Lavoro dignitoso, giustizia e globalizzazione equa

Lavoro dignitoso, giustizia
e globalizzazione equa
di Juan Somavia
Direttore generale
dell’Organizzazione
Internazionale
del Lavoro (ILO)
Siamo ancora alle prese con le ripercussioni della crisi finanziaria ed economica
sulla società e l’occupazione. A sua volta, quella crisi è stata la conseguenza di uno
squilibrio dell’economia globale, che ha garantito significativi progressi materiali e
tecnici ma ha lasciato indietro troppe persone. Prima della crisi, lo scenario era
quello di una crescita vigorosa, con un declino della povertà estrema ma una sempre più spiccata disparità di reddito. La crisi ha avuto origine nei Paesi sviluppati,
ma il suo impatto si è esteso ben al di là. A essere colpiti più duramente sono stati i
soggetti più innocenti: lavoratori e lavoratrici, famiglie e comunità locali, piccole e
medie imprese che creano la maggior parte dei posti di lavoro. Il mondo del lavoro
ha incassato un duro colpo, che si è sovrapposto a una crisi preesistente caratterizzata da una grave carenza di impieghi dignitosi.
La crisi impone un ripensamento dei vecchi modelli di crescita e la ricerca di approcci
nuovi che possano, in modo più efficace, rispondere in tutto il mondo alle aspirazioni
di uomini e donne a una vita dignitosa pur nei diversi contesti. Tornare al vecchio sistema come se nulla fosse accaduto non farà che inasprire i problemi preesistenti.
Quel che accadrà nel mondo del lavoro, e al mondo del lavoro, sarà cruciale.
L’impatto della crisi sul mondo del lavoro
Aumento della disoccupazione
Il Rapporto 2010 sul mondo del lavoro redatto dall’Organizzazione Internazionale
del Lavoro, intitolato World of Work Report 2010: from one crisis to the next? [Da
una crisi all’altra?] mostra che la ripresa nel mercato globale del lavoro è stata più
lenta rispetto alla ripresa economica. I disoccupati in tutto il mondo erano 205 milioni nel 2010, oltre 27 milioni in più rispetto a prima della crisi; e il 55 per cento
dell’aumento tra 2007 e 2010 si è verificato nelle economie sviluppate e nell’Unione europea.
Il futuro resta incerto. Il rapporto ILO Global Employment Trends 2011: The challenges for a jobs recovery [Tendenze globali dell’occupazione 2011: le sfide della ripresa dell’occupazione] evidenzia che la creazione di posti di lavoro nelle economie
avanzate resterà debole nel 2011. In queste economie, si prevede che l’occupazione
tornerà ai livelli pre-crisi solo nel 2015. Nel frattempo prosegue la recessione sul
mercato del lavoro, ed è sempre più difficile trovare un impiego. Per esempio, alla
fine del 2010, nei 35 Paesi per i quali esistono dati, quasi il 40 per cento delle persone in cerca di lavoro era disoccupato da più di un anno. In una situazione del ge-
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nere, c’è il rischio concreto che i disoccupati si demoralizzino, perdano l’autostima
e la voglia di lavorare.
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Diffusione di forme di impiego vulnerabili e informali
Nei Paesi emergenti e in via di sviluppo, le forme di occupazione vulnerabili e informali restano al di sopra dei livelli già elevati del pre-crisi. In quelle economie, è
probabile che l’occupazione tornerà ai livelli pre-crisi già entro la fine di quest’anno, ma sussistono gravi difficoltà in termini di deterioramento della qualità del
lavoro. In molti Paesi l’economia informale assorbe la maggioranza dei lavoratori.
Nel corso del 2009 e del 2010, nei Paesi in cui la crescita dell’occupazione è stata
positiva, si è trattato soprattutto di un aumento dell’occupazione part-time, e in
particolare del part-time involontario. Nei Paesi emergenti e in via di sviluppo, i
giovani tendono a reagire agli effetti negativi della mancata creazione di posti di
lavoro spostandosi nei circuiti del lavoro informale o in altre forme di impiego precario, che agiscono da stabilizzatori contro la perdita di reddito e occupazione.
Nella maggioranza di questi Paesi, i lavoratori dell’economia informale non godono
neppure di una protezione sociale di base. Quando una famiglia è sull’orlo della povertà, basta poco a scatenare una crisi: per esempio, i bambini rischiano di cadere
nel lavoro minorile se il reddito familiare non è sufficiente per mantenerli negli
studi; e spesso l’istruzione delle bambine è la prima rinuncia.
Un forte impatto sui giovani
L’impatto della disoccupazione sui giovani è stato particolarmente profondo, con
circa 78 milioni di disoccupati nella fascia d’età 15-24 nel 2010; e un tasso di disoccupazione al 12,6 per cento, ovvero 2,6 volte quello degli adulti. Di particolare
importanza è la transizione dalla scuola al primo impiego, quando i giovani entrano
nel mercato del lavoro in cerca di un’occupazione a tempo pieno. Anche prima
della crisi, nei Paesi sviluppati, la transizione dalla scuola al lavoro permanente richiedeva in media due anni. Ma in un mercato del lavoro debole i tempi di transizione si sono allungati, ed è aumentato il rischio che i giovani lavoratori vengano
estromessi completamente dal mercato. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro
per i giovani tra i 20 e i 24 anni è diminuito in circa due terzi dei Paesi per i quali
sono disponibili informazioni.
I dati relativi alle crisi precedenti mostrano che la disoccupazione giovanile persiste
a lungo anche dopo la ripresa economica; i Paesi che sono riusciti a ripristinare i livelli pre-crisi di disoccupazione giovanile hanno impiegato in media undici anni. Il
rischio di una generazione perduta porta con sé un costo elevato: una disoccupazione giovanile prolungata ha conseguenze deleterie per i giovani, per le società e
per lo sviluppo economico. L’esperienza dimostra che una carenza di opportunità
lavorative per i giovani, compresi quelli istruiti, può alimentare tensioni sociali.
Il costo umano della disoccupazione, per i giovani e per gli adulti, è ben noto: mancato guadagno, problemi di salute fisica e mentale, una ridotta aspettativa di vita. I
figli dei disoccupati hanno più probabilità di ricevere un’istruzione peggiore e un
reddito più basso in futuro.
Variazioni settoriali
Il lavoro è una realtà
multidimensionale ed
è al servizio di
obiettivi personali,
sociali ed economici.
È un elemento
cruciale per la dignità
umana e per la
stabilità di famiglie,
comunità e società.
Per soddisfare queste
molteplici esigenze, la
qualità del lavoro è
essenziale: deve
essere dignitoso.
Gli adeguamenti settoriali hanno influenzato la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo delle competenze. Nel 2010 la ripresa è stata incostante in tutti i settori economici. Un rapporto dell’ILO, basato su dati relativi a 13 settori in 51 Paesi
sviluppati e in via di sviluppo, ha evidenziato una perdita secca di posti di lavoro
nei settori dell’edilizia e della manifattura, una ripresa progressiva ma lenta nel
commercio all’ingrosso e al dettaglio, nei trasporti e stoccaggio e nelle comunicazioni. La precarietà rimaneva elevata nel settore dell’intermediazione finanziaria. Al
contempo, tuttavia, l’occupazione restava alta nell’istruzione e nell’amministrazione pubblica, e sono stati osservati aumenti nei servizi alberghieri e di ristorazione, nel settore di compravendita e locazione immobiliare e nel settore dei servizi
finanziari. Alla luce di fattori quali l’invecchiamento della popolazione, è aumentata inoltre la domanda in settori come la sanità e i servizi alla persona.
Tendenze salariali
Il Global Wage Report 2010/11 – Wage Policies in times of crisis [Rapporto mondiale
sui salari 2010/2011. Politiche salariali in tempo di crisi] dell’ILO evidenzia che la
crescita dei salari in tutto il mondo si è dimezzata nel 2008 e 2009. Sulla base di
dati raccolti in 115 Paesi, il rapporto indica che la crescita dei salari reali mensili
medi è rallentata, dal 2,8% del 2007 all’1,5% nel 2008 e all’1,6% nel 2009. Escludendo la Cina dall’aggregato, la crescita salariale globale crolla allo 0,8% nel 2008
e allo 0,7% nel 2009. Le variazioni regionali sono significative: per esempio, la crescita dei salari ha rallentato ma è rimasta positiva in Asia e America Latina, mentre
in regioni come l’Est europeo e l’Asia Centrale è crollata di netto. Nei due decenni
precedenti alla crisi, in 51 dei 73 Paesi per i quali erano disponibili dati, la quota
dei salari nel reddito totale era calata (World of Work Report 2008). A questo si è
associato un aumento della disparità di reddito, soprattutto nelle economie avanzate. Con la crisi, queste tendenze si sono intensificate.
Il ruolo della protezione sociale
In un contesto di disoccupazione e crescente disuguaglianza, il ruolo della protezione sociale è chiaro: anzitutto nella sua dimensione di tutela, ma anche perché
può aiutare le persone a riprendersi dalle difficoltà finanziarie e può contribuire a
sostenere la domanda. Se in alcuni Paesi l’attenzione al consolidamento fiscale rischia di produrre una contrazione della protezione sociale, altrove ci sono segnali
incoraggianti di un impegno per la sua espansione.
Un lavoro dignitoso
Il lavoro è una realtà multidimensionale – produzione, distribuzione, integrazione,
conferimento di potere e stabilità – ed è al servizio di obiettivi personali, sociali ed
economici. È un elemento cruciale per la dignità umana e per la stabilità di famiglie, comunità e società. Per soddisfare queste molteplici esigenze, la qualità del lavoro è essenziale: deve essere dignitoso.
L’obiettivo della dignità del lavoro – formulato dalla struttura tripartita dell’ILO,
composta da Governi, imprenditori e organizzazioni dei lavoratori – riunisce in un
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approccio integrato quattro obiettivi strategici: piena e produttiva occupazione e
sviluppo d’impresa, protezione sociale e dialogo sociale, con la parità di genere
come traguardo imprescindibile. Un lavoro dignitoso è anche un lavoro svolto in libertà: libertà dal lavoro minorile, libertà dalla discriminazione, libertà di organizzarsi e contrattare collettivamente.
L’idea del lavoro dignitoso esprime il mandato storico dell’ILO nell’era della globalizzazione, documentato nel 2008 nella Dichiarazione dell’ILO sulla giustizia sociale
per una globalizzazione giusta. Il concetto di lavoro dignitoso è stato sviluppato in
un periodo di accese proteste contro la globalizzazione, e rispondeva all’esigenza di
far funzionare meglio la globalizzazione per le persone.
Alla luce dell’importanza del lavoro nella vita dei singoli e per la sicurezza e stabilità delle società, la crisi globale dell’occupazione ha rappresentato una minaccia
non solo tecnica ma anche politica. In questo contesto, l’ILO ha presentato un programma d’azione concreto ed equilibrato, che è stato accolto favorevolmente e ha
trovato appoggio nel sistema multilaterale, a livello regionale e internazionale.
L’approccio del lavoro dignitoso ha messo in luce questioni di fondo che investono
la ricerca di una globalizzazione equa: tra gli altri, il ruolo della democrazia sul
posto di lavoro, il ruolo della struttura tripartita, delle rivendicazioni collettive e del
dialogo sociale come strumenti di pace e giustizia sociale, e il ruolo delle normative
internazionali sul lavoro come forma di tutela per i lavoratori. Tutto ciò si colloca in
un contesto produttivo in cui la promozione dell’imprenditoria è centrata sull’idea
di impresa sostenibile, che affianca la crescita dell’impresa e la creazione di posti di
lavoro a uno sviluppo sostenibile.
Creare lavoro dignitoso per tutti in un contesto di crescita forte, equilibrata e sostenibile è una delle grandi sfide del nostro tempo.
La strada per il futuro
Porre l’accento con forza sulla creazione di posti di lavoro e sulla protezione sociale
è un fattore cruciale della reazione alla crisi, e questo tema si è riflesso nel Patto
globale per l’occupazione su cui le tre parti costitutive dell’ILO hanno raggiunto un
accordo nel giugno 2009. Il Patto rappresentava una risposta integrata alla crisi
economica nell’ottica del lavoro dignitoso, e articolava una serie di strategie politiche che, se applicate, potevano contribuire a ridurre lo scarto temporale tra la ripresa economica e la ripresa del mercato del lavoro. Questo approccio si fonda
anche su principi e diritti fondamentali dei lavoratori e sul dialogo sociale.
L’approccio del lavoro dignitoso si basa sull’idea che un’economia – globale o nazionale – costruita a spese dell’umanità è un’economia fragile e insostenibile. Gli
squilibri economici, sociali e ambientali sono interconnessi e richiedono soluzioni
integrate.
Sono indispensabili politiche e azioni coerenti, oltre a un equilibrio fra i ruoli dello
Stato, dei mercati, della società e dell’individuo. In quest’ottica, servono l’immaginazione, la creatività e il coraggio di concepire nuove politiche più coerenti che
possano condurre a una crescita equa. In molti sensi la qualità del lavoro riflette la
qualità della società, e il lavoro dignitoso è la chiave di volta di una dimensione sociale forte, che promuova la crescita e la globalizzazione.
In questo contesto, cosa occorre fare?
In primo luogo, la creazione di posti di lavoro dev’essere un obiettivo esplicito delle
politiche macroeconomiche, insieme al controllo dell’inflazione e del bilancio fiscale. Non può essere considerata una ricaduta secondaria delle politiche implementate.
Occorre tutelare
i soggetti più
vulnerabili
mettendoli in
condizione di
emanciparsi dalla
povertà attraverso
il lavoro: di avere
accesso alle
competenze e alle
opportunità che li
aiutino a trovare un
impiego dignitoso.
In secondo luogo, le politiche centrate sul lavoro devono essere consolidate per ridurre il rischio di una crescente disoccupazione a lungo termine e di una diffusione
del lavoro informale. Sono rilevanti in questo senso politiche ben concepite per un
mercato del lavoro attivo, meccanismi di condivisione del lavoro e misure specifiche per sostenere i gruppi più vulnerabili, in particolare i giovani.
In terzo luogo, mentre persiste la disoccupazione e le competenze si erodono, è
sempre più arduo sviluppare e formare il capitale umano necessario per rispondere
alle mutate condizioni e alle nuove domande. Affinché aziende e individui possano
prosperare nell’era post-crisi, è necessario porre una rinnovata enfasi sullo sviluppo
delle competenze. È essenziale che si creino legami stretti tra i formatori professionali e il settore privato.
In quarto luogo, per affrontare gli squilibri che hanno condotto alla crisi, la domanda legata al reddito deve diventare il fondamento di una crescita sostenibile.
Un legame più stretto fra l’aumento dei redditi da lavoro e la produttività nei Paesi
in surplus condurrebbe a un calo della disoccupazione, sia nei Paesi in surplus che
in quelli in deficit. Le strategie orientate al reddito non si limitano a sostenere la
domanda aggregata, ma inoltre allargano i mercati domestici e creano nuove opportunità commerciali.
In quinto luogo, il sistema finanziario deve porsi al servizio dell’economia reale.
Deve stimolare investimenti e investitori in imprese piccole e medie che creano
posti di lavoro; nei settori a occupazione intensiva; e nei settori verdi che possano
creare lavori verdi dignitosi.
In sesto luogo, è necessario un rinnovato impegno per le donne, gli uomini e i bambini che vivono in povertà o in situazioni di vulnerabilità. È in aumento il numero di
lavoratori con impieghi vulnerabili – 1,5 miliardi – e sono in aumento i 630 milioni
di lavoratori poveri che insieme alle loro famiglie vivono con meno di 1,25 dollari al
giorno. Occorre tutelare i soggetti più vulnerabili mettendoli in condizione di
emanciparsi dalla povertà attraverso il lavoro: di avere accesso alle competenze e
alle opportunità che li aiutino a trovare un impiego dignitoso.
A questo scopo, l’ILO propone che ogni società si prefigga di garantire una protezione sociale fiscalmente sostenibile alle 8 persone su 10 che oggi nel mondo non
godono di alcun tipo di previdenza sociale; a iniziare dalla protezione sociale di
base per individui e famiglie, che consenta loro di perseguire nuove opportunità.
Nei Paesi meno sviluppati, quella soglia va raggiunta attraverso la cooperazione internazionale.
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Infine, va posta una maggiore attenzione al ruolo dei diritti fondamentali del lavoratore e del dialogo sociale come strumenti per incrementare la produttività e stimolare uno sviluppo equilibrato.
Conclusione
In ultima analisi, le persone giudicano la ripresa e la crescita sulla base delle condizioni che sperimentano nelle loro società e sulla base della qualità delle loro vite.
Quando uomini e donne hanno impieghi dignitosi, definiti in base a specificità nazionali, hanno più probabilità di pensare che le loro società lavorino per il loro
bene, e di convincersi dei vantaggi di un’economia globale. La dignità del lavoro è il
primo e più concreto indicatore di giustizia sociale e di una globalizzazione equa.
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In un mondo interconnesso, due principi basilari dell’ILO – “il lavoro non è una
merce», e «la povertà in qualsiasi luogo rappresenta una minaccia alla prosperità in
tutto il mondo» – forniscono una guida sicura per l’azione nazionale e internazionale in nuovi contesti, per una crescita sostenibile in cui trovino spazio legittimo la
solidarietà, la dignità, la libertà e la giustizia e il lavoro dignitoso.