Projects 28 In architettura, la trasparenza non è negazione della materia ma solo un radicale cambio di identità. Attraverso la trasparenza del volume architettonico, il processo di dematerializzazione segue l’evolversi della tecnologia in un crescendo che pare non avere mai fine. Il futuro dell’architettura sembra dunque puntare verso il concetto di spazio globale, eliminando così la distinzione fra esterno e interno. In architecture, transparency is not a denial of matter; it is simply a radical change of identity. Through the transparency of the architectural volume, the process of dematerialization follows the evolution of technology in a growing development that appears endless. Therefore, the future of architecture seems to point toward the concept of global space, thereby eliminating the distinction between internal and external space. Progetto immateriale Immaterial Project Trasparenza, preziosa conquista della nostra epoca Transparency, a Precious Achievement of our Era Gillo Dorfles* U na delle osservazioni più acute fatte da Siegfried Giedion – il grande critico di architettura – è stata quella a proposito della trasparenza: del fatto cioè che certe popolazioni selvagge, nei loro primitivi disegni, cercavano sempre di fissare tutto ciò che era nascosto nel sottosuolo, come se lo stesso fosse trasparente. E, del resto, quale riproduzione del “vero” è più realistica di quella che raffigura anche quello che non è visibile all’occhio nudo ma che effettivamente esiste? Ma, se il selvaggio del paleolitico aveva cercato di infrangere, solo virtualmente, il diaframma tra sé e il mondo, ai nostri giorni questo diaframma spesso è caduto. Anzi, proprio il fatto d’abolire l’ostacolo tra l’interno e l’esterno di un edificio è stato una delle grandi conquiste del primo razionalismo. Gli albori del Movimento Moderno – culminato nelle opere magistrali dei Mies, dei Breuer, dei Kahn ecc. – sono spesso stati caratterizzati dalle scoperte dei curtain walls, delle pareti continue di vetro che trasformavano l’antico parallelepipedo trilitico d’un tempo in una sorta di voliera aperta agli occhi del passante e aperta, per l’abitante, alla visione del mondo circostante. L’entusiasmo per la casa su pilotis, per la facciata continua senza terrazzi, per la parete trasparente, doveva durare solo qualche decennio. Si comprese presto che l’uomo necessita molto spesso di un “abri”, d’un guscio chiuso nel quale rifugiarsi, protetto dagli sguardi del prossimo e anche dall’intromissione forzata e invadente del mondo esterno. Eppure la conquista della trasparenza non poteva essere abbandonata, la possibilità di valersi dei nuovi materiali – dal vetro al plexiglas, dalle resine sintetiche ai vari materiali plastici, dotati di transvisibilità – ha fatto sì che molto spesso l’architettura abbia fatto e faccia ricorso all’artificio della trasparenza: nelle volte da cui filtra la luce del cielo, nelle pareti che si accendono di mille luci notturne, la presenza del vetro e degli altri materiali analoghi ha impresso agli edifici urbani una dimensione mai prima esistita, che oltretutto si sposa con l’odierna condizione dell’uomo di far parte di una comunità (anche se purtroppo questa comunitarietà è spesso tutt’altro che gradita!). Dalla cupola trasparente del nuovo Reichstag berlinese, alle piramidi vitree dell’ingresso al Louvre, alle tante recenti costruzioni tecnologiche, ecologiche, dove la natura cerca di infiltrarsi entro le costruzioni umane o dove le costruzioni già in partenza si associano al verde della natura, è tutto un susseguirsi di realizzazioni come – per non dare che un minimo esempio – il nuovissimo Institute for Forestry and Nature Research a Wageningen di Stephan Behnisch completamente traslucido e dove il verde penetra all’interno a mo’ di serra; o come la grande “serra tropicale” in cui è stata trasformata l’antica stazione centra- le di Madrid; o come il grattacielo di uffici di Renzo Piano a Sidney dove delle semipareti isolano gli appartamenti dal traffico cittadino; o come gli uffici 88 Wood Street di Richard Rogers a Londra; o ancora gli uffici statali di Bucholz e McEvoy a Dublino… La parete di molti edifici si è assottigliata, ha dimenticato il mattone, ha distanziato il pilotis, ha permesso allo spazio esterno di fondersi con quello interno e, molte volte, in alcune gigantesche costruzioni pubbliche – decisamente “pubblicitarie” come nel Tokyo Forum di Raphael Vign̆oli a Tokyo – ha permesso che le grandi pareti trasparenti costituissero la vera anima dell’edificio. Ma la trasparenza ha invaso non solo le aperture esterne, ma anche quelle interne verticali: quanti passaggi sotterranei, quanti mercati e ritrovi scavati nelle viscere dell’edificio (si pensi solo al City Co-op newyorkese) hanno allargato l’“orizzonte verticale” permettendo all’abitante di percorrere i locali avendo ai suoi piedi la visione dall’alto, resa possibile dalla trasparenza del pavimento. Il che può diventare persino uno spettacolo artisticoarcheologico in molti casi di ruderi antichi; ad esempio ad Aosta e a Verona dove un intero quartiere romano è visibile dall’alto, in uno dei ristoranti di Piazza delle Erbe, attraverso una parete vitrea. Quale, allora, può essere la conclusione di un discorso come questo, quanto mai superficiale se privo di riferimenti tecnologici, attorno a un problema così arduo come quello della trasparenza? Credo che il problema non possa essere risolto né oggi né domani perché è intimamente legato a quello della spazialità interna ed esterna di ogni costruzione. L’architettura, insomma, non può essere né solo interna né solo esterna; e la trasparenza – preziosa conquista della nostra epoca – non potrà mai globalmente prevalere. * Gillo Dorfles nasce a Trieste nel 1910. Dopo la laurea in medicina si dedica alla pittura e, nel 1948, è tra i fondatori del gruppo MAC insieme a Monnet, Soldati e Munari. In seguito si dedica alla critica d’arte e agli studi di estetica, pubblicando numerosi saggi. È collaboratore del Corriere della Sera e di riviste d’arte e di architettura. O ne of the sharpest observations ever made by Siegfried Giedion – the great architectural critic – was about transparency. He said that the designs of certain primitive peoples continuously attempted to represent everything that was hidden underneath the ground, as if this ground itself were transparent. Furthermore, what reproduction of the “real” is more true than the one which represents the things not visible to the naked eye, but that nevertheless exist? However, if the savage man of the Paleolithic era was trying to breach, though only virtually, the separation that divided him from the world, in TRASPARENZA TRANSPARENCY our day and age this division has often fallen away. In truth, it is the very abolishment of the obstacle between the internal and external space of a building that remains one of the great conquests of early rationalism. The dawn of the Modern Movement – culminating in the masterly works by Mies, Breuer, Kahn and so forth – has often been characterized by the discovery of curtain walls. These continuous walls of glass transformed the ancient trilithic parallelepiped of yore into a kind of aviary open to views of passersby and, for the edifice’s inhabitant, to a wide vision of the surrounding world. Enthusiasm for the house on stilts, for the continuous facade free of terraces, for the transparent wall, was only supposed to last a few decades. It was soon understood that man often needs a “shelter,” a closed, secure cocoon where he can take refuge, protected from the inquisitive looks of his neighbor as well as from the forced and invasive intrusion of the outside world. And yet the conquest of transparency could not be wholly abandoned. The possibility of using new materials – from glass to Plexiglas, from synthetic resins to various plastic materials, all endowed with some degree of translucency – made it possible for architecture to return, willingly and often, to the use of the artifice of transparency. In the ceilings that filter down light from the open sky, in the walls that light up with a thousand nocturnal points of light, the presence of glass and other similar materials has bestowed on urban edifices a dimension that never existed before. Furthermore, it is a dimension that weds itself perfectly to man’s present condition of belonging to an established community (even if all too often this community living is anything but appreciated!). From the transparent cupola of the new Reichstag in Berlin, to the glass pyramids at the entrance to the Louvre, to the many recent technological and ecological constructions in which nature attempts to infiltrate the manmade constructions or where these constructions associate themselves directly with the greenness of nature from the start – everything is characterized by the artifice of transparency. An example may be the brand new Institute for Forestry and Nature Research at Wageningen, designed by Stephan Behnisch. It is a completely translucent structure that allows greenery to penetrate inside as if it were a kind of greenhouse. Another example is the great “tropical greenhouse” converted from the old central train station in Madrid; or the skyscraper of offices created by Renzo Piano in Sydney in which the half-walls isolate the apartments from the urban traffic; or the offices at 88 Wood Street designed by Richard Rogers in London; or the state government offices by Bucholz and McEvoy in Dublin… The walls of many buildings have thinned themselves out, have left bricks behind, have distanced themselves from the “stilts”. They have permitted outside space to fuse with internal space and, very often, a number of gigantic public constructions – decidedly “publicity-oriented” such as the Tokyo Forum designed by Raphael Vign̆oli in Tokyo, Japan – have permitted the great transparent walls to constitute the true heart and soul of the edifice. But not only has transparency invaded the external openings, it has taken over the internal vertical ones as well. How many underground passages, how many markets and gathering spaces have been carved out of the insides of buildings (one has only to consider the City Co-op in New York), acting to enlarge the “vertical horizon?” This allows inhabitants to cross the assorted spaces while maintaining at their feet a top view made possible by the transparency of the very pavement they are walking on. This effect is even capable of becoming an artistic-archeological show in the case of many ancient ruins. An example, in Aosta and Verona, Italy, is the entire Roman neighborhood visible from above through a glass wall in one of the Piazza delle Erbe restaurants. What, then, is the possible conclusion to an active, engaging subject like this one, though it be ultimately superficial without any technological reference point, around a problem as arduous as that of transparency? I believe that the problem can be resolved neither today nor tomorrow because it is intimately connected with the problem of internal and external space – a problem that remains a fundamental part of every construction. In the end, architecture is neither simply internal nor external; and transparency – that precious achievement of our era – can never prevail on a global scale. * Gillo Dorfles was born in Trieste, Italy in 1910. After obtaining a degree in medicine, he dedicated himself to painting and, in 1948, was among the founding members of the MAC group together with Monnet, Soldati and Munari. Later on, he devoted himself to art criticism and aesthetic studies, publishing numerous essays. Currently he contributes to the Italian newspaper, the Corriere della Sera, as well as many art and architectural magazines. 29 Kisho Kurokawa, Hotel Kyocera a Kagoshima. Kisho Kurokawa, Hotel Kyocera in Kagoshima. Geometria al naturale Natural Geometry Ehime, Museo delle Scienze Ehime, Museum of Science Progetto di Kisho Kurokawa Architect & Associates Project by Kisho Kurokawa Architect & Associates 30 In queste pagine, il Museo delle Scienze nella prefettura di Ehime, Giappone. Il complesso occupa un’area di 30.000 mq e sorge nella periferia di Niihama, nell’isola di Shikoku. The Museum of Science in Ehime Prefecture, Japan. The complex covers an overall area of 30,000 square meters located on the outskirts of Niihama, on Shikoku Island. O ggi l’architetto si trova in un momento cruciale del suo operare. L’informatica, soprattutto grazie a Internet, oltre ad aver dato vita alla new economy, sta anche riplasmando la professione, trasformando il progettista di edifici in ideatore e coordinatore di una sorta di architettura “bidimensionale” fatta di superfici-informazione che, oltre ad avvolgere spazi e volumi, funge da medium, superando i limiti dei mass media e creando così una totale integrazione fra informazione, nel senso più totale del termine, e spazio abitativo. Questa nuova dimensione del progetto influisce anche laddove non si è ancora giunti ad un simile grado di avanguardia ma si stanno evidenziando nuove tendenze progettuali come la ricerca di una nuova identità della struttura architettonica: è, infatti, in atto la tendenza a realizzare complessi architettonici con un’immagine forte, quasi mediatica invece di inseguire la pura astrattezza o unicamente la funzionalità. In tal senso, Kurokawa ha al suo attivo quasi tutta la sua opera dove suggestione e comunicazione sono sempre in primo piano. Il “fiabesco tecnologico”, unito a un mix di tradi- zione e innovazione, è il mondo in cui uno fra i più prestigiosi architetti giapponesi crea i suoi progetti. Se i solidi elementari sono la materia prima dell’opera di Kurokawa, la trasparenza è la “pelle intelligente” in grado di mutare la fisicità del cemento in una sorta di sogno della materia. Il Museo delle Scienze della prefettura di Ehime, in Giappone, con le sue schegge di specchiante “trasparenza” disseminata su volumi puri attraverso l’impiego di lastre di titanio, è una delle opere che meglio configurano l’identità progettuale del Maestro, autore del Teatro dell’Opera di Haskovo, in Bulgaria, della torre a capsule di Nakagin e delle Città Libiche. Il complesso museale sorge in un’area appena fuori il centro urbano di Ehime e si configura come una sorta di piccola città ideale, la cui purezza compositiva suggerisce soluzioni possibili a quel problema della territorialità da sempre alla base del concept progettuale di Kurokawa. Una territorialità caratterizzata dalla mutazione di luoghi prima marginali, poi trasformati in avamposti urbani per nuove espansioni metropolitane. Il sito su cui sorge il complesso museale è quello suggestivo dell’isola di Shikoku, nell’area suburba- TRASPARENZA TRANSPARENCY 31 na di Niihama, ai margini di un’arteria d’importanti interscambi stradali, ma ciò che rende attraente il luogo è senza dubbio la commistione tra natura e artificialità dell’architettura. Il museo, infatti, giace ai piedi di incantevoli rilievi montani. Il nuovo insediamento ha dunque modificato il paesaggio dell’isola di Shikoku attraverso una simbiosi alimentata da interrelazioni architettura-ambiente, grazie a contrappunti e simmetrie fra la dolcezza delle curve naturali del territorio e le puntute strutture architettoniche, configurate in una sequenza apparentemente casuale in cui cubi, coni e triangoli danno forma e funzione a un complesso composto di un planetario e di alcuni corpi di fabbrica destinati agli uffici amministrativi. Nel gioco di trasparenze accennate e di incastri geometrici, Kurokawa non ha però dimenticato il dato storico-estetico della cultura architettonica giapponese, frutto di una sottile alchimia in cui modernità e tradizione convivono da sempre. Ciò è riscontrabile soprattutto nella concezione planimetrica, dove appare chiara la struttura del giardino giapponese in cui percorsi e volumi si integrano, creando una sorta di scrittura tridimensionale, di paesaggio interiore espresso attraverso le forme dell’architettura come segno e la natura quale superficie significante. Di particolare spettacolarità, la facciata principale è caratterizzata da una combinazione di materiali come alluminio, vetro e calcestruzzo a vista. Il tutto mixato e ridistribuito con grande maestria compositiva. Maestria evidente anche nella scelta di contrapporre alla sfericità della copertura del planetario il grande cono trasparente, una sorta di montagna tecnologica ma anche metafora “ascensionale”, fuga dalla terra verso gli astri osservati nel planetario. Ma le suggestioni non si esauriscono in una composizione architettonica orchestrata su un ottimo compromesso fra geometria euclidea e giardino zen, poiché anche i percorsi interni sono altrettanti manifesti della poetica di Kurokawa. Come, per esempio, il percorso che unisce la grande hall al planetario: realizzato nel sottosuolo, si snoda anche attraverso la zona su cui insiste uno specchio d’acqua artificiale che cinge parzialmente il grande cono e parte della hall, suggerendo come l’architettura viva anche d’invisibili relazioni, proprio come un corpo vivo in cui flussi e connessioni interne tengono in vita l’organismo. 32 T oday, architecture finds itself at a crucial juncture in its development. Information technologies, and notably the Internet, have already established the new economy and are remodeling the profession. They are transforming the architect into an inventor and coordinator of a kind of “two-dimensional” architecture composed of information-platforms, an architecture that not only encases spaces and volumes, but also functions as a medium, overcoming the limits of mass media and thereby generating a complete assimilation of information (in the broadest sense of the term) and living space. The influence of this new dimension reaches to areas where even the avant-garde has not yet been achieved, but where there is increasing evidence of new design tendencies (as in the search for a new identity of architectural structures). There is, in fact, movement toward the creation of architectural complexes exuding a powerful, almost media image, instead of a quest for pure abstraction or simple functionality. It is in this vein that almost all of Kurokawa’s work is being realized – architectural creations in which suggestion and communication are always at the forefront. “Technological enchantment” linked to a blend of tradition and innovation makes up the world within which one of the most prestigious Japanese architects creates his projects. If rudimentary solids are the raw material of Kurokawa’s work, then transparency is the “intelligent skin” capable of transforming the physical nature of concrete into a kind of dream matter. The Ehime Prefecture’s Museum of Science in Japan, with its shards of reflecting “transparency” scattered onto solid masses dotted with sheets of titanium, is one of the architectural works that best represents the creative identity of this Master, who is also credited with the Opera Theater in Haskovo (Bulgaria), the capsule tower in Nakagin and the Libyan Cities. The museum complex is located just outside of Ehime’s urban center and is organized like a kind of small, ideal city whose composite purity suggests possible solutions to the problems of space that have always been at the core of Kurokawa’s design concepts. This territoriality is characterized by the transformation of places that are initially considered marginal and subsequently become urban models destined for future metropolitan expansion. The museum complex sits on the fascinating site of the Island of Shikoku, in the suburban Niihama area, near an important highway interchange. The heady mixture of nature with the artificiality of the architecture makes the site very attractive. In fact, the museum is located at the foot of a mountain range. The new construction therefore has significantly modified the Shikoku Island landscape through a symbiosis fed by the inter-relationship between architecture and the natural environment. It is based on the counterpoints and symmetries between the softness of the terrain’s natural curves and the pointed architectural structures of a seemingly casual sequence of cubes, cones, and triangles. These elements provide form and function for the complex, including a planetarium and several outbuildings housing administrative offices. In the midst of this play of suggested transparencies and geometric enclosures, Kurokawa has not forgotten the historical-esthetic data of the Japanese architectural culture, composed of a subtle alchemy in which modernity and tradition have coexisted for ages. This is most easily recognized in the design and layout of the solid areas. For example, the structure of the Japanese garden is clearly evident in the integration of pathways and masses that creates a kind of three-dimensional script – a sort of interior landscape expressed through architectural forms that act as signs inscribed on the significant surface provided by nature. The principal facade, characterized by a combination of materials including aluminum, glass, and exposed concrete is just one particularly spectacular aspect. Everything is mixed together and redistributed with great compositional mastery. True mastery is also evident in the decision to counter-balance the spherical nature of the planetarium’s covering with an enormous transparent cone. The cone recalls a kind of technological mountain but also serves as a metaphor for “ascension,” the escape from Earth toward the heavenly bodies observed within the planetarium. Symbolism is not easily exhausted in this architectural composition that so brilliantly orchestrates an excellent compromise between Euclidean geometries and Zen gardens, given that its internal pathways reflect so well Kurokawa’s particular architectural poetry. The underground pathway is a perfect example of this as it connects the great hall with the planetarium, traversing an area where an artificial pond partially encircles the large cone and the hall. It evokes the great degree to which architecture relies on invisible connections, just as the inner workings of a live body keep the organism alive and thriving. Particolare degli esterni della sala espositiva e dell’atrio, posto nel grande cono vetrato. Nella pagina a fianco, sezione sull’atrio e il planetario. Details of the exterior of the exhibition room and the atrium, located in the large glass cone. Opposite page. A section of the atrium and planetarium. 33 34 Sopra, l’atrio visto dal bacino artificiale sotto al quale è stato realizzato un percorso per raggiungere il planetario. A destra, pianta del primo piano. La distribuzione asimmetrica dei vari ambienti è configurata seguendo la disposizione degli antichi giardini di pietre giapponesi. Nella pagina a fianco, particolare della cupola del planetario. Above. The atrium as seen from the artificial basin with a pathway underneath leading to the planetarium. Right. A plan of the first floor. The asymmetrical distribution of the various spaces has been arranged according to the layout of the ancient Japanese rock gardens. Opposite page. Details of the planetarium’s cupola. 35 36 37 In queste pagine, particolari dell’atrio la cui struttura è stata realizzata in acciaio e cemento armato. Details of the atrium, whose structure is made of steel and reinforced concrete. 38 39 Nuove scenografie urbane New Urban Set-Design Londra, British Film Institute London IMAX Cinema London, British Film Institute London IMAX Cinema Progetto di Avery Associates Architects Project by Avery Associates Architects 40 T rasparente e caleidoscopico quanto basta, per farsi notare. Metropolitano (soprattutto per il riferimento ai gasometri) per integrarsi con la capitale della rivoluzione industriale. Al di là della piacevolezza delle forme e dei materiali, il BFI London IMAX Cinema in realtà è frutto delle buone e “vecchie” idee del Razionalismo. La forma circolare dell’edificio e la sua macro-grafica non nascono, infatti, da folgorazione mediatica, bensì più semplicemente dall’interno verso l’esterno. Al centro dell’edificio, infatti, pulsa lo schermo semicircolare IMAX, cui è stata avvolta intorno l’unica “pelle” possibile per non uscire dal dettato razionalista che, a quanto pare, premia sempre. Trasparenza però fa rima con tecnologia, e tecnologia è un concetto che di solito si associa all’idea di futuro. In questo caso il futuro si percepisce attraverso una disciplina progettuale che si arricchisce di nuovi orizzonti. Architettura e comunicazione sono infatti il concept su cui lavorano oggi gli architetti più attenti e sensibili alle nuove tensioni culturali. Il potenziale dinamismo insito nelle forme circolari del nuovo BFI London IMAX Cinema è pura energia in sintonia con l’ambiente metropolitano contemporaneo, attraversato dalle pulsioni consumistiche di una società che metabolizza non solo merci, ma anche cultura, in questo caso cultura cinematografica al massimo della qualità tecnologica grazie al sistema IMAX. Un film proiettato con questo sofisticato sistema è in grado di coinvolgere emozionalmente lo spettatore attraverso effetti realistici spettacolari, impiegando fotogrammi di grande formato, per TRASPARENZA TRANSPARENCY esempio il 70 mm, più uno schermo gigante: normalmente dieci volte più largo e sette volte più alto di quello convenzionale. La resa sonora è in questo caso esaltata dalla favorevole acustica della forma circolare della sala di proiezione, dove sono inoltre sistemate sei colonne stereofoniche in grado di produrre un ambiente sonoro tridimensionale di grande suggestione. Ma, se all’interno nel buio della sala si vivono emozioni legate alle vicende cinematografiche, l’esterno è altrettanto vitale e comunicativo verso il suo intorno urbano. La totale trasparenza della “pelle” in vetro strutturale che avvolge l’edificio è una sorta di “banda larga” mutante, sorprendente e multicolore. L’intrattenimento, l’organizzazione del tempo libero, tutto ciò che si fa per piacere sta codificando una speciale architettura destinata al loisir caricata di segni forti, come appunto il BFI London IMAX Cinema. Insomma, la città è sempre più popolata di architetture frutto di complesse ibridazioni di cui è facile percepire i nuclei generatori. La città futura sembra dunque trasformarsi in un grande fondale, ritagliato da sagome simili a strumenti elettronici fuori scala. Sta nascendo una nuova grammatica compositiva, gestita da nuove figure di progettisti: un po’ ingegneri, un po’ creatori di scenografie urbane. Certamente effimere, instabili come non mai, ma infinitamente più ricche di suggestioni e di emozioni diffuse in una città che non solo sembra cambiar pelle, ma anche pensiero e anima. 41 42 T r ansparent and kaleidoscopic enough to make itself noticeable, yet metropolitan enough (especially in its reference to gas meters) to meld into the capital of the Industrial Revolution. Above and beyond the inherent appeal of its forms and materials, the BFI London IMAX Cinema is essentially born of the worthy and “old” ideas of Rationalism. In fact, the circular form of the building and its macro-graphics do not stem from the glaring light of media attention, but rather from the interior. At the center of the edifice, the semi-circular screen of the IMAX system pulses with life. It is wrapped in a unique transparent “skin” that prevents its total departure from the always rewarding rationalist dictates. However, transparency in this sense is associated with high technology, and high technology is a concept that is usually associated with the future. Here, the future is perceived through a project discipline that is enriched by new horizons. Architecture blended with communication is, in fact, the concept that captures the attention of those architects most sensitive to the new cultural tensions of today. The inherent dynamism in the circular form of the new BFI London IMAX Cinema is pure energy in harmony with the contemporary metropolitan environment. It is punctuated by the consumer impulses of a society that metabolizes not only merchandise, but also culture. In this case, it concerns cinematic culture at the very highest level of technological achievement, thanks to the IMAX system. A film projected through this sophisticated system is capable of thoroughly engulfing the spectator emotionally in the movie through spectacularly realistic special effects by utilizing large-format frames. These frames are usually seventy millimeters wide and are projected onto a giant screen ten times wider and seven times higher than a conventional movie screen. Six stereophonic columns produce an extraordinarily suggestive, three-dimensional audio environment that is exalted further by unbelievable acoustics created by the circular form of the space. But if the internal darkness of the movie theaters is home to emotions connected with the films and their drama, the edifice’s exterior is even more vital to and communicative with its urban surroundings. The total transparency of the structural glass “skin” wrapped around the building creates a kind of mutating, surprising and multicolored circular “broadband.” Entertainment, the organization of leisure time, and everything that human beings undertake for pleasure is acting to codify a special kind of architecture – one that reflects a new brand of leisure activities charged with strong messages. The BFI London IMAX Cinema is a perfect example of this modern development. Basically, the city is increasingly populated by architecture that is the fruit of complex hybridizations, by which it is relatively easy to identify the generating nuclei. The future city seems to be transforming itself into an enormous backdrop, outlined by silhouettes resembling over-sized electronic instruments. A new compositional grammar is being born, managed by new design personalities who are to a certain extent engineers and to a certain extent creators of urban set-design. This new approach is undoubtedly ephemeral, as unstable as ever. But it is also infinitely richer in suggestion and emotion, spreading through a city that is not only changing its skin, but also its way of thinking and, therefore, its very soul. Nelle pagine precedenti, due vedute del BFI (British Film Institute) che fa parte di un complesso di strutture dedicate alla cultura dell’immagine. Nella pagina a fianco, particolare della vetrata strutturale. Qui sotto, sezione trasversale. Preceding pages. Two views of the BFI (British Film Institute), part of a complex of structures dedicated to the culture of images. Opposite. Details of the glass structure. Below. A cross section. 43 Qui sotto, l’ingresso alla sala cinematografica e un particolare del grande schermo IMAX semicircolare che prevede proiezioni con pellicole di maggior dimensione e un sonoro con particolari effetti realistici. 44 Below. The entrance to the movie theater and a detail of the large semi-circular IMAX screen that allows projection of largeformat films and boasts a sound system with particularly realistic effects. Qui sotto, planimetria generale, pianta del piano dell’ingresso e della sala di proiezione e una sezione sul sistema della parete vetrata. Below. General plan, a plan of the entrance level and of the film projection room, as well as a section of the glass wall system. 45 Esperanto architettonico Architectural Esperanto Bruxelles, Charlemagne Building ristrutturato Brussels, renovation of the Charlemagne Building Progetto di Murphy/Jahn Project by Murphy/Jahn L’ 46 In questa pagina, veduta generale dell’edificio. Nella pagina a fianco, veduta parziale dell’edificio ristrutturato attraverso addizioni e sottrazioni che ne hanno radicalmente rinnovato l’aspetto. This page. General view of the building. Opposite page. A partial view of the restructured edifice, achieved through additions and subtractions that have radically renewed its look. Unione Europea sta cambiando anche il futuro dell’architettura, che trova in una sorta di “Esperanto” progettuale una sua nuova identità, in grado di rappresentare la fusione delle culture del progetto, un tempo circoscritte in ambiti culturali localistici e ora sempre più orientate a trasformarsi in un mix che, preservando tutte le identità locali di maggior pregio, produrrà nuove direzioni di ricerca. Il futuro è, dunque, rappresentato da un’architettura europea tecnologicamente avanzata come ad esempio quella statunitense, ma con un linguaggio comune e riconoscibile. Città dal cuore antico, Bruxelles, da quando è divenuta una delle città simbolo dell’Unione Europea, sta cancellando le sue tracce storiche. Grandi insediamenti politico-amministrativi hanno sconvolto un equilibrio fatto di integrazione fra città antica, composta di preesistenze medievali, e stratificazioni di insediamenti risalenti ad epoche posteriori. Nonostante la città appaia scintillante di nuovi edifici, tutti vetro e acciaio, il suo delicato equilibrio risulta sempre più precario. Fortunatamente, il compito di ridisegnare l’aspetto architettonico della città europea per antonomasia è stato affidato ad importanti architetti internazionali, capaci di realizzare opere con una propria identità. È il caso della ristrutturazione del Charlemagne Building, che accoglie la sede della Comunità Europea. Il quartiere in cui sorge il rinnovato complesso è caratterizzato da un fronte principale rivolto verso un asse viabilistico in continua e rapida trasformazione. Nella parte posteriore dell’edificio permangono ancora alcune tracce di un quartiere residenziale di medie proporzioni, ormai destinato a sparire a causa delle nuove costruzioni comunitarie. Il tema compositivo del progetto si è incentrato sulla totale integrazione della nuova struttura con la città, caratterizzata da insediamenti di diversa natura sia storica che architettonica. Il vecchio Charlemagne Building è stato realizzato negli anni Sessanta, quando il complesso era destinato ad ospitare i primi organismi politico-amministrativi della Comunità Europea. Il progetto di Murphy/Jahn è quindi incentrato sull’ampliamento e la rifunzionalizzazione di un edificio esistente. Sostanzialmente si tratta di un’operazione di re-urbanizzazione compiuta attraverso un calibrato lavoro di aggregazione e sottrazione di parti rispetto al vecchio edificio, per ricreare nuovi rapporti con una maglia stradale in parte ridisegnata da molte costruzioni in via di compimento. L’ampliamento del complesso ha necessariamente comportato una nuova ridefinizione delle masse architettoniche rispetto ad un intorno di delicato equilibrio ambientale. Si è scelta quindi una soluzione che risultasse di minimo impatto, come solo le pareti vetrate possono assicurare. Il complesso è rivestito di una sottile “pelle”, un curtain wall in grado di riflettere l’ambiente circostante e quindi integrarsi con il contesto. La particolare articolazione della pianta dell’edificio mostra una spiccata tendenza al dinamismo, sottolineata dalla configurazione a forma di freccia di un particolare lato del complesso che, in tal modo, si raccorda alla naturale inclinazione del terreno circostante. La base dell’edificio, su cui poggia l’intera struttura, accoglie una serie di funzioni, tra cui l’ingresso principale dove è sistemato un atrio caratterizzato da pareti interamente vetrate, che fungono da elemento mediatore fra edificio e spazio urbano circostante. 47 48 T h e European Union is changing many things, even the future of architecture, as it discovers a new identity within a kind of project-based “Esperanto.” It is an identity capable of representing a fusion of the project’s various influences, once inscribed within the local cultural environment, but now increasingly oriented toward becoming a mix. This mix is producing new directions for inquiry and research while at the same time striving to preserve all the more important local identities. Therefore, the future is headed toward a European architecture as technologically advanced as, for example, that of the United States of America, but possessing a common language that is recognizable to all its citizens. Brussels is a city with a historic center, but ever since it became one of the European Union’s symbolic cities, it has been changing its historic countenance. Large political-administrative office buildings have upset the equilibrium between ancient, historic city sectors composed of medieval structures, and layers of construction built over successive past epochs. Despite the fact that the city appears to sparkle with new buildings encased in glass and steel, its delicate balance and harmony are increasingly endangered due to its modernization process. Fortunately, the work of redesigning the architectural image of this European city par excellence has been entrusted to important international architects – men and women capable of creating architecture with its own identity. This is exactly what has happened with the renovation of the Charlemagne Building designed to host the headquarters of the European Community. The renovated complex is located in a neighborhood characterized by a principal front along a roadway axis that is under continuous yet rapid transformation. Beyond the back section of the edifice there remain some traces of a medium-sized residential neighborhood, now destined to disappear because of the plethora of new European Union construction projects. The theme of the project centers on a total integration of the new structure into the surrounding city. It is characterized by edifices diverse in both history and architectural image. The original Charlemagne Building was built during the 1960s. The complex was intended to host the first political-administrative organizations of the European Community. Therefore, the Murphy/Jahn project focuses on an expansion and reworking of a pre-existing building. Essentially, this is a re-urbanization project carried out through a carefully orchestrated effort of aggregation. It includes the removal of certain parts of the original edifice in order to develop new relationships with roads that have been partially re-constructed by numerous projects, many of which are currently underway. The expansion of the complex has necessitated a re-definition of the architectural mass when compared with the delicate environmental equilibrium of its surroundings. It is with this in mind that the architects chose a solution that would have a minimum impact, an impact that only glass walls can provide. The complex has been outfitted with a thin “skin” or curtain wall, a substance capable of reflecting the surrounding environment thereby integrating the building neatly into its context. The particular articulation of the edifice’s floor plan shows an obvious tendency toward dynamism. This is emphasized by the arrow shape of one side of the complex that responds to the natural inclination of the surrounding terrain. The base of the building, on which the entire structure rests, hosts a series of functions including the main entrance. Inside is an atrium defined by all-glass walls, an addition that functions as a mediating element between the edifice and the surrounding urban space. 49 Particolare della facciata vetrata e, nella pagina a fianco, la scalinata che porta alla piazza sopraelevata. Details of the glass facade and, opposite page, the stairway that leads to the raised plaza. Particolari della parete vetrata vista dall’interno e dettaglio tecnico del sistema di facciata. Details of the glass walls seen from the inside and technical details of the facade system. 50 51 Visioni ad assetto variabile Visions on a Variable Axis Bilbao, aeroporto di Sondica Bilbao, the Sondica Airport Progetto di Santiago Calatrava Valls Project by Santiago Calatrava Valls I 52 La facciata interamente vetrata sul lato nord lunga circa 36 m. Il complesso aeroportuale, che copre un’area di 38.000 mq sorge a circa dieci chilometri dalla capitale basca. The glass-encased facade on the north side stretches nearly 36 meters. The airport complex, which extends over a 38,000 square-meter area, is located just ten kilometers from the Basque capital. l futuro? Per alcuni è un ritorno all’età dell’oro: quando l’architettura era un sapere in cui confluivano, in parti uguali, arte e scienza. L’Umanesimo, dunque, almeno in architettura, sta rinascendo come cultura del futuro? Anche se Calatrava non è più quel genio noto solo agli addetti ai lavori, ma una vera star globale, le sue opere sono ancora sorprendenti, intense, cariche di un pathos in grado di emozionare ma anche di celare, all’interno di forme e volumi di grande impatto visivo, raffinatissimi calcoli strutturali. L’architetto-ingegnere valenciano è attualmente forse l’unico progettista erede di Gaudì. Al grande maestro catalano si è, infatti, ispirato per realizzare l’aeroporto di Sondica. Il riferimento progettuale è inequivocabilmente il sottoportico inclinato del Parco Güell, a Barcellona, rielaborato da Calatrava su una pianta sinusoidale. Realizzato circa dieci anni fa, l’aeroporto di Sondica è oggi in piena attività e dispone di otto gate. Promosso dalle autorità di Bilbao per dotare un’area metropolitana in costante sviluppo di un grande scalo aereo, l’aeroporto dista circa dieci chilometri dalla città basca. Destinato inizialmente a sostenere un traffico annuo di due milioni di viaggiatori, lo scalo è ora predisposto per accogliere anche un flusso di oltre dieci milioni di passeggeri all’anno. Il progetto sviluppa l’idea di un terminal compatto, caratterizzato da grandi superfici vetrate e articolato su quattro piani. La semplificazione distributiva è uno dei concetti portanti, attuato attraverso un impianto semplificato, caratterizzato dal contenimento dei percorsi interni destinati a favorire soprattutto l’unitarietà dello spazio complessivo. Ciò favorisce gli spostamenti dei passeggeri e il miglior orientamento possibile dei viaggiatori. Intorno a questo nucleo funzionale, sorgono due grandi ali laterali, capaci di accogliere partenze e arrivi, ma anche tutti gli uffici amministrativi. Un grande parcheggio, a quattro livelli, assicura un’adeguata connessione fra aeroporto e trasporto pubblico e privato. Strutturalmente, l’aeroporto si sviluppa su un sistema di pilastri, travi e archi in cemento armato, in grado di assicurare stabilità alla grande copertura metallica nervata, sviluppata su una pianta triango- TRASPARENZA TRANSPARENCY lare e conformata su un volume complesso e di grande impatto visivo. Le ali laterali sono protette da una doppia copertura voltata, rinforzata da un sistema di costole e montanti di acciaio posti su pilastri di calcestruzzo. La “piegabilità delle strutture nello spazio” è alla base dell’assunto poetico di Calatrava e fa da perno per un impiego complesso della geometria, ma anche per la dinamica e la leggerezza, fondamentali nella sperimentazione strutturale dell’opera di ingegneria. Tuttavia, sperimentazione tecnologica e soluzioni strutturali innovative non sono mai poste in primo piano, esibite, ma risultano, invece, organiche alla composizione generale dell’opera architettonica. Il tema della copertura, per esempio, spiega tale processo attraverso una figura semplice e complessa nello stesso tempo come la vela, già impiegata per la copertura delle officine Jakem, uno dei primi importanti progetti elaborati da Calatrava all’inizio dell’attività professionale. Calatrava è tuttora impegnato, anche come teorico, in un dibattito fondativo per l’architettura contemporanea e si batte per risolvere le problemati- che che coinvolgono la riconoscibilità sociale, ma anche la stessa identità dell’architettura e dell’ingegneria. Esistono, insomma, ancora alcuni nodi da sciogliere come quello che ha dato origine ad alcune polemiche interne al mondo dell’architettura e sostanzialmente alimentate dalle “eresie” di Frank Gehry (per esempio: il nuovo Museo Guggenheim di Bilbao), contro cui si batte una sorta di confraternita di architetti e ingegneri puristi, incapaci di superare la rigida separazione fra architettura e ingegneria. Problema superabile attraverso un’esperienza progettuale che non escluda la componente artistica nell’opera architettonica ma neanche in quella infrastrutturale come, per esempio, un grande viadotto. Anche l’opera di Calatrava ha generato contrasti e divergenze, soprattutto fra gli addetti ai lavori: era ritenuta destabilizzante, per l’ordine costituito, la carica visionaria che caratterizza l’Auditorium di Tenerife, la Città delle Scienze di Valencia e l’ampliamento del Museo di Milwaukee, interessanti proprio per le ricerche sulle potenzialità comunicative dell’architettura, intesa come medium. 53 54 Particolare di un gate d’imbarco. Details of a departure gate. T he future? For some, it will be a return to the Golden Age, an epoch in which architecture was a body of living knowledge com-posed equally of art and science. Could it be said that Humanism, at least in architecture, is being reborn as the culture of the future? Although Calatrava is no longer the type of genius recognized only in his field, but as a global star, his work continues to elicit surprise. It is intense, charged with a pathos capable of stirring emotions. But it is also capable of hiding extremely refined structural calculations within forms and volumes that present an extraordinary visual impact. Currently, this architect/engineer from Valencia is perhaps the only architectural designer who can be considered an heir to Gaudì. In fact, he found inspiration in the work of the great Catalan master for his Sondica airport project. The design reference is unquestionably evident in the sloping interior of the portico in Barcelona’s Güell Park that was re-elaborated by Calatrava based on a sinusoidal plan. Created almost ten years ago, the Sondica airport today is fully operational and outfitted with eight gates. It was promoted by the authorities in Bilbao in order to provide a major airport for the constantly expanding metropolis. The Sondica construction is located approximately ten kilometers from the Basque city. Initially intended to sustain an air passenger volume of two million travelers per year, this airport will now be able to accommodate a flow of more than ten million passengers per year. The project expands on the idea of a compact terminal, characterized by large glass surfaces articulated over four floors. A simplified ground plan gives the notion of distributive simplification as one of the main concepts. The layout calls for careful containment of the internal pathways that are designed primarily to support the unity and singularity of the comprehensive space. This concept facilitates the flow of passengers and provides travelers with the best possible orientation within the space. Two great wings are spread around this functional nucleus, each of which is capable of hosting both arrivals and departures, as well as housing all the administrative offices. A large parking area extends over four floors to guarantee adequate connection between the airport and both public and private transportation. Structurally, the airport is built on a system of reinforced concrete pillars, girders and arches to provide ample stability for the large ribbed metallic covering. Its triangular form helps emphasize its strong visual impact. The lateral wings are protected by a double-vaulted covering that is in turn reinforced by a system of structural ribs and steel stanchions running up from concrete pillars. The “flexibility of structures in space” is basic to Calatrava’s assumed poetry, and functions as the pivot for a complex blend of geometry. It is also central to dynamics and lightness in his work, both of which are fundamental to the structural experimentation that lies at the heart of engineering. When all is said and done, technological experimentation and innovative structural solutions are never on display at the center of attention. Instead, they are organic to the general composition of an architectural work. The theme of the covering, for example, explains this process through a simple yet complex figure that resembles a large triangular sail billowed by the wind. He used a similar theme in the covering of the Jakem warehouse, one of the first major projects conceived and undertaken by Calatrava at the very beginning of his professional career. Calatrava is still engaged in work as a theorist in the fundamental debates of contemporary architecture. He continues to strive to resolve 55 problems and issues that involve not only social recognition, but the very identity of architecture and engineering, too. Essentially, there still exist relevant knots to untangle. For example, the issue which has created considerable controversy within the world of architecture and is substantially supported by Frank Gehry’s “heresies” (e.g. the case of the new Guggenheim Museum in Bilbao). Such issues are being fought by a sort of fraternity of architects and purist engineers who seem unable to conquer the rigid separation between architecture and engineering. It is a problem that can be overcome by using experience from projects that integrate the artistic component in both architectural works and infrastructures, such as in a great viaduct. Even Calatrava’s creation has generated contrasts and divergences, especially among those working within the field of architecture. What was once considered destabilizing – according to the established order – in the visionary charge that characterizes the Auditorium in Tenerife, the City of Science in Valencia and the expansion of the Milwaukee Art Museum, has now been recognized as relevant and interesting. This is precisely due to the exploration of the communicative potential of architecture, now intended and understood as medium. In alto, particolare della grande copertura a sbalzo e, qui a destra, dall’alto in basso, piante del piano terra e del livello partenze. Above, detail of the large cantilevered roof and right, from top to bottom, plans of the ground floor and departure level. Parete vetrata del tunnel sotterraneo destinato al parcheggio di quattro piani. Glass walls of the underground tunnel designed for the four-floor parking garage. 56 57 Veduta generale degli otto gate e, in basso, particolare della grande copertura a sbalzo. Overall view of the eight gates and, below, detail of the large cantilevered roof. 58 Dettaglio della copertura e, in basso, la copertura con il sistema strutturale di sostegno in acciaio. Details of the roof and, below, the roof with its steel structural support system. 59 Prospetto e, in basso, particolare di un sottopassaggio che conduce al parcheggio interrato. 60 Elevation and, below, detail of an underpass leading to the underground parking garage. Sezione trasversale e particolare dell’atrio realizzato in cemento a vista. Cross section and detail of the atrium, built with exposed concrete. 61 62 63 Trasparenze in viaggio Transparencies On the Road Houten, stazione di servizio Houten, Service Station Progetto di Samyn et Associés Project by Samyn et Associés 64 N egli anni Sessanta, Roy Lichtenstein definiva le pompe di benzina “monumenti commerciali, altari ai beni di consumo”, e prefigurava un futuro sempre più popolato di “mostruosità” ipertrofiche, iperrealistiche cattedrali dedicate alla glorificazione delle multinazionali petrolifere. Dopo quarant’anni, lo studio d’architettura Samyn et Associés propone invece una netta inversione di tendenza, puntando su un raffinato understatement linguistico, espresso attraverso materiali inusuali, industriali pur senza insistere nell’high-tech, poveri eppure “intelligenti”, poiché in grado di integrarsi in qualsiasi contesto senza perdere la propria identità. Il rapporto identità/forma è attualmente un nodo oggetto di molte riflessioni, sia in ambito progettuale che teorico. Nel caso di strutture architettoniche ad alto tasso di comunicazione come le stazioni di servizio, dove è l’originalità dell’imprinting figurativo a creare consenso, si intuisce come il concept progettuale vincente sia poi in grado di tracciare linee di tendenza per il futuro. Non bisogna inoltre trascurare che, oltre a diffondersi nel paesaggio reale, tutto ciò che attiene al mondo dell’auto è anche immerso in un oceano mediatico sempre più complesso e coinvolgente. Riflessioni e ricerche sul futuro del progetto e della professione dell’architetto non possono evitare un dato di fatto: lo sviluppo dell’informatica tende sempre più a favorire un’architettura “spalmata” sull’immaterialità del ciberspazio, e quindi la forma nella sua accezione compositiva tridimensionale è sempre meno elemento centrale nel pensiero dell’architetto. Il rapporto identità/forma, per esempio, è ormai oggetto di riflessioni per nuove direzioni di senso, anche perché la stessa figura dell’architetto sta perdendo centralità nel progetto: TRASPARENZA TRANSPARENCY oggi egli condivide la responsabilità progettuale con nuove figure creative come il symbol maker, il grafico e, a volte, anche lo sceneggiatore, il regista e lo scenografo, figure professionali in grado di trasformare l’architettura in una fabbrica di sogni. Le nuove stazioni di servizio come quella di Houten, nei Paesi Bassi, progettata da Samyn et Associés, sono il risultato di una ricerca condotta dalla società committente per ridare nuovo smalto a un sistema ormai obsoleto, incapace di comunicare nuove strategie aziendali. La stazione di servizio è, infatti, elemento terminale di grande valore iconico: sia come comunicazione pubblicitaria sia per le implicazioni socioculturali relative al mondo dei trasporti. La sensibilità verso il tema della salvaguardia dell’ambiente, nella sua accezione più allargata, comprendente quindi anche problematiche d’impatto sul territorio, è oggi fondamentale per creare positive ricadute sull’immagine complessiva dell’azienda. In questo caso, la trasparenza degli schermi in lamiera stirata è garanzia di massima integrazione con l’intorno sia esso agricolo oppure urbano. Le sinuose pareti che avvolgono la stazione di servizio di Houten, oltre ad alleggerire l’insieme e a creare quel senso di interiorità tridimensionale, sono anche percorso guidato per suggerire sequenze funzionali legate al rifornimento, al controllo motoristico e alla sosta degli automobilisti. È dunque la dinamica insita nell’immagine dell’automobile ad avere ispirato forme avvolgenti, fluide, in grado di suggerire orientamento e modalità d’ingresso al complesso. Il doppio ordine di paraventi funge inoltre da schermo antivento e la linea continua di neon blu, sistemata nei bordi degli schermi, segnala, con effetti suggestivi, la presenza della stazione anche durante le ore notturne. In queste pagine, particolari degli schermi antivento in acciaio zincato della stazione di servizio di Houten (Olanda). Details of the Houten (Netherlands) service station’s windscreens constructed from galvanized steel. 65 D 66 Rendering di progetto e, nella pagina a fianco, i percorsi suggeriti dalla disposizione degli schermi antivento. A project rendering and, opposite page, the pathways reflecting the same layout of the windscreens. uring the 1960s, Roy Lichtenstein defined gasoline pumps as “commercial monuments, altars to the wealth of consumption.” He envisioned a future increasingly populated by hypertrophic “monstrosities,” hyperrealistic cathedrals dedicated to glorifying multinational oil and gas companies. Forty years later, Samyn et Associés is proposing a total reversal of this architectural trend. The underlying concept focuses on a refined linguistic understatement expressed through the use of unusual materials. Although these materials are traditionally reserved for industrial construction applications, they are versatile enough to be used in many other types of construction without losing their identity. The identity-to-form relationship is currently a knot located at the center of considerable reflection and evaluation, both in design and in theoretical arenas. In the case of highly communicative architectural structures, like the service station, – where the originality of figurative imprinting creates consensus – one can understand how the winning design concept could actually outline fashion trends of the future. It is also important to highlight that, in addition to immuring itself in the real landscape, everything pertaining to the automobile world is also immersed in an ocean of increasingly complex media attention. Reflection and research on the future of the pro- ject and on the architectural profession cannot possibly avoid the simple fact that the development of computer science increasingly tends to favor an architecture “splayed” into the immateriality of cyberspace. Therefore form, in its threedimensional composite meaning, is decreasingly central to the average architect’s thinking process. The identity-to-form relationship, for example, has by now become the object of reflection on new meaning directions. This is also due to the fact that the architect himself is losing centrality in the project. Today, he shares design responsibility with new creative figures like the symbol maker, the graphic designer and, occasionally, even the scriptwriter, the director and the set designer – professionals capable of transforming architecture into a factory of dreams. The new service stations, like the one designed for the town of Houten, Netherlands, by Samyn et Associés, are the result of client research to develop a new look for a system that is by now obsolete and incapable of communicating new company strategies. The service station is, in fact, a terminal element of great iconic value. It serves as a means of publicity and also holds socio-cultural implications relative to the world of transportation. The increased sensitivity to environmental themes in their broadest sense, including problems of environmental impact, is fundamental today to creating positive feelings toward the overall image of an oil company. In this case, the transparent metal screens surrounding the gas station guarantee maximum integration into both agricultural and urban surroundings. The sinuous walls that encase the Houten service station lighten the whole and create a sense of three-dimensional interior space. They also serve as guided pathways that suggest functional sequences related to filling the gas tank, automobile inspections and rest area activities. Therefore, the very dynamics inherent in the image of the automobile have inspired this enveloping, fluid form – a form capable of suggesting orientation and means of entry into the complex. The double row of screens also functions as a windshield. Finally, the continuous neon blue line running along the edge of the screens signals, with suggestive effect, the presence of the station even during nighttime hours. 67 La materia sarà immateriale? Will Matter Be Immaterial? Roma, Centro Congressi Italia Rome, Italia Convention Center Progetto di Massimiliano Fuksas Project by Massimiliano Fuksas 68 L a rivoluzione elettronica è stata una straordinaria occasione di rinnovamento per l’architettura: l’informatica, per esempio, ne ha ampliato il campo d’azione trasformandola in uno straordinario medium globale. In certi casi però l’eccessiva contiguità con le tecnologie elettroniche ha decretato una sorta d’azzeramento del processo compositivo, inteso come aggregazione di volumi, di equilibrio di pieni e vuoti, il tutto messo insieme secondo uno schema simile a quello destinato alla realizzazione di una scultura astratta. Ovvero: l’architetto fa un passo indietro come progettista dello spazio per lasciare campo libero alla bidimensionalità del linguaggio grafico dell’insegna elettronica. In occasione della VII Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia (18 giugno-29 ottobre 2000) gli architetti americani Robert Venturi e Denise Scott Brown hanno presentato progetti e realizzazioni all’insegna di un concept che non lasciava dubbi: “l’architettura intesa come edificio generico ornato dall’iconografia elettronica”. Insomma, oggi in architettura non vi sono dogmi progettuali, steccati entro cui operare all’insegna di un’ortodossia ormai fuori tempo, ma una pluralità di linguaggi che convivono senza creare interferenze reciproche. Il Centro Congressi Italia ne è una prova. La struttura sospesa è, infatti, un elemento di forte comunicazione inserito in un impianto modellato su uno schema definibile razionalista. L’architettura non è più organizzata solo intorno a modelli di efficienza, ma verso la ricerca di un’identità forte, inconfondibile. In questo caso, la ricerca di Fuksas si è orientata verso una struttura aerea che sfidasse la forza gravitazionale creando una massa composta di trasparenze e densità, dissolvendo così la struttura materiale in una sorta di visione onirica di grande impatto psicologico. L’architettura ritorna così a fondersi con l’arte attraverso la rappresentazione simbolica dell'onirico, presente nel subconscio più segreto e profondo. Fuksas compie quindi un’operazione inusuale per un architetto, creando prima un’immagine forte, clamorosa, spettacolare, e trovando poi il modo di renderla anche funzionale attraverso un’operazione di exploitation cinematografica (ideare prima la locandina e poi realizzare il film). Il complesso congressuale ideato da Fuksas è risultato vincitore in un concorso internazionale diviso in due fasi, con una giuria presieduta da Sir Norman Foster. Alla competizione hanno parteci- pato importanti architetti come, tra gli altri, Richard Rogers e il gruppo francese AREP. Il complesso congressuale sarà realizzato nel quartiere EUR a Roma, tra i viali Colombo, Asia, Shakespeare ed Europa, e sarà il più grande costruito in Italia. Le forme semplici e squadrate che caratterizzano il nuovo centro congressuale sono una citazione e una forma di rispetto contestuale, come spiega lo stesso Fuksas: “Rende omaggio al razionalismo degli anni Trenta che segna il volto dell’EUR e all’architettura formalmente pulita dell’adiacente Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, progettato da Adalberto Libera”. Il complesso è destinato ad accogliere tre sale, TRASPARENZA TRANSPARENCY rispettivamente di 1.500, 4.000 e 8.000 posti; uno spazio polifunzionale di 15.000 metri quadrati per il foyer, alcuni caffè e un ristorante. La struttura sospesa, chiamata anche “nuvola”, sarà posta al centro della grande hall e accoglierà un auditorium e sale riunioni. Il resto del centro congressuale sarà destinato alle funzioni alberghiere, ma avrà spazi flessibili in grado di trasformarsi in open space o aree destinate a uffici indipendenti. Una volta in funzione, il centro congressuale potrà accogliere eventi e manifestazioni con una presenza di circa diecimila visitatori giornalieri. In realtà, saranno molti di più se si pensa all’appeal mediatico del centro congressuale romano: televi- sione, giornali e Internet divoreranno con grande avidità un’architettura leggera come una nuvola ma complessa come una microcittà in cui si percepiscono l’alto e il basso, la densità e il vuoto, il rumore e il silenzio, il caldo e il freddo, la morbidezza e la durezza, la confusione e la chiarezza. Insomma, non saranno solamente il teflon e l’acciaio, i materiali con cui sarà realizzata la “nuvola”, a dare visibilità alla struttura, ma anche la sua immagine veicolata attraverso i media. Il suo territorio di confronto non sarà dunque solo la città reale, ma anche le pagine dei giornali e gli schermi dei televisori e dei computer. Planimetria generale del complesso congressuale da realizzare a Roma su un’area di 15.000 mq. L’edificio è composto da un auditorium, varie sale riunioni, tre sale, bar e ristorante. General plan of the convention complex to be built in Rome over a 15,000 square-meter area. The building includes an auditorium, various meeting rooms, three halls, a bar and a restaurant. 69 70 Sezioni longitudinale e trasversale. Longitudinal and cross sections. T he electronic revolution has had an extraordinary impact on the advancement of architecture. For example, computer science has broadened its field of influence, transforming architecture into a remarkable global medium. In certain cases, however, excessive contiguity with electronic technologies has produced a kind of nulling of the compositional process understood as an aggregation of volumes, a balance between full and empty spaces. It is similar to the full and the empty spaces that are brought together in a sketch used in the creation of some abstract sculpture. More precisely, architecture takes a considerable step backward as the designer of space in order to give free rein to the two-dimensional nature of the electronic graphic language. During the VII International Architectural Show at the Venice Biennial Exhibition (June 18th to October 29th, 2000), American architects Robert Venturi and Denise Scott Brown presented projects and realizations influenced by a concept that left no room for doubt in the minds of onlookers, “architecture understood as generic edifice decorated with electronic iconography.” Essentially, in architecture today, there no longer exist project dogmas, boundaries within which one must work according to an orthodoxy that has by now fallen out of style. Instead, there is a plurality of languages that co-exist without creating any undue reciprocal interference. The Italia Convention Center is solid proof of this assertion. The suspended structure is, in fact, a strong element of communication integrated into a plan based on a clearly rationalistic outline. Architecture is no longer organized merely around models of efficiency, but around the search for a strong and unmistakable identity. In this case, Fuksas’s search is oriented toward an aerial structure that challenges the very force of gravity, creating a mass composed of transparencies and densities. This play of elements dissolves the material structure into a sort of dreamy vision that has tremendous psychological impact. Thus, architecture returns to a blending with art through the symbolic representation of the world of dreams that is present in the most secret and deepest subconscious. Fuksas carries out an unusual operation for an architect. He first creates a strong, clamorous, spectacular image, and subsequently finds a way to render it functional through Rendering del complesso. Il progetto di Fuksas è risultato vincitore del concorso internazionale per il nuovo Centro Congressi Italia all’EUR. A rendering of the complex. Fuksas’s project was the winning entry in an international competition to select a design plan for the new Italia Convention Center in Rome’s EUR neighborhood. 71 a display of cinematographic exploitation. It is as if he were first creating a movie poster, then the movie. The convention center designed by Fuksas was the winning result of a two-phase international juried competition under the direction of Sir Norman Foster. Numerous prominent architects participated in the competition, including, among others, Richard Rogers and the French group AREP. The center complex will be constructed in the EUR neighborhood of Rome, between Colombo, Asia, Shakespeare and Europa streets. It will be the largest construction of its kind ever built in Italy. The simple and squared forms that characterize the convention center are a reference as well as an expression of contextual respect, as Fuksas explains, “(The complex) pays homage to the rationalism of the 1930s. That way of thinking greatly influenced the face of the EUR neighborhood and the formally clean architecture found in the neighboring Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, designed by Adalberto Libera.” The complex will have three large halls with 1,500, 4,000 and 8,000 seats, respectively. It will include a multifunctional foyer spanning 15,000 square meters, several cafes and a restaurant. The sus- pended structure, also referred to as the “cloud,” will be located at the center of the great hall and will contain an auditorium and meeting rooms. The remaining spaces of the convention center are destined for hotels and independent offices. Once the center is open and operational, the structure will be able to host events and shows for public audiences of about ten thousand people per day. In reality, if one considers the media appeal of the Italia Convention Center, there will surely be more to come. Television, newspapers and the Internet will devour an architecture as light as a cloud but as complex as a micro-city. In this type of design, one can perceive highs and lows, dense spaces and emptiness, clamor and silence, hot and cold, softness and hardness, confusion and clarity. In other words, there will be more than just Teflon and steel, the materials out of which the “cloud” will be constructed to give the structure visibility. Its very image will spread through the various channels, lines and outlets of the media. Therefore, its terrain of comparison will not simply be the surrounding real city, but also newspaper pages, television screens and computer monitors around the world. Rendering del grande involucro in acciaio e teflon di 3.500 mq posto nella sala convegni. Definita “nuvola”, la struttura sospesa è retta da nervature in acciaio e sovrasta un elemento verticale che accoglierà il ristorante. 72 A rendering of the enormous, 3,500 square-meter steel and Teflon shell located in the convention room. Defined as a “cloud,” the suspended structure is supported by a steel framework and hangs over a vertical component that will eventually house the restaurant. 73 La presenza dell’assenza The Presence of Absence New York, American Bible Society New York, American Bible Society Progetto di Fox & Fowle Architects Project by Fox & Fowle Architects 74 In queste pagine, il volume vetrato, dettaglio della vetrata strutturale e piante dei piani terra e secondo. The glass-encased volume, a detail of the structural glass pane, and plans of the ground and second floors. L’ ampliamento di un edificio esistente come l’in tervento dell’American Bible Society, è un tema stimolante e affascinante quanto un viaggio in un organismo concluso, cui però si deve modificare il codice genetico per svilupparne nuove ramificazioni di crescita. Facile intuire quindi come l’operazione ponga alcuni problemi, sostanzialmente esemplificabili in due distinte filosofie progettuali: una che, ponendo l’accento sul contrasto per evidenziarne le distinte fasi di realizzazione, dia il giusto risalto alla creatività del progettista, e un’altra orientata verso una mimesi totale per limitare al massimo disomogeneità stilistiche e problemi di “rigetto”. L’ampliamento della sede dell’American Bible Society di New York dimostra invece che esiste anche una terza via, con ottimi risultati e indicazioni utili per progettisti alle prese con analoghe problematiche. La scena urbana in cui sono intervenuti Fox & Fowle è caratterizzata da un complesso risalente agli anni Sessanta, realizzato su progetto di Skidmore Owings & Merrill. Tra le peculiarità della costruzione, soprattutto quelle fondamentali nel rapporto con l’intorno, risalta l’ubicazione del complesso, arretrato rispetto alla strada per ottenere una sorta di piazza e creare così un’area di rispetto destinata a esaltare il prestigio architettonico della fondazione culturale. L’intervento di Fox & Fowle punta su una decisa riscrittura del luogo, sulla ridefinizione contestuale di un sito che ha perduto identità attraverso successive stratificazioni. Quando nel 1966 fu realizzata la sede della fondazione, l’intorno era caratterizzato da un tessuto urbano composto di edifici bassi, poi modificatosi attraverso demolizioni radicali e l’edificazione di complessi a più piani. Tra gli obiettivi del progetto, c’era l’intenzione di realizzare una nuova struttura connotata come TRASPARENZA TRANSPARENCY segno forte, senza tuttavia snaturare l’esistente. L’operazione compiuta da Fox & Fowle è insolita e va letta evidenziandone il carattere transdisciplinare, in questo caso tracce e percorsi fra architettura e linguistica, in atto da qualche tempo quale occasione di ricerca per nuove linee di tendenza progettuale. Sembra dunque che gli architetti si siano immersi in una polifonia di suggestioni e osservazioni originata da un’ambiguità etimologica: “proiettare” e “progettare” derivano, infatti, dal latino “gettare avanti”. Il nuovo volume, interamente vetrato, nasce dunque come metafora di un corpo architettonico “mobile”, virtualmente proiettato in avanti come se la facciata dell’edificio esistente si espandesse, creando un avancorpo trasparente e immateriale, suggerendo così come anche in architettura, a volte, l’assenza sia una particolare forma di presenza. La tecnologia costruttiva è quella della vetrata strutturale, ovvero lastre fissate per punti e solidali a un’esile struttura di acciaio, in grado di accentuare al massimo l’effetto di trasparenza dell’insieme. Ciò, oltre a rendere l’addizione architettonica non invasiva, dà corpo a un contenitore in cui – grazie a immagini proiettate su schermi giganti – architettura e media si fondono in un unico linguaggio di grande suggestione e forza evocatrice. Insomma, nuove tecnologie costruttive e linguaggio mediatico sono sempre più sinergici e destinati a influenzare nuove direzioni di ricerca in una delicata disciplina come l’architettura, per anni prigioniera di schematismi tecnocratici e dogmi progettuali. 75 Veduta complessiva del padiglione vetrato sulla cui superficie possono essere proiettate immagini e testi tradotti in oltre sessanta lingue. Comprehensive view of the glass pavilion. Images and texts translated into more than 60 languages can be projected onto its surfaces. 76 T he expansion of an existing edifice, like the one that houses the American Bible Society, is a fascinating and stimulating challenge. It is comparable to taking an imaginary voyage through a mature organism at the cellular level. However, this mature organism must be genetically modified if new growth and branching out is to develop. With this in mind, it is easy to intuit how the operation poses several problems exemplified in two distinct design philosophies. The first one provides an appropriate outlet for the architect’s creativity by placing the emphasis on contrast in order to highlight the separate phases of realization. The second is oriented toward a total mimesis in an attempt to minimize a lack of stylistic homogeneity and the potential for “rejection.” The expansion of the American Bible Society’s home office in New York is an undertaking that points to the existence of a third approach. It’s an approach that provides optimum results as well as useful guidelines and solutions for architects who are grappling with similar problems and situations. The urban setting within which Fox & Fowle have labored is characterized by a complex built in the 1960s, based on a design by Skidmore Owings & Merrill. The structure’s location stands out among its peculiarities, especially those fundamental to its relationship with its surroundings, as it is deliberately set back from the street in order to form a kind of plaza. This creates an area of respect that serves to enhance and amplify the architectural prestige of this cultural foundation. Essentially, Fox & Fowle’s intervention places emphasis on a decisive restructuring of the area – a contextual redefinition of a site that has lost its identity through the effect wrought by successive stratifications. Its surroundings were defined by an urban fabric composed primarily of low-rise buildings when the foundation’s home office was originally constructed in 1966. This fabric was subsequently modified through the radical demolition of existing structures and the construction of multistoried complexes. Among the project’s objectives lies the intention to create a new structure marked by strong architectural signs without distorting the existing building. The operation carried out by Fox & Fowle is unusual in its insistence on highlighting its trans-disciplinary nature. This dimension articulates traces and inroads between architecture and linguistics that have been functioning as research expeditions into new methods, trends and modalities in architectural design for some time. Basically, it appears the architects immersed themselves in a multifaceted concert of suggestions and observations originating from an etymological ambiguity. In fact, the term “to project” can be defined both as “to plan” and “to throw forward.” Therefore this new glassencased volume is born as a metaphor for a “mobile” architectural body. It has virtually been projected forward as if the edifice’s existing facade were expanding, thus creating a forward body that is both transparent and immaterial. All of this suggests how even in architecture, absence can function as a particular form of presence. Here, the construction technology is created from sheets of structural glass fixed at points to an existing steel structure to maximize the transparency and functionality of the expansion while at the same time rendering it subtle and non-invasive. It is as if it were a kind of container in which architecture and media blend together, thanks to images projected onto gigantic screens. This blend forms a unique language that at once challenges the soul of mankind to ponder his position in the heavenly realm. When all is said and done, new construction technologies and media languages are increasingly synergetic and together are destined to influence and give rise to new areas of exploration within the delicate discipline of architecture. It is a positive and exciting influence in a field that has remained a prisoner of technocratic planners and design dogmas for far too many years. 77 In questa pagina, sezione sull’ampliamento dell’American Bible Society e particolari dei giunti in acciaio che sostengono le pareti vetrate. This page. A section of the American Bible Society expansion and details of the steel joints that support the glass walls. La merce e la sua metafora Merchandise and Its Metaphor Wolfsburg, Autostadt, la città dell’automobile Wolfsburg, Autostadt, Car City Progetto di Gunter Henn Project by Gunter Henn 78 TRASPARENZA TRANSPARENCY Nella pagina a fianco, le due torri vetrate del Centro Comunicazione Volkswagen contenenti le nuove auto pronte per la consegna. Ogni torre può ospitare fino a quattrocento veicoli, distribuiti su 20 piani attraverso particolari ascensori. S Opposite page. The two glass towers of the Volkswagen Communications Center housing new cars awaiting final delivery. Each tower can hold up to four hundred vehicles, distributed over 20 floors using special elevators. e l’architettura ha un futuro anche come linguaggio massmediatico, la sua identità sembra sospesa fra due opposte polarità: da una parte trasfigurare in metafora tecnologica merci e beni di consumo, dall’altra mutare la sua tridimensionale modernità in pura superficie da tatuare con i segni della comunicazione interattiva. Effetti speciali e tecnologie multimediali sono il paesaggio visivo e sonoro di Autostadt, città dell’automobile in grado di accogliere fino a un milione di visitatori l’anno, inclusi coloro che, suggestionati da una sorprendente macchina architettonica, acquisteranno l’auto sognata direttamente in fabbrica, affascinati da un rituale dedicato al mondo dell’automobile e glorificato da una particolare filosofia della comunicazione basata sul concetto di corporate architecture. Il nuovo complesso Autostadt sorge nell’area storica degli stabilimenti Volkswagen, a Wolfsburg, di cui occupa la ragguardevole superficie di circa trenta ettari. Altrettanto importante è stato l’investimento per la sua realizzazione, pari a 435 milioni di euro. Il sito è in posizione strategica, davanti alla stazione ferroviaria del piccolo centro urbano che accoglie il più grande insediamento industriale Volkswagen del mondo. E ora anche una delle più stupefacenti macchine di comunicazione destinate a rendere percepibile da tutti la complessità dell’universo automobile. Alla ricerca di emozioni, promesse da mass media e stampa di settore, il potenziale acquirente di vetture Volkswagen prima di giungere alla “Mecca” deve compiere una sorta di percorso iniziatico: appena uscito dalla stazione, unica fermata del treno ad alta velocità ICE, lungo la linea BerlinoHannover, oltrepassa un tecnologico ponte dall’aerea struttura lanciato sul canale Reno-Elba ed entra in una sorta di piazza all’interno del padiglione di accoglienza, dove inizia uno show multimediale capace di dire di tutto su tutto il mondo che ruota attorno al gruppo Volkswagen e alla sua filosofia industriale. In tal senso appare oltremodo eclatante il grande padiglione-hangar, realizzato con pareti vetrate rotanti alte circa venti metri, da cui si può scegliere se dirigersi verso i padiglioni tematici, come il Museo dell’Auto e della Civiltà Tecnologica, oppure verso spazi specificatamente automobilistici come quelli dedicati ai vari marchi del gruppo. Ciascun padiglione è stato progettato caratterizzandone l’architettura e gli allestimenti quali dirette espressioni dei diversi target commerciali cui sono destinate le auto e i veicoli industriali prodotti da Audi, Bentley, Lamborghini, Scania, Seat, Skoda e Volkswagen. Il padiglione Bentley, per esempio, è configurato come una collina cava, mentre quello Lamborghini come un grande prisma conficcato nel terreno, per evocare la forza dirompente e ultraveloce di un volume geometrico dinamico e carico di energia latente. In realtà, Autostadt non è solamente esaltazione di tecnologiche virtù automobilistiche, ma anche consapevolezza del ruolo strategico che una grande industria come il gruppo Volkswagen svolge quando punta alla salvaguardia dell’ambiente naturale. Il progetto generale della città dell’automobile è, infatti, pressoché fondato su principi bioclimatici. Quindi ventilazione naturale – escluse le sale cinematografiche – al posto di complessi impianti di condizionamento, notoriamente responsabili di alti consumi energetici. La piazza coperta con le altissime vetrate è racchiusa da dodici enormi prismi rotanti, in grado di creare, secondo le stagioni, il miglior compromesso climatico all’interno. Il padiglione cubico, destinato al marchio Volkswagen, dispone di un sistema di lamelle in alluminio relazionato al movimento del sole e capace di produrre giochi di luce che evidenziano il movimento delle nuvole. La fine del percorso all’interno di Autostadt coincide con il KundenCenter, il centro clienti, e le due torri trasparenti alte cinquanta metri e utilizzate come silos di contenimento delle vetture da vendere. È in questi due luoghi che va in scena lo spettacolo della cerimonia della consegna dell’auto, destinata a rimanere un evento impresso nella memoria del cliente. Il veicolo è “concesso” in un clima di grande suggestione, che potrebbe ricordare il chapliniano Tempi moderni con la sua allineante mistica meccanicista: le vetture in consegna – a pieno regime ne saranno movimentate circa ottocento al giorno – arrivano su un nastro trasportatore provenienti da un tunnel collegato con gli stabilimenti di produzione. Le vetture appaiono illuminate da fasci di luce al centro del padiglione clienti, ampio e altissimo come una cattedrale laica dedicata al culto della mobilità privata. 79 Nella pagina a fianco, interno di una delle torri vetrate con il sistema di ascensori destinato alla movimentazione delle auto. 80 Opposite page. An internal view of one of the glass towers and the elevator system designed to move automobiles. I f architecture is to have a future as a mass media language, its identity seemingly hangs between two opposite poles. At one pole, it can transform merchandise and consumer products into a technological metaphor. At the other, it could transform its three-dimensional modernity into pure surfaces that can be marked with the characters of interactive communication. Special effects and multimedia technologies constitute the visual and audio landscape in Autostadt. This car city can host up to one million visitors per year, including those who, attracted by a surprising architectural machine, come to buy the car of their dreams directly from the factory. Shoppers are inspired by a ritual dedicated to the world of the automobile and glorified by a particular communication philosophy based on a concept of corporate architecture. The new Autostadt complex stands in the middle of the historic environs of the Volkswagen factories in Wolfsburg. The building occupies a considerable stretch of terrain encompassing nearly thirty hectares. Investment in this area is even more noteworthy, nearly 435 million euros. The Autostadt is strategically located in front of the local train station, in the small urban center that is home to the largest Volkswagen industrial complex in the world. The site is also one of the most striking communication machines in existence – an edifice designed to make the complex universe of the automobile understandable to everyone. Potential Volkswagen buyers flock to this car’s “Mecca” in search of stimulation and answers to promises made by mass media and car magazines. On the way, they undertake a kind of initiation journey. As soon as they leave the station, which is the only stop that the high-velocity ICE train makes along the Berlin-Hanover line, they cross a technological bridge suspended high over the Rhine-Elbe Canal and enter a type of plaza inside the welcoming structure. This building features a multimedia show capable of communicating anything and everything about the world of Volkswagen and the carmaker’s industrial philosophy. In this sense, the enormous pavilion-hangar is especially striking, created with rotating glass walls that stretch more than twenty meters high. From there, spectators can choose which pavilion to visit, either heading toward thematic spaces like the Museum of the Automobile and the Civilization of Technology, or toward areas dedicated specifically to the car, like those highlighting the various car models and lines produced by this industrial group. Each pavilion was designed in such a way that the architecture and furnishings directly reflect and express the diverse commercial targets of the various automobiles and industrial vehicles produced by Audi, Bentley, Lamborghini, Scania, Seat, Skoda and Volkswagen. The Bentley pavilion, for example, is constructed like an enormous hollow hill. The space intended for Lamborghini resembles a giant prism inserted into the earth. It evokes the muscular, high-velocity force of a dynamic geometric volume charged with latent energy. In reality, Autostadt is not simply an exaltation of automobile technologies. It also recognizes the strategic role that a great industrial company like the Volkswagen group can play in protecting and respecting the environment. The overall project for the car city is, in fact, largely based on bio-climatic environmental principles. This has given rise to such aspects as natural ventilation in the building – with the exception of the movie theaters – replacing the air-conditioning systems that are notoriously responsible for high-energy consumption. The covered plaza that houses the extremely high glass walls is enclosed by twelve enormous rotating prisms that, depending on the seasons, can create optimal climatic conditions inside the building. The cubic pavilion designed to house the Volkswagen presentation boasts a system of aluminum panels oriented toward the sun’s movement and capable of producing a play of light that highlights the movement of clouds overhead. The end of the pathway through the inside of Autostadt coincides with the KundenCenter, or client center, and with the two 50-meter-high transparent towers used as container silos for cars yet to be sold. This is the site of a show sure to impress a car purchaser, the consignment of a newly bought car. The vehicle is “delivered” in a powerfully suggestive environment, one that may remind onlookers of Chaplin’s Modern Times with its mechanical mystique. The cars being delivered – nearly 800 per day when the complex is completely full and running – arrive on a conveyor belt that runs out from a tunnel connected directly with the production factory itself. The cars appear and are illuminated by beams of light at the center of the client pavilion, which stands wide and very tall like a secular cathedral dedicated to the cult of private mobility. 81 Qui sotto, in senso orario, planimetria generale, veduta aerea e il complesso ZeitHaus, il Museo dell’Auto. Il complesso è composto da un prisma vetrato, il Rack, che ospita una collezione di automobili, e da un volume a forma di prua, il Korpus, dove è illustrata la storia e il ruolo dell’automobile nelle varie epoche. 82 Below. In clockwise order, general plan, aerial view and the ZeitHaus Automobile Museum Complex. The structure is composed of a glass prism, the Rack, which houses a collection of automobiles, and a prow-shaped volume, the Korpus, which details the history and the role of the automobile during various periods of time. Particolare del Korpus, il volume vetrato del Museo dell’Auto. Details of Korpus, the glass volume of the Automobile Museum. 83 In questa pagina, sezione del padiglione Volkswagen e interni dell’edificio caratterizzato da un cubo vetrato che racchiude una sfera. Nella pagina a fianco, immagine complessiva del padiglione Volkswagen. Nelle pagine successive, l’edificio d’ingresso di Autostadt e le grandi steli vetrate che delineano l’ingresso in Autostadt e verso la città. 84 Section of the Volkswagen pavilion and internal views of the building characterized by a glass cube that encloses a sphere. Opposite page. Comprehensive view of the Volkswagen pavilion. Following pages. The Autostadt entrance building and the great glass stelae delineating the entrance to Autostadt and toward the city. 85 86 87