Nozioni elementari di microeconomia Macroeconomia Claudio Sardoni Anno accademico 2013-2014 ii Indice Premessa v 1 Introduzione ad alcuni concetti 1.1 Razionalità . . . . . . . . . . 1.2 Il concetto di equilibrio . . . . 1.3 Il problema dell’ottimizzazione di base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Teoria del consumo 2.1 Le preferenze . . . . . . . . . . . . . 2.2 La funzione d’utilità . . . . . . . . . 2.3 Le curve d’indifferenza . . . . . . . . 2.4 Il saggio marginale di sostituzione . . 2.5 Il vincolo di bilancio . . . . . . . . . 2.6 La massimizzazione dell’utilità . . . . 2.7 La funzione di domanda . . . . . . . 2.8 L’elasticità della domanda . . . . . . 2.9 Effetto sostituzione ed effetto reddito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Teoria della produzione 3.1 L’impresa e i fattori della produzione . . . . . . . . . . . . . . 3.2 La funzione di produzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Breve e lungo periodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 La produttività dei fattori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 Produttività marginale decrescente . . . . . . . . . . . 3.4.2 Rendimenti di scala . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 Massimizzazione del profitto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6 Curve dei costi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7 La concorrenza perfetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.1 Il ricavo marginale in concorrenza perfetta . . . . . . . 3.8 Equilibrio dell’impresa nel breve periodo in concorrenza perfetta 3.9 Equilibrio dell’impresa in monopolio . . . . . . . . . . . . . . . iii 1 1 1 2 5 5 5 7 9 9 10 12 14 15 17 17 18 18 19 19 19 20 21 23 24 25 25 3.9.1 Confronto fra prezzo in monopolio e in concorrenza . . 27 3.10 Una semplificazione sui costi (di breve periodo) . . . . . . . . 28 iv Premessa In queste note sono fornite alcune nozioni di base della microeconomia che possono essere utili per una migliore comprensione di alcuni temi di macroeconomia. C. S. v vi Capitolo 1 Introduzione ad alcuni concetti di base 1.1 Razionalità Sia i consumatori sia le imprese sono considerati agenti economici. Si ipotizza che gli agenti siano razionali. Questo significa che, nel prendere decisioni, essi • considerano tutte le alternative possibili; • considerano tutte le informazioni disponibili o acquisibili; • ordinano le alternative in ordine di preferenza; • scelgono l’alternativa maggiormente preferita. 1.2 Il concetto di equilibrio È un concetto al centro di gran parte dell’analisi economica. In una data situazione, un singolo agente si trova in una posizione d’equilibrio quando non ha alcun motivo di mutare le proprie decisioni e comportamenti (il proprio piano), a meno che non intervengano fattori nuovi che modificano la situazione data. Un insieme di agenti (per es. tutti coloro che operano in un certo mercato) è in equilibrio se i piani individuali sono tutti compatibili fra loro.1 1 Si considerino due agenti a e b che debbono acquistare e vendere rispettivamente il bene x. Si supponga che ad un prezzo di x pari a p∗ a desideri acquistare 100 unità di x, mentre allo stesso prezzo b desideri vendere 75 unità di x. Si tratta evidentemente di una situazione che non è di equilibrio: i piani dei due soggetti sono incompatibili fra loro. 1 Lo studio dell’equilibrio pone una serie di importanti problemi analitici. Vi è innanzi tutto il problema dell’esistenza di un equilibrio, ma un altro importante problema è quello della stabilità dell’equilibrio. Un punto di equilibrio è stabile se si tende a tornarvi dopo aver subito un disturbo di natura temporanea. Vi è infine il problema dell’unicità del punto di equilibrio. 1.3 Il problema dell’ottimizzazione Agenti economici razionali si comportano in modo ottimizzante, nel senso che prendono decisioni ed attuano comportamenti che diano loro il migliore risultato possibile in termini dell’obiettivo che si sono posti. Più precisamente, un problema di ottimizzazione è costituito da tre elementi: le variabili oggetto di scelta; la funzione obiettivo; l’insieme delle possibili alternative. Le variabili di scelta Gli agenti prendono decisioni a riguardo di variabili che possono controllare e che incidono sul risultato che vogliono ottenere. Per esempio, un consumatore effettua scelte sulla quantità di un bene da consumare; il bene di consumo è la variabile su cui il consumatore effettua la sua scelta. La funzione obiettivo È una funzione che mette in relazione le variabili su cui si esercitano le scelte e un valore da ottimizzare. Per esempio, U = f (x) è una funzione obiettivo che mette in relazione l’utilità U di un consumatore (il beneficio che trae dal consumo del bene) e la quantità del bene x che decide di consumare. In questo caso si tratta di trovare il valore di x che massimizza U . L’insieme delle alternative possibili (feasible set) È l’insieme delle alternative possibili disponibili all’agente. La funzione U = f (x1 , x2 ) Si realizzerà un equilibrio quando ad un certo prezzo pe la quantità di x che a intende acquistare è identica alla quantità di x che b intende vendere. 2 descrive l’insieme delle alternative possibili per un consumatore, cioè tutte le possibili combinazioni dei beni x1 e x2 che danno diversi livelli di utilità. In generale, le variabili di scelta sono sottoposte a dei vincoli. Innanzi tutto le quantità di beni debbono essere non negative: xi ≥ 0 (i = 1, 2) Inoltre c’è il problema del fatto che l’ammontare di risorse disponibili per il consumatore è limitato e quindi non può destinare al consumo dei due beni più delle risorse possedute. In simboli, x1 p 1 + x2 p 2 ≤ S dove p1 e p2 sono i prezzi dei due beni ed S è l’ammontare di risorse possedute. Questo significa che l’insieme delle alternative possibili per il consumatore in esame non è costituito da tutte le possibili combinazioni di x1 e x2 , ma solo di quelle che soddisfano i vincoli indicati sopra. La soluzione del problema di ottimizzazione La soluzione di un problema di ottimizzazione è un vettore di valori delle variabili di scelta che appartiene all’insieme possibile e massimizza (o minimizza) la funzione obiettivo. Se f (x) è la funzione obiettivo e la soluzione del problema è x∗ , si ha che f (x∗ ) ≥ f (x) per tutti gli x ∈ F dove F è l’insieme delle alternative possibili. 3 4 Capitolo 2 Teoria del consumo 2.1 Le preferenze Sia xi ∈ X (1 = 1, 2, · · · ) un generico paniere di beni di consumo. Il consumatore ha determinate preferenze riguardo ai panieri e sceglie fra essi razionalmente; cioè in modo da massimizzare l’utilità tratta dal consumo del paniere scelto. Il consumatore deve essere in grado di ordinare l’insieme X di panieri in base alle sue preferenze. Affinché ciò sia possibile è necessario che le preferenze abbiano certe proprietà; in particolare le seguenti: Completezza . Per tutti gli xi e xj in X, xi xj oppure xj xi . Transitività . Per tutti gli xi , xj , xz in X, se xi xj e xj xz allora xi x z . La prima proprietà assicura la confrontabilità di qualsiasi coppia di panieri; la seconda proprietà assicura la consistenza delle preferenze. 2.2 La funzione d’utilità Il comportamento del consumatore può essere descritto impiegando una funzione d’utilità. È una funzione U (x) tale che x1 x2 se e solo se U (x1 ) > U (x2 ) dove x1 e x2 sono due panieri di beni. In uno spazio a due dimensioni, cioè in un mondo con soli due beni x e y, la funzione d’utilità è U = f (x, y) 5 Si assume che la funzione d’utilità sia continua con derivate parziali del primo e secondo ordine anch’esse continue. Il livello di utilità cresce al crescere della quantità consumata dei due beni. Sia αx > x e βy > y, allora U1 = f (αx, βy) e U1 > U Studiamo ora il comportamento dell’utilità al variare della quantità consumata di un bene, mentre la quantità dell’altra resta invariata; si ha cioè U = f (x, ȳ) ȳ = costante (2.1) U è l’utilità totale. Un concetto molto importante è quello di utilità marginale (um ) del bene x. Essa è l’incremento di utilità totale dovuto ad una variazione infinitesima di x In termini matematici, l’utilità marginale non è altro che la derivata prima di U rispetto ad x:1 δU (2.2) um = δx Un altro concetto spesso usato è l’utilità media del bene x (uM ), che è data dal rapporto fra U ed x: uM = U x (2.3) L’utilità totale è una funzione crescente della quantità del bene consumato. Questo implica che l’utilità marginale del bene sia positiva (um > 0): ogni aumento del bene consumato dà vita ad un aumento dell’utilità. Si assume però che l’utilità totale cresca sempre meno rapidamente al crescere della quantità consumata del bene. Ciò significa che l’utilità marginale è decrescente, ovvero sia che la sua derivata prima è minore di zero: dum <0 dx 1 Si può ovviamente calcolare nello stesso modo l’utilità marginale di y (tenendo in questo caso costante la quantità di x). 6 La derivata prima dell’utilità marginale non è altro che la derivata seconda di U , pertanto la funzione di utilità è caratterizzata dalle seguenti proprietà della sua derivata prima e seconda: δU >0 δx δ2U = <0 δx2 (2.4) um = dum dx Questo assicura che la curva dell’utilità totale di un bene è concava verso l’origine (?? U x Figura 2.1: La curva dell’utilità totale 2.3 Le curve d’indifferenza Esistono in generale infiniti panieri che assicurano ad un consumatore uno stesso livello d’utilità. Il luogo di tutti i panieri che forniscono lo stesso livello d’utilità costituisce una curva d’indifferenza. L’insieme di tutte le curve d’indifferenza (corrispondenti a diversi livelli d’utilità) è una mappa d’indifferenza. In uno spazio a due dimensioni, Tutti i punti che giacciono su di una stessa curva d’indifferenza arrecano la stessa utilità al consumatore. Curve d’indifferenza più in alto a destra (nord-est) rappresentano livelli di maggiore utilità. Le curve d’indifferenza hanno alcune importanti proprietà: • sono inclinate negativamente; 7 x2 B C A U3 U2 U1 x1 Figura 2.2: Mappa d’indifferenza • curve d’indifferenza appartenenti alla stessa mappa (relative allo stesso consumatore) non si intersecano mai fra loro; • sono convesse verso l’origine. Le curve d’indifferenza sono inclinate negativamente poiché al crescere della quantità consumata di un bene deve ridursi la quantità consumata dell’altro, affinché resti costante il livello di utilità realizzato. Le curve d’indifferenza non si intersecano poiché, se ciò accadesse, si avrebbe una contraddizione logica. A C D U2 B U1 Figura 2.3: A e B (due panieri) giacciono entrambi su U1 e quindi sono ugualmente preferiti: U (A) = U (B). Allo stesso modo C è ugualmente preferito a D: 8 U (C) = U (D). D’altro canto U (A) > U (C) poiché A è a destra di C e U (D) > U (B) poiché D è a destra di B, ma questo non è possibile. Visto che U (D) è maggiore di U (B), dovrebbe essere anche U (D) > U (A), il che è in contraddizione con U (A) > U (C) = U (D). Vedremo più avanti la spiegazione del perché le curve d’indifferenza sono convesse verso l’origine. 2.4 Il saggio marginale di sostituzione Il differenziale totale della funzione d’utilità è dU = δU δU dx1 + dx2 δx1 δx2 Poiché lungo una curva d’indifferenza l’utilità totale non varia al variare della combinazione fra le quantità dei due beni, deve necessariamente essere dU = δU δU dx1 + dx2 = 0 δx1 δx2 Il differenziale totale dell’utilità associata alla curva d’indifferenza considerata deve essere nullo. Pertanto, dx2 = − dx1 δU δx1 δU δx2 = SM S (2.5) Il rapporto fra le variazioni delle due quantità è uguale al rapporto fra la variazione d’utilità dovuta ad una variazione infinitesima della quantità consumata del bene 1 e la variazione d’utilità dovuta ad una variazione infinitesima della quantità consumata del bene 2. Questo rapporto è detto saggio marginale di sostituzione (SM S). 2.5 Il vincolo di bilancio Il consumatore è soggetto ad un vincolo di spesa, detto vincolo di bilancio. Tale vincolo deriva dal fatto che le risorse a disposizione del consumatore sono limitate. In un mondo a due beni, il vincolo di bilancio può essere scritto come S = p 1 x1 + p 2 x2 p1 S − x1 x2 = p2 p2 9 (2.6) dove S è l’ammontare dato di risorse disponibili (reddito) del consumatore, p1 è il prezzo (dato) del bene 1, p2 è il prezzo (dato) del bene 2, x1 e x2 le quantità dei due beni.2 La (2.6) è detta retta di bilancio. Si noti che la sua inclinazione (negativa) è p1 − p2 dove p1 e p2 sono i prezzi dei due beni. 2.6 La massimizzazione dell’utilità Il consumatore, soggetto al vincolo di bilancio (2.6), deve scegliere il paniere (x1 , x2 ) che massimizza la sua funzione d’utilità U = f (x1 , x2 ). Il problema da risolvere è quindi max[U (f x1 , x2 )] s. t. S − p 1 x1 − p 2 x2 = 0 Usando il metodo di Lagrange, si tratta di massimizzare la funzione L = U (x1 , x2 ) + λ(S − p1 x1 − p2 x2 ) Derivando la funzione L rispetto ad x1 , x2 e λ e ponendo le derivate prime uguali a zero, si ottiene δU δL = − λp1 = 0 δx1 δx1 δL δU = − λp2 = 0 δx2 δx1 δL = S − p 1 x1 − p 2 x2 = 0 δλ (2.7) Da ciò deriva che in un punto di massimo deve valere l’uguaglianza δU δx1 δU δx2 = p1 p2 (2.8) che è la condizione del primo ordine per un massimo. 2 I due prezzi sono dati poiché si assume che il consumatore operi in regime di concorrenza perfetta. Si tornerà più avanti sul concetto di concorrenza perfetta. 10 Il membro di sinistra nella (2.8) è il saggio marginale di sostituzione fra i due beni. Pertanto, p1 dx2 = SM S = − dx1 p2 Questo significa che, nel punto di massima utilità, la retta di bilancio deve essere tangente alla curva d’indifferenza. x2 B P O A x1 Figura 2.4: Equilibrio del consumatore In P (figura 2.4), il consumatore massimizza la sua utilità. In qualsiasi altro punto sulla retta di bilancio otterrebbe un minore livello d’utilità. D’altro canto, dato il vincolo di bilancio, non è possibile ‘toccare’ curve d’indifferenza più a destra di quella disegnata. Si dimostra che la condizione del secondo ordine per un massimo è soddisfatta se d2 x2 >0 dx21 Si assume inoltre che questa disuguaglianza sia soddisfatta per ampi intervalli di valori non negativi di x1 e x2 . Ciò equivale ad assumere che le curve d’indifferenza sono convesse verso l’origine. Se le curve d’indifferenza non fossero convesse, il consumatore potrebbe massimizzare la propria utilità consumando un solo bene. Nel punto di tangenza P (figura 2.5), il consumatore minimizza la sua utilità. Potrebbe infatti spendere lo stesso ammontare ottenendo livelli d’utilità superiori (come per es. nei punti C e D). Raggiunge l’utilità massima quando si pone sulla curva d’indifferenza che interseca l’asse x2 in A o l’asse x1 in B, cioè consumando uno solo dei due beni. Nell’esempio della figura, 11 solo il bene 2 è consumato nella quantità OA poiché in tal modo il consumatore ottiene un’utilità maggiore di quella che otterrebbe consumando solo il bene 1 in quantità OB. x2 A C P D x1 B O Figura 2.5: Equilibrio con curve concave Assumere la convessità delle curve d’indifferenza equivale ad assumere che i consumatori preferiscono combinazioni intermedie dei due beni piuttosto che gli estremi (consumare uno solo dei due beni). 2.7 La funzione di domanda Qui consideriamo solo la funzione di domanda di un bene rispetto al suo prezzo, mantenendo costante sia il prezzo dell’altro bene che il reddito (le risorse S) a disposizione del consumatore. Tale funzione di domanda può essere ottenuta dall’analisi della massimizzazione dell’utilità. Considerando il sistema di equazioni (2.7) e risolvendo per x1 e x2 , si ha S 2p1 S = 2p2 x1 = x2 che sono rispettivamente la funzione di domanda del bene x1 e x2 rispetto ai loro prezzi, essendo dato il reddito S. Si vede immediatamente che le quantità domandate dei due beni non variano se il prezzo e il reddito variano nella stessa proporzione. Le funzioni di domanda sono omogenee di grado zero nei prezzi e nel reddito. 12 Il consumatore è in equilibrio (massimizza la sua utilità) in P (Figura 2.6). Supponiamo ora che il prezzo p1 diminuisca. Dalla (2.6) è chiaro che l’inclinazione della retta di bilancio diminuisce, mentre resta costante l’intercetta sull’asse delle ordinate. In altre parole la nuova retta di bilancio è BD0 . B P C P' C' C'' P'' U3 U2 U1 D O A D' D'' A'' A' Figura 2.6: Effetti di una variazione del prezzo di un bene Ciò consente al consumatore di spostarsi su una curva d’indifferenza più alta (U2 ), consumando le quantità OA0 e OC 0 dei due beni. Il nuovo punto d’equilibrio è P 0 . Se ripetiamo l’esercizio, ci si sposterà su U3 , U4 (non disegnata) e cosı̀ via. Mettendo in relazione i diversi valori del prezzo p1 con le corrispondenti quantità consumate del bene 1, si ottiene la funzione di domanda. Normalmente, la relazione fra prezzo e quantità domandata del bene è inversa: la quantità domandata del bene è funzione inversa del suo prezzo. Una volta determinata la funzione di domanda individuale, è facile costruire la domanda collettiva per il bene considerato. Per ogni livello del prezzo, si ottiene la quantità del bene domandata collettivamente sommando le quantità domandate da ciascun individuo a quel prezzo. 13 p x Figura 2.7: La funzione di domanda 2.8 L’elasticità della domanda L’elasticità della domanda del bene 1 rispetto al suo prezzo può essere espressa come dx1 dx1 p1 x1 ε11 = dp = 1 dp1 x1 p 1 È il rapporto fra il tasso di variazione della quantità domandata e il tasso di 1 variazione del prezzo. Se la curva di domanda è inclinata negativamente, dx dx2 è negativa e perciò l’elasticità è negativa. Sappiamo che un aumento del prezzo fa ridurre la quantità acquistata del bene, ma questo non ci dice se il consumatore spende di più, di meno o lo stesso ammontare del suo reddito. Per stabilire che cosa succede alla spesa per l’acquisto di x1 dobbiamo considerare la derivata della spesa (p1 x1 ) rispetto al prezzo p1 ; cioè δx1 p1 δx1 δp1 x1 = x1 + p 1 = x1 1 + = x1 (1 + ε11 ) δp1 δp1 x1 δp1 La derivata è positiva (la spesa aumenta) se ε11 > −1; la derivata è nulla (la spesa non varia) se ε11 = −1 e la derivata è negativa (la spesa diminuisce) se ε11 < −1. 14 Se consideriamo l’elasticità in valore assoluto, si ha: • la spesa aumenta se |ε| < 1 (la domanda è rigida); • la spesa resta invariata se |ε| = 1; • la spesa diminuisce se |ε| > 1 (la domanda è elastica).3 2.9 Effetto sostituzione ed effetto reddito Consideriamo un caso di diminuzione del prezzo p1 . L’effetto globale che ciò produce è quello che si ricava dalla figura 2.8. L’equilibrio si sposta dal punto P al punto P 00 . Il problema che ci poniamo ora è di scindere quest’effetto globale nell’effetto sostituzione, dovuto al fatto che il bene 1 diviene relativamente meno caro rispetto al bene 2, e nell’effetto reddito, dovuto al fatto che la diminuzione del prezzo di un bene fa aumentare il reddito (reale) del consumatore, cioè la sua capacità di acquisto. x2 B B' C P P'' C'' P' C' D' O A A' D'' x1 A'' Figura 2.8: Effetto sostituzione ed effetto reddito 3 Quella considerata sopra è l’elasticità diretta. Si considera anche l’elasticità indiretta (o incrociata), che riguarda le variazioni della domanda di un bene rispetto a variazioni del 1 prezzo dell’altro bene. ε12 = xp21 dx dp2 . Quest’elasticità non necessariamente prende valori negativi. Il suo segno dipende dal tipo di beni considerati. Se si tratta di beni sostituti l’elasticità indiretta è positiva; essa è negativa se si tratta di beni complementari. 15 Il consumatore passa da P a P 00 : aumenta la quantità consumata del bene 1 e riduce quella del bene 2. C’è certamente un effetto sostituzione: il bene x1 è divenuto ‘meno caro’ e il consumatore lo sostituisce in parte al bene x2 . Ma c’è anche un effetto reddito: l’aumento del reddito reale del consumatore fa sı̀ che x2 si riduce meno di quanto avverrebbe in mancanza dell’aumento del reddito reale. Per osservare cosa accadrebbe se la variazione dei prezzi non producesse alcuna variazione del reddito reale, tracciamo la retta di bilancio B 0 D0 che ha la stessa inclinazione della retta BD00 , cioè è riferita agli stessi prezzi dei due beni (ha lo stesso coefficiente angolare). Poiché stiamo ipotizzando che il reddito reale non muta, il consumatore deve rimanere sulla stessa curva d’indifferenza U1 e perciò il suo punto d’equilibrio sarebbe dato dal punto di tangenza P 0 , che è associato a quella combinazione di beni (OA0 , OC 0 ). Di conseguenza, l’incremento del consumo del bene x1 , pari ad AA0 , e il decremento di consumo del bene x2 , pari a CC 0 , sono interamente imputabili all’effetto sostituzione (al fatto che il bene x1 è divenuto meno caro del bene x2 ). In realtà il consumatore consuma OA00 del bene 1 ed OC 00 del bene x2 ; pertanto le differenze A0 A00 (bene x1 ) e C 0 C 00 (bene x2 ) sono imputabili all’effetto reddito. Grazie al fatto che il suo reddito reale è aumentato, il consumatore riduce in minor misura il consumo del bene 2 e aumenta ancor di più il consumo del bene 1. 16 Capitolo 3 Teoria della produzione 3.1 L’impresa e i fattori della produzione L’impresa è il luogo in cui la produzione di beni (o servizi) è organizzata ed attuata. L’obiettivo dell’impresa (o dell’imprenditore) è la massimizzazione del profitto realizzato mediante la produzione e vendita dei beni. L’impresa acquista i servizi dei fattori della produzione al fine di produrre beni o servizi. In genere, i fattori della produzione vengono raggruppati in tre grandi categorie: Lavoro: include tutte le attività umane finalizzate alla produzione. Il prezzo del servizio del fattore lavoro è il salario. Terra: include tutti i fattori naturali impiegati nella produzione. Il prezzo del servizio del fattore terra è la rendita. Capitale: include tutti i fattori naturali impiegati nella produzione. prezzo del fattore capitale è l’interesse. Il L’impresa paga i servizi dei fattori della produzione al loro rispettivo prezzo. La spesa totale sostenuta dall’impresa per il pagamento dei servizi dei fattori costituisce il costo totale dell’impresa. La differenza fra quanto l’impresa ricava dalla vendita di ciò che produce (ricavo totale) e il costo totale sostenuto è il profitto. Se il ricavo totale è inferiore al costo totale, si ha un profitto negativo, cioè una perdita. Il profitto affluisce all’impresa. Esso è la remunerazione del rischio che l’impresa prende quando decide di produrre. Infatti, in caso di perdite, esse sono a carico dell’impresa. 17 3.2 La funzione di produzione E’ una funzione che stabilisce la relazione che intercorre fra quantità prodotta di un bene (o servizio) e quantità dei fattori della produzione impiegati.1 Sia q la quantità prodotta di un certo bene Q, q = f (x1 , x2 , · · · , xn ) q > 0 xi > 0 (i = 1, 2, · · · , n) dove xi è la quantità del generico fattore i − simo impiegato nella produzione di q. La quantità prodotta è non negativa cosı̀ come sono non negative le quantità di fattori impiegati. 3.3 Breve e lungo periodo Nello studio della produzione è importante distinguere fra breve periodo e lungo periodo: Breve periodo. Si dice breve periodo un intervallo di tempo entro cui non è possibile far variare (aumentare o diminuire) le quantità di tutti i fattori. Esistono cosı̀ fattori fissi (quelli la cui quantità non può essere variata) e fattori variabili (quelli la cui quantità può essere variata). Tipicamente si assume che per l’impresa, nel breve periodo, il capitale sia il fattore fisso mentre il lavoro è il fattore variabile. Lungo periodo. Si dice lungo periodo un intervallo di tempo sufficientemente lungo da rendere possibile la variazione (aumento o diminuzione) di tutti i fattori. In altre parole, nel lungo periodo non esistono fattori fissi. Assumendo che esistono solo due fattori della produzione (x ed y), la funzione di produzione riferita al breve periodo può essere scritta come q = f (x, ȳ) ȳ = costante (3.1) La funzione di produzione di breve periodo è ad una sola variabile. La funzione di lungo periodo è invece una funzione a due variabili: q = f (x, y) 1 (3.2) La dizione corretta è ‘quantità di servizi dei fattori’ impiegati. Per brevità si userà spesso la dizione ‘quantità di fattori’. 18 3.4 La produttività dei fattori Consideriamo inizialmente la relazione fra produzione del bene e quantità dei fattori nel caso in cui un solo fattore è variabile. Produttività totale. È la quantità prodotta del bene ottenuta impiegando un fattore in quantità variabile e l’altro in quantità fissa. Essendo (3.1) la funzione di produzione, la produttività totale è: T P = q = f (x, ȳ) (3.3) Produttività media. E’ data dal rapporto fra produttività totale e quantità impiegata del fattore: f (x, ȳ) TP = x x AP = (3.4) Produttività marginale. E’ l’incremento di produttività totale derivante da una variazione infinitesima della quantità del fattore δf (x, ȳ) dq = dx δx MP = 3.4.1 (3.5) Produttività marginale decrescente Tradizionalmente si assume che valga la legge della produttività marginale decrescente. Gli incrementi di produzione (produttività totale) derivanti da incrementi infinitesimi del fattore sono sempre positivi, ma inizialmente essi sono crescenti, raggiungono un massimo e poi cominciano a decrescere. Ciò significa che δq >0 (3.6) δx e che, per valori di x > x∗ , δ2q <0 (3.7) δx2 Quindi la produttività marginale raggiunge il suo massimo in x = x∗ . 3.4.2 Rendimenti di scala Cosı̀ come si studia la relazione fra variazione del prodotto e variazione di un fattore tenendo tutti gli altri costanti, si studia anche la relazione fra variazione del prodotto e variazione proporzionale di tutti i fattori. In questo caso si parla di rendimenti di scala. I rendimenti di scala possono essere crescenti, costanti o decrescenti.2 2 Ovviamente ci si trova nel lungo periodo, in quanto tutti i fattori possono variare. 19 Rendimenti di scala crescenti. Si hanno rendimenti di scala crescenti quando il prodotto varia in misura più che proporzionale rispetto alla variazione dei fattori. Rendimenti di scala costanti. Si hanno quando il prodotto varia nella stessa proporzione dei fattori. Rendimenti di scala decrescenti. Si hanno quando il prodotto varia in misura meno che proporzionale rispetto alla variazione dei fattori. Se si assume che la funzione di produzione è omogenea, i rendimenti di scala possono essere facilmente descritti nel modo seguente. Considerata una funzione omogenea di grado n e un λ > 1, f (λx, λy) = λn (x, y) Si hanno rendimenti di scala crescenti se n > 1; rendimenti di scala costanti se n = 1; rendimenti di scala decrescenti se n < 1. q = f (x, y) qλ = f (λx, λy) = λn f (x, y) = λn q quindi, qλ = λn > λ q qλ =λ n = 1⇒ q qλ n < 1⇒ = λn < λ q n > 1⇒ 3.5 Massimizzazione del profitto Il profitto è dato dalla differenza fra ricavo totale e costo totale. Il ricavo totale è il prodotto tra il prezzo al quale il bene è venduto. Pertanto, RT = pq (3.8) π = pq − C = pq − (xpx + ypy ) (3.9) dove p è il prezzo del bene Q. Il profitto totale è quindi, Il problema da risolvere è la massimizzazione della (3.9). 20 Per semplicità, consideriamo un caso in cui un solo fattore è variabile. La (3.9) si riduce a π = pq − (xpx + ȳpy ) (3.10) Il massimo della (3.10) si determina ponendo la derivata prima di π rispetto ad x uguale a zero e la derivata seconda minore di zero, cioè δq dπ = p − px = 0 dx δx (3.11) d2 π δ2q = p <0 dx2 δx2 (3.12) dq = px dx (3.13) e Dalla (3.11) si ottiene che p che significa che il profitto è massimizzato nel punto in cui il valore della produttività marginale del fattore uguaglia il prezzo del fattore stesso.3 Consideriamo una particolare versione di questo problema di massimizzazione. Si supponga che il fattore variabile sia il lavoro, l (misurato in ore) e che il prezzo di un’ora di lavoro sia il salario w. In questo caso la funzione del profitto da massimizzare è: π = pq − lw − ȳpy e deve essere dq dπ =p −w =0 dl dl cioè dq w = dl p L’impresa massimizza il profitto quando impiega una quantità del fattore lavoro tale per cui la produttività marginale del fattore ( dq ) è uguale al salario dl reale, cioè il rapporto tra il salario nominale w e il prezzo del bene p. 3.6 Curve dei costi Abbiamo finora considerato il costo dell’impresa come una funzione dei prezzi e delle quantità dei fattori della produzione impiegati dall’impresa. Naturalmente, data la funzione di produzione, il costo può sempre essere espresso 3 La (3.12) implica che nel punto di massimo del profitto la produttività marginale del fattore è decrescente. 21 come funzione della quantità prodotta. D’ora in avanti, i costi saranno espressi come funzione della quantità prodotta. Qui ci concentriamo sui costi di breve periodo. Le varie definizioni di costo di breve periodo sono le seguenti. Costo fisso (CF ). E’ il costo relativo ai fattori fissi impiegati. Esso è quindi indipendente dalla quantità prodotta e costante. Costo fisso medio o unitario (CAF ). E’ dato dal rapporto fra costo fisso e quantità prodotta q. Il costo fisso unitario è funzione decrescente della quantità prodotta. Tende asintoticamente a zero (Figura 3.1). CAF = CF q (3.14) CAF q Figura 3.1: Costo fisso medio Costo variabile totale (CV ). E’ il costo relativo ai fattori variabili impiegati. E’ funzione crescente della quantità prodotta. Costo variabile medio (CAV ) . E’ dato dal rapporto fra costo variabile totale e quantità prodotta. CAV = CV q (3.15) Costo totale (CT ). E’ ovviamente la somma di costo variabile totale e costo fisso, CT = CV + CF (3.16) Il costo totale è certamente funzione crescente di q. 22 Costo totale medio (CAT ). E’ dato dal rapporto fra costo totale e quantità prodotta, CT CAT = = CAV + CAF (3.17) q Costo marginale (CM ). E’ l’incremento del costo totale imputabile ad un incremento infinitesimo della quantità prodotta. Perciò, CM = dCV dCT = dq dq (3.18) Se si accetta l’ipotesi di produttività marginale decrescente, al variare di q il costo totale dovrà necessariamente comportarsi nel modo seguente. CT cresce dapprima meno che proporzionalmente di q, ma da un certo punto in poi esso prende a crescere più che proporzionalmente. Il costo variabile totale ha lo stesso comportamento. Il costo totale e quello variabile sono descritti dalle due curve in Figura 3.2, dove OF è il costo fisso. CVT CT F q O O q Figura 3.2: Costo variabile totale e costo totale Dall’ipotesi di produttività marginale decrescente deriva anche che il costo totale medio, il costo variabile medio ed il costo marginale hanno tutti un andamento cosiddetto ad U: sono funzioni di q dapprima decrescenti, raggiungono un minimo e poi diventano crescenti. La curva del costo marginale interseca quella del costo medio totale e del costo medio variabile nel loro punto di minimo (Figura 3.3). 3.7 La concorrenza perfetta Un mercato è in regime di concorrenza perfetta se valgono le seguenti ipotesi. 23 CAV CAT CM q Figura 3.3: Costo marginale, costo variabile medio e costo totale medio 1. Tutti gli operatori sul mercato (venditori ed acquirenti) sono di dimensioni infinitesime rispetto alla dimensione del mercato nel suo complesso. 2. Il bene prodotto dalle imprese operanti sul mercato è perfettamente omogeneo. 3. Tutti gli operatori sul mercato godono di perfetta informazione. 4. Nel lungo periodo, c’è perfetta libertà di entrata e di uscita dal mercato Per quanto riguarda specificamente le imprese, l’ipotesi di concorrenza perfetta implica che la singola impresa non è in grado di modificare il prezzo del bene prodotto mediante variazioni della sua quantità prodotta. D’altro canto, non è razionale per l’impresa cercare di vendere né ad un prezzo più basso né ad un prezzo più alto di quello di mercato. Pertanto, per l’impresa in concorrenza perfetta il prezzo è dato. Ciò significa che la singola impresa ha di fronte a sé una curva di domanda perfettamente elastica. 3.7.1 Il ricavo marginale in concorrenza perfetta Il ricavo marginale è l’incremento del ricavo totale dovuto ad un incremento infinitesimo della quantità venduta. Formalmente, RM = d(pq) dRT = dq dq RM è il ricavo marginale e RT è il ricavo totale. 24 (3.19) Poiché in concorrenza perfetta il prezzo resta costante al variare della quantità prodotta dalla singola impresa, ne deriva che il ricavo marginale coincide con il prezzo che, d’altro canto, non è altro che il ricavo medio ( RqT ). Ciò si verifica immediatamente calcolando la derivata nella (3.19). RM = p 3.8 (3.20) Equilibrio dell’impresa nel breve periodo in concorrenza perfetta L’impresa è in equilibrio quando massimizza il suo profitto, π = pq − CT (q) (3.21) Affinché π sia massimo, deve essere (pq) dCT (q) dπ = − =0 dq dq dq (3.22) d2 π <0 dq 2 (3.23) e Dalla (3.22), tenendo conto della definizione di ricavo marginale in concorrenza perfetta, si ottiene p = CM (3.24) Dalla (3.23) e (3.24), si ottiene CM > 0 (3.25) In concorrenza perfetta, l’impresa massimizza il suo profitto nel punto in cui il costo marginale uguaglia il prezzo ed è crescente. OC è il prezzo; OA è la quantità che massimizza il profitto. L’area del rettangolo OABC è il ricavo totale; l’area del rettangolo OAED è il costo totale e l’area del rettangolo DEBC è il profitto (Figura 3.4). 3.9 Equilibrio dell’impresa in monopolio Anche in monopolio l’equilibrio dell’impresa si realizza quando è massimizzato il profitto. La differenza sostanziale rispetto alla concorrenza perfetta è che in monopolio, il prezzo non è un dato per l’impresa ma è funzione 25 CM B C D CAT E O A Figura 3.4: Equilibrio dell’impresa decrescente della quantità prodotta. Di conseguenza, il ricavo marginale è anch’esso funzione decrescente del prezzo. RM = dp d(pq) = q+p dq dq (3.26) Affinché il profitto, π, sia massimo deve essere dπ = RM − CM = 0 dq ovvero RM = CM e (3.27) d (RM − CM ) < 0 dq ovvero dRM dCM < (3.28) dq dq In equilibrio, il costo marginale deve uguagliare il ricavo marginale. L’equilibrio dell’impresa in monopolio è rappresentato in figura 3.5. La linea BC è la funzione di domanda, la linea BA è il ricavo marginale. L’impresa massimizza il profitto producendo la quantità OQ (costo marginale uguale a ricavo marginale). Tale quantità è venduta al prezzo OP . Il ricavo totale è indicato dall’area OQF P , il costo totale dall’area ODEQ e il profitto totale dall’area DEF P .4 4 Si noti che la seconda condizione di massimo è certamente soddisfatta, essendo positiva la derivata prima del costo marginale e negativa quella del ricavo marginale. 26 B CM F P CAT E D O Q A C Figura 3.5: Massimizzazione del profitto in monopolio 3.9.1 Confronto fra prezzo in monopolio e in concorrenza In equilibrio in monopolio abbiamo5 p = −q dp + CM dq Invece in equilibrio in concorrenza è, p = CM Pertanto il prezzo di monopolio eccede quello di concorrenza: dp dq (3.29) p − CM q dp =− p p dq (3.30) p − CM = −q Dividendo tutto per p, si ottiene Il membro di destra non è altro che l’inverso dell’elasticità della domanda di q rispetto al prezzo (in valore assoluto). Cioè p − CM 1 = p |ε| 5 (3.31) Si noti che −q dp dq > 0 poich ’ e la derivata della quantità rispetto al prezzo è negativa. 27 Si vede immediatamente che p − CM =0 ε→∞ p (3.32) lim Quando l’elasticità della domanda è infinita, siamo in concorrenza perfetta e quindi non c’è alcun eccesso del prezzo rispetto al costo marginale. D’altro canto, tanto più piccola è l’elasticità della domanda, tanto maggiore è l’eccesso del prezzo di monopolio rispetto al costo marginale. 3.10 Una semplificazione sui costi (di breve periodo) Si può fare l’ipotesi che il costo marginale sia costante, CM = CM . Ciò equivale ad ipotizzare che la produttività marginale dei fattori variabili sia costante. Se il costo marginale è costante, lo è anche il costo variabile medio che, anzi, risulta coincidente con il costo marginale: CAV = CM . In questo caso, il costo totale è CT = CF + CV CV = CAV q = CM q (CF è il costo fisso e CV il costo variabile totale). In altre parole il costo totale cresce linearmente in q. CT CV q Figura 3.6: Costo totale e costo variabile quando il costo marginale è costante 28 CTM V Figura 3.7: Il costo medio totale Il costo medio totale, CAT = CqF + CAV , è continuamente decrescente in q e tende asintoticamente a CAV (Figura 3.7). Spesso si fa l’ipotesi che il costo marginale sia costante e che l’impresa, in concorrenza non perfetta, applichi un mark-up sul costo medio: CF + CAV p = (1 + µ) q Per semplicità, spesso, CF q viene incluso nel mark-up, ottenendo p = (1 + µ)CAV (3.33) Consideriamo in maggior dettaglio CAV . Il costo variabile totale è la somma del costo sostenuto per pagare i lavoratori (wl) e il costo delle materie prime. Se queste ultime per semplicità non vengono considerate, si avrà CV = wl Il costo variabile medio pertanto è CV l =w q q (3.34) l q è l’inverso della produttività media del lavoro.6 Indicando la produttività con λ, w p = (1 + µ) (3.35) λ 6 Cioè la quantità prodotta da un’unità di lavoro. Si noti che la produttività media qui coincide con quella marginale, ipotizzata costante. 29 Il rapporto wλ è il costo del lavoro. Se si suppone che le imprese adottino la strategia di mantenere il markup costante quando variano i costi, quando w aumenta e λ rimane costante, il prezzo aumenta nella stessa proporzione del salario. In altre parole, un aumento del costo del lavoro genera un proporzionale aumento del prezzo. Dalla (3.35) si ha λp = (1 + µ)w Ricordando che λ = ql , qp = (1 + µ)w (3.36) l qp è la produzione pro-capite espressa in valore.7 Il membro di destra dell la (3.36) ci dice come questa produzione è distribuita fra lavoratori (w) e impresa (µw). Si supponga che la produttività non vari e che l’impresa non muti il prezzo, in questo caso un aumento del salario deve necessariamente implicare una riduzione della quota del prodotto che va all’impresa. In altre parole, si deve ridurre il mark-up. Se l’impresa non è disposta a ridurre il mark-up, si avrà necessariamente un aumento del prezzo.8 7 Si può dire che è il valore della produttività. Mantenendo l’ipotesi che l’impresa intende mantenere costante il mark-up, quando il salario varia e varia anche la produttività sono possibili tutti i risultati per quanto riguarda il prezzo: il prezzo resta invariato poiché la produttività cresce tanto quanto il salario; il prezzo diminuisce poiché la produttività cresce più del salario; il prezzo aumenta poiché la produttività cresce meno del salario. Si può esprimere tutto ciò in termini di tassi di variazione. Si prenda la (3.35) in forma logaritmica e si derivi rispetto al tempo (t) per ottenere i tassi di variazione di p, w e λ. 8 1 dw 1 dλ 1 dp = − p dt w dt π dt 30