L’insulino-resistenza
Struttura dell’insulina
L’insulina è un ormone di natura proteica, viene prodotta dalle cellule β del pancreas, ed è formata da 2
catene polipeptidiche A e B, composte rispettivamente da 21 e 30 residui di amminoacidi. L’aa N-terminale
della catena A è la glicina, quello C-terminale l’asparagina; l’aa N-terminale della catena B è la fenilanina,
quello C-terminale l’alanina. Le 2 catene sono tenute insieme da 2 ponti disolfuro fra i residui di cisteina 7 e
7 e 20 e 19 rispettivamente (legami intercatena). La catena A è tenuta ripiegata da un legame disolfuro
intracatena fra i residui di cisteina 6 e 11.
Biosintesi e catabolismo
L’insulina, il cui gene nell’uomo è localizzato nel braccio corto del cromosoma 11, viene sintetizzata in
forma di precursore inattivo, la proinsulina (costituita da un’unica catena polipeptidica formata, a seconda
della specie animale, da 78 a 86 residui (in tutte le specie animali le catene polipeptidi contengono 51 aa,
quindi la diversità da specie a specie è data dalla lunghezza del peptide C della proinsulina). I 2 segmenti N
e C terminali andranno a costituire rispettivamente le catene A e B dell’insulina (P.M. tot 5734) mentre il
segmento intermedio (peptide C, o peptide di connessione) viene distaccato al momento della conversione
proinsulina ----> insulina.
In realtà la catena della proinsulina viene sintetizzata in forma di una proteina più complessa, la preproinsulina. È nell’ambito della pre-proinsulina che si formano i ponti disolfuro che caratterizzano la
molecola dell’insulina.
Nell’uomo la vita media dell’insulina circolante è di 7-15 min. responsabili della sua inattivazione sono gli
enzimi proteolitici contenuti nei lisosomi dei tessuti che la utilizzano.
Regolazione della secrezione dell’insulina
La quantità di insulina secreta giornalmente è di circa 1 unità/Kg di peso. Nel diabete insulino privo la
quantità di insulina richiesta è di circa 70 unità e se si considera che nei soggetti adulti la quantità
immagazzinata nel pancreas, sia in forma di insulina che di proinsulina è pari a 350-400 unità, si capisce
chiaramente che i fattori di regolazione della secrezione insulinica agiscono principalmente sul rilascio del
deposito e non sulla sintesi di nuovo ormoni.
I due principali fattori di regolazione della secrezione di insulina sono la glicemia e il glucagone. L’aumento
della glicemia stimola la secrezione di insulina, una sua diminuzione la inibisce. È per questo che la
variazione della concentrazione di insulina nel sangue è parallela a quella della glicemia. Per esempio
l’insulinemia di un soggetto normale a digiuno (10-20 μU/ml) si innalza rapidamente (fino a 100-140) in
seguito alla somministrazione di glucidi, per ritornare ai valori di partenza dopo circa 2 ore.
Il meccanismo di stimolazione da parte del glucagone è sicuramente secondario alla sua azione sulla
formazione del cAMP, ma il modo in cui l’aumentata concentrazione di cAMP si traduce in un’aumentata
secrezione di insulina è ancora poco chiaro. Pertanto Ca2+ (che si ipotizza aumenti nell’ambiente β
intracellulare in seguito alla stimolazione indotta dal legame del glucosio con il suo recettore,
rappresentando così il segnale vero alla secrezione dell’ormone) e cAMP segnalano alle cellule β l’azione
del glucosio e del glucagone rispettivamente; in entrambi i casi ne consegue stimolazione della secrezione
insulinica.
I recettori dell’insulina
I numerosi processi cellulari regolati dall’insulina dipendono dal legame dell’ormone con i suoi recettori
presenti sulle membrane cellulari degli organi bersaglio (fegato, cellule muscolari e tessuto adiposo). Questi
recettori sono di natura glicoproteica e saldamente ancora alla membrana plasmatica. Sono recettori ad
unica porzione α-elicizzata intramembrana in forma di dimeri tenuti legati da un ponte disolfuro. Altri
recettori sono all’interno della cellula (o perché dislocativi dalla membrana o perché, di recente sintetizzati,
non ancora inseriti nel contesto della membrana). Il numero di recettori di superficie può diminuire o per
diminuita sintesi o per aumentata demolizione, o ancora per internalizzazione. Questa possibilità di
variazione del numero dei recettori di membrana con i quali interagisce l’insulina, costituisce il fattore di
controllo più importante della sensibilità delle cellule all’insulina. L’insulino-resistenza è infatti spesso
determinata da una diminuzione del numero di recettori di membrana. Anche uno stato di iperinsulinemia
può indurre una riduzione del numero di recettori di membrana senza tuttavia alterare il numero totale dei
recettori cellulari. Si tratta del fenomeno della down regulation.
Un epatocita contiene circa 17.000 recettori ed un adipocita 10000. È tuttavia sufficiente che l’insulina si
leghi ad un decimo di questi recettori per evocare, nell’adipocita una sensibile risposta metabolica.
L’elevata affinità dell’insulina per i suoi recettori (10-10M) è necessaria per la cattura delle poche molecole
di insulina circolanti nel sangue: la concentrazione dell’insulina nel sangue è infatti dello stesso ordine (1010
M). La cinetica dell’associazione dell’insulina con i suoi recettori indica una cooperatività negativa, nel
senso che la capacità dei recettori liberi di legare l’insulina è tanto minore quanto più recettori si sono già
legati all’ormone.
Azione dell’insulina
L’azione dell’insulina, non appena l’ormone si è legato ai suoi recettori di membrana, si esplica sia
modificando i processi di permeabilità di membrana (attivazione del trasporto del glucosio, degli aa e di
alcuni ioni come il K), sia modificando l’attività di alcuni enzimi intracellulari (attivazione Glicogeno
sintetasi, Acetil-CoA carbossilasi e piruvato deidrogenasi ed inibizione della fosforilasi e della lipasi
adipolitica), sia promuovendo la sintesi di alcune proteine, quali la glucochinasi. Parte di queste azioni
derivano dall’attività tirosino-chinasica propria del recettore attivato e del conseguente innesco della
cascata di attivazione di proteine chinasi, operanti a livello sia di alcuni enzimi propri del metabolismo sia di
fattori connessi con i processi di trascrizione genica o di trasduzione dell’mRNA in nuove proteine. Alcune
azioni, particolarmente quelle “metaboliche” sono invece conseguenti all’attivazione delle proteine
fosfatasi, e suggerirebbero il coinvolgimento di uno specifico messaggero secondario. Secondo una recente
ipotesi il recettore insulinico ad attività tirosino-chinasica attiverebbe per fosforilazione una fosfolipasi C la
quale libererebbe nel citosol molecole di glicano-fosfoinositide con funzione di 2° messaggero. Anche
l’attivazione delle fosfatasi potrebbe consistere in una fosforilazione. La funzione principale dell’insulina è
quella di stimolare la fase sintetica del metabolismo, promuovendo l’assunzione di glucosio e di aa da parte
delle cellule di numerosi tessuti e stimolando la sintesi di glicogeno, degli acidi grassi (FA) e dei trigliceridi
(TG) e delle proteine. Di conseguenza il livello ematico dell’insulina è strettamente controllato in funzione
dello stato metabolico dell’organismo.
Azione sul metabolismo dei carboidrati. L’insulina stimola l’utilizzazione del glucosio in tutti i tessuti, con
l’eccezione forse del cervello, ma con meccanismi diversi. Nel tessuto muscolare e adiposo la maggior
utilizzazione del glucosio è principalmente dovuta all’attivazione della diffusione facilitata attraverso la
membrana cellulare. Le membrane cellulari di altri tessuti, in particolare del fegato e del cervello, sono
invece permeabili al glucosio che può diffondere nelle cellule per libera diffusione, indipendentemente
dall’azione dell’insulina. Nel fegato l’azione di stimolo dell’insulina sull’utilizzazione dei carboidrati (che, nel
periodo post-prandiale, penetrano facilmente negli epatociti, in virtù di un gradiente di glucosio circolo
portale/cellule epatiche molto favorevole) consegue innanzitutto ad una sintesi della glucochinasi.
L’aumentato ingresso di glucosio nelle cellule per stimolo del suo trasporto facilitato attraverso la
membrana, o l’incremento della sua “cattura” nelle cellule attraverso la fosforilazione indotta dalla
glucochinasi, comporta un aumento della glicolisi e, soprattutto nel fegato, una più intensa sintesi di
glicogeno. L’aumento della glicogenosintesi e la simultanea riduzione della glicogenolisi sono indotti da
un’attivazione della glicogeno sintetasi e da inibizione della glicogeno fosforilasi da parte dell’insulina,
verosimilmente per il tramite di attivazione di proteine-fosfatasi che attivano gli ormoni di sintesi, attivi allo
stato defosforilato, per azione dell’insulina. È anche possibile che l’insulina attenui l’azione del cAMP,
stimolando l’azione del suo antagonista, il cGMP. È stimolando analogamente la defosforilazione degli
enzimi che l’insulina incrementa l’attività della fosfofruttochinasi II (per ridotta formazione di fruttosio-2,6
difosfato) e della piruvato deidrogenasi, promuovendo la formazione e l’uso di acetil-CoA di origine
glucidica nel ciclo di Krebs.
In aggiunta agli effetti descritti, l’insulina inibisce la gluconeogenesi, inibendo la biosintesi di alcuni enzimi
che partecipano al processo: in particolare la fosfoenolpiruvato carbossichinasi e la G6P-fosfatasi.
Stimolando l’utilizzazione del glucosio ed inibendo la formazione di metaboliti non glucidici, l’insulina
previene un aumento della concentrazione di glucosio nel sangue, ovvero l’iperglicemia. In un individuo
normale il glucosio ematico viene completamente ricambiato in 5 minuti per estrazione dal sangue da parte
dei tessuti che lo consumano ed immissione nel sangue da parte di fegato ed intestino. Questi due processi
opposti sono normalmente mantenuti all’equilibrio, sicché la glicemia è compresa tra i 65 e i 100 mg per
100 ml. La somministrazione di insulina altera questo equilibrio facilitando l’uscita di glucosio del glucosio
dal sangue (che andrà nelle cellule dei tessuti), inducendo ipoglicemia. Se l’ipoglicemia è talmente rapida
ed intensa le funzioni del cervello, che ricava energia primariamente, se non esclusivamente, dal glucosio,
vengono compromesse a volte drammaticamente con esito di uno stato di shock o coma. Un regolare, ma
bilanciato, livello di insulina è dunque necessario per un normale funzionamento dell’organismo. Tenendo
presente che la secrezione di insulina dal pancreas è stimolata, secondo una correlazione positiva, dal
livello di glucosio nel sangue e che l’azione dell’insulina produce una maggior utilizzazione del glucosio, si
può concludere che l’insulina segnala un’abbondanza di glucosio. Per contro i due ormoni antagonisti,
glucagone ed adrenalina, segnalano una scarsità di glucosio.
Azione sul metabolismo lipidico. L’insulina stimola la sintesi degli FA (lipogenesi) e la loro esterificazione in
trigliceridi. Entrambe queste azioni, particolarmente evidenti a livello del tessuto adiposo, sono
conseguenza dell’aumentata utilizzazione del glucosio. Tutti sanno che un eccesso di carboidrati,
soprattutto semplici si trasformano in grassi! È l’aumentata trasformazione del glucosio in piruvato e quindi
in acetil-CoA e ossalacetato a spiegare l’aumento della lipogenesi. Infatti la forte produzione di citrato ne
consente l’esportazione dal mitocondrio al citosol, senza danno al buon funzionamento del ciclo di Krebs, e
la concomitante stimolazione da parte dell’insulina della citrato liasi e della ACC (enzimi citosolubili), facilita
la formazione, sempre nel citosol, di acetil-CoA e malonil-CoA, i precursori della biosintesi ex novo degli FA.
Anche la formazione degli enzimi di sintesi degli FA è stimolata dall’insulina, analogamente a come lo era
per quelli del glucosio. Va notato che la formazione nel citosol di malonil-CoA, instaura, da parte di questo
metabolita, l’inibizione del sistema dipendente dalla carnitina, ovvero quello del trasporto degli acili nei
mitocondri, con conseguento arresto del flusso metabolico della β-ossidazione. Pertanto, sotto l’azione
dell’insulina, l’approvvigionamento di acetil-CoA per il funzionamento del ciclo di Krebs avviene a carico del
glucosio. L’aumento del glicerolo-3-fosfato, altro intermedio della glicolisi, spiega a sua volta l’aumentata
esterificazione degli FA in trigliceridi, particolarmente del tessuto adiposo. All’aumento dei TG concorre
anche la potente azione inibitrice dell’insulina sugli enzimi di degradazione, in questo caso sulla lipasi del
tessuto adiposo, probabilmente riferibile ad una diminuzione di cAMP per stimolazione della
fosfodiesterasi. A ciò si aggiunge l’azione attivatoria esercitata dall’ormone sulla lipoproteina-lipasi con
distacco degli FA dai chilomicroni (quindi FA di origine alimentare) che il tessuto adiposo assume ed
incorpora nei TG. L’effetto antilipolitico dell’insulina si realizza a concentrazioni di insulina molto più basse
di quelle richieste per gli altri effetti metabolici indotti dall’ormone. Conseguenza dell’azione antilipolitica
dell’insulina è la marcata diminuzione dei NEFA ematici (diminuiscono gli FA non esterificati circolanti
poiché l’insulina inibisce la lipolisi). La rallentata corrente di FA dal tessuto adiposo al fegato spiega anche
l’azione antichetosica dell’insulina: infatti la carenza di FA, con abbondanza di glucosio, porta a forte
riduzione dei corpi chetonici da parte del fegato, semplicemente perché c’è una minor ossidazione di FA.
Azione sulla sintesi proteica. La somministrazione dell’insulina stimola in quasi tutti i tessuti
l’incorporazione degli aa nelle proteine. L’aumentata sintesi proteica è espressione sia di un attivato
trasporto degli aa attraverso le membrane cellulari, sia di una aumentata capacità dei ribosomi di
sintetizzare le catene polipeptidiche. È per questa stimolazione della sintesi proteica, oltre che per l’azione
antigluconeogenica, glicogenosintetica e lipogenica che l’insulina viene considerata l’ormone anabolico per
eccellenza. Nella tabella sotto vengono riassunti i principali effetti metabolici indotti dall’azione
dell’insulina.
In sintesi, l’insulina tramite la sua azione:
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Facilita il passaggio del glucosio dal sangue alle cellule ed ha pertanto azione ipoglicemizzante
(abbassa la glicemia). Favorisce l'accumulo di glucosio sotto forma di glicogeno (glicogenosintesi) a
livello epatico ed inibisce la degradazione di glicogeno a glucosio (glicogenolisi)
Stimola l'utilizzazione del glucosio per la produzione di energia
Facilita il passaggio di FA dal sangue alle cellule, stimola la sintesi di FA a partire da glucosio e aa in
eccesso ed inibisce la lipolisi (utilizzazione degli FA a scopo energetico)
Stimola la produzione endogena di colesterolo
Facilita il passaggio degli aa dal sangue alle cellule, ha funzione anabolizzante perché stimola la
sintesi proteica e inibisce la gluconeogenesi (formazione di glucosio a partire da alcuni aa)
Stimola la proliferazione cellulare
Diabete mellito
Il diabete è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue
(iperglicemia) e dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina.
Una deficienza di insulina, o un difetto della sua azione, produce il diabete pancreatico o mellito, che si
estrinseca con alterazioni metabolica dovute fondamentalmente ad una diminuita capacità dei vari tessuti
ad utilizzare il glucosio. Ne deriva un’iperglicemia. Quando la glicemia supera il valore soglia di 160-180 mg
su 100 ml il glucosio viene eliminato dai reni e compare nelle urine: glicosuria. A determinare l’iperglicemia
concorre anche l’accentuata gluconeogenesi a spese di aa che vengono distolti dalla loro funzione primaria,
ovvero la sintesi proteica. La diminuita utilizzazione del glucosio obbliga i tessuti a ricavare energia dai lipidi
e dagli aa. La conseguente accentuata mobilizzazione di FA dal tessuto adiposo, induce aumento dei NEFA
nel sangue. La captazione da parte del fegato di una maggiore quantità di FA e glicerolo liberati dal tessuto
adiposo produce steatosi epatica ed aumento delle VLDL nel sangue. Inoltre vengono prodotti corpi
chetonici (dall’eccessivo catabolismo epatico degli FA) che nel lungo periodo non riescono a venire
controbilanciati da una adeguata utilizzazione ossidativa nei tessuti extraepatici: si ha quindi un loro
accumulo nel sangue (chetonemia) ed eliminazione con le urine (chetonuria). Inoltre un eccesso di corpi
chetonici è dannoso, in quanto può alterare l’equilibrio “acido-base” e “idro-elettrolitico” del plasma e
dell’organismo con instaurarsi di acidosi; questa condizione, nota come chetosi o acidosi diabetica, può
portare al coma.
L’insulino-deficienza produce diabete di tipo I, o insulino-dipendente, al quale si ascrive circa il 10% dei
diabetici. L’insulino-resistenza produce il diabete di tipo II, o insulino-indipendente, molto più diffuso (90%
dei diabetici). I diabetici di tipo II sono generalmente obesi, hanno elevati tassi ematici di insulina e
recettori insulinici superficiali scarsi per “down regulation”. Se nel caso di diabete di tipo I si somministra
insulina porcina che comunque provoca una scarsa reazione immunitaria e che differisce da quella umana
da un aa di alanina al posto di quello della treonina nell’aa C-terminale della catena B, si può comunque
portare, col tempo, allo sviluppo di anticorpi anti-insulina.
Insulino-resistenza
Per insulino-resistenza (IR) si intende ogni condizione nella quale una determinata quantità di insulina
evoca una risposta biologica anormale. L’IR consegue all’uno o all’altro dei meccanismi eziologici sotto
elencati:
1. Anomalie del prodotto di secrezione delle cellule β
- Anomala molecola dell’insulina
- Conversione incompleta della proinsulina in insulina
2. Antagonisti dell’insulina in circolo
- Elevata concentrazione ematico degli ormoni antagonisti
- Anticorpi “anti-insulina”
- Anticorpi “anti-recettori” dell’insulina
3. Anomalie dei tessuti bersaglio
- Diminuito numero dei recettori insulinici
- Difetto post recettoriale
Anomala composizione dell’insulina. La sostituzione di un aa con un altro per mutazione genica può
diminuire o annullare l’attività dell’insulina, quando l’aa sostituito occupa una posizione critica per l’azione
dell’ormone. Per esempio, in un paziente diabetico che presentava elevata glicemia ed insulinemia si è
potuto accertare che la sua insulina era anomala per sostituzione del residuo di fenilanina nella posizione
24 della catena β con quello di leucina. Ovviamente questo paziente rispondeva molto bene con la
somministrazione di insulina esogena.
Incompleta conversione della proinsulina in insulina. Questo difetto, ancora riferibile ad anomalia del gene
della pre-proinsulina, consiste nella sostituzione di un residui di un aa con un altro nella zona di distacco del
peptide di connessione con l’insulina. Questa sostituzione previene l’attacco proteolitico della proteasi
responsabile della conversione proinsulina ----> insulina.
Elevata concentrazione in circolo degli antagonisti insulinici. Può trattarsi di antagonisti ormonali (ad es,
cortisolo, GH, glucagone e catecolamine) o di anticorpi anti insulinici, che vengono prodotti nei pazienti
trattati cronicamente con insulina esogena. Più che produrre una vera è propria insulino-resistenza, questi
anticorpi, legando e non rilasciando l’insulina presente nel plasma, modificano il decorso dell’azione
dell’insulina esogena. Altra possibilità è costituita dalla formazione di autoanticorpi anti-recettori
dell’insulina che, legandosi agli stessi recettori, ne prevengono il legame con l’insulina.
Deficienza dei recettori insulinici. Un diminuito numero di recettori di membrana dell’insulina è alla base di
alcune situazioni fisiopatologiche, le più comuni delle quali sono l’obesità ed il diabete insulino
indipendente (II). Poiché le cellule sono dotate di molti più recettori (il 90% dei recettori sono recettori di
riserva solo potenzialmente funzionanti) di quanti si leghino effettivamente all’insulina, la diminuzione del
loro numero totale comporta una minore probabilità di legame con l’insulina particolarmente quando
questa è presente in piccole quantità. Ciò implica uno spostamento a destra della curva che esprime l’entità
della risposta a dosi crescenti di insulina; solo a concentrazioni elevate di insulina la risposta è massimale.
La diminuzione del numero dei recettori dell’insulina implica quindi una diminuita sensibilità all’insulina.
Difetti post-recettoriali. In ultimo ci sono i difetti post-recettoriali i quali consistono in una anomalo
“accoppiamento” del complesso “insulina-recettore” e trasporto del glucosio ed altri eventi metabolici
indotti dall’insulina. Questi difetti si rivelano con una diminuzione dell’azione insulinica ad ogni
concentrazione: diminuita capacità di risposta all’insulina.
L’insulino-resistenza del muscolo scheletrico
L’insulino-resistenza è una riduzione della capacità dell'organismo di eliminare un carico di glucosio dal
circolo in risposta all'azione esercitata dall’insulina. L'insulina, stimolando il trasporto di glucosio dal sangue
ai tessuti, come il muscolo scheletrico, regola la concentrazione di glucosio nel sangue. L'insulina, un
ormone chiave nella regolazione del metabolismo, stimola energicamente il trasporto di glucosio dal
sangue ai tessuti, come il muscolo scheletrico, che esprimono il GLUT4, il trasportatore del glucosio
regolato dall'ormone. A causa della elevata reattività del muscolo scheletrico all'insulina e la grande massa
complessiva muscolare, la maggior parte del glucosio che viene eliminato dal sangue in risposta all'insulina
negli esseri umani è immagazzinato come glicogeno nel muscolo scheletrico. Quando il trasporto di glucosio
stimolato dall'insulina nel muscolo scheletrico diminuisce, come avviene nelle persone con diabete, il
risultato è l'incapacità di mantenere la glicemia entro valori normali. Così, il muscolo scheletrico gioca un
ruolo primario nel mantenimento di normali concentrazioni di glucosio nel sangue.
Trasporto di glucosio mediato dall’insulina
Il glucosio non ha la capacità di entrare nelle cellule liberamente, infatti il suo passaggio è legato alla
presenza di una proteina trasportatrice per il trasporto facilitato. I due più importanti trasportatori per il
glucosio a livello delle cellule muscolari sono il GLUT1 e il GLUT4. Il GLUT1 è sempre presente sulla
membrana plasmatica, mentre il GLUT 4, nello stato basale, è presente in un deposito intracellulare ed è
richiamato sulla faccia esterna della membrana plasmatica in concomitanza con 3 eventi biochimici:
1. la presenza dell’insulina;
2. la contrazione muscolare;
3. l’ipossia tissutale.
Trasduzione del segnale insulinico. Perché il GLUT4 traslochi sulla membrana plasmatica quindi è
necessario che l’insulina si leghi al suo recettore. L’insulina legata al recettore innesca una cascata di eventi
che porta alla fine alla traslocazione del trasportatore. I recettori per l’insulina sono composti da 2 subunità
α e 2 β. L’insulina si lega al suo recettore IRS (Insulin receptor substrate) sulla subunità α extracellulare ed
inizia una auto-fosforilazione del dominio di tirosina (Tyr) nelle subunità β intra-cellulari. Il substrato IRS-1
viene fosforilato a livello dei suoi residui di Tyr. Questa subsequenza conduce di conseguenza all’attivazione
del fosfatidilinositolo 3 chinasi (PI3K). Il PI3K è un enzima chiave nel segnale dell’insulina e nel meccanismo
di trasporto del glucosio, bisogna che le subunità catalitiche vengano fosforilate, attivandolo. Il PI3K una
volta attivato, converte il fosfolipide di membrana PIP2 in PIP3. Il PIP3 attiva indirettamente un’altra
chinasi, la PKB. Quando si lega al PIP3, PKB viene fosforilata e attivata. Gli effetti noti dell’attivazione della
PKB sono:
a) traslocazione del GLUT4 sulle membrane favorendo così l’assunzione del glucosio (nel tessuto
adiposo e muscolo);
b) attivazione della GS, mediante fosforilazione e quindi inibizione della GSK3.
Per completare il collegamento tra questa via e l’assunzione di glucosio, c’è bisogno di un altro segnale. Un
nuovo substrato trovato per questa PKB, è l’AS 160, il quale risulta essere molto importante per questa
ulteriore tappa. Comunque la comprensione della cascata degli eventi molecolari insulina-dipendente non
sono ancora completamente chiariti. Può risultare ovvio che un’alterazione della cascata di eventi indotta
dall’azione dell’insulina può portate ad un’insensibilità dei tessuti all’ormone stesso e quindi alla necessità
di maggiori quantità di insulina per ottenere una risposta biologica adeguata (condizione di insulinoresistenza).
Meccanismi molecolari alla base dell’insulino-resistenza
Un eccesso di FA circolanti è stato associato in modo consistente a una riduzione dell’azione insulinica e
all’insorgenza di IR. Un aumento cronico del grasso corporeo quale riscontrabile nell’obesità e pressoché
costantemente nel diabete mellito di tipo II (DM2) si associa a un eccesso di FA circolanti legato soprattutto
a un aumentato rilascio da parte dell’aumentata massa adiposa. Da uno studio, è emerso che l’infusione
endovenosa di FA riduce inoltre l’uptake di glucosio tissutale e in particolare quello muscolare sia in
condizioni basali che durante infusione concomitante di insulina anche in soggetti sani o in modelli animali
fisiologici. La capacità di interferire con l‘azione insulinica muscolare anche in soggetti normalmente
insulino-sensibili suggerisce che gli FA giochino un ruolo precoce nella patogenesi della riduzione della
azione insulinica associata a sovrappeso e obesità.
La conoscenza dei meccanismi attraverso i quali gli FA inducono insulino-resistenza potrebbe pertanto
risultare determinante nella comprensione della sua origine e storia naturale. Ma nonostante i meccanismi
attraverso i quali un eccesso lipidico determina insulino-resistenza siano oggetto di intensissimo studio in
quanto chiave fondamentale nella comprensione di tale alterazione metabolica, essi sono in parte ancora
da chiarire. In particolare i meccanismi potenziali degli effetti degli FA sull’azione insulinica rimangono in
larga parte da definire. Si ipotizza che ci possa essere una alterazione della cascata di eventi del segnale
insulinico così da ridurre i livelli di attivazione di alcune proteine chiave, come ad es. PI3K 1 oppure una
competizione tra i substrati lipidici e glucidici per l’utilizzazione ossidativa. 2-4 Inoltre gli FA potrebbero
contribuire a ridurre l’azione insulinica muscolare in modo indiretto attraverso un aumento dello stress
ossidativo sistemico. 5
Metabolismo dei FA ed insulino-resistenza
Sono molti gli studi che hanno esaminato la relazione tra IR ad alterazioni nel metabolismo dei lipidi nei
muscoli scheletrici. In uno studio è stato osservato che i livelli di ceramidi intramuscolari erano più elevati
in soggetti obesi e diabetici rispetto al gruppo di controllo sano. I dati di altri studi hanno dimostrato che il
contenuto di lipidi intramuscolari e la sensibilità all’insulina sono negativamente correlati. 6-10 Quindi
l’accumulo di acil-CoA a lunga catena (LC-CoA), diacilgliceroli (DAG) e ceramidi si è dimostrato avere un
effetto negativo sul segnale dell’insulina nei muscoli scheletrici (Fig. 1). In ultima analisi, queste alterazioni
nella segnalazione cellulare sono state collegate ad una riduzione del metabolismo e dell’uptake del
glucosio stimolato dall’insulina, cioè ad IR. 11
Fig. 1. Relazione tra azione insulinica sistemica e contenuto muscolare umano di LC-CoA. GIR, % di infusione di glucosio; FFM,
massa grassa libera. Correlazione significativa (P = 0.01) tra azione dell’insulina e contenuti di LC-CoA, con un coefficiente di
correlazione r2 = 0.34. (Img da: Ellis BA et al. Longchain acyl-CoA esters as indicators of lipid metabolism and insulin sensitivity in rat
and human muscle. Am J Physiol Endocrinol Metab. 2000;279:E554–E560).
Pertanto, se la catena di eventi iniziata da un accumulo di intermedi lipidici è responsabile dell'insorgenza
di IR nel muscolo, è necessario che tali meccanismi cellulari che portano a queste alterazioni nell'accumulo
di lipidi intracellulari vengano ben compresi. Recenti studi hanno dimostrato che l'accumulo di LC-CoA,
DAG, ceramidi, o qualsiasi combinazione di questi prodotti lipidici, influenza negativamente l'attivazione
della cascata indotta dal segnale dell'insulina. 12, 13 Quindi, in definitiva la domanda importante che
dobbiamo porci è: “Quali sono i meccanismi cellulari che portano all'accumulo iniziale di intermedi lipidici
intracellulari?” Questi meccanismi non sono stati completamente chiariti, ma i dati hanno dimostrato che
l'accumulo di lipidi può essere prevalentemente attribuibile ad una minore ossidazione di FA, ad un
maggior uptake degli stessi, o ad entrambe le condizioni presenti nell'insulino-resistenza del muscolo
scheletrico. Se questa ipotesi fosse corretta, quindi, un mismatch tra alti livelli di uptake degli FA e bassi
livelli di ossidazione degli stessi potrebbe facilmente tradursi in un accumulo di intermedi lipidici
intramuscolari.
1. Aumento dell’uptake degli FA nelle cellule muscolari
Un elevato uptake di FA da parte delle cellule muscolari può rappresentare un importante meccanismo
cellulare che porta ad un accumulo di lipidi intracellulari. Nell'insulino-resistenza muscolo scheletrica degli
animali con obesità, DM2, o entrambe le patologie, i livelli di uptake degli FA nelle fibre muscolari
ossidative o miste sono notevolmente aumentati. 14-17 Infatti uno studio ha dimostrato che il trasporto del
palmitato nelle cellule muscolari è maggiore nei soggetti obesi e DM2 rispetto a soggetti magri e in
sovrappeso. Tuttavia, i dati non forniscono alcuna correlazione riguardo alla comprensione dei meccanismi
cellulari che possono essere responsabili dei più elevati livelli di uptake di FA nell'insulino-resistenza
muscolare. È risaputo che l'uptake degli FA è determinato, almeno in parte, dalle loro concentrazioni
plasmatiche. Quando le condizioni sperimentali sono mantenute costanti, le alte concentrazioni di FA sono
associate a più alti livelli di uptake degli FA, sia a riposo sia durante contrazione muscolare. 18 Ovviamente il
fatto che la concentrazione plasmatica di FA, e quindi la loro disponibilità, tende ad essere più elevata nei
soggetti obesi e/o con insulino-resistenza e DM2, può parzialmente spiegare i livelli più elevati di uptake di
FA nell'insulino-resistenza muscolare.
Ma a cosa può essere dovuto tale aumentato uptake? Nelle cellule muscolari umane e animali, la FABPPM e
la CD36 sono tra le diverse proteine chiave che sono state identificate come proteine di trasporto degli FA.
In condizioni fisiologiche note per aumentare i livelli di uptake degli FA (come la stimolazione indotta
dall'insulina, l'esercizio fisico/contrazione muscolare, o la stimolazione indotta dalla leptina), la FABP PM e la
CD36 hanno dimostrato di effettuare una traslocazione sulla membrana plasmatica. 19-21 La sovraespressione di FABPPM e di CD36 nel muscolo scheletrico si è dimostrata capace di aumentare l'uptake degli
FA nel muscolo, mentre una mutazione nelle CD36 del muscolo scheletrico è stata associata a diminuzione
dei livelli di uptake di FA. 22-24 Questi risultati suggeriscono che i difetti relativi alla stimolazione del sistema
di uptake possono causare un aumento dei livelli di uptake degli FA e portare ad un accumulo di intermedi
lipidici. In linea con questo concetto, i dati hanno mostrato che elevati livelli di uptake di FA nei soggetti con
IR sono associati con un aumentato contenuto proteico totale di FABPPM e con un trasferimento
permanente di CD36 alla membrana plasmatica. 25
Quindi, un maggior contenuto di FABPPM o di CD36 sulla membrana plasmatica, o di entrambi i
trasportatori, può fornire un meccanismo cellulare attraverso il quale i livelli di uptake degli FA aumentano
nell'insulino-resistenza muscolare.
2. Riduzione della capacità ossidativa degli FA nelle cellule muscolari
La capacità ossidativa muscolare e, più specificamente, la capacità del muscolo di ossidare gli FA sembrano
essere buoni predittori della sensibilità all'insulina. Quindi, sulla base di questa osservazione, diversi gruppi
di ricercatori hanno cercato di dimostrato che il contenuto mitocondriale, la funzione mitocondriale, e la
capacità ossidativa sono ridotti nei soggetti obesi con IR e DM2. La ridotta capacità ossidativa osservata nei
soggetti obesi, con DM2, o che presentano entrambe le patologie, può giocare un ruolo molto importante
nella patogenesi dell’IR. 26-28
La capacità ossidativa viene comunemente valutata misurando il contenuto e l'attività dei principali enzimi
mitocondriali. Numerosi studi hanno dimostrato che le attività della CPT1 e di altri enzimi mitocondriali
chiave, come ad esempio la citrato sintetasi e la β-idrossiacil-CoA deidrogenasi, sono significativamente
ridotte nel muscolo scheletrico di soggetti con obesità, DM2, o entrambe le patologie. 29-31
Insulino-resistenza ed esercizio fisico
L'attività fisica, induce importanti effetti metabolici ed è considerata una componente fondamentale di
ogni modalità di trattamento per le persone con obesità e DM2 o più in generale per soggetti con patologie
di tipo metabolico, quindi potrebbe giocare un ruolo importante nella riduzione di un quadro di IR.
Trasporto di glucosio mediato dalla contrazione
L’insulina non è il solo mediatore coinvolto nel trasporto di glucosio. La contrazione, come già accennato,
stimola il trasporto attraverso vie differenti dal segnale indotto dall’insulina. Il GLUT 4 trasloca sulla
membrana attraverso entrambi i segnali. Il Ca2+, è un importante 2° messaggero coinvolto in molte vie di
traduzione del segnale, esso è stato riconosciuto come una importante molecola segnale per il trasporto di
glucosio in risposta alla contrazione. Quindi l’effetto ipoglicemizzante dovuto dall’esercizio fisico potrebbe
essere indotto dall’aumento delle concentrazioni di Ca2+ legate all’attività muscolare. Solo che le
concentrazioni di calcio rilasciato dal SR dopo un potenziale d’azione rimangono elevate esclusivamente
durante la fase di contrazione, a differenza del trasporto di glucosio che rimane elevato per tempi più
lunghi. Inoltre, è stata scoperta nel muscolo scheletrico una proteina chinasi, chiamata AMPK che riveste un
ruolo molto importante per il trasporto di glucosio durante la contrazione. Altre ipotesi di molecole segnale
coinvolte nel processo sono la proteina chinasi calmodulina calcio-dipendente (CaMK) e la proteina chinasi
C. Quindi oltre alla presunta aumentata sensibilità all’insulina indotta da una attività fisica regolare,
l’esercizio fisico può contribuire a migliorare l’omeostasi glucidica anche attraverso meccanismi differenti.
Esercizio fisico e insulino-resistenza
Inoltre, è stato dimostrato che un miglioramento della sensibilità all'insulina potrebbe essere misurata per
diverse ore e fino a pochi giorni dopo una singola sessione di esercizio sia in soggetti sani che in soggetti
con obesità e diabete. 32, 32 Al contrario, pochi giorni di vita sedentaria potrebbe ridurre notevolmente la
sensibilità all'insulina. 34
In conformità con questa evidenza, l'American Diabetes Association e l'American College of Sports
Medicine hanno formulato raccomandazioni per quanto riguarda l'attività fisica, che includono attività
aerobica ad intensità moderata per almeno 150 minuti a settimana o esercizio aerobico vigoroso per
almeno 90 minuti a settimana. Inoltre si raccomanda che le persone svolgano attività fisica almeno tre
giorni a settimana, con non più di due giorni consecutivi senza attività fisica. 35, 36 Pertanto, l'attività fisica,
anche se è di più breve durata, è considerata una componente fondamentale di ogni modalità di
trattamento, che deve includere anche una lieve-moderata restrizione calorica per le persone con obesità
e/o DM2. Sebbene il valore di una regolare attività fisica come modalità di trattamento sia indiscussa, i
meccanismi cellulari indotti dall'attività fisica che portano ad un miglioramento della sensibilità all'insulina
e della funzione metabolica non sono ancora stati chiaramente definiti.
In uno studio, è stato osservato che in opposizione alla relazione inversa generalmente osservata tra i livelli
intramuscolari di intermedi lipidici e la sensibilità all'insulina nei soggetti obesi e in soggetti affetti da DM2, i
soggetti sedentari magri e quelli che svolgono un'attività fisica regolare presentavano paradossalmente una
marcata sensibilità all'insulina, nonostante i livelli elevati di TG intramuscolari (Fig. 2). 36, 37
Fig. 2. Sensibilità all’insulina in soggetti magri e obesi, in soggetti obesi con DM2, e in soggetti sottoposti ad allenamento. *, P <
0.05 vs gruppo obesi e DM2; **, P < 0.05 vs solo gruppo DM2. Risultati medi ± SE. (Img. da: Goodpaster BH, He J, Watkins S, Kelley
DE. Skeletal muscle lipid content and insulin resistance: evidence for a paradox in endurance-trained athletes. J Clin Endocrinol
Metab. 2001;86:5755–5761).
Infatti è stato dimostrato che l’esercizio fisico aumenta il contenuto di TG intramuscolari a scapito di altri
intermedi lipidici più labili come ceramidi e DAG che inducono IR. Ciò suggerisce che gli elevati livelli di TG
intramuscolari possono essere un adattamento metabolico positivo indotto da una regolare attività fisica
ed è stato suggerito che livelli più elevati di TG intramuscolari possono essere utili in quanto indirizzano
verso una loro utilizzazione come fonte di combustibile ossidabile. 38 In effetti, la prova ha suggerito che
l'esercizio fisico può stimolare la sintesi di TG nel muscolo e ridurre l'accumulo di altri intermedi lipidici più
labili, come i ceramidi e i DAG. 39
Nello stesso studio è stato anche osservato che una singola sessione di esercizio fisico può effettivamente
prevenire IR indotta dai lipidi dopo aver aumentato di quattro volte la concentrazione plasmatica di FA. I
soggetti sottoposti ad allenamento, infatti, non solo mostravano un’inversione di tale danneggiamento
della sensibilità all’insulina indotta dagli FA il giorno successivo (che nei soggetti tenuti a riposo era
dell’ordine del 30%), ma anche un incremento del 25% sopra il livello basale dell’indice di sensibilità,
dimostrando che l’esercizio fisico aumenta l’ossidazione degli FA, e conduce ad una aumentata sensibilità
all’insulina (Fig. 3).
Fig. 3. Una singola sessione di esercizio previene l’IR indotta dai lipidi. L’IR fu misurata prima (giorno 1) e durante (giorno 2)
l’infusione di lipidi ed eparina. Le linee collegate dai punti indicano i livelli di Si al giorno 1 e 2 dei singoli soggetti. Valori medi ±
SEM (n = 8). * P < 0.001 vs giorno 1 nei rispettivi trial; tP < 0.001 vs giorno 2 SED. (vedere tipo di prova effettuata). (Img. da: Schenk
S, Horowitz JF. Acute exercise increases triglyceride synthesis in skeletal muscle and prevents fatty acidinduced insulin resistance. J
Clin Invest. 2007;117:1690–1698).
Dal momento che la resistenza all'insulina e l'accumulo di lipidi intramuscolari sono legati ad un mismatch
tra gli elevati livelli di uptake degli FA e concomitanti bassi livelli di ossidazione degli stessi, sulla base di
questi risultati, è stato suggerito che un aumento della capacità ossidativa indotto dall'esercizio fisico può
essere un importante meccanismo cellulare attraverso cui una attività fisica regolare possa correggere il
mismatch della cinetica degli FA e migliorare l'azione dell'insulina nel muscolo scheletrico.
Di fatti, è noto che i livelli di ossidazione degli FA possono aumentare da 3 a 10 volte in seguito ad attività
fisica e che una aumentata ossidazione è osservabile anche in soggetti obesi e diabetici. Pertanto, è
ipotizzabile che un aumento dei livelli di ossidazione degli FA nel muscolo IR, durante l'esercizio fisico, può
rappresentare un meccanismo importante per eliminare il mismatch tra l'uptake e l'ossidazione degli FA
che caratterizza l'IR muscolare, regolando i livelli di intermedi lipidi intramuscolari. Infatti, in un altro studio,
un aumento della capacità ossidativa e un miglioramento nella sensibilità all'insulina sono strettamente
correlate quando i soggetti sono sottoposti ad un rigoroso programma di allenamento. 40
Questo ultimo dato rafforza l’ipotesi che uno degli effetti a lungo termine dell'esercizio fisico potrebbe
essere dovuto proprio ad una correzione del mismatch tra uptake ed ossidazione di FA; l’aumento della
sensibilità all’insulina potrebbe anche essere dovuto ad una maggiore capacità mitocondriale e ad maggiore
attività e/o quantità di proteine chiave nel segnale dell'insulina.
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