diabete mellito 2.FH11

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MEDICINA
A cura di E. Guastamacchia 1, V. Triggiani 1, V.A. Giagulli 2, B. Licchelli 1, E. Tafaro 1
Diabete Mellito/2
È tempo di insulina
Il termine di diabete mellito si riferisce ad un
disordine metabolico ad eziologia multipla
caratterizzato da iperglicemia cronica con alterazione
del metabolismo di carboidrati, grassi e proteine
derivanti da difetti della produzione o della azione
insulinica o di entrambi. Si tratta di una condizione
cronica in cui l’organismo non riesce ad avere
beneficio dagli alimenti regolarmente ingeriti e
digeriti. Il diabete è quindi un disturbo della
utilizzazione del nutrimento da parte dell’organismo.
L’insulina è una sostanza proteica prodotta dal
pancreas ed immessa nel torrente circolatorio la
quale agisce come una chiave che permette l’ingresso
del glucosio nel muscolo, nel fegato e nel tessuto
adiposo; in questo modo il glucosio può esser
utilizzato per produrre energia necessaria alle attività
vitali. Infatti, il nostro organismo per poter svolgere
le normali funzioni, dalla sopravvivenza cellulare
all’attività fisica, necessita di energia, la quale viene
fornita dalla combustione di uno specifico carburante
quale è appunto il glucosio, uno zucchero semplice che
deriva da alimenti quali pasta, pane, riso, patate, frutta
e legumi. Compito dell’insulina è quello di regolare i
livelli di glucosio nel sangue.
Ma quando un soggetto si può definire diabetico?
(I criteri diagnostici del diabete mellito sono descritti
nella tabella 1.)
Schematicamente possiamo dividere i diabetici in
due tipi principali: tipo 1 che ha assoluto bisogno di
insulina sin dalla sua insorgenza poiché non ne produce
affatto ed il tipo 2 che invece è caratterizzato
prevalentemente da una resistenza all’azione insulinica
che inizialmente è normalmente prodotta (o addirittura
è prodotta in eccesso) e successivamente diviene carente.
pugliasalute
Valori glicemici per la diagnosi di diabete
e altre condizioni di iperglicemia
Sangue venoso
Normale:
a digiuno
2h dopo carico di 75g di glucosio
< 100 mg/dl
< 140 mg/dl
Alterata glicemia a digiuno
100-125 mg/dl
Ridotta tolleranza glucidica
(2h dopo carico di 75g di glucosio)
140 mg/dl – 199 mg/dl
Diabete:
126 mg/dl
- a digiuno
200 mg/dl
- 2h dopo carico di 75g di glucosio
- casuale (in un qualsiasi momento
della giornata in associazione a classici 200 mg/dl
sintomi: poliuria, polidipsia, nicturia,
dimagramento…)
Tabella 1
Al momento della diagnosi di diabete, infatti, è presente
solo il 50% della funzione ß-cellulare, che dopo 6 anni
di malattia si riduce al 25% (Tab.2).
Il diabete mellito tipo 2 è la malattia metabolica più
comune a diffusione epidemica e colpisce una
percentuale variabile, dal 5 al 10%, della popolazione
mondiale.
La IDF (Inetrnational Diabetes Federation), anni or
sono, aveva previsto che il numero dei diabetici sarebbe
passato dai 175 milioni del 2000 ai 300 milioni del
2025. Tale previsione si sta rivelando purtroppo
ottimistica, visto l’incremento dei casi negli ultimi anni.
L’aumento del numero di pazienti affetti da tale
patologia comporta inevitabilmente un incremento dei
costi socio-sanitari, infatti è stato ampiamente provato
che tali costi sono tanto più elevati quanto più la malattia
non è ben controllata, come espresso dai valori di
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HbA1c, un parametro che sintetizza il compenso
glicemico delle precedenti 10-12 settimane (Tab.
4 - 5). Quando la malattia diabetica non viene
adeguatamente trattata possono comparire
precocemente e con maggiore gravità le temute
complicanze micro e macroangiopatiche che
colpiscono cioè i piccoli ed i grandi vasi:
- la neuropatia con il rischio di ulcerazioni ai
piedi, amputazioni, piede di Charcot, disfunzione
erettile, gastroparesi etc;
- la retinopatia, tra le cause più frequenti di
cecità;
- la nefropatia con insufficienza renale, fino a
giungere alla dialisi;
- la cardiopatia, con rischio di infarto silente
(senza sintomatologia);
- disturbi di circolo cerebrale con rischio di
ictus.
Da tutto ciò deriva che è importante intervenire
adeguatamente e precocemente per evitare tali
conseguenze che hanno importanti ripercussioni
di carattere umano ed economico. Un buon
controllo glicemico può ridurre in modo
significativo i danni del diabete.
Tabella 2
La terapia
Solitamente la terapia del diabete mellito tipo
2 si basa su uno schema (Tab.3) che prevede
inizialmente un tentativo di ridurre la glicemia
mediante il cambiamento dello stile di vita (dieta,
vita sedentaria, attività fisica, sospensione del
fumo, etc). Tali interventi sullo stile di vita portano
questi soggetti, che solitamente sono in sovrappeso
o francamente obesi, a trarre benefici a breve
termine quali la perdita di peso che quasi sempre
si associa ad un miglioramento dei livelli glicemici. Purtroppo
spesso il peso viene a lungo termine riacquistato, e ciò ha
limitato il ruolo dell’intervento sullo stile di vita come
mezzo per controllare la glicemia a lungo termine. Per tale
motivo, spesso, dopo un periodo più o meno breve e, secondo
molti, contemporaneamente, è indispensabile ricorrere alla
terapia farmacologica ipoglicemizzante, poiché gli obiettivi
glicemici suggeriti non vengono raggiunti (Tab. 4-5).
I farmaci più utilizzati sono la metformina, le sulfoniluree,
le glinidi, gli inibitori della a-glucosidasi, i tiazolidinedioni
e l’insulina.
La metformina ormai è la sola biguanide utilizzata. Il
suo principale effetto è dato dalla diminuita produzione di
glucosio da parte del fegato con riduzione della glicemia
a digiuno. La terapia con Metformina, in mancanza di
controindicazioni specifiche, può essere iniziata
contemporaneamente ai cambiamenti dello stile di vita sin
dal momento della diagnosi; per i suoi effetti benefici sulla
glicemia e sul peso, per la assenza di crisi ipoglicemiche,
per i modesti effetti collaterali (per lo più gastrointestinali),
per la tollerabilità e il costo basso può esser senza alcun
dubbio considerata la terapia farmacologica di prima scelta.
In caso di iperglicemia persistente, nonostante il massimo
pugliasalute
Tabella 3
dosaggio di metformina, si dovrà prendere in considerazione
l’associazione con altri ipoglicemizzanti.
Gli ipoglicemizzanti orali che più efficacemente si
associano alla biguanide sono senza dubbio le sulfoniluree
che migliorano la secrezione insulinica stimolando le ß cellule. Soprattutto, le sulfoniluree di I° generazione
(Tolazamide, Clorpropamide, Acetosamide, Gliciclamide)
possono dare più frequentemente ipoglicemie, le quali però
solo raramente sono particolarmente gravi; quelle di II°
generazione (Glibenclamide, Glibornuride, Glicazide,
Glipizide, Glisossepide, Gliquidone, Glisolamide,
Glimepiride) hanno un rischio relativamente basso di
ipoglicemia. Ovviamente il loro uso ha un razionale nei
soggetti che conservano una residua capacità della ß-cellula
di produrre insulina.
Un altro gruppo di ipoglicemizzanti orali simili alle
sulfoniluree, ma con alcuni vantaggi rispetto ad esse, sono
le glinidi; essi infatti hanno una minor durata d’azione e
quindi causano meno frequentemente ipoglicemie, sono
definiti “regolatori della glicemia prandiale”, perché hanno
un effetto breve e limitato al periodo post-prandiale. Inoltre
presentano un altro vantaggio, rispetto alle sulfoniluree,
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che è quello di legarsi in minor misura ai
recettori extrapancreatici cardiaci; infatti
tali recettori, molto simili a quelli presenti
sulle ß -cellule pancreatiche sui quali
agiscono le sulfoniluree, se stimolati,
possono determinare una riduzione del
flusso coronarico, con possibile infarto del
miocardio. Pertanto le glinidi possono
essere utilizzate con maggior tranquillità
nei cardiopatici diabetici.
Un’altra classe di farmaci
ipoglicemizzanti che potrebbe esser usata,
in base alla valutazione clinica del paziente,
in associazione ad altri o isolatamente, è
quella dei tiazolidinedioni (pioglitazone,
rosiglitazone). Essi agiscono su un recettore
nucleare noto come peroxisomeproliferator-activited receptor gamma
(PPAR) migliorando la risposta all’insulina secreta dal
pancreas o somministrata al paziente a livello epatico,
muscolare e soprattutto del tessuto adiposo. Essi esplicano
la loro azione oltre che sulle glicemie, sull’assetto lipidico,
sui valori pressori e da ultimi riscontri pare preservino
l’attività secretoria ß –cellulare. Hanno però diversi effetti
collaterali quali: aumento di peso, comparsa di edemi
solitamente periferici, peggioramento di una condizione di
insufficienza cardiaca (da non usare quindi nei cardiopatici),
possibile aumento delle transaminasi (nel qual caso devono
essere immediatamente sospesi).
L’ultimo gruppo di ipoglicemizzanti orali è rappresentato
dai farmaci inibitori dell’a-glucosidasi, che ritardano
l’assorbimento del glucosio diminuendo la quota di
digestione dei polisaccaridi nell’intestino tenue prossimale,
e riducendo la temibile iperglicemia post-prandiale, senza
causare ipoglicemia. Gli effetti indesiderati sono dati da
sintomi gastrointestinali: diarrea, coliche addominali e
meteorismo che portano all’interruzione di tale terapia nel
25-45% dei casi; sono quindi controindicati in caso di
malassorbimento, infiammazioni intestinali ed ostruzioni
intestinali.
Quando tutti i tentativi, sia con le modifiche dello stile
di vita sia con gli ipoglicemizzanti orali (anche alla massima
posologia), falliscono, poiché non vengono raggiunti gli
obiettivi glicemici e le percentuali consigliate dell’HbA1c,
è necessario l’intervento terapeutico con l’insulina. Oggi
più che mai si è dell’avviso di iniziare anche precocemente
tale terapia per evitare che l’iperglicemia e i conseguenti
alti valori di HbA1c possano portare alle temute complicanze
cardiovascolari. Comunque, una risposta alla domanda su
quando iniziare la terapia insulinica, potrebbe essere “non
troppo presto, ma nemmeno troppo tardi”.
“Non troppo presto” per evitare un eccessivo aumento
nel peso ed evitare possibili frequenti e gravi ipoglicemie
e “non troppo tardi” per evitare di prolungare una condizione
di scompenso glico-metabolico e quando ormai le
complicanze sono irreversibili.
Lo schema iniziale può essere rappresentato dalla
cosiddetta “terapia combinata” cioè mantenimento della
terapia orale con l’aggiunta di insulina basale serale, che
pugliasalute
Tabella 4
Obettivi glicemie a digiuno
Anziani
90-130 mg/dl
pazienti fragili (non autonomi, con patologie multisistemiche) 130-160 mg/dl
Tabella 5
Schema per il corretto dosaggio dell'insulina
1. Iniziare con 10 U di insulina basale “bedtime” (al momento di coricarsi)
2. Aggiustare la dose settimanalmente in base alla media di 2 giorni
della glicemia a digiuno (FPG), valutata a domicilio, nel modo
seguente:
FPG 180 mg/dl di insulina + 8 U
140-179 mg/dl di insulina + 6 U
120-139 mg/dl di insulina + 4 U
100-119 mg/dl di insulina + 2 U
3. Insistere sino ad ottenere una FPG < 100 mg/dl
4. Nessun aumento della dose di insulina se la FPG < 72 mg/dl
5. In presenza di severa ipoglicemia o di FPG < 56 mg/dl si possono
apportare lievi (2-4 U) riduzioni delle dosi di insulina
Tabella 6
migliorerebbe le glicemie notturne e la glicemia mattutina
(cioè la glicemia a digiuno). La scelta sarà fra la NPH, la
glargine e la detemir. È sempre valida la teoria secondo la
quale la terapia insulinica va aggiustata tenendo conto dei
tentativi ed errori (Tab 6). Ovviamente l’uso dell’una
anzicchè l’altra dipenderà sempre dalle caratteristiche
individuali del paziente. Se ciò non basterà sarà necessario,
per migliorare le glicemie post-prandiali, l’uso dell’insulina
anche in periodo pre-prandiale ed in questo caso sono a
disposizione numerosi tipi di insulina sia ad azione rapida
(Actrapid, HumulinR), sia ad azione ultrarapida (Humalog,
NovoRapid,Apidra). Vi sono poi le insuline pre-miscelate
(Actraphane 30/70, Mix 75/25, BiAsp 70/30) (Tab 7).
Conclusioni
In conclusione, si può affermare che oggi la terapia
insulinica nel diabete tipo 2 deve essere instaurata più
precocemente rispetto a quanto non si facesse in passato,
poiché oggi abbiamo dati della letteratura mondiale che
dimostrano in maniera incontrovertibile che solo il buon
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compenso glico-metabolico, a
digiuno e in fase post-prandiale,
può scongiurare la comparsa e la
progressione delle complicanze
croniche e soprattutto delle
patologie cardiovascolari.
Instaurare opportunamente nel
tempo la terapia insulinica,
tenendo conto delle caratteristiche
cliniche del paziente diabetico
garantisce un controllo migliore
sia a digiuno che dopo pranzo,
riduce la glucotossicità e la
lipotossicità, preservando una
residua attività ß -cellulare.
Fondamentale è pertanto far
accettare al paziente, anche al
soggetto anziano, tale terapia, che
spesso viene considerata come
estremo rimedio, e viene rigettata
anche per la paura delle multiple
iniezioni, per le limitazioni nella vita
quotidiana e per il timore di gravi
ipoglicemie.
Tali difficoltà potranno essere
superate da una educazione sanitaria
individuale e/o di gruppo e dalla
convinzione sia del medico sia del
paziente che instaurare opportunamente
la terapia insulinica ha, al momento
più opportuno, solo vantaggi certi.
Tabella 7
1
U.O. di Endocrinologia, Università degli
Studi di Bari, Bari; 2U.O. Medicina Interna, Sub.
Endocrinologia, PP.OO. Putignano-Noci-Gioia
del Colle AUSL BA, Noci (Ba)
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