Anatomia delle articolazioni A. Zoppini, A. Sili Scavalli Le articolazioni vengono classificate seguendo il criterio istologico o in base al grado di mobilità articolare. Quest’ultima classificazione basata sull’estensione del movimento articolare identifica tre diverse tipologie articolari: 1) le sinartrosi articolazioni fisse o rigide; 2) le anfiartrosi articolazioni semimobili nelle quali il grado di mobilità è legato allo spessore della fibrocartilagine interposta tra i due segmenti scheletrici; 3) le diartrosi articolazioni mobili. La classificazione delle articolazioni basata sull’istologia prende in considerazione il tessuto di connessione tra due segmenti scheletrici. Anche in questo caso si distinguono tre diversi tipi di articolazione: 1) l’articolazione di tipo fibroso in cui le superfici ossee contrapposte sono unite da tessuto fibroso; 2) l’articolazione di tipo cartilagineo in cui è presente tessuto cartilagineo quale elemento di connessione articolare; 3) l’articolazione di tipo sinoviale in cui le superfici articolari sono separate da una cavità articolare rivestita dalla membrana sinoviale. Le articolazioni di tipo fibroso vengono ulteriormente suddivise in tre gruppi: 1) le suture che non permettono alcun tipo di movimento e articolano le ossa del cranio dove larghe superfici ossee sono separate soltanto da tessuto connettivo; 2) le sindesmosi, in cui i due segmenti scheletrici sono uniti da un legamento interosseo, come nell’articolazione tibiofibulare distale, o da una membrana interossea, come tra il sacro e l’ileo; 3) le gonfosi, speciali articolazioni degli elementi dentari con la mascella e la mandibola. Le articolazioni cartilaginee sono invece suddivise in due gruppi: 1) le sinfisi in cui le superfici ossee adiacenti sono unite da un disco cartilagineo costituito essenzialmente da connettivo fibrocartilagineo o fibroso, come la sinfisi pubica o l’articolazione manubriosternale; 2) le sincondrosi che sono composte da cartilagine ialina e compaiono durante la fase di crescita dello scheletro, come ad esempio la lamina cartilaginea di accrescimento tra l’epifisi e la diafisi di un osso tubulare. Le articolazioni sinoviali costituiscono una tipologia specializzata di articolazione, si ritrovano principalmente nello scheletro appendicolare e consentono 15 16 Capitolo 1. FISIOPATOLOGIA DELL’APPARATO LOCOMOTORE E DEL TESSUTO CONNETTIVO movimenti molto ampi. Queste articolazioni sono formate fondamentalmente dalle seguenti strutture: la capsula articolare, l’osso subcondrale, la cartilagine articolare, la membrana sinoviale (MS), il cavo articolare e il liquido sinoviale (LS). Le superfici ossee sono legate insieme da una capsula fibrosa che può essere rinforzata da legamenti accessori. La porzione interna della superficie articolare dei segmenti scheletrici contrapposti è separata da uno spazio, la cavità articolare. La capsula articolare è costituita da connettivo fibroso, ricco di fibre collagene, che si fissa ai capi articolari avvolgendo l’articolazione. L’osso subcondrale costituisce la parte finale dei segmenti scheletrici ed è formato da due strati: il primo è composto da tessuto osseo compatto a contatto della cartilagine articolare, lo strato sottostante è invece formato da tessuto osseo spugnoso costituito da un sistema di trabecole orientate secondo le direzioni delle linee di forza. La cartilagine articolare che riveste i capi articolari è formata da cartilagine ialina, priva di vascolarizzazione e innervazione, la cui nutrizione deriva in massima parte dal LS. La cartilagine articolare è costituita da cellule, i condrociti, e da sostanza intercellulare. La sostanza intercellulare è formata da sostanza fondamentale e da fibre collagene. La sostanza fondamentale contiene acqua, elettroliti e complessi proteino–polisaccaridici (proteoglicani, acido ialuronico). Le fibre collagene invece rappresentano l’intelaiatura della cartilagine, conferendole una notevole resistenza agli stiramenti. I condrociti possiedono una notevole attività metabolica, partecipando sia alla sintesi che al catabolismo dei costituenti della sostanza fondamentale. La cartilagine articolare può essere suddivisa in 4 strati. Il primo strato, superficiale, è costituito da fibre collagene orientate parallelamente alla superficie articolare, con condrociti piccoli e appiattiti. Il secondo strato, intermedio, contiene fibre collagene orientate obliquamente, in modo disordinato, e condrociti voluminosi, dispersi all’interno della sostanza intercellulare. Nel terzo strato, profondo, le fibre collagene sono orientate perpendicolarmente alla superficie insieme ai condrociti. L’ultimo strato infine è formato da cartilagine calcificata. La cartilagine articolare consente lo scivolamento delle superfici articolari a contatto e la ripartizione del carico articolare. La superficie interna della capsula articolare è formata dalla MS, che è altamente vascolarizzata e ricopre le porzioni non articolari delle articolazioni sinoviali e qualsiasi legamento o tendine intra–articolare. La MS ricopre anche le superfici ossee intracapsulari che non sono rivestite dalla cartilagine, più spesso nella porzione periferica dell’articolazione (cosiddette aree nude). La MS mostra caratteristiche strutturali variabili nei differenti segmenti articolari. Generalmente sono presenti due strati sinoviali, uno superficiale sottile, la cosiddetta “intima”, e uno profondo vascolarizzato, il cosiddetto “strato subintimale”. In alcune 17 ANATOMIA DELLE ARTICOLAZIONI sedi non è possibile differenziare i due strati. Nella MS sono presenti principalmente due tipi di collagene. Il collagene di tipo VI è presente nella matrice extracellulare dello strato limitante della MS normale, mentre il collagene di tipo III si ritrova sia nello strato superficiale che in quello subintimale. L’intima sinoviale contiene da una a quattro linee di cellule immerse in una matrice granulare, in cui si riconoscono principalmente due diversi tipi cellulari. Le cellule di tipo A, simil–macrofagiche, che contengono un vasto apparato di Golgi e molte microvescicole, corpi residui e lisosomi. Il nucleo di queste cellule presenta una cromatina densa. Le cellule di tipo B, simil–fibroblastiche presentano un grande reticolo endoplasmatico rugoso con pochi processi cellulari e vacuoli. La cromatina nucleare è meno densa, i vacuoli citoplasmatici e le vescicole sono rare. Si ipotizza che le cellule di tipo A svolgano una funzione similmacrofagica, mentre le cellule tipo B abbiano una funzione prevalentemente di sintesi, simil–fibroblastica. Attualmente si ipotizza che ogni cellula abbia più di una funzione in risposta a stimoli diversi che portano le cellule a modulare la loro struttura interna ai cambiamenti funzionali. Nella MS si può osservare un terzo tipo cellulare, la cellula di tipo C che sembra rappresentare una cellula in stato funzionale di transizione tra un elemento di tipo A e uno di tipo B. Nelle colture cellulari la MS produce collagene (tipo I e III), collagenasi e proteinasi latenti, un attivatore delle collagenasi, un inibitore delle metalloproteinasi, acido ialuronico, proteoglicani, mentre sotto stimolo è in grado di produrre l’interleuchina–1. All’interno delle articolazioni è presente il LS, un filtrato del plasma che attraversa le fenestrazioni dell’endotelio dei capillari sottosinoviali per giungere nello spazio articolare, dove si unisce all’acido ialuronico secreto dalle cellule sinoviali. In condizioni fisiologiche il volume del LS è molto basso, con un numero di leucociti inferiore ai 200 e con una percentuale di polimorfonucleati inferiore al 25%. BIBLIOGRAFIA R ESNICK & N IWAYAMA , Diagnosis of bone and joint disorders, Philadelphia, W.B. Saunders Co., 2ª ed., 1988, Vol. I. D.L. GARDNER, Pathological basis of the connective tissue diseases, London, Edward Arnold, 1ª ed., 1992. J.H. KLIPPEL, A. DIEPPE, Rheumatology, London, Mosby Ed., 1994. K ELLEY, H ARRIS , R UDDY, S LEDGE , Textbook of rheumatology, Philadelphia, W.B. Saunders Co., 4ª ed., 1993, Vol. I. J. MCCARTY, J. KOOPMAN, Arthritis and allied conditions, Philadelphia, Lea & Febiger, 12ª ed., 1993, Vol. I. Fisiologia del tessuto connettivo A. Zoppini, A. Sili Scavalli Il tessuto connettivo fornisce il supporto strutturale al nostro organismo permettendo la interconnessione di cellule, organi e tessuti. Il tessuto connettivo è un componente ubiquitario del nostro organismo sotto forma di membrane o setti e contiene, in gran quantità, acqua, sali e componenti del plasma. Diverse macromolecole, complessate in modo da formare strutture di varie dimensioni, caratterizzano questo tessuto insieme ai proteoglicani. Le due principali macromolecole proteiche sono il collagene e l’elastina. I tessuti connettivi si differenziano tra loro proprio in base al contenuto di specifiche macromolecole e al volume e all’orientamento delle fibre collagene. Il collagene è formato da fibrille composte da monomeri proteici strettamente collegati tra loro a formare una triplice elica. Sono stati identificati finora 15 diversi tipi di collagene, tra cui i tipi I, II e III sono i più rappresentati nel corpo umano. Il collagene di tipo I costituisce circa il 60–90% del peso secco della cute, dei legamenti, dell’osso demineralizzato, ed è presente, anche se in minor quantità, nei polmoni, nell’aorta e nelle sclere degli occhi. Il collagene di tipo II si trova principalmente nella cartilagine in quantità variabile dal 40 al 50% del peso secco, mentre il collagene di tipo III soprattutto nei grandi vasi sanguigni. Il collagene di tipo IV, V, VI, VII, IX, X e XI è invece presente in scarsissima quantità in vari tessuti. La macromolecola del collagene ha una struttura a cilindro le cui dimensioni sono di 300 nm in lunghezza e 1,5 nm in diametro. Questi cilindri sono chiamati tropocollageno e hanno una disposizione tridimensionale nell’ambiente extracellulare e una forma a bastoncino. Il complesso assume una caratteristica disposizione ad elica. Il tropocollageno è formato da tre catene polipeptidiche parallele, chiamate alfa, ciascuna delle quali si estende per l’intera lunghezza della molecola, in modo ordinato. Ogni catena alfa è avvolta in una spirale sinistrorsa, mentre le catene polipeptidiche elicoidali sono a loro volta attorcigliate in una superficie destrogira, dando vita a quella singolare conformazione a elica che garantisce una elevata stabilità e rigidità alla molecola. Ogni catena alfa è costituita da circa 1000 aminoacidi e la struttura delle catene alfa è altamente ripetitiva con la glicina che si trova sempre alternata ogni 2 aminoacidi. La sequenza della catena aminoacidica può essere rappresentata come Gly–X–Y, in cui la prolina usualmente occupa la posizione X, mentre la idrossiprolina la posizione Y. I geni delle molecole del collagene hanno caratteristiche peculiari: sono com- 19 20 Capitolo 1. FISIOPATOLOGIA DELL’APPARATO LOCOMOTORE E DEL TESSUTO CONNETTIVO posti da 52 a 54 esoni che codificano per il domain della triplice elica. La biosintesi del collagene prevede un largo numero di modifiche posttranslazionali. Per prime si formano le cosiddette pro–catene alfa, ricche di prolina che subiscono modificazioni cotraduzionali e post–traduzionali. Successivamente le catene pro–alfa subiscono una serie di idrossilazioni e glicosilazioni che portano alla formazione delle catene alfa. Circa il 50% dei residui di prolina e parte di quelli di lisina sono quindi trasformati relativamente in idrossiprolina ed idrossilisina. L’idrossilazione della prolina rappresenta la tappa più importante in quanto permette la formazione di una triplice elica di collagene stabile. Una parte dei gruppi idrossili dei residui di idrossilisina vengono uniti con legame covalente al galattosio–glucosio o solo al galattosio. Tre catene pro–alfa così modificate si uniscono a formare una struttura a triplice elica, la cosiddetta molecola di procollageno. Enzimi aspecifici provvedono a distaccare i peptidi N e C terminali dalla molecola di procollageno, che viene secreta poi nello spazio extracellulare. A questo punto la molecola subisce ulteriori modificazioni con deaminazione enzimatica di parte dei residui di lisina e idrossilisina, mentre i gruppi aldeidici che si formano reagiscono con altri gruppi per formare dei legami trasversali che rendono insolubile la molecola di collageno. Il collagene di tipo I è formato da 2 identiche catene polipeptidiche denominate alfa 1 e da una catena polipeptidica denominata alfa 2, mentre il collagene di tipo II è costituito da tre identiche catene polipeptidiche così come il collagene di tipo III. Il collagene rappresenta una struttura altamente stabile che possiede un turnover metabolico più elevato durante la crescita dell’organismo. Nell’adulto le fibrille e le fibre collageniche presentano un’attività metabolica molto stabile con un’emivita di alcune settimane o mesi. Nel tessuto osseo il collagene continua invece ad essere sintetizzato e degradato per tutta la vita. Altre fonti di collagene degradato sono la cute e i vari tessuti durante condizioni patologiche. In presenza di patologie quali la malattia di Paget, l’iperparatiroidismo, neoplasie ossee metastatizzate, il turnover del collagene subisce un netto incremento con il conseguente aumento dell’escrezione urinaria di alcuni suoi metaboliti quali l’idrossiprolina e l’idrossilisina. L’elastina è l’altra macromolecola proteica presente nel tessuto connettivo, da essa dipendono per lo più le proprietà elastiche di tessuti quali la cute, i vasi sanguigni ecc. L’elastina è formata da una singola catena polipeptidica di 72000 daltons, che presenta grandi domains di aminoacidi idrofobici uniti da piccole sequenze peptidiche ricche in alanina e lisina. L’elastina è sintetizzata principalmente dalle cellule muscolari lisce e, in minor quantità, dai fibroblasti. I meccanismi biochimici che portano alla sua formazione sono ancora sconosciuti. Il turnover dell’elastina è molto basso e solo l’1% viene degradato in un anno. Un difetto a livello di una delle tappe che portano alla produzione del collage- 21 FISIOLOGIA DEL TESSUTO CONNETTIVO ne può portare a variazioni nella quantità della proteina, a modificazioni nella estensibilità del tessuto o a un’aumentata fragilità. I difetti molecolari del metabolismo del collagene possono provocare l’insorgenza di patologie anche gravi, e addirittura il decesso. Ad esempio la ridotta sintesi delle catene pro–alfa I causa l’osteogenesi imperfetta caratterizzata da un’aumentata fragilità ossea, in cui le ossa risultano osteoporotiche e facilmente soggette a fratture. La sindrome di Ehlers–Danlos, causata dalla ridotta sintesi delle catene pro–alfa III, è caratterizzata, nella sua forma classica, da un’elevata elasticità, da un’aumentata fragilità della pelle e da un’accentuata iperestensibilità articolare. I difetti del metabolismo del collagene possono anche essere indotti da farmaci quali ad esempio la D–penicillamina che blocca le aldeidi implicate nelle reazioni che portano a formare i legami trasversali. Alte concentrazioni di D–penicillamina sembrano inibire anche la lisilossidasi. BIBLIOGRAFIA R ESNICK & N IWAYAMA , Diagnosis of bone and joint disorders, Philadelphia, W.B. Saunders Co., 2ª ed., 1988, Vol. I. GARDNER D.L., Pathological basis of the connective tissue diseases, London, Edward Arnold , 1ª ed., 1992. KLIPPEL H., DIEPPE A., Rheumatology, London, Mosby Ed., 1994. K ELLEY, H ARRIS , R UDDY, S LEDGE , Textbook of rheumatology, Philadelphia, W.B. Saunders Co., 4ª ed., 1993, Vol. I. MCCARTY J., KOOPMAN J., Arthritis and allied conditions, Philadelphia, Lea & Febiger, 12ª, 1993, Vol. I. Eziopatogenesi delle malattie articolari A. Zoppini, A. Iagnocco Le malattie delle articolazioni sono rapportabili principalmente a cause degenerative, dismetaboliche, flogistiche. In particolare le artriti possono essere dovute ad agenti infettivi (artriti settiche), o a microcristalli (artriti microcristalline), o ad una flogosi a patogenesi immunologica. Per le malattie dismetaboliche e degenerative si rimanda ai relativi capitoli. Le malattie reumatiche (MR) a patogenesi immunologica sono malattie multifattoriali, in quanto risultano dalla interazione di un agente scatenante, di un individuo suscettibile e di un meccanismo immunologico. L’agente scatenante, esogeno o ambientale, è l’evento che, nell’individuo predisposto, provoca una risposta immune esagerata, responsabile della flogosi e del danno tissutale. L’agente scatenante può essere molteplice. Un posto importante lo hanno i microrganismi patogeni. Al di fuori infatti delle artriti settiche, nelle quali l’agente eziologico si ritrova nel liquido sinoviale, i microrganismi possono provocare un’artrite con meccanismi diversi. Un primo esempio è dato dalle artriti reattive, nelle quali si ha una sinovite asettica che fa seguito ad una infezione extra–articolare e si ha deposizione di antigeni del microrganismo nella membrana sinoviale ma la coltura del liquido sinoviale è sterile. Altre volte invece i germi agiscono attraverso una loro tossina che funziona da superantigene. Il superantigene è una struttura microbica o endogena capace di stimolare in via aspecifica le cellule T in elevata proporzione, agendo sulla regione variabile di alcuni recettori per gli antigeni delle cellule T. Un altro meccanismo della flogosi è rappresentato dalla deposizione degli immunocomplessi (IC) nella membrana sinoviale. In questo caso la porta di ingresso dell’agente eziologico può essere anche lontana, come succede ad esempio con il virus dell’epatite B. Si parla invece di mimetismo molecolare quando la risposta anticorpale, provocata da un germe, danneggia anche alcune strutture dell’ospite, che hanno in comune col germe una qualche somiglianza molecolare. È questo il meccanismo che viene invocato per il reumatismo articolare acuto e per alcune spondiloartriti. Altre volte invece i fattori ambientali possono influenzare il grado di funzione delle cellule immunitarie, condizionate già in parte da fattori ereditari, aumentando la suscettibilità alle malattie. Lo stress emozionale o fisico può perturbare le funzioni neuroendocrine e quindi le funzioni delle cellule immunitarie. Pertanto le MR possono essere influenzate, nel loro decorso, anche da fattori psicologici. 23 24 Capitolo 1. FISIOPATOLOGIA DELL’APPARATO LOCOMOTORE E DEL TESSUTO CONNETTIVO La dieta può influenzare il sistema immunitario se si verificano deficit vitaminici o proteici o comunque malnutrizione. Una dieta ricca in olio di pesce potrebbe diminuire la formazione di citochine, mentre una ricca in grasso animale saturo potrebbe potenziarla e quindi aumentare la gravità della malattia. Alcuni farmaci o sostanze chimiche sono stati associati a malattie infiammatorie e autoimmunità. Idralazina e procainamide possono provocare un LES indotto farmacologicamente. L’ingestione di L–triptofano può provocare la Sindrome mialgia–eosinofilia. Malattie simili alle connettiviti sono state provocate dall’olio di colza spagnolo e dal silicone usato nelle protesi per motivi estetici. Il trauma ha un ruolo riconosciuto nella patogenesi dell’artrosi e, verosimilmente, lo ha anche quando precede la comparsa di una spondiloartrite o dell’AR. Fattori ormonali possono spiegare la maggiore prevalenza di alcune malattie nelle donne durante il periodo fertile. L’ambiente urbano, con tutte le sue implicazioni infettive, alimentari, di stress, può spiegare la maggiore incidenza di alcune malattie. Altri fattori importanti possono essere il livello culturale e socio–economico, le abitudini di vita, l’igiene, l’ambiente di lavoro, l’uso di tabacco, di alcool, di sostanze stupefacenti. L’individuo suscettibile. L’importanza della suscettibilità individuale alle malattie è dimostrata dal fatto che di fronte ad uno stimolo esogeno o ambientale non tutti i soggetti rispondono alla stessa maniera, ma si ha invece una ampia gamma di risposte che vanno dalla malattia grave, a quella lieve, o addirittura alla assenza di malattia. Queste diverse risposte dipendono, a parità dello stimolo esogeno, dal differente patrimonio genetico dei vari individui che condiziona le diverse risposte. Il patrimonio genetico può determinare malattie ereditarie oppure un maggiore rischio di malattia. L’esempio di malattie reumatiche condizionate geneticamente è dato da malattie nelle quali si hanno anormalità strutturali del tessuto connettivo, come i difetti genetici del collagene con mutazione del gene per il procollagene tipo I (Osteogenesi imperfetta e varianti della Sindrome di Ehlers–Danlos). Una patogenesi simile è stata anche invocata per individui appartenenti a famiglie che hanno una maggiore facilità ad ammalare di artrosi. Il collagene di tipo II è il maggiore costituente della cartilagine. In questi soggetti si è invocata, ma ancora non dimostrata una possibile causa nelle variazioni delle catene del collagene di tipo II, il cui gene è nel cromosoma 12. Per la Sindrome di Marfan, caratterizzata da alterazioni oculari, scheletriche e cardiovascolari, è stata dimostrata una alterazione dei geni che codificano per la fibrillina, componente importante nelle fibre associate all’elastina. Altre volte invece la malattia è dovuta a difetti enzimatici a carattere familia- EZIOPATOGENESI DELLE MALATTIE ARTICOLARI 25 re con ereditarietà di tipo mendeliano. Esempi al riguardo sono il deficit di ipoxantina–guanina–fosforibosiltrasferasi (HPRT) che provoca una grave forma di gotta, il deficit dell’enzima cistationina β–sintetasi che causa l’omocistinuria, e il deficit dell’ossidasi dell’acido omogentisinico che provoca l’alcaptonuria. Un maggiore rischio di malattia può venire invece da un particolare aplotipo del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). I geni del MHC, suddivisi in regioni di classe I e II, sono presenti sul cromosoma 6. La funzione primaria della molecola HLA è quella di legare peptidi antigenici e di presentarli alle cellule immuni. Maggiore è la facilità di legame del peptide antigenico con la molecola HLA, maggiore la capacità immunogenetica. Le molecole di classe I del MHC sono espresse praticamente sulla membrana di superficie di tutte le cellule somatiche e presentano il peptide antigenico ai linfociti T CD8+, che sono in prevalenza cellule citotossiche. Queste cellule hanno la funzione specifica di distruggere i virus che infettano le cellule o le cellule che producono proteine abnormi, cioè le cellule neoplastiche. Le molecole di classe II del MHC sono espresse sulla membrana di superficie delle cellule che presentano l’antigene cioè i macrofagi, le cellule di Langerhans, le cellule dendritiche e i linfociti B. Queste cellule presentano il peptide antigenico ai linfociti T CD4+, che sono in prevalenza cellule helper, con la funzione di indurre i linfociti B a differenziarsi in plasmacellule che, a loro volta, producono anticorpi specifici contro l’antigene scatenante. Le molecole di classe II scelgono peptidi provenienti da proteine digerite nei lisosomi. Queste proteine sono proteine solubili o frammenti proteici di microrganismi. Le molecole di classe II regolano pertanto i fenomeni della risposta immune e sono anche dette Ia (immuno associate). Sulle cellule che presentano l’antigene si viene a costituire poi un complesso trimolecolare costituito dal recettore cellulare, dal peptide antigenico legato alla molecola HLA e dalla cellula T. Questo complesso è alla base della risposta immune. In questi ultimi decenni si è andato man mano accertando che alcune MR sono maggiormente legate a particolari geni HLA. Questa associazione più frequente viene espressa in rischio relativo, cioè nella percentuale di rischio di malattia in quell’individuo con quel particolare marker genetico, rispetto al rischio nella popolazione senza quel marker particolare. Anche con un alto rischio relativo si può avere un basso rischio assoluto, in quanto per lo sviluppo della malattia possono essere necessari altri fattori. Il meccanismo immunologico. Nelle MR esistono quattro tipi di meccanismi immuni: Tipo I Allergico, Tipo II Citotossico, Tipo III da Immunocomplessi, Tipo IV Cellulo–mediato. Le reazioni di tipo II e IV sono quelle maggiormente responsabili delle MR. La reazione inizia allorchè la cellula T riconosce l’antigene in associazione alla molecola HLA sulla superficie cellulare, tramite un recet- 26 Capitolo 1. FISIOPATOLOGIA DELL’APPARATO LOCOMOTORE E DEL TESSUTO CONNETTIVO tore (RcT) simile alle immunoglobuline. Dopo l’attivazione le cellule T proliferano e diventano T helper o T citotossiche e possono produrre citochine. Le molecolole del MHC sono un sistema altamente polimorfo ed ogni loco di classe I o II è caratterizzato da alleli multipli, differenti tra loro nella sequenza degli aminoacidi. Questo grande polimorfismo è alla base della risposta specifica per l’antigene che, in certe situazioni, può essere alla base di eventi patologici. Un particolare aplotipo HLA può condizionare la malattia perché comporta una abilità ereditaria nel rispondere ad un antigene specifico. La risposta può essere patologica per la sua specificità, per la reattività crociata con antigene dell’ospite o per la sue proprietà immunochimiche. Oppure un individuo può essere condizionato dal suo aplotipo a non rispondere ad un antigene estraneo con conseguente infezione persistente, o prolungata stimolazione immune a livello dell’articolazione. Anche la struttura delle immunoglobuline può modificarsi per variazioni genetiche, con conseguente modificazione della risposta anticorpale. Sotto influenza genetica è anche il sistema del complemento, che consiste in un sistema di proteine collegate, le quali, una volta attivate, portano all’eliminazione dell’antigene, al danno cellulare anticorpo mediato e alla formazione di mediatori pro flogistici. Citochine ed ormoni che possono anche loro influire sulla risposta immune, sono influenzati geneticamente. In conclusione, anche se i fattori esogeni o ambientali hanno indubbiamente una grande importanza, le diverse risposte a questi stimoli esogeni sono strettamente condizionate dalla specifica caratteristica molecolare del singolo individuo, che condiziona, direttamente o indirettamente, la comparsa di malattie ereditarie e la risposta immune. Tab. I.1 Classificazione delle artriti. Artriti da agenti infettivi (Artriti settiche) Artriti da microcristalli (Artriti microcristalline) Artriti da meccanismo immunologico Artriti da meccanismo immunologico dovute all’interazione fra Agente scatenante Individuo suscettibile esogeno o ambientale o predisposto Risposta immune esagerata Flogosi Danno tissutale 27 EZIOPATOGENESI DELLE MALATTIE ARTICOLARI Tab. I.2 Agente scatenante o esogeno o ambientale microrganismi patogeni artrite reattiva superantigene immunocomplessi mimetismo molecolare stress emozionale o fisico dieta farmaci e sostanze chimiche ormoni ambiente urbano livello culturale e socioeconomico abitudini di vita igiene ambiente di lavoro uso di tabacco, alcool, sostanze stupefacenti Individuo suscettibile Patrimonio genetico Malattie ereditarie del collagene sindrome di Marfan deficit di HPRT omocistinuria alcaptonuria Maggiore rischio di malattia HLA immunoglobuline complemento citochine ormoni BIBLIOGRAFIA KELLEY–HARRIS–RUDDY–SLEDGE, Textbook of Reumatology, W. B. Saunders Company, 4ª ed., 1993. KLIPPEL J.H., DIEPPE P.A., Reumathology, Mosby 1994. MCCARTY D.J., KOOPMAN W.J., Arthritis and allied condition, Lea & Febiger, 12ª ed., 1993. Il sistema HLA A. Zoppini, A. Iagnocco Il sistema HLA è rappresentato da un gruppo di antigeni cellulari codificati da geni localizzati sul braccio corto del cromosoma 6. Tale sistema ha un ruolo di primo piano nei meccanismi immunitari, nel riconoscimento del “self” e nella differenziazione cellulare e tissutale; per tale ragione esso riveste importanza determinante nell’ambito delle reazioni da trapianto ed è quindi attualmente definito Sistema Maggiore di Istocompatibilità (MHC). Nell’uomo il MHC viene denominato sistema HLA. Tre classi di determinanti sono codificati dai geni di tale sistema. Le molecole di classe I, presenti sulla membrana cellulare di tutte le cellule nucleate dell’organismo e delle piastrine, sono costituite da un polipeptide a catena pesante legato ad uno a catena leggera, la β2–microglobulina, la quale è codificata al di fuori del sistema HLA. Tali molecole rappresentano il prodotto dei geni dei loci HLA–A, B e C. In realtà nell’ambito della classe I sono presenti altri 3 gruppi di molecole codificate dai loci dei geni HLA–E, F e G, le quali hanno una distribuzione tissutale più limitata ed una funzione non ancora ben conosciuta. Esiste un alto grado di polimorfismo degli antigeni HLA–A, B e C dato dalle numerose variazioni alleliche in ognuno dei 3 loci. Infatti solo per il loco HLA–B sono conosciuti per lo meno 35 alleli diversi ed un numero inferiore, ma comunque ampio, di alleli esiste anche per i loci A e C. Le molecole di classe II, ad espressione limitata ai linfociti B, T–helper, ai macrofagi ed ai monociti, sono costituite da 2 catene polipeptidiche (α e β) di diversa lunghezza. Esse vengono codificate da un gruppo di geni della regione HLA–D la quale comprende 3 loci principali, anch’essi dotati di un alto grado di polimorfismo, denominati HLA–DP, DQ e DR. Ogni regione, a sua volta, contiene ulteriori loci e geni addizionali a funzione non ancora nota. Le molecole di classe III sono rappresentate da alcuni componenti del complemento (C2, C4), dal fattore properdinico B e da alcuni enzimi (21–idrossilasi). I geni che codificano per le molecole di classe III sono localizzati anch’essi a livello del cromosoma 6, tra quelli di classe I e II. Le molecole di classe I e II formano complessi con peptidi dotati di proprietà immunogene e sono riconosciute prontamente dai linfociti T dotati di specifici recettori. Esse inoltre guidano la risposta immune nel corso dei processi di riconoscimento del “self” e “non–self”. L’altissimo grado di diversità allelica del sistema HLA conferisce ad esso un estremo polimorfismo il quale determina importanti ripercussioni immunologi- 29 30 Capitolo 1. FISIOPATOLOGIA DELL’APPARATO LOCOMOTORE E DEL TESSUTO CONNETTIVO che. Tuttavia è da tener presente che in ogni loco molti alleli del sistema HLA sono in correlazione tra loro e che sono minime, spesso confinate ad un singolo nucleotide, le differenze tra alleli diversi. Le variazioni sono cioè limitate a pochi siti di diversità. I diversi geni del sistema HLA sono legati strettamente tra loro ed il fenomeno del “linkage disequilibrium”, cioè la tendenza di alcuni antigeni a presentarsi in associazione con altri antigeni codificati da geni di loci vicini, compare frequentemente. L’importanza del sistema HLA nell’ambito della Reumatologia risiede nel fatto che esiste una associazione tra determinati antigeni di tale sistema ed alcune malattie reumatiche. Tale associazione viene espressa come “rischio relativo” rappresentando tale termine il rischio della comparsa di una determinata malattia in un individuo portatore di uno specifico antigene rispetto a tale rischio in un soggetto in cui tale marker genetico è assente. Per alcune malattie esiste una stretta associazione con determinati antigeni del sistema HLA, mentre per altre tale relazione è meno evidente. Non solo per le malattie reumatiche sono stati dimostrati tali stretti rapporti di associazione, ma appaiono spesso in correlazione con antigeni HLA anche numerose altre patologie di interesse ematologico, endocrino, dermatologico, neurologico, urologico, gastroenterologico. In particolare l’associazione più significativa si è rivelata quella tra spondilite anchilosante ed un antigene di classe I: l’HLA–B27 (tabella I.3). Quest’ultimo, infatti, è presente in circa il 90% dei malati affetti da tale patologia contro il 6% dei soggetti sani nella razza caucasica. Esistono comunque differenze di frequenza legate alla razza. IL B27 sembra inoltre influenzare anche l’espressione clinica della spondilite, la quale appare essere più seria e più spesso aggravata da complicanza nei soggetti B27 positivi. Altre spondiloartriti (la Sindrome di Reiter, le spondiloartriti legate a malattie intestinali croniche, l’artrite psoriasica nella forma ad interessamento assile) sono pure associate all’antigene B27 anche se tale correlazione è certamente meno stretta rispetto alla spondilite anchilosante. Le varianti a prevalente coinvolgimento periferico dell’artrite psoriasica sembrano invece più spesso associate al Bw38. Altre malattie reumatiche sono invece associate con antigeni di II classe (tabella I). Ad esempio l’artrite reumatoide nelle forme più gravi, ad impronta erosiva e con presenza di noduli, appare essere in relazione con l’antigene DR4. Una positività per il DR3 è invece da mettere in relazione con la comparsa di complicanze renali in seguito a somministrazione parenterale di sali d’oro. Al contrario nei soggetti DR2 positivi la malattia si esprimerebbe in maniera più lieve e sarebbe priva di complicanze. L’artrite cronica giovanile appare invece associata al B27 nelle forme oligoarticolari e con coinvolgimento della colonna, mentre le varianti poliarticolari sono in relazione con la presenza del DR4. Nei malati affetti da lupus eritematoso sistemico è stata descritta una associa-