Progetto immateriale Immaterial Project

Projects
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In architettura, la trasparenza
non è negazione della materia
ma solo un radicale cambio di
identità. Attraverso la
trasparenza del volume
architettonico, il processo di
dematerializzazione segue
l’evolversi della tecnologia in
un crescendo che pare non
avere mai fine. Il futuro
dell’architettura sembra
dunque puntare verso il
concetto di spazio globale,
eliminando così la distinzione
fra esterno e interno.
In architecture, transparency is
not a denial of matter; it is simply
a radical change of identity.
Through the transparency of the
architectural volume, the process
of dematerialization follows the
evolution of technology in a
growing development that
appears endless. Therefore, the
future of architecture seems to
point toward the concept of
global space, thereby eliminating
the distinction between internal
and external space.
Progetto immateriale
Immaterial Project
Trasparenza, preziosa conquista della nostra epoca
Transparency, a Precious Achievement of our Era
Gillo Dorfles*
U
na delle osservazioni più acute fatte da
Siegfried Giedion – il grande critico di architettura – è stata quella a proposito della
trasparenza: del fatto cioè che certe popolazioni
selvagge, nei loro primitivi disegni, cercavano
sempre di fissare tutto ciò che era nascosto nel
sottosuolo, come se lo stesso fosse trasparente. E,
del resto, quale riproduzione del “vero” è più realistica di quella che raffigura anche quello che
non è visibile all’occhio nudo ma che effettivamente esiste? Ma, se il selvaggio del paleolitico
aveva cercato di infrangere, solo virtualmente, il
diaframma tra sé e il mondo, ai nostri giorni questo diaframma spesso è caduto. Anzi, proprio il
fatto d’abolire l’ostacolo tra l’interno e l’esterno
di un edificio è stato una delle grandi conquiste
del primo razionalismo.
Gli albori del Movimento Moderno – culminato
nelle opere magistrali dei Mies, dei Breuer, dei
Kahn ecc. – sono spesso stati caratterizzati dalle
scoperte dei curtain walls, delle pareti continue di
vetro che trasformavano l’antico parallelepipedo
trilitico d’un tempo in una sorta di voliera aperta
agli occhi del passante e aperta, per l’abitante,
alla visione del mondo circostante.
L’entusiasmo per la casa su pilotis, per la facciata
continua senza terrazzi, per la parete trasparente,
doveva durare solo qualche decennio. Si comprese presto che l’uomo necessita molto spesso di un
“abri”, d’un guscio chiuso nel quale rifugiarsi,
protetto dagli sguardi del prossimo e anche dall’intromissione forzata e invadente del mondo
esterno.
Eppure la conquista della trasparenza non poteva
essere abbandonata, la possibilità di valersi dei
nuovi materiali – dal vetro al plexiglas, dalle resine
sintetiche ai vari materiali plastici, dotati di transvisibilità – ha fatto sì che molto spesso l’architettura abbia fatto e faccia ricorso all’artificio della
trasparenza: nelle volte da cui filtra la luce del cielo, nelle pareti che si accendono di mille luci notturne, la presenza del vetro e degli altri materiali
analoghi ha impresso agli edifici urbani una
dimensione mai prima esistita, che oltretutto si
sposa con l’odierna condizione dell’uomo di far
parte di una comunità (anche se purtroppo questa comunitarietà è spesso tutt’altro che gradita!).
Dalla cupola trasparente del nuovo Reichstag berlinese, alle piramidi vitree dell’ingresso al Louvre,
alle tante recenti costruzioni tecnologiche, ecologiche, dove la natura cerca di infiltrarsi entro le
costruzioni umane o dove le costruzioni già in
partenza si associano al verde della natura, è tutto un susseguirsi di realizzazioni come – per non
dare che un minimo esempio – il nuovissimo
Institute for Forestry and Nature Research a
Wageningen di Stephan Behnisch completamente
traslucido e dove il verde penetra all’interno a
mo’ di serra; o come la grande “serra tropicale”
in cui è stata trasformata l’antica stazione centra-
le di Madrid; o come il grattacielo di uffici di
Renzo Piano a Sidney dove delle semipareti isolano gli appartamenti dal traffico cittadino; o come
gli uffici 88 Wood Street di Richard Rogers a
Londra; o ancora gli uffici statali di Bucholz e
McEvoy a Dublino…
La parete di molti edifici si è assottigliata, ha
dimenticato il mattone, ha distanziato il pilotis, ha
permesso allo spazio esterno di fondersi con quello interno e, molte volte, in alcune gigantesche
costruzioni pubbliche – decisamente “pubblicitarie” come nel Tokyo Forum di Raphael Vign̆oli a
Tokyo – ha permesso che le grandi pareti trasparenti costituissero la vera anima dell’edificio.
Ma la trasparenza ha invaso non solo le aperture
esterne, ma anche quelle interne verticali: quanti
passaggi sotterranei, quanti mercati e ritrovi scavati nelle viscere dell’edificio (si pensi solo al City
Co-op newyorkese) hanno allargato l’“orizzonte
verticale” permettendo all’abitante di percorrere i
locali avendo ai suoi piedi la visione dall’alto, resa
possibile dalla trasparenza del pavimento. Il che
può diventare persino uno spettacolo artisticoarcheologico in molti casi di ruderi antichi; ad
esempio ad Aosta e a Verona dove un intero
quartiere romano è visibile dall’alto, in uno dei
ristoranti di Piazza delle Erbe, attraverso una parete vitrea.
Quale, allora, può essere la conclusione di un
discorso come questo, quanto mai superficiale se
privo di riferimenti tecnologici, attorno a un problema così arduo come quello della trasparenza?
Credo che il problema non possa essere risolto né
oggi né domani perché è intimamente legato a
quello della spazialità interna ed esterna di ogni
costruzione. L’architettura, insomma, non può
essere né solo interna né solo esterna; e la trasparenza – preziosa conquista della nostra epoca –
non potrà mai globalmente prevalere.
* Gillo Dorfles nasce a Trieste nel 1910. Dopo la laurea in
medicina si dedica alla pittura e, nel 1948, è tra i fondatori del
gruppo MAC insieme a Monnet, Soldati e Munari. In seguito
si dedica alla critica d’arte e agli studi di estetica, pubblicando
numerosi saggi. È collaboratore del Corriere della Sera e di riviste d’arte e di architettura.
O
ne of the sharpest observations ever made
by Siegfried Giedion – the great architectural critic – was about transparency. He
said that the designs of certain primitive peoples
continuously attempted to represent everything
that was hidden underneath the ground, as if this
ground itself were transparent. Furthermore,
what reproduction of the “real” is more true than
the one which represents the things not visible to
the naked eye, but that nevertheless exist?
However, if the savage man of the Paleolithic era
was trying to breach, though only virtually, the
separation that divided him from the world, in
TRASPARENZA TRANSPARENCY
our day and age this division has often fallen
away. In truth, it is the very abolishment of the
obstacle between the internal and external space
of a building that remains one of the great conquests of early rationalism.
The dawn of the Modern Movement – culminating in the masterly works by Mies, Breuer, Kahn
and so forth – has often been characterized by
the discovery of curtain walls. These continuous
walls of glass transformed the ancient trilithic
parallelepiped of yore into a kind of aviary open
to views of passersby and, for the edifice’s inhabitant, to a wide vision of the surrounding world.
Enthusiasm for the house on stilts, for the continuous facade free of terraces, for the transparent
wall, was only supposed to last a few decades. It
was soon understood that man often needs a
“shelter,” a closed, secure cocoon where he can
take refuge, protected from the inquisitive looks
of his neighbor as well as from the forced and
invasive intrusion of the outside world.
And yet the conquest of transparency could not
be wholly abandoned. The possibility of using
new materials – from glass to Plexiglas, from
synthetic resins to various plastic materials, all
endowed with some degree of translucency –
made it possible for architecture to return, willingly and often, to the use of the artifice of transparency. In the ceilings that filter down light from
the open sky, in the walls that light up with a
thousand nocturnal points of light, the presence
of glass and other similar materials has bestowed
on urban edifices a dimension that never existed
before. Furthermore, it is a dimension that weds
itself perfectly to man’s present condition of
belonging to an established community (even if
all too often this community living is anything but
appreciated!). From the transparent cupola of the
new Reichstag in Berlin, to the glass pyramids at
the entrance to the Louvre, to the many recent
technological and ecological constructions in
which nature attempts to infiltrate the manmade constructions or where these constructions
associate themselves directly with the greenness
of nature from the start – everything is characterized by the artifice of transparency. An example
may be the brand new Institute for Forestry and
Nature Research at Wageningen, designed by
Stephan Behnisch. It is a completely translucent
structure that allows greenery to penetrate inside
as if it were a kind of greenhouse. Another
example is the great “tropical greenhouse” converted from the old central train station in
Madrid; or the skyscraper of offices created by
Renzo Piano in Sydney in which the half-walls
isolate the apartments from the urban traffic; or
the offices at 88 Wood Street designed by
Richard Rogers in London; or the state government offices by Bucholz and McEvoy in Dublin…
The walls of many buildings have thinned themselves out, have left bricks behind, have distanced
themselves from the “stilts”. They have permitted
outside space to fuse with internal space and,
very often, a number of gigantic public constructions – decidedly “publicity-oriented” such as the
Tokyo Forum designed by Raphael Vign̆oli in
Tokyo, Japan – have permitted the great transparent walls to constitute the true heart and soul of
the edifice. But not only has transparency invaded the external openings, it has taken over the
internal vertical ones as well.
How many underground passages, how many
markets and gathering spaces have been carved
out of the insides of buildings (one has only to
consider the City Co-op in New York), acting to
enlarge the “vertical horizon?” This allows inhabitants to cross the assorted spaces while maintaining at their feet a top view made possible by the
transparency of the very pavement they are
walking on. This effect is even capable of becoming an artistic-archeological show in the case of
many ancient ruins. An example, in Aosta and
Verona, Italy, is the entire Roman neighborhood
visible from above through a glass wall in one of
the Piazza delle Erbe restaurants.
What, then, is the possible conclusion to an
active, engaging subject like this one, though it
be ultimately superficial without any technological reference point, around a problem as arduous
as that of transparency? I believe that the problem can be resolved neither today nor tomorrow
because it is intimately connected with the problem of internal and external space – a problem
that remains a fundamental part of every construction. In the end, architecture is neither simply internal nor external; and transparency – that
precious achievement of our era – can never prevail on a global scale.
* Gillo Dorfles was born in Trieste, Italy in 1910. After obtaining a degree in medicine, he dedicated himself to painting
and, in 1948, was among the founding members of the MAC
group together with Monnet, Soldati and Munari. Later on,
he devoted himself to art criticism and aesthetic studies,
publishing numerous essays. Currently he contributes to the
Italian newspaper, the Corriere della Sera, as well as many art
and architectural magazines.
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Kisho Kurokawa,
Hotel Kyocera
a Kagoshima.
Kisho Kurokawa,
Hotel Kyocera
in Kagoshima.
Geometria al naturale
Natural Geometry
Ehime, Museo delle Scienze
Ehime, Museum of Science
Progetto di Kisho Kurokawa Architect & Associates
Project by Kisho Kurokawa Architect & Associates
30
In queste pagine,
il Museo delle Scienze
nella prefettura di Ehime,
Giappone. Il complesso
occupa un’area
di 30.000 mq e sorge
nella periferia di Niihama,
nell’isola di Shikoku.
The Museum of Science
in Ehime Prefecture,
Japan. The complex
covers an overall area
of 30,000 square meters
located on the outskirts
of Niihama, on Shikoku
Island.
O
ggi l’architetto si trova in un momento cruciale del suo operare. L’informatica, soprattutto grazie a Internet, oltre ad aver dato
vita alla new economy, sta anche riplasmando la
professione, trasformando il progettista di edifici in
ideatore e coordinatore di una sorta di architettura
“bidimensionale” fatta di superfici-informazione
che, oltre ad avvolgere spazi e volumi, funge da
medium, superando i limiti dei mass media e
creando così una totale integrazione fra informazione, nel senso più totale del termine, e spazio
abitativo. Questa nuova dimensione del progetto
influisce anche laddove non si è ancora giunti ad
un simile grado di avanguardia ma si stanno evidenziando nuove tendenze progettuali come la
ricerca di una nuova identità della struttura architettonica: è, infatti, in atto la tendenza a realizzare
complessi architettonici con un’immagine forte,
quasi mediatica invece di inseguire la pura astrattezza o unicamente la funzionalità.
In tal senso, Kurokawa ha al suo attivo quasi tutta
la sua opera dove suggestione e comunicazione
sono sempre in primo piano.
Il “fiabesco tecnologico”, unito a un mix di tradi-
zione e innovazione, è il mondo in cui uno fra i più
prestigiosi architetti giapponesi crea i suoi progetti.
Se i solidi elementari sono la materia prima dell’opera di Kurokawa, la trasparenza è la “pelle intelligente” in grado di mutare la fisicità del cemento in
una sorta di sogno della materia. Il Museo delle
Scienze della prefettura di Ehime, in Giappone, con
le sue schegge di specchiante “trasparenza” disseminata su volumi puri attraverso l’impiego di lastre
di titanio, è una delle opere che meglio configurano l’identità progettuale del Maestro, autore del
Teatro dell’Opera di Haskovo, in Bulgaria, della torre a capsule di Nakagin e delle Città Libiche.
Il complesso museale sorge in un’area appena fuori
il centro urbano di Ehime e si configura come una
sorta di piccola città ideale, la cui purezza compositiva suggerisce soluzioni possibili a quel problema
della territorialità da sempre alla base del concept
progettuale di Kurokawa. Una territorialità caratterizzata dalla mutazione di luoghi prima marginali,
poi trasformati in avamposti urbani per nuove
espansioni metropolitane.
Il sito su cui sorge il complesso museale è quello
suggestivo dell’isola di Shikoku, nell’area suburba-
TRASPARENZA TRANSPARENCY
31
na di Niihama, ai margini di un’arteria d’importanti
interscambi stradali, ma ciò che rende attraente il
luogo è senza dubbio la commistione tra natura e
artificialità dell’architettura. Il museo, infatti, giace
ai piedi di incantevoli rilievi montani. Il nuovo insediamento ha dunque modificato il paesaggio dell’isola di Shikoku attraverso una simbiosi alimentata
da interrelazioni architettura-ambiente, grazie a
contrappunti e simmetrie fra la dolcezza delle curve naturali del territorio e le puntute strutture
architettoniche, configurate in una sequenza apparentemente casuale in cui cubi, coni e triangoli
danno forma e funzione a un complesso composto
di un planetario e di alcuni corpi di fabbrica destinati agli uffici amministrativi. Nel gioco di trasparenze accennate e di incastri geometrici, Kurokawa
non ha però dimenticato il dato storico-estetico
della cultura architettonica giapponese, frutto di
una sottile alchimia in cui modernità e tradizione
convivono da sempre. Ciò è riscontrabile soprattutto nella concezione planimetrica, dove appare chiara la struttura del giardino giapponese in cui percorsi e volumi si integrano, creando una sorta di
scrittura tridimensionale, di paesaggio interiore
espresso attraverso le forme dell’architettura come
segno e la natura quale superficie significante. Di
particolare spettacolarità, la facciata principale è
caratterizzata da una combinazione di materiali
come alluminio, vetro e calcestruzzo a vista. Il tutto
mixato e ridistribuito con grande maestria compositiva. Maestria evidente anche nella scelta di contrapporre alla sfericità della copertura del planetario il grande cono trasparente, una sorta di montagna tecnologica ma anche metafora “ascensionale”, fuga dalla terra verso gli astri osservati nel planetario. Ma le suggestioni non si esauriscono in
una composizione architettonica orchestrata su un
ottimo compromesso fra geometria euclidea e
giardino zen, poiché anche i percorsi interni sono
altrettanti manifesti della poetica di Kurokawa.
Come, per esempio, il percorso che unisce la grande hall al planetario: realizzato nel sottosuolo, si
snoda anche attraverso la zona su cui insiste uno
specchio d’acqua artificiale che cinge parzialmente
il grande cono e parte della hall, suggerendo come
l’architettura viva anche d’invisibili relazioni, proprio come un corpo vivo in cui flussi e connessioni
interne tengono in vita l’organismo.
32
T
oday, architecture finds itself at a crucial
juncture in its development. Information
technologies, and notably the Internet,
have already established the new economy and
are remodeling the profession. They are transforming the architect into an inventor and coordinator of a kind of “two-dimensional” architecture
composed of information-platforms, an architecture that not only encases spaces and volumes,
but also functions as a medium, overcoming the
limits of mass media and thereby generating a
complete assimilation of information (in the
broadest sense of the term) and living space. The
influence of this new dimension reaches to areas
where even the avant-garde has not yet been
achieved, but where there is increasing evidence
of new design tendencies (as in the search for a
new identity of architectural structures). There is,
in fact, movement toward the creation of architectural complexes exuding a powerful, almost
media image, instead of a quest for pure abstraction or simple functionality.
It is in this vein that almost all of Kurokawa’s work
is being realized – architectural creations in which
suggestion and communication are always at the
forefront. “Technological enchantment” linked to
a blend of tradition and innovation makes up the
world within which one of the most prestigious
Japanese architects creates his projects. If rudimentary solids are the raw material of Kurokawa’s
work, then transparency is the “intelligent skin”
capable of transforming the physical nature of
concrete into a kind of dream matter. The Ehime
Prefecture’s Museum of Science in Japan, with its
shards of reflecting “transparency” scattered onto
solid masses dotted with sheets of titanium, is
one of the architectural works that best represents the creative identity of this Master, who is
also credited with the Opera Theater in Haskovo
(Bulgaria), the capsule tower in Nakagin and the
Libyan Cities.
The museum complex is located just outside of
Ehime’s urban center and is organized like a kind
of small, ideal city whose composite purity suggests possible solutions to the problems of space
that have always been at the core of Kurokawa’s
design concepts. This territoriality is characterized
by the transformation of places that are initially
considered marginal and subsequently become
urban models destined for future metropolitan
expansion.
The museum complex sits on the fascinating site
of the Island of Shikoku, in the suburban Niihama
area, near an important highway interchange. The
heady mixture of nature with the artificiality of
the architecture makes the site very attractive. In
fact, the museum is located at the foot of a
mountain range.
The new construction therefore has significantly
modified the Shikoku Island landscape through a
symbiosis fed by the inter-relationship between
architecture and the natural environment. It is
based on the counterpoints and symmetries
between the softness of the terrain’s natural
curves and the pointed architectural structures of
a seemingly casual sequence of cubes, cones, and
triangles. These elements provide form and function for the complex, including a planetarium and
several outbuildings housing administrative
offices. In the midst of this play of suggested
transparencies and geometric enclosures,
Kurokawa has not forgotten the historical-esthetic
data of the Japanese architectural culture, composed of a subtle alchemy in which modernity
and tradition have coexisted for ages.
This is most easily recognized in the design and
layout of the solid areas. For example, the structure of the Japanese garden is clearly evident in
the integration of pathways and masses that creates a kind of three-dimensional script – a sort of
interior landscape expressed through architectural
forms that act as signs inscribed on the significant
surface provided by nature. The principal facade,
characterized by a combination of materials
including aluminum, glass, and exposed concrete
is just one particularly spectacular aspect.
Everything is mixed together and redistributed
with great compositional mastery. True mastery is
also evident in the decision to counter-balance the
spherical nature of the planetarium’s covering
with an enormous transparent cone. The cone
recalls a kind of technological mountain but also
serves as a metaphor for “ascension,” the escape
from Earth toward the heavenly bodies observed
within the planetarium.
Symbolism is not easily exhausted in this architectural composition that so brilliantly orchestrates
an excellent compromise between Euclidean
geometries and Zen gardens, given that its internal pathways reflect so well Kurokawa’s particular
architectural poetry. The underground pathway is
a perfect example of this as it connects the great
hall with the planetarium, traversing an area
where an artificial pond partially encircles the
large cone and the hall. It evokes the great degree
to which architecture relies on invisible connections, just as the inner workings of a live body
keep the organism alive and thriving.
Particolare degli esterni
della sala espositiva
e dell’atrio, posto
nel grande cono vetrato.
Nella pagina a fianco,
sezione sull’atrio
e il planetario.
Details of the exterior
of the exhibition room
and the atrium, located
in the large glass cone.
Opposite page.
A section of the atrium
and planetarium.
33
34
Sopra, l’atrio visto
dal bacino artificiale sotto
al quale è stato realizzato
un percorso per
raggiungere il planetario.
A destra, pianta del primo
piano. La distribuzione
asimmetrica dei vari
ambienti è configurata
seguendo la disposizione
degli antichi giardini
di pietre giapponesi.
Nella pagina a fianco,
particolare della cupola
del planetario.
Above. The atrium
as seen from the artificial
basin with a pathway
underneath leading
to the planetarium.
Right. A plan of the first
floor. The asymmetrical
distribution of the various
spaces has been arranged
according to the layout
of the ancient Japanese
rock gardens.
Opposite page. Details of
the planetarium’s cupola.
35
36
37
In queste pagine,
particolari dell’atrio
la cui struttura è stata
realizzata in acciaio
e cemento armato.
Details of the atrium,
whose structure is made
of steel and reinforced
concrete.
38
39
Nuove scenografie urbane
New Urban Set-Design
Londra, British Film Institute London IMAX Cinema
London, British Film Institute London IMAX Cinema
Progetto di Avery Associates Architects
Project by Avery Associates Architects
40
T
rasparente e caleidoscopico quanto basta,
per farsi notare. Metropolitano (soprattutto
per il riferimento ai gasometri) per integrarsi con la capitale della rivoluzione industriale. Al
di là della piacevolezza delle forme e dei materiali, il BFI London IMAX Cinema in realtà è frutto
delle buone e “vecchie” idee del Razionalismo.
La forma circolare dell’edificio e la sua macro-grafica
non nascono, infatti, da folgorazione mediatica,
bensì più semplicemente dall’interno verso l’esterno. Al centro dell’edificio, infatti, pulsa lo
schermo semicircolare IMAX, cui è stata avvolta
intorno l’unica “pelle” possibile per non uscire
dal dettato razionalista che, a quanto pare, premia sempre. Trasparenza però fa rima con tecnologia, e tecnologia è un concetto che di solito si
associa all’idea di futuro. In questo caso il futuro
si percepisce attraverso una disciplina progettuale
che si arricchisce di nuovi orizzonti. Architettura e
comunicazione sono infatti il concept su cui lavorano oggi gli architetti più attenti e sensibili alle
nuove tensioni culturali.
Il potenziale dinamismo insito nelle forme circolari del nuovo BFI London IMAX Cinema è pura
energia in sintonia con l’ambiente metropolitano
contemporaneo, attraversato dalle pulsioni consumistiche di una società che metabolizza non
solo merci, ma anche cultura, in questo caso cultura cinematografica al massimo della qualità
tecnologica grazie al sistema IMAX.
Un film proiettato con questo sofisticato sistema
è in grado di coinvolgere emozionalmente lo
spettatore attraverso effetti realistici spettacolari,
impiegando fotogrammi di grande formato, per
TRASPARENZA TRANSPARENCY
esempio il 70 mm, più uno schermo gigante:
normalmente dieci volte più largo e sette volte
più alto di quello convenzionale.
La resa sonora è in questo caso esaltata dalla
favorevole acustica della forma circolare della
sala di proiezione, dove sono inoltre sistemate sei
colonne stereofoniche in grado di produrre un
ambiente sonoro tridimensionale di grande suggestione.
Ma, se all’interno nel buio della sala si vivono
emozioni legate alle vicende cinematografiche,
l’esterno è altrettanto vitale e comunicativo verso
il suo intorno urbano.
La totale trasparenza della “pelle” in vetro strutturale che avvolge l’edificio è una sorta di “banda larga” mutante, sorprendente e multicolore.
L’intrattenimento, l’organizzazione del tempo
libero, tutto ciò che si fa per piacere sta codificando una speciale architettura destinata al loisir
caricata di segni forti, come appunto il BFI
London IMAX Cinema.
Insomma, la città è sempre più popolata di architetture frutto di complesse ibridazioni di cui è
facile percepire i nuclei generatori.
La città futura sembra dunque trasformarsi in un
grande fondale, ritagliato da sagome simili a
strumenti elettronici fuori scala.
Sta nascendo una nuova grammatica compositiva, gestita da nuove figure di progettisti: un po’
ingegneri, un po’ creatori di scenografie urbane.
Certamente effimere, instabili come non mai, ma
infinitamente più ricche di suggestioni e di emozioni diffuse in una città che non solo sembra
cambiar pelle, ma anche pensiero e anima.
41
42
T
r ansparent and kaleidoscopic enough to
make itself noticeable, yet metropolitan
enough (especially in its reference to gas
meters) to meld into the capital of the Industrial
Revolution. Above and beyond the inherent
appeal of its forms and materials, the BFI London
IMAX Cinema is essentially born of the worthy
and “old” ideas of Rationalism. In fact, the circular form of the building and its macro-graphics
do not stem from the glaring light of media
attention, but rather from the interior.
At the center of the edifice, the semi-circular
screen of the IMAX system pulses with life. It is
wrapped in a unique transparent “skin” that prevents its total departure from the always rewarding rationalist dictates. However, transparency in
this sense is associated with high technology,
and high technology is a concept that is usually
associated with the future. Here, the future is
perceived through a project discipline that is
enriched by new horizons. Architecture blended
with communication is, in fact, the concept that
captures the attention of those architects most
sensitive to the new cultural tensions of today.
The inherent dynamism in the circular form of
the new BFI London IMAX Cinema is pure energy
in harmony with the contemporary metropolitan
environment. It is punctuated by the consumer
impulses of a society that metabolizes not only
merchandise, but also culture. In this case, it
concerns cinematic culture at the very highest
level of technological achievement, thanks to the
IMAX system.
A film projected through this sophisticated system is capable of thoroughly engulfing the spectator emotionally in the movie through spectacularly realistic special effects by utilizing large-format
frames. These frames are usually seventy millimeters wide and are projected onto a giant screen
ten times wider and seven times higher than a
conventional movie screen.
Six stereophonic columns produce an extraordinarily suggestive, three-dimensional audio environment that is exalted further by unbelievable
acoustics created by the circular form of the
space. But if the internal darkness of the movie
theaters is home to emotions connected with the
films and their drama, the edifice’s exterior is
even more vital to and communicative with its
urban surroundings.
The total transparency of the structural glass
“skin” wrapped around the building creates a
kind of mutating, surprising and multicolored circular “broadband.” Entertainment, the organization of leisure time, and everything that human
beings undertake for pleasure is acting to codify
a special kind of architecture – one that reflects a
new brand of leisure activities charged with
strong messages. The BFI London IMAX Cinema
is a perfect example of this modern development.
Basically, the city is increasingly populated by
architecture that is the fruit of complex
hybridizations, by which it is relatively easy to
identify the generating nuclei. The future city
seems to be transforming itself into an enormous
backdrop, outlined by silhouettes resembling
over-sized electronic instruments.
A new compositional grammar is being born,
managed by new design personalities who are to
a certain extent engineers and to a certain extent
creators of urban set-design. This new approach
is undoubtedly ephemeral, as unstable as ever.
But it is also infinitely richer in suggestion and
emotion, spreading through a city that is not
only changing its skin, but also its way of thinking and, therefore, its very soul.
Nelle pagine precedenti,
due vedute del BFI (British
Film Institute) che fa
parte di un complesso
di strutture dedicate alla
cultura dell’immagine.
Nella pagina a fianco,
particolare della vetrata
strutturale.
Qui sotto, sezione
trasversale.
Preceding pages.
Two views of the BFI
(British Film Institute),
part of a complex of
structures dedicated to
the culture of images.
Opposite. Details
of the glass structure.
Below. A cross section.
43
Qui sotto, l’ingresso alla
sala cinematografica
e un particolare del
grande schermo IMAX
semicircolare che
prevede proiezioni
con pellicole di maggior
dimensione e un sonoro
con particolari effetti
realistici.
44
Below. The entrance
to the movie theater
and a detail of the
large semi-circular IMAX
screen that allows
projection of largeformat films and boasts
a sound system with
particularly realistic
effects.
Qui sotto, planimetria
generale, pianta del
piano dell’ingresso
e della sala di proiezione
e una sezione sul sistema
della parete vetrata.
Below. General plan,
a plan of the entrance
level and of the film
projection room, as well
as a section of the glass
wall system.
45
Esperanto architettonico
Architectural Esperanto
Bruxelles, Charlemagne Building ristrutturato
Brussels, renovation of the Charlemagne Building
Progetto di Murphy/Jahn
Project by Murphy/Jahn
L’
46
In questa pagina, veduta
generale dell’edificio.
Nella pagina a fianco,
veduta parziale
dell’edificio ristrutturato
attraverso addizioni
e sottrazioni che
ne hanno radicalmente
rinnovato l’aspetto.
This page. General view
of the building.
Opposite page. A partial
view of the restructured
edifice, achieved
through additions
and subtractions that
have radically renewed
its look.
Unione Europea sta cambiando anche il futuro dell’architettura, che trova in una sorta di
“Esperanto” progettuale una sua nuova
identità, in grado di rappresentare la fusione delle
culture del progetto, un tempo circoscritte in ambiti culturali localistici e ora sempre più orientate a
trasformarsi in un mix che, preservando tutte le
identità locali di maggior pregio, produrrà nuove
direzioni di ricerca. Il futuro è, dunque, rappresentato da un’architettura europea tecnologicamente
avanzata come ad esempio quella statunitense, ma
con un linguaggio comune e riconoscibile.
Città dal cuore antico, Bruxelles, da quando è divenuta una delle città simbolo dell’Unione Europea,
sta cancellando le sue tracce storiche.
Grandi insediamenti politico-amministrativi hanno
sconvolto un equilibrio fatto di integrazione fra
città antica, composta di preesistenze medievali, e
stratificazioni di insediamenti risalenti ad epoche
posteriori.
Nonostante la città appaia scintillante di nuovi edifici, tutti vetro e acciaio, il suo delicato equilibrio
risulta sempre più precario. Fortunatamente, il
compito di ridisegnare l’aspetto architettonico
della città europea per antonomasia è stato affidato ad importanti architetti internazionali, capaci
di realizzare opere con una propria identità. È il
caso della ristrutturazione del Charlemagne
Building, che accoglie la sede della Comunità
Europea.
Il quartiere in cui sorge il rinnovato complesso è
caratterizzato da un fronte principale rivolto verso
un asse viabilistico in continua e rapida trasformazione. Nella parte posteriore dell’edificio permangono ancora alcune tracce di un quartiere residenziale di medie proporzioni, ormai destinato a sparire a causa delle nuove costruzioni comunitarie.
Il tema compositivo del progetto si è incentrato
sulla totale integrazione della nuova struttura con
la città, caratterizzata da insediamenti di diversa
natura sia storica che architettonica. Il vecchio
Charlemagne Building è stato realizzato negli
anni Sessanta, quando il complesso era destinato
ad ospitare i primi organismi politico-amministrativi della Comunità Europea. Il progetto di
Murphy/Jahn è quindi incentrato sull’ampliamento e la rifunzionalizzazione di un edificio esistente. Sostanzialmente si tratta di un’operazione di
re-urbanizzazione compiuta attraverso un calibrato lavoro di aggregazione e sottrazione di parti
rispetto al vecchio edificio, per ricreare nuovi rapporti con una maglia stradale in parte ridisegnata
da molte costruzioni in via di compimento.
L’ampliamento del complesso ha necessariamente
comportato una nuova ridefinizione delle masse
architettoniche rispetto ad un intorno di delicato
equilibrio ambientale.
Si è scelta quindi una soluzione che risultasse di
minimo impatto, come solo le pareti vetrate possono assicurare. Il complesso è rivestito di una
sottile “pelle”, un curtain wall in grado di riflettere l’ambiente circostante e quindi integrarsi con il
contesto. La particolare articolazione della pianta
dell’edificio mostra una spiccata tendenza al dinamismo, sottolineata dalla configurazione a forma
di freccia di un particolare lato del complesso che,
in tal modo, si raccorda alla naturale inclinazione
del terreno circostante. La base dell’edificio, su
cui poggia l’intera struttura, accoglie una serie di
funzioni, tra cui l’ingresso principale dove è sistemato un atrio caratterizzato da pareti interamente vetrate, che fungono da elemento mediatore
fra edificio e spazio urbano circostante.
47
48
T
h e European Union is changing many
things, even the future of architecture, as it
discovers a new identity within a kind of
project-based “Esperanto.” It is an identity capable
of representing a fusion of the project’s various
influences, once inscribed within the local cultural
environment, but now increasingly oriented
toward becoming a mix. This mix is producing new
directions for inquiry and research while at the
same time striving to preserve all the more important local identities. Therefore, the future is headed
toward a European architecture as technologically
advanced as, for example, that of the United
States of America, but possessing a common language that is recognizable to all its citizens.
Brussels is a city with a historic center, but ever
since it became one of the European Union’s symbolic cities, it has been changing its historic countenance. Large political-administrative office buildings have upset the equilibrium between ancient,
historic city sectors composed of medieval structures, and layers of construction built over successive past epochs. Despite the fact that the city
appears to sparkle with new buildings encased in
glass and steel, its delicate balance and harmony
are increasingly endangered due to its modernization process. Fortunately, the work of redesigning
the architectural image of this European city par
excellence has been entrusted to important international architects – men and women capable of
creating architecture with its own identity. This is
exactly what has happened with the renovation of
the Charlemagne Building designed to host the
headquarters of the European Community. The
renovated complex is located in a neighborhood
characterized by a principal front along a roadway
axis that is under continuous yet rapid transformation. Beyond the back section of the edifice there
remain some traces of a medium-sized residential
neighborhood, now destined to disappear because
of the plethora of new European Union construction projects. The theme of the project centers on
a total integration of the new structure into the
surrounding city. It is characterized by edifices
diverse in both history and architectural image. The
original Charlemagne Building was built during the
1960s. The complex was intended to host the first
political-administrative organizations of the
European Community. Therefore, the Murphy/Jahn
project focuses on an expansion and reworking
of a pre-existing building. Essentially, this is a
re-urbanization project carried out through a
carefully orchestrated effort of aggregation. It
includes the removal of certain parts of the original
edifice in order to develop new relationships with
roads that have been partially re-constructed by
numerous projects, many of which are currently
underway. The expansion of the complex has
necessitated a re-definition of the architectural
mass when compared with the delicate environmental equilibrium of its surroundings.
It is with this in mind that the architects chose a
solution that would have a minimum impact, an
impact that only glass walls can provide. The complex has been outfitted with a thin “skin” or curtain wall, a substance capable of reflecting the surrounding environment thereby integrating the
building neatly into its context. The particular articulation of the edifice’s floor plan shows an obvious
tendency toward dynamism. This is emphasized by
the arrow shape of one side of the complex that
responds to the natural inclination of the surrounding terrain. The base of the building, on which the
entire structure rests, hosts a series of functions
including the main entrance. Inside is an atrium
defined by all-glass walls, an addition that functions as a mediating element between the edifice
and the surrounding urban space.
49
Particolare della facciata
vetrata e, nella pagina
a fianco, la scalinata
che porta alla piazza
sopraelevata.
Details of the glass
facade and, opposite
page, the stairway that
leads to the raised plaza.
Particolari della parete
vetrata vista dall’interno
e dettaglio tecnico del
sistema di facciata.
Details of the glass walls
seen from the inside and
technical details of the
facade system.
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51
Visioni ad assetto variabile
Visions on a Variable Axis
Bilbao, aeroporto di Sondica
Bilbao, the Sondica Airport
Progetto di Santiago Calatrava Valls
Project by Santiago Calatrava Valls
I
52
La facciata interamente
vetrata sul lato nord
lunga circa 36 m.
Il complesso aeroportuale,
che copre un’area
di 38.000 mq sorge
a circa dieci chilometri
dalla capitale basca.
The glass-encased
facade on the north
side stretches nearly
36 meters.
The airport complex,
which extends over
a 38,000 square-meter
area, is located just ten
kilometers from the
Basque capital.
l futuro? Per alcuni è un ritorno all’età dell’oro:
quando l’architettura era un sapere in cui confluivano, in parti uguali, arte e scienza. L’Umanesimo, dunque, almeno in architettura, sta rinascendo
come cultura del futuro?
Anche se Calatrava non è più quel genio noto solo
agli addetti ai lavori, ma una vera star globale, le
sue opere sono ancora sorprendenti, intense, cariche di un pathos in grado di emozionare ma anche
di celare, all’interno di forme e volumi di grande
impatto visivo, raffinatissimi calcoli strutturali.
L’architetto-ingegnere valenciano è attualmente
forse l’unico progettista erede di Gaudì. Al grande
maestro catalano si è, infatti, ispirato per realizzare
l’aeroporto di Sondica. Il riferimento progettuale è
inequivocabilmente il sottoportico inclinato del
Parco Güell, a Barcellona, rielaborato da Calatrava
su una pianta sinusoidale. Realizzato circa dieci
anni fa, l’aeroporto di Sondica è oggi in piena attività e dispone di otto gate. Promosso dalle autorità
di Bilbao per dotare un’area metropolitana in
costante sviluppo di un grande scalo aereo, l’aeroporto dista circa dieci chilometri dalla città basca.
Destinato inizialmente a sostenere un traffico
annuo di due milioni di viaggiatori, lo scalo è ora
predisposto per accogliere anche un flusso di oltre
dieci milioni di passeggeri all’anno.
Il progetto sviluppa l’idea di un terminal compatto,
caratterizzato da grandi superfici vetrate e articolato su quattro piani. La semplificazione distributiva è
uno dei concetti portanti, attuato attraverso un
impianto semplificato, caratterizzato dal contenimento dei percorsi interni destinati a favorire
soprattutto l’unitarietà dello spazio complessivo.
Ciò favorisce gli spostamenti dei passeggeri e il
miglior orientamento possibile dei viaggiatori.
Intorno a questo nucleo funzionale, sorgono due
grandi ali laterali, capaci di accogliere partenze e
arrivi, ma anche tutti gli uffici amministrativi. Un
grande parcheggio, a quattro livelli, assicura un’adeguata connessione fra aeroporto e trasporto
pubblico e privato.
Strutturalmente, l’aeroporto si sviluppa su un sistema di pilastri, travi e archi in cemento armato, in
grado di assicurare stabilità alla grande copertura
metallica nervata, sviluppata su una pianta triango-
TRASPARENZA TRANSPARENCY
lare e conformata su un volume complesso e di
grande impatto visivo. Le ali laterali sono protette
da una doppia copertura voltata, rinforzata da un
sistema di costole e montanti di acciaio posti su
pilastri di calcestruzzo.
La “piegabilità delle strutture nello spazio” è alla
base dell’assunto poetico di Calatrava e fa da perno per un impiego complesso della geometria, ma
anche per la dinamica e la leggerezza, fondamentali nella sperimentazione strutturale dell’opera di
ingegneria. Tuttavia, sperimentazione tecnologica e
soluzioni strutturali innovative non sono mai poste
in primo piano, esibite, ma risultano, invece, organiche alla composizione generale dell’opera architettonica. Il tema della copertura, per esempio,
spiega tale processo attraverso una figura semplice
e complessa nello stesso tempo come la vela, già
impiegata per la copertura delle officine Jakem,
uno dei primi importanti progetti elaborati da
Calatrava all’inizio dell’attività professionale.
Calatrava è tuttora impegnato, anche come teorico, in un dibattito fondativo per l’architettura contemporanea e si batte per risolvere le problemati-
che che coinvolgono la riconoscibilità sociale, ma
anche la stessa identità dell’architettura e dell’ingegneria. Esistono, insomma, ancora alcuni nodi da
sciogliere come quello che ha dato origine ad alcune polemiche interne al mondo dell’architettura e
sostanzialmente alimentate dalle “eresie” di Frank
Gehry (per esempio: il nuovo Museo Guggenheim
di Bilbao), contro cui si batte una sorta di confraternita di architetti e ingegneri puristi, incapaci di
superare la rigida separazione fra architettura e
ingegneria. Problema superabile attraverso un’esperienza progettuale che non escluda la componente artistica nell’opera architettonica ma neanche in quella infrastrutturale come, per esempio,
un grande viadotto.
Anche l’opera di Calatrava ha generato contrasti e
divergenze, soprattutto fra gli addetti ai lavori: era
ritenuta destabilizzante, per l’ordine costituito, la
carica visionaria che caratterizza l’Auditorium di
Tenerife, la Città delle Scienze di Valencia e l’ampliamento del Museo di Milwaukee, interessanti
proprio per le ricerche sulle potenzialità comunicative dell’architettura, intesa come medium.
53
54
Particolare di un gate
d’imbarco.
Details of a departure
gate.
T
he future? For some, it will be a return to
the Golden Age, an epoch in which architecture was a body of living knowledge
com-posed equally of art and science. Could it be
said that Humanism, at least in architecture, is
being reborn as the culture of the future?
Although Calatrava is no longer the type of genius
recognized only in his field, but as a global star, his
work continues to elicit surprise. It is intense, charged with a pathos capable of stirring emotions.
But it is also capable of hiding extremely refined
structural calculations within forms and volumes
that present an extraordinary visual impact.
Currently, this architect/engineer from Valencia is
perhaps the only architectural designer who can be
considered an heir to Gaudì.
In fact, he found inspiration in the work of the
great Catalan master for his Sondica airport
project. The design reference is unquestionably evident in the sloping interior of the portico in
Barcelona’s Güell Park that was re-elaborated by
Calatrava based on a sinusoidal plan.
Created almost ten years ago, the Sondica airport
today is fully operational and outfitted with eight
gates. It was promoted by the authorities in Bilbao
in order to provide a major airport for the constantly expanding metropolis. The Sondica construction is located approximately ten kilometers
from the Basque city. Initially intended to sustain
an air passenger volume of two million travelers
per year, this airport will now be able to accommodate a flow of more than ten million passengers
per year. The project expands on the idea of a
compact terminal, characterized by large glass surfaces articulated over four floors.
A simplified ground plan gives the notion of distributive simplification as one of the main concepts. The layout calls for careful containment of
the internal pathways that are designed primarily
to support the unity and singularity of the comprehensive space. This concept facilitates the flow
of passengers and provides travelers with the best
possible orientation within the space.
Two great wings are spread around this functional
nucleus, each of which is capable of hosting both
arrivals and departures, as well as housing all the
administrative offices. A large parking area extends
over four floors to guarantee adequate connection
between the airport and both public and private
transportation.
Structurally, the airport is built on a system of
reinforced concrete pillars, girders and arches to
provide ample stability for the large ribbed metallic
covering. Its triangular form helps emphasize its
strong visual impact. The lateral wings are protected by a double-vaulted covering that is in turn
reinforced by a system of structural ribs and steel
stanchions running up from concrete pillars.
The “flexibility of structures in space” is basic to
Calatrava’s assumed poetry, and functions as the
pivot for a complex blend of geometry. It is also
central to dynamics and lightness in his work, both
of which are fundamental to the structural experimentation that lies at the heart of engineering.
When all is said and done, technological experimentation and innovative structural solutions are
never on display at the center of attention. Instead,
they are organic to the general composition of an
architectural work. The theme of the covering, for
example, explains this process through a simple yet
complex figure that resembles a large triangular
sail billowed by the wind. He used a similar theme
in the covering of the Jakem warehouse, one of
the first major projects conceived and undertaken
by Calatrava at the very beginning of his professional career. Calatrava is still engaged in work as a
theorist in the fundamental debates of contemporary architecture. He continues to strive to resolve
55
problems and issues that involve not only social
recognition, but the very identity of architecture
and engineering, too. Essentially, there still exist
relevant knots to untangle. For example, the issue
which has created considerable controversy within
the world of architecture and is substantially supported by Frank Gehry’s “heresies” (e.g. the case of
the new Guggenheim Museum in Bilbao). Such
issues are being fought by a sort of fraternity of
architects and purist engineers who seem unable
to conquer the rigid separation between architecture and engineering. It is a problem that can be
overcome by using experience from projects that
integrate the artistic component in both architectural works and infrastructures, such as in a great
viaduct.
Even Calatrava’s creation has generated contrasts
and divergences, especially among those working
within the field of architecture. What was once
considered destabilizing – according to the established order – in the visionary charge that characterizes the Auditorium in Tenerife, the City of Science
in Valencia and the expansion of the Milwaukee
Art Museum, has now been recognized as relevant
and interesting. This is precisely due to the exploration of the communicative potential of architecture, now intended and understood as medium.
In alto, particolare della
grande copertura
a sbalzo e, qui a destra,
dall’alto in basso, piante
del piano terra e del
livello partenze.
Above, detail of the
large cantilevered roof
and right, from top
to bottom, plans
of the ground floor
and departure level.
Parete vetrata del tunnel
sotterraneo destinato
al parcheggio di quattro
piani.
Glass walls of the
underground tunnel
designed for the
four-floor parking garage.
56
57
Veduta generale degli
otto gate e, in basso,
particolare della grande
copertura a sbalzo.
Overall view of the eight
gates and, below, detail
of the large cantilevered
roof.
58
Dettaglio della copertura
e, in basso, la copertura
con il sistema strutturale
di sostegno in acciaio.
Details of the roof and,
below, the roof with its
steel structural support
system.
59
Prospetto e, in basso,
particolare di un
sottopassaggio che
conduce al parcheggio
interrato.
60
Elevation and, below,
detail of an underpass
leading to the
underground parking
garage.
Sezione trasversale
e particolare dell’atrio
realizzato in cemento
a vista.
Cross section
and detail of the atrium,
built with exposed
concrete.
61
62
63
Trasparenze in viaggio
Transparencies On the Road
Houten, stazione di servizio
Houten, Service Station
Progetto di Samyn et Associés
Project by Samyn et Associés
64
N
egli anni Sessanta, Roy Lichtenstein definiva
le pompe di benzina “monumenti commerciali, altari ai beni di consumo”, e prefigurava un futuro sempre più popolato di “mostruosità”
ipertrofiche, iperrealistiche cattedrali dedicate alla
glorificazione delle multinazionali petrolifere. Dopo
quarant’anni, lo studio d’architettura Samyn et
Associés propone invece una netta inversione di
tendenza, puntando su un raffinato understatement linguistico, espresso attraverso materiali inusuali, industriali pur senza insistere nell’high-tech,
poveri eppure “intelligenti”, poiché in grado di
integrarsi in qualsiasi contesto senza perdere la
propria identità. Il rapporto identità/forma è attualmente un nodo oggetto di molte riflessioni, sia in
ambito progettuale che teorico. Nel caso di strutture architettoniche ad alto tasso di comunicazione
come le stazioni di servizio, dove è l’originalità
dell’imprinting figurativo a creare consenso, si
intuisce come il concept progettuale vincente sia
poi in grado di tracciare linee di tendenza per il
futuro. Non bisogna inoltre trascurare che, oltre a
diffondersi nel paesaggio reale, tutto ciò che attiene al mondo dell’auto è anche immerso in un
oceano mediatico sempre più complesso e coinvolgente. Riflessioni e ricerche sul futuro del progetto
e della professione dell’architetto non possono evitare un dato di fatto: lo sviluppo dell’informatica
tende sempre più a favorire un’architettura “spalmata” sull’immaterialità del ciberspazio, e quindi la
forma nella sua accezione compositiva tridimensionale è sempre meno elemento centrale nel pensiero dell’architetto. Il rapporto identità/forma, per
esempio, è ormai oggetto di riflessioni per nuove
direzioni di senso, anche perché la stessa figura
dell’architetto sta perdendo centralità nel progetto:
TRASPARENZA TRANSPARENCY
oggi egli condivide la responsabilità progettuale
con nuove figure creative come il symbol maker, il
grafico e, a volte, anche lo sceneggiatore, il regista
e lo scenografo, figure professionali in grado di trasformare l’architettura in una fabbrica di sogni. Le
nuove stazioni di servizio come quella di Houten,
nei Paesi Bassi, progettata da Samyn et Associés,
sono il risultato di una ricerca condotta dalla
società committente per ridare nuovo smalto a un
sistema ormai obsoleto, incapace di comunicare
nuove strategie aziendali. La stazione di servizio è,
infatti, elemento terminale di grande valore iconico: sia come comunicazione pubblicitaria sia per le
implicazioni socioculturali relative al mondo dei trasporti. La sensibilità verso il tema della salvaguardia
dell’ambiente, nella sua accezione più allargata,
comprendente quindi anche problematiche d’impatto sul territorio, è oggi fondamentale per creare
positive ricadute sull’immagine complessiva dell’azienda. In questo caso, la trasparenza degli schermi
in lamiera stirata è garanzia di massima integrazione con l’intorno sia esso agricolo oppure urbano.
Le sinuose pareti che avvolgono la stazione di servizio di Houten, oltre ad alleggerire l’insieme e a
creare quel senso di interiorità tridimensionale,
sono anche percorso guidato per suggerire
sequenze funzionali legate al rifornimento, al controllo motoristico e alla sosta degli automobilisti. È
dunque la dinamica insita nell’immagine dell’automobile ad avere ispirato forme avvolgenti, fluide, in
grado di suggerire orientamento e modalità d’ingresso al complesso. Il doppio ordine di paraventi
funge inoltre da schermo antivento e la linea continua di neon blu, sistemata nei bordi degli schermi,
segnala, con effetti suggestivi, la presenza della
stazione anche durante le ore notturne.
In queste pagine,
particolari degli schermi
antivento in acciaio
zincato della stazione
di servizio di Houten
(Olanda).
Details of the Houten
(Netherlands) service
station’s windscreens
constructed from
galvanized steel.
65
D
66
Rendering di progetto
e, nella pagina a fianco,
i percorsi suggeriti dalla
disposizione degli
schermi antivento.
A project rendering
and, opposite page,
the pathways reflecting
the same layout of the
windscreens.
uring the 1960s, Roy Lichtenstein defined
gasoline pumps as “commercial monuments, altars to the wealth of consumption.” He envisioned a future increasingly populated by hypertrophic “monstrosities,” hyperrealistic
cathedrals dedicated to glorifying multinational oil
and gas companies.
Forty years later, Samyn et Associés is proposing a
total reversal of this architectural trend. The underlying concept focuses on a refined linguistic understatement expressed through the use of unusual
materials. Although these materials are traditionally reserved for industrial construction applications,
they are versatile enough to be used in many other
types of construction without losing their identity.
The identity-to-form relationship is currently a knot
located at the center of considerable reflection and
evaluation, both in design and in theoretical arenas. In the case of highly communicative architectural structures, like the service station, – where
the originality of figurative imprinting creates consensus – one can understand how the winning
design concept could actually outline fashion
trends of the future.
It is also important to highlight that, in addition to
immuring itself in the real landscape, everything
pertaining to the automobile world is also
immersed in an ocean of increasingly complex
media attention.
Reflection and research on the future of the pro-
ject and on the architectural profession cannot
possibly avoid the simple fact that the development of computer science increasingly tends to
favor an architecture “splayed” into the immateriality of cyberspace. Therefore form, in its threedimensional composite meaning, is decreasingly
central to the average architect’s thinking process.
The identity-to-form relationship, for example, has
by now become the object of reflection on new
meaning directions. This is also due to the fact that
the architect himself is losing centrality in the project. Today, he shares design responsibility with
new creative figures like the symbol maker, the
graphic designer and, occasionally, even the
scriptwriter, the director and the set designer –
professionals capable of transforming architecture
into a factory of dreams. The new service stations,
like the one designed for the town of Houten,
Netherlands, by Samyn et Associés, are the result
of client research to develop a new look for a system that is by now obsolete and incapable of communicating new company strategies.
The service station is, in fact, a terminal element of
great iconic value. It serves as a means of publicity
and also holds socio-cultural implications relative to
the world of transportation.
The increased sensitivity to environmental themes
in their broadest sense, including problems of environmental impact, is fundamental today to creating positive feelings toward the overall image of an
oil company. In this case, the transparent metal
screens surrounding the gas station guarantee
maximum integration into both agricultural and
urban surroundings.
The sinuous walls that encase the Houten service
station lighten the whole and create a sense of
three-dimensional interior space.
They also serve as guided pathways that suggest
functional sequences related to filling the gas tank,
automobile inspections and rest area activities.
Therefore, the very dynamics inherent in the image
of the automobile have inspired this enveloping,
fluid form – a form capable of suggesting orientation and means of entry into the complex. The
double row of screens also functions as a windshield. Finally, the continuous neon blue line running along the edge of the screens signals, with
suggestive effect, the presence of the station even
during nighttime hours.
67
La materia sarà immateriale?
Will Matter Be Immaterial?
Roma, Centro Congressi Italia
Rome, Italia Convention Center
Progetto di Massimiliano Fuksas
Project by Massimiliano Fuksas
68
L
a rivoluzione elettronica è stata una straordinaria occasione di rinnovamento per l’architettura: l’informatica, per esempio, ne ha ampliato il campo d’azione trasformandola in uno straordinario medium globale. In certi casi però l’eccessiva contiguità con le tecnologie elettroniche ha
decretato una sorta d’azzeramento del processo
compositivo, inteso come aggregazione di volumi,
di equilibrio di pieni e vuoti, il tutto messo insieme
secondo uno schema simile a quello destinato alla
realizzazione di una scultura astratta. Ovvero: l’architetto fa un passo indietro come progettista dello
spazio per lasciare campo libero alla bidimensionalità del linguaggio grafico dell’insegna elettronica.
In occasione della VII Mostra Internazionale di
Architettura alla Biennale di Venezia (18 giugno-29
ottobre 2000) gli architetti americani Robert
Venturi e Denise Scott Brown hanno presentato
progetti e realizzazioni all’insegna di un concept
che non lasciava dubbi: “l’architettura intesa come
edificio generico ornato dall’iconografia elettronica”. Insomma, oggi in architettura non vi sono
dogmi progettuali, steccati entro cui operare all’insegna di un’ortodossia ormai fuori tempo, ma una
pluralità di linguaggi che convivono senza creare
interferenze reciproche.
Il Centro Congressi Italia ne è una prova. La struttura sospesa è, infatti, un elemento di forte comunicazione inserito in un impianto modellato su uno
schema definibile razionalista. L’architettura non è
più organizzata solo intorno a modelli di efficienza,
ma verso la ricerca di un’identità forte, inconfondibile. In questo caso, la ricerca di Fuksas si è orientata verso una struttura aerea che sfidasse la forza
gravitazionale creando una massa composta di trasparenze e densità, dissolvendo così la struttura
materiale in una sorta di visione onirica di grande
impatto psicologico. L’architettura ritorna così a
fondersi con l’arte attraverso la rappresentazione
simbolica dell'onirico, presente nel subconscio più
segreto e profondo. Fuksas compie quindi un’operazione inusuale per un architetto, creando prima
un’immagine forte, clamorosa, spettacolare, e trovando poi il modo di renderla anche funzionale
attraverso un’operazione di exploitation cinematografica (ideare prima la locandina e poi realizzare il
film). Il complesso congressuale ideato da Fuksas è
risultato vincitore in un concorso internazionale
diviso in due fasi, con una giuria presieduta da Sir
Norman Foster. Alla competizione hanno parteci-
pato importanti architetti come, tra gli altri, Richard
Rogers e il gruppo francese AREP.
Il complesso congressuale sarà realizzato nel quartiere EUR a Roma, tra i viali Colombo, Asia,
Shakespeare ed Europa, e sarà il più grande
costruito in Italia. Le forme semplici e squadrate
che caratterizzano il nuovo centro congressuale
sono una citazione e una forma di rispetto contestuale, come spiega lo stesso Fuksas: “Rende
omaggio al razionalismo degli anni Trenta che
segna il volto dell’EUR e all’architettura formalmente pulita dell’adiacente Palazzo dei Ricevimenti e
dei Congressi, progettato da Adalberto Libera”.
Il complesso è destinato ad accogliere tre sale,
TRASPARENZA TRANSPARENCY
rispettivamente di 1.500, 4.000 e 8.000 posti; uno
spazio polifunzionale di 15.000 metri quadrati per
il foyer, alcuni caffè e un ristorante.
La struttura sospesa, chiamata anche “nuvola”,
sarà posta al centro della grande hall e accoglierà
un auditorium e sale riunioni. Il resto del centro
congressuale sarà destinato alle funzioni alberghiere, ma avrà spazi flessibili in grado di trasformarsi
in open space o aree destinate a uffici indipendenti. Una volta in funzione, il centro congressuale
potrà accogliere eventi e manifestazioni con una
presenza di circa diecimila visitatori giornalieri. In
realtà, saranno molti di più se si pensa all’appeal
mediatico del centro congressuale romano: televi-
sione, giornali e Internet divoreranno con grande
avidità un’architettura leggera come una nuvola
ma complessa come una microcittà in cui si percepiscono l’alto e il basso, la densità e il vuoto, il
rumore e il silenzio, il caldo e il freddo, la morbidezza e la durezza, la confusione e la chiarezza.
Insomma, non saranno solamente il teflon e l’acciaio, i materiali con cui sarà realizzata la “nuvola”,
a dare visibilità alla struttura, ma anche la sua
immagine veicolata attraverso i media. Il suo territorio di confronto non sarà dunque solo la città
reale, ma anche le pagine dei giornali e gli schermi
dei televisori e dei computer.
Planimetria generale del
complesso congressuale
da realizzare a Roma
su un’area di 15.000 mq.
L’edificio è composto
da un auditorium, varie
sale riunioni, tre sale,
bar e ristorante.
General plan of the
convention complex
to be built in Rome over
a 15,000 square-meter
area. The building includes
an auditorium, various
meeting rooms, three
halls, a bar and a
restaurant.
69
70
Sezioni longitudinale
e trasversale.
Longitudinal and cross
sections.
T
he electronic revolution has had an extraordinary impact on the advancement of
architecture. For example, computer science
has broadened its field of influence, transforming
architecture into a remarkable global medium. In
certain cases, however, excessive contiguity with
electronic technologies has produced a kind of
nulling of the compositional process understood as
an aggregation of volumes, a balance between full
and empty spaces. It is similar to the full and the
empty spaces that are brought together in a sketch
used in the creation of some abstract sculpture.
More precisely, architecture takes a considerable
step backward as the designer of space in order to
give free rein to the two-dimensional nature of the
electronic graphic language.
During the VII International Architectural Show at
the Venice Biennial Exhibition (June 18th to
October 29th, 2000), American architects Robert
Venturi and Denise Scott Brown presented projects
and realizations influenced by a concept that left
no room for doubt in the minds of onlookers,
“architecture understood as generic edifice decorated with electronic iconography.” Essentially, in
architecture today, there no longer exist project
dogmas, boundaries within which one must work
according to an orthodoxy that has by now fallen
out of style. Instead, there is a plurality of languages that co-exist without creating any undue
reciprocal interference.
The Italia Convention Center is solid proof of this
assertion. The suspended structure is, in fact, a
strong element of communication integrated into
a plan based on a clearly rationalistic outline.
Architecture is no longer organized merely around
models of efficiency, but around the search for a
strong and unmistakable identity.
In this case, Fuksas’s search is oriented toward an
aerial structure that challenges the very force of
gravity, creating a mass composed of transparencies and densities. This play of elements dissolves
the material structure into a sort of dreamy vision
that has tremendous psychological impact. Thus,
architecture returns to a blending with art through
the symbolic representation of the world of
dreams that is present in the most secret and
deepest subconscious. Fuksas carries out an unusual operation for an architect. He first creates a
strong, clamorous, spectacular image, and subsequently finds a way to render it functional through
Rendering del
complesso. Il progetto
di Fuksas è risultato
vincitore del concorso
internazionale per il
nuovo Centro Congressi
Italia all’EUR.
A rendering of the
complex. Fuksas’s
project was the winning
entry in an international
competition to select
a design plan for the
new Italia Convention
Center in Rome’s EUR
neighborhood.
71
a display of cinematographic exploitation. It is as if
he were first creating a movie poster, then the
movie. The convention center designed by Fuksas
was the winning result of a two-phase international juried competition under the direction of Sir
Norman Foster. Numerous prominent architects
participated in the competition, including, among
others, Richard Rogers and the French group AREP.
The center complex will be constructed in the EUR
neighborhood of Rome, between Colombo, Asia,
Shakespeare and Europa streets. It will be the
largest construction of its kind ever built in Italy.
The simple and squared forms that characterize
the convention center are a reference as well as an
expression of contextual respect, as Fuksas
explains, “(The complex) pays homage to the rationalism of the 1930s. That way of thinking greatly
influenced the face of the EUR neighborhood and
the formally clean architecture found in the neighboring Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi,
designed by Adalberto Libera.”
The complex will have three large halls with 1,500,
4,000 and 8,000 seats, respectively. It will include a
multifunctional foyer spanning 15,000 square
meters, several cafes and a restaurant. The sus-
pended structure, also referred to as the “cloud,”
will be located at the center of the great hall and
will contain an auditorium and meeting rooms.
The remaining spaces of the convention center are
destined for hotels and independent offices. Once
the center is open and operational, the structure
will be able to host events and shows for public
audiences of about ten thousand people per day.
In reality, if one considers the media appeal of the
Italia Convention Center, there will surely be more
to come. Television, newspapers and the Internet
will devour an architecture as light as a cloud but
as complex as a micro-city. In this type of design,
one can perceive highs and lows, dense spaces
and emptiness, clamor and silence, hot and cold,
softness and hardness, confusion and clarity. In
other words, there will be more than just Teflon
and steel, the materials out of which the “cloud”
will be constructed to give the structure visibility.
Its very image will spread through the various
channels, lines and outlets of the media.
Therefore, its terrain of comparison will not simply
be the surrounding real city, but also newspaper
pages, television screens and computer monitors
around the world.
Rendering del grande
involucro in acciaio
e teflon di 3.500 mq
posto nella sala
convegni. Definita
“nuvola”, la struttura
sospesa è retta da
nervature in acciaio
e sovrasta un elemento
verticale che accoglierà
il ristorante.
72
A rendering of the
enormous, 3,500
square-meter steel and
Teflon shell located
in the convention room.
Defined as a “cloud,”
the suspended structure
is supported by a steel
framework and hangs
over a vertical component
that will eventually house
the restaurant.
73
La presenza dell’assenza
The Presence of Absence
New York, American Bible Society
New York, American Bible Society
Progetto di Fox & Fowle Architects
Project by Fox & Fowle Architects
74
In queste pagine,
il volume vetrato,
dettaglio della vetrata
strutturale e piante
dei piani terra
e secondo.
The glass-encased
volume, a detail of the
structural glass pane,
and plans of the ground
and second floors.
L’
ampliamento di un edificio esistente come
l’in tervento dell’American Bible Society, è
un tema stimolante e affascinante quanto
un viaggio in un organismo concluso, cui però si
deve modificare il codice genetico per svilupparne
nuove ramificazioni di crescita. Facile intuire quindi
come l’operazione ponga alcuni problemi, sostanzialmente esemplificabili in due distinte filosofie
progettuali: una che, ponendo l’accento sul contrasto per evidenziarne le distinte fasi di realizzazione,
dia il giusto risalto alla creatività del progettista, e
un’altra orientata verso una mimesi totale per limitare al massimo disomogeneità stilistiche e problemi di “rigetto”.
L’ampliamento della sede dell’American Bible
Society di New York dimostra invece che esiste
anche una terza via, con ottimi risultati e indicazioni utili per progettisti alle prese con analoghe problematiche. La scena urbana in cui sono intervenuti
Fox & Fowle è caratterizzata da un complesso risalente agli anni Sessanta, realizzato su progetto di
Skidmore Owings & Merrill. Tra le peculiarità della
costruzione, soprattutto quelle fondamentali nel
rapporto con l’intorno, risalta l’ubicazione del complesso, arretrato rispetto alla strada per ottenere
una sorta di piazza e creare così un’area di rispetto
destinata a esaltare il prestigio architettonico della
fondazione culturale.
L’intervento di Fox & Fowle punta su una decisa
riscrittura del luogo, sulla ridefinizione contestuale
di un sito che ha perduto identità attraverso successive stratificazioni. Quando nel 1966 fu realizzata la sede della fondazione, l’intorno era caratterizzato da un tessuto urbano composto di edifici bassi, poi modificatosi attraverso demolizioni radicali e
l’edificazione di complessi a più piani.
Tra gli obiettivi del progetto, c’era l’intenzione di
realizzare una nuova struttura connotata come
TRASPARENZA TRANSPARENCY
segno forte, senza tuttavia snaturare l’esistente.
L’operazione compiuta da Fox & Fowle è insolita e
va letta evidenziandone il carattere transdisciplinare, in questo caso tracce e percorsi fra architettura
e linguistica, in atto da qualche tempo quale occasione di ricerca per nuove linee di tendenza progettuale. Sembra dunque che gli architetti si siano
immersi in una polifonia di suggestioni e osservazioni originata da un’ambiguità etimologica:
“proiettare” e “progettare” derivano, infatti, dal
latino “gettare avanti”. Il nuovo volume, interamente vetrato, nasce dunque come metafora di un
corpo architettonico “mobile”, virtualmente proiettato in avanti come se la facciata dell’edificio esistente si espandesse, creando un avancorpo trasparente e immateriale, suggerendo così come
anche in architettura, a volte, l’assenza sia una particolare forma di presenza.
La tecnologia costruttiva è quella della vetrata
strutturale, ovvero lastre fissate per punti e solidali
a un’esile struttura di acciaio, in grado di accentuare al massimo l’effetto di trasparenza dell’insieme.
Ciò, oltre a rendere l’addizione architettonica non
invasiva, dà corpo a un contenitore in cui – grazie a
immagini proiettate su schermi giganti – architettura e media si fondono in un unico linguaggio di
grande suggestione e forza evocatrice.
Insomma, nuove tecnologie costruttive e linguaggio mediatico sono sempre più sinergici e destinati
a influenzare nuove direzioni di ricerca in una delicata disciplina come l’architettura, per anni prigioniera di schematismi tecnocratici e dogmi progettuali.
75
Veduta complessiva
del padiglione vetrato
sulla cui superficie
possono essere proiettate
immagini e testi tradotti
in oltre sessanta lingue.
Comprehensive view of
the glass pavilion. Images
and texts translated into
more than 60 languages
can be projected onto its
surfaces.
76
T
he expansion of an existing edifice, like the
one that houses the American Bible Society,
is a fascinating and stimulating challenge. It
is comparable to taking an imaginary voyage
through a mature organism at the cellular level.
However, this mature organism must be genetically
modified if new growth and branching out is to
develop. With this in mind, it is easy to intuit how
the operation poses several problems exemplified
in two distinct design philosophies. The first one
provides an appropriate outlet for the architect’s
creativity by placing the emphasis on contrast in
order to highlight the separate phases of realization. The second is oriented toward a total mimesis
in an attempt to minimize a lack of stylistic homogeneity and the potential for “rejection.”
The expansion of the American Bible Society’s
home office in New York is an undertaking that
points to the existence of a third approach. It’s an
approach that provides optimum results as well as
useful guidelines and solutions for architects who
are grappling with similar problems and situations.
The urban setting within which Fox & Fowle have
labored is characterized by a complex built in the
1960s, based on a design by Skidmore Owings &
Merrill. The structure’s location stands out among
its peculiarities, especially those fundamental to its
relationship with its surroundings, as it is deliberately set back from the street in order to form a
kind of plaza. This creates an area of respect that
serves to enhance and amplify the architectural
prestige of this cultural foundation.
Essentially, Fox & Fowle’s intervention places
emphasis on a decisive restructuring of the area – a
contextual redefinition of a site that has lost its
identity through the effect wrought by successive
stratifications. Its surroundings were defined by an
urban fabric composed primarily of low-rise buildings when the foundation’s home office was originally constructed in 1966. This fabric was subsequently modified through the radical demolition of
existing structures and the construction of multistoried complexes.
Among the project’s objectives lies the intention to
create a new structure marked by strong architectural signs without distorting the existing building.
The operation carried out by Fox & Fowle is unusual in its insistence on highlighting its trans-disciplinary nature. This dimension articulates traces and
inroads between architecture and linguistics that
have been functioning as research expeditions into
new methods, trends and modalities in architectural design for some time. Basically, it appears the
architects immersed themselves in a multifaceted
concert of suggestions and observations originating from an etymological ambiguity. In fact, the
term “to project” can be defined both as “to plan”
and “to throw forward.” Therefore this new glassencased volume is born as a metaphor for a
“mobile” architectural body. It has virtually been
projected forward as if the edifice’s existing facade
were expanding, thus creating a forward body that
is both transparent and immaterial. All of this suggests how even in architecture, absence can function as a particular form of presence.
Here, the construction technology is created from
sheets of structural glass fixed at points to an existing steel structure to maximize the transparency
and functionality of the expansion while at the
same time rendering it subtle and non-invasive. It is
as if it were a kind of container in which architecture and media blend together, thanks to images
projected onto gigantic screens.
This blend forms a unique language that at once
challenges the soul of mankind to ponder his position in the heavenly realm.
When all is said and done, new construction technologies and media languages are increasingly synergetic and together are destined to influence and
give rise to new areas of exploration within the
delicate discipline of architecture. It is a positive
and exciting influence in a field that has remained
a prisoner of technocratic planners and design
dogmas for far too many years.
77
In questa pagina,
sezione sull’ampliamento
dell’American Bible Society
e particolari dei giunti
in acciaio che sostengono
le pareti vetrate.
This page. A section
of the American Bible
Society expansion and
details of the steel joints
that support the glass
walls.
La merce e la sua metafora
Merchandise and Its Metaphor
Wolfsburg, Autostadt, la città dell’automobile
Wolfsburg, Autostadt, Car City
Progetto di Gunter Henn
Project by Gunter Henn
78
TRASPARENZA TRANSPARENCY
Nella pagina a fianco,
le due torri vetrate del
Centro Comunicazione
Volkswagen contenenti
le nuove auto pronte
per la consegna.
Ogni torre può ospitare
fino a quattrocento
veicoli, distribuiti
su 20 piani attraverso
particolari ascensori.
S
Opposite page.
The two glass towers
of the Volkswagen
Communications Center
housing new cars
awaiting final delivery.
Each tower can hold
up to four hundred
vehicles, distributed over
20 floors using special
elevators.
e l’architettura ha un futuro anche come linguaggio massmediatico, la sua identità sembra sospesa fra due opposte polarità: da una
parte trasfigurare in metafora tecnologica merci e
beni di consumo, dall’altra mutare la sua tridimensionale modernità in pura superficie da tatuare con
i segni della comunicazione interattiva.
Effetti speciali e tecnologie multimediali sono il
paesaggio visivo e sonoro di Autostadt, città dell’automobile in grado di accogliere fino a un milione di visitatori l’anno, inclusi coloro che, suggestionati da una sorprendente macchina architettonica,
acquisteranno l’auto sognata direttamente in fabbrica, affascinati da un rituale dedicato al mondo
dell’automobile e glorificato da una particolare filosofia della comunicazione basata sul concetto di
corporate architecture.
Il nuovo complesso Autostadt sorge nell’area storica degli stabilimenti Volkswagen, a Wolfsburg, di
cui occupa la ragguardevole superficie di circa trenta ettari. Altrettanto importante è stato l’investimento per la sua realizzazione, pari a 435 milioni
di euro. Il sito è in posizione strategica, davanti alla
stazione ferroviaria del piccolo centro urbano che
accoglie il più grande insediamento industriale
Volkswagen del mondo. E ora anche una delle più
stupefacenti macchine di comunicazione destinate
a rendere percepibile da tutti la complessità dell’universo automobile.
Alla ricerca di emozioni, promesse da mass media e
stampa di settore, il potenziale acquirente di vetture Volkswagen prima di giungere alla “Mecca”
deve compiere una sorta di percorso iniziatico:
appena uscito dalla stazione, unica fermata del treno ad alta velocità ICE, lungo la linea BerlinoHannover, oltrepassa un tecnologico ponte dall’aerea struttura lanciato sul canale Reno-Elba ed entra
in una sorta di piazza all’interno del padiglione di
accoglienza, dove inizia uno show multimediale
capace di dire di tutto su tutto il mondo che ruota
attorno al gruppo Volkswagen e alla sua filosofia
industriale.
In tal senso appare oltremodo eclatante il grande
padiglione-hangar, realizzato con pareti vetrate
rotanti alte circa venti metri, da cui si può scegliere
se dirigersi verso i padiglioni tematici, come il
Museo dell’Auto e della Civiltà Tecnologica, oppure
verso spazi specificatamente automobilistici come
quelli dedicati ai vari marchi del gruppo. Ciascun
padiglione è stato progettato caratterizzandone
l’architettura e gli allestimenti quali dirette espressioni dei diversi target commerciali cui sono destinate le auto e i veicoli industriali prodotti da Audi,
Bentley, Lamborghini, Scania, Seat, Skoda e
Volkswagen.
Il padiglione Bentley, per esempio, è configurato
come una collina cava, mentre quello Lamborghini
come un grande prisma conficcato nel terreno, per
evocare la forza dirompente e ultraveloce di un
volume geometrico dinamico e carico di energia
latente. In realtà, Autostadt non è solamente esaltazione di tecnologiche virtù automobilistiche, ma
anche consapevolezza del ruolo strategico che
una grande industria come il gruppo Volkswagen
svolge quando punta alla salvaguardia dell’ambiente naturale.
Il progetto generale della città dell’automobile è,
infatti, pressoché fondato su principi bioclimatici.
Quindi ventilazione naturale – escluse le sale cinematografiche – al posto di complessi impianti di
condizionamento, notoriamente responsabili di alti
consumi energetici.
La piazza coperta con le altissime vetrate è racchiusa da dodici enormi prismi rotanti, in grado di creare, secondo le stagioni, il miglior compromesso climatico all’interno. Il padiglione cubico, destinato al
marchio Volkswagen, dispone di un sistema di
lamelle in alluminio relazionato al movimento del
sole e capace di produrre giochi di luce che evidenziano il movimento delle nuvole.
La fine del percorso all’interno di Autostadt coincide con il KundenCenter, il centro clienti, e le due
torri trasparenti alte cinquanta metri e utilizzate
come silos di contenimento delle vetture da vendere. È in questi due luoghi che va in scena lo spettacolo della cerimonia della consegna dell’auto,
destinata a rimanere un evento impresso nella
memoria del cliente.
Il veicolo è “concesso” in un clima di grande suggestione, che potrebbe ricordare il chapliniano
Tempi moderni con la sua allineante mistica meccanicista: le vetture in consegna – a pieno regime ne
saranno movimentate circa ottocento al giorno –
arrivano su un nastro trasportatore provenienti da
un tunnel collegato con gli stabilimenti di produzione.
Le vetture appaiono illuminate da fasci di luce al
centro del padiglione clienti, ampio e altissimo
come una cattedrale laica dedicata al culto della
mobilità privata.
79
Nella pagina a fianco,
interno di una delle torri
vetrate con il sistema
di ascensori destinato
alla movimentazione
delle auto.
80
Opposite page.
An internal view of one
of the glass towers
and the elevator system
designed to move
automobiles.
I
f architecture is to have a future as a mass media
language, its identity seemingly hangs between
two opposite poles. At one pole, it can transform
merchandise and consumer products into a technological metaphor. At the other, it could transform
its three-dimensional modernity into pure surfaces
that can be marked with the characters of interactive communication. Special effects and multimedia
technologies constitute the visual and audio landscape in Autostadt. This car city can host up to one
million visitors per year, including those who,
attracted by a surprising architectural machine,
come to buy the car of their dreams directly from
the factory. Shoppers are inspired by a ritual dedicated to the world of the automobile and glorified
by a particular communication philosophy based
on a concept of corporate architecture. The new
Autostadt complex stands in the middle of the historic environs of the Volkswagen factories in
Wolfsburg. The building occupies a considerable
stretch of terrain encompassing nearly thirty
hectares. Investment in this area is even more noteworthy, nearly 435 million euros. The Autostadt is
strategically located in front of the local train station, in the small urban center that is home to the
largest Volkswagen industrial complex in the world.
The site is also one of the most striking communication machines in existence – an edifice designed
to make the complex universe of the automobile
understandable to everyone.
Potential Volkswagen buyers flock to this car’s
“Mecca” in search of stimulation and answers to
promises made by mass media and car magazines.
On the way, they undertake a kind of initiation
journey. As soon as they leave the station, which is
the only stop that the high-velocity ICE train makes
along the Berlin-Hanover line, they cross a technological bridge suspended high over the Rhine-Elbe
Canal and enter a type of plaza inside the welcoming structure. This building features a multimedia
show capable of communicating anything and
everything about the world of Volkswagen and the
carmaker’s industrial philosophy. In this sense, the
enormous pavilion-hangar is especially striking, created with rotating glass walls that stretch more
than twenty meters high. From there, spectators
can choose which pavilion to visit, either heading
toward thematic spaces like the Museum of the
Automobile and the Civilization of Technology, or
toward areas dedicated specifically to the car, like
those highlighting the various car models and lines
produced by this industrial group. Each pavilion
was designed in such a way that the architecture
and furnishings directly reflect and express the
diverse commercial targets of the various automobiles and industrial vehicles produced by Audi,
Bentley, Lamborghini, Scania, Seat, Skoda and
Volkswagen. The Bentley pavilion, for example, is
constructed like an enormous hollow hill. The
space intended for Lamborghini resembles a giant
prism inserted into the earth. It evokes the muscular, high-velocity force of a dynamic geometric volume charged with latent energy. In reality,
Autostadt is not simply an exaltation of automobile
technologies. It also recognizes the strategic role
that a great industrial company like the
Volkswagen group can play in protecting and
respecting the environment. The overall project for
the car city is, in fact, largely based on bio-climatic
environmental principles. This has given rise to such
aspects as natural ventilation in the building – with
the exception of the movie theaters – replacing the
air-conditioning systems that are notoriously
responsible for high-energy consumption.
The covered plaza that houses the extremely high
glass walls is enclosed by twelve enormous rotating
prisms that, depending on the seasons, can create
optimal climatic conditions inside the building. The
cubic pavilion designed to house the Volkswagen
presentation boasts a system of aluminum panels
oriented toward the sun’s movement and capable
of producing a play of light that highlights the
movement of clouds overhead. The end of the
pathway through the inside of Autostadt coincides
with the KundenCenter, or client center, and with
the two 50-meter-high transparent towers used as
container silos for cars yet to be sold. This is the site
of a show sure to impress a car purchaser, the consignment of a newly bought car. The vehicle is
“delivered” in a powerfully suggestive environment,
one that may remind onlookers of Chaplin’s
Modern Times with its mechanical mystique. The
cars being delivered – nearly 800 per day when the
complex is completely full and running – arrive on a
conveyor belt that runs out from a tunnel connected directly with the production factory itself. The
cars appear and are illuminated by beams of light
at the center of the client pavilion, which stands
wide and very tall like a secular cathedral dedicated
to the cult of private mobility.
81
Qui sotto, in senso
orario, planimetria
generale, veduta aerea
e il complesso ZeitHaus,
il Museo dell’Auto.
Il complesso è composto
da un prisma vetrato,
il Rack, che ospita una
collezione di automobili,
e da un volume a forma
di prua, il Korpus, dove
è illustrata la storia
e il ruolo dell’automobile
nelle varie epoche.
82
Below. In clockwise
order, general plan,
aerial view and the
ZeitHaus Automobile
Museum Complex.
The structure is
composed of a glass
prism, the Rack, which
houses a collection
of automobiles, and
a prow-shaped volume,
the Korpus, which
details the history
and the role of the
automobile during
various periods of time.
Particolare del Korpus,
il volume vetrato
del Museo dell’Auto.
Details of Korpus,
the glass volume of the
Automobile Museum.
83
In questa pagina,
sezione del padiglione
Volkswagen
e interni dell’edificio
caratterizzato
da un cubo vetrato
che racchiude una sfera.
Nella pagina a fianco,
immagine complessiva
del padiglione
Volkswagen.
Nelle pagine successive,
l’edificio d’ingresso
di Autostadt e le grandi
steli vetrate che
delineano l’ingresso
in Autostadt e verso
la città.
84
Section of the
Volkswagen pavilion
and internal views of the
building characterized
by a glass cube that
encloses a sphere.
Opposite page.
Comprehensive view
of the Volkswagen
pavilion.
Following pages.
The Autostadt entrance
building and the great
glass stelae delineating
the entrance to
Autostadt and toward
the city.
85
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