie. Questo fenomeno viene definito in letteratura anche come Bias Field, rappresentato come un segnale a bassa frequenza e fa sì che l’intensità del segnale proveniente dallo stesso tessuto vari in base alla sua posizione nell’immagine (figura 3.1) [10]. In figura 3.1A è mostrata un’immagine di RM con artefatti di questo tipo, in cui si vede come l’intensità varia significativamente tra i pixel dello stesso tessuto e tra i pixel di tessuti diversi. Se si effettua una mappatura di IIH (figura 3.1B), è possibile correggere IIH attraverso diversi strumenti proposti in letteratura e la qualità dell’immagine aumenta (figura 3.1C). In generale, la presenza di IIH può ridurre in modo significativo l’accuratezza delle procedure di segmentazione e registrazione e di misure quantitative. Nasce pertanto la necessità di definire uno o più step di pre-processing per correggere il segnale dal bias field. La letteratura [9], [10] e [30] definisce e considera la IIH come una variazione smooth dell’intensità all’interno di una regione omogenea. Inoltre viene considerato come un campo additivo o moltiplicativo e indipendente dal rumore. 27 A B C Figura 3.1: Disomogeneità dell’intensità del segnale in un’ immagine di cervello di RM. Nel contesto del presente lavoro di tesi, si intende stimare e rimuovere dalle immagini acquisite su volontari sani, la disomogeneità IIH, prima di effettuare la procedura automatica di estrazione delle scatole ippocampali, per valutare se tale step di pre-processing risulti efficace ai fini di ottenere una correlazione migliore tra le immagini dell’ippocampo baseline e repeat. 3.2.1 Le Sorgenti e i Modelli di IIH L’estrazione automatica d’informazioni cliniche dai moderni sistemi di imaging, richiede passaggi definiti pre-processing grazie ai quali i diversi artefatti dell’immagine, che degradano l’immagine stessa, vengono rimossi. La disomogeneità in immagini di RM, IIH, si manifesta come una variazione dell’intensità del segnale. A causa di questo fenomeno, l’intensità del segnale proveniente dallo stesso tessuto varia a seconda della sua posizione all’interno dell’immagine. Questo è il motivo per cui sono stati proposti nel passato e tutt’ora metodi di correzione della IIH. Le prime pubblicazioni risalgono al 1986; da allora si studiano le sue sorgenti, divisibili in due gruppi: Le sorgenti del primo gruppo sono legate alle proprietà della strumentazione e dei dispositivi di Risonanza Magnetica utilizzati, ed includono: la disomogeneità del campo magnetico principale B0, la larghezza di banda nel filtraggio dei dati, le eddy current derivanti dal sistema di gradienti e la disomogeneità del sistema di trasmissione e ricezione delle radiofrequenze (campo magnetico B1). Questi tipi di 28 IIH possono essere corretti attraverso tecniche di shimming particolari sequenze di acquisizione, utilizzo di diverse bobine o calibrando il sistema con opportuni fantocci [18]. Le sorgenti di disomogeneità del secondo gruppo invece sono relative alle caratteristiche dell’oggetto acquisito, per esempio: la forma, la posizione e l’orientazione all’interno del magnete e la specifica permeabilità magnetica e le proprietà dielettriche. Questi tipi di sorgenti sono più difficili da trattare. Inoltre si e’ mostrato [9] che questi aspetti sono molto più marcati negli scanner a campi magnetici più elevati, a causa dell’aumento della frequenza necessaria per stimolare i nuclei di idrogeno sotto l’azione di un campo magnetico più elevato [33]. Un modello della disomogeneità di IIH, proposto da Zhou [9], considera x come l’intensità del segnale misurato e x’ come l’intensità vera: x = αx’ + ξ (1) dove α rappresenta l’effetto introdotto da IIH e ξ il rumore. In figura 3.2 e’ mostrata la stessa immagine MRI dove: a, e’ l’immagine originale, b l’immagine con gli artefatti da IIH, c l’immagine con il rumore e d la stessa con entrambi gli effetti di IIH e rumore. Nei modelli più semplici, la IIH si assume sia una funzione moltiplicativa o additiva, ovvero si moltiplica o si somma all’intensità dell’immagine vera. Sono stati proposti in letteratura diversi modelli per la formazione dell’immagine RM, che considerano le combinazioni di IIH, b(x) e del rumore n(x). I tipi di rumore sono generalmente due: il rumore biologico, derivante dalla disomogeneità interna dei tessuti, e il rumore che deriva dalle imperfezioni dei dispositivi di acquisizione. Il modello più comune di formazione dell’immagine assume che il rumore abbia una distribuzione gaussiana, che derivi dallo scanner e che pertanto sia indipendente da b(x) [19, 26]. 29 Figura 3.2: immagine originale (A), immagine affetta da Bias Field (B), immagine affetta da rumore (C) e immagine affetta sia da Bias Field che da rumore (D). L’immagine v(x) è ottenuta come: v(x) = u(x)b(x) + n(x) (2) dove u(x) è l’immagine “libera” dalla IIH, analogamente alla (1). In altri modelli [27], in cui si considera il solo rumore biologico, in formula: v(x) = (u(x) + n(x))b(x) 30 (3) Un altro modello per la formazione dell’immagine MRI si basa su intensità logaritmiche, dove l’effetto moltiplicativo di IIH nella (2) diventa additivo [34]: log v(x) = log u(x) + log b(x) + n(x) (4) Anche nella (4) il rumore n(x) è considerato come una Gaussiana, il che è matematicamente conveniente, ma in disaccordo con il modello (2) che assume che il rumore sia gaussiano nel dominio non logaritmico. 31 3.3 La classificazione dei Metodi di Correzione Negli ultimi vent’anni sono stati proposti diversi metodi di correzione della Intensity Inhomogeneity, IIH, in base al modello di descrizione della stessa. Likar et al. propongono in [20] una classificazione dei metodi di correzione più comuni, suddividendoli in metodi prospettici e retrospettivi. I primi mirano a migliorare il processo di acquisizione dell’immagine, mentre i secondi si concentrano esclusivamente sulle informazioni ottenibili dalle immagini una volta acquisite. Si classificano ulteriormente i metodi prospettici in: metodi basati su fantocci, su bobine e su particolari sequenze. I metodi retrospettivi invece si distinguono tra quelli basati sulla segmentazione, su istogramma delle intensità e sul filtraggio. Si descrivono qui di seguito tali metodi. 3.3.1 I metodi Prospettici Questi metodi trattano le disomogeneità come errori sistematici dei processi di acquisizione dell’immagine MRI e possono essere minimizzati acquisendo immagini di fantocci uniformi, acquisendo immagini utilizzando bobine diverse o particolari sequenze di acquisizione. I. Correzione basata su Fantocci: Una stima della disomogeneità IIH può essere ottenuta acquisendo un’immagine di un fantoccio uniforme con proprietà fisiche note [21] e applicando su queste operazioni di scaling e di smoothing. Solitamente si utilizzano fantocci pieni di acqua o soluzioni acquose di solfato di rame. Questo tipo di approccio comunque non corregge dalla disomogeneità introdotta dal paziente, il che rappresenta un grave inconveniente di questo approccio. II. Correzione basata su Bobine (multicoil): Le bobine più usate per le acquisizioni sono quelle di superficie e quelle di volume (la body coil). Le bobine di superficie hanno in genere un buon rapporto segnale-rumore (SNR) ma introducono gravi disomogeneità, mentre si verifica il contrario con quelle 32 di volume: poca IIH ma basso SNR. Il metodo in questione combina le immagini acquisite con bobine di superficie e con la body coil. La stima di IIH è ottenuta dividendo l’immagine acquisita con la bobina di superficie con l’immagine da body coil e successivamente applicando uno smooth l’immagine ottenuta. Il problema di questo metodo sono i lunghi tempi di acquisizione. Inoltre, la IIH introdotta dalla body coil permane sull’immagine da bobina di superficie corretta. III. Correzione basata su Sequenze spaziali: Per alcune sequenze di eccitazione, si può stimare la distribuzione spaziale dell’angolo di flip ed usarla per calcolare la IIH. Il metodo richiede di acquisire due immagini, dove la seconda con angolo di flip doppio rispetto alla prima [22]. 3.3.2 I metodi Retrospettivi I metodi retrospettivi si basano principalmente sulle informazioni delle immagini acquisite dove le informazioni anatomiche e le informazioni su IIH, si combinano [10]. A differenza dei metodi prospettici, i retrospettivi possono anche eliminare sia la disomogeneità introdotta dalla strumentazione, sia quella introdotta dal paziente. Si descrivono qui di seguito i più comuni metodi di correzione retrospettivi. I. Correzione basata sulla Segmentazione: La correzione del Bias Field è spesso un’operazione pre-processing necessaria per permettere una segmentazione migliore. La correzione di IIH e la segmentazione possono essere viste come due procedure strettamente legate tra loro. Nei metodi di correzione basati sulla segmentazione, queste due procedure sono pertanto fuse insieme. Uno dei metodi esistenti più comuni, è chiamato: ML, MAP Based. Questo tipo di metodo viene implementato dal software di correzione per Bias Field, SPM5, usato nel presente lavoro di tesi. ML e MAP rappresentano rispettivamente: il Maximum-Likelihood (massima verosimiglianza) e il Maximum a posteriori Probability (massimo della probabilità a posteriori). Questi possono essere usati per stimare la distribuzione dell’intensità. Si utilizza inoltre un modello gaussiano, i cui 33 parametri possono essere stimati con la Expectation-Maximization (EM), algoritmo per la segmentazione e la simultanea correzione di IIH. Poiche’ il modello gaussiano è un’approssimazione della densità di probabilità di un singolo tessuto, si possono usare più gaussiane per più tessuti, per esempio: 3 per la materia bianca e 2 per la grigia. Nell’algoritmo si iterano due grandezze interdipendenti: la stima di MAP dall’immagine segmentata fornisce la stima della disomogeneità e la stima di ML dall’IIH fornisce un risultato per la segmentazione di MAP. II. Correzione basata su Istogrammi: I metodi di correzione basati sugli Istogrammi (Histogram Based Model, HBM) operano direttamente sugli istogrammi delle intensità dell’immagine e non richiedono conoscenze a priori sulla distribuzione della probabilità dell’intensità di struttura. Questi metodi sono completamente automatici e molto generali, per cui possono essere utilizzati su diverse immagini sia con o senza patologie. Sebbene diversi metodi basati sulla segmentazione utilizzino istogrammi dell’intensità dell’immagine, la distinzione tra questi e i HBM è che questi ultimi non forniscono come risultato una segmentazione. D. W. Shattuck et al. [26] propongono un metodo a Histogram Matching per cui si divide l’immagine in piccoli sub volumi in cui la disomogeneità dell’intensità (IIH) si suppone sia relativamente costante. La IIH locale viene stimata attraverso il metodo dei minimi quadrati dell’istogramma relativo al sub volume. Il metodo applicato è una Gaussiana con 7 parametri, ricavati dall’istogramma dell’immagine globale. Queste stime locali sono state interpolate con una superficie Bspline per produrre il campo di disomogeneità finale. Il vantaggio di questo metodo è che non necessita di informazioni a priori, rendendolo completamente automatico e generale. Tuttavia lo svantaggio è che si assume che i sub volumi abbiano una disomogeneità costante [30]. D. W. Shattuck [26] propose un software di elaborazione di neuro immagini, che implementa questo tipo di metodo. Questo SW, BRAINSUITE, e’ stato utilizzato nel presente lavoro di tesi. 34 III. Correzione basata su Filtraggio: Tale metodo assume che IIH sia un artefatto a bassa frequenza e che possa essere separato dalle alte frequenze del segnale, relative alle informazioni anatomiche del paziente attraverso un filtraggio passa basso. Quest’assunzione è valida solamente se le strutture anatomiche acquisite siano relativamente piccole e che pertanto non contengano basse frequenze che possano essere confuse con IIH. I due principali metodi di filtraggio proposti sono: 1 Homomorphic Filtering: questo è usato sulle intensità dell’immagine logtransformed. All’immagine in input log u(x) è sottratto la sua immagine filtrata (con un filtro passa basso): log v(x) = log u(x) – LPF(log u(x)) + Cn Cn è una costante di normalizzazione per mantenere il valore medio (o massimo) dell’intensità dell’immagine corretta. E l’immagine corretta v(x) si ottiene con l’esponenziale. 2 Homomorphic Unsharp Masking: è il metodo più semplice da usare. La correzione b(x) è ottenuta attraverso un filtraggio passa basso dell’immagine in input u(x), divisa per la costante Cn. L’immagine corretta v(x) sarà la divisione (o sottrazione in logaritmi) di u(x) per b(x): v(x) = u(x)/b(x)= u(x)Cn / LPF(u(x)) 35 3.4 Misure Preliminari su Oggetto test In questo paragrafo viene presentata a titolo esplicativo e introduttivo l’analisi della IIH da immagini ottenute dall’oggetto test TO5 (figura 3.3), facente parte di un kit di oggetti test più ampio noto come EUROSPIN (si approfondisce in Appendice 2). La descrizione dettagliata della sequenza di acquisizione delle immagini e dei SW di analisi è oggetto del capitolo successivo. Il sistema di test Eurospin è il risultato di una collaborazione internazionale della Comunità Europea sulla “Caratterizzazione tissutale mediante Risonanza Magnetica” (attiva dal 1983). I fantocci del kit, tutti da 200 mm di diametro, sono costruiti con plexiglass e vetro e per questo sono molto fragili. Sono riempiti da una soluzione leggermente acida di Solfato di Rame (Conduttanza 1000 µS/cm +/- 50 µS/cm) e l’acidità è necessaria per evitare le precipitazioni degli ioni Cu come idrossile che porterebbero ad un aumento del valore del T1. Figura 3.3: Oggetto test TO5 EUROSPIN per gli scanner di Risonanza Magnetica Nucleare. L’oggetto test utilizzato, il TO5, viene generalmente impiegato per misurare il rapporto contrasto/rumore e l’accuratezza e precisione dei tempi di rilassamento T1 e T2, e viene fornito con un set di 18 provette a gel inseribili nel supporto stesso. Il TO5 presenta pertanto 12 cavità da 20 mm di diametro e 80 mm di profondità , realizzate per contenere le provette (figura 3.4). 36 Per lo studio della disomogeneità IIH (o Bias Field), sono state effettuate 4 acquisizioni dello stesso fantoccio disponendo le 12 provette in 4 configurazioni diverse, per valutare come cambino i valori di livello di grigio dello stesso gel nelle diverse posizioni all’interno del campo magnetico. Se le immagini non fossero alterate dagli effetti del Bias Field, ad ogni gel corrisponderebbe lo stesso livello di grigio indipendentemente dalla sua posizione all’interno dell’immagine. Sono state scelte le 12 provette con tempi di rilassamento T1 e T2 nell’intervallo di valori dell’encefalo. Si specifica che le immagini sono state acquisite con lo stesso tomografo di Risonanza Magnetica usato per l’acquisizione dei volontari, il Philips da 1.5 Tesla, installato presso l’ospedale Cattinara dell’Azienda ospedaliero-universitaria “Ospedali Riuniti” di Trieste. Figura 3.4: TO5 in vista sagittale (sinistra) e assiale (destra). Per l’analisi della disomogeneità si sono misurati per ogni gel, in ogni immagine, il valore medio e la deviazione standard del livello di grigio corrispondente. Per mostrare questo risultato si sono create le “mappe dei colori” in cui per ogni gel (identificato sempre da un colore) è stato misurato valore di grigio medio nelle diverse configurazioni:1, 2, 3 e 4 (figura 3.5). Successivamente si è applicata la stessa procedura sulle immagini trattare con i software di correzione e si sono valutate le differenze. 37 Figura 3.5: Mappa dei colori (valori medi) dei gel nelle immagini grezze nelle configurazioni 1, 2, 3 e 4. Analizzando i valori riportati in figura 3.5 è evidente che l’effetto della disomogeneità è presente nelle immagini, dato che lo stesso gel, a seconda della sua posizione nell’immagine assume un valore diverso. In particolare si nota un maggior effetto della disomogeneità ai bordi dell’oggetto test (nelle posizioni più esterne del fantoccio), per esempio il gel identificato dal colore Giallo ha valori che variano tra i 553 ± 7 a 590 ± 9. E anche il gel color Marrone Chiaro passa da 195 ± 5 a 213 ± 7 e il Verde Smeraldo da 357 ± 9 a 375 ± 6. Effetti meno evidenti sono presenti nelle quattro posizioni centrali delle immagini. Il Verde Chiaro per esempio nelle posizioni centrali misura 222 ± 3, 224 ± 5 e 227 ± 5. L’Azzurro tra 369 ± 4 e 375± 5. Nell’ottica della correzione del Bias Field, si sono applicate alle immagini acquisite i software di correzione che implementano i metodi basati sulla segmentazione e sull’istogramma, SPM5 [32] e BRAINSUITE [26] rispettivamente. Un esempio “visivo” del risultato dell’applicazione del SW SPM5 alle immagini dell’oggetto test è mostrato in figura 3.6: dove la figura A mostra l’immagine del TO5 “originale”, la B quella “corretta da IIH”, la C mostra una differenza tra A e B, e la figura D mostra la mappa 38 delle disomogeneità percentuale tra le due: (A-B)/A. La mappa della disomogeneità mostra un andamento simile tra le diverse immagini acquisite, specifico del tomografo utilizzato e del tipo di oggetto test. A B C D Figura 3.6: A: immagine grezza (dimensione voxel 0.94x0.94x1.00 mm3); B: immagine corretta da Bias Field con SPM5; C: differenza tra A e B; D: mappa della disomogeneità percentuale ((A-B)/A). Differenze percentuali entro il 5%. Si sono quindi valutati dopo la correzione, i valori medi e deviazione standard dei livelli di grigio dei gel nelle 4 diverse posizioni nelle immagini. Per mostrare questo risultato si sono create le “mappe dei colori” dalle immagini corrette con SPM5, in cui per ogni gel (identificato sempre dallo stesso colore) è stato misurato il valore di grigio medio nelle diverse configurazioni 1, 2, 3 e 4 (figura 3.7). 39 Figura 3.7: Mappa dei colori (valor medio) dei gel nelle immagini corrette da IIH con SPM5 nelle configurazioni 1, 2, 3 e 4. Si riportano in tabella 3.8 i valori medi e le deviazioni standard, per il confronto dei livelli di grigio dei gel nelle diverse posizioni prima e dopo il trattamento delle immagini con SPM5 in cui: in NERO sono riportati i valori per le immagini originali; in VERDE gli stessi relativi ai gel delle immagini corrette con SPM5. Analizzando i valori riportati in figura 3.5, 3.7 e in tabella 3.8, gli stessi gel dopo la correzione di SPM5 mostrano valori più simili tra loro, in particolare l’effetto della correzione è molto più evidente nelle posizioni ai bordi dell’oggetto test: per esempio il Giallo misura 547 ± 6, 549 ± 7 e 544 ± 5. Per il Marrone Chiaro si passa a valori che fluttuano tra 198 ± 3 e 205 ± 3 contro 195 ± 5 e 213 ± 7 dell’immagine non corretta. Al centro dell’immagine la correzione è meno significativa, per cui i valori medi dei gel sono simili ai valori non corretti come per il Verde e l’Azzurro di cui però si evidenzia una diminuzione della deviazione standard. 40 IMMAGINE1 IMMAGINE2 IMMAGINE3 IMMAGINE4 560 ± 6 557 ± 7 553 ± 7 590 ± 9 552 ± 6 547 ± 6 549 ± 7 544 ± 5 369 ± 4 365 ± 5 375 ± 5 359 ± 5 368 ± 5 366 ± 4 372 ± 4 373 ± 5 256 ± 3 253 ± 3 259 ± 3 255 ± 4 260 ± 3 270 ± 3 261 ± 4 264 ± 5 222 ± 3 224 ± 4 230 ± 4 227 ± 5 222 ± 2 224 ± 4 225 ± 3 230 ± 5 432 ± 8 449 ± 9 434 ± 7 439 ± 6 453 ± 8 457 ± 9 456 ± 6 447 ± 6 VERDE 453 ± 6 465 ± 14 453 ± 6 468 ± 7 CHIARO 434 ± 5 467 ± 13 462 ± 7 456 ± 6 VERDE 357 ± 9 363 ± 4 375 ± 6 359 ± 6 SMERALDO 367 ± 6 364 ± 4 373 ± 7 365 ± 5 VIOLA 307 ± 4 291 ± 5 313 ± 6 305 ± 4 291 ± 2 297 ± 5 305 ± 5 305 ± 4 269± 6 290 ± 6 284 ± 5 284 ± 5 292 ± 5 278 ± 3 294 ± 6 292 ± 4 207 ± 6 198 ± 5 208 ± 6 211 ± 5 205 ± 5 203 ± 5 206 ± 4 210 ± 4 MARRONE 198 ± 4 195 ± 5 213 ± 7 207 ± 3 CHIARO 205 ± 3 198 ± 3 203 ± 3 202 ± 3 GRIGIO 172 ± 3 179 ± 6 180 ± 3 181 ± 4 177 ± 2 166 ± 2 182 ± 4 178 ± 3 GIALLO AZZURRO ROSSO VERDE ARANCIONE MARRONE BLU Tabella 3.8: media e deviazione standard del gel nelle 4 configurazioni: in NERO i valori grezzi, in VERDE i valori dopo la correzione di SPM5. Analogamente si è lavorato con il software di correzione da IIH, BRAINSUITE. In figura 3.9 si mettono a confronto le immagini originali (A) e quella corretta dal SW (B), la figura C 41 rappresenta la differenza tra A e B, e nella D si mostra la disomogeneità percentuale tra le due: (A-B)/A. B A D C Figura 3.9: A: immagine grezza (dimensione voxel 0.94x0.94x1.00 mm3); B: immagine corretta da Bias Field con SPM5; C: differenza tra A e B; D: mappa della disomogeneità percentuale ((A-B)/A). Differenze percentuali entro il 5%. Si è successivamente creata la “mappa dei colori” anche per le immagini corrette con BRAINSUITE (figura 3.10), dove si sono utilizzati per gli stessi gel, gli stessi colori usati nelle precedenti. Si riportano in tabella 3.11, valor medio e deviazione standard dei gel nelle 4 configurazioni per un confronto: in NERO i valor per le immagini originali; in BLU gli stessi relativi alle immagini corrette con BRAINSUITE. 42 Figura 3.10: Mappa dei colori (valor medio) dei gel nelle immagini corrette da IIH con BRAINSUITE nelle configurazioni 1, 2, 3 e 4. Analizzando i valori riportati in figura 3.5, 3.10 e in tabella 3.11, restano le considerazioni fatte in precedenza ossia che gli effetti della disomogeneità si manifestano maggiormente ai bordi dell’immagine. Dopo la correzione applicata con BRAINSUITE, gli effetti della correzione sono distribuiti più uniformemente sia ai bordi che al centro dell’immagine. Per esempio il gel identificato dal colore Giallo ha valori che fluttuano tra i 561 ± 7 e i 579 ± 10 contro i 553 ± 7 a 590 ± 9 prima della correzione. Per esempio anche il gel color Marrone Chiaro passa da 213 ± 7 a 205 ± 4. Al centro dell’immagine i valori corretti sono molto più simili tra loro rispetto a prima della correzione, per esempio il Verde Chiaro mantiene nelle quattro configurazioni 220 ± 4 e i 235 ± 5 e l’Azzurro con valori attorno a 368 con una diminuzione della deviazione standard rispetto ai valori non corretti. Nei capitoli seguenti gli stessi algoritmi verranno applicati alle immagini cliniche analizzate con le procedure sviluppate dalla collaborazione MIND. 43 IMMAGINE1 IMMAGINE2 IMMAGINE3 IMMAGINE4 560 ± 6 557 ± 7 553 ± 7 590 ± 9 568 ± 6 561 ± 7 561 ± 7 579 ± 10 369 ± 4 365 ± 5 375 ± 5 359 ± 5 368 ± 3 364 ± 4 368 ± 4 639 ± 3 256 ± 3 253 ± 3 259 ± 3 255 ± 4 258 ± 3 259 ± 3 262 ± 5 257 ± 6 222 ± 3 224 ± 4 230 ± 4 227 ± 5 224 ± 3 220 ± 4 235 ± 5 220 ± 4 432 ± 8 449 ± 9 434 ± 7 439 ± 6 438 ± 5 452 ± 7 441 ± 5 434 ± 5 VERDE 453 ± 6 465 ± 14 453 ± 6 468± 7 CHIARO 466 ± 10 462 ± 9 450 ± 6 467 ± 7 VERDE 357 ± 9 363± 4 375 ± 6 359 ± 6 SMERALDO 358 ± 4 357 ± 4 378 ± 6 364 ± 6 VIOLA 307± 4 291 ± 5 313 ± 6 305 ± 4 299 ± 4 298 ± 5 306 ± 5 303 ± 4 269 ± 6 290 ± 6 284 ± 5 284 ± 5 292 ± 5 298 ± 6 289 ± 6 288 ± 5 207± 6 198 ± 5 208 ± 6 211± 5 205 ± 3 196 ± 4 201 ± 4 207 ± 4 MARRONE 198 ± 4 195 ± 5 213 ± 7 207 ± 3 CHIARO 203 ± 3 198 ± 3 205 ± 4 206 ± 3 GRIGIO 172 ± 3 179± 6 180 ± 3 181 ± 4 175 ± 2 180 ± 4 177 ± 4 177 ± 3 GIALLO AZZURRO ROSSO VERDE ARANCIONE MARRONE BLU Tabella 3.11: media e deviazione standard del gel nelle 4 configurazioni: in NERO i valori grezzi, in BLU i valori dopo la correzione di BRAINSUITE. 44 4. MATERIALI E METODI 4.1 Il campione di studio Il presente lavoro di tesi è stato svolto su immagini di RM, acquisite attraverso un nuovo protocollo ad Alta Risoluzione su un totale di 6 volontari (4 femmine e 2 maschi), dall’età compresa tra i 19 e i 29 anni. Nessuno dei volontari presenta o ha presentato patologie al Sistema Nervoso Centrale. Per ognuno di questi sono state acquisite 4 immagini: 2 utilizzando il protocollo MP-RAGE dell’ADNI sull’intero cervello e 2 applicando il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione (High Resolution, HR), definito da Quartulli et al. [30]. Volendo seguire la rapidità di evoluzione della malattia di Alzheimer attraverso l’analisi longitudinale, è necessario avere a disposizione immagini dello stesso paziente acquisite a distanza temporale l’una dall’altra, per poterne valutare le variazioni neurodegenerative; perciò delle 2 immagini MP-RAGE, una è definita baseline e l’altra repeat (in quanto acquisita in un momento diverso), analogamente per l’HR. Nel presente lavoro si è voluto studiare se immagini acquisite con maggior risoluzione spaziale, risultano più riproducibili di quelle a bassa risoluzione nella regione dell’ippocampo; il quale è una struttura di piccole dimensioni in cui gli effetti di volume parziale possono essere importanti. Per le acquisizioni, è stato usato il tomografo PHILIPS-Achieva da 1.5 Tesla (figura 4.1) installato presso l’Ospedale Cattinara dell’Azienda ospedaliero-universitari Ospedali Riuniti di Trieste con la bobina testa-collo SENSE da 16 canali solo ricevente (figura 4.1). Figura 4.1: Tomografo PHILIPS Achieva, 1.5 Tesla (a sinistra) e Bobina SENSE (a destra). 45 Le caratteristiche che differenziano un’immagine RM dall’altra sono legate all’intensità dei toni di grigio, che possono assumere valori diversi sulla stessa macchina o su macchine differenti anche sul medesimo soggetto, al differente posizionamento del paziente e infine al rumore. Pertanto nasce la necessità di trattare le immagini acquisite in modo da minimizzare questi aspetti introdotti in fase di acquisizione preservandone l’informazione per la successiva Analisi Longitudinale. 4.1.1 Il protocollo MP-RAGE La sequenza MP-RAGE (Magnetization Prepared - RApid Gradient Echo) è una delle sequenze più utilizzate in imaging di RM e soprattutto per le acquisizioni strutturali dell’encefalo T1 pesate (figura 4.5). La sequenza è stata definita dall’ADNI (Alzheimer’ Disease Neuroimaging Initiative, http://www.adni-info.org/), progetto per la ricerca, la prevenzione e il trattamento della malattia di Alzheimer; composto da istituzioni di ricerca si pubbliche che private, da aziende farmaceutiche, università e gruppi no-profit. L’obiettivo principale dell’ADNI è valutare come immagini MRI, PET, marker biologici e studi clinici e psicologici, possano essere combinati per valutare la progressione allo stadio MCI (Mild Cognitive Impairment) e all’Alzheimer precoce. La MP (Magnetization Preparation) rappresenta un impulso di radiofrequenza (RF) solitamente di 180° o 90° di preparazione, che viene applicato prima della sequenza vera e propria. La sequenza MP-RAGE è composta da un impulso di preparazione di 180°, seguito da una sequenza FAST GRE, dopo un tempo pari a TI (tempo d’inversione). Dopo l’impulso di 180°, la magnetizzazione longitudinale, inizia il suo recupero secondo il rilassamento T1, con la possibilità di differenziare maggiormente i segnali con diverso T1 rispetto ad un flip di 90°, così che nell’immagine risulterà un maggior contrasto tra i relativi tessuti. Le sequenze di impulsi acquisite sono intervallate da un tempo pari a TR per evitare effetti di saturazione. Il processo in figura 4.2 è ripetuto tante volte quanti sono i segmenti di volume, facendo variare l’intensità del gradiente di codifica di fase (figura 4.3). 46 Figura 4.2: Schema della sequenza MP-RAGE. Figura 4.3: Volume acquisito con una sequenza MP-RAGE. La Gradient Recalled Echo (GRE) è una sequenza che utilizza un gradiente di campo magnetico per generare l’Echo. L’impulso di eccitazione della fetta di tessuto applicato è minore di 90° (tipicamente tra 10° e 90°) e subito dopo gli spin perdono coerenza di fase. Invece di applicare un impulso di 180°, l’eco viene generato applicando una coppia di gradienti di codifica di frequenza dalla polarità opposta (figura 4.4). Figura 4.4: Schema della sequenza GRE. 47 Figura 4.5: Immagini sagittali baseline (a sinistra) e repeat (a destra) acquisite attraverso il protocollo MP-RAGE su cervello intero (dimensioni dei voxel : 0.94 x 0.94 x 1.20 mm3). 4.1.2 Il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione Il nuovo protocollo di acquisizione ad Alta Risoluzione e’ stato definito da Quartulli et al. [30] e si basa su una sequenza MP-RAGE, con tempi di acquisizione di circa 14 minuti e una maggior risoluzione spaziale rispetto alla sequenza proposta dall’ADNI ed un rapporto segnale rumore accettabile. Il nuovo protocollo ad alta risoluzione fornisce immagini T1 pesate centrate su una regione ristretta del cervello, in particolare il FOV è di 10x20x4 cm3, con voxel di dimensioni 0.60x0.60x0.59 mm3 (figura 4.6). Figura 4.6: Immagini baseline (a sinistra) e repeat (a destra) acquisite utilizzando il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione (dimensione del voxel: 0.6 x 0.6 x 0.59 mm3). 48 4.2 I Software di Correzione Nel presente lavoro di tesi sono stati applicati alcuni metodi di correzione per la disomogeneità dell’intensità nelle immagini MRI proposti in letteratura. Si sono in particolare usati software che si basano sui principali metodi di correzione quali: segmentazione e istogramma (discussi al capitolo 3). Tali correzioni sono state applicate alle immagini MRI acquisiste tramite protocollo MP-RAGE (dell’ADNI) e il nuovo protocollo HR (dell’INFN, sezione di Genova e Trieste, dell’Università di Trieste e degli Ospedali Riuniti di Trieste) sia sulle immagini baseline che repeat. Lo scopo è quello di ottenere immagini più omogenee tra loro, per poter effettuare un confronto tra le stesse. Una volta che le immagini sono state “corrette” dalla disomogeneità, saranno processate e sottoposte al metodo di estrazione delle “scatole” ippocampali definito dal gruppo in collaborazione MIND di Genova (approfondimento al paragrafo 2.3). Ottenute le scatole dell’ippocampo, si confronteranno tra loro la baseline e la repeat dello stesso paziente, valutando quanto siano sovrapponibili tra loro le due immagini. Dato che i soggetti in esame sono tutti giovani e sani, si suppone che non ci siano state tra la prima e seconda acquisizione delle differenze morfologie cerebrali, perciò le differenze tra le due siano solo attribuibili ai fenomeni già citati. Con la correzione di IIH, si andrà a verificare se le box estratte siano più simili tra loro rispetto a quando non si sia effettuata una correzione. I SW di correzione utilizzati per tale scopo sono: SPM5 [32] e BRAINSUITE [26], dove rispettivamente applicano metodi di correzione basati sulla segmentazione e sull’istogramma. Una Pipeline rappresenta una serie di analisi effettuate su un’immagine, dove l’output da uno step diventa l’input per lo step successivo. Le pipeline citate permettono: la correzione dell’uniformità, la segmentazione, la classificazione della materia grigia, bianca e tessuto cerebrospinale, la registrazione, le trasformazioni nello spazio, la visualizzazione delle immagine, ecc. In particolare la correzione dell’uniformità, nota anche come correzione bias field, è fondamentale oltre che per lo studio in esame anche per determinare quelle variazioni dell’immagine (non visibile ad occhio nudo) che causano dei problemi alle procedure di segmentazione. Segue una descrizione dei software usati per la correzione del Bias Field: SPM5 e BRAINSUITE. 49 4.2.1 SPM5 SPM (Statistical Parametric Mapping), traducibile in italiano come Mappatura Statistica Parametrica, è un software per l’analisi di dati di Risonanza Magnetica, PET, EEC e MEC, distribuito per la prima volta nel 1991 dal Wellcome Department of Imaging Neuroscience di Londra [32]. La nascita di SPM è data dall’esigenza di promuovere schemi comuni e collaborazioni fra i diversi laboratori di neuroimaging. In questo lavoro di tesi è stata usata la versione SPM5, la versione più consigliata e collaudata, consistente in funzioni, comandi, file dati e sottoprogrammi esterni in C per MATLAB. SPM5 consente di effettuare la correzione di IIH definita nell’opzione Bias Corrected, per produrre una versione corretta dell’immagine in input. Le immagini MRI sono corrotte da smoothig, da artefatti che variano spazialmente e che sebbene non siano un problema per visualizzazione dell’immagine, possono essere un problema per i processi automatici di segmentazione. Attraverso il metodo di correzione di IIH basato sulla segmentazione, SPM produce una versione dell’immagine con una maggiore uniformità dei valori d’intensità all’interno dei diversi tessuti. All’avvio di MATLAB da Command Window è possibile lanciare SPM5 e appariranno sullo schermo tre nuove finestre (figura 4.7), relative al menù di SPM, allo stato di avanzamento delle funzioni avviate e finestra per la visualizzazione dei risultati. Prima di procedere al caricamento delle immagini su SMP5, queste sono state convertite dal formato DICOM, al formato .NII (Nifti) attraverso il programma gratuito di conversione MRIConvert. Per avviare la correzione, fare click su [SEGMENT] dal menù di SMP e dalla finestra di visualizzazione si andranno a definire: il percorso della cartella da dove sarà presa l’immagine in input da correggere (l’immagine in output è la stessa cartella dell’input) in [DATA] (figura 4.8) e impostare il solo comando [BIAS CORRECTED] (figura 4.9). A questo punto con [RUN], si avvia una procedura automatica di correzione, al termine della quale, l’immagine “corretta” da IIH viene salvata automaticamente nella cartella dell’input, nel formato mX.img (dove X è il nome del file). 50 Figura 4.7: Interfaccia grafica SPM5. Figura 4.8: Finestra per il caricamento dell’immagine.. Figura 4.9: Selezione del comando Bias Corrected. 51 4.2.2 BRAINSUITE Nel presente lavoro di tesi e’ stato utilizzato il SW BRAINSUITE (versione 13a) sviluppato da D.W. Shattuck [26], University of Southern California. BRAINSUITE è costituito da una collezione di tools sviluppati appositamente per l’elaborazione di neuroimmagini ed implementa una metodica per effettuare l’estrazione della superficie corticale con una serie di interfacce di dialogo che guidano l’utilizzatore (figura 4.10). Per correggere la disomogeneità d’intensità presente nell’immagine, il risultato di variazioni del campo magnetico, della strumentazione, del posizionamento del paziente e del rumore, si applica la procedura automatica Bias Field Corrector (BFC). Questa, stima un campo di correzione per il volume di tessuto in esame basandosi su una serie di stime locali delle variazioni del guadagno dei tessuti, utilizzando il metodo Histogram Matching. BRAINSUITE lavora su immagini in formato Nifti, quindi le DICOM acquisite vengono prima convertite in .NII attraverso un SW gratuito di conversione MRIConvert. Figura 4.10: Esempio di interfaccia grafica di BRAINSUITE. Inizialmente BFC individua un valore globale per il valore di grigio medio della materia bianca, grigia e liquido cerebro spinale, e il rumore presente nell’immagine. Dopo di che, 52 rimuove tutti gli altri tessuti. Questi valori medi vengono poi usati su un modello di misura su volumi parziali (sub-volumi); adattando il modello all’istogramma dei sub-volumi dell’immagine, si può stimare il guadagno nel singolo sub-volume rispetto all’intensità dell’intera immagine. Questi valori individuano poi una B-spline 3D che stima la non uniformità. Dividendo l’immagine originale per questa spline, si corregge la non uniformità. BFC è stata concepita per applicare la correzione del bias field su immagini segmentate, per cui sulle immagini a cervello intero acquisite sui volontari con il protocollo MP-RAGE è stato possibile applicare il metodo Brain Surface Extractor (BSE), che segmenta, rimuovendo il tessuto non cerebrale dall’immagine. Attraverso i comandi [CORTEX] -> [CORTICAL SURFACE EXTRAXTION] è possibile selezionare il tipo di operazione da eseguire, in questo caso BSE e BFC in cui l’output della pipeline, l’immagine corretta, viene automaticamente salvata come X.bfc.nii (dove X è il nome dell’immagine). Il risultato della procedura e’ visibile in figura 4.11. Figura 4.11: Esempio del risultato delle procedure BSE e BFC. 53 4.3 Il Sistema di Confronto Le scatole ippocampali estratte con la pipeline MIND dalle immagini baseline e repeat per ogni volontario, acquisiste sia con il protocollo ADNI MP-RAGE, che con il nuovo ad alta risoluzione (HR) sono state confrontate per determinare come cambino tra la prima e la seconda acquisizione. Gli indici utilizzati per il confronto sono: PSNR, MSE, MAXERR and NCC. Peak Signal-to-Noise Ratio (PSNR) valuta la qualità di un’immagine ed è definito come il rapporto tra la massima potenza del segnale e la massima potenza del rumore che corrompe l’immagine. Più è alto il PSNR maggiore è la correlazione tra le immagini. Errore quadratico medio - Mean Squared Error (MSE) rappresenta la norma al quadrato della differenza tra la prima immagine e la seconda, diviso per il numero di elementi, ed indica la discrepanza quadratica media fra i valori dei dati osservati ed i valori dei dati stimati. Un MSE pari a 0 indica che la prima e la seconda immagine sono perfettamente coincidenti. Maximum Error (MAXERR) è la massima deviazione quadratica della prima immagine rispetto alla seconda. Più è alto MAXERR maggiore sarà la differenza tra la baseline e la repeat. Ratio of Squared Norms (L2RAT) è il rapporto tra la norma al quadrato della seconda immagine (repeat) rispetto alla prima (baseline). Più è vicino ad 1, maggiore sarà la correlazione tra le immagini. Normalized Cross Correlation (NCC) è un altro indice di misura per la somiglianza tra le immagini in cui ritorna un valore vicino ad 1 quando la prima e la seconda immagine presentano cambiamenti minimi. È qui di seguito riportato lo script di Matlab usato per il confronto degli indici. addpath('./_NIFTI_20130306/'); %% Parameters according to path names: 54 DIAG = 'IM_HIRES'; % Type 'IM_HIRES' or 'IM_MPRAGE' (case sensitive) SIDE = 'left'; % Type 'left' or 'right' (case sensitive) %% Body % Read folders: prefix_base = [ DIAG '/baseline/' SIDE '/']; prefix_rpt6 = [ DIAG '/repeat/' SIDE '/']; files_base = dir ( [prefix_base '*.nii' ] ); files_rpt6 = dir ( [prefix_rpt6 '*.nii' ] ); % Prepare header for the xls file: v = {'Patient ID', 'PSNR', 'MSE', 'MAXERR', 'L2RAT', 'NCC'}; str = [num2str(1,'A%d') ':' num2str(1,'F%d')]; xlswrite('Results.xls',v,[ DIAG '_' SIDE],str); % For each subject: for i=1:length(files_base) % Get baseline image: nii = load_untouch_nii( [ prefix_base files_base(i).name ] ); im_base = double(nii.img); % Get repeat6 image: nii = load_untouch_nii( [ prefix_rpt6 files_rpt6(i).name ] ); im_rpt6 = double(nii.img); % Statistics: [PSNR,MSE,MAXERR, L2RAT] = measerr(im_base,im_rpt6); NCC = xcorr(im_base(:),im_rpt6(:),0,'coeff'); % Write to Excel: v = {files_base(i).name, PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT, NCC}; str = [num2str(i+1,'A%d') ':' num2str(i+1,'F%d')]; xlswrite('Results.xls',v,[DIAG '_' SIDE],str); end 55 4.4 I Riferimenti Assoluti nell’immagine Nelle ultime acquisizioni su volontari, sono stati utilizzati oggetti, come cuscini e palloncini, riempiti di mezzi di contrasto in diluizioni diverse, per definire nelle immagini dei riferimenti assoluti per la normalizzazione dei toni di grigio. E’ stato utilizzato un palloncino pieno di acqua per avere il riferimento assoluto del nero, uno di gadolinio diluito con acqua distillata per il grigio e uno di solfato di rame per il riferimento del bianco (posizionati sulla fronte dei volontari, figura 4.12). Tra il cuscino e la testa dei volontari è stato necessario interporre un elemento separatore (foglio di plastica da imballaggio) per non corrompere la procedura di coregistrazione effettuata dalla pipeline automatica MIND (figura 4.13). Figura 4.12: Immagini acquisite utilizzando il protocollo MP-RAGE, con il cuscino dietro la nuca e i palloncini in fronte. Figura 4.13: Immagine acquisita utilizzando il protocollo MP-RAGE, con cuscino e separatore dietro la nuca (a sinistra) e immagine acquisita utilizzando il protocollo HR con cuscino (a destra). 56 Tuttavia, dalle analisi condotte, è emerso che questi riferimenti assoluti (cuscini e palloncini), risultano molto disomogenei tra loro sia nelle acquisizioni con protocollo MP-RAGE che con il nuovo protocollo HR e anche all’interno della stessa immagine. Durante il lavoro di tesi, si è quindi ideato e sperimentato un nuovo metodo per la normalizzazione di livelli di grigio, con altri riferimenti assoluti, realizzando un nuovo oggetto (o campione) di calibrazione. Tale oggetto (figura 4.14) consiste in un elemento in plexiglass di 9 x 8 x 1 cm3, all’interno del quale sono state create 6 cavità per l’inserimento di diluizioni diverse di mezzo di contrasto, per avere 6 riferimenti assoluti sull’immagine. Le dimensioni dell’oggetto sono state stabilite in base alla necessità di riuscire ad inserirlo all’interno del campo di vista delle immagini ad Alta Risoluzione (10 x 20 cm2). Figura 4.14: Il Nuovo Oggetto di Calibrazione. E’ noto che i mezzi di contrasto (abbreviati m.d.c) sono sostanze in grado di modificare il modo in cui una regione analizzata appare in un’immagine. Nello specifico, alterano il contrasto della struttura anatomica in esame rispetto a ciò che la circonda, in modo da rendere visibili i dettagli che altrimenti risulterebbero non apprezzabili. Ogni tecnica di imaging ha i proprio mezzi di contrasto, i quali hanno caratteristiche diverse a seconda del metodo di formazione dell’immagine. Infatti, a differenza dei mezzi di contrasto utilizzati in CT, dove l’azione del m.d.c. è rivolta ad attenuare i raggi X che attraversano l’organo bersaglio, in RM 57 i mezzi di contrasto influenzano i tempi di rilassamento T1 e T2. Il mezzo di contrasto più utilizzato in RM è il Gadolinio, per le caratteristiche paramagnetiche del suo ione Gd3+. Viene utilizzato in soluzione e complessato da legami ciclici poliamminopolicarbossilici, che servono ad evitare la tossicità dello ione libero per l’organismo umano [34]. I mezzi di contrasto a base di Gadolinio aumentano il segnale nelle sequenze T1 pesate, dato che riducono il tempo di rilassamento T1. Per la preparazione delle diluizioni, si è utilizzato il Gd-DOTA 0.5 mmol/mL. Nell’uso sui pazienti, la dose di m.d.c. iniettato per endovenosa è proporzionale al suo peso corporeo e in genere il dosaggio è tra 0.1 – 0.3 mmol/Kg del peso del paziente, che equivalgono a 0.2 – 0.6 mL/Kg [35]. Si sono inserite nelle cavità concentrazioni variabili di mezzo di contrasto al gadolinio considerando che la dose massima di m.d.c. generalmente iniettata è di 0.6 mL/Kg e che la quantita’ di sangue presente nel corpo umano è di circa 5.5 L (per un uomo di 80 Kg), si stima allora che 0.6 mL di gadolinio sono presenti in 70 mL di sangue. Si e’ impostata la seguente equazione: (1) Dove CGd rappresenta la concentrazione di Gadolinio che si desiderata ottenere, 70 sono mL 0.5 mL rappresenta la quantita’ minima di Gadolinio che si e’ in grado di di sangue, selezionare con la siringa usata durante la preparazione e Vol rappresenta il volume di acqua demineralizzata necessaria per diluire i 0.5 mL di Gd-DOTA per avere una concentrazione pari a CGd. Nel primo prototipo, si sono diluite concentrazioni diverse di Gadolinio in 5 delle 6 cavita’ presenti sul fantoccio, come mostrato in tabella 4.A. Soluzione CGd [mL] 2 3 4 5 6 0.1 0.2 0.4 0.6 0.8 Vol [mL] 350 175 88 58 44 Tabella 4.A: Diluizioni del mezzo di contrasto al Gadolinio, nel primo prototipo. 58 Nella cavità (o posizione) 1 dell’oggetto di calibrazione sono stati iniettati 2 mL di soluzione di Solfato di Rame (Conduttanza 1000 µS/cm +/- 50 µS/cm) (tabella riassuntiva 4.B). Soluzione Sostanza mL 1 Solfato di Rame 2 Gadolinio 3 Gadolinio 4 Gadolinio 5 Gadolinio 6 Gadolinio 2 0.1 0.2 0.4 0.6 0.8 Tabella 4.B: Le soluzioni nel Primo Prototipo dell’oggetto di calibrazione. Preparato il campione, si sono acquisite le immagini con sequenza MP-RAGE e con la nuova sequenza ad alta risoluzione HR (le stesse utilizzate per le acquisizioni sui volontari). Date le piccole dimensioni dell’oggetto di calibrazione, lo si è acquisito insieme ad altri phantom (di dimensioni maggiori) per avere più segnale nella bobina e per valutare come e se cambino i valori dei toni di grigio delle soluzioni utilizzando un oggetto test o l’altro come confronto. Si sono utilizzati il fantoccio TO5 dell’EUROSPIN (figura 4.15 e 4.16), l’ADNI phantom [45] (figura 4.17) e una SFERA ripiena di materiale omogeneo (acqua demineralizzata e solfato di rame) (figura 4.18). Figura 4.15: MP-RAGE dell’oggetto test TO5 e del Nuovo oggetto di calibrazione (sulla destra). Figura 4.16: HR dell’oggetto test TO5 e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso). 59 Figura 4.17: HR dell’oggetto test ADNI PHANTOM e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso). Figura 4.18: HR dell’oggetto test SFERA e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso). 60 4.5 La Calibrazione con Riferimenti Assoluti La procedura di normalizzazione ha lo scopo di uniformare i valori dei livelli di grigio delle immagini, in modo tale che in ogni immagine vengano associati agli stessi tessuti gli stessi valori di grigio. Attualmente, la procedura automatica di estrazione delle scatole ippocampali, definita dal progetto MIND (descritta al paragrafo 2.3), effettua una normalizzazione dei toni di grigio che si basa sulla segmentazione del corpo calloso, non applicabile alle immagini acquisiste con il protocollo ad Alta Risoluzione, in quanto tale regione del cervello non è visibile nel campo di vista delle HR. Secondo la procedura della pipeline, individuata sulle immagini total brain la regione del corpo calloso, si identificano i tre tessuti: materia grigia (GM), materia bianca (WM), e liquido cerebrospinale (CFS) e se ne calcolano i valori medi, che vengono poi abbinati ai corrispondenti livelli medi degli stessi tessuti di un template di riferimento (il ICBM152) attraverso una spline cubica che passa tra 0, 1 e i tre punti definiti dal template (normalizzati tra 0 e 1). Questo tipo di normalizzazione, ragionevole ma arbitraria, presenta delle criticità, date dal fatto che i toni di grigio della GM, WM e CFS dell’immagine acquisita sono forzati ai toni di grigio dei corrispondenti tessuti dell’immagine di riferimento, perdendo così contenuto informativo non rispettando la variabilità interindividuale. Inoltre come detto, tale procedura è applicabile alle sole immagini acquisite con protocollo MP-RAGE. Nasce pertanto la necessità di definire un nuovo metodo di normalizzazione che superi queste criticità. Una volta che l’oggetto di calibrazione (descritto al paragrafo 4.4) è stato riempito di diluizioni diverse di mezzo di contrasto, ne sono state acquisite immagini RM, con le stesse sequenze e con lo stesso tomografo utilizzato per le acquisizioni sui volontari. E’ stato creato uno script in ambiente MATLAB che crea una spline cubica passante tra 0 e 3 punti di riferimento definiti dall’oggetto test nell’immagine. In particolare, si sono analizzate le immagini HR dell’oggetto test acquisito con TO5, ADNI phantom, e SFERA e si è deciso di prendere quest’ultima come riferimento, in quanto lungo le fette dell’immagine i toni di grigio per la stessa soluzione mostrano un andamento più costante. Si sono poi interpolati i punti della spline in modo tale che i toni di grigio delle soluzioni contenute nelle diverse cavità nelle altre immagini vengano portati ai toni di grigio delle soluzioni corrispondenti a quelli misurati nell’immagine con la SFERA. In particolare, in base ai profili delle immagini, si 61 sono presi come riferimento i toni di grigio delle soluzioni 1, 2 e 4. Un esempio del risultato di questa spline e’ mostrato nella figura 4.19. 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 0 500 1000 1500 2000 Figura 4.19: Spline cubica: in ascissa, i valori delle soluzioni 1, 2 e 4 che si desidera riportare ai valori del riferimento (in ordinata). Lo script MATLAB creato per la procedura di normalizzazione è riportato qui di seguito: addpath('./NIFTI_20130306/'); clear all close all X=[0,1017, 1309, 1435]; %% valori soluzioni 1, 2 e 4 dell’immagine Y=[0,1191, 1587, 1865]; %% valori soluzioni 1, 2 e 4 dell’immagine SFERA (il riferimento) xx=linspace(0, 2000); curva=spline(X,Y,xx); % spline (cubica di default): essa calcola la trasformazione cubica che porta i valori di X ad essere coincidenti con quelli in Y plot(X, Y, 'o', xx, curva, '-'); grid on b=load_untouch_nii('dir_in'); 62 B=double(b.img); hbox=interp1(xx,curva,B(:),'linear'); % stessa trasformazione a B(:) b.img=reshape(hbox,size(B)); % da vettore torno 3D save_untouch_nii(b,’dir_out’); 63 5. RISULTATI 5.1 Le Correzioni di Intensity Inhomogeneity Alle immagini RM acquisite sui volontari sono stati applicati i software di correzione della disomogeneità IIH, SPM5 e BRAINSUITE. I risultati della correzione effettuata da SPM5 sulle immagini MP-RAGE sono mostrati in figura 5.1, dove: A è l’immagine originale, B l’immagine corretta con SPM e C rappresenta la disomogeneità percentuale tra le due: (AB)/A. Altri risultati sono riportati in figura 5.2, dove si mostrano le disomogeneità percentuali di immagini di volontari diversi. A B C Figura 5.1: A: Immagine MP-RAGE grezza ; B: immagine A corretta da SPM5; C: Mappa della disomogeneità percentuale tra l’immagine A e B: (A-B)/A La differenza percentuale tra le immagini grezza e corretta è tra 5-10%. 64 Figura 5.2: Mappe delle disomogeneità percentuali di IIH simili tra immagini di volontari diversi. I risultati della correzione effettuata da SPM5 sulle immagini ad Alta Risoluzione (HR) sono mostrati in figura 5.3, dove: A è l’immagine originale, B l’immagine corretta con SPM5 e C rappresenta la disomogeneità percentuale tra le due: (A-B)/A. A B C Figura 5.3: A: Immagine HR grezza ; B: immagine A corretta da SPM5; C: Mappa della disomogeneità percentuale tra l’immagine A e B: (A-B)/A La differenza percentuale tra le immagini grezza e corretta è tra 5-10%. 65 Il SW di correzione BRAINSUITE sulle immagini MP-RAGE produce i risultati mostrati in figura 5.4, dove: A è l’immagine originale, B l’immagine corretta con BRAINSUITE e C rappresenta la disomogeneità percentuale tra le due: (A-B)/A. A B C Figura 5.4: A: Immagine MP-RAGE grezza ; B: immagine A corretta da BRAINSUITE; C: Mappa della disomogeneità percentuale tra l’immagine A e B: (A-B)/A La differenza percentuale tra le immagini grezza e corretta è tra 5-10%. La correzione di BRAINSUITE sulle immagini ad alta risoluzione è mostrata in figura 5.5, dove: A è l’immagine HR originale, B l’immagine corretta con BRAINSUITE e C rappresenta la disomogeneità percentuale tra le due: (A-B)/A. A B 66 C Figura 5.5: A: Immagine HR grezza ; B: immagine A corretta da BRAINSUITE; C: Mappa della disomogeneità percentuale tra l’immagine A e B: (A-B)/A La differenza percentuale tra le immagini grezza e corretta è tra 5-10%. L’applicazione di BRAINSUITE sulle immagini acquisite, sia con protocollo MP-RAGE che HR, ha prodotto una serie di problematiche che rendono il SW incompatibile con la procedura automatica MIND. Il programma provoca deformazioni, legate alle dimensioni dei voxel dell’immagine in input, e applica rotazioni della matrice dell’immagine che rendono impraticabili le procedure di co-registrazione della pipeline. Pertanto si procede alla valutazione delle scatole ippocampali estratte dalle sole immagini trattate con SPM5, che è risultata compatibile con la procedura automatica. 67 5.2 La Correzione SPM5 su MP-RAGE MRI Si calcolano gli indici di confronto introdotti al paragrafo 4.3 per analizzare quantitativamente la riproducibilità delle scatole ippocampali estratte dalle immagini di RM (o MRI – Magnetic Resonance Imaging) MP-RAGE, con e senza correzione attraverso SPM5. Nelle figure 5.6 e 5.7 sono riportate le box “corrette” baseline e repeat, destre e sinistre rispettivamente. Dal momento che i volontari hanno un età compresa tra i 19 e i 29 anni, e non hanno o hanno avuto patologie al Sistema Nervoso Centrale, si suppone che non ci siano differenze anatomiche tra le acquisizioni ripetute nel breve arco di tempo di una settimana o poco più. Figura 5.6: Box MP-RAGE dell’ippocampo destro: baseline (a sinistra) e repeat (a destra). Figura 5.7: Box MP-RAGE dell’ippocampo sinistro: baseline (a sinistra) e repeat (a destra). 68 Si mettono a confronto i valori dei parametri della correlazione (PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT e NCC) ricavati dalle immagini corrette con SPM5 con gli stessi relativi alle immagini non corrette (o immagini grezze) (Tabella 5.A). PSNR* C NC MSE C MAXERR* L2RAT* C C NC NC NC NCC C NC AR 74.22 74.15 0.0025 0.0025 0.3520 0.407 0.955 0.954 0.998 0.997 BR 69.69 69.74 0.0070 0.0069 0.9039 0.797 0.954 0.991 0.993 0.992 CR 72.12 73.49 0.0040 0.0029 0.5500 0.429 0.974 1.065 0.996 0.997 DR 67.54 76.45 0.0115 0.0015 0.6470 0.427 0.836 0.994 0.991 0.998 ER 68.79 74.93 0.0086 0.0021 0.8894 0.400 0.925 1.064 0.992 0.998 FR 75.37 76.22 0.0019 0.0016 0.4321 0.414 1.004 0.976 0.998 0.998 AL 74.73 74.67 0.0022 0.0022 0.2822 0.321 0.962 0.321 0.998 0.998 BL 70.91 68.93 0.0053 0.0083 0.7000 0.722 0.942 0.722 0.995 0.992 CL 72.43 73.32 0.0037 0.0030 0.5277 0.456 0.992 0.456 0.996 0.998 DL 69.89 77.65 0.0067 0.0011 0.6624 0.297 0.864 0.297 0.995 0.999 EL 67.65 77.12 0.0112 0.0013 0.6683 0.348 1.152 0.348 0.990 0.999 FL 75.98 76.87 0.0016 0.0013 0.3759 0.328 1.026 0.328 0.998 0.999 MEDIA 71.61 74.46 0.0055 0.0029 0.583 0.446 0.966 1.018 0.995 0.997 Tabella 5.A: confronto tra PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT e NCC delle box MP-RAGE dell’ippocampo destro (R) e sinistro (L), delle immagini Corrette (C) e Non Corrette (NC) , per ogni volontario(lettera da A a F). I parametri di riproducibilità sono migliori per le immagini MP-RAGE non corrette dalle disomogeneità attraverso il software SPM5. Infatti il PSNR medio per le immagini non corrette è 74.46 per e per le corrette è 71.61; il MAXERR è più alto per le immagini corrette 0.583 in media rispetto alle non corrette 0.446 e L2RAT è maggiore per le immagini non corrette, con t-test significativo (p<0.02). 69 5.3 La Correzione SPM5 su HR MRI Calcolo gli indici di confronto introdotti al paragrafo 4.3 tra le scatole estratte dalle immagini HR con e senza correzione attraverso SPM5. Nelle figure 5.8 e 5.9 sono mostrate le box “corrette” baseline e repeat, destre e sinistre rispettivamente. Dal momento che i volontari hanno un età compresa tra i 19 e i 29 anni, e non hanno o hanno avuto patologie al Sistema Nervoso Centrale, si suppone che non ci siano differenze anatomiche tra le acquisizioni ripetute nel breve arco di tempo di una settimana o poco più. Figura 5.8: Box HR dell’ippocampo destro: baseline (a sinistra) e repeat (a destra). Figura 5.9: Box HR dell’ippocampo sinistro: baseline (a sinistra) e repeat (a destra). 70 Si mettono a confronto i valori dei parametri della correlazione (PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT e NCC) ricavati dalle immagini corrette con SPM5 con gli stessi relativi alle immagini non corrette (Tabella 5.B) PSNR C NC MSE C MAXERR* NC C NC L2RAT C NC NCC C NC AR 71.82 67.82 0.0042 0.0108 0.376 0.241 0.995 2.34 0.992 0.994 BR 71.78 72.96 0.0043 0.0033 0.459 0.365 1.003 0.752 0.992 0.981 CR 74.47 76.77 0.0023 0.0014 0.376 0.145 0.996 0.743 0.995 0.994 DR 73.53 71.54 0.0028 0.0046 0.380 0.236 0.990 0.575 0.994 0.993 ER 73.69 79.63 0.0027 0.0007 0.388 0.136 0.995 0.843 0.995 0.991 FR 68.62 80.28 0.0089 0.0006 0.396 0.094 0.989 0.882 0.983 0.993 AL 71.15 67.65 0.0049 0.0112 0.396 0.244 0.984 2.35 0.990 0.995 BL 71.15 73.73 0.0048 0.0028 0.397 0.253 0.990 0.790 0.990 0.984 CL 73.83 76.93 0.0026 0.0013 0.398 0.135 0.993 0.738 0.995 0.995 DL 72.18 71.73 0.0039 0.0044 0.390 0.229 0.988 0.571 0.992 0.986 EL 73.46 78.95 0.0029 0.0008 0.396 0.283 0.995 0.831 0.994 0.993 FL 73.33 80.01 0.0030 0.0006 0.376 0.216 1.009 0.876 0.994 0.993 MEDIA 72.41 74.83 0.0040 0.0035 0.394 0.215 0.993 1.025 0.992 0.994 Tabella 5.B: confronto tra PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT e NCC delle box HR dell’ippocampo destro (R) e sinistro (L), delle immagini Corrette (C) e Non Corrette (NC) , per ogni volontario(lettera da A a F). Dalla tabella 5.B, i parametri di riproducibilità sono migliori per le immagini HR non corrette dalle disomogeneità; infatti il PSNR medio per le immagini non corrette è 74.83 mentre per le corrette con SPM5 72.41; il MAXERR è più alto per le immagini corrette con 0.394 rispetto alle non corrette pari a 0.215, con t-test significativo (p<0.02). 71 5.4 Confronto tra MP-RAGE e HR MRI Noto che sulle immagini acquisiste con il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione la procedura automatica MIND non effettua le operazioni pre-processing di denoising e normalizzazione, si confronta la riproducibilità delle immagini MP-RAGE rispetto alle immagini HR con e senza la correzione dal Bias Field, tabella 5.C. PSNR C NC MSE C MAXERR* NC C NC L2RAT C NC NCC C NC MPRAGE 71.61 74.46 0.0055 0.0029 0.583 0.446 0.966 1.018 0.995 0.997 HR 72.41 74.83 0.0040 0.0035 0.394 0.215 0.993 1.025 0.992 0.994 Tabella 5.C: confronto tra PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT e NCC delle box MP-RAGE e HR delle immagini Corrette (C) e Non Corrette (NC). Dati i valori in tabella 5.C, si conferma la miglior riproducibilità delle immagini acquisiste con il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione rispetto a quelle acquisite con protocollo ADNI MP-RAGE, indipendentemente da correzioni o meno del Bias Field. Per le immagini trattate con SPM5, Il MAXERR vale 0.394 per le HR e 0.583 per le MP-RAGE e per le immagini non corrette il MAXERR vale 0.215 per le HR mentre misura 0.446 per le MP-RAGE, con ttest significativo (p < 0.02). 72 5.5 La Normalizzazione con Nuovo Oggetto di Calibrazione Le immagini del nuovo oggetto di calibrazione acquisite con il protocollo ad Alta Risoluzione e con il protocollo dell’ADNI, MP-RAGE, sono state analizzate per valutare come variano i toni di grigio delle stesse soluzioni di gadolinio, di solfato di rame e di acqua distillata tra le immagini. Si sono analizzati i toni di grigio delle 6 soluzioni nelle immagini acquisite con i fantocci TO5 (figura 5.10), SFERA (figura 5.11) e ADNI phantom (figura 5.13), e si è constatato che la stessa soluzione di mezzo di contrasto mostra valori variabili tra le immagini e tra le diverse fette della stessa immagine. Figura 5.10: (a sinistra) HR dell’oggetto test TO5 e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso) con relativo profile plot (a destra). Figura 5.11: (a sinistra) HR dell’oggetto test SFERA e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso) con relativo profile plot (a destra). 73 Figura 5.12: (a sinistra) HR dell’oggetto test ADNI e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso) e relativo profile plot (a destra). Le immagini 5.10, 5.11 e 5.12 mostrano che con le diluizioni del primo prototipo (definite al paragrafo 4.4), le cavità 4, 5, 6 (da sinistra) dell’oggetto di calibrazione non mostrano differenze apprezzabili, dove il gadolinio appare iperintenso, pertanto si è effettuato un secondo riempimento dell’oggetto di calibrazione in cui si sono modificati i contenuti delle cavità 5 e 6. Nella 5a cavità del secondo prototipo è stata inserita una soluzione di gadolinio al 0.07 mL e nella 6a 2 mL di acqua distillata (tabella 5.D). Successivamente si sono acquisite con gli stessi protocolli le immagini del secondo prototipo dell’oggetto di calibrazione utilizzando come oggetto test di riferimento una bottiglia omogenea contenente una soluzione di Solfato di Rame (figure 5.13 e 5.14). Soluzione Sostanza mL 1 Solfato di Rame 2 2 Gadolinio 0.1 3 Gadolinio 0.2 4 Gadolinio 0.4 5 Gadolinio 0.07 6 Acqua Distillata 2 Tabella 5.D: Le soluzioni nel Secondo Prototipo dell’oggetto di calibrazione. 74 Figura 5.14: MP-RAGE dell’oggetto test BOTTIGLIA e del Nuovo oggetto di calibrazione (sulla destra). Figura 5.13: HR dell’oggetto test BOTTIGLIA e del Nuovo oggetto di calibrazione (in basso) . Le tabelle 5.E e 5.F riportano i valori di media e deviazione standard dei toni di grigio delle soluzioni contenute nell’oggetto di calibrazione nelle immagini HR ed MP-RAGE: TO5 (HR) Soluzione 1 2 3 4 5 6 MEDIA 1258 1643 1831 1810 1779 1700 SFERA (HR) DS 34 61 66 71 72 73 MEDIA 1191 1587 1828 1865 1820 1768 ADNI (HR) DS 40 52 82 77 76 73 MEDIA 1017 1309 1457 1435 1399 1336 BOTTIGLIA (HR) DS 31 40 58 59 56 62 MEDIA 1131 1504 1677 1646 1402 157 DS 42 61 85 75 57 27 Tabella 5.E: Confronto della media e deviazione standard delle soluzioni contenute nelle 6 cavità dell’oggetto di calibrazione tra le immagini ad alta risoluzione. 75 TO5 (MPRAGE) Soluzione 1 2 3 4 5 6 MEDIA 1669 2183 2477 2618 2504 2507 BOTTIGLIA(MPRAGE) DS 120 181 178 195 175 180 MEDIA DS 1276 1741 2069 2091 1663 221 81 157 213 174 155 14 Tabella 5.F: Confronto della media e deviazione standard delle soluzioni contenute nelle 6 cavità dell’oggetto di calibrazione tra le immagini MP-RAGE. Dalle analisi condotte, la SFERA ha una maggior uniformità dei toni di grigio, perciò si decide di usare i valori delle cavità dell’immagine con la sfera come riferimento per la normalizzazione dei toni di grigio per le altre immagini. La funzione di calibrazione non lineare creata permette di portare i valori dei toni di grigio delle immagini (TO5, BOTTIGLIA e ADNI phantom) con i corrispondenti nell’immagine di riferimento della SFERA. Lo script definisce una spline cubica che associa ai valori di 3 soluzioni prese come riferimento: la 1, la 2 e la 4 dell’immagine da normalizzare, ai valori dei corrispondenti nell’immagine target di riferimento. Si sono scelte le soluzioni contenute nelle cavità 1, 2 e 4 in base ai profili. Il risultato delle calibrazioni è mostrato nei grafici: 5.15 e 5.16 per il TO5 HR e MP-RAGE, 5.17 per l’ADNI phantom HR, 5.18 e 5.19 per la BOTTIGLIA HR e MP-RAGE. 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 0 500 1000 1500 2000 Figura 5.15: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine TO5 HR (in ascissa) e i valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata). 76 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 Figura 5.16: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine TO5 MP-RAGE (in ascissa) e i valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata). 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 0 500 1000 1500 Figura 5.17: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine ADNI phantom HR (in ascissa) e i valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata). 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 0 500 1000 1500 2000 Figura 5.18: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine BOTTIGLIA HR (in ascissa) e i valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata). 77 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 0 500 1000 1500 2000 2500 Figura 5.19: Curva di calibrazione tra i valori dell’immagine BOTTIGLIA MP-RAGE (in ascissa) e i valori dell’immagine delle SFERA (in ordinata). Si mettono a confronto le medie e le deviazioni standard dei toni di grigio delle 6 soluzioni, prima e dopo la calibrazione rispetto al riferimento della SFERA tra le immagini ad HR, tabella 5.G e tra le MP-RAGE, tabella 5.H: Soluzione SFERA(HR) TO5(HR) ADNI(HR) BOTTIGLIA(HR) Riferimento Prima Dopo Prima Dopo Prima Dopo 1 1191±40 1258±34 1195±26 1017±31 1191±23 1131±42 1188±23 2 1587±52 1643±61 1573±88 1309±40 1585±70 1504±61 1585±71 3 1828±82 1831±66 1892±100 1457±58 1933±124 1677±85 1916±125 4 1865±77 1810±71 1851±109 1435±59 1889±135 1646±75 1857±150 5 1820±76 1779±72 1824±90 1399±56 1802±127 1402±57 145±359 6 1768±73 1700±73 1683±90 1336±62 1679±125 157±27 379±56 Tabella 5.G: Confronto di media e deviazione standard delle soluzioni contenute nelle 6 cavità dell’oggetto di calibrazione tra le immagini HR rispetto al riferimento della SFERA, prima e dopo la calibrazione. 78 Soluzione SFERA(HR) TO5(MPRAGE) BOTTIGLIA(MPRAGE) Riferimento Prima Dopo Prima Dopo 1 1191±40 1669±120 1200±89 1276±81 1191±20 2 1587±52 2183±181 1558±127 1741±157 1586±24 3 1828±82 2477±178 1837±108 2069±213 1845±28 4 1865±77 2618±196 1865±109 2091±174 1865±34 5 1820±76 2504±175 1871±166 1663±155 1521±25 6 1768±73 2507±180 1791±130 221±14 213±20 Tabella 5.H: Confronto di media e deviazione standard delle soluzioni contenute nelle 6 cavità dell’oggetto di calibrazione nelle immagini MP-RAGE rispetto al riferimento della SFERA., prima e dopo la calibrazione. Le Tabelle 5.G, 5.H e le figure 5.20 e 5.21 mostrano i risultati della calibrazione, per cui i toni di grigio delle stesse soluzioni contenute nel nuovo oggetto di calibrazione risultano più simili nelle diverse immagini ai valori di riferimento. IMMAGINI NON CALIBRATE 2000 1800 1600 1400 1200 TO5 1000 SFERA 800 ADNI 600 BOTTIGLIA 400 200 0 1 2 3 4 5 6 Figura 5.20: Confronto delle medie dei toni di grigio delle 6 soluzioni tra le immagini ad alta risoluzione TO5, SFERA, ADNI e BOTTIGLIA prima della Calibrazione. 79 IMMAGINI CALIBRATE 2000 1800 1600 1400 TO5 1200 SFERA 1000 ADNI 800 BOTTIGLIA 600 400 200 1 2 3 4 5 6 Figura 5.21: Confronto delle medie dei toni di grigio delle 6 soluzioni tra le immagini ad alta risoluzione TO5, SFERA, ADNI e BOTTIGLIA dopo la Calibrazione. 80 6. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Il presente lavoro di tesi è rivolto a migliorare la qualità di immagini di Risonanza Magnetica Nucleare per lo studio della malattia di Alzheimer, con l’obiettivo di rendere utile ai fini diagnostici l’analisi longitudinale delle immagini RM ad Alta Risoluzione (High Resolution, HR). A questo scopo si sono seguite due strade: la prima rivolta a correggere la disomogeneità dell’intensità di segnale che altera l’immagine di RM, definita Intensity Inhomogeneity (IIH) o Bias Field, applicando metodi proposti dalla letteratura ed implementati da software di correzione; la seconda alla definizione di una nuova procedura di normalizzazione dei toni di grigio dell'immagine che si basi su riferimenti assoluti presenti nell’immagine stessa con la realizzazione di un nuovo oggetto di calibrazione. Lo studio della IIH su oggetti test ha dimostrato che nelle sequenze utilizzate in questo lavoro, le alterazioni di segnale possono essere fino al 10% ed interessano principalmente le regioni periferiche dell’immagine. Questa quantità, per quanto piccola, può mascherare piccole variazioni di segnale utili alla diagnosi precoce e quindi si è proceduto allo studio dei metodi di correzione sulle immagini acquisite sui volontari. Il lavoro si è basato su un data set in cui per ogni volontario sono presenti: una coppia di immagini acquisite secondo il protocollo MP-RAGE dell’ADNI e una coppia di immagini acquisite mediante il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione (High Resolution HR), definito dall’INFN (sezione di Genova e di Trieste), dall’Università di Trieste e dalla collaborazione con l’Ospedale Cattinara di Trieste. Ogni volontario è stato chiamato per due sessioni di acquisizioni, ad una settimana o più di distanza l’una dall’altra: la prima immagine viene identificata con baseline e la seconda con repeat. E’ stata studiata la riproducibilità delle immagini e se questa poteva essere aumentata introducendo le correzioni della disomogeneità IIH. Alle immagini acquisite sono stati applicati due dei metodi di correzione del Bias Field più comuni proposti in letteratura, basati sulla segmentazione e sugli istogrammi, ed implementati rispettivamente dai software SPM5 e BRAINSUITE. Le immagini acquisite e corrette per ogni volontario sono state inviate all’INFN di Genova per l’avvio della procedura automatica di estrazione delle scatole ippocampali (MIND). Ogni box mostra la porzione di encefalo 81 relativa alla sola area ippocampale, che è considerata un promettente biomarker per lo studio dell’Alzheimer. Tuttavia si è appurato che solo il SW SPM5 risulta essere compatibile con la pipeline MIND. Per ogni volontario si hanno 16 scatole (8 per le immagini grezze e 8 per le immagini corrette da SPM5): le coppie baseline (destra e sinistra) e le coppie repeat (destra e sinistra) sia per MP-RAGE che per HR. Si è implementato un sistema di confronto oggettivo, per valutare la correlazione tra le immagini ripetute con la definizioni degli indici: PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT e NCC. I risultati mostrano la miglior riproducibilità delle immagini acquisite con il protocollo ad Alta Risoluzione rispetto alle immagini MP-RAGE, in quanto i parametri della correlazione sono più alti per le immagini HR con t-test significativo. Tuttavia l’applicazione della correzione mediante SPM5 sul nostro campione non migliora la riproducibilità tra baseline e repeat rispetto alle immagini non corrette da IIH, anzi si osserva un leggero peggioramento. Ritengo che questo sia dovuto al fatto che le disomogeneità osservate incidono principalmente nelle regioni periferiche dell’immagine e sono caratterizzate da una bassa frequenza spaziale, ed è quindi ragionevole che pesino poco nei volumi ippocampali che sono di piccole dimensioni (4 x 7.5 x 3 cm3) e piuttosto centrali. Il leggero peggioramento dei parametri utilizzati per valutare la riproducibilità delle immagini è un effetto indesiderato delle procedure di correzione. Le immagini acquisite con il nuovo protocollo ad Alta Risoluzione non possono essere analizzate con il processo di pre-processing che caratterizza la pipeline di MIND. Infatti la normalizzazione dei toni di grigio di MIND si basa sulla segmentazione della regione del corpo calloso che non è visibile nelle immagini HR a ridotto campo di vista e centrate sulle porzioni ippocampali e paraippocampali del cervello. Si è sviluppato un nuovo metodo di normalizzazione che utilizza riferimenti assoluti presenti nell’immagine stessa. Si è creato un nuovo oggetto di calibrazione, un elemento in plexiglass (9 x 8 x 1 cm3) con 6 cavità riempite da diluizioni differenti di gadolinio, solfato di rame e acqua distillata definendo così 6 riferimenti assoluti nell’immagine. I risultati della calibrazione sono soddisfacenti in quanto la normalizzazione si dimostra una procedura efficace e robusta e in questo modo le immagini HR sono normalizzate con un criterio oggettivo. 82 Uno sviluppo futuro sarà studiare la correzione di IIH dalle immagini in vivo ed in presenza del nuovo oggetto di calibrazione, che verrà posizionato sotto la nuca del volontario. A tale scopo si propone la realizzazione di un secondo prototipo di oggetto di calibrazione dalle caratteristiche più ergonomiche. Inoltre si potrà procedere alla programmazione di un protocollo clinico di studio longitudinale su pazienti, coinvolgendo una o più sedi. 83 84 APPENDICE A.1 La Risonanza Magnetica Nucleare La Risonanza Magnetica (RM) nucleare rappresenta lo studio delle proprietà magnetiche del nucleo dell’atomo; sia i protoni che i neutroni esibiscono proprietà magnetiche legate al loro spin (momento angolare) e alla loro distribuzione di carica. In particolare tutto l’imaging di RM si basa sul segnale del nucleo di Idrogeno (H+), costituito da un unico protone. I primi studi di RM risalgono agli anni 40, come strumento d’indagine per ricerche in ambito chimico e biochimico; negli anni 70, è stato scoperto che i gradienti di campo magnetico possono permettere la localizzazione del segnale RM e la generazione d’immagini il cui contrasto e’ determinato dalle proprietà magnetiche del protone, fornendo importanti informazioni cliniche. Dal 1980 si è verificata la grande diffusione di tale apparecchiatura in ambito clinico. Infatti l’alto contrasto e differenziazione dei tessuti molli e la sicurezza per il paziente (dato dal fatto che non utilizza radiazioni ionizzanti) hanno fatto si che la RM diventasse per molti esami la tecnica di indagine preferenziale, a dispetto della CT (Computed Tomography). Tuttavia ci sono alcuni svantaggi da considerare, che includono l’elevato costo dell’apparecchiatura, i lunghi tempi per l’acquisizione di un immagine, artefatti significativi e problemi legati alla claustrofobia dei pazienti sottoposti all’indagine. A.1.1 Preludio all’Imaging di Risonanza Magnetica Il nucleo di un atomo è composto da protoni e da neutroni con le caratteristiche riportate in figura (A.1.1), il loro spin e la loro distribuzione di carica ne influenzano le proprietà magnetiche. Lo spin è assimilabile al momento angolare di un sistema macroscopico rotante e si può affermare che sia una grandezza “intrinseca” che prescinde da un modello del sistema e che ha le proprietà formali di un momento angolare. In particolare lo spin del protone (dalla carica positiva, opposta all’elettrone) produce un dipolo magnetico; nonostante il neutrone sia 85 elettricamente privo di carica, le disomogeneità di carica a livello subnucleare produce un campo magnetico di direzione opposta e delle stessa intensità dei quello generato dal protone. Il vettore momento magnetico (μ), descrive le caratteristiche del campo magnetico di una carica elettrica che ruota su stessa, ovvero dotata di spin (S). La relazione che lega il momento magnetico allo spin è: μ = γ*S (1) dove γ rappresenta una costante di proporzionalità nota come rapporto giromagnetico, caratteristico di ogni tipo di nucleo. Si specifica che in un nucleo con un numero pari di protoni e neutroni, gli spin sono accoppiati e il momento magnetico è essenzialmente zero. Invece i nuclei aventi numero dispari di protoni o di neutroni o entrambe, hanno S diverso da zero e perciò questi nuclei sono dotati di momento angolare μ diverso da zero. Tabella A.1.1 :Caratteristiche dei Neutroni e Protoni. Il principale elemento usato per l’imaging di RM è l’idrogeno, costituito da un solo protone (H+) e da spin pari a 1/2. Di seguito nucleo d’idrogeno e protone saranno usati come sinonimi. Il protone può essere considerato come un piccolo magnete costituito dal polo nord e sud (figura A.1.2) e in assenza di un campo magnetico esterno (il campo magnetico terrestre ha intensità troppo bassa per creare effetti significativi a temperatura ambiente), l’isotropia dello spazio fa si che non sussistano motivi perché il nucleo preferisca un’orientazione rispetto ad un’altra. (figura A.1.3A). Ma sotto l’influenza di un campo magnetico esterno, B0, gli spin si distribuiranno in due possibili configurazioni o livelli energetici (secondo la meccanica quantistica): paralleli (livello energetico inferiore) o antiparalleli a B 0 (livello energetico 86 superiore) (figura A.1.3B). Si è dimostrato che prevalgono in numero gli spin con direzione parallela al campo magnetico esterno. Secondo la meccanica classica, i protoni dotati di μ e sotto l’influenza di B 0, sono soggetti ad un momento torcente, che ne causa un moto di precessione attorno alla direzione di B0 (moto di una trottola) (figura A.1.4). La frequenza angolare della trottola (numero di rotazioni/secondo) è proporzionale all’intensità di B0 ed è descritta dall’equazione di Larmor: ω0 = γ * B0 (2) data la dipendenza di ω0 da γ , allora la frequenza di Larmor dipenderà dal nucleo studiato (tabella A.1.5) . μ Figura A.1.2: (a sinistra) rappresentazione classica del protone come dipolo magnetico, (a destra) rappresentazione del momento magnetico dello stesso protone. Figura A.1.3: A: senza un campo magnetico esterno, i protoni si dispongono in maniera casuale nello spazio (μ complessivo pari a zero). B: sotto l’influenza di B0, i protoni assumono i due orientamenti possibili (parallelo o antiparallelo). 87 Figura A.1.4: moto di precessione di un protone con frequenza proporzionale al campo magnetico esterno B0. Intensità B0 1 H 31 P 0.15 T 6.39 MHz 2.58 MHz 0.5 T 21.29 MHz 8.6 MHz 1.5 T 63.87 MHz 25.8 MHz 3.0 T 127.74 MHz 51.6 MHz Tabella A.1.5 : frequenza di precessione f = ( γ/2π ) B0. Si introduce a questo punto il concetto di vettore magnetizzazione M, come il vettore risultante dei momenti magnetici dei nuclei contenuti in un elemento di volume (voxel): M = ∑i μi (3) M risulterà essere un vettore con direzione parallela al campo magnetico B 0, in quanto nel voxel in esame, come detto precedentemente, si ha una prevalenza di spin in posizione parallela al campo e precedera’ con un moto di precessione pari alla frequenza di Larmor. Considerando un sistema di riferimento x,y,z, con z orientata nella direzione di B 0, il vettore magnetizzazione è descritto, secondo la meccanica classica, come un vettore a due componenti: Mz e Mxy (figura A.1.6). La prima è chiamata magnetizzazione longitudinale ed è parallela al campo magnetico applicato. All’equilibrio Mz è massima e pari a M0, l’ampiezza di M, determinata dalla differenza nel numero di spin in posizione up o down rispetto il campo magnetico. Mxy è la magnetizzazione trasversale, perpendicolare al campo magnetico 88 applicato e all’equilibrio è pari a zero, poiché le componenti trasversali dei singoli protoni hanno orientamento causale e nella sommatoria vettoriale la risultante sarà pari a zero. Per poter fare imaging è necessario a questo punto stimolare il sistema attraverso l’irraggiamento con radiofrequenze (RF). Figura A.1.6: il vettore magnetizzazione e le due componenti, longitudinale e trasversale, in un sistema di riferimento x,y,z, con z coincidente con la direzione di applicazione di B0. A.1.2 La generazione del segnale RM L’Applicazione di un impulso a RF sincronizzato con la frequenza di precessione dei protoni, provoca l’eccitazione degli stessi: ossia si realizzano le condizioni per il fenomeno della risonanza (scambio efficiente di energia tra due sistemi). Per la meccanica classica, questo si manifesta come una torsione del vettore magnetizzazione M dalla condizione di equilibrio; per la meccanica quantistica lo stesso fenomeno è descritto come un salto energetico degli spin dallo stato non eccitato allo stato eccitato, quindi da UP a DOWN. Il ritorno all’equilibrio da questa condizione di eccitazione, rappresenta il segnale di risonanza magnetica, che avrà un’ampiezza proporzionale al numero di protoni eccitati e un rate che dipenderà dalle caratteristiche del tessuto da cui proviene il segnale stesso. L’impulso di eccitazione corrisponde all’energia che separa il livello energetico dei protoni nello stato non eccitato (posizione parallela al campo) a quello dello stato eccitato (posizione antiparallela al campo). Solo quando è applicata la giusta energia si ottiene l’eccitazione degli 89 spin, in particolare la frequenza di questo impulso di eccitazione corrisponde proprio alla frequenza di precessione dei protoni. Si precisa che essendo la frequenza di Larmor, ω0 , del nucleo di idrogeno, dell’ordine dei MHz, allora l’energia di eccitazione rientra nella porzione dello spettro elettromagnetico corrispondente alle radio frequenze. Si analizza il modello della meccanica classica per la descrizione del fenomeno. Si consideri un sistema di riferimento fisso, come in figura A.1.6, con z coincidente con la direzione di applicazione di B0. L’irraggiamento con RF si realizza con una bobina alimentata da corrente alternata alla frequenza ω0 (orientata per esempio lungo y) , generando così un campo magnetico oscillante B1. B1 provocherà una torsione di M e nel sistema di riferimento, si vedrà M ruotare in un moto a spirale (seguendo il profilo di una sfera) alla frequenza di ω1 con ω1 pari a γ * B1 (dall’equazione (2)). L’impulso di eccitazione provoca così la formazione di un angolo tra M e B0, definito angolo di flip, θ: θ = ω1 * t = γ * B1 * t (4) dove t è il tempo di applicazione di B1. Un impulso RF di 90°, per esempio, provoca il ribaltamento di M sul piano xy; perciò genera la massima magnetizzazione trasversale Mxy. Una bobina posta in modalità ricevente raccoglierà il segnale generato dal rilassamento; in quanto durante il ritorno all’equilibrio, M determinerà un fenomeno magnetico che indurrà una corrente alternata sulla bobina alla frequenza di Larmor. In un sistema di riferimento fisso, il vettore magnetizzazione mantiene costante il suo modulo durante il ritorno all’equilibrio. Il segnale generato in un’antenna dopo un impulso di 90° è noto come free induction decay (FID) (figura A.1.7) ed ha l’andamento di una sinusoide smorzata esponenzialmente con un tempo caratteristico di T2*. 90 Figura A.1.7: il rilassamento di Mxy induce un segnale nella bobina, il FID, alla frequenza di Larmor e secondo T2* dovuto alla perdita di coerenza di fase. Più precisamente si parla di Rilassamento Longitudinale e Trasversale, aventi meccanismi e tempi differenti. Il primo rappresenta il ripristino di M z (da zero, dopo un impulso di 90°) secondo un tempo pari a T1. Questo rilassamento dipende dalla dissipazione di energia tra spin e reticolo causata da urti e moti vibrazionali (figura A.1.8). L’equazione di Bloch descrive il recupero della magnetizzazione longitudinale come: Mz (t) = M0 (1 – e-t/T1) (5) Il rilassamento trasversale rappresenta la perdita di M xy (che dopo θ=90° è massima e pari a M0) a causa dello sfasamento della precessione degli spin per interazione spin-spin (con una relazione esponenziale la cui costante di tempo pari a T2). L’equazione di Bloch per la perdita della magnetizzazione trasversale e’ definita come: Mxy (t) = M0 e-t/T2 (6) Oltre a disomogeneità atomiche tra gli spin vicini, che fluttuano con i moti casuali delle molecole, anche la disomogeneità del campo magnetico principale causa questa perdita di 91 coerenza di fase e per tanto il tempo di rilassamento trasversale effettivo che si misura è pari a T2*; il quale è dato dal tempo T2 (disomogeneità del materiale) e dalla disomogeneità del campo magnetico nel volume di tessuto considerato, secondo la relazione: 1/T2* = 1/T2 + γ∆B0 (7) Dove ∆B0 rappresenta la disomogeneità di B0, (figura A.1.9A e B). Dato che T1 e T2 sono caratteristici dei tessuti, sono stati tabulati (tabella A.1.10). Figura A.1.8: dopo un impulso di 90°, Mz diventa 0 sul piano xy. Dopo un tempo pari a T1, si è ripristinato il 63% della magnetizzazione longitudinale. 92 Figura A.1.9: A: perdita di Mxy causata da interazioni spin-spin nel tessuto. Dopo T2 è decaduto il 37% della magnetizzazione trasversale. B: T2 è legato alle proprietà intrinseche della materia; T2* è legato sia alle disomogeneità intrinseche che del campo magnetico principale. T2 è sempre più lungo di T2*. Tabella A.1.10: tempi di rilassamento T1 e T2 per alcuni tessuti A.1.3 La localizzazione del segnale RM Con l’utilizzo di un campo statico d’induzione magnetica esterno B 0 e di uno specifico impulso di eccitazione, i protoni presenti all’interno di un materiale, vengono eccitati e successivamente producono un segnale con ampiezza proporzionale al tempo di rilassamento 93 e alla densità protonica, durante il rilassamento. La localizzazione del segnale è fondamentale per l’imaging di risonanza magnetica e richiede l’utilizzo di gradienti di campo magnetico. Questi si ottengono dalla sovrapposizione dei campi magnetici generati dalle bobine di gradiente, spire conduttrici che producono variazioni lineari del campo magnetico principale. All’interno del corpo dell’apparecchiatura, sono posizionati i tre set di gradient coil lungo x, y e z (figura A.1.11). E si definiscono Gx, Gy e Gz, i gradienti di B0 lungo x, y e z, rispettivamente. Figura A.1.11: Set di bobine di gradiente lungo x,y e z. La presenza di un gradiente lineare fa si che cambi la frequenza di precessione dei protoni in funzione della loro posizione. In particolare, per la geometria del sistema di gradienti, al centro del FOV (field of view), il gradiente è nullo e quindi non si hanno modifiche sulla frequenza di precessione. Pertanto si risale alla posizione del protone all’interno del sistema grazie alla sua frequenza e alla sua fase (figura A.1.12). 94 Figura A.1.12: distribuzione del gradiente e della frequenza di Larmor all’interno del FOV. Se per esempio accendiamo un gradiente lungo x: B(x) = B0 + xGx (6) Dove B(x) rappresenta il campo magnetico nella posizione x e B 0 è il campo magnetico principale. Allora l’intensità del campo in due punti x1 e x2 sarà: B(x1) = B0 + x1Gx (7) B(x2) = B0 + x2Gx Perciò la frequenza di precessione nelle posizioni x1 e x2 sarà: ω1 = γ B(x1) ω2 = γ B(x2) 95 (8) dove pertanto ω1 ≠ ω2. Il segnale raccolto dalla bobina sarà così costituito da due componenti a frequenze diverse che si determinano con la trasformata di Fourier; note le frequenze si possono determinare le posizioni di x1 e x2, quindi localizzare la provenienza del segnale RM. Per localizzare un protone all’interno di un volume tridimensionale sono necessari tutti e tre i gradienti: il gradiente di selezione della fetta (Gz), quello di codifica di frequenza (Gx) e quello di codifica di fase (Gy). Il Gradiente di Selezione della fetta (Gz) La bobina generatrice dell’impulso RF non ha la capacita’ di indirizzare l’energia nello spazio considerato. Percio’ e’ il gradiente di selezione della fetta che definisce/seleziona la fetta di tessuto che deve essere perturbata dall’impulso RF che viene applicato contemporaneamente all’impulso RF. Per esempio il gradiente puo’ essere applicato lungo l’asse del corpo (direzione cranio-caudale) e la frequenza di precessione dei protoni varia a seconda della loro posizione all’interno del gradiente. L’impulso di eccitazione sara’ cosi’ applicato all’intero volume, ma solo gli spin aventi la stessa frequenza di precessione della RF, assorbiranno l’energia, a causa del fenomeno di risonanza (figura A.1.13). Lo spessore della fetta e’ determinato da due parametri: la larghezza di banda dell’impulso RF e dall’intensita’ del gradiente all’interno del FOV. Per un dato valore di Gz, piu’ e’ stretta la banda dell’impulso, piu’ stretta sara’ la fetta di tessuto (figura A.1.14A). Invece stabilita la banda di RF, maggiore e’ la forza del gradiente, piu’ ampio sara’ il range di frequenze nel FOV e quindi lo spessore delle fette diminuisce (figura A.1.14B). Figura A.1.13: il gradiente di selezione della fetta modifica la frequenza di precessione dei protoni. 96 A B Figura A.1.14: A: dato un gradiente, lo spessore della fetta e’ determinato dalla larghezza di banda RF; B: fissata la banda RF, l’intensita’ del gradiente determina lo spessore della fetta. Il Gradiente di Codifica di Frequenza (Gx) Il gradiente di codifica di frequenza, noto anche come gradiente di lettura, e’ applicato in direzione perpendicolare al gradiente di Selezione della fetta, lungo l’asse x, durante la formazione del segnale proveniente dagli spin eccitati da Gz. Pertanto si varia linearmente la frequenza di emissione dei protoni. Il Gradiente di Codifica di Fase (Gy) La posizione degli spin nella terza dimensione dello spazio e’ determinata dal gradiente di codifica di fase, applicato perpendicolarmente tra il gradiente di selezione della fetta e di lettura. La fase rappresenta una variazione nel punto di partenza di una sinusoide, e puo’ essere introdotta dall’applicazione di un gradiente. Dopo la selezione della fetta di tessuto, tutti gli spin sono in coerenza di fase; durante l’applicazione di Gy, si determina una variazione lineare della frequenza di precessione degli spin eccitati. Spegnendo il gradiente, gli spin continuano a precedere con la frequenza di Larmor ma non sono piu’ in fase. Per ogni TR (tempo di ripetizione), uno specifico Gy introduce uno specifico cambiamento di fase all’interno del FOV (figura A.1.15). 97 Figura A.1.15: il gradiente di codifica di fase per ogni TR produce una variazione della frequenza di precessione dei protoni e in seguito, i protoni tornano a precedere alla frequenza di Larmor ma non piu’ in fase. Per illustrare l’applicazione dei gradienti, si riporta qui di seguito un esempio di sequenza SPI-ECHO (figura A.1.16). La figura A.1.16 mostra l’applicazione del gradiente di selezione della fetta in contemporanea agli impulsi di eccitazione di 90 e 180; il gradiente di codifica di frequenza viene acceso durante la formazione dell’echo (dopo un tempo pari a TE). La sequenza e’ ripetuta all’aumentare del gradiente di codifica di fase per definire la terza dimensione dell’immagine. 98 Figura A.1.16: schema di un sequenza spin-echo, in cui si mostrano i tempi di applicazione dei diversi gradienti in un intervallo pari a TR. Ogni TR e’ caratterizzato da un diverso valore di Gy. A.1.4 La formazione dell’immagine MRI Il segnale di RM viene acquisito nello spazio K, matrice come files di dati acquisiti nel corso della scansione ma che all’apparenza non ricostruiscono l’immagine anatomica selezionata. Ogni immagine ha il proprio set di dati che costituisce lo spazio k. Lungo le righe della matrice sono disposti i valori di kx che corrispondono ai tempi (integrali) di misura in cui è applicato il gradiente di lettura; e lungo le colonne quelli di k y che rappresentano ogni passo della codifica di fase. La matrice è divisa in 4 quadranti, con l’origine posto al centro e rappresentante la frequenza pari a 0. Esempio di riempimento dello spazio K, in figura A.1.17: 1) Un impulso di eccitazione RF viene applicato contemporaneamente al gradiente di selezione della fetta (Gz). L’energia assorbita dal tessuto dipende dall’ampiezza e dalla durata dell’impulso stesso. Ad un impulso di 90°, la magnetizzazione longitudinale si annulla e risulta massima la magnetizzazione trasversale; 99 2) Un gradiente di codifica di fase è applicato per un generare una differenza di fase tra gli spin lungo la stessa direzione di Gy; in questo modo si “seleziona” una riga dello spazio k; 3) Un impulso di 180° produce l’eco al tempo TE, simultaneamente al Gz; 4) Durante la formazione dell’eco, il gradiente di codifica di frequenza, applicato ortogonalmente a Gy e Gz, modifica le frequenza di precessione degli spin lungo il gradiente stesso; 5) Allo stesso momento l’ADC acquisisce il segnale nel dominio del tempo, la frequenza di campionamento e’ determinata dalla banda di eccitazione. I dati digitali vengono convertiti in frequenze discrete riempiendo così una riga dello spazio k; 6) Il processo si ripete fino al riempimento dell’intera matrice; 7) La trasformata inversa 2D di Fourier, permette di decodificare le informazioni nel dominio delle frequenze per ottenere le caratteristiche spaziali e del contrasto del tessuto nell’immagine; 8) L’immagine finale rappresenta le caratteristiche di T1, T2 e densità protonica del tessuto utilizzando scale di grigio. Ogni pixel rappresenta un voxel e lo spessore è determinato dal gradiente di selezione della fetta e dalla banda dell’impulso RF. La posizione di un dato nello spazio-k e’ determinata dagli effetti dei gradienti e degli impulsi di eccitazione. La parte centrale dello spazio-k e’ relativo alle basse frequenze, contribuisce al contrasto dell’immagine e contiene le informazioni sulle forme grossolane; mentre l’area al bordo dello matrice corrisponde alle alte frequenze, responsabili della risoluzione spaziale dell’immagine, dei dettagli e delle strutture più fini. 100 Figura A.1.17: acquisizione dei dati RM e riempimento dello spazioK. 101 A.2 Procedure di Installazione e Accettazione di apparecchiature di RM A.2.1 Le Procedure d’installazione Riprendo in questa appendice parte della relazione di tirocinio formativo universitario che ho svolto presso il Servizio di Ingegneria Clinica dell’Azienda Ospedaliero-universitaria “Ospedali Riuniti” di Trieste (AOUTS), in quanto il lavoro di tesi riguarda la correzione di immagini MRI le cui alterazioni hanno origine nell’hardware qui di seguito presentato e discusso. Presso il Nuovo Polo tecnologico dell’Ospedale Maggiore di Trieste è stato recentemente installato un tomografo a Risonanza Magnetica (RM) 1.5 Tesla, il MAGNETOM Aera System della Siemens (figura a lato), di cui ho potuto seguire le procedure d’installazione ed accettazione durante il mio tirocinio formativo. Si tratta di un’apparecchiatura a magnete superconduttore. Le procedure d’installazione hanno richiesto complessivamente 4 giorni. Il tomografo a RM è un apparecchio utilizzato nell’ambito della diagnostica per immagini, i cui componenti principali possono essere suddivisi in tre categorie [35]: 1 I componenti che hanno il compito di produrre l’eccitazione dei nuclei in esame e sono: il Magnete, l’alimentazione del magnete, i sistemi di controllo dell’omogeneità del campo magnetico (shimming), le bobine di gradiente, il generatore di radiofrequenze (RF) e l’amplificatore di potenza degli impulsi RF; 2 Le parti destinate al rilevamento, all’elaborazione del segnale RM e alla formazione dell’immagine finale, e sono la bobina per rilevare il segnale RM, il preamplificatore, il ricevitore, il campionatore e convertitore A/D, il calcolatore e il sistema di presentazione dell’immagine a video; 3 Il calcolatore di controllo di tutte le componenti del tomografo. L’elemento fondamentale del tomografo è il Magnete che ha il compito di produrre un campo magnetico statico all’interno del quale sarà posto il paziente. I parametri che caratterizzano il 102 campo magnetico prodotto sono l’intensità, l’omogeneità e la stabilità nel tempo [35]. L’intensità del campo magnetico si misura in Tesla (1 Tesla = 10.000 Gauss) ed ha valori differenti a seconda del campo d’applicazione: per l’imaging sono sufficienti intensità di 0,15 e 0,5 T. Attualmente i sistemi clinici utilizzano magneti da 1,5 a 2 T; in ambito di ricerca si arriva fino a 7 T. Il massimo raggiunto fin’ora è un 9 Tesla. L’omogeneità del campo si misura in parti per milione (ppm). Questi rappresentano la variazione del campo magnetico lungo una direzione divisa per il valore del campo stesso. Una bassa omogeneità fa diminuire la quantità di protoni del volume esaminato che saranno eccitati dall’impulso RF e il risultato sarà un’immagine di scarsa qualità. La stabilità dell’intensità ed omogeneità deve essere mantenuta nel tempo e si misura in parti per milione per ora (ppm/h). Vista in sezione di un sistema a magnete superconduttore. 103 Fantocci utilizzati per la valutazione dell’omogeneità di campo magnetico. Sfere dal diametro di 25 e 50 cm. Il Refill dell’elio La superconduttività è una caratteristica di alcuni materiali, come leghe di niobio-titanio, che esibiscono resistenza nulla al passaggio di corrente elettrica quando mantenuti a temperature estremamente basse. Pertanto realizzando una bobina con una materiale superconduttivo e “immergendola” in un fluido criogenico (elio liquido), mantenuto alla temperatura di circa 269°C, si ottiene la permanente circolazione di corrente senza la necessità di una continua alimentazione, con l’instaurazione di un campo statico d’induzione magnetica [26]. La fase che precede lo start up del magnete, ossia l’accensione del campo magnetico, è il refill dell’elio. Si tratta di un refill, vale a dire “ricarica”, dal momento che l’apparecchiatura esce dalla fabbrica con circa un 10-30% di elio già presente all’interno del sistema del criogeno. L’elio liquido (LHe) possiede il più basso punto di ebollizione tra tutti gli elementi (4,2 Kelvin ovvero -269°C) ed è quindi il liquido più freddo sulla Terra [36]. L’elio gas è presente nell’atmosfera solo in tracce (0,0005%), il che rende l’estrazione dall’aria molto dispendiosa e antieconomica. Per questo viene ricavato esclusivamente da giacimenti di gas naturali e attualmente i principali si trovano in USA, Russia, Algeria, Qatar e in Polonia. Secondo la Cornell University di Ithaca, visti gli attuali tassi di consumo di elio e la scarsa disponibilità di questo elemento sulla Terra, c’è il rischio che le riserve di elio finiscano entro il 2040 [37]. L’operazione di refill dell’elio viene effettuata da personale tecnico specializzato. L’elio pur non essendo tossico, se inalato in concentrazioni elevate, può portare all’asfissia; inoltre se viene a contatto con altri corpi può portare a gravi ustioni da freddo. Per evitare perdite 104 dovute all’evaporazione, l’elio liquido viene trasportato fino al sito RM in recipienti speciali isolati e sottovuoto, i dewar. Sono stati portati tre dewar, ciascuno da 250 litri di capacità. Si è utilizzato elio gassoso (puro 5.5 a 2 bar) per veicolare l’elio liquido all’interno dell’apparecchiatura. Qui deve essere ovviamente mantenuta la bassa temperatura dell’elio, pertanto l’avvolgimento e il bagno d’elio sono contenuti in una struttura ermetica raffreddata ad acqua. Dopo il refill, procedura durata circa 3 ore, si è proceduto all’installazione della consolle dei comandi per dare avvio alla fase di accensione del magnete. Lo start up del magnete Una volta posizionata la segnaletica di avvertimento della presenza di campo magnetico ad alta intensità sulle porte di accesso alla zona di rispetto (0,1 mT < B < 0,5 mT) e alla zona controllata (B ≥ 0,5 mT), si è effettuato lo start up del magnete. L’accensione è avvenuta attraverso il collegamento dell’avvolgimento ad un generatore ausiliario (figura A.2.1), fornito della ditta produttrice stessa, opportunamente agganciato attraverso la gabbia di Faraday. Figura A.2.1: Generatore ausiliario per lo start up del magnete. Lo start up e l’innalzamento del campo magnetico avvengono gradualmente. Da console si è impostata l’intensità massima della corrente che si vuole circoli sulla bobina e gradualmente il 105 generatore ausiliario fornisce tale corrente, fino a raggiungere i 500 Ampere desiderati. Quindi dalla console si visualizza a monitor solo la corrente che circola nella bobina e non l’intensità del campo magnetico che si genera. Prima di scollegare il generatore, si sono effettuati altri due start up ed è in genere durante il primo innalzamento del campo che è più probabile che si verifichi un quech spontaneo. Nel caso seguito questo fortunatamente non è accaduto. Si deve distinguere tra quench spontaneo e pilotato. Il primo può manifestarsi a seguito di un grande shock meccanico della strumentazione o a seguito di una brusca riduzione del livello di elio liquido a causa di un accidentale ed eccessivo surriscaldamento. Il quench pilotato, quindi comandato dall’operatore con la premuta del pulsante di spegnimento del magnete (figura A.2.2), viene anche chiamato soft-quench, in quanto il riscaldamento dell’elio liquido avviene in maniera uniforme e controllata, e ciò tendenzialmente non provoca danni all’apparecchiatura. Lo spegnimento del magnete avviene in 20 secondi, tuttavia con una perdita in denaro di più di 20.000 €. È opportuno che l’avvio del magnete si effettui se in sala consolle, è attivo il dispositivo di visualizzazione del tenore di ossigeno, del livello d’umidità e della temperatura presenti in sala magnete (figura A.2.3). Al momento dell’accensione questi misuravano rispettivamente: 20.9%, 38% (calata fino a 20% nei giorni successivi) e 22°C. Un’umidità troppo bassa (ossia meno di 40-60%) comporta due problematiche. La prima legata ad un problema di sicurezza del paziente, la seconda ad un problema di qualità dell’immagine. Come infatti prevedono le linee guida per la sicurezza del paziente, il livello di umidità deve essere intorno al 40-60% [38], per far sì che siano garantite le condizioni per un adeguato smaltimento del calore da parte dei tessuti del paziente sottoposto all’indagine RM. Inoltre, un’umidità bassa può portare alla formazione di cariche elettrostatiche (spike) all’interno dell’apparecchiatura, che vanno a produrre artefatti sull’immagine acquisita. Per individuare la presenza di questi spike, un dispositivo dedicato (figura A.2.4) aspira l’aria da determinati punti critici dell’apparecchiatura e la analizza cercando la presenza di queste particelle cariche. 106 Figura A.2.2: Pulsante di emergenza per il quench (spegnimento del magnete). Figura A.2.3: Dispositivo per la visualizzazione di: (da sinistra) tenore di ossigeno (in %), livello di umidità (in %) e temperatura (in °C). Figura A.2.4: Dispositivo per la rilevazione di spike. Lo shimming del magnete La presenza di imperfezioni negli avvolgimenti e il non ideale posizionamento delle bobine al momento dell’assemblaggio, determinano asimmetrie nel sistema con conseguente generazione di variazioni del campo indesiderate [35]. Anche la presenza di un paziente comporta variazioni di campo magnetico [39]. Per rendere il campo magnetico più uniforme possibile, si effettua lo shimming, operazione di compensazione delle disomogeneità di campo. Lo shimming può essere passivo o attivo. Lo shimming passivo consiste in una procedura per cui si inseriscono all’interno dell’apparecchiatura opportune quantità di ferro, secondo una mappatura prodotta via software. Il Siemens MedService Software, installato in 107 console, effettua una mappatura dell’omogeneità del campo magnetico presente in sala e guida il tecnico alla correzione delle disomogeneità individuate. Il tecnico apre il gantry e in base alle indicazioni del SW, posiziona le placche metalliche su lunghi “vassoi” che costeggiano la bobina di campo magnetico. I pezzi di ferro, essendo magnetici, alterano il campo. Lo shimming attivo si effettua con le shim coils (bobine non supeconduttive), per cui ogni volta che si introduce un paziente all’interno del gantry, il sistema RM fa una mappatura del campo magnetico e farà scorrere correnti di opportune intensità attraverso le bobine di shim per rendere il campo più uniforme possibile. I Quality Assurance Durante l’installazione sono stati effettuati dei controlli di qualità, Quality Assurance, a livello di sicurezza dell’impianto e di funzionamento dell’intero sistema e delle singole bobine Radiofrequenza (RF). Per la sicurezza dell’impianto si sono esaminati per esempio: visivamente lo stato del tubo del quench, pressione dell’acqua, presenza dei manuali per gli utilizzatori, dei pulsanti di arresto di emergenza, della segnaletica di avvertimento per l’accesso alla zona controllata e di rispetto, il sistema di chiamata d’emergenza del paziente, e lo stato dei gradient supervision. Quest’ultimo consiste in un sistema presente all’interno della strumentazione, in grado di aspirare l’aria della strumentazione e di convogliarla ad una camera di analisi, per individuare la presenza di particelle di fumo. Per i controlli di qualità sul funzionamento del sistema e bobine RF si sono utilizzati opportuni fantocci (o phantom) messi a disposizione della ditta produttrice stessa. I phantom comunemente utilizzati sono composti da soluzioni di acqua, NaCl e NiSO 4. A livello di sistema si è valutata l’omogeneità di campo magnetico, l’RF Noise check, la compensazione delle eddy current, la stabilità, lo shim check e lo spike check. In particolare RF Noise check è un controllo in cui si è valutato il rumore fuori dal magnete, ponendo la bobina testa/collo in ricezione fuori dal gantry. Il rumore potrebbe provenire dalla luci della sala, dal sensore per l’ossigeno, dal termoigrometro ecc. La stessa cosa è stata fatta con l’iniettore di mezzo di contrasto all’interno della sala, per valutare se la sua presenza originasse rumore. L’iniettore di mezzo di contrasto è controllato dalla sala consolle e collegato facendo passare i cavi attraverso le guide d’onda. 108 Le bobine a radiofrequenza richieste e fornite dalla ditta sono: 4Ch BI Breast head Nor, due Body 18, Flex large 4, Flex small 4, Head Neck 20, Loop 4 cm, Peripheral Angio 36 feet, Peripheral Angio 36 head, Spine 32, TxRx Knee 15 QED [40] [41]. Le bobine a radiofrequenza sono potenzialmente in grado sia di trasmettere sia di ricevere i segnali RF, ma nei tomografi di ultima generazione il compito di trasmettere il segnale RF di eccitazione per i nuclei di idrogeno, è affidato ad una bobina posta fissa all’interno del gantry [35]. Questa bobina è detta Body Coil (bobina del corpo). Tutte le bobine precedentemente indicate sono solo riceventi, ad eccezione della bobina per il ginocchio (TxRx Knee) che è anche trasmittente. Da capitolato sono state richieste bobine di tipo phased array. Queste sono costituite da più bobine poste in parallelo fra loro. Ogni singola bobina riceve indipendentemente i segnali RF provenienti dal proprio settore di pertinenza. Le informazioni sono successivamente elaborate e sommate alle altre in modo tale da ottenete un’unica immagine globale. A.2.2 Le Procedure d’accettazione Le procedure d’accettazione e collaudo comprendono la verifica della congruità, dell’adeguatezza e della qualità della fornitura rispetto a quanto richiesto in fase di gara. L’accettazione è una procedura facente parte del collaudo e che consiste in un insieme di verifiche e controlli, effettuate dai tecnici Siemens sotto la supervisione dell’Esperto Responsabile del sito RM. Fanno parte dell’accettazione i Quality Assurance, secondo i protocolli Siemens ed Eurospin, i controlli sul buon funzionamento dei sistemi di emergenza e la mappatura del campo magnetico. All’esito positivo dell’accettazione, virtualmente l’apparecchiatura potrebbe già essere utilizzata sui pazienti. Durante il mio tirocinio ho assistito alle fasi di accettazione dell’apparecchiatura, mentre il collaudo sarà eseguito da un incaricato dell’Ingegneria Clinica e della Fisica Sanitaria dell’AOUTS, alla presenza dei tecnici della ditta fornitrice, e verterà sulle prove di sicurezza elettrica del sito RM. Tutto quanto è necessario per effettuare le prove di collaudo (strumenti di misura, mano d’opera, etc.) dovrà avvenire a cura, a spese e responsabilità della stessa. Come concordato in fase di gara, la fatturazione è vincolata all’esito positivo delle prove di accettazione e collaudo. 109 I Controlli qualità I controlli di qualità consentono di assumere che le prestazioni strumentali di un dato apparato diano risultati riproducibili ed accurati, nonché di rendere possibile il confronto dei risultati da apparecchiature diverse [42]. La complessa problematica di messa a punto e validazione a livello internazionale di procedure standard per il controllo di qualità, sono stati la definizione di metodologie, la costruzione di oggetti campione e l’identificazione di appropriate sostanze di riferimento per la calibrazione degli apparati. Il Verbale d’ispezione RM emanato dall’INAIL e istituito con decreto ISPESL del 6 Aprile 2009, identifica come controlli periodici di qualità e di sicurezza RM: i parametri funzionali del tomografo, il SAR, il sensore ossigeno e la gabbia di Faraday. Per effettuare controlli sui parametri funzionali si sono definiti negli anni diversi protocolli, tra cui quello EUROSPIN, NEMA (National electrical manufactuer association) e AAPM (American association of physicist in Medicine). I parametri principali di imaging (definiti come quei parametri che caratterizzano la qualità dell’immagine e direttamente determinabili dall’immagine ottenuta) sono: uniformità del campo magnetico, rapporto segnale/rumore e distorsione geometrica [42][44]. L’uniformità del segnale nell’immagine si riferisce alla capacità dell’apparecchiatura di produrre la stessa risposta in segnale (valore di pixel) sull’intero piano dell’immagine ottenuta da un oggettocampione avente caratteristiche RM uniformi. I fattori che possono contribuire a produrre disomogeneità del segnale sono la disomogeneità del campo magnetico principale, le caratteristiche geometriche della bobina e la non uniformità del campo a radiofrequenza, la non linearità dei gradienti, un’inadeguata calibrazione degli impulsi dei gradienti, un’errata correzione delle correnti parassite, un erroneo posizionamento dell’oggetto, un’irregolarità nella risposta del ricevitore o nei procedimenti di elaborazione dei segnali. Il rapporto segnale/rumore (SNR) rappresenta il rapporto tra la media dei valori di pixel nella regione di interesse e la loro deviazione standard. La distorsione geometrica è la deviazione tra le distanze misurate in un’immagine e le corrispondenti dimensioni all’interno dell’oggetto. In un’immagine di RM la distorsione geometrica può essere causata da disomogeneità del campo magnetico principale, difetti nei gradienti o imperfezioni nel campionamento del segnale. I principali parametri non imaging che caratterizzano le prestazioni dell’impianto e che rappresentano, da un punto di vista fisico, le condizioni iniziali del processo di formazione dell’immagine sono: la frequenza di risonanza, la stabilità del campo magnetico, l’omogeneità 110 del campo, l’intensità e la linearità dei gradienti di campo magnetico, le correnti parassite e l’accuratezza del flip angle [44]. Il protocollo “EUROSPIN” I fantocci utilizzati (figura a lato) sono elementi in plexiglass con all’interno una soluzione acquosa di solfato di rame (CuSO4) in grado di simulare la conducibilità elettrica dei tessuti umani. Ogni fantoccio viene utilizzato per il controllo di specifici parametri e presenta caratteristiche geometriche differenti. Oltre a SNR, distorsione e uniformità, descritti al paragrafo precedente, il protocollo Eurospin permette di determinare i seguenti parametri [44][43][42]: La risoluzione caratterizza la capacità di un sistema di imaging di mostrare due oggetti distinti, quando non c’è notevole contributo di rumore. In condizioni di buon funzionamento del sistema, la risoluzione è semplicemente limitata dalla dimensione del pixel; tuttavia, molti fattori possono provocare una perdita di risoluzione per esempio: il FOV, il SNR, la frequenza di campionamento, lo spessore dello strato e i filtri di ricostruzione. Lo spessore dello strato è definito come la larghezza a metà altezza del profilo dello strato, a sua volta definito come la variazione di contributo al segnale di imaging, lungo la direzione ortogonale al piano. In altri termini questo parametro indica la variazione nell’efficacia di eccitazione selettiva degli spin contenuti nello strato. Tale parametro è rappresentato dalla larghezza espressa in mm del profilo misurato come “full width half maximum” (FWHM). I fattori che lo influenzano sono: disomogeneità dei gradienti di campo, non uniformità del campo RF, rapporto TR/T1, forma degli impulsi e degli echi. La distanza dello strato, o separazione tra gli starti, è la distanza tra i punti medi della larghezza a metà altezza di due profili adiacenti. Per posizione dello strato si intende la localizzazione assoluta del punto medio della “FWHM” del profilo dello strato. 111 Le immagini fantasma (ghost) sono rappresentazioni indesiderate dell’oggetto in studio. Il livello di ghost (espresso in percentuale) è definito come la massima intensità di un artefatto nell’immagine rispetto all’intensità dell’immagine originale. I ghost possono essere causati da malfunzionamenti dei gradienti, da agenti esterni come vibrazioni meccaniche e movimenti di grosse masse metalliche nelle vicinanze del sistema RM che provocano una instabilità del campo magnetico. La valutazione dei parametri T1 e T2 viene effettuata tramite un fantoccio avente composizione nota che per un dato valore di campo magnetico presenta tempi T1 e T2 noti a priori. 112 A.3 Lo standard DICOM Lo standard DICOM (Digital Imaging and Comunication in Medicine) definisce i criteri per la comunicazione, la visualizzazione, l’archiviazione e la stampa d’informazioni di tipo biomedico, quali immagini radiologiche. La sua diffusione si rivela estremamente vantaggiosa perche’ consente di avere una solida base di interscambio di informazioni tra apparecchi di produttori diversi, server e PC diversi. E’ uno standard pubblico, cioe’ accessibile a tutti, e si basa su un modello definito “Service Object Pair” (SOP). Secondo la definizione ISO/OSI, il DICOM ricopre le specifiche relative allo Application Domain di un processo distribuito. Ovvero come un modello client/server, in presenza di almeno due applicazioni che condividono informazioni, queste devono accordarsi sui ruoli: Service Class User (SCU) e’ il client (o utente) e Service Class Provider (SCP) il server (o fornitore). L’elemento fondamentale di scambio tra i due e’ la Service Object Pair class (SOP) che definisce le azioni della SCU e della SCP. Ovvero: SCU e’ il SW di un’apparecchiatura che vuole archiviare un’immagine appena creata e SCP e’ il server del PACS del reparto di Radiologia in ascolto su un port TCP/IP. Il file DICOM contiene una gran quantita’ di informazioni, di cui la pura immagine e’ solo una parte. E la struttura del documento e’ solo una parte di cio’ che si intende per comunicazione conforme allo standard DICOM. L’informazione scambiata (IOD, information Object Definition) piu’ frequentemente usata e’ quella composita, dove viene strutturata raggruppando i dati relativi ad un singolo oggetto reale (paziente, immagine, macchinario…) in Information Object Modules (IOM). Ogni IOM e’ a sua volta descritto da “Attributi” univoci, tra cui: nome, Tag (in esadecimale), descrizione semantica, VR (Value Representation) e VM (Value Multiplicity). La SOP e’ costituita per gli IOD: C-STORE, utilizzata per inviare le immagini al PACS per esempio, C-FIND, C-MOVE, serve per ordinare il trasferimento di un oggetto, C-GET, C-CANCEL e C-ECHO. Lo IOD (Information Object Definition) e’ costituito da un certo numero di attributi raggruppati in IOM (Information Object Modules). Il mondo reale e’ schematizzato nel “DICOM Model of the Real World”: un’entita’ del modo reale come un’immagine, un paziente viene definita come un oggetto; ogni oggetto contiene attributi, per esempio l’oggetto paziente conterra’ gli attributi dati anagrafici, data di ricovero… Definti gli oggetti e gli attributi, DICOM definisce quali operazioni possono essere eseguite e su quali oggetti. 113 Quando c’e’ un’immagine, questa e’ semplicemente contenuta in uno degli attributi, per la precisione nel tag (7FE0, 0010), di nome “Pixel Data”. Percio’ tutti gli altri attributi possono essere visti come un complesso “header” che precede l’immagine vera e propria, fornendo una vasta serie d’informazioni realtive al contesto medico dell’immagine. Tutte le informazioni memorizzate nell’header vengono catalogate in gruppi di elementi, detti ache Tag DICOM. Alcuni degli attributi sono relativi al piano dell’immagine: Image Position (Patient) [0020, 0032] specifica le coordinate x,y,z (in mm) dell’angolo superiore sinistro dell’immagine, il centro del primo pixel (o voxel) trasmesso. Image Orientation (Patient) [0020,0037] specifica la direzione coseno della prima riga e prima colonna rispetto al paziente. Contiene due vettori con 3 cifre decimali. Il primo vettore ha valori (1,0,0) ed ‘ la prima riga dell’immagine; il secondo (0,0,-1) e’ l’orientamento della prima colonna (figura A.3.1). Figura A.3.1 Patient Position [0018, 5100] descrive la posizione del paziente rispetto alla strumentazione (per esempio HFP, HSF, HFDR…). Patient orientation [0020, 0020] e’ dato da due valori che definiscono la direzione dell’asse delle riga e colonna: A anterior, P posterior, R right, L left, H head F foot. 114 115 116 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 1. 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