La responsabilità del medico e della struttura sanitaria

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La responsabilità del medico e della struttura sanitaria: evoluzioni e
scenari futuri
Marianna Catalini
Avvocato, ASUR Marche, AV5, Servizio Legale
Riassunto
L’art. 3 della L. n. 189/12, c.d. Decreto Balduzzi, ha riaperto un vivace dibattito giurisprudenziale sulla responsabilità medica con risvolti non solo in ambito civile (in particolare sulla configurabilità in termini di responsabilità
contrattuale od extracontrattuale) ma anche penale. Con tale norma il Legislatore ha inteso frenare il ricorso alla
medicina difensiva, ancorando la condotta del medico al rispetto delle linee guida e buone pratiche, quali parametri di riferimento per la valutazione della rilevanza penale o meno della sua condotta. Le linee guida vanno in ogni
caso applicate avuto riguardo al caso concreto che talvolta impone al medico differenti e doverose valutazioni.
Abstract
Article 3 of Law no. 189/12, so-called Decree Balduzzi, reopened a lively jurisprudential debate on medical liability with implications not only in civil matter (especially on the configurability in terms of contractual liability or tort
claim), but also criminal matter. With this provision the Legislature intended to curb the use of defensive medicine,
anchoring the conduct of the doctor to comply with the guidelines and best practices, as benchmarks for assessing
the relevance or otherwise of his criminal conduct. However the guidelines are to be applied having regard to the
single case that sometimes imposes different and necessary medical evaluations.
Introduzione
“La responsabilità civile in campo medico è oggi un tema di indiscussa attualità: si potrebbe dire un argomento
di moda”, citava Mario Zana, Professore Ordinario all’Università degli Studi di Pisa, in un suo scritto1: sebbene
siano trascorsi ben oltre vent’anni null’altra asserzione appare più attuale e il motivo di tale rinnovato interesse
deriva dal disposto di cui all’art. 3 del D.L. 13 settembre 2012 n. 158, convertito in L. 8 novembre 2012 n. 189,
c.d. Decreto Balduzzi.
Negli ultimi decenni, il progresso scientifico e la conseguente estensione dell’intervento medico, nonché il mutamento subito dalla relazione medico-paziente, in rapporto alla crescita delle aspettative di cura, hanno reso
riduttiva la definizione di “responsabilità del medico” e preferibile la locuzione “responsabilità medica”, volendo
significare che non si è più in presenza di aspetti che concernono esclusivamente la valutazione della responsabilità del professionista, ma di aspetti che ineriscono la tutela della salute dell’individuo in relazione ai pericoli
connessi con lo svolgimento di un’attività medica.
Si ritiene utile procedere ad una analisi della nuova normativa e dei riflessi giurisprudenziali per delineare alcune
considerazioni circa gli effetti sull’attività professionale del medico.
Natura giuridica della responsabilità medica: cenni
Uno degli elementi di maggiore rilievo che ha caratterizzato l’evoluzione della responsabilità del professionista è
riferibile alla maggior sensibilità sviluppatasi nei confronti di tutti gli aspetti che concernono la tutela della persona
e, in particolare, della salute quale fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività come sancito
dall’art. 32 della Costituzione2.
1. “La responsabilità medica e tutela del paziente” - Giuffrè Editore - 1993 - Mario Zana (1).
2. Art. 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti
dal rispetto della persona umana”.
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L’evoluzione registrata in tale ambito è di matrice prevalentemente giurisprudenziale ed ha riguardato principalmente la natura giuridica della responsabilità medica.
Con la nota pronuncia n. 577/11.01.2008 la Corte di Cassazione inquadrava la responsabilità della struttura
sanitaria, con orientamento divenuto unanime e consolidato, nell’ambito della responsabilità contrattuale.3
Si riportano alcuni tratti salienti:
“Questa Corte ha costantemente inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nella responsabilità contrattuale […]. A sua volta anche l’obbligazione del medico dipendente della struttura sanitaria nei confronti del
paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul “contatto sociale”, ha natura contrattuale. Per diverso tempo
tale legame contrattuale è stato interpretato e disciplinato sulla base dell’applicazione analogica del rapporto paziente-struttura delle norme in materia di contratto di prestazione d’opera intellettuale vigenti nel rapporto medicopaziente, con il conseguente e riduttivo appiattimento della responsabilità della struttura su quella del medico[…].
Più recentemente, invece, dalla giurisprudenza il suddetto rapporto è stato riconsiderato in termini autonomi dal
rapporto paziente - medico, e riqualificato come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive […],
al quale si applicano le regole ordinarie sull’inadempimento fissate dall’art. 1218 c.c. […].”
Tale ricostruzione fa sì che il riparto dell’onere probatorio deve seguire i criteri fissati in materia contrattuale circa il
termine prescrizionale e l’onere della prova4, in base ai quali se il creditore agisce per la risoluzione contrattuale,
per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, questi deve dare la prova della fonte negoziale o legale
del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre
il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento.
Il creditore (in tal caso il paziente), oltre alla prova del contratto, deve provare anche l’aggravamento della situazione patologica o dell’insorgenza di nuove patologie, nonché il nesso di causalità tra l’azione o l’omissione
del debitore e tale evento dannoso, allegando lo specifico e qualificato inadempimento del sanitario, cioè un
inadempimento astrattamente efficiente alla produzione del danno.
In precedenza in tale ambito, invece, si riconosceva origine contrattuale alla responsabilità della struttura sanitaria, mentre al professionista si attribuiva una responsabilità extracontrattuale o aquiliana secondo la clausola
generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. [cfr in nota 6]. In particolare si riteneva che la responsabilità dei medici, mediante l’opera dei quali l’ospedale rende al paziente il servizio richiestogli, in considerazione
dell’assenza di un rapporto tra medico e paziente, era da considerarsi una responsabilità extracontrattuale5 con
evidenti ripercussioni in termini di prescrizione ed onere probatorio6.
3. La responsabilità contrattuale è la responsabilità derivante dall’inadempimento, dall’inesatto adempimento o
dell’inadempimento tardivo di una preesistente obbligazione che può originare da un contratto o da ogni altro
atto o fatto idoneo a produrla ad eccezione del fatto illecito che dà, invece, origine ad una responsabilità di
tipo extracontrattuale stigmatizzata nell’art. 2043 codice civile [cfr. nota 6], con quest’ultima norma l’ordinamento pone la regola cardine dell’intero sistema della c.d. responsabilità civile o aquiliana, quale clausola
generale di responsabilità civile per la violazione del principio del neminem laedere [Francesco Gazzoni:
Manuale di diritto privato - Edizioni Scientifiche Italiane – 2001] (2).
4. Art. 2934 codice civile: “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il
tempo determinato dalla legge”; art. 2946 codice civile: “Salvo i casi in cui la legge dispone diversamente i
diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni” (termine di prescrizione della responsabilità
contrattuale); art. 1218 codice civile: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto
al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” (onere della prova per responsabilità contrattuale).
5. Cassazione Civile, sez. III, 13 marzo 1998, n. 2750;Cassazione Civile, sez. III, 26 marzo 1990, n. 2428.
6. Art. 2947 codice civile: “Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque
anni dal giorno in cui si è verificato [2043]” (termine di prescrizione della responsabilità extracontrattuale);
art. 2043 codice civile:“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga
colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” (onere della prova per responsabilità extracontrattuale).
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L’inquadramento della responsabilità medica alla luce della riforma c.d.
Balduzzi
Profili penali
A seguito dell’introduzione dell’art. 3, comma 1, D.L. 158/2012, convertito con modificazioni in Legge 8.11.2012
n. 189, si è avvertita la necessità di un’attenta riflessione in ordine ad un’eventuale modifica del quadro concettuale di riferimento della responsabilità professionale del medico e, conseguentemente, dell’individuazione delle
norme applicabili; lo stesso recita:
“L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone
pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
La norma de qua non si distingue per la sua chiarezza espositiva, tant’è che la stessa ha ingenerato contrastanti
interpretazioni sia in dottrina che nelle prime applicazioni giurisprudenziali.
La novella in questione ha avuto un primo arresto da parte della Cassazione Penale7 la quale ha innanzitutto
evidenziato due aspetti salienti della disposizione in esame, da una parte, in funzione delimitativa della responsabilità penale, dall’altra, in funzione della valorizzazione delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica.
Si riportano alcuni tratti salienti:
Di fatto la Cassazione limita l’impeto riformatore della novella, adeguandola ai binari di una già consolidata giurisprudenza. Sostiene certa dottrina che le c.d. linee guida diventano nuova misura e definizione dell’imperizia.
Se, quindi, la condotta sanitaria era penalmente illecita quando platealmente difforme dalle regole fondamentali
dell’arte, allo stato del novum normativo in oggetto, la condotta palesemente distante dalle indicazioni contenute
dalle linee guida costituisce colpa grave. Occorre in ogni caso operare una selezione di rilevanza e di decisività,
in relazione alle multiformità patologiche e diagnostiche offerte dal caso concreto, di sovente in condizioni di
urgenza o di precarietà materiale o strumentale. Considerate, pertanto, le suddette variabili, le linee guida riempiono, in forme scientificamente codificate, i canali della valutazione giudiziale avente ad oggetto la misura della
abnormità - oltre la colpa lieve - della condotta della cui rilevanza penale si discute. Le linee guida conferiscono
forma alla regola cautelare violata ed impongono al giudice di divenire cultore della scienza medica, al fine
di identificare la figura tipica dell’homo eiusdem condicionis et professionis - a cui il sanitario deve aderire per
risultare esente da sanzione penale - e, al contempo, al fine di indagare il contatto fra il singolo operatore della
consulenza giudiziale - chiamato a definire quella figura tipica - ed il mare magnum della letteratura scientifica8.
Profili civili
Se tali sono state le considerazioni manifestatesi in ambito penale che hanno, quindi, ripercorso la problematicità
della distinzione tra colpa grave e colpa lieve, che assume rilievo, ora, non sulla determinazione della pena, ma
sull’esistenza stessa della responsabilità penale del medico, comportando, pertanto una ridefinizione, in senso
delimitativo, del fatto tipico punito, in ambito civilistico molto si è discusso in ordine al riferimento all’obbligo di
cui all’art. 2043 c.c. e della necessità di tener conto, nella liquidazione del danno, dell’osservanza da parte del
medico di linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
In tale contesto si riportano le diverse pronunce che negli ultimi tempi si sono susseguite e che hanno dato origine
a diverse interpretazioni.
Un primo orientamento9 ritiene che le recenti riforme di cui al c.d. Decreto Balduzzi abbiano designato in materia
di responsabilità medica l’adesione al modello di responsabilità come delineato anteriormente al 1999; in particolare si afferma che lo specifico riferimento all’art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale) nel contesto della
novella legislativa non costituisca, come taluni hanno sostenuto, una svista del Legislatore, bensì una scelta dello
stesso che è voluto intervenire al fine di frenare il dilagante fenomeno della c.d. medicina difensiva. Infatti la legge
di conversione del D.L. n. 158/2012 ha modificato l’originaria disposizione che così statuiva:
7. Cassazione Penale 29.01.2013, n. 16237.
8. Note a sentenza: Diritto & Giustizia, fasc. 0, 2013 pag. 452, Francesco G. Capitani (3).
9. Tribunale Varese, sez. I, 26.11.2006, n. 1406.
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“fermo restando il disposto dell’art. 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività
dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica
nazionale e internazionale”.
Sostiene tale orientamento che il richiamo all’art. 2043 c.c. è esplicativo dell’intenzione del Legislatore di delineare la responsabilità del medico come responsabilità extracontrattuale o aquiliana con riduzione dei termini di
prescrizione dell’azione da dieci a cinque anni e con un impianto probatorio proprio della responsabilità extracontrattuale come delineata dalla disposizione codicistica qui richiamata. Se ne evidenziano alcuni tratti:
“Giova ricordare che secondo il “diritto vivente” in materia di responsabilità sanitaria, la responsabilità del medico
ha natura negoziale, sussistendo un rapporto contrattuale, quand’anche fondato sul solo contatto sociale. La contrattualizzazione della responsabilità medica ha delle ricadute dirette sul riparto degli oneri probatori: essa, infatti,
rende operativa la clausola generale di cui all’art. 1218 c.c., come interpretata dalla Sezioni Unite n. 13533 del
2001 e dunque “il paziente che agisce in giudizio deve provare il contratto e allegare l’inadempimento del sanitario restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento (v. SS.UU. 577/2008). Tuttavia, si deve
rilevare come, sullo sfondo dei principi così illustrati, si collochi in tempi recentissimi l’art. 3 comma I del Decreto
legge 13 settembre 2012 n. 158 […]. La norma, con dichiarata finalità di intervenire contro il dilagante fenomeno
della cd. medicina difensiva, introduce una sorta di “esimente” speciale nella responsabilità penale medica, circoscrivendola alle sole ipotesi di colpa grave e dolo. Per il caso della colpa lieve, tuttavia, dichiara la persistenza
della responsabilità civile del medico; e, però, così facendo, individua quale grimaldello normativo non già l’art.
1218 c.c., bensì l’art. 2043 c.c.. Sussiste un vivace dibattito circa la corretta interpretazione della previsione di
nuovo conio. Secondo una certa lettura, la previsione si concilierebbe con l’intento di scongiurare i rischi legati alla
cd. medicina difensiva e, pertanto, restaurerebbe il regime di responsabilità civile anteriore al revirement del 1999
[…]. Secondo altra lettura, il riferimento all’art. 2043 c.c. costituirebbe semplicemente una svista del Legislatore,
inidonea a mutare il senso della giurisprudenza costante in tema di applicabilità dello statuto della responsabilità
contrattuale […]. La struttura della disposizione legislativa, a ben vedere, sembra abbastanza logica, almeno nel
suo sviluppo discorsivo: in sede penale, la responsabilità sanitaria è esclusa per colpa lieve (se rispettate le linee
guida/buone prassi); in sede civile, invece, anche in caso di colpa lieve, è ammessa l’azione ex art. 2043 c.c.
[…]. E’ evidente che l’adesione ad un modulo siffatto contribuisce a realizzare la finalità perseguita dal Legislatore
(contrasto alla medicina difensiva) in quanto viene alleggerito l’onere probatorio del medico e viene fatto gravare
sul paziente anche l’onere (non richiesto dall’art. 1218 c.c.) di offrire dimostrazione giudiziale dell’elemento soggettivo di imputazione della responsabilità. L’adesione al modello di responsabilità ex art. 2043 c.c. ha, anche,
come effetto, quello di ridurre i tempi di prescrizione: non più 10 anni, bensì 5 […]. E’ opportuno chiarire, infatti,
che, anche seguendo questo percorso di ragionamento, ovviamente la previsione di nuovo conio riguarda le sole
ipotesi di responsabilità per cd. “contatto” e cioè le ipotesi (al confine tra contratto e torto) in cui manchi un rapporto contrattuale diretto tra paziente danneggiato e sanitario oppure un rapporto contrattuale atipico di spedalità.”
Diverso, invece, è l’orientamento giurisprudenziale10 che sostiene che l’introduzione di una siffatta disposizione
incida quale novella depenalizzatrice della responsabilità penale del medico per il caso di colpa lieve, ma la
esimente penale, d’altro canto, non elide l’illecito civile in considerazione dell’espresso richiamo all’art. 2043
c.c., quale clausola generale del neminem laedere. Sostiene tale orientamento che in tale ambito le modalità di
accertamento della responsabilità sanitaria siano quelle consolidate dagli orientamenti giurisprudenziali sinora
applicati che individuano la matrice della responsabilità in quella contrattuale sia per il medico che per la struttura
sanitaria e precisamente:
“La novellazione […] che indica una particolare evoluzione del diritto penale vivente, per agevolare l’utile esercizio dell’arte medica, senza il pericolo di pretestuose azioni penali, rende tuttavia evidente che la materia della
responsabilità civile segue le regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche
per la c.d. responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale […]. La prova della
colpa lieve non esime dalla responsabilità civile, che considera la colpa in una dimensione lata, inclusiva del dolo
e della diligenza professionale […] prova che incombe alla parte che assume l’obbligo di garanzia della salute
[…]. Sussiste pertanto la violazione della regola generale dell’art. 1218 c.c., in relazione ad una situazione di
inadempimento obiettivamente grave, per la configurazione del rapporto contrattuale di garanzia […]”
10. Cassazione civile, sez. III, 19.02.2013, n. 4030.
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Infatti sostiene tale orientamento giurisprudenziale che la norma in questione anche in considerazione del suo tenore
letterale, della collocazione sistematica e della ratio dell’intervento normativo, da rinvenirsi nella parziale depenalizzazione dell’illecito penale (da taluni inteso nella modalità dell’esimente speciale), non ha inteso operare una scelta circa
il regime di accertamento della responsabilità civile, ma ha voluto far salvo, come dimostrerebbe l’uso della terminologia (“resta comunque salvo”), il risarcimento del danno anche in conseguenza dell’applicazione dell’esimente penale.
In effetti il richiamo all’art. 2043 c.c., secondo detto orientamento, è limitato all’individuazione di un obbligo,
vale a dire all’obbligo del risarcimento del danno senza indicazione dei criteri da applicare che rimarrebbero,
pertanto, quelli sinora attuati, tenendo in debito conto il rispetto delle linee guida e buone pratiche.
Sostiene, infatti, il Tribunale di Arezzo11 che:
“Va considerato, al riguardo, che, per quanto l’art. 2043 c.c. costituisca la norma cardine della responsabilità
risarcitoria da fatto illecito, la concreta disciplina della responsabilità aquiliana è contenuta altrove (segnatamente
negli artt. 2697 e 2947 c.c., in ordine alla distribuzione degli oneri probatori e al termine di prescrizione, e negli
artt. 2055 e segg. c.c., in ordine alla solidarietà passiva e alle modalità risarcitorie), così come la responsabilità
contrattuale trova la sua disciplina non solo nell’art. 1218 c.c., ma anche negli artt. 2946 (prescrizione) e 1223
e segg. c.c. (quanto alla selezione e quantificazione dei danni risarcibili), non può dunque affermarsi che richiamare un obbligo equivalga a richiamare un’intera disciplina e deve quindi concludersi che il riferimento all’art.
2043 c.c. (si badi: non alla disciplina dell’illecito extracontrattuale, ma esclusivamente all’obbligo di cui all’art.
2043 del codice civile) sia del tutto neutro rispetto alle regole applicabili e consenta di continuare ad utilizzare
i criteri propri della responsabilità contrattuale. Va ulteriormente considerato che, se fosse vero che il richiamo
all’art. 2043 impone l’adozione di un modello extracontrattuale, si dovrebbe prevenire, a rigore, alla conseguenza – inaccettabile – di doverlo applicare anche alle ipotesi pacificamente contrattuali, dal momento che il primo
periodo dell’art. 3, 1° co. considera tutte le possibili ipotesi di condotte sanitarie idonee ad integrare il reato (che
possono verificarsi indifferentemente sia nell’ambito di un rapporto propriamente contrattuale, quello fra il paziente ed il medico libero-professionista, che in un rapporto da contatto sociale) e il secondo periodo richiama tutte
le ipotesi di cui al primo periodo (“in tali casi”), senza operare una distinzione fra ambito contrattuale proprio
ed assimilato; non sarebbe dunque consentita la limitazione del ripristino del modello aquiliano per le ipotesi di
responsabilità da contatto. Deve, allora, pervenirsi alla ragionevole conclusione che la norma del secondo periodo
non ha inteso operare alcuna scelta circa il regime di accertamento della responsabilità.”
Di particolare interesse appare, inoltre, la recente pronuncia del Tribunale di Rovereto12che offre spunti di riflessione
ulteriori rispetto a quelli sinora forniti. Infatti tale orientamento sostiene non solo che il richiamo all’art. 2043 c.c. non
sia da considerarsi un cambiamento di rotta rispetto all’originario impianto giurisprudenziale circa la natura contrattuale di detta responsabilità, ma chiarisce che il riferimento all’art. 2043 c.c. sia piuttosto circoscritto all’azionabilità
dell’azione civile in sede penale ex art. 185 c.p., quale omologo civilistico della responsabilità penale. È evidente
che in tale sede (quella penale) la responsabilità è ovviamente di natura extracontrattuale. In sostanza, qualora venga avanzata domanda di risarcimento danni in sede penale mediante la costituzione di parte civile (senza che, di
conseguenza, sia intrapreso un autonomo giudizio in sede civile), la parte civile, in quanto domanda di risarcimento
danni conseguente ad un reato, non potrà giovarsi dei più favorevoli presupposti della responsabilità contrattuale.
Si riportano alcuni tratti salienti:
“In particolare l’espressione d’esordio della norma “in tali casi” potrebbe essere intesa non solo sul piano sostanziale, riferita cioè ai casi in cui il medico non risponda penalmente per colpa lieve per essersi attenuto ad
accreditate linee guida ma, in modo più pregnante, anche sul piano processuale, ossia ai casi in cui l’azione
civile sia stata in concreto esercitata in sede penale, l’imputato sia stato prosciolto dall’accusa, in applicazione
della nuova norma, ammettendo il risarcimento del danno senza obbligare la parte civile ad instaurare un nuovo
autonomo giudizio civile. Insomma, in base a questa lettura con interpretazione ancora più rivoluzionaria, la
norma prevede una deroga di particolare rilievo ed operante già in primo grado, all’accessorietà dell’azione
civile rispetto all’azione penale, come è noto desumibile dall’art. 538, comma 1 c.p.p., che legittima il giudice
penale a decidere sulla domanda di risarcimento sul presupposto della condanna penale, ulteriore a quelle già
previste dagli artt. 576 e 578 c.p.p. per i casi rispettivamente dell’impugnazione della parte civile ai soli fini della
responsabilità civile e di declatoria di estinzione del reato per amnistia e prescrizione in grado di appello dopo
una condanna in primo grado”.
11. Tribunale di Arezzo, sentenza 14.02.2013.
12. Tribunale di Rovereto, sentenza 28 gennaio 2014.
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Si tratterebbe di una forte e per certi versi avventata soluzione, qualora, non ricondotta nei dovuti presupposti ed
in particolare alla circostanza che il proscioglimento dell’imputato, in applicazione della nuova norma, si basa in
ogni caso sull’accertamento, oltre che di tutti gli ulteriori elementi costitutivi ivi compreso il nesso di causalità, di
una responsabilità per colpa lieve con possibilità, quindi, per il giudice di procedere alla condanna al risarcimento
del danno in favore della parte civile. Sostiene, inoltre, il Tribunale di Rovereto:
“Sul piano più generale va poi ricordato come il presupposto della condanna penale previsto dall’art. 538, comma 1 c.p.p. sia stato da più parti criticato perché difficilmente armonizzabile col principio di piena autonomia
tra giudizio civile e giudizio penale accolto nel vigente codice di procedura penale (sul quale cfr. da ultimo Cass.
Pen. Sez. un. 26.01.2011, nr. 768, rv. 616366), tanto da consigliarne l’abbandono almeno tutte le volte in cui
la sentenza di proscioglimento implichi necessariamente l’accertamento di tutti i fatti costitutivi della responsabilità
civile, esattamente come si verifica nel caso in esame. Imporre in tali casi un distinto giudizio civile, dopo la costituzione di parte civile nel processo penale, comporta inevitabilmente un inutile dispendio di attività processuale
[…]. Un simile tenore letterale sembra piuttosto meglio riferibile ad una causa di non punibiltà in senso stretto, che
consentirebbe di far ritenere sussistente un vero e proprio reato, in tutti i suoi presupposti, che tuttavia non risulta
punibile per mere ragioni di opportunità politica riconducibili alla necessità di limitare la c.d. medicina difensiva
e a garantire al medico la necessaria tranquillità nell’eseguire le proprie delicate e spesso difficili scelte, sgravandolo dalla preoccupazione di una possibile responsabilità penale, almeno tutte le volte in cui si attenga alle
accreditate linee guida, salvo la colpa grave. Così interpretata la norma, il riferimento all’art. 2043 c.c, lungi dal
costituire una svista del legislatore, è pienamente condivisibile perché riferibile ad una tipica responsabilità civile
da reato, benché non punibile sul piano penale. Infatti, il giudice penale che proscioglie l’imputato applicando
la nuova causa di non punibilità, sulla base dell’accertamento di tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art.
589 (o 590) c.p., può accogliere la domanda di risarcimento del danno proposta dalla parte civile solo a norma
dell’art. 2043 c.c., non certo a titolo di responsabilità contrattuale”.
Le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica
e dalla pratica professionale
La risposta del legislatore appare quanto mai appropriata nel porre come soluzione alla problematica segnalata
il pieno riconoscimento normativo del valore delle linee guida accreditate, quale strumento di valutazione dell’elemento soggettivo in ambito penale della condotta del medico nel momento della sua sussunzione nella fattispecie
penale.
Nella produzione di linee guida le società scientifiche o gli enti governativi preposti (in Italia ad esempio nell’ambito del Programma nazionale Linee Guida) realizzano quella sintesi delle conoscenze mediche, oggettivate dalla
ricerca scientifica, necessarie a guidare la pratica professionale ordinaria, esse rappresentano l’esito di un profondo processo di riflessione all’interno del modo professionale avviato sulla base dell’esigenza di una “Evidence
Based Medicine”. La validità delle linee guida si basa sulla loro applicabilità, riproducibilità e scientificità: scopo
delle linee guida è la riduzione della variabilità del comportamento del medico, il raggiungimento di una maggiore efficacia delle prestazioni sanitarie e la risoluzione di problemi etici e legali.
Le linee guida, a differenza dei protocolli e delle cheek list, non indicano una analitica, automatica successione
di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti: esse, dunque, vanno in concreto applicate senza automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificità di ciascun caso clinico.
Potrà ben accadere, dunque, che il professionista debba modellare le direttive, adattandole alle contingenze che
momento per momento gli si prospettano nel corso dello sviluppo della patologia e che, in alcuni casi, si trovi a
dovervi addirittura derogare radicalmente. Tale situazione è ben chiarita dalla Cassazione Penale, sez. IV, con
sentenza 29 gennaio 2013, n,. 16237:
“Le linee guida hanno un rilievo probatorio indubbio ma non esaustivo. Esse non possono fornire, infatti, indicazioni di valore assoluto: non si può pregiudizialmente escludere la scelta consapevole del medico che ritenga, attese
le particolarità del caso clinico, di dover coltivare una soluzione atipica. D’altra parte, le raccomandazioni possono essere controverse oppure non più rispondenti ai progressi nelle more verificatisi nella cura della patologia.
È evidente che i suggerimenti codificati contengono indicazioni generali riferibili al caso astratto, ma è altrettanto
evidente che il medico è sempre tenuto ad esercitare le proprie scelte considerando le circostanze peculiari che
caratterizzano ciascun concreto caso clinico. In ogni caso, i documenti devono essere in linea con il sapere scientifico accreditato e non possono essere improntati all’esclusivo soddisfacimento di esigenze di economia gestionale,
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trascurando le reali esigenze di cura [….]. Nella logica della novella il professionista che inquadri correttamente il
caso nelle sue linee generali con riguardo ad una patologia e che, tuttavia, non persegua correttamente l’adeguamento delle direttive allo specifico contesto, o non scorga la necessità di disattendere del tutto le istruzioni usuali
per perseguire una diversa strategia che governi efficacemente i rischi connessi al quadro d’insieme, sarà censurabile, in ambito penale, solo quando l’acritica applicazione della strategia ordinaria riveli un errore non lieve”.
Il legislatore, quindi, almeno in ambito penale ha inteso avere speciale riguardo alla complessità e alle difficoltà
dell’ars medica che, non di rado, si trova di fronte a casi peculiari e complessi nei quali interagiscono sottilmente e
magari imponderabilmente diversi rischi o, comunque, specifiche rilevanti contingenze. Pertanto alla stregua della
nuova legge, le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie e
la loro osservanza costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovano la loro giustificazione
nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti.
Alla luce delle citata disposizione normativa le linee guida potranno assumere una duplice valenza a seconda
della loro incidenza nell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato o sull’esistenza o meno del nesso di causalità. Ne deriva che il distaccarsi dall’applicazione delle linee guida deve essere fortemente e professionalmente
motivato, addirittura inconfutabilmente, da emergenze del caso concreto, che rendano inapplicabile o di dubbia
applicabilità i comportamenti raccomandati dalla società scientifica, aspetto questo che mal si concilia con la
natura e il processo di formazione delle linee guida.
Infine, in tale contesto, di cruciale importanza è il ruolo svolto, in genere, dai dirigenti sanitari e, specificamente,
dai direttori di unità operativa complessa la cui funzione si realizza proprio nella declinazione operativa di procedure interne, oltre che nella verifica della corretta attuazione delle stesse.
Appare, dunque, indispensabile fare cenno agli obblighi eterotropi o relazionali (vale a dire di controllo, di
ispezione, di verifica) del dirigente sanitario, nascenti dalla peculiarità dell’organizzazione sanitaria e, in special
modo, di quella ospedaliera che impone la definizione di “metaregole organizzatorie” al fine di assicurare la
salvaguardia della salute del paziente al cui interesse è funzionale l’insieme delle attività svolte nell’ambito di una
procedura medica.13
Non bisogna dimenticare che, ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. 502/1992 (Riorganizzazione del servizio sanitario
nazionale), l’attività dei dirigenti è caratterizzata da autonomia tecnico-professionale, quest’ultima unitamente alle
connesse responsabilità, si esercita nel rispetto della collaborazione multiprofessionale, nell’ambito di indirizzi
operativi e programmi di attività promossi, valutati e verificati a livello dipartimentale ed aziendale, finalizzati
all’efficace utilizzo delle risorse e all’erogazione di prestazioni appropriate e di qualità.
In particolare ai dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa sono attribuite, oltre a quelle derivanti
dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi,
nell’ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a
tutto il personale operante nella stessa, e l’adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento
del servizio e per realizzare l’appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e
riabilitative, attuati nella struttura loro affidata.
Ne deriva che l’espressa attribuzione di funzioni programmatiche e gestionali impongono il perseguimento di
obiettivi di corretta organizzazione della struttura affinché chi riveste posizioni apicali adempia, non a una generico e illimitato obbligo di vigilanza, ma a una concreta cautela organizzativa, tramite implementazione di
protocolli di sala operatoria.14
In tale ottica la recente riforma Balduzzi, ricomprendendo tra le buone pratiche le c.d. checklist, potrebbe indurre
a un’adozione più diffusa di tali procedure standardizzate (ma non burocratizzate), orientate a implementare
la comunicazione anche dialettica tra i diversi operatori sanitari e quindi a sensibilizzare ciascun specialista a
riconoscere eventuali segnali d’allarme in vista di una migliore prevenzione dei rischi, producendo automatismi di
adeguamento alle pretese cautelari.
13.Responsabilità penale da attività medica in équipe in Rivista di medicina legale e diritto sanitario – Autore:
Luigi Cornacchia - Anno 2013 (4).
14.A. Massaro: Principio di affidamento e obbligo di vigilanza sull’operato altrui: riflessioni in tema di attività
medica o-chirurgica in équipe in Cass. pen. 2011(5); R. De Matteis: La responsabilità del primario tra passato
e futuro in Danno e responsabilità - Anno 2011(6).
Italian Journal of Emergency Medicine - Maggio 2014
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Conclusioni
Da quanto sinora detto emerge che il recente intervento normativo in materia di responsabilità medica va sicuramente collocato ed interpretato in stretta relazione con l’attuale contesto socio - economico di grave crisi e di
profondo mutamento del quadro istituzionale che ha interessato l’intera comunità internazionale e, in special
modo, il nostro Paese; emerge la volontà del Legislatore di porre un freno al fenomeno della“medicina difensiva”,
un fenomeno che negli ultimi anni si è considerevolmente diffuso, anche all’estero, divenendo oggi una delle
criticità sanitarie maggiormente discusse, anche per le sue notevoli ripercussioni economiche. Tale fenomeno è
direttamente collegato all’incremento del contenzioso in relazione all’attività sanitaria e all’attenzione mediatica,
troppo spesso incline a facili allarmismi e condanne15.
Se, infatti, la responsabilità penale è quella che maggiormente tormenta l’operatore sanitario, quella civile preoccupa la struttura sanitaria che spesso è tenuta a corrispondere cospicui risarcimenti o pagare premi assicurativi
talmente alti a discapito della funzione istituzionale che il Servizio Sanitario deve perseguire (la tutela della salute)
e dell’equilibrio economico dello stesso.
In ambito civile, dunque, la nuova disposizione impone un atto di riflessione sulle modalità attraverso le quali
gestire la complessa organizzazione sanitaria anche in relazione alla gestione del rischio clinico.
Da qui l’esigenza di sviluppare politiche e attività di rilevazione e gestione del rischio, definite nel complesso risk
management, con l’obiettivo di ridurre l’errore medico, ma anche i problemi organizzativi di sicura rilevanza in
sede giudiziaria ai fini della prova del rispetto degli obblighi discendenti dal “contratto di spedalità”.
Si segnala in tale ottica che la norma de qua deresponsabilizza penalmente soltanto chi si attiene alle linee guida
e alle buone prassi con l’effetto di inibire e atrofizzare la libertà del pensiero scientifico, la libertà di ricerca e di
sperimentazione medica, la libertà terapeutica che costituisce una scelta del medico e del paziente, perché confina ogni scelta diagnostica e/o terapeutica all’interno di ciò che è stato già consacrato e cristallizzato dalle linee
guida o dalle buone prassi, in modo tale che l’area di non punibilità è ingiustificatamente premiale per coloro che
manifestano acritica e rassicurante adesione alle linee guida o alle buone prassi ed è, altrettanto, ingiustificatamente avvilente e penalizzante per chi se ne discosta con una pari dignità scientifica, bloccando l’evoluzione del
pensiero scientifico e la sperimentazione clinica. Le linee guida in ogni caso continuano, nonostante la novella,
ad avere un valore orientativo, si sostiene16, infatti, che: “Il legislatore non può attentare né all’autonomia del
medico (che, con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a
disposizione e non di qualsiasi pratica che una norma pretenda di cristallizzare giacché il merito della terapia non
può essere normativamente definito) né sottrarre la responsabilità penale di quest’ultimo al dominio dei principi
generali regnanti in materia”.
Dall’altra parte la disposizione in parola rischia di determinare una disparità di trattamento tra chi riveste la
qualifica soggettiva di “operatore sanitario” e chi, invece, pur avendo specifici obblighi di garanzia (ad es. un
amministratore che non ha predisposto la struttura, il materiale, i prodotti, l’organizzazione idonea ad evitare
l’evento lesivo) non possa beneficiare di tale migliore trattamento. Sostiene, infatti, il Tribunale di Milano, sez.
IX, con sentenza 21.03.2013:
“È vero che il diverso titolo di colpa può comportare due atteggiamenti diversi da parte di due soggetti che
operano per colpa lieve nella produzione dello stesso evento lesivo, ma è anche vero che il sanitario - attenutosi
alle linee guida o alle buone prassi - godrebbe della non punibilità soltanto in quanto esercente la professione
sanitaria; mentre il soggetto che ha con colpa lieve cooperato con il sanitario (adeguatosi alle linee guida), continua a rispondere del medesimo reato colposo da cui invece il sanitario è prosciolto. Anche sotto questo profilo si
appalesa la violazione dell’art. 3 Cost.”.
Tutto ciò potrebbe generare l’esigenza di chiarificatrici pronunce costituzionali, volte a ricondurre il dettato normativo nell’ottica della legittimità e nei binari di una lettura costituzionalmente orientata, con possibilità di nuovi
scenari interpretativi nelle more dell’applicazione della citata disposizione.
15.Cause e mezzi della medicina difensiva: Riflessioni medicolegali in Rivista italiana di Medicina legale (e del
Diritto in campo sanitario) - Autori:Paliero Valeria, Randazzo Francesco, Danesino Paolo, Buzzi Fabio - Giuffrè Editore - Anno 2013 (7).
16.Il decreto “Balduzzi” e la depenalizzazione della colpa lieve in ambito medico: molto rumore per nulla? Autore: Giovanni De Santis - 1 agosto 2013 (8).
Italian Journal of Emergency Medicine - Maggio 2014
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Alla luce di quanto sopra l’esigenza di una riduzione del contenzioso, almeno quello giudiziario in senso stretto,
ha spinto il Legislatore all’introduzione, mediante il D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, della mediazione civile in materia
di responsabilità medica, quale condizione di procedibilità dell’azione, in sede giudiziale, per cause di responsabilità medica con l’intento di prevenire l’insorgere di una lite giudiziaria e garantire maggior celerità nella tutela
di talune azioni civili. Ma anche questa disposizione ha avuto un applicazione tormentata sia per i profili di costituzionalità che l’hanno caratterizzata (in particolar modo ci si riferisce alla pronuncia della Corte Costituzionale
n. 272/2012 che ha dapprima reso la mediazione civile per responsabilità medica facoltativa per essere poi
reintrodotta, come obbligatoria, con l’emanazione del D.L. n. 69/2013, convertito con modifiche in L. n. 98 del
9 agosto 2013) sia per gli esiti non certo soddisfacenti in ordine agli obiettivi prestabiliti.
La recente modifica normativa lascia peraltro valide le considerazioni espresse da Martuscelli: “la definizione di
atto medico appare, allo stato, una lacuna di tipicità che, nella materia della responsabilità medica, lascia priva di
composizioni certe l’apparente contraddizione tra il concetto di malattia e quello di lesioni, tra la natura dell’attività medica orientata a curare e l’animus laedendi […].Ebbene sarebbe auspicabile che il Legislatore, in una sfida
di ricostruzione sistematica costituzionalmente orientata, “mettesse mano” ad una legge organica sull’atto medico
e sulle conseguenti responsabilità, ponendo la base di un diritto penale della medicina, di cui innegabilmente, gli
operatori sanitari, ma pure del diritto, sentono ormai impellente la necessità” 17.
Bibliografia
1.
2.
3.
4.
5. 6. 7. 8. 9. Zana M. La responsabilità medica e tutela del paziente, Giuffrè Editore (Milano): Anno 1993 (pag. 1).
Gazzoni F. Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane (Napoli): Anno 2001 (pag. 691).
Capitani FG. Note a sentenza:Diritto & Giustizia, fasc. 0, Anno 2013 (pag. 452).
Cornacchia L. Responsabilità penale da attività medica in équipe, in Rivista di medicina legale e diritto sanitario Anno 2013.
Massaro A. Principio di affidamento e obbligo di vigilanza sull’operato altrui: riflessioni in tema di attività medica
o-chirurgica in équipe - in Cass. pen. 2011.
De Matteis R. La responsabilità del primario tra passato e futuro, in Danno e responsabilità - Anno 2011.
Paliero V, Randazzo F, Danesino P, Buzzi F. Cause e mezzi della medicina difensiva: Riflessioni medicolegali, in
Rivista italiana di Medicina legale (e del Diritto in campo sanitario) - Giuffrè Editore (Milano): Anno 2013.
De Santis G. Il decreto “Balduzzi” e la depenalizzazione della colpa lieve in ambito medico: molto rumore per
nulla?, Anno 2013.
Martuscelli R. Linee guida: percorsi dal merito alla legittimità per delineare profili di un diritto penale della medicina,
Giuffrè Editore (Milano): Anno 2013.
17. Linee guida: percorsi dal merito alla legittimità per delineare profili di un diritto penale della medicina” – Autore Renato Martuscelli - Giuffrè - Anno 2013 (9).
Italian Journal of Emergency Medicine - Maggio 2014