XXIV EDIZIONE OLIMPIADI DELLA FILOSOFIA LA LIBERTÀ. IL PROBLEMA FILOSOFICO. Progetto Area Eccellenze – Classi IV e V anno scolastico 2016/2017 Prof.ssa Elisa Vannocchi XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi XXIV EDIZIONE OLIMPIADI DELLA FILOSOFIA ORGANIZZAZIONE del CORSO I circa 60 studenti iscritti al corso sono stati divisi in due gruppi, Gruppo A e Gruppo B, per ragioni organizzative e logistiche; gli alunni appartengono sia alle classi IV che alle classi V di tutti gi indirizzi dell'Istituto. Il progetto prevede un monte orario complessivo di dieci ore (lezioni + verifica); il calendario delle lezioni prevede tre incontri per un totale di sette ore, ed una quarta lezione facoltativa ipotizzabile come conclusiva e riepilogativa dell'intero corso e percorso affrontato. A completare il quadro formativo del progetto, inoltre, si aggiunge la possibilità di frequentare una lezione presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Perugia, tenuta da docenti universitari e relativa al tema regionale oggetto del concorso, ―La Libertà‖. La prova interna d'Istituto, della durata di tre ore e dante diritto alla certificazione del credito scolastico, è programmata per venerdì 3 febbraio 2017. Calendario del Corso Lezioni Gruppo A Lunedì 9 gennaio Mercoledì 18 gennaio Mercoledì 25 gennaio 14.00 – 16.30 (2,5 h) 14.00 – 16.30 (2,5 h) 14.00 – 16.00 (2 h) Lezioni Gruppo B Giovedì 12 gennaio Lunedì 16 gennaio Giovedì 26 gennaio 14.00 – 16.30 (2,5 h) 14.00 – 16.30 (2,5 h) 14.00 – 16.30 (2 h) Lezione in Dipartimento di Filosofia – Università degli Studi di Perugia Giovedì 19 gennaio 15.00 – 17.00 Lezioni Gruppo A + Gruppo B (riepilogo) Lunedì 30 gennaio 14.00 – 16.00 Verifica scritta Gruppo A + Gruppo B venerdì 3 febbraio 14.00 – 17.30 1 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi LA LIBERTÀ. IL PROBLEMA FILOSOFICO. ―Libertas [...] non in eo est ut iusto utamur domino, sed ut nullo‖. ―La libertà [...] non consiste nell'avere un buon padrone, ma nel non averne affatto‖. Marco Tullio Cicerone, De re publica, Libro II I – Prefazione. L’etimologia del termine e la questione. Dal latino libertas, sostantivo affine a libitum – volontà senza coercizione –, entrambi derivano dal verbo libere – avere il piacere di fare qualcosa di relativo al proprio bene. Questo termine denota la proprietà peculiare ed esclusiva che ha l‟uomo di essere padrone dei propri atti, e pertanto responsabile delle proprie azioni (e pensieri). Proprietà singolarissima, la libertà ha dato luogo ad innumerevoli e complesse questioni nel corso della storia della filosofia; un viaggio, sintetico e sui modelli esemplari, è quanto questo percorso intende affrontare. C‟è anzitutto da giustificare l‟esistenza della libertà: come può essere l‟uomo libero, se tutto nel mondo è soggetto alle leggi della natura (Determinismo fisico e Meccanicismo) o alla volontà di Dio (Determinismo teologico)? Ossia, ammesso che Dio con l‟uomo abbia creato il regno della libertà, concretamente l‟uomo è davvero libero, visto che sulle sue decisioni pesano tanti condizionamenti politici, ideologici, economici, psicologici? E poi, in che consiste precisamente la libertà? È una funzione della ragione, della volontà o di entrambe? Per tutte queste e molte altre questioni che riguardano la libertà umana (il libero arbitrio), la filosofia ha tentato soluzioni diverse e talvolta contrastanti e contraddittorie, a seconda anche che ci si collocasse in un parametro morale, in uno politico o finanche in uno giuridico. Diverse prospettive per approcciarsi ad un unico grande tema, difficilmente accessibile con una chiave unitaria. Tuttavia, anche se tra i filosofi regna la discordia, almeno su un punto esiste un consenso quasi universale: la libertà è il massimo titolo di nobiltà di cui l‟uomo è dotato, e per questo nell‟ambito sociale costituisce anche il suo diritto primo, sacro ed inviolabile. Ogni ordinamento giuridico – sia privato che pubblico – deve rispettare la libertà di ogni persona, consentendone l‟esercizio pubblico nei limiti del bene comune. 2 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi II – “Libertà di” e “libertà da”. Nel corso della storia si è assistito al contrapporsi di due diversi modelli di libertà: da un lato, la libertà come libero arbitrio, ossia come possibilità di decidere arbitrariamente tra due o più alternative (si tratta di quella che gli Scolastici definivano potestas ad utrumque); essa è la libertà di indifferenza, tale per cui quando ci si trova a dover compiere una scelta è, per l‟appunto, indifferente che si scelga A piuttosto che B, nel senso che non vi è nessun condizionamento che implichi dall‟esterno una differenza e che ci indirizzi a scegliere una cosa anziché un‟altra. In quest‟accezione, questo modello può essere concepito come modello della “libertà di” fare in un modo oppure, indistintamente, libertà di fare in un altro. Dall‟altro lato, si trova la libertà come assenza di costrizione, la libertas a coactione degli Scolastici: non è più l‟indifferenza della scelta, tale per cui si può decidere liberamente di scegliere o A o B, ma si tratta piuttosto di una libertà in virtù della quale sia che si scelga A, sia che si scelga B, non si è condizionati da una costrizione, sia essa esterna (qualcuno che ci obbliga ad agire in un determinato modo) sia essa interna (le proprie passioni e le proprie convinzioni razionali, politiche, ideologiche). Questo secondo modello implica non già una “libertà di”, bensì una “libertà da”. Stando a quanto analizzato finora, questi due tipi di libertà possono apparire non troppo diversificate, cosicché è opportuno produrre altre distinzioni più incisive. In prima istanza, si deve riflettere come la “libertà di” è sempre considerata una libertà positiva, in quanto si tratta di determinare l‟oggetto del (proprio) volere e sono io stesso a deciderlo; sicché la “libertà di” comporta la libertà di volere ciò che ancora non si vuole, per cui siamo noi stessi a determinare la nostra volontà: l‟uomo non sceglie perché vuole, ma vuole perché sceglie. Ne consegue la ben nota visione antropologica dell‟uomo come artifex, tanto cara alla filosofia umanistica e rinascimentale, nonché alla cultura moderna tutta, un uomo che “costruisce” il proprio destino e la propria fortuna – homo faber ipsius fortunae – non perché in balìa di un destino deterministicamente e meccanicisticamente progettato, ma in quanto frutto della propria personale scelta di vita, di progetto e di esistenza. In tale visione, necessariamente positiva, l‟uomo è il risultato della propria “libertà di” essere ciò che vuole, al di là di ogni possibile alternativa. Sull‟altro versante – quello della “libertà da” – si è al contrario dinanzi ad una libertà di tipo negativo, giacché ciò che si vuole è sempre già presupposto, cosicché io so già che 3 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi cosa voglio e non sono io a sceglierlo. Dunque, si può dire che nel caso della “libertà di” ciò che voglio non mi è imposto (e per ciò sono realmente libero), mentre nel caso della “libertà da” mi è imposto (e perciò non sono libero). Un‟ulteriore distinzione può essere operata tenendo conto del rapporto che queste due forme di libertà intrattengono con la contingenza o con la necessità: entrambe le due tipologie di libertà presuppongono una razionalità dell‟azione (si vuole e si sceglie qualcosa sulla base di un disegno razionale), ma diverso è il rapporto sussistente tra la razionalità e il contesto in cui essa si esprime. Nel caso del libero arbitrio (la “libertà di”), il contesto in cui mi trovo ad operare deve presupporre un certo livello di contingenza, giacché, affinché io possa scegliere A anziché B, occorre che l‟ordine esterno delle cose sia tale da consentire tanto la realizzazione di A quanto la realizzazione di B: ciò significa che non deve essere già predeterminato che si verifichi A anziché B. Questa condizione di indeterminatezza non è invece richiesta dal modello della “libertà da”, il che sembrerebbe apparentemente assurdo: come si può, infatti, parlare di libertà e, al contempo, ammettere che valga un determinismo in forza del quale sia già decretato che si verifichi A piuttosto che B? In realtà tale situazione cessa di essere assurda se si ammette che a togliere la libertà non è la necessità in sé solamente esterna – ovvero quel che agisce sul soggetto essendo ad esso fisicamente esterna – ma anche quella proveniente dalle forze interne del soggetto (ad esempio le sue passioni o le sue abitudini e considerate metafisicamente esterne alla razionalità del soggetto agente); sicché se un soggetto si trova ad esser determinato nell‟agire dalle proprie passioni, egli è coatto da qualcosa a fare ciò che la sua ragione lo indurrebbe a non fare: se ne evince che anche ciò che pare di primo acchito essere una forza interna (le passioni), è in realtà esterna, in quanto opponentesi alla razionalità del soggetto. Se, invece, questi agisce mosso da un principio di razionalità assoluta, allora agisce seguendo una necessità che rispecchia l‟ordine necessario del mondo: non è costretto da forze esterne, ma obbedisce ad un principio necessario dell‟azione, essendo in tal modo libero in quanto la forza che lo condiziona è identica alla sua stessa soggettività: in altri termini, è egli stesso quella forza. In questo senso, la libertà risulta conciliabile con la necessità: il caso paradigmatico di questa concezione è rappresentato da Spinoza e dalla processualità dialettica del sistema hegeliano, per il quale l‟uomo che segue la necessità imperante nel cosmo realizza la sua libertà, intesa ovviamente non come facoltà di scegliere A anziché B, bensì come “libertà da” costrizioni. Tuttavia, sotto questo profilo, il livello della libertà intesa come negativa e come positiva viene un po‟ corretto e sfumato, giacché la “libertà da” porta ad 4 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi identificarsi con il principio causale dell‟agire e necessario del mondo, e così cessa di essere vincolante e negativo. Va da sé, tuttavia, che il problema della libertà è complesso e a tratti irrisolvibile, e ciò è dovuto precipuamente alla difficoltà e alla pluralità di termini impiegati nell‟affrontarlo, tali da non afferrare mai del tutto che cosa sia realmente la libertà in sé. Se almeno si sapesse con certezza che cosa essa sia, si potrebbe per lo meno univocamente capire se l‟uomo ne sia equipaggiato oppure no. Invece risulta assai arduo, ancor prima di decidere se l‟uomo sia libero o no, capire che cosa effettivamente sia la libertà, e ulteriori complicazioni sono introdotte dal fatto che, accanto ai due modelli e alle due interpretazioni proposte, nella storia del pensiero filosofico se ne sono sviluppati molti altri da essi derivanti. Vediamone alcuni, considerabili modelli caratterizzanti della libertà come “problema filosofico”. 1. LA RICERCA DELLE ORIGINI DEL CONCETTO FILOSOFICO DI LIBERTÀ 1.a. Prime deboli impronte nella filosofia greca antica. Dopo aver intuito quanto possa essere difficile e complessa la problematica in esame, chiediamoci quando storicamente ci si sia per la prima volta interrogati su di essa. La cultura greca antica, pur così acuta e ingegnosa, e madre del pensiero filosofico, non si pose più di tanto ed in maniera approfondita il problema della libertà; prova ne è il fatto che la lingua greca sia sprovvista di un termine che designi propriamente la “libertà”, tenendo conto che (eleutheria) designa esclusivamente la libertà in sede politica (libertà dalla tirannia, dai Persiani, ecc) ed ha ben poco a che vedere con la possibilità di riconoscere all‟uomo una responsabilità dell‟azione. Non è poi un caso che nelle tragedie, che dello spirito greco furono il vertice, il coro, per spiegare le azioni dei protagonisti, faccia costante riferimento alla anagke), alla Moira) e alla tuke), tutte forze che condizionano l‟uomo impedendogli di esercitare qualsiasi forma di libertà. Anche quando si fa più vivo il senso della responsabilità – e ciò avviene con le scuole fiorite in età ellenistica – e spiccato diventa l‟interesse etico, la giusta azione dell‟uomo non è mai sottratta alla forza che regna nell‟universo, ma anzi adeguamento ad essa, intesa come razionalità positiva (il Logos antico) – permeante ogni cosa, ivi compreso l‟uomo – a cui conformarsi o a cui opporre „stupidamente‟ resistenza, come fa il cane che, legato al carro, 5 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi anziché seguirlo sua sponte, gli si oppone, con il risultato che è da esso ugualmente trascinato, ma con maggiori sofferenze1 Anche in Platone e Aristotele il problema della libertà umana è molto opaco e, per così dire, solo accennato: data l‟incredibile statura dei due pensatori, ciò non fa altro che avvalorare la tesi secondo cui la cultura greca era ancora troppo poco matura per interrogarsi seriamente su tale problematica della libertà. Nella civiltà greca, in effetti, il concetto di libertà era riservato principalmente alla politica e alla religione; per i greci la libertà doveva essere connaturata alla potenza e all'autonomia dello Stato piuttosto che agli individui considerati singolarmente, sottoposti a leggi restrittive della libertà al fine di vivere uno stato ordinato, in un tutto armonico. Questo spiega perché nelle pagine dei pensatori antichi il riferimento alla libertà – intesa in termini di diritto e prerogativa individuale – è quasi del tutto assente. In Platone (Atene, 428 – 348 a.C.) compare un accenno alla possibilità di scegliere liberamente, ma è una comparsa cursoria e, per di più, all‟interno di un mito: si tratta del famoso mito di Er (esposto nel libro decimo della Repubblica), di questo glorioso quanto esotico guerriero morto e risorto che narra ciò che accade nell‟aldilà. Egli racconta che le anime, prima di incarnarsi e di riprendere il loro ciclo vitale sulla terra, hanno l‟opportunità di scegliere il tipo di vita a cui andare incontro e – osserva Platone – la scelta non è assoluta, poiché chi sceglie per primo non ha più possibilità rispetto a chi sceglie per ultimo con minor disponibilità di scelta. A contare realmente nello scegliere liberamente è, invece, la Saggezza (rappresentata, tra le altre cose, come Idea reale nella scena descritta), cosicché il primo a scegliere – riferisce Er a riguardo di ciò che lui stesso ha visto - dà prova di stoltezza nel voler reincarnarsi in un tiranno, mentre l‟ultimo – Ulisse stesso – si rivela intelligente nell‟optare per una vita comune, quieta e senza lodi o accuse. Poi però Platone non tornerà più su queste idee, qui peraltro accennate in forma mitologica; va da sé che tuttavia ponga le basi di un accostamento e di una „coppia‟ che troverà ampio sviluppo nella filosofia futura: Libertà e Saggezza. Su questa scia, ma lievemente più analitica è la posizione assunta da Aristotele (Stagira 384 – Calcide 322 a.C.), che, da buon filosofo scientifico ed uomo concreto, cerca di rinvenire un principio di imputabilità per stabilire che – il paragone è aristotelico – “siamo padri delle nostre azioni non meno che dei nostri figli‖2. 1 2 Cfr. Stoicismo. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, Libro III. 6 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Per far ciò, lo Stagirita elabora un‟attenta distinzione tra azioni volontarie (- ekusia) e azioni involontarie (-akusia): le seconde sono compiute “per costrizione e per ignoranza”, mentre le prime sono quelle “il cui principio risiede nel soggetto che conosce le condizioni in cui si svolge l’azione”. In questo senso, la causa, - aition dell‟agire non è a me esterno, ma sono io stesso a sceglierlo spontaneamente, in quanto il soggetto ha conoscenza della situazione: se ne evince che spontaneità e consapevolezza costituiscono il motore dell‟agire volontario. Si affaccia, così, per la prima volta sullo scenario greco il principio di imputabilità, che garantisce la responsabilità dell‟azione, anche se in realtà Aristotele ritiene poi che alla base di tali azioni (volontarie o involontarie che siano) vi sia sempre una orexis, ossia un “desiderio”. L‟elemento della libertà è tuttavia meramente funzionale, giacché non posso scegliere i miei desideri né la mia bulè, la mia volontà, che anzi mi son dati come ineludibili punti di partenza. Sarò invece libero di scegliere i mezzi per realizzarli, ma non potrò scegliere se avere o no tal desiderio e tale volontà: lo stesso momento decisionale, che Aristotele chiama “preferenza”, altro non è se non il preferire certe cose ad altre (ritenendo queste ultime meno utili ed efficaci rispetto alle prime), ma non si tratta mai in senso stretto di una “libertà di”, giacché è sempre e comunque soggiogata alla , al desiderio, e alla alla volontà. In questo senso, è lecito affermare che in Aristotele manchi tanto la “libertà di” quanto la “libertà da”. 1.b. La filosofia medievale e l’impronta cristiana nel problema della libertà. Col tramonto della cultura greca e il sorgere di quella cristiana si inverte rotta, in primis perché il cristianesimo propugna una concezione personale di Dio, tale per cui sussiste un‟analogia tra Dio e l‟uomo anche sul piano delle facoltà spirituali: Dio non è solo pensiero (come si credeva in passato), ma è anche – e soprattutto – volontà, e tale dualismo si riverbera sull‟uomo, che è stato creato a Sua immagine e somiglianza. Sicché l‟uomo, oltre a pensare, sa anche volere liberamente: la priorità in Dio della volontà sull‟intellettualità costituisce il „cavallo di battaglia‟ della tradizione cristiana non tomista (Duns Scoto e Guglielmo da Ockham soprattutto), poiché al Dio come mero pensiero rispecchiante l‟ordine del cosmo (a cui Egli non può sottrarsi) si sostituisce un Dio onnipotente, tale da poter liberamente fare ciò che vuole, a tal punto da determinare secondo la Sua volontà le leggi del pensiero (alcuni filosofi medioevali arriveranno a dire che due più due fa quattro perché Dio ha deciso così, ma se Egli avesse deciso che facesse cinque, allora due più due farebbe cinque!!). 7 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Da qui prende le mosse una lunga tradizione volontarista (tipicamente francescana) che fa dell‟uomo un ente pensante e – soprattutto – capace di scegliere liberamente se fare il bene oppure il male. Nella cultura greca le azioni erano riflesso di una legge generale corrispondente ora al , ora alla , ora alla , e ciò si trascina in parte fino ai cristiani, che molto ereditano dal mondo greco: in particolare, questo „strascico‟ della cultura antica affiora in seno al cristianesimo nella concezione ch‟esso ha della Provvidenza come forza imperscrutabile che regge, trascendendolo, il mondo. E accanto a questa ripresa di modelli greci – seppur largamente modificati – compare anche l‟innovativo elemento del premio e del castigo, in virtù del quale, a seconda che si siano rispettate o meno le prescrizioni divine su questa terra, si ricevono punizioni o compensi nella vita ultraterrena. Nell‟ebraismo si trattava soprattutto di punizioni collettive e terrene (specialmente cataclismi naturali, alluvioni, terremoti, ecc), mentre nel cristianesimo sono di ordine individuale, cosicché ciascun individuo finisce per avere la sua propria responsabilità, a cui è legata a filo doppio la libertà dell‟arbitrio. È questa, al contempo, una “libertà di” e una “libertà da”, con la conseguente maturazione del diritto a un premio o a un castigo nell‟aldilà. Di più, il recupero della tradizione greca finì per confondersi con alcune teorie eretiche che si diffusero in velocemente; prime fra tutte furono quelle dei Manichei, i quali, concependo il mondo come il teatro dello scontro tra le forse del Bene e del Male, e intendendo le azioni umane come il manifestarsi di quei due stessi principi, finivano per spogliare l‟uomo di ogni responsabilità personale. È soprattutto Agostino (Tagaste 354 – Ippona 430) a brandire la spada della critica contro i Manichei, lui che in gioventù era stato uno di loro: sia nel De libero arbitrio sia nel De duabus animabus contra Manicheos, egli insiste su come il male sia da noi accettato per libera scelta. “Nessuno è costretto a esser schiavo del piacere”, dice Agostino, ed aggiunge che “la volontà è un moto dell’anima senza nessuna costrizione esterna o a non accettare qualche cosa o a ricercare qualche cosa”. L‟altro profilo del cristianesimo – accanto a quello della libertà dell‟arbitrio – era quello dato dal riconoscimento dell‟assoluto dominio della Provvidenza sulla natura e sul mondo umano (dominio espresso bene dal motto popolare del tempo “non cade foglia senza che Dio lo voglia”): ora, è evidente che, almeno in apparenza, risulta impossibile una 8 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi convivenza tra la libertà dell‟agire e la forza provvidenziale, in virtù della quale tutto è decretato dai disegni divini. Uno dei grandi nodi contro cui si scontra la teologia cristiana sarà appunto quello di ricercare una conciliazione tra questi due principi, ma raramente si riuscirà in questo intento, poiché il più delle volte prevarrà il carattere necessitante o quello del libero arbitrio, e l‟egemonia dell‟uno o dell‟altro dipende anche dall‟esigenza di difendere dogmi cristiani dai pericoli eretici che via via si manifestano esaltando ora la libertà umana (e negando la Provvidenza) o, viceversa, celebrando la Provvidenza a scapito della libertà. Resta che, seppur letta in chiave teologica e religiosa, il pensiero cristiano si è fatto portavoce di un‟istanza di comprensione del concetto di libertà ben più complessa rispetto a quella greca: ora l‟uomo è anche soggetto di responsabilità – e non più soltanto di saggezza – e capace di libera azione volontaria, anche se inscritta in un orizzonte provvidenzialisticamente inteso e sottoposto alla Grazia divina. Dal mondo medievale, pertanto, desumiamo con gran forza la „coppia‟ Libertà e Responsabilità. 1.c. Alcuni modelli della filosofia moderna. c.1. Il modello cartesiano. Quando la filosofia moderna, che personifichiamo in primo luogo con Renato Cartesio (Parigi 1596 – Stoccolma 1650), viene a trattare il problema della libertà, si trova dinanzi ad un terreno ingombro di molte posizioni religiose e non, eredità dell‟età della Riforma e della Controriforma. L‟ulteriore alternativa che allora si rese possibile consisteva nello staccarsi dall‟impostazione teologia e nel considerare finalmente il problema della libertà esclusivamente in riferimento all‟uomo e alle sue realizzazioni: ciò significava dare una soluzione esplicitamente filosofica, ed è appunto questa la controversa strada imboccata da Cartesio, la quale sarà via via condannata o rinforzata dai pensatori successivi, che da essa prenderanno le mosse. Il primo tentativo di Cartesio di fronteggiare la problematica della libertà resta però ancora saldamente vincolato alla prospettiva teologica, tanto che in Le passioni dell’anima 9 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi (articolo 146), egli asserisce che “dobbiamo renderci conto che tutto è guidato dalla Provvidenza”; tutto ciò che accade è necessario – dice Cartesio –, ma Dio ha limitato la sua stessa Provvidenza per lasciare un margine di libertà all‟agire umano, delineando una concezione che sarà ritenuta autenticamente fallimentare dacché Cartesio si fa foriero di posizioni diametralmente opposte, di cui lui stesso si rende consapevole. Cartesio stesso, in effetti, era in certa misura consapevole della debolezza dei suoi argomenti e, pertanto, nei Princìpi di filosofia, riprende lo stesso problema e ripete la tesi della conciliabilità fra Provvidenza e libertà, ma dicendo – molto più modestamente – che “di tale compatibilità siam certi come credenti ma non possiamo renderne conto con la ragione”. È questo il passaggio che dà il via all‟abbandono del problema teologico del rapporto tra libertà e Provvidenza all‟ambito della fede: viene così aperta la possibilità di impostare la problematica della libertà non più in riferimento a Dio (giacché in tale ambito solo la fede può illuminarci), ma in riferimento all‟uomo, in quell‟ambito cioè in cui la ragione può procedere con sicurezza. La soluzione prospettata da Cartesio per il problema della libertà si basa sul cardine della sua stessa metafisica: quel dualismo in virtù del quale sussistono due sostanze separate ed autonome: da un lato, la sostanza pensante (res cogitans) e, dall‟altro, la sostanza estesa (res extensa). L‟unico aspetto comune che lega in certo modo la res extensa e la res cogitans sta nell‟essere dipendenti e derivate entrambe da Dio. Questo rigoroso dualismo è il punto di partenza della filosofia di Cartesio: se consideriamo i corpi, subito ci accorgiamo di come essi siano caratterizzati dall‟inerzia meccanica, dal fatto che le loro relazioni reciproche sono date sotto forma di rapporti di causalità necessaria tali per cui tutto è meccanicamente regolato (si noti che ciò vale tanto per la natura fisica esterna quanto per l‟organismo umano, concepito alla stregua di una macchina assolutamente assimilabile ad un automa, per cui i muscoli sono come i tiranti, i nervi come i tubi, e così via). Questo rigoroso materialismo concernente i corpi trova il suo contraltare nel pensiero o, se riferito agli uomini, nell‟anima, la quale – opposta al corpo – non ha ampiezza, lunghezza e inerzia, ma, viceversa, è spontanea, vivace ed irriducibile al meccanismo causale necessario, cosicché il soggetto causa molte cose senza a sua volta essere causato. Asserire che il pensiero è attività spontanea equivale a dire che esso è libero e incondizionato: ecco perché Cartesio, in più luoghi della sua opera, sostiene che la libertà non ha bisogno di essere dimostrata, in quanto la sentiamo immediatamente dentro di noi in tutta la sua evidenza. La capacità di pensare, il cogitare ed il dubitare, non soltanto sono condizione della stessa esistenza del 10 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi soggetto (cogito, ergo sum) ma diventano anche espressione della sua stessa libertà, ma la libertà dell‟anima, della ragione, non del corpo. Di più, in questo modo, Cartesio è padre di due correnti filosofiche antitetiche: grazie alla res extensa, egli è padre del Materialismo settecentesco, che giungerà all‟apice con la concezione dell‟uomo-macchina di La Mettrie, e, grazie alla res cogitans, è padre del Razionalismo e dello Spiritualismo, specialmente di quello francese. Eppure, il dualismo ontologico e metafisico con cui Cartesio fonda la libertà finisce poi per creargli serie ostilità, giacché finché consideriamo il rapporto tra le due res, possiamo pensare che esistano due mondi a sé stanti (quello spirituale e quello materiale) senza interferenze reciproche, ma non appena rivolgiamo l‟attenzione all‟uomo, tale indipendenza pare difficilmente giustificabile, in quanto l‟uomo è anima e corpo, sintesi perfetta di quelle realtà che abbiamo detto essere separate. Come si spiegherà, ad esempio, il fatto che l‟impressione del freddo generi idee, con un evidente passaggio dalla materia al pensiero? O, al contrario, come renderemo ragione del fatto che io voglia agire sul mondo esterno e il mio atto di volontà si traduca in movimenti corporei? Ciò vale anche per le passioni (amore, odio, ira, gelosia, ecc), che sono da Cartesio considerate come movimenti degli “spiriti animali”, cosicché mi adiro perché nel mio corpo si genera un turbinio di particelle che si scatenano e il corpo muta; ma le passioni sono anche passioni dell‟anima, cosicché l‟ira – oltre a modificarmi fisiologicamente – mi fa sentire diversamente nella mia interiorità (ad esempio, avrò volizioni cattive verso qualcuno); sempre le passioni indicano il passaggio dall‟anima al corpo: se infatti la morale consiste nel dominare stoicamente le passioni, allora l‟anima deve agire sul corpo tenendolo a freno il più possibile. Tutti questi esempi rivelano come nell‟uomo anima e corpo entrino in conflitto tra loro, il che crea non pochi problemi a Cartesio: come può l‟anima – che è del tutto diversa dal corpo – agire su di esso? E, nel caso in cui ciò sia possibile, non si crea forse un inquinamento tra la libertà dell‟anima e la necessità del corpo? Cartesio cerca di togliersi d‟impiccio asserendo che anima e corpo sono strettamente congiunti pur restando tra loro indipendenti: per spiegare tale congiunzione, occorre superare l‟ostacolo rappresentato dal fatto che nel corpo la comunicazione avviene causalmente e nell‟anima no; per superare tale ostacolo, Cartesio ricorre alla poco convincente soluzione della ghiandola pineale, ossia di una particolare ghiandola, ubicata nel cervello, che, pur essendo un organo fisico, è così sensibile e sottile da poter apprezzare sia le sollecitazioni 11 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi materiali del corpo sia quelle incorporee dell‟anima. La ghiandola pineale può cioè esser mossa sia dagli “spiriti animali”, dalle passioni, che percorrono senza tregua il corpo sia dall‟impalpabile azione della volontà: tuttavia su come ciò avvenga, Cartesio tace. Ne deriva, quasi ironicamente, che egli fa del dualismo la struttura portante del suo pensiero ma poi deve continuamente correggerlo, ipotizzando una costante interazione tra le due sostanze indipendenti: è questa una debolezza intrinseca del sistema cartesiano, che gli costerà le critiche più severe. Da un lato, grazie al dualismo, egli può affermare vivamente la libertà dell‟anima, dall‟altro l‟esigenza di limitare e correggere il dualismo stesso con un modello „enigmaticamente‟ interattivo riduce e cancella al massimo questa fondazione della libertà. In sintesi, nonostante la tortuosa argomentazione, il nucleo dottrinale sul tema della libertà è, comunque, abbastanza definito. La nostra volontà è libera, libera dai condizionamenti del mondo finito quanto da quelli eventuali da parte di Dio. Le due certezze, quella della libertà individuale e quella dell'onnipotenza divina, non sono in conflitto perché entrambe assolute, evidenti, intuitive. E non sono incompatibili; anzi, anche se in modo inspiegabile, sono ammissibili come reciproche: come l'onnipotenza divina non può esser limitata dalla libera, spontanea iniziativa dell'uomo, così l'autonomia dell'uomo non è coartata dai decreti divini. L'unica differenza consiste nel fatto che l'uomo non può limitare Dio, mentre Dio non vuole condizionare l'uomo. L‟uomo non è un essere infinito, ma è creato da Dio e, perciò, si innesta in un contesto in cui è Dio ad aver stabilito che cosa sia vero e che cosa falso, che cosa giusto e che cosa ingiusto; ne segue che per l‟uomo la vera libertà non è volere ciò che vuole (“libertà di”), ma volere ciò che è giusto (“libertà da”), cosicché la libertà di indifferenza (scegliere tra A e B) è la forma più bassa e più nociva di libertà, poiché consente di scegliere il falso anziché il vero, l‟ingiusto anziché il giusto: la vera libertà consiste allora nel decidere in conformità all‟ordine decretato da Dio, e ad illuminarci sull‟ordine del mondo non può essere la volontà – che per sua natura non opera distinzioni –, ma l’intelletto, che così diventa il vero principio della libertà, il faro seguendo la cui luce si è liberi; la volontà deve quindi autosubordinarsi ad esso e decidere di volere ciò che l‟intelletto dice essere bene, giusto, vero. In questo modo, Cartesio sconfessa la tradizione cristiana dell‟egemonia della volontà sull‟intelletto e si ricollega direttamente a Tommaso, per il quale è l‟intelletto ad individuare la ratio boni, il criterio del bene su cui la volontà deve modularsi, tornando peraltro in una posizione più affine al mondo greco. 12 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Così, dopo aver definito la volontà come assoluta e indifferente, Cartesio cambia repentinamente rotta e asserisce che la capacità di scegliere tra A e B è subordinata all‟avere gli strumenti adeguati (intellettuali) per scegliere B piuttosto che A: “Poiché essa [la libertà] consiste unicamente in ciò: che noi possiamo fare una cosa o non farla (cioè affermare o negare, seguire o fuggire); o piuttosto solamente in questo: che, per affermare o negare, seguire o fuggire le cose che l'intelletto ci propone, noi agiamo in modo che non ci sentiamo costretti da nessuna forza esteriore. Infatti, affinché io sia libero, non è necessario che sia indifferente a scegliere l'uno o l'altro dei due contrari; ma piuttosto, quanto più inclino verso l'uno, sia che conosca evidentemente che il bene e il vero vi si trovano, sia che Dio disponga così l'interno del mio pensiero, tanto più liberamente ne faccio la scelta e l'abbraccio. E, certo, la grazia divina e la conoscenza naturale, ben lungi dal diminuire la mia libertà l'aumentano piuttosto, e la fortificano. Di modo che questa indifferenza che io sento, quando non sono portato verso un lato più che verso un altro dal peso di niuna ragione, è il più basso grado della libertà, e rende manifesto piuttosto un difetto nella conoscenza, che una perfezione nella volontà; perché se conoscessi sempre chiaramente ciò che è vero e ciò che è buono, non sarei mai in difficoltà per deliberare qual giudizio e quale scelta dovrei fare, e così sarei interamente libero, senza mai essere indifferente”3. (Meditazioni metafisiche, IV). Libertà ed Intelletto umano: questa la „coppia‟ cartesiana. La libertà consiste dunque, ad avviso di Cartesio, nel fatto che, affermando o negando ciò che suggerisce l‟intelletto, non mi sento guidato e costretto da una forza esterna, e ciò in forza del fatto che l‟intelletto che detta legge sono io stesso, identificandomi con la mia ragione: ed è questa - come si è visto – la definizione della “libertà da”, consistente nello scegliere A o B secondo un principio che sento come mio e come non imposto dall‟esterno; la “libertà di” resta una prerogativa squisitamente divina. Si badi bene, infine, che se per la concezione cartesiana il metodo è una “regula ad directionem ingenii”, una regola per dirigere l‟ingegno, e se, come dichiara Cartesio stesso: 3 R. CARTESIO, Meditazioni metafisiche, Libro IV. 13 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi “Per metodo intendo delle regole certe e facili grazie alle quali tutti coloro che le osservano attentamente non prenderanno mai per vero ciò che è falso e arriveranno senza nessuno sforzo inutile alla vera conoscenza‖4 allora è evidente che l‟intelletto, l‟ingegno, la res cogitans, garanzia di libertà del soggetto (pensante), hanno bisogno del metodo. Non a caso: ―Il buon senso è la cosa del mondo meglio distribuita: ciascuno infatti pensa di esserne cosi ben provvisto che perfino quelli che sono più difficili a contentarsi in ogni altra cosa, non sogliono desiderarne più di quanto ne posseggono. A questo proposito non è verisimile che tutti si ingannino; ciò prova piuttosto che la capacità di ben giudicare e di distinguere il vero dal falso — ciò che propriamente si dice buon senso o ragione — è per natura uguale in tutti gli uomini e, quindi, che la diversità delle nostre opinioni non deriva dal fatto che gli uni sono più ragionevoli degli altri, ma soltanto dal condurre i nostri pensieri per diverse vie e dal non considerare le stesse cose. Non basta infatti esser dotati di un buon ingegno; importa soprattutto applicarlo bene‖5. Quindi, Libertà sì, congiunta all‟Intelletto umano purché questo sia servito dal Metodo. Questo il contributo di Cartesio alla nostra analisi... con la sua confessione finale che: ―Non c'è nulla interamente in nostro potere, se non i nostri pensieri‖. c.2. Il modello spinoziano. Il modello compromissorio avanzato da Cartesio è messo alla berlina dal pensiero immediatamente successivo; in particolare non è accettato il dualismo cartesiano che era stato il fondamento dell‟intero sistema. Esso è respinto perché sostituito o da un rigoroso monismo che assorbe la sostanza estesa (res extensa) e quella pensante (res cogitans) in un‟unica sostanza (è questo il caso di Baruch Spinoza), o si elimina lo spirito riducendo tutto a corpo (è 4 5 R. CARTESIO, Cfr. Introduzione Discorso sul metodo. Ivi, Parte I. 14 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi il caso di Thomas Hobbes), o si riconduce l‟estensione a epifenomeno dello spirito (come fa Gottfried Wilhelm von Leibniz). In tutte le soluzioni, venendo a mancare il dualismo, viene di conseguenza a mancare la distinzione tra un ambito in cui vige la libertà e uno in cui regna la necessità. Infatti, partendo tutti dal presupposto che scire est scire per causas – conoscere è andare per cause –, questi pensatori immediatamente successivi a Cartesio sostengono in ultima istanza il determinismo, sopprimendo in tal modo la libertà nell‟agire umano. Il crollo del modello dualistico prospettato da Cartesio che separava libertà e necessità comporta l‟entrata in crisi della libertà e il trionfo del determinismo, pur secondo modalità diverse da filosofo a filosofo. Il primo modello che si pone come superamento di quello cartesiano e dei problemi che esso lasciava irrisolti è quello di Baruch Spinoza (Amsterdam 1632 – L‟Aia 1677): Tale sostanza infinita ha infiniti attributi, dei quali noi conosciamo solo il pensiero e l‟estensione, giacché sono gli unici due di cui partecipiamo. Per Spinoza continua a valere quel determinismo causale di cui parlava Cartesio, cosicché il rapporto tra i corpi è dato da una sfilza di connessioni causali necessarie e immanenti alla sostanza stessa di Dio, poiché l‟estensione non è che una qualità di Dio stesso. Per Cartesio, tutt‟altro discorso valeva per il pensiero, che era una sostanza distinta e opposta all‟estensione: per Spinoza, invece, il pensiero è attributo della sostanza infinita, sicché è – alla pari dei corpi – espressione di un‟unica sostanza. La formulazione delle idee nel pensiero non è che un modo diverso di considerare quel processo causale che vale per i corpi materiali: ne segue che anche le idee sono relazionate tra loro secondo rigidi rapporti rigorosamente causali, senza quella libertà spontanea riconosciuta da Cartesio. Qualunque siano i modi con cui la sostanza si manifesta nei suoi diversi attributi, tale manifestazione avviene sempre secondo quello che Spinoza definisce un “ordine geometrico”, ovvero causale: il dualismo tra estensione e pensiero è azzerato, proprio come la possibilità che uno dei due ambiti si sottragga al determinismo. Di più, Cartesio aveva introdotto anche un secondo tipo di dualismo, quello interno al pensiero tra intelletto e volontà, ritenendo che i due fossero in certo senso indipendenti, poiché la volontà si estende ben di più rispetto al pensiero. Ora anche questo dualismo è decisamente combattuto da Spinoza, il quale dice che esiste un unico attributo del pensiero e 15 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi al suo interno la volontà e l‟intelletto non sono facoltà diverse, bensì sono due modi diversi di indicare il pensiero e, di conseguenza, le singole volizioni e le singole intellezioni sono la stessa cosa, ovvero sono gli stessi modi del pensiero: sicché se per Cartesio con l‟intelletto posso concepire una data azione (ad esempio rubare) e la volontà può dare l‟assenso o negarlo a tale concezione dell‟intelletto, per Spinoza, al contrario, volontà e intelletto, volizione e intellezione, sono lo stesso modo del pensiero, manca cioè la distinzione tra volto pratico e volto teoretico del pensare, cosicché siamo noi a chiamare in due maniere diverse una singola idea. Ne segue che quando mi rappresento l‟idea del rubare, a tale idea è necessariamente connessa una qualche volontà, nel senso che quando penso a rubare, sto già sempre e comunque volendo o non volendo rubare; non esiste – come invece pretendeva Cartesio – un momento meramente intellettuale in cui penso al rubare e un momento successivo in cui voglio o non voglio rubare: una siffatta argomentazione muove da una falsa prospettiva, dovuta al fatto che talvolta abbiamo l‟impressione di pensare al rubare e, dopo, di poter volere o non volere rubare; in realtà, stiamo – secondo Spinoza – semplicemente oscillando tra il voler rubare e il non voler rubare, senza che ci sia il momento neutro del pensare al rubare e a cui dare o no l‟assenso con la volontà. Da ciò si evince come il fatto che io poi rubi o meno non sia frutto dell‟esercizio della libertà, ma della sequenza causale in cui mi trovo inserito. Anche sotto questo profilo, non è possibile individuare alcun dualismo, né è possibile riconoscere una libertà che si sottragga al determinismo: la volontà è sempre vincolata alla necessità, a tal punto da essere da Spinoza definita come “causa necessaria” e non come “causa libera”, poiché il fatto che io voglia rubare piuttosto che non rubare è causalmente necessitato dall‟anello immediatamente precedente nella catena causale. Si deve allora concludere che per Spinoza non esiste libertà? Se per libertà intendiamo che un singolo modo possa svincolarsi dalla catena causale che lo lega agli altri, allora non esiste alcuna libertà (intesa qui come “libertà di”). Se tuttavia la intendiamo come “libertà da” costrizioni esterne, allora possiamo a ragion veduta sostenere che per Spinoza la libertà esiste: essa sarà, in particolare, non una libertà di agire in un modo anziché in un altro, ma di obbedire alla propria natura, ancorché quest‟ultima sia necessaria. In questo senso, la libertà non si oppone alla necessità: perfino Dio obbedisce alla propria natura e proprio per ciò non è determinato da altro; la libertà, così intesa, è dunque opposta non alla necessità (che è ineliminabile), ma alla coazione, ovvero l‟esser necessitati da altro. A godere perfettamente della libertà come poc‟anzi delineata sarà solo Dio, mentre ogni altro ente sarà sempre necessitato e per di più coartato. 16 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi In sintesi, per Spinoza non esiste alcuna libertà per l'uomo: ―Tale è questa libertà umana, che tutti si vantano di possedere, che in effetti consiste soltanto in questo: che gli uomini sono coscienti delle loro passioni e appetiti e invece non conoscono le cause che li determinano‖. L'uomo, natura naturata, è dunque inserito in un meccanismo deterministico per cui tutto accade poiché ab aeterno doveva accadere: solo Dio, natura naturante, è libero in quanto causa sui, causa di se stesso, unica sostanza. Riprendendo temi stoici e neoplatonici, Spinoza concepisce l'uomo come un “modo” (modo di essere, un'espressione contingente, una manifestazione finita dell‟infinito) della sostanza unica e se egli vuole essere libero deve convincersi della sua assoluta limitazione, negare tutto ciò che lo allontana da questa persuasione, mettere da parte ogni desiderio e passionalità ed accettare di far parte di quella essenziale identificazione di Deus sive Natura per cui la libertà dell'uomo non è altro che la capacità di accettare la legge della necessità che domina l'universo Non a caso, nelle ultime parti dell‟Ethica more geometrico demonstrata6, Spinoza ci parla significativamente della schiavitù degli uomini nei confronti delle passioni (De servitute humana, la schiavitù umana) e, in secondo luogo, della liberazione da esse (De libertate humana, la libertà umana): ogni singolo modo della sostanza (uomo compreso) è determinato dalla catena causale nella misura in cui è inteso, appunto, come singolo modo; ma ciascuno può vedere se stesso non come un momento particolare della catena, bensì sotto il profilo del tutto, eliminando per tale via la propria separatezza dal tutto stesso: in questo caso, il soggetto considera se stesso come sub specie aeternitatis, ossia vede con l‟occhio di Dio (e gode della Sua libertà per partecipazione) e perde la propria individualità schiava: obbedisce cioè alla propria natura necessaria senza costrizioni esterne, ed in ciò è libero (“libero da”). La libertà in Spinoza è dunque il frutto della conoscenza intellettuale, di quell‟intelletto che intuitivamente ci fa vedere le cose sotto l‟aspetto dell‟eternità e non dal nostro limitato punto di vista. 6 L‟opera è organizzata in cinque parti così intitolate: I – Dio; II – La Natura e l‟origine della mente; III – L‟origine e la natura delle passioni; IV – La servitù umana, ossia la forza delle passioni; V – La potenza dell‟intelletto, ossia la libertà umana. 17 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi L‟intelletto ed il suo uso è quanto per Spinoza rende l‟uomo simile e partecipe di Dio, unica sostanza; questa è l‟unica concezione di libertà ammessa dal filosofo: la libertà che ci viene dall‟uso dell‟intelletto di Dio, assai differente dall‟intelletto cartesiano che aveva una dimensione antropologica ed individualistica: l‟uomo spinoziano, se da sé solo, è schiavo delle sue passioni. Solo il carattere catartico e purificante dell‟intelletto e della filosofia panteistica può salvare l‟uomo ed ammettere per lui una minima dimensione di libertà. Spinoza definisce schiavitù umana l‟impotenza dell‟uomo a dominare i suoi affetti, poiché in tale situazione esistenziale egli non è determinante di se stesso ma “in balìa della fortuna”. Differente invece è “l’uomo che agisce secondo ragione ed intelletto perché è libero dalle passioni [...] dato che la ragione non postula niente contro natura, ovvero contro la sostanza, ovvero contro Dio”7. Da queste osservazioni conclusive dell‟opera spinoziana, emerge anche la concezione della virtù che ci consegna il filosofo: “la virtù consiste nell’agire secondo la propria natura”, che è espressione della natura divina ed universale. Ecco perché, conclude: “L’uomo che è guidato dalla ragione è più libero nello Stato, dove vive secondo una dimensione comune, che in solitudine, dove obbedisce solo a se stesso, ed ivi è quindi schiavo”.8 Libertà ed Intelletto in quanto espressione della sostanza divina è quindi la „coppia‟ desumibile dal pensiero spinoziano. 7 8 B. SPINOZA, Ethica more geometrico demonstrata, Parte V. Ivi. 18 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi c.3. Il modello hobbesiano. L‟altra soluzione di fronte al dualismo lasciato in eredità da Cartesio consiste nell‟eliminare lo spirito e nel ridurre tutto a materia, consegnando ogni cosa nelle mani della più rigida necessità, dal momento che nell‟estensione regna la determinazione causale: tale è la soluzione avanzata da Thomas Hobbes (1588 – 1679), specie in tre scritti: Elementi di legge naturale e politica (1640), Leviatano (1651) e Della libertà e della necessità (1646). Quest‟ultima è un‟opera particolarmente polemica, in cui Hobbes si contrappone con veemenza alle tesi di un vescovo che propugnava la libertà dell‟arbitrio. Secondo Hobbes l‟azione dell‟uomo, infatti, non è libera ma è sempre necessitata: per capire il perché, occorre far riferimento alla gnoseologia hobbesiana, che fa leva su un rigoroso sensismo per cui tutte le nostre conoscenze derivano dai sensi secondo un modello necessario simile a quello cartesiano, con però l‟aggiunta che, allorché le impressioni arrivano alla sede centrale del corpo umano, gli urti prodotti dalle impressioni esterne provocano una reazione che è da Hobbes detta conatus, sforzo; il che implica la presenza nell‟organismo umano di una vitalità non meramente meccanica. Secondo Hobbes, inoltre, esiste (come secondo Spinoza) un‟immediata coincidenza tra pensiero e volontà, ed egli ammette che noi abbiamo quotidianamente esperienza sensibile della cosiddetta deliberazione, tale per cui ci si chiede se rubare o meno e poi si delibera di rubare. La deliberazione – nota Hobbes – non è che un‟alternanza di passioni contrarie, appetiti e timori (desiderio di rubare e desiderio di non rubare), passioni che si confrontano nella nostra mente quasi come se fosse in atto una lotta per cui ora sembra prevalere l‟una, ora l‟altra. Ciò si traduce nell‟impressione di volere e di non volere, e alla fine prevarrà una delle due: questa sarà quella che noi chiamiamo decisione o volontà. Dunque, ciò che a noi orgogliosamente pare una nostra iniziativa, è in realtà il meccanico trionfo di una passione, di un senso, trionfo di fronte al quale siamo interamente passivi: “la deliberazione non è altro che un’immaginazione alternata […] di appetito e timore. […] La deliberazione è successione alternata di appetiti contrari nella quale l’ultimo è quello che chiamiamo decisione‖.9 9 T. HOBBES, Della libertà e della necessità . 19 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Il processo cade del tutto sotto il giogo della necessità: non solo c‟è rigoroso determinismo nel processo mentale, ma anche tra volontà ed azione. Tra il mondo psichico delle idee e quello fisico delle azioni non vi è alcuna frattura, ma vi è continuità causale, cosicché noi non abbiamo libertà né di agire né di volere, se non illusoriamente. Infatti la volontà è determinata dalla lotta delle passioni e l‟azione è determinata dalla già determinata volontà. Perciò Hobbes insiste sul fatto che parlare di volontà libera sia un‟assurdità alla pari di quando si parla di cerchio quadrato: è ben più che un semplice errore, quale può essere il sostenere che pioverà perché si son viste le nuvole quando poi in realtà non piove 10 . La volontà è sempre necessaria, e parlare di una volontà libera è un‟aberrazione: non esiste, allora, alcuna forma di libertà intesa come “libertà di”; semmai esiste la “libertà da” costrizioni esterne: sono cioè libero quando non sono in catene, quando mi muovo liberamente senza che nessuno mi trattenga, anche se la mia volontà di muovermi è necessitata. Per chiarirsi, Hobbes adduce l‟esempio del fiume: esso è libero di scendere a valle perché non c‟è nessuna diga che lo ostacoli; ma non è libero di invadere i campi perché è trattenuto dagli argini che lo limitano: tale è, appunto, la libertà umana, intesa meramente come libertà da costrizioni. Ora, queste sue disamine sul concetto di libertà – di fatto individualisticamente inammissibile – trovano larga espressione anche sul pensiero politico espresso nel‟opera esemplare Leviatano. Non staremo qui ad esaminare nel dettaglio il modello di Stato propugnato dal filosofo, per il suo crude realismo soprannominato “scrittore maledetto”, ma è bene tuttavia compiere ed illustrare taluni riflessi che la sua concezione della libertà comporta. Hobbes, testimone della Rivoluzione Civile Inglese, si fa sostenitore del modello politico assolutistico, e sulla scia di un realismo machiavellico quasi palesemente dichiarato, manifesta una concezione antropologica squisitamente negativa: l‟uomo è dipinto come un soggetto di sensazione, più che di razionalità, portato più alle passioni che alla solidale condivisione, realisticamente egoista e tendente al bene per sé piuttosto che al bene collettivo. Questo giustifica la necessità di uno Stato super partes, rappresentato da un monarca unico e solo – sulla scia del Principe machiavvelico – incarnazione di quel tutto necessario e dominante che è l‟universo deterministico e meccanicistico di cui sopra si è parlato. Il pactum subiectionis – patto di sudditanza –, anteriore al pactum uninios – patto di unione – costituisce il momento politico fondante lo Stato hobbessiano, il momento in cui il cittadino diviene suddito di un re, privandosi di ogni diritto e libertà individuale, e successivamente si 10 Cfr. Introduzione T. HOBBES, Della libertà e della necessità . 20 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi unisce agli altri per dar logo alla dimensione collettiva dello Stato. Soltanto uno Stato così assolutisticamente inteso può porre limite e controllo alla natura egoistica e bruta dell‟uomo, che altrimenti rimarrebbe al livello di uno stato di natura in cui ciascuno è lupo per l‟altro uomo (homo homini lupus) generando una guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes). La negazione della libertà individuale è così conditio sine qua non non soltanto si possa avere uno Stato (dimensione politica del pensiero hobbessiano) ma diventa pure essa stessa condizione per l‟esistenza dell‟uomo in sé: fuori da uno Stato così inteso, l‟unico possibile, l‟uomo non vivrebbe. Così, come nasce lo stato politico per questa stessa utilità, la sopravvivenza dell‟uomo, così per questa stessa utilità – detta convenzione – l‟uomo decide di privarsi della libertà. Libertà e Convenzione (frutto del deterrminismo da un lato e dell‟assolutismo dall‟altro) è la „coppia‟ consegnataci da Thomas Hobbes. c.4. Il modello kantiano. Si è analizzato, da un lato, il modello dualistico prospettato da Cartesio, che garantisce alla sostanza pensante la libertà, e, dall‟altro, il modello negante il dualismo stesso e, perciò, rinunciante alla contrapposizione tra una res libera ed una necessaria, il tutto a svantaggio della libertà, che viene inequivocabilmente a trovarsi schiacciata dall‟imperare del determinismo più rigoroso. Ma la soluzione dualistica, tramontata immediatamente dopo la formulazione datane da Cartesio, ritorna periodicamente nella storia della filosofia successiva al Settecento, e il primo caso significativo in cui la ritroviamo sostenuta con energia – in difesa della libertà – è costituito da Emmanuel Kant (Könisberg 1724 – 1804): il suo è però un dualismo diverso da quello cartesiano, giacché provvede ad eliminare le difficoltà contro cui il filosofo francese s‟era scontrato; questi aveva parlato di due sostanze opposte ma appartenenti ad un medesimo livello di realtà, tant‟è che nell‟uomo finivano per interferire – sotto forma di anima e di corpo –, implicando una seria difficoltà nello spiegare come due sostanze così eterogenee possano compenetrarsi in maniera tale che l‟anima si „intrufoli‟ enigmaticamente nel corpo a dirigerlo secondo libertà. 21 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Il dualismo kantiano, invece, è molto più raffinato, in quanto non implica il sussistere di due sostanze opposte ed interagenti nella stessa realtà, ma comporta piuttosto l‟esistenza di due diversi livelli di realtà, uno sovrastante l‟altro: così, da un lato troviamo la realtà sensibile, fenomenica, cui appartengono il corpo e tutte le sue determinazioni, e dall‟altro una realtà intelligibile non data dai sensi ma a cui si può pervenire tramite un‟esperienza extra-sensibile: il mondo noumenico. Così inteso, l‟uomo finisce per essere non una combinazione di due sostanze (quale invece era secondo Cartesio), ma come un‟entità appartenente a due diversi ordini di realtà e a due diversi mondi, sicché si tratterà di spiegare l‟interazione tra questi due ambiti, ossia si dovrà render conto di come le azioni originate dalla realtà intelligibile possano trovare una loro precisa corrispondenza in quella sensibile. Prima di entrare in medias res, occorre tuttavia chiarire come questo dualismo consenta a Kant di recuperare due posizioni diverse, riconoscendo, per un verso, un regno (il mondo fenomenico) in cui vige la causalità meccanica e, per un altro verso, un regno (quello intelligibile e noumenico) in cui impera invece una causazione non necessaria; pertanto il dualismo kantiano, nel cercare un terreno per la libertà, assolve la stessa funzione di quello cartesiano, ma senza incappare in quelle banali contraddizioni in cui il francese era scivolato. Con questa sua soluzione, Kant, compiendo tale operazione di difesa della libertà nel mondo noumenico, è rigoroso nell‟escludere ogni forma di libertà in quello fenomenico. In opposizione con i post-cartesiani, infatti, Kant afferma chiaramente che tanto il determinismo esterno (del mondo fisico) quanto quello interno (del mondo psicologico) sono entrambi espressione del determinismo fenomenico, con l‟unica differenza che, per quel che concerne l‟esteriorità n dato nello spazio, mentre per la mia interiorità, è dato nel tempo. In entrambi i casi, tuttavia, è e resta parimenti fenomeno, ossia un qualcosa di dato sensibilmente e, per ciò stesso, solo in termini di causalità necessaria, cosicché quando pensiamo alla nostra vita interiore fenomenica dobbiamo pensare ad un mondo determinato necessariamente non di meno di quello fisico. Allora, la conclusione a cui Kant perviene è che o riesco ad uscire dal fenomenico (sia esterno sia interno) e giungo ad attingere un livello di realtà extra-fenomenico oppure non c‟è scampo e non vi è alcuna forma di libertà. Si tratta dunque di esaminare se vi sia la possibilità di un livello di realtà che si sottragga alla fenomenicità, distinguendo il fenomeno dalla cosa in sé e riconoscendo nel primo la necessità, nella seconda la libertà: se non potessimo operare tale distinzione, “l’uomo sarebbe una marionetta […], costretto e caricato dal sommo maestro di tutte le arti”11. 11 E. KANT, Critica della ragion pratica. 22 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi L‟uomo, così inteso, sarebbe un automa, magari anche un automa illudentesi di essere libero, poiché non in grado di scorgere la causazione operata dal burattinaio (Dio), le sue volizioni sarebbero determinate da altre sue volizioni, e queste da altre ancora, ma all‟inizio qualcuno deve aver messo in moto l‟automa, che così viene a dipendere dall‟azione esterna di un artefice. Se tempo e spazio esprimessero la realtà ultima della cosa in sé (e non fossero solo forme a priori della sensibilità), non vi sarebbe libertà alcuna e vigerebbe lo spinozismo, tale per cui tutto cadrebbe sotto il dominio della fredda necessità. Il rimprovero mosso da Kant al post-cartesianesimo non è tanto di aver rinunciato al dualismo, quanto piuttosto di essere stato incoerente, poiché, rinunciando al dualismo, si è poi impossibilitati ad ammettere la libertà a livello fenomenico. Il passo verso il noumeno non può esser compiuto con quegli strumenti conoscitivi che si servono delle forme a priori della sensibilità (spazio e tempo) e dell‟intelletto (le dodici categorie), poiché conoscere qualcosa significa „fenomenizzarla‟, ovvero riconnetterla ad una rete di connessioni causali neganti la libertà. Per giungere al noumeno, si dovrà allora percorrere una strada alternativa, extra-gnoseologica, la strada dell‟esperienza morale e pratica: ciò che Kant stesso chiama il primato della ragion pratica. Il problema, in effetti, è risolto nella Critica della ragion pratica, ma è già lumeggiato nella Critica della ragion pura, seppur qui non sia minimamente risolto: discutendo sulle modalità conoscitive, Kant ammette la possibilità della libertà, ma risulta una possibilità non verificabile in un‟opera inerente di carattere gnoseologico quale è la Critica della ragion pura, seppur non escludibile, aprendo in tal modo uno spiraglio al di là del determinismo fenomenico. La Critica della ragion pura si affaccia al problema della libertà, della libertà come possibilità problematica che non può essere né esclusa né affermata; ma è la Critica della ragion pratica che risolve tale problema, e lo fa in sede pratica, senza risvolti teoretici: è solo con l‟ingresso nel campo morale della Critica della ragion pratica e della Fondazione della metafisica dei costumi che il problema trova una sua debita risoluzione. Si badi bene, tuttavia, che nelle due opere il problema è posto in maniera terminologicamente diversa: 23 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi nella Fondazione della metafisica dei costumi, Kant si chiede se sia possibile una volontà buona di per sé, tale per cui la sua bontà non sia funzionale ad un determinato obiettivo, ma sia intrinseca alla volontà stessa. Invece, nella Critica della ragion pratica – che, tentando di seguire le orme della Critica della ragion pura, si configura come un‟opera più tecnica – Kant si domanda se la ragion pura possa essere pratica, ossia se, accanto alle mansioni conoscitive e teoretiche esercitate a priori, essa possa anche determinare la norma dell‟agire umano. Ciò equivale a chiedersi se essa possa determinare una regola pratica d‟azione che sia universale, cioè per tutti valida. Quale sia questo elemento di universalità, lo troviamo nella formulazione dell‟imperativo categorico, così recitante: “Agisci solo secondo quella massima che tu puoi volere, al tempo stesso, che diventi una legge universale”12. Ora, questa soluzione del problema morale comporta che la volontà intrinsecamente buona (ovvero la ragion pura immediatamente pratica), oltre ad esprimere l‟universalità, esprima un principio di autonomia, giacché, per essere universale, la volontà non può essere determinata da passioni o da interessi estranei alla ragione, in quanto questi sono necessariamente particolari. L‟unico elemento che possa determinare immediatamente la volontà stessa, senza farla precipitare nella particolarità, è la ragione stessa nella sua universalità, cosicché la volontà sarà universale nella misura in cui è determinata dalla ragione. Tra questa e il mio io intercorre un rapporto di identità, nel senso che io sono la mia ragione e, nella misura in cui la volontà è da essa determinata, sono io ad autodeterminarmi, senza che vi sia un principio esterno che mi guidi; se invece la volontà è determinata da passioni o da interessi particolari generati dalla sensibilità, allora tutto cambia, poiché la sensibilità è manifestazione della natura interna, che è un qualcosa che non esprime l‟essenza dell‟umanità (come invece è la ragione), giacché anche gli animali ne sono equipaggiati. La sensibilità è allora un qualcosa di altro rispetto a noi, sicché, quand‟anche obbediamo alle passioni nostre, stiamo in realtà obbedendo a qualcosa che non siamo noi. Pertanto se agisco in modo tale che solo la ragione determini la mia volontà, il mio agire sarà autonomo, mentre se la volontà è determinata dalla sensibilità, allora la mia azione sarà eteronoma. A tal proposito, Kant scrive che 12 E. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi. 24 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi “L’autonomia della volontà è quel carattere della volontà per cui essa è legge a se stessa, indipendentemente dai caratteri”.13 L‟autonomia diviene così la più alta espressione di libertà, in quanto rappresenta entrambi gli elementi componenti della libertà: da un lato, la libertà negativa (“libertà dalla” natura, dalla sensibilità, dalle passioni e dai “moventi eteronomi”); dall‟altro, la libertà positiva come autodeterminazione, per cui non mi limito a rifiutare l‟impulso sensibile, bensì lo rimpiazzo con le prescrizioni della ragione, che detta una legge coincidente con me stesso, senza determinazioni esterne e la libertà diviene ―quel carattere per cui si può agire senza dipendenze da enti esterni”, diviene “libertà di”. Ne deriva che autonomia (o libertà) e morale sono indisgiungibilmente connesse, giacché non può esserci moralità senza libertà, e viceversa. L‟uomo kantiano è sì sottoposto all‟obbedienza degli imperativi categorici, che fungono da regole della sua azione pratica, ma questi nel contempo sono espressione di una legge morale universale (e perciò stesso noumenica) che egli coglie grazie alla sua ragione (prima pura e poi pratica); tale legge morale giustifica a sua volta (senza dover essere giustificata essa stessa) la libertà, in quanto questa è condizione essenziale per l‟esercizio della moralità. In una nota della Critica della ragion pratica, Kant distingue tra due piani: da un lato, la libertà è la ratio essendi della moralità (ovvero la condizione per la sua esistenza), dall‟altro la moralità è la ratio cognoscendi della libertà (ossia la condizione per conoscerla). L‟adesione alla volontà universale è sia ciò che rende l‟uomo autonomo, ovvero libero, che conforme alla moralità, ovvero ad una Legge Morale Universale espressione elevata ed assoluta del mondo noumenico. Nel mondo fenomenico, in quanto mondo sensibile, non vi può essere libertà, ma nel mondo noumenico, se ne ha invece la più alta espressione. Eppure, tutto dipende dalla ragione dell‟uomo: quanto più essa è elevata, quanto più essa è ratio conoscendi e ratio agendi, tanto più l‟uomo è autonomo e quindi libero. Questo è quanto lo stesso Kant aveva affermato nel rispondere al quesito Che cos’è l’Illuminismo? assunto successivamente a manifesto del movimento settecentesco: ―L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità, il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto, senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità 13 Ivi. 25 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e nel coraggio di servirsi de proprio intelletto senza esser guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza – è dunque il motto dell’Illuminismo. La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall’eterodirezione, tuttavia rimangono volentieri minorenni per l’intera vita e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. [...] Quindi solo pochi sono riusciti, con l’educazione del proprio spirito, a districarsi dalla minorità e tuttavia a camminare con passo sicuro‖14. Kant ci consegna così la „coppia‟ Libertà ed Autonomia, dettata da una Ragione conforme alla realtà noumenica, Libertà ed Autodeterminazione razionale. Quella scelta autonoma che determinata dalla ragion pura, e realizzata dalla ragion pratica, è chiamata „libera scelta‟. Sintesi: Con Kant cambia completamente la prospettiva della concezione della libertà che non appartiene più al mondo dei fenomeni sensibili ma a quello che fonda l'esperienza, al mondo metafisico del noumeno. Nel mondo empirico e sensibile della realtà fenomenica non esiste la libertà poiché ogni atto è naturalisticamente condizionato e determinato; tuttavia l'uomo nel suo comportamento morale si sente responsabile delle sue azioni: quindi se da un lato la scelta morale implica la necessità, l'impossibilità di sfuggire all‟imperativo categorico che ha valore normativo, in quanto fatto di ragione, dall'altro devo tuttavia postulare l'esistenza della libertà. I due termini, apparentemente inconciliabili, di libertà e necessità possono invece coesistere nel concetto di autonomia: nel senso che l'uomo obbedisce ad una legge che egli stesso liberamente si è dato, in quanto espressione di una volontà universale che lui stesso manifesta. 14 E. KANT, Che cos’è l’Illuminismo? 26 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Padre del razionalismo illuministico, Kant dà così il via ad un filone filosofico e culturale che porta alla massima esaltazione la ragione dell‟uomo: essa diventa lume della conoscenza, con Kant lume dell’azione, ed espressione della libertà naturale che i modelli deterministici, meccanicistici o pure assolutistici avevano voluto negare all‟uomo. Ora la libertà ha la sua incarnazione nella Dea Ragione, e diventa emblema di una società che tende a denunciare ogni sopruso che ne voglia limitare espressione, dinamismo e manifestazione. La Storia ne è testimone, la Cultura ne è testimonianza. La libertà diventa concetto popolare, ed acquista connotazioni sempre più politiche, ideologiche e sociologiche... mentre il pensiero filosofico si fa carico del compito di denunciarne la privazione e di tutelarne la natura giuridica. (E. Delacroix, La Libertà che guida il popolo – Parigi, 1830) Per gli illuministi, la libertà è lo stato naturale dell'umanità, distrutto dalla civiltà oppressiva e dalla sua evoluzione-involuzione, e come denuncia Jean Jacques Rousseau, “l’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene”15. L‟Ottocento non a caso sarà il secolo dei movimenti indipendentisti; esaltando una profonda dimensione sentimentalista e nazionalistica, la cultura romantica porrà al centro della propria analisi la libertà come valore dell‟esistenza, non aggiunto ma da riconquistare, e l‟età del Positivismo porrà al centro della propria riflessione un uomo che torna protagonista della sua esistenza e del suo agere contro ogni determinismo e causalità necessaria. Vediamone ora in successione i modelli relativi. 2. L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI LIBERTÀ. 2.a. Libertà e filosofia dell’Ottocento. L‟evoluzione nella storia della filosofia ed il suo avviarsi nel XIX secolo, delineano un‟altra maniera di affrontare la problematica della libertà. Essa consiste nel fare riferimento ad una realtà assoluta in cui vi è, sì, necessità, ma in cui – proprio perché si tratta della realtà assoluta – questa necessità viene a coincidere spinozianamente con la libertà: con la conseguenza che l‟uomo, per essere libero, deve partecipare dell‟Assoluto e della libertà che 15 JEAN JACQUES ROUSSEAU, Il Contratto sociale. 27 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi gli è propria. È questa la soluzione prospettata dall‟Idealismo tedesco a cavallo tra Settecento e Ottocento, ma che torna ancora in pieno Novecento (basti ricordare il cosiddetto Neoidealismo di Benedetto Croce e Giovanni Gentile). Con modalità diverse e con differente sensibilità, i tre protagonisti dell‟idealismo tedesco – Fichte, Schelling e Hegel – confinano la libertà dell‟uomo (libertà individuale) nella libertà dell‟Assoluto (libertà universale), facendo enigmaticamente coincidere la necessità e la libertà, e scomparire quel dualismo che aveva accompagnato i secoli precedenti. In particolare, le loro osservazioni muovono da una pesante quanto pungente critica al sistema kantiano, ed in particolar modo alla sua netta separazione tra un Io-fenomenico, che in quanto soggetto alle pulsioni naturali e alla sensibilità (il mondo degli impulsi corporei, naturali, psicologici, empirici) ci rende eteronomi, ed un Io-noumenico, coincidente con la stessa ragione e l‟individualità metafisica più autentica e perciò stesso quanto ci rende autonomi; per il modello kantiano, come si è analizzato, condizione della moralità e della libertà è l‟eliminazione dell‟impulso naturale: si deve cioè eliminare la „parte animale‟ presente in noi per poter così diventare meri esseri razionali ed accedere alla piena libertà. Al contrario, gli Idealisti prima ed i Romantici poi affermano con forza che libertà non è – come era per Kant – un fare come se la sensibilità non ci fosse: essa è, invece, dominare una sensibilità ineliminabile in quanto costitutiva dell‟uomo. Questa nuova via al sentimento, come espressione della dimensione interiore e non mero quanto banale sentimentalismo, è la via percorsa dai pensatori del primo Ottocento, che pur nelle proprie peculiarità riaffermano un tratto della libertà più emotivo e meno razionalistico, ponendosi così in netta opposizione con i grandi della modernità, Cartesio e Kant. Vediamo, velocemente, in che senso. a.1. Il modello hegeliano Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda 1770 – Berlino 1830) fonda il suo sistema filosofico sull‟assioma che alla base del reale vi sia un essere assoluto, uno Spirito Assoluto, infinito, perfetto e razionale, di cui tutto il finito ed il determinato (il mondo, la natura, l‟uomo stesso) sono espressione e manifestazione. Questa coincidenza fondante ogni passaggio del suo pensiero è espressa attraverso il celebre motto: 28 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi ―Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”16 vale a dire che tutto ciò che esiste (il reale) è razionale in quanto espressione e manifestazione finita dell‟Assoluto che è Ragione, non illuministicamente intesa ma in quanto ordine perfetto, intelligente ed armonico. Su questa coincidenza tra Soggetto (Assoluto) ed oggetto (il mondo finito), anche se quest‟ultimo è una determinazione contingente – dacché l‟Assoluto è radicato nell‟individualità dell‟oggetto che è il soggetto del mondo reale –, si ravvede una possibile teoria della libertà. Il reale, difatti, si manifesta in maniera finita e contiene nell‟in-sé che lo rappresenta l‟Assoluto; eppure non ha la perfezione e la completezza di quest‟ultimo. Attraverso un gioco di parole, pertanto, potremmo definire il reale determinato – in quanto dato hic et nunc – ma nel contempo indeterminato nel senso di „non compiuto‟, poiché costantemente tendente alla perfezione e al completamento che è l‟Assoluto stesso. Quest‟idea di un mondo in constante divenire, quasi a riecheggiare un antico panta rei, è espressa da Hegel in chiave metodologica attraverso il riferimento, costante e continuo, all‟esistenza di una processualità dialettica cui il tutto reale è sottoposto. La sua articolazione nei tre momenti di tesi – antitesi – sintesi dà al tutto un aspetto dinamico ma nel contempo necessitante, da cui nulla è esentato: l‟Assoluto è perfezione, pertanto è anche libertà, e il reale in quanto sua manifestazione finita, è partecipe della libertà dell‟Assoluto ma non ancora completamente in possesso di essa. Nella processualità dialettica, metaforicamente in questa sede assunta come immagine dell‟esistenza che si dà e diviene, vi è la conquista della libertà individuale. L‟uomo è quasi illuso di essere libero nella sua singolare individualità, come se la libertà fosse una sua prerogativa ed un suo dato ontologico, e conquistarla in un cammino di ascesa verso l‟Assoluto che altro non è che il cammino dell‟esistenza stessa dell‟individuo, assunto sempre come manifestazione finita dell‟infinito che è l‟Assoluto. Sicché vi sarà un primo momento negativo di mortificazione dell‟individuale ed un secondo momento positivo in cui l‟individuo ritrova la propria libertà nell‟essere inserito nel tutto. Esempio sublime di questa iniziale mortificazione – presa d‟atto della non libertà contingente – e della successiva conquista della vera libertà, si ha nella cosiddetta dialettica servopadrone, tratteggiata nella Fenomenologia dello Spirito. 16 G. F. W. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto. Diritto naturale e scienza dello Stato in compendio (1821). 29 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Questo celebre passaggio è utilizzato dal filosofo come immagine chiave dell‟autocoscienza del soggetto, ovvero il momento in cui il soggetto prende piena coscienza di sé e della propria situazione esistenziale ed ontologica e pure di libertà. Come il servo ha bisogno del padrone per avere salva la vita ed i propri interessi materiali (sussistenza, felicità, viveri) mettendosi al servizio di altri (il proprio lavoro), così il padrone ha bisogno del servo per esercitare il proprio status sociale ed economico. Ma chi è il vero libero? In apparenza, la relazione dialettica così profonda tra i due sembra un legame tra due esistenze in cui l‟una è vitale all‟altra; e di fatto è così. Ma laddove uno dei due decidesse di „sganciarsi‟ dall‟altro, il soggetto veramente autonomo non sarebbe il padrone, bensì il servo che ha in sé gli strumenti per operare ed essere indipendente, ovvero libero: l‟arte del lavoro. Ecco perché – al di là degli usi che nella storia poi ne sono stati fatti17 – la celebre espressione hegeliana de ―Il lavoro rende liberi‖18 assume un carattere fondamentale all‟interno dell‟economia generale del nostro percorso. In effetti, questo “rovesciamento” di ruoli e di funzioni, per il cui il vero servo diviene il padrone che non avendo in sé il possesso dell‟arte del lavoro ha un bisogno vitale che il servo sia al suo servizio, fa sì che il lavoro divenga formazione e liberazione in costante movimento. In tal senso, possiamo altresì affermare che nel sistema hegeliano tutto è lavoro: il processo dialettico è lavoro, la formazione dello spirito del reale è lavoro, il mondo è lavoro... e proprio nel senso di liberazione. In effetti, lo stesso processo di costituzione dello Spirito come Totalità è lavoro: ―lo Spirito non esiste mai e in nessun luogo se non dopo il compimento del suo lavoro‖. Lo Spirito, quindi, non va inteso „solo come sostanza‟, „ma anche come soggetto reale‟, e il soggetto non è da pensare come dato, ma come attivo realizzatore di quel processo in cui perviene alla piena consapevolezza di sé mediante l‟assimilazione di ciò che si presenta come altro e contrapposto. Lo Spirito prende progressivamente, dialetticamente, coscienza di sé 17 Arbeit macht frei ('Il lavoro rende liberi') era il motto posto all'ingresso di numerosi campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale. La scritta assunse nel tempo un forte significato simbolico, sintetizzando in modo beffardo le menzogne dei campi di concentramento, nati inizialmente come campi di lavoro ma divenuti campi di concentramento, nei quali i lavori forzati, la condizione disumana di privazione dei prigionieri e sovente il destino finale di morte, contrastavano in maniera netta e voluta con il significato opposto del motto stesso. 18 G. W. F. HEGEL, Fenomenologia dello Spirito. 30 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi nella coscienza dell‟uomo, e successivamente intercorre nella lotta con l‟altro perché questo suo status superiore gli sia riconosciuto... ed è di nuovo un lavoro! Ad un‟analisi ancora più approfondita, Hegel sembra come affermare che il lavoro è ciò che consente all‟uomo, e alla società tutta, di istruirsi, crescere, formarsi, come a dire che la vera libertà sia proprio la cultura, e ciò che si è realmente: lo smascheramento dei falsi ruoli che la società ha imposto è quanto il messaggio hegeliano ci vuole comunicare. Il lavoro stesso è culturalmente strutturante, ed è dunque „formazione‟: l‟uomo si appaga sempre più mediante i propri prodotti (lavorati). Il lavoro produce così cultura (Bildung), sia teorica che pratica, formazione, educazione, universalizzazione... insomma, produce libertà. L‟incivilimento, ciò che Rousseau ha tanto criticato nel suo Contratto sociale definendo lo stato politico una „involuzione‟ rispetto allo stato di natura dell‟uomo, non è decadenza e corruzione, bensì liberazione ed umanizzazione. Questo riconoscimento di ciò e di chi si è realmente, al di là di ogni apparenza sociale, è la condizione preliminare per essere liberi, poiché ciò non è ancora essere liberi totalmente; per essere veramente tali, occorre partecipare a quell‟istituzione che concretamente nel mondo dello Spirito esprime la realtà del tutto: tale istituzione è lo Stato, espressione più elevata dell‟Assoluto nell‟ambito delle istituzioni. Esso non è che lo Spirito assoluto manifestantesi nell‟esteriorità delle istituzioni, cosicché se l‟individuo partecipa dello Stato non come mero „borghese‟ – individuo che vuol sfruttare lo Stato per realizzare i propri interessi –, ma come „cittadino‟ – momento costitutivo dello Stato –, allora egli realizza la sua appartenenza al tutto ed è un momento della totalità. In questo caso, la volontà dell‟individuo diventa volontà dello Stato, e viceversa, cosicché l‟individuo stesso realizza la propria libertà identificandosi nella legge dello Stato, inteso da Hegel come il tutto che perfeziona l‟individualità inserendola in una rete complessiva. In tal caso sarà per Hegel possibile parlare di “libertà sostanziale”, distinta dalla “libertà formale”, che è quella che assegna all‟individuo un certo ambito di giurisdizione contrapposto a tutti gli altri individui, è quella che oggi chiamiamo “libertà civile”; la libertà sostanziale, dal canto suo, è quella non già dell‟individuo, bensì dello Stato come personificazione istituzionale dell‟Assoluto, e, nella misura in cui partecipa dello Stato, l‟individuo partecipa anche di tale libertà politica, consistente nel co-gestire la cosa pubblica: non è più una libertà settoriale a porzioni, ma è una libertà sola da tutti partecipata. Per Hegel lo Stato moderno così inteso ha il merito di conciliare le due libertà, a differenza dello Stato antico – in primo luogo la polis greca – che privilegiava quella sostanziale, sacrificando quella formale; nello Stato moderno, la libertà formale è invece assegnata e 31 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi tutelata dallo Stato stesso. Resta però il fatto che la libertà di cui parla Hegel è una libertà di tipo politico/giuridico e non morale: questo perché, secondo Hegel, la libertà giuridico/politica è quella suprema, ricomprendente in sé qualsiasi altra libertà, giacché il momento dell‟eticità è superiore a quello della moralità interiore di marca kantiana, la quale è espressione di un puro dover essere, una mera idealità superata dall‟eticità concreta: per essere veramente libero, devo incarnare la mia libertà nell‟istituzione dello Stato, riconosciuta da me stesso e dagli altri la mia reale individualità (autocoscienza). La „coppia‟ che possiamo così desumere dal pensiero hegeliano è Libertà e Stato, poiché fuori da esso, inteso come espressione massima dell‟Assoluto, non è ammissibile alcuna libertà. Nello Stato la libertà giunge al suo supremo diritto ed esso ha potestà sugli individui: solo al suo interno giunge alla compiutezza etica e alla piena libertà dell‟individuo, poiché: ―nello Stato vige il sistema del diritto che è il regno della libertà realizzata‖19. Nella costituzione razionale dello Stato, ossia nella libertà pubblica, si realizza la garanzia della libertà stessa ed “è data in sé l’unificazione della libertà e della necessità; è la libertà sostanziale”. La libertà particolare dei singoli individui, intesa come distinta e contrapposta a quella dello stato, la libertà formale, è e resta un‟astrazione. a.2. Maestri del sospetto – Introduzione. Paul Ricoeur (Francia 1913 – 2005), ermeneuta e filosofo contemporaneo francese, conia l‟espressione “scuola del sospetto” in riferimento ai tre grandi filosofi di fine Ottocento: Marx, Nietzsche e Freud, per questo denominati Maestri del sospetto. La portata titanica del loro pensiero, nonché le ripercussioni sulla successiva filosofia contemporanea, ne hanno fatto dei „pensatori spartiacque‟ tra le correnti ancora legate ai grandi sistemi della modernità e quelle, invece, innovative e riflesso più adeguato della società contemporanea. Resta che Ricoeur avrebbe potuto semplicemente identificarli come „nuovi filosofi‟ e „filosofi nuovi‟, ma in realtà il livello di indagine che rispettivamente ciascun filosofo mette in atto è una decisa rottura con il passato, tanto da generare una vera e propria crisi – dal greco krisis, separazione, rottura – su quelle certezze dogmatiche, teoretiche e culturali in genere su cui ci si era fondati fino ad allora. 19 G. F. W. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto. 32 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Questi pensatori generano, così, uno stato per l‟appunto di „sospetto‟, in cui quasi cartesianamente tutto è in dubbio e nulla è più ammissibile con la certezza passata; scopo della loro riflessione è così smascherare la verità della realtà, andandone in profondità, introducendo nuove categorie di comprensione e nuovi paradigmi filosofici. La loro portata va dunque assunta come rivoluzionaria per il pensiero. Essi sono i primi a sospettare che al di là della realtà apparente, quella convenzionalmente assunta come vera, vi sia qualcosa altro di diverso e di più “reale” della realtà stessa da esplicitare ed indagare, in maniera nuova e con occhi nuovi, per meglio capire i meccanismi regolanti la realtà visibile. E per esprimere questo „cambiamento di rotta‟ compiuto dalla filosofia nel passaggio tra Ottocento e Novecento credo sia significativa l‟espressione utilizzata da Marx: ―I filosofi finora hanno solo interpretato il mondo; ora si tratta di cambiarlo.‖20 che rimanda già da sé ad un chiaro inno ad una potenza tutta nuova che acquista l‟uomo di questo tempo. In particolare, la „rottura‟ avviene secondo questi tre differenti ambiti, tre modi nuovi di comprendere la dimensione sociale, quella religiosa e, non da ultimo, quella antropologica: Ambito storico-economico-sociale: Secondo Marx, la realtà non è la manifestazione – come ad esempio nel modello hegeliano – di un‟entità assoluta e trascendente, ma la dimensione della realtà tutta è una dimensione materialistica (e non ideale ed astratta) e nello specifico è sostanza e struttura economica. La sua concezione della libertà, vedremo quindi essere collegata a tale prospettiva. Per il filosofo, il mondo che vediamo e in cui siamo immersi presenta molti altri rapporti, ma sono tutti sovrastrutturali, ovvero secondari rispetto ad una realtà superiore in virtù della quale possono essere spiegati: tale realtà è appunto l‟economia. Ambito religioso-culturale: Similmente, per Nietzsche, il mondo in cui viviamo è impregnato di una grande “menzogna millenaria” che è il Cristianesimo e la religione in genere, con i suoi dogmi e la sua morale; il suo sistema filosofico giunge ad affermare con un grande grido per la società contemporanea che in realtà “Dio è morto”, segno di un ritorno al reale antropologico più autentico, ad una società “umana, troppo umana” in cui sia l‟uomo a farsi da sé e per sé, e non in vista di una trascendenza che non è né 20 K. MARX, Tesi su Feuerbach. 33 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi contemplabile né ammissibile. L‟uomo è così interpretato in termini di “volontà di potenza”, massima espressione della libertà, e con una natura principalmente arazionale e vitalistica che si deve accettare e cui si dive dire sì. Ambito antropologico: Questa natura dell‟uomo, già anticipata da Nietzsche, diventa oggetto fondamentale di indagine nella psicoanalisi di Freud; essa fa ben emergere come le azioni che abitualmente compiamo non siano spiegabili se non riconducendole a pulsioni nascoste e rimosse dalla coscienza, modificando radicalmente la comprensione che si è avuta dell‟uomo fino a quel momento, di impronta cartesiana ed illuministica e pertanto dell‟uomo come soggetto razionale. Ora l‟uomo è principalmente un soggetto volitivo e di passioni inconsce ed irrazionali, cui dipende necessariamente l‟interpretazione della libertà consegnataci dal filosofo. Vediamo ora nel dettaglio i tre differenti modelli. a.3. Maestri del sospetto - Il modello marxista. La posizione filosofica di Karl Marx (Treviri 1818 – Londra 1883) è più comunemente nota come Materialismo storico e sociale e Filosofia della prassi. Per il filosofo, infatti, ogni indagine sulla realtà deve partire dalla realtà stessa e coglierne le relazioni vere e fondanti. Alla teoretica e all‟astrazione dei suoi predecessori, Marx sostituisce l‟osservazione – quasi scientifica – della realtà e la scoperta dei reali rapporti dialettici che la caratterizzano; afferma così che ―Lo studio del mondo reale deve prender in considerazione la realtà effettiva, empirica e materiale dell’uomo e del mondo in cui egli vive‖21. Il pensiero marxista, così, si delinea a tratti come un‟antropologia, in altri casi come una sociologia, fino a divenire una vera e propria riflessione politica. Dare quindi una connotazione univoca ad un sistema filosofico così complesso risulta impresa del tutto 21 K. MARX, Manoscritti economici-filosofici (1844). 34 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi audace; in questa sede, tuttavia, cercheremo di soffermare la nostra attenzione su un percorso che cammini lungo l‟ingente opera letteraria marxista al fine di delinearne una sua „teoria della libertà‟ tutt‟altro che semplice. Marx, da buon esponente della cosiddetta Sinistra hegeliana, avvia la sua riflessione dall‟adesione al sistema hegeliano in cui, per l‟appunto, la storia, la società tutta, il reale intero, è una processualità dialettica di rapporti interconnessi tra loro ma, a differenza del tedesco idealista, non ammette un‟entità assoluta e trascendente di cui la realtà è manifestazione, ma la realtà è manifestazione di se stessa, è materia in sé e per sé sussistente. La storia, lo Stato, il mondo, l‟uomo stesso non sono manifestazioni finite di un Assoluto, ma determinazioni autonome e materialisticamente intese di se stesse. Questo quanto si può riassumere con la concezione del Materialismo storico e sociale. In tale ottica, la società, vera ed unica protagonista della storia, è composta da: una struttura: base, fondamento della società, composta dalle forze produttive (uomini, mezzi e strumenti, conoscenze tecniche) e dai rapporti di produzione (ovvero le dinamiche dialettiche che collegano le forze produttive tra loro). In altre parole, la struttura è la base economica della società, quell‟unico motore determinato e reale, ed economico appunto, che per Marx muove la tutta società e la storia intera. una sovrastruttura: ovvero tutto ciò che si edifica sulla struttura; in altre parole la politica, le ideologie, la morale, la religione, la filosofia... Partendo da questa duplice articolazione e dal rapporto dialettico tra le due parti, la storia è un prodotto sociale, empirico ed oggettivo dell‟uomo, il risultato delle sue reali relazioni ed azioni: in tal senso, il Materialismo storico e sociale va inteso come una Filosofia della prassi, dal verbo greco praxo, fare, agire – , secondo un‟ottica squisitamente antropocentrica in cui l‟uomo è il protagonista assoluto dello spazio e del tempo attraverso il suo fare, ovvero – sulla sia hegeliana – il suo lavoro. Ma mentre Hegel ci aveva proposto, attraverso l‟immagine della dialettica servo-padrone, un‟interpretazione ideale ed astratta di tale rapporto, al fine di denunciarne l‟esistenza ed i falsi status sociali che ne derivavano, Marx ambisce – da buon materialista ed uomo concreto e della prassi – che tale rovesciamento di ruoli ed il relativo riconoscimento possa avvenire effettivamente, nella storia e nella società del suo tempo, quella capitalistica di fine Ottocento. Il servo (hegeliano) diventa così il proletario (marxista), ed il padrone (hegeliano) diventa il capitalista (marxista). 35 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi La società di Marx vuole la realizzazione effettiva di questo rovesciamento di ruoli e del riconoscimento della vera libertà di chi nella società in realtà è sottomesso; ecco così che il discorso marxista si fa discorso politico, inneggiando alla lotta di classe che è una vera e propria lotta politica per la libertà (reale ed effettiva) del proletariato, contro ogni sopruso della società borghese e capitalista, contro ogni mancato riconoscimento del lavoro del proletario, del suo compenso economico e della sua opera sociale, nella consapevolezza che l‟economia, e null‟altro, sia il vero senso della storia e della società. La tesi centrale della filosofia marxista diventa così la consapevolezza concreta che senza il lavoro ed il lavoratore non può esserci società e storia. Ma mentre il lavoro in Hegel era formazione, educazione, cultura e liberazione22, in Marx il lavoro è economia e prodotto materiale ed il lavoratore è il vero protagonista della società cui va riconosciuta a priori libertà morale, giuridica e politica; laddove ciò non avvenga ―è legittima, nonché lecita ogni forma di ribellione, di lotta sociale e di rivoluzione che sia in grado di abolire ogni potere dell’uomo sull’uomo [...]e di eliminare ogni condizione di privazione di libertà‖23. La conquista e/o la riconquista della libertà individuale, e nel contempo della classe sociale proletaria, diventa ciò che giustifica la dittatura del proletariato incarnata dal modello politico comunista. Ne deriva che la concezione della Libertà in Marx, ovunque sottesa in tutti i suoi scritti, diventa un tutt‟uno con i concetti di uguaglianza e solidarietà, che nell‟ideologia del pensatore trovano espressione nella società comunista. Ecco una prima coppia in Marx: Libertà ed Uguaglianza. Partendo proprio dagli scritti di Marx, benché egli non faccia mai un‟analisi diretta e squisitamente concentrata sul tema della libertà, si può scoprire che in realtà, secondo Marx, libertà ed eguaglianza non sono due principi distinti a cui occorre assegnare un peso maggiore all'uno e un peso minore all'altro; libertà ed eguaglianza anzi, si completano assieme, se non esiste l'uno non esiste l'altro, si integrano e si perfezionano solo se non sono disgiunti. Di più, le osservazioni compiute fin qui ci fanno ben intuire che l'idea di libertà si lega da sempre a quella dimensione che è lo Stato e soprattutto alla „forma‟ di Stato. All'analisi critica marxiana soggiace una forma di Stato che oggi è praticamente scomparsa: lo „Stato liberale 22 23 Cfr. Paragrafo a.1. pag. 28 del presente lavoro. K. MARX, Manifesto del partito comunista. 36 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi classico‟, un modello in cui dallo Stato e dai suoi apparati era esclusa la maggioranza della popolazione, le classi subalterne non avevano la possibilità di esprimere una qualsiasi forma di voto o preferenza politica poiché il sistema elettorale era basato sul censo. Tutto lo Stato era insomma sbilanciato decisamente verso le classi proprietarie, ovvero le classi che materialmente gestivano ed amministravano l'apparato statale. Da qui la denuncia di Marx ed il suo inno alla rivoluzione sociale che rovesciasse l‟assetto politico e burocratico dello Stato, e consentisse il passaggio da una libertà liberale – di pochi, dei capitalisti, dei proprietari – ad una libertà democratica, ovvero di tutti, dei proletari: una libertà che fosse intesa come partecipazione, ovvero libertà di partecipare alla gestione dello Stato, all'attività legislativa, all'informazione, alla divulgazione del pensiero, libertà di associarsi in partiti, sindacati ecc. In una parola: democrazia. Questo è quanto nel dettaglio, e nel modello di Stato da lui propugnato, Marx chiama libertà socialista, da intendere come evoluzione della libertà democratica. Il concetto di “libertà socialista” così come idealizzata da Marx, parte in effetti dalla libertà democratica, ma ne evidenzia alcuni aspetti e ne migliora altri. La libertà democratica infatti, se non accompagnata da un'uguaglianza sostanziale fra gli individui, dall'eguaglianza economica, culturale e materiale, rischia di ratificare comportamenti e risultati poco democratici: ovvero che individui dotati di maggior disponibilità economica, avvantaggiati materialmente e culturalmente rispetto ad altri individui, possano interferire su chi è più svantaggiato e dunque influire le libere decisioni democratiche. Il socialismo per Marx diviene l'azione tesa a promuovere l'uguaglianza materiale, economica e culturale tra gli individui; quest'uguaglianza è condizione necessaria per sviluppare l'uguaglianza democratica, ovvero per impedire che alcuni abbiano una possibilità di influire sulle decisioni democratiche molto maggiore di quella di altri. Il socialismo è dunque necessario per una libertà democratica effettiva, mentre il capitalismo è inaccettabile perché limita in modo troppo radicale la democrazia, intesa come eguale sovranità dei cittadini. Da qui la sua conclusione che ―Solo nella comunità e nella società socialista, diventa allora possibile la libertà personale‖24. E che: ―La reale sfera della libertà comincia solo laddove termina il lavoro comandato dalla necessità e dalla finalità esterna‖25 . 24 K. MARX, L’Ideologia tedesca. 37 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi La libertà socialista non richiede solo uguali diritti e non si accontenta neppure di uguali poteri (sarebbe allora libertà democratica): il punto che più la caratterizza è che essa esige, con la libertà e l'uguaglianza, anche la fraternità e la solidarietà. ―La libertà deve essere intesa come potere sulle circostanze, controllo sulle condizioni della propria vita che si accresce in quanto non si dipende più dagli esiti casuali di rapporti che sono possono svolgersi anche nella forma della competizione, della concorrenza o del conflitto, ma in quanto si gode, per così dire, di una assicurazione gratuita di tipo solidaristico. [...] La libertà socialista racchiude in sé certamente alcune libertà liberali e tutte le libertà democratiche; ciò che lo caratterizza però è il fatto che in essa l'accento non cade solo sull'uguaglianza di diritti e sull'eguale sovranità, ma altrettanto fortemente sul punto della solidarietà sociale‖26. La „coppia‟ marxista diventa allora un gioco di „coppie‟: Libertà non è soltanto Uguaglianza, ma è anche Partecipazione (politica), è anche Solidarietà (umana). a.4. Maestri del sospetto - Il modello nietzscheano. Data la complessità della sua filosofia, riflesso geniale della sua presunta folli, veniamo subito al puto nodale: Friedrich Wilhelm Nietzsche (Röcken 1844 – Weimar 1900) è saldamente convinto che l‟uomo sia libero solo illusoriamente, in quanto determinato da una forza che non è nelle sue mani e che non è di tipo razionale, ma ha radice vitalistica. Tale elemento vitalistico che sta alla base della nostra determinazione non può in alcun modo essere negato, ma deve anzi essere affermato e accettato, dicendo “sì” alla vita in tutte le sue forme. Anche Freud seguirà questa corrente, negando la 25 26 K. MARX, Il Capitale. K. MARX, La questione ebraica. 38 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi libertà dell‟individuo e riconoscendolo determinato da una forza oscura (le pulsioni): tali forze possono essere, se non negate, controllate esplicitandole; sicché la psicoanalisi, portandole all‟evidenza, le trasforma in elementi conosciuti e controllabili. In questo senso, nel tentativo di conoscere le oscure radici della volontà umana, Freud rivela una certa tendenza illuministica: è qui in bilico tra la “scuola del sospetto” e il Positivismo, corrente del secondo Ottocento che esalta la scienza e la tecnica e nega il metafisico. Dal canto suo, Nietzsche arriva a fissare chiaramente la propria posizione intorno al problema della libertà con Umano, troppo umano, Genealogia della morale e con l‟opera sua più celebre, il Così parlò Zarathustra, dove propone l‟idea della libertà della vita e dell‟accettazione della volontà di potenza. Nella sua prima opera di rilievo – L’origine della tragedia. (Ovvero dello spirito della musica) –, egli opera (in veste di filologo) la celebre distinzione tra spirito apollineo e spirito dionisiaco: da questa distinzione muove tutto il „sistema‟ filosofico di Nietzsche e muovono pure le nostre analisi in tema di libertà. Vediamo in che senso. Stando alle analisi compiute da Nietzsche, nel genere letterario della tragedia – dal greco canto del capro, il canto esercitato dai seguaci del dio Dioniso e ed animale sacrificato in suo onore – di fondono in maniera mirabile l‟elemento dionisiaco, ovvero la pulsione vitale, le passioni, l‟impeto della natura, espresse nel contenuto della tragedia (Dioniso è il dio delle feste, del sesso, del piacere, il Bacco romano per intenderci), con l‟elemento apollineo, ovvero la razionalità pura, la compostezza, la forma equilibrata, espressa nella forma letteraria della tragedia. La tragedia antica nelle sue fasi vede l‟alternarsi di questi due elementi: dove domina l‟uno e dove l‟altro, cambiano le espressioni letterarie. Ma questo dualismo non è proprio soltanto della tragedia greca, bensì della cultura tutta e soprattutto, dell‟uomo che così risulta composto da due spirito, uno passionale, vitalistico e del piacere (il dionisiaco) ed uno razionale, composto e del dovere (l‟apollineo). Nietzsche denuncia che con la tragedia classica, quella coeva dell‟Atene di Socrate, rappresentato nella letteratura ed assunto simbolicamente a padre della filosofia, muore lo spirito dionisiaco a favore di una preminenza assoluta dell‟apollineo, come a dire che la filosofia ha portato nella civiltà un uso eccessivo della razionalità da uccidere gli impulsi più costitutivi dell‟uomo. 39 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Ecco allora il progetto nietzscheano. Come “Socrate ha ucciso Dioniso”27, così ora il filosofo intende uccidere ed annullate Socrate, il pensiero esclusivamente ed eccessivamente razionale, quel pensiero che annienta gli impulsi vitali e passionali (Freud dirà inconsci) che più caratterizzano l‟uomo nella sua profondità. Socrate pose al centro della filosofia non già la natura, bensì l‟uomo, inteso come essere razionale responsabile delle proprie azioni, non più imputabili all‟imperscrutabile volere del fato; e con lui al dionisismo subentra l‟apollineo e la ragione, in cui l‟armonia e la sobria ed equilibrata compostezza scalzano l‟orgiastica volontà di vivere del mondo e dell‟uomo. Nietzsche, così, auspica ad eliminare tutto ciò che imprigiona l‟uomo e ne nega la libertà di espressione. Tutta la sua filosofia può essere letta come „un inno alla libertà‟ individuale, intesa come reincarnazione dello spirito dionisiaco e delle sue connotazioni vitalistiche. Questa stessa componente apollinea sarà poi trasmessa al mondo cristiano e, a sua volta, di ogni altra religione: e Nietzsche denuncia che il razionalismo puro ed il dogmatismo morale e religioso hanno finito per bloccare e confinare l‟uomo in quella che in realtà è soltanto l‟illusione della sua libertà. A tal proposito, così si esprime Nietzsche: “la storia dei sentimenti umani è la storia di un errore: l’errore della responsabilità, che riposa sull’errore della libertà”28. La vera libertà starà allora nel liberarsi dall‟illusione della libertà, da qui codici razionali e morali che , a detta di Nietzsche, governano la nostra vita e nel contempo imprigionano la nostra essenza più profonda e caratteristica che spesso è a-razionale e con una propria morale. Il testo che meglio esprime questo programma ambizioso è Così parlò Zarathustra, il cui protagonista (Zarathustra appunto) è il profeta che annuncia una nuova verità, indispensabile per liberarsi da quell‟insieme di false credenze che paralizzano la potenza e la natura umana da millenni, dette per questo ―menzogne millenarie‖. La prima credenza da smascherare è la credenza in Dio, cioè in una realtà sovraterrena condizionante quella terrena e l‟agire umano, che la storia testimonia essere stato funzionale a Dio e a lui sottomesso per dogma e credenza). 27 28 F. W. NIETZSCHE, La nascita della tragedia. F. W. NIETZSCHE, Umano troppo umano. 40 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Nietzsche allora descrive l‟annuncio compiuto da un folle (altra personificazione di se stesso non poteva assumere!!) della morte di Dio; il senso di tale annuncio è che ora che Dio è morto devono vivere molti dei, ovvero nuovi valori che promuovano la vita, anziché mortificarla. Leggiamo con attenzione il passo, uno dei più celebri dell‟intera storia occidentale. Aforisma 125. L’uomo folle. Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: ―Cerco Dio! Cerco Dio!‖. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. ―È forse perduto?‖ disse uno. ―Si è perduto come un bambino?‖ fece un altro. ―Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?‖ – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: ―Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!‖. 41 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. ―Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!‖. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: ―Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?‖29. Dunque, la liberazione dalla credenza in Dio è la prima condizione per la nascita dell‟Oltreuomo, di un uomo che va oltre l‟uomo del passato, ne supera la dimensione ontologica e culturale, e diviene un uomo non più imprigionato in false credenze tale da prender coscienza delle proprie possibilità, dopo aver operato una totale trasvalutazione di tutti i valori morali ed aver detto “sì” alla vita terrena. Per Nietzsche sbarazzarsi di Dio equivale a sgombrare il campo dalla trascendenza (tanto cristiana quanto platonica), tant‟è che la negazione di Dio si traduce automaticamente in negazione della spiritualità concepita come un qualcosa di opposto e superiore al corpo (in questo Nietzsche ha uno stampo marxista). L‟Oltreuomo deve poi liberarsi del senso del dovere, di quella morale razionalistica imposta da Socrate (e con lui dalla filosofia occidentale) e ribadita dal Cristianesimo in chiave dogmatica. Questa evoluzione, che altro non è che una nascita di un uomo nuovo che non ha vincoli nella realizzazione di sé e della propria libertà, trova espressione in una celebre pagina del Così parlò Zarathustra, meglio nota come Le tre metamorfosi. ―Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo. Molte cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte e paziente nel quale abita la 29 F. W. NIETZSCHE, La gaia scienza – aforisma 125. 42 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi venerazione: la sua forza anela verso le cose pesanti, più difficili a portare. Che cosa è gravoso? domanda lo spirito paziente e piega le ginocchia, come il cammello, e vuol essere ben caricato. Qual è la cosa più gravosa da portare, eroi? così chiede lo spirito paziente, affinché io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza. Non è forse questo: umiliarsi per far male alla propria alterigia? Far rilucere la propria follia per deridere la propria saggezza? Oppure è: separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria? Salire sulle cime dei monti per tentare il tentatore? Oppure è: nutrirsi delle ghiande e dell’erba della conoscenza e a causa della verità soffrire la fame dell’anima? Oppure è: essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e invece fare amicizia coi sordi, che mai odono ciò che tu vuoi? Oppure è: scendere nell’acqua sporca, purché sia l’acqua della verità, senza respingere rane fredde o caldi rospi? Oppure è: amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo spettro quando ci vuol fare paura? Tutte queste cose, le più gravose da portare, lo spirito paziente prende su di sé: come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, così corre anche lui nel suo deserto. Ma là dove il deserto è più solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà ed essere signore nel proprio deserto. Qui cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e del suo ultimo dio vuol egli diventare, con il grande drago vuol egli combattere per la vittoria. Chi è il grande drago, che lo spirito non vuol più chiamare signore e dio? ―Tu devi‖ si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice ―io voglio‖. ―Tu devi‖ gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come l’oro, e su ogni squama splende a lettere d’oro ―tu devi!‖. Valori millenari rilucono su queste squame e così parla il più possente dei draghi: ―tutti i valori delle cose – risplendono su di me‖. ―Tutti i valori sono già stati creati, e io sono – ogni valore creato. In verità non ha da essere più alcun ―io voglio!‖‖. Così parla il drago. Fratelli, perché il leone è necessario allo spirito? Perché non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed è piena di venerazione? 43 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Creare valori nuovi – di ciò il leone non è ancora capace: ma crearsi la libertà per una nuova creazione – di questo è capace la potenza del leone. Crearsi la libertà e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, è necessario il leone. Prendersi il diritto per valori nuovi – questo è il più terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e venerante. In verità è un depredare per lui e il compito di una bestia da preda. Un tempo egli amava come la cosa più sacra il ―tu devi‖: ora è costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose più sacre, per predar via libertà dal suo amore: per questa rapina occorre il leone. Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo? Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì. Sì, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sí: ora lo spirito vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo. Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello, leone il cammello, e infine il leone fanciullo. – Così parlò Zarathustra. Allora egli soggiornava nella città che è chiamata: ―Vacca pezzata‖‖30 Il cammello è simbolicamente assunto come metafora dell‟uomo tollerante e paziente di fronte alle avversità (il deserto), come colui che per devozione (riferimento all‟uomo di fede) si piega (peso della gobba) al dovere e all‟obbedienza. Il leone (animale simbolo della forza) indica quello slancio vitale necessario per liberarsi dall‟illusione imposta dalla ragione e dalla morale; in tal senso il leone è metafora della volontà di ciascun individuo di uscire da uno stato di „sudditanza‟ nella visione nietzscheana imposta dal tempo e dalla cultura. Esprime così la transizione necessaria per il passaggio dal vecchio uomo ad un uomo che vi va oltre, l‟Oltreuomo – che diverrà concetto filosofico chiave dell‟antropologia contemporanea. Infine, il fanciullo e la sua venuta – in beffarda allegoria con il fanciullo della tradizione cristiana – indica il „germe dell‟Oltreuomo‟, di colui che, liberatosi dalle falsità del passato, ha ora occhi nuovi quanto ingenui e puri per vedere il mondo ed imporsi con il proprio “io voglio”. 30 F. W. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra. 44 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Qui segue il passaggio conclusivo del pensiero nietzscheano: dopo aver detto che occorre negare la tradizione dei valori e della trascendenza, il filosofo tedesco asserisce che l‟Oltreuomo deve affermare la propria volontà in maniera assoluta e incondizionata, sostituendo il mondo trasmessoci dalla tradizione con un mondo nuovo, dove i vecchi valori siano trasmutati in nuovi; un mondo in cui la realtà sia “volontà di potenza”. “Tutti gli scopi, le mete e i significati sono solo modi d’espressione […] della volontà di potenza”. Per Nietzsche tutto è manifestazione di un‟unica volontà, che però non è noumenica o metafisica, ma anzi percorre e cammina nella realtà. Essere liberi significa allora volere, e nello specifico significa volere ciò che la vita vuole, dicendole di sì in ogni suo aspetto (e l‟eccellenza dell‟individuo consiste appunto nel saper dire di sì alla vita con maggiore forza), anche di fronte alla prospettiva dell‟eterno ritorno dell’eguale che è il passaggio ultimo e capitale con cui si realizza l‟evoluzione ad Oltreuomo. In tal modo il nuovo uomo nietzscheano non teme il destino, il futuro ma ne prova amore – ―amor fati‖ – poiché esso è il risultato della sua volontà, della sua potenza e soltanto di se stesso, senza dipendere da prescrizioni o codici precisi e determinati. Per l‟appunto, in La gaia scienza, Nietzsche asserisce che chi si abbandona a questa condizione è un‟anima che si lascia andare in un oceano infinito, senza coordinate costrittive e limitanti, e ci ammonisce “guai se ti coglie la nostalgia della terra!”31, dove la nostalgia della terra è la nostalgia di una prospettiva che abbia coordinate e punti di riferimento fissi, cioè parametri gnoseologici e morali dati ed oggettivi. L‟unica vera libertà è allora essere in mare aperto, senza terre e punti fermi a cui far riferimento durante la navigazione. Libertà in Nietzsche fa così coppia con Volontà, una volontà propria ed individuale. ―In base a che cosa si misura la libertà, negli individui e nei popoli? [...]Primo principio: occorre aver bisogno di essere forti altrimenti non lo si diverrà mai. [...] Ora vi dirò la libertà esattamente nel senso in cui io intendo la parola libertà: come qualcosa che si ha e non si ha, come qualcosa che si vuole, come qualcosa che si conquista. L’uomo libero è guerriero.‖32. 31 F. W. NIETZSCHE, La gaia scienza. 45 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Quest‟immagine, bellissima, dell‟uomo come guerriero che si arma per liberarsi dalle illusioni, e fare della sua volontà una realizzazione, è il messaggio della „filosofia della libertà‟ di Nietzsche, e sottende un‟ulteriore consapevolezza che ha il filosofo: ovvero, che ci sono libertà forti e libertà deboli. Le prime sono di chi combatterà la guerra al razionalismo e al dogmatismo che cercano costantemente di circoscrivere il dovere e la responsabilità dell‟uomo, le seconde sono proprie di coloro che sono destinati a vivere proiettati nella vecchia concezione che per Nietzsche altro non è quella della libertà illusoria. Egli è consapevole, da uomo del suo tempo, che come il folle al mercato “viene troppo presto” portando un annuncio cui l‟umanità non è ancora pronta e preparata, così anche Nietzsche stesso sa che di veri guerrieri ancora ce ne sono pochi. Profetica è la sua impostazione, profetico il suo messaggio... che solo sospetto poteva generare. a.5. Maestri del sospetto - Il modello freudiano Sigmund Freud (Repubblica Ceca 1856 – Regno Unito 1939) è assunto a padre della Psicoanalisi, ovvero di quella particolare scienza (umana) interpretata come una psicologia del profondo e dell’abisso umano. Scopo di questa scienza è interpretare i sintomi e gli stati psicologici alla ricerca delle cause scatenanti che spesso celano un trauma, un disagio, un bisogno, un conflitto interiore.. Freud giungerà ad affermare ne Il disagio della civiltà che i „normali‟ sono soltanto presunti, e che la vera normalità consiste in realtà nell‟essere patologicamente segnati dai nostri contenuti psichici e più profondi. Partendo dall‟osservazione del comportamento e degli stati emotivi dell‟uomo, Freud giunge a formulare un vero e proprio metodo che gli consenta di ―osservare, comprendere e penetrare l’uomo‖ 32 F. W. NIETZSCHE, Crepuscolo degli Idoli. 46 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. e le sue psichiche manifestazioni e fisiche, I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi emotive, servendosi in particolar modo del cosiddetto colloquio clinico tra medico e paziente. I differenti momenti del metodo, che in questa sede non tratteremo, conducono Freud a formulare la celebre metafora dell’iceberg con cui egli rappresenta la psiche umana ed i suoi luoghi (detti topiche, dal greco topos – luogo), che con scopo funzionale e descrittivo ci delineano la composizione dell‟abisso umano ed i differenti compiti delle relative sezioni. La psiche è composta da funzioni e figure differenti, lette secondo un ordine discendente (dall‟alto verso il basso) dacché ci dirigiamo „scavando‟ nelle profondità dell‟uomo: il Conscio, che Freud chiama anche IO – è la parte consapevole e razionale di noi stessi, quella organizzata ed equilibrata; ciò che potremmo far corrispondere allo spirito apollineo di Nietzsche in quanto è ciò che risponde al principio del dovere; il Preconscio (in alcune versioni detto anche Subconscio), che Freud chiama anche SUPER-IO – è corrispondente ad una sorta di coscienza morale che media e trattiene gli impulsi provenienti dalle nostre profondità; se fallisce in questa sua opera di „contenimento‟, allora l‟azione del Conscio ne risulta compromessa; l‟Inconscio, che Freud chiama anche ES, pronome tedesco alla terza persona singolare; questo è il polo pulsionale della psiche, l‟area in cui vivono e persistono desideri, bisogni, traumi, dolori repressi, ciò che Nietzsche chiamerebbe spirito dionisiaco in quanto è ciò che risponde al principio del piacere. Se con la sua spinta emotiva, particolarmente forte e prepotente durante il sogno di cui è linguaggio ed espressione, fallisce il contenimento del SuperIo, allora l‟Inconscio riaffiora provocando stati depressivi e nevrotici. I nostri scatti di ira, i nostri attacchi nevrotici, i nostri stessi sogni e lapsus sono tutti linguaggi dell‟Inconscio. Quest‟articolazione della psiche è rappresentata dall‟iceberg e ci conduce dritti al tema della libertà in Freud. 47 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Con un certo sgomento dei suoi contemporanei – ed un po‟ anche di noi oggi – l‟iceberg testimonia che la parte più importante per dimensioni ed estensione non è il Conscio/IO, che emerge dall‟acqua che già di per sé rappresenta il mondo, ma è proprio l‟Inconscio/Es, questa „altra persona‟ che vive nelle nostre profondità psichiche e che ciascuno di noi ha. È l‟Es, questo lui inquietante interno a noi, al proprio Io cosciente, la parte che più ci rappresenta e che costituisce la vera ed autentica nostra storia. Questa la rivoluzione, il sospetto, gettato da Freud: noi non siamo il nostro Conscio, la nostra razionalità, ma siamo il nostro Inconscio, le nostre pulsioni (tra le altre cose, principalmente sessuali). Sulle orme tracciate da Nietzsche, Freud recupera la dimensione pulsionale ed istintiva dell‟essere umano e la rende scientificamente esperibile ed indagabile. Ma quali ripercussioni al tema della libertà? Se si ammette come vera l‟articolazione psichica proposta da Freud, l‟uomo – e quale uomo? – ha libertà? E semmai che tipo di libertà? Se ammettiamo come soggetto che si rappresenta più evidentemente il nostro Conscio/Io, soltanto in apparenza questo è dotato di libertà. Freud stesso dichiara che “la libertà di scelta è un‟illusione” poiché l‟azione, la scelta dipende del Conscio/Io dipende dal fallimento o meno e dalla forza del SuperIo e dell‟Es. Non è un caso che sia dichiarato che ―L’Io non è padrone in casa propria. L’Io si sente a disagio, incontra limiti al proprio potere nella sua stessa casa, la psiche. Questi ospiti stranieri sembrano addirittura più potenti dei pensieri sottomessi all’Io e tengono testa ai mezzi di cui dispone la volontà. [...] L’Io è un servo di tre padroni, perché deve, nello stesso tempo, mettere d’accordo il mondo esterno, il SuperIo e l’Es‖33. Il Conscio, quindi, dipende dall‟azione delle altre parti della psiche, l‟una che trattiene e media, l‟altra che spinge costantemente per riaffiorare; perfino la sua libertà che esercita nel mondo non è tale ma è un‟illusione perché vincolata alle leggi, alla morale, al dovere e non può essere in alcun modo intesa in termini di libertà assoluta. Freud ci spiega che nella vita di tutti i giorni, anche se non ce ne rendiamo conto, operiamo continuamente delle scelte più o meno importanti; tali scelte sono condizionate dalla parte inconscia dentro l‟Io, dall‟Es, una componente della struttura della personalità di cui non 33 S. FREUD, L’Io e l’Es. 48 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi abbiamo consapevolezza e definizione rigorosa. Anche se noi scegliamo un‟azione e la vogliamo con tutte le nostre forze, tuttavia l‟Inconscio entra nei nostri progetti e desideri fino a renderne impossibile la realizzazione, oppure li realizza in modo diverso da come avremmo voluto. Ecco il divario tra l‟essere e il voler essere. Importanti sono così le conseguenze sul piano pratico, perché di fatto nella realizzazione di sé ci si scontra sempre con limiti e blocchi che noi stessi poniamo alla realizzazione delle nostre scelte. Quindi la libertà di scelta è un‟illusione, secondo Freud che non elabora queste considerazioni sulla base di una teoria, ma le svela attraverso le piccole cose, quei fatti che riempiono la quotidianità, come i gesti mancati, gli automatismi comportamentali, i lapsus, le amnesie.. L‟Inconscio si intromette, infatti, per impedire di compiere gesti o azioni che potrebbero portare nuovamente ad azioni dolorose, conducendoci ad azioni che sostituiscono quelle programmate. Dal canto suo, però, nemmeno l‟Inconscio/Es vive in una condizione ontologica di libertà: il suo stato d‟essere, in realtà, è quello di esser confinato negli abissi, pur costituendo quel quid, quell‟identità più autentica di ciascuno. La negazione della libertà da parte di Freud appare, così, categorica ed assoluta. Egli afferma non soltanto che decisioni che sembrano del tutto autonome in realtà sono, alla luce di un‟indagine psicoanalitica, la risultante meccanica e necessaria di impulsi inconsci; tutto è in balìa del più rigoroso determinismo causale dell‟intera vita psichica. Conscia o Inconscia, in Freud la Libertà è così in „coppia‟ con l‟Illusione. 2.b. Libertà e filosofia del Novecento. L’Esistenzialismo. Il Novecento filosofico conosce tante espressioni filosofiche, alcune nuove, altre affermatesi come rielaborazione dei vecchi sistemi. Senza farne una disamina che da sé sola occuperebbe una sezione non di poco conto, ci limitiamo in questa sede ad illustrare il tema della libertà in ordine a quello che unanimemente può essere definito il movimento più significativo del Novecento filosofico: l‟Esistenzialismo. Sorto tra il periodo delle due guerre mondiali, sotto la spinta della necessità di tornare a riflettere sul senso dell’esistenza, che diviene per ciò stesso anche il senso dell’uomo, sono i temi della morte, della finitudine umana, della scelta esistenziale, della precarietà del tempo e dell‟esistenza stessa a guidare i tanti pensatori che possono essere annoverati quali esistenzialisti. Divenuto poi anche corrente letteraria, oltreché esclusivamente filosofica, l‟Esistenzialismo assunse presto il carattere di „una moda‟, una tendenza, uno stile di vita e di pensiero, fortemente segnato dall‟ombra dei conflitti mondiali. L'improvvisa tragedia divampata con lo 49 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi scoppio delle guerre mondiali, infatti, travolse tanto la positivistica fiducia in una scienza capace di produrre progresso, quanto l'utilitaristica convinzione del costante miglioramento dell'agire umano e la spiritualistica certezza della coscienza come incrollabile sede di verità inconfutabili e irrefrangibili. Eppure, se c'è un elemento comune a tutte le molteplici manifestazioni a cui l'Esistenzialismo dette vita, quello è l'insistenza sulla finitudine dell'uomo e della sua esistenza, di cui ora si cerca un senso nuovo, per non dire il senso. Questo comporta un ritorno all‟unicità dell‟individuo che i sistemi universalizzanti e tanta parte di oggettivismo avevano eclissato: ora l‟esistenza è sempre l‟esistenza di quel soggetto, impronta del suo sé, poiché per gli esistenzialisti, l'uomo non è mai un mero oggetto fra i tanti, “una notte in cui tutte le vacche sono nere‖34, ma un unicum di senso e di significato che il tempo deve riconoscere e il soggetto tutelare. Così facendo, egli è sempre soggetto radicato in una realtà da lui inseparabile, con la quale viene a creare una fitta rete di rapporti intenzionali costituenti la sua situazione esistenziale, in cui egli si trova irrimediabilmente calato e a cui non può sottrarsi: alla maniera di Martin Heiddegger (Germania, 1889 – 1976), grande teoreta del movimento, l‟uomo è sempre un ―essere nel mondo e tra gli altri‖. Ciò comporta, naturalmente, che l'uomo sia costituzionalmente finito, giacché la sua esistenza è sempre e comunque definita in un hic et nunc della realtà. Ben si capisce, allora, perché l'autore a cui fanno costante riferimento gli esistenzialisti novecenteschi sia Søren Kierkegaard (Copenaghen 1813 – 1855), il quale – benché un secolo prima – aveva posto nel cuore della propria riflessione le nozioni di Singolo, di soggettività, di possibilità, di progettualità, di angoscia e di esistenza, in netta opposizione alla categoria hegeliana della processualità dialettica e del relativo universalismo che annullava il valore (ontologico ed esistenziale) del particolare, guadagnandosi dalla critica il titolo di „padre‟ del movimento. L'esistenza non può mai essere ridotta ad un mero essere oggettivo, ma, piuttosto, deve essere qualificata come un ex-sistere, ovvero come un tirarsi fuori da, uno stare fuori da sé; in questo senso, l'esistente non è mai interamente racchiuso in se stesso, ma sporge sempre in avanti, affacciato sul proprio futuro, in qualcosa che è avanti a sé di cui è artefice: proprio in questo risiede la categoria della progettualità, tanto cara agli esistenzialisti. Ed in questa categoria, come prerogativa del soggetto singolo ed esistente, consiste la concezione della libertà; anzi la libertà di scelta diviene ciò che dà senso all‟esistenza. 34 F. W. HEGEL, Fenomenologia dello Spirito. 50 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Kierkegaard, infatti, rivendica la singolarità dell'esistenza, tale per cui ogni scelta implica automaticamente l'esclusione di altre possibili scelte, proprio come, giunti ad un bivio, si imbocca una strada tralasciando l'altra. In quest'accezione, l'esistenza si configura non già come un et-et (come la logica hegeliana della processualità dialettica), bensì come un aut-aut (come recita il titolo di un celebre scritto kierkegaardiano, Ente-Eller). La mia esistenza di soggetto non è mai qualcosa di ritagliabile e scientificamente definibile: è, piuttosto, un flusso inoggettivabile frutto delle mie scelte sempre effettuate tra più alternative, e tra più possibilità. Dunque, presso gli esistenzialisti il problema della libertà non può che essere centrale: essendo l'uomo sostanzialmente finito e radicato nella sua „situazionalità‟ che si identifica con la sua stessa esistenza, che cosa può egli esser libero di fare? È ammissibile una libertà? E, in caso di risposta affermativa, di che tipo di libertà si tratta? Gli esistenzialisti sostengono che, al pari della questione dell'esistenza, nemmeno quella inerente la libertà può essere oggettivata: non ha dunque senso disquisire astrattamente e oggettivamente di libertà, ma alla maniera di Karl Theodor Jaspers (Germania, 1883 – 1969) conviene asserire che “là dove io sono, in quel senso originario che non si può oggettivare, là è anche il regno della libertà”. Ben si capisce allora che, per poter parlare di libertà, occorre addentrarsi nel regno della soggettività, lasciandomi alle spalle quello in cui ad imperare è l'oggettività, poiché la libertà appartiene all'esistenza, è sempre libertà di un soggetto esistente, e non già all'essere oggettivato. Non ha pertanto alcun senso domandarsi se oggettivamente esista o meno la libertà, poiché la libertà dipende in tutto e per tutto dall'ambito esistenziale e soggettivo, e si evince facilmente come la sua esistenza o inesistenza sia strettamente connessa al modo in cui si intende l'esistenza stessa, con soluzioni prospettate molteplici e mai riconducibili a schemi fissi. Esistenza è quindi, da Kierkegaard in avanti, possibilità e progettualità; in esse si manifesta la libertà come essenza ontologica – soggettiva e non oggettivabile – dell‟esistenza stessa. Tre le grandi possibilità e scelte secondo Kierkegaard: 51 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi la vita estetica (quella condotta dal Don Giovanni di Mozart), consistente nel non preoccuparsi del futuro e nel vivere l'attimo ed il piacere come se non vi fosse un futuro; la vita etica, quella dell'uomo sposato che ogni giorno riconferma la propria scelta; infine quella religiosa, scelta da quell'Abramo che si rivela disposto a sacrificare il figlio Isacco in nome di Dio, compiendo un atto inteso come delitto dalla società: egli è il “cavaliere della fede” che, nell'ascoltare Dio, si isola dalla società e conduce un'esistenza solitaria. Spetta dunque al soggetto l'individuazione delle diverse possibilità su cui costruire progettualmente la propria esistenza in maniera vincente, anche se poi di fatto per quasi tutti gli esistenzialisti ciò viene a configurarsi come un progetto fallimentare e destinato – per usare le parole di Jaspers – al “naufragio” e allo “scacco”. La possibilità si rivela allora come una non-possibilità, e campione di questa veduta è Heidegger, ad avviso del quale l'esito ultimo a cui approda il fallimento dell'uomo è l'esistenza inautentica, caratterizzata dal vivere in maniera omologata e conformata alla massa, prestando ascolto al Si impersonale, per cui non c'è più un “io faccio, io dico, io sono”, ma un inautentico “Si fa, Si dice, Si è”, tale per cui l'originarietà muore e l'uomo viene ad essere determinato nei propri comportamenti da modelli impersonali e conformistici; in questa maniera, egli cessa di esistere autenticamente e, da mero soggetto, diventa una cosa fra le cose, incapace di scegliere progettualmente la propria vita e di cavalcare l'onda della possibilità. Per questo tipo di uomo ogni forma di libertà è azzerata. Invece, l'unica via per poter vivere autenticamente è per Heidegger data dall'anticipazione della morte nello stato ontologico dell‟essere per la morte, concepita come la nostra più autentica possibilità, in quanto capace di generare quell'angoscia a cui già Kierkegaard aveva dato grande importanza: nell‟angoscia viviamo in maniera autentica ed esperiamo quella libertà azzeratasi con l‟anonimia. In sintesi, che pur la si prenda nelle sue differenti forme, per gli esistenzialisti la Libertà va in „coppia‟ con l‟Esistenza e ne è di essa l‟espressione; non può essere scissa dall‟esistenza, in quanto questa è sempre il risultato della scelta individuale e soggettiva (se è heiddeggerianamente autentica) del Singolo, in una visione generalmente ottimistica e che recupera la dimensione costruttiva dell‟uomo (homo faber) ed annulla quella della libertà come illusione o finzione. La possibilità implicata dall‟esistenza stessa genera la necessità di decidere liberamente la costruzione del proprio essere; l‟esistenza è libertà, perché è scelta. 52 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi E se invece questo legame Libertà-Esistenza avesse una chiave di lettura negativa, quali riflessioni potremmo condurre? La risposta a Jean Paul Sartre. b.1. Il modello sartriano. Semplice quanto a chiarezza e decisione è la posizione di Jean Paul Sarte (Parigi, 1905 – 1980). Nel romanzo filosofico La nausea, egli fa leva sul carattere dell‟assurdità dell'esistenza in quanto tale, un'assurdità che, non appena venga avvertita, genera immediatamente un insopprimibile senso di nausea: “[...] eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto ch'io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s'isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m'ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l'arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po' a sinistra. Di troppo la Velleda… Ed io - fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri – anch'io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura – ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un'onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue. Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. 53 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l'avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch'esse di troppo: io ero di troppo per l'eternità‖35. Negli anni fra le due guerre mondiali, la figura di Jean Paul Sartre divenne l‟emblema dell‟intellettuale, attivo e partecipe a tutte le più importanti controversie politiche e sociali del suo tempo, esponendosi in prima persona, in piena autonomia critica da qualsiasi modello autoritario, tanto da rifiutare addirittura il Premio Nobel per la letteratura nel 1964 rifiutandosi – come scrisse – ―di trasformarmi in un’istituzione e di conformar,i alla società del tempo‖36. Testimonianza di questo impegno civile è la sua ampia produzione letteraria e filosofica. Emblematico il titolo della prima grande opera filosofica di Jean Paul Sartre, uscita nel 1943: L'essere e il nulla. È in quest‟opera che risiede la „teoria della libertà‟ del pensatore francese. Alla base della sua analisi, infatti, vi è la consapevolezza che l‟esistenza sia una possibilità di scelta e in quanto tale una libertà – in questo Sartre è affine ai suoi contemporanei – ma lo scacco deriva che la possibilità che ha l‟uomo in sé non è soltanto qualificante e positiva, bensì soprattutto è negativa e nullificante: da qui il tema dell‟assurdo dell‟esistenza e della libertà come „castigo‟ che pesa sull‟esistenza dell‟uomo. In effetti, il modello antropologico sartriano identifica l‟uomo sia come essere – ovvero come un soggetto esistente – che come nulla, ed è quest‟ultimo concetto a destare il maggiore interesse della critica. Affermare nel contempo che l‟uomo è sia essere che nulla, in effetti, significa affermarne una duplice natura, in cui l‟idea del nulla rimanda a quella che lui stesso chiama ―potenza nullificatrice‖ intendendo con quest‟ultima la possibilità (potenza) che ha l‟uomo di assegnare significati, interpretare pensieri ed azioni, giudicare gli altri ma in chiave nullificante e negativa. Data la visione realistica che Sartre ha dell‟uomo, portato per sua natura alla difesa del proprio sé piuttosto che ad una dimensione autenticamente relazionale – basti pensare che ha amato per la sua vita intera la compagna Simone de Beavour ma non l‟ha 35 J. P. SARTRE, La nausea. J. P. SARTRE, Lettera all’Accademia svedese (settembre 1964) dove dichiara: “Signor Segretario, le assicuro subito la mia profonda stima per l’accademia svedese e per il premio con cui ha onorato tanti scrittori. Tuttavia, per alcune ragioni del tutto personali e per altre che sono più oggettive, non desidero comparire nella lista dei possibili candidati e non posso né voglio né nel 1964 né dopo accettare questa onorificenza”. Nel 1964 Sartre aveva pubblicato alcuni dei suoi libri più importanti (La nausea (prima edizione nel 1938), Il muro, L’età della ragione) ma soprattutto era diventato per molti, soprattutto giovani, un simbolo della ribellione e dell‟anticonformismo del Dopoguerra. 36 54 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi mai sposata nel timore della sofferenza per un‟eventuale delusione e di un legame ancora più profondo, nella sua convinzione che ―l’inferno sono gli altri‖37 –, egli è convinto che, poiché l‟uomo ne ha la possibilità, è più portato ad annullare l‟altro piuttosto che a valorizzarlo; solo in tal modo è possibile affermare con maggiore forza il proprio essere. Come a dire che ho bisogno di „demolire‟ l‟altro per „costruire‟ con più forza me stesso: questo il forte quanto crudo realismo antropologico sartriano! In sostanza: se l‟uomo può, e può giacché l‟esistenza è una continua possibilità, egli annulla, nega e può negare la realtà e l‟altro alla luce dei suoi personali significati. In tale ottica, ad esempio, il giudizio di un soggetto X su un soggetto Y comunicato ed espresso ad un soggetto Z, può annullare il soggetto Y agli occhi del soggetto Z. Questo è il senso del concetto di essere come “potenza nullificatrice‖: questa libertà che ha l‟uomo come prerogativa e tratto distintivo della sua esistenza cade nell‟assurdo, nel paradosso e nel negativo e diviene una condanna. La libertà che ha l‟uomo di esistere, di relazionarsi con l‟altro, di attribuirgli continui significati, non è letta dal parigino come potenza positiva, ma anzi come caratteristica temibile di un uomo che fa della sua libertà un potere negativo; in altre parole, data la natura più propria dell‟uomo, essere liberi è un peso da sopportare. Ecco perché ci consegna la sua grande verità: ―L’uomo è condannato ad essere libero: condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa‖.38 L‟uomo è così per sua „condanna‟ un essere libero, un soggetto che ha in sé la possibilità nullificante del mondo; come tale, tutto ciò che accade è frutto dell‟umana libertà e dell‟umana responsabilità, tanto che ―nulla è inumano, tutto è umano‖39. In questo risiede da un lato il forte e rigoroso ateismo del filosofo, che sulla scia di un nietzscheano mondo „umano, troppo umano‟ non ammette alcun determinismo teologico nell‟universo ma che tutto sia il frutto dell‟azione esclusivamente umana; dall‟altro assegna grande responsabilità all‟agire umano denunciando – il senso della denuncia, politica e culturale in primis, è il senso del suo stesso pensiero – guerra, morte, terrore, rivoluzioni.. 37 J. P. SARTRE, A porte chiuse. J. P. SARTRE, L’esistenzialismo è un umanesimo. 39 Ivi. 38 55 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi temi tipici della società contemporanea coeva al Nostro. Ecco perché il suo anticonformismo, ecco perché il rifiuto del Premio Nobel. Ecco quindi la conclusione, ed il contributo di Sartre: l‟uomo è libero perché è capace di scelta, ―Non può esserci libertà senza scelta. [...] Ogni persona è una scelta assoluta di sé‖40 e perché non è definito ma è „definiente‟, ma la sua capacità di definire il mondo e di assegnargli significati è una capacità ed una possibilità principalmente nullificante. Da qui, il senso di angoscia e di dolore che pervade l‟esistenza dell‟uomo sartriano, in cui Libertà fa „coppia‟ con Condanna; l‟esistenza, allora, non è nient‟altro che un assurdo caratterizzata dall‟esperienza emotiva della nausea, dove l‟uomo “si sente di troppo” rispetto al mondo e agli altri. La nausea è il sentimento che invade l‟uomo quando egli scopre l‟assurdità del reale e della sua stessa condizione di esistenza libera. ΩΩΩΩΩΩΩΩ 40 J. P. SARTRE, L’essere e il nulla. 56 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi Conclusioni (e riflessioni) Che allora la Libertà sia libertà di (agire, pensare, fare..), o sia libertà da (passioni, pulsioni, costrizioni, poteri); che la libertà sia connessa alla nostra Saggezza (Platone, Aristotele) e che dipenda dall‟esercizio intelligente (Kant) e metodico (Cartesio) della nostra Ragione, o sia l‟immagine di un Intelligenza Divina (Spinoza) o di un soggetto a sé materialisticamente determinato e vincolato alla Convenzione sociale (Hobbes); che la Libertà sia legata ad un senso di Responsabilità teologicamente intesa (Agostino); che la Libertà sia legata allo Stato (Hegel), o all‟Uguaglianza e alla Partecipazione politica (Marx), o finanche sia espressione di una Volontà dionisiaca (Nietzsche) o di un‟Illusione, per via della forza di un Inconscio pulsionale (Freud); che la Libertà sia condizione fondamentale dell‟Esistenza (Kierkegaard, Heiddegger), fino a diventarne una Condanna ed un Assurdo (Sartre)... ... resta che non c‟è Uomo senza Libertà, manifesta, esercitata o negata che sia, e che realmente la libertà è il massimo titolo di nobiltà di cui l‟uomo è dotato. E voi, vi sentite liberi? Liberi di, o liberi da? Liberi in senso assoluto, o illusoriamente liberi... o perfino condannati all‟assurdità della libertà? Riflettete. ―Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente!‖ Voltaire 57 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi BIBLIOGRAFIA ARISTOTELE, Etica Nicomachea. R. CARTESIO, Meditazioni metafisiche. R. CARTESIO, Cfr. Introduzione Discorso sul metodo. S. FREUD, Il disagio della civiltà. S. FREUD, L’Io e l’Es. G. W. F. HEGEL, Fenomenologia dello Spirito. G. F. W. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto. T. HOBBES, Della libertà e della necessità . E. KANT, Critica della ragion pratica. E. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi. E. KANT, Che cos’è l’Illuminismo? K. MARX, Tesi su Feuerbach. K. MARX, Manoscritti economici-filosofici . K. MARX, Manifesto del partito comunista. K. MARX, L’Ideologia tedesca. K. MARX, Il Capitale. K. MARX, La questione ebraica. F. W. NIETZSCHE, La nascita della tragedia. F. W. NIETZSCHE, Umano troppo umano. F. W. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra. F. W. NIETZSCHE, La gaia scienza. F. W. NIETZSCHE, Crepuscolo degli Idoli. J. J. ROUSSEAU, Il Contratto sociale. J. P. SARTRE, A porte chiuse. J. P. SARTRE, La nausea. J. P. SARTRE, Lettera all’Accademia svedese. J. P. SARTRE, La nausea. J. P. SARTRE, L’Esistenzialismo è un umanesimo. B. SPINOZA, Ethica more geometrico demonstrata. 58 XXIV Edizione – Olimpiadi della Filosofia La Libertà. Il problema filosofico. I.I.S. Campus “Leonardo da Vinci” – Umbertide Prof.ssa Elisa Vannocchi INDICE Organizzazione del Corso pag. 1 I – Prefazione. L‟etimologia del termine e la questione. pag. 2 II – ―Libertà di‖ e ―libertà da‖. pag. 3 1. LA RICERCA DELLE ORIGINI DEL CONCETTO FILOSOFICO DI LIBERTÀ pag. 5 1.a. Prime deboli impronte nella filosofia greca antica. pag. 5 1.b. La filosofia medievale e l‟impronta cristiana nel problema della libertà. pag. 7 1.c. Alcuni modelli della filosofia moderna. pag. 9 c.1. Il modello cartesiano. pag. 9 c.2. Il modello spinoziano. pag. 14 c.3. Il modello hobbesiano. pag. 18 c.4. Il modello kantiano. pag. 21 2. L‟EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI LIBERTÀ 2.a. Libertà e filosofia dell‟Ottocento. pag. 27 pag. 27 a.1. Il modello hegeliano. pag. 28 a.2. Maestri del sospetto – Introduzione. pag. 32 a.3. Maestri del sospetto – Il modello marxista. pag. 34 a.4. Maestri del sospetto – Il modello nietzscheano. pag. 38 a.5. Maestri del sospetto – Il modello freudiano. pag. 46 2.b. Libertà e filosofia del Novecento. L‟Esistenzialismo. b.1. Il modello sartriano. pag. 49 pag. 53 CONCLUSIONI (e riflessioni) pag. 57 BIBLIOGRAFIA pag. 58 INDICE pag. 59 59