Imposte sui trasferimenti immobiliari e strumenti urbanistici

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Ordine dei Dottori Commercialisti
e degli Esperti Contabili di Treviso
Imposte sui trasferimenti immobiliari
e strumenti urbanistici
A cura della
COMMISSIONE DI STUDIO DI DIRITTO TRIBUTARIO
NAZIONALE ED INTERNAZIONALE
1
2
Indice
Prefazione
pag.
5
Premessa
pag.
7
1.
Profilo giuridico degli “strumenti urbanistici”
secondo la normativa statale e della regione veneto
pag.
9
1.1.
Le competenze legislative ed amministrative
in materia urbanistico-edilizia. Cenni generali
pag.
9
1.2.
I principi fondamentali della legislazione statale.
La legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150
pag.
11
1.3.
I principi fondamentali della legislazione statale.
Il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia edilizia (d.P.R. 6 Giugno 2001, n. 380)
pag.
13
1.4.
La crisi degli strumenti autoritativi unilaterali
e lo sviluppo dell’urbanistica convenzionata
pag.
15
1.5.
La legislazione urbanistico-edilizia della regione veneto:
la legge 23 Aprile 2004 n. 11, Recante “norme
per il governo del territorio”
pag.
18
1.6.
Alcuni concetti giuridici in materia di procedimenti
amministrativo-urbanistici rilevanti ai fini della legislazione tributaria
pag.
21
2.
L’imposizione indiretta sui trasferimenti immobiliari
pag.
29
2.1.
Nozioni e principi generali: premessa
pag.
29
3
4
2.2.
Nozioni e principi generali:
l’imposizione indiretta sulle varie tipologie di immobili
pag.
32
2.3.
Nozioni e principi generali:
la permuta, il conferimento in società ed altre operazioni straordinarie
pag.
45
2.4.
Alcune normative speciali
pag.
47
3.
Imposte indirette e urbanistica:
esame di alcune problematiche operative ed applicative
pag.
59
3.1.
La nozione di area “fabbricabile” ai fini tributari:
evoluzione normativa e problemi irrisolti
pag.
59
3.2.
Le opere di urbanizzazione nell’”urbanistica convenzionata”:
definizioni, disciplina e problematiche applicative
pag.
68
3.3.
La ricomposizione urbanistica per il riequilibrio della capacità edificatoria
nei comparti o ambiti di intervento con più proprietari: il complesso
rapporto tra norme in materia civilistica, urbanistica e fiscale
pag.
75
3.4.
I piani particolareggiati e le imposte di registro, ipotecaria e catastale;
evoluzione normativa e stato attuale della disciplina
pag.
81
3.5.
Piani di recupero e agevolazioni in materia di imposta di registro:
il difficile rapporto tra la “statica” normativa speciale tributaria
e la “dinamica” normativa urbanistica
pag.
89
PREFAZIONE
Quello che presentiamo è il primo Quaderno di approfondimento frutto del lavoro
della Commissione di studio di diritto tributario nazionale ed internazionale dei dottori
commercialisti ed esperti contabili di Treviso.
E’ la prima tappa di un percorso che dovrebbe condurci a toccare altre tematiche
fiscali di particolare delicatezza o di elevato tecnicismo, senza mai dimenticare l’obiettivo
principale della nostra attività: quello di fornire in primis ai nostri colleghi, ma anche agli altri
operatori professionali, strumenti in grado di coniugare il rigore scientifico con l’attenzione
all’aspetto pratico derivante dall’esercizio quotidiano della professione.
Un ringraziamento speciale, per la realizzazione di questo primo Quaderno, va all’avv.
Marco Francescon, al dott. Gianfranco Lorenzon e al dott. Luca Girotto, fermo restando che
la responsabilità del suo contenuto e delle opinioni in esso espresse è dell’intera Commissione
di studio.
Vogliamo infine dedicare questo lavoro al collega dott. Paolo Spigariol, anch’egli
componente della Commissione, prematuramente scomparso lo scorso anno.
Treviso, lì 14 aprile 2009
Roberto Baggio
5
6
PREMESSA
Molte norme dell’ordinamento tributario hanno ad oggetto gli immobili, per di più con
carattere tipicamente evolutivo e di sistema; il legislatore fiscale d’altra parte ha da sempre
dedicato particolare attenzione a fabbricati e terreni, sia da un punto di vista statico–possessorio
(come “cespiti” idonei a produrre reddito), sia da un punto di vista dinamico-transattivo (come
oggetto di attività produttrici di ricchezza e/o di trasferimento della ricchezza stessa).
L’immobile in sé e per sé è un “agevole” indicatore di capacità economica, nonché
un evidente e storicamente radicato centro di interessi economici e non solo, privati e/o
pubblici; per questo non può che essere oggetto di articolate e complesse determinazioni
che coinvolgono più aspetti disciplinari: dalla politica ambientale di assetto del territorio,
all’incentivazione economica in senso lato, alla promozione e alla valorizzazione di politiche
sociali, per arrivare, da ultimo, ma non certo quale argomento di minor importanza, alla
relativa qualificazione come strumento di politica fiscale.
La traduzione in termini tecnico-operativi di tali e tante attenzioni è ben rappresentata
dalle variegate “regole” che hanno ad oggetto o che comunque riguardano il settore
immobiliare; regole comunemente “settoriali”, ma la cui valenza ed efficacia inevitabilmente
non può essere considerata a “compartimenti stagni”; l’assetto territoriale e ambientale non
può non considerare quello della sicurezza e della socialità, così come, per i fini che qui ci
interessano, le regole sullo jus aedificandi non possono non avere ripercussioni sulle regole
della fiscalità.
Corollario di tali riflessioni è l’acceso e pressoché ineguagliabile carattere di
“interdisciplinarietà strutturale” che le iniziative e le operazioni del settore immobiliare
presentano nella prassi e nell’operatività quotidiana. Un approfondimento tematico e sistemico
di tali generali argomentazioni ci porta ad individuare il focus del presente lavoro nei rapporti
di dipendenza ed interconnessione tra nozioni e regole di diritto amministrativo/urbanistico
da una parte e norme di diritto tributario dall’altra, con particolare riferimento alla fiscalità
indiretta; argomentazioni tematiche che notoriamente coinvolgono le competenze di soggetti
normalmente operanti su campi ed ambiti disciplinari molto diversi tra loro ed il cui coordinato
contributo, nella fattispecie, risulta il più delle volte determinante e decisivo non solo sotto
l’aspetto formale-giuridico, ma anche e soprattutto sotto un profilo sostanziale-economico.
7
In epoche temporali in cui le regole urbanistiche, nel distinguere nettamente le fasi
di pianificazione e di attuazione, lasciano sempre maggior spazio alle determinazioni ed
iniziative “convenzionali” tra enti ed operatori economici, assume determinante rilievo la
funzione di coordinamento e concertazione tra l’aspetto prettamente tecnico-progettuale ed
esecutivo (tipico delle professioni tecniche), quello giuridico-amministrativo (tipico della
professione forense), quello giuridico-tributario (tipico della professione commercialistica) e
quello giuridico-contrattuale formale (tipico della professione notarile).
Il presente lavoro trova quindi il suo spunto originario e la sua finalizzazione
proprio in tale quadro di interdisciplinarietà, intendendo fornire un contributo in termini
di riflessioni “giuridico–operative” su argomenti verso i quali l’approccio è molto spesso e
pregiudizialmente condizionato da un eccesso di “tecnicismo”.
Tali riflessioni partono dall’esame preliminare di alcuni concetti di base in materia sia
di diritto urbanistico che di diritto tributario, per poi coniugare ed utilizzare i relativi spunti
nella sintesi delle relative problematiche operative ed applicative oggetto dell’esperienza
professionale.
Nella prima parte vengono sinteticamente esaminati i profili giuridici degli strumenti
urbanistici ed edilizi statali e regionali del Veneto, con evidenza di alcuni riferimenti a principi
costituzionali e legislativi, nonché del processo di sviluppo verso gli istituti dell’”urbanistica
convenzionata”.
Nella seconda parte sono richiamati alcuni principi e riferimenti di base validi per la
definizione dell’imposizione indiretta nei trasferimenti immobiliari, con evidenza di alcune
riflessioni sulla normativa generale e su talune disposizioni “speciali” in materia.
La terza parte espone ed affronta alcune problematiche operative le cui soluzioni
richiedono riflessioni ed argomentazioni su tematiche e nozioni ad elevata caratterizzazione
“pluridisciplinare”.
8
1
PROFILO GIURIDICO DEGLI
“STRUMENTI URBANISTICI”
SECONDO LA NORMATIVA STATALE
E DELLA REGIONE VENETO
1.1.Le competenze legislative ed amministrative in materia urbanistico-edilizia.
Cenni generali.
A seguito delle recenti modifiche apportate all’art. 117 della Costituzione1 l’urbanistica rientra
nel novero delle materie per le quali sussiste la competenza legislativa concorrente StatoRegioni2, che assegna alle Regioni la potestà normativa, salva la riserva alla legislazione
statale relativamente alla determinazione dei principi fondamentali. In realtà, la materia
urbanistica non appare più nel testo dell’art. 117 Cost., il quale adotta, invece, nell’ambito
dell’elenco contenente le materie devolute alla legislazione concorrente Stato-Regioni, il
termine più ampio di “governo del territorio”, idoneo a rendersi capiente, oltre che della
materia stricto sensu urbanistica, anche di quella edilizia3.
1 Completamente sostituito dall’art. 3 L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3 (vedasi anche le disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento alla predetta legge costituzionale contenute nella legge 5 giugno 2003 n. 131).
2 L’art. 117 Cost. disciplina un criterio di distribuzione che prevede tre diversi ambiti di materie: a) quello
della legislazione statale esclusiva (art. 117, comma 2); b) quello della legislazione concorrente (art. 117, comma
3), nell’ambito del quale spetta alle Regioni la potestà normativa, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione delle Stato; c) quello, generale, della competenza legislativa regionale
(art. 117, comma 4), che opera per ogni materia non espressamente riservata allo Stato e per il quale valgono,
in base al comma 1, i soli limiti derivanti dalla Costituzione, dall’ordinamento comunitario e dagli impegni
internazionali.
3 La giurisprudenza della Corte Costituzionale successiva alla riforma dell’art. 117 Cost. è chiara sul punto.
V. ad es. C.Cost., 19 dicembre 2003, n. 362: “anche l’ambito di materia costituito dall’edilizia va ricondotto
al «governo del territorio». Del resto la formula adoperata dal legislatore della revisione costituzionale del
2001 riecheggia significativamente quelle con le quali, nella più recente evoluzione della legislazione ordinaria,
l’urbanistica e l’edilizia sono state considerate unitariamente (v. art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 80, Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche,
di giurisdizione sulle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, modificato dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, Disposizioni
in materia di giustizia amministrativa)”. Più problematico, invece, è il rapporto con la materia della “tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, inserita tra le competenze legislative statali esclusive di
cui al secondo comma dell’art. 117 Cost., lett. s). La Corte Costituzionale, a questo riguardo, ha avuto modo di
precisare con la sentenza 26 luglio 2002, n. 407, che “non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma
dell’art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come “materie” in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta
più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (cfr. sentenza n.
282 del 2002). In questo senso l’evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere
9
Quanto alle funzioni amministrative, che si possono suddividere in programmatorie e
di disciplina generale da un lato e di autorizzazione, controllo e sanzionatorie dall’altro,
esse risultano per la maggior parte assegnate ai Comuni, ai quali spettano sia le scelte di
pianificazione urbanistico-edilizia più importanti (ad esempio: la redazione del piano
regolatore generale, l’approvazione del regolamento edilizio e delle norme tecniche di
attuazione dei piani), sia l’attività di controllo specifico sulle attività edilizie (ad esempio:
il rilascio dei titoli abilitanti)4. Le Province normalmente svolgono compiti di pianificazione
intermedia (ad esempio: il piano territoriale di coordinamento provinciale) o di delega
regionale (ad esempio: approvazione in luogo della Regione dei piani comunali), mentre alle
Regioni sono assegnate funzioni di indirizzo della programmazione (ad esempio: il piano
territoriale regionale) e di controllo sulla pianificazione locale, oltreché di identificazione
delle esigenze di localizzazione delle infrastrutture di rilievo ed interesse regionale. Il titolo III
del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 53 e segg., infine, individua i compiti amministrativi
riservati allo Stato in materia di “territorio ambiente e infrastrutture”, compiti che si limitano
sostanzialmente, nella specifica materia che ci interessa (v. capo II: “territorio e urbanistica”),
alle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale (art. 52), con particolare incisività
di intervento nella delicata materia dell’edilizia residenziale pubblica (art. 59) ed alla
localizzazione delle opere di interesse statale (art. 55).
che possa identificarsi una “materia” in senso tecnico, qualificabile come “tutela dell’ambiente”, dal momento
che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché,
al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla
giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare
una configurazione dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una
sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere
regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme
sull’intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del
1998)”.
4 L’art. 118 Cost. prevede infatti che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per
assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.
10
1.2.
I principi fondamentali della legislazione statale. La legge urbanistica 17 agosto
1942 n. 1150.
Alla luce della normativa cui si è fatto sopra breve cenno, attualmente la disciplina dei
piani urbanistici e degli strumenti abilitativi all’edificazione, oggetto di riparto concorrente
Stato-Regione, seppur si deve mantenere rispettosa dei principi fondamentali posti dalla
legislazione statale (legge 17 agosto 1942, n. 1150, in materia urbanistica e D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380, in materia edilizia), presenta un florilegio di tipi, contenuti ed effetti estremamente
variegati e differenziati regione per regione.
Prima di esaminare la normativa della Regione Veneto è pertanto opportuno premettere
un breve panorama riguardante la legge urbanistica statale 1942 ed il più recente Testo Unico
delle disposizioni in materia edilizia del 2001.
La legge 1150/1942 individua tre livelli di pianificazione, strutturati in un sistema
di tipo gerarchico, ove le previsioni del livello più alto si impongono al piano del livello
inferiore. Al vertice del sistema sta il piano territoriale di coordinamento (artt. 5 e 6), con il
quale la Regione ha la facoltà di orientare e coordinare l’attività urbanistica da svolgere in
determinate parti del territorio, con particolare riferimento alle zone da riservare a speciali
destinazioni o da sottoporre a vincoli speciali, alle località da scegliere come sedi di nuovi
nuclei edilizi, alla rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie, eccetera.
Ovviamente, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni
del 19725, lo Stato si è riservato la più generale “funzione di indirizzo e coordinamento delle
attività amministrative delle Regioni a statuto ordinario che attengono ad esigenze di carattere
unitario”6.
Ad un livello immediatamente inferiore si posiziona il piano regolatore generale (artt.
7 e segg. della legge 1150/1942), che deve considerare la totalità del territorio comunale e che
5 Originariamente la competenza per il piano territoriale di coordinamento era del Governo statale (Ministero
dei Lavori Pubblici, su parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici), mentre ora essa è radicata nelle Regioni
a seguito dell’art. 1, comma 2, lett. a) del D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, recante “Trasferimento alle Regioni a
statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori
pubblici di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici”.
6 Art. 9, D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8. Prosegue la norma, al comma sesto, precisando che detta funzione
di indirizzo e coordinamento “si esercita al fine di assicurare anche unitarietà e coordinamento all’attività di
pianificazione urbanistica ai vari livelli di circoscrizione territoriale. In particolare, mediante l’esercizio della
suddetta funzione, su proposta del Ministro per i lavori pubblici: 1) sono identificate le linee fondamentali
dall’assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento alla articolazione territoriale degli interventi
statali o di rilevanza nazionale, alla tutela paesistica, ambientale ed ecologica del territorio ed alla difesa
e conservazione del suolo; viene verificata periodicamente la coerenza di tali linee con gli obiettivi della
programmazione economica nazionale; 2) sono definiti gli aspetti metodologici e procedurali da osservare nella
formazione dei piani territoriali regionali nonché gli standard urbanistici ed edilizi, quali minimi o massimi
inderogabili da osservare ai fini della formazione dei piani urbanistici”.
11
viene redatto dal Comune ed approvato dalla Regione7 o, ove sia previsto, dalla Provincia su
delega. Esso, tra l’altro, deve prevedere la suddivisione in zone del territorio comunale, con
indicazione dei vincoli e dei caratteri di ogni zona, con particolare riguardo all’individuazione
delle aree destinate agli spazi di uso pubblico ed agli edifici pubblici ed ai vincoli da osservare
nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico8.
Ad un livello ancor più basso si situano i piani regolatori particolareggiati (artt. 13
e segg. della legge 1150/1942), la cui funzione è quella di cernierare il piano regolatore
generale con il singolo provvedimento amministrativo contenente la specifica abilitazione
ad edificare, prevedendo disposizioni di dettaglio concernenti le reti stradali, i principali dati
altimetrici, le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze, gli
spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico, gli edifici destinati a demolizione o
ricostruzione, ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia, eccetera. La particolare rigidità
dei piani particolareggiati9 ne ha decretato la progressiva sostituzione nella pratica con altri
strumenti attuativi del piano regolatore generale, di cui si dirà.
7 Anche qui l’originaria competenza statale è stata trasferita alle Regioni (vedasi art. 1, comma 2, lett. d,
D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8).
8 Non va tralasciata menzione sia dei piani regolatori generali intercomunali, che vengono redatti da due o
più Comuni contermini nel caso in cui, per le caratteristiche di sviluppo degli aggregati edilizi degli enti locali
medesimi, si riconosca opportuno il coordinamento delle direttive riguardanti l’assetto urbanistico dei Comuni
stessi (art. 12 legge 1150/1942), sia dei programmi di fabbricazione, che i Comuni sprovvisti di piano regolatore
debbono inserire nel loro regolamento edilizio e che contiene l’indicazione dei limiti di ciascuna zona, secondo le
delimitazioni in atto o da adottarsi, nonché la precisazione dei tipi edilizi propri di ciascuna zona, con possibilità
di indicare le eventuali direttrici di espansione (art. 34 legge 1150/1942).
9 L’art. 17 della legge 1150/1942 prevede, infatti, che decorso il termine stabilito per l’esecuzione del
piano particolareggiato questo diventi inefficace per la parte che non abbia avuto esecuzione, ma al contempo
dispone che rimane fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella
modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso.
12
1.3.
I principi fondamentali della legislazione statale. Il Testo Unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).
Anche la materia dell’edilizia, come si è visto, possiede la sua legge statale contenente
i principi fondamentali ai quali deve attenersi la legislazione regionale ex art. 117 Cost.,
rappresentata dal Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
(D.P.R. 380/2001).
In particolare, e limitata l’indagine all’attività edilizia privata10, il T.U. prevede
anzitutto alcune attività edilizie “libere” in quanto eseguibili senza titolo abilitativo (e salva
la eventuale normativa più restrittiva delle Regioni e dei piani). Essi sono gli interventi di
manutenzione ordinaria, gli interventi volti all’eliminazione delle barriere architettoniche
che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti
che alterino la sagoma dell’edificio, nonché le opere temporanee per attività di ricerca nel
sottosuolo che abbiano carattere geognostico o siano eseguite in aree esterne al centro abitato
(art. 6 D.P.R. 380/2001).
Gli artt. 10 e segg. disciplinano il primo titolo abilitativo previsto dal Testo Unico,
denominato “permesso di costruire”, subordinando ad esso gli interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia rappresentati dagli interventi di: a) nuova costruzione; b) ristrutturazione
urbanistica; c) ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche
del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli
immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.
Di particolare importanza è la norma di cui all’art. 16, D.P.R. 380/2001, ove si prevede che,
salve le eccezioni previste11, il rilascio del permesso a costruire comporta la corresponsione
di un contributo determinato con delibera del consiglio comunale, commisurato all’incidenza
degli oneri di urbanizzazione12 ed al costo di costruzione, secondo modalità dettagliatamente
10 L’art. 7, D.P.R. 380/2001, prevede, infatti, l’inapplicabilità della norme in esso contenute alle opere ed
interventi delle Pubbliche Amministrazioni, il cui iter per la verifica di conformità agli strumenti urbanistici
segue le strade delle procedure d’intesa tra le amministrazioni interessate.
11 Dall’art. 17, comma terzo, il quale esenta dal pagamento del contributo di costruzione, tra gli altri, gli
interventi da realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo, quelli di ristrutturazione ed
ampliamento in misura non superiore al 20% di edifici unifamiliari, le opere di urbanizzazione eseguite da privati
in attuazione di strumenti urbanistici, i nuovi impianti relativi alle fonti rinnovabili di energia, eccetera.
12 Si distinguono gli oneri di urbanizzazione primaria (relativi ai seguenti interventi: strade residenziali,
spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas,
pubblica illuminazione e spazi di verde attrezzato, cavedi multiservizi e cavidotti per il passaggio di reti di
telecomunicazioni: art. 16, commi 7 e 7 bis) e quelli di urbanizzazione secondaria (relativi ai seguenti interventi:
asili nido e scuole materne, scuole dell’obbligo, nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo,
mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi
13
indicate dalla norma medesima.
Il secondo titolo abilitativo è rappresentato dalla “denuncia di inizio attività” (cd.
“DIA”: artt. 22 e segg., D.P.R. 380/2001), frutto di una scelta legislativa di semplificazione
e parziale liberalizzazione degli interventi edilizi minori, che sono così abilitati senza un
preventivo ed espresso provvedimento amministrativo di assenso. L’intervento edilizio
è infatti consentito all’esito di un procedimento che origina con la presentazione da parte
dell’interessato della DIA (corredata da una relazione con la quale un progettista abilitato
assevera la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti
edilizi vigenti, oltre che alle norme di sicurezza e a quelle igienico-sanitarie) almeno trenta
giorni prima dell’effettivo inizio dell’intervento medesimo e che termina con il silenzioaccoglimento serbato dalla Pubblica Amministrazione, la quale ha la possibilità, entro questo
termine, di ordinare la non effettuazione dell’intervento nel caso in cui sia riscontrata l’assenza
di una o più delle condizioni stabilite (art. 23). In particolare, gli interventi soggetti alla
disciplina della DIA sono individuati attraverso un criterio residuale, essendo rappresentati
da quegli interventi che non sono riconducibili all’elenco degli interventi di edilizia “libera”
di cui all’art. 6 ed a quello degli interventi subordinati al rilascio del permesso a costruire di
cui all’art. 10, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente13.
La legge, infine, prevede (art. 22, comma 4) che le Regioni possano legislativamente
ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle procedura abilitativa della DIA.
di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie: art. 16, comma 8). Per le costruzioni o gli impianti
destinati ad attività industriali o artigianali, il contributo è commisurato all’incidenza, oltre che delle opere di
urbanizzazione, anche di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e
di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche (art. 19).
13 Sono soggetti al regime della “DIA” anche le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri
urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la
sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso a costruire. La legge, peraltro,
consente che, in alternativa al permesso a costruire, possano essere realizzati con la procedura della “DIA”
anche gli interventi di ristrutturazione di cui alla lett. c) del regime del permesso a costruire (vedasi sopra), gli
interventi di nuova costruzione o ristrutturazione urbanistica che siano disciplinati da piani attuativi comunque
denominati e gli interventi di nuova costruzione che siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici recanti
precise disposizioni plano-volumetriche (art. 22, comma terzo).
14
1.4.La crisi degli strumenti autoritativi unilaterali e lo sviluppo dell’urbanistica
convenzionata.
La legge urbanistica è del 1942 e pertanto essa, figlia della sua epoca, è segnata
da un modello legislativo caratterizzato da una forte dominanza del dirigismo e del potere
amministrativo sulla proprietà.
Ciò nondimeno, essa già prevedeva una prima forma di partecipazione dei privati,
consistente nell’istituto “dei piani di lottizzazione” (art. 28, legge 1150/1942), il cui
significato nell’impianto originario della legge assumeva la limitata portata di “operazione
di frazionamento di un terreno preordinata ad agevolarne l’utilizzazione a scopo edilizio” 14.
Una più idonea disciplina della materia è stata introdotta dall’art. 8 della legge 6 agosto 1967,
n. 765 (c.d. “legge ponte”) che ha modificato l’art. 28 della legge n. 1150/1942, il quale ora
prevede che nei Comuni forniti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione
e fino a quando non sia stato approvato il piano particolareggiato, la lottizzazione di terreni
a scopo edilizio può essere autorizzata dai Comuni stessi subordinatamente alla stipula di
una “convenzione di lottizzazione” con il privato che preveda, tra l’altro, la cessione gratuita
al Comune delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e
l’assunzione degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte di
quelli relativi alle opere di urbanizzazione secondaria15.
Il piano di lottizzazione si configura pertanto, in questo assetto normativo, come uno
strumento urbanistico di pari grado rispetto al piano particolareggiato e ad esso alternativo,
nel senso che assolve alla medesima funzione attuativa del piano regolatore generale o del
programma di fabbricazione.
Accanto ad ulteriori strumenti urbanistici di stampo unilaterale-autoritativo, introdotti
soprattutto in ambiti particolarmente delicati sotto il profilo sociale e, come tali, ritenuti di
competenza esclusivamente pubblica (è il caso ad esempio dei piani per l’edilizia economica
e popolare – PEEP – introdotti e disciplinati dalla legge 18 aprile 1962, n. 167), veniva così ad
assumere sempre più fortuna il filone parallelo dei piani di lottizzazione e, in un secondo momento,
degli altri strumenti basati sulla partecipazione del privato nell’attività della pianificazione
14 Cass. Pen., sez. III, 12 ottobre 2005, n. 36940. La legge 1150/1942, dopo aver previsto che i piani
particolareggiati di esecuzione del piano regolatore generale dovessero determinare “la suddivisione degli isolati
in lotti fabbricabili” secondo la tipologia indicata nei piani medesimi (art. 13), disponeva che il Sindaco avesse la
facoltà di invitare i proprietari di aree fabbricabili esistenti nei singoli isolati, che non fossero stati già lottizzati
nello stesso piano particolareggiato, a presentare entro un congruo termine un progetto di lottizzazione, tra loro
concordato, che assicurasse la razionale utilizzazione delle aree. Il progetto veniva approvato dal Comune, che
poteva anche apportarvi modifiche e che provvedeva d’ufficio in caso di inerzia degli intimati.
15 L’assunzione, da parte del proprietario del fondo, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e
di una quota parte di quelle di urbanizzazione secondaria (cui è subordinata l’autorizzazione per la lottizzazione)
costituisce, per giurisprudenza costante, una obbligazione propter rem nei rapporti tra comune e soggetto
proprietario dell’area; vedasi Cass. Civ., Sez. III, n. 11196 del 15 maggio 2007.
15
urbanistica a livello attuativo che il legislatore iniziava con molta fatica a disciplinare, come i
“piani di recupero” di cui agli artt. 27 e segg. della legge 5 agosto 1978, n. 457, recante norme
per l’edilizia residenziale, ovvero i “programmi integrati” disciplinati dall’art. 16 della legge 17
febbraio 1992, n. 179, sull’edilizia residenziale pubblica.
Per quanto riguarda i “piani di recupero”, essi rappresentano lo strumento attuativo alla cui
adozione il Comune subordina il rilascio del permesso a costruire in quelle zone, individuate dal
Comune stesso nell’ambito degli strumenti urbanistici generali, ove, per le condizioni di degrado,
si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente (che può consistere
in singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature)
mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore
utilizzazione del patrimonio stesso (art. 27 legge 457/1978)16. Il coinvolgimento dei privati deriva
dal fatto che l’iniziativa per l’adozione e la definizione dei concreti contenuti del piano, oltre che
al Comune stesso, è riconosciuta anche ai privati proprietari di immobili e di aree compresi nelle
zone di recupero e rappresentanti almeno i tre quarti del valore degli immobili stessi (art. 30), i
quali possono, per l’appunto, sottoporre all’approvazione del Comune le relative proposte.
Anche i “programmi integrati”, finalizzati alla riqualificazione del tessuto urbanistico,
edilizio ed ambientale e che sono caratterizzati dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla
integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una
dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori
e risorse finanziarie pubbliche e private, possono essere presentati da soggetti pubblici e privati,
singolarmente o riuniti in consorzio o associati fra di loro (art. 16 legge 179/1992).
Questa prassi, che ha trovato adeguato terreno di sviluppo nelle esperienze legislative
ed amministrative poste in essere dalle Regioni (vedasi sopra) e che si è nutrita della crisi
della pratica dello “zoning” urbanistico, caratterizzato da eccessiva generalità di previsioni
e da numerosi profili di rigidità degli strumenti autoritativi, ha determinato la necessità di
superare la tradizionale impostazione fondata sulla zonizzazione e di elaborare nuovi sistemi
di pianificazione.
Sin dal 199517 alcune Regioni hanno pertanto costruito un diverso sistema di
pianificazione comunale, caratterizzato non più dalla presenza di un unico piano regolatore
generale, ma da uno sdoppiamento del vecchio piano in un “piano strutturale” ed un “piano
operativo”. Nel primo sono contenuti gli indirizzi generali di sviluppo del territorio, disegnate
16 L’art. 31 della legge 457/1978 definisce con precisione cosa debba intendersi per: a) interventi di
manutenzione ordinaria; b) interventi di manutenzione straordinaria; c) interventi di restauro e risanamento
conservativo; d) interventi di ristrutturazione edilizia; e) interventi di ristrutturazione urbanistica. Secondo il Cons.
Stato, sentenza n. 922 del 5 marzo 2008, “sotto il profilo giuridico, il piano di recupero si deve considerare uno
strumento urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche primarie contenute nel piano regolatore
generale ed è quindi equivalente al piano particolareggiato (dal quale si differenzia in quanto finalizzato più
che alla complessiva trasformazione del territorio, al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente
con interventi rivolti alla conservazione, ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso); ne
consegue che in sede di sua modifica non possono essere introdotti vincoli nuovi ed ulteriori rispetto a quelli
esistenti nello strumento urbanistico generale in vigore, neppure nell’ipotesi in cui tale modifica trovi la sua
giustificazione in una richiesta del privato.
17 La Regione Toscana fece da battistrada con la legge regionale n. 5 del 16 gennaio 1995, poi seguita da Umbria,
Liguria, Basilicata, e così via. La scissione del vecchio piano regolatore generale in due piani, uno strutturale
ed uno operativo, è contenuta anche nelle proposte di legge pendenti in Parlamento per la determinazione dei
principi fondamentali in materia di governo del territorio.
16
alcune limitate aree di rispetto assoluto e posta una disciplina minima per tutto il territorio
comunale; lo scopo del secondo è invece quello di dettare la disciplina sostanziale nell’ambito
e nel rispetto degli indirizzi del piano strutturale, facendo abbondante ricorso ai meccanismi
di accordo con i privati.
In tal modo questi ultimi non partecipano più solamente alla formazione di un piano di
lottizzazione che deve risultare rigidamente conforme alla disciplina autoritativamente posta
dalla Pubblica Amministrazione nel piano regolatore generale, ma contribuiscono ad elaborare la
specifica disciplina sostanziale volta per volta attinente al recupero di una porzione di centro storico
piuttosto che alla trasformazione di un quartiere di periferia, negoziando con il Comune svariati
elementi sostanziali, ovviamente nel rispetto del piano strutturale, quale ad esempio il rapporto tra
le diverse funzioni (es. residenziale-uffici) che l’area da edificare è destinata a recepire.
17
1.5. La legislazione urbanistico-edilizia della Regione Veneto: la legge 23 aprile 2004
n. 11, recante “norme per il governo del territorio”.
Come si è fatto cenno, il criterio della legislazione concorrente Stato-Regione fa sì
che la materia urbanistico-edilizia sia sostanzialmente diversa da Regione a Regione, salvi
ovviamente i principi fondamentali.
Il diritto urbanistico-edilizio del Veneto è contenuto nella legge n. 11 del 23 aprile
2004, ove trovano sede le precedenti esperienze legislative elaborate da altre Regioni e le
ultime tendenze in materia.
Anche in precedenza la Regione Veneto aveva dimostrato interesse legislativo nei
confronti della partecipazione del privato nei procedimenti di formazione di alcuni strumenti
urbanistici di livello attuativo, ad esempio provvedendo ad attuare ed integrare la disciplina
statale inerente i programmi integrati di cui all’art. 16 legge 179/1992 attraverso la legge
regionale 1° giugno 1999, n. 23, sui “programmi integrati di riqualificazione urbanistica,
edilizia ed ambientale (PIRUEA)”. La normativa regionale sui PIRUEA, che sono attualmente
superati, come si vedrà, dai nuovi strumenti attuativi introdotti dalla legge regionale 11/2004,
continua ad applicarsi ai programmi adottati entro il 28 febbraio 200518.
In particolare, accanto ai tradizionali livelli di pianificazione regionale (PTRC:
piano territoriale regionale di coordinamento)19 e provinciale (PTCP: piano territoriale di
coordinamento provinciale)20, viene compiutamente disciplinato il livello comunale, ove il
piano regolatore generale si sdoppia per l’appunto in disposizioni strutturali, contenute nel
18 La legge regionale 23/1999 è stata abrogata dalla lett. h), comma 1, dell’ art. 49 della legge regionale 11/2004,
con decorrenza dall’adozione da parte della Giunta regionale e pubblicazione nel BUR dei provvedimenti previsti
dall’art. 50, comma 1, della medesima legge regionale; detti provvedimenti sono stati adottati con un’unica
deliberazione della Giunta regionale n. 3178/2004 pubblicata nel BUR n. 105 del 22 ottobre 2004. L’applicazione
della legge é stata comunque prorogata grazie alle modifiche introdotte ai suoi artt. 48 e 49 dagli articoli 1 e 2
della legge regionale 21 ottobre 2004, n. 20, per tutte le fattispecie ivi previste. In particolare, la legge è rimasta
applicabile ai PIRUEA adottati entro il 28 febbraio 2005, per i quali il termine di trasmissione alla Regione è
stato fissato al 30 giugno 2006.
19 Esso “indica gli obiettivi e le linee principali di organizzazione e di assetto del territorio regionale, nonché le
strategie e le azioni volte alla loro realizzazione”, indicando in particolare le zone e i beni da destinare a particolare
tutela per ragioni naturali, storiche e monumentali, i criteri per la conservazione del beni culturali, architettonici
e archeologici, il sistema delle aree naturali protette di interesse regionale, i criteri per l’individuazione delle aree
per insediamenti industriali, artigianali, delle grandi strutture di vendita e turistico-ricettivi (art. 24).
20 Il quale “delinea gli obiettivi e gli elementi fondamentali dell’assetto del territorio provinciale in coerenza
con gli indirizzi per lo sviluppo socio-economico provinciale, con riguardo alle prevalenti vocazioni, alle sue
caratteristiche geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche, paesaggistiche ed ambientali” e si occupa di
numerosi aspetti, tra i quali, oltre all’indicazione ed alla tutela delle aree agro-forestali e naturali di rilevanza
provinciale, vanno menzionati la perimetrazione dei centri storici e l’individuazione dei Comuni con popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti che possono dotarsi dello strumento urbanistico comunale in forma semplificata (art.
22).
18
piano di assetto del territorio (PAT), ed in disposizioni operative, contenute nel piano degli
interventi (PI).
Il PAT è “lo strumento di pianificazione che delinea le scelte strategiche di assetto e
di sviluppo per il governo del territorio comunale, individuando le specifiche vocazioni e le
invarianti di natura geologica, geomorfologica, idrogeologica, paesaggistica, ambientale,
storico-monumentale e architettonica, in conformità agli obiettivi ed indirizzi espressi nella
pianificazione territoriale di livello superiore ed alle esigenze della comunità locale”21. In
altri termini, il PAT, redatto sulla base di previsioni decennali, conforma alle sue indicazioni il
territorio comunale, ma non la proprietà privata dei suoli, nel senso che esso non produce effetti
immediati sul regime giuridico degli stessi; esso è uno strumento di natura programmatica che
contiene una sorta di piano delle idee e degli scenari e che prefigura la forma urbis auspicata
dagli organi che lo redigono e lo approvano22.
Il PI, che si coordina tra l’altro con il programma triennale delle opere pubbliche,
è invece “lo strumento urbanistico che, in coerenza e in attuazione del PAT, individua e
disciplina gli interventi di tutela e valorizzazione, di organizzazione e di trasformazione
del territorio programmando in modo contestuale la realizzazione di tali interventi, il loro
completamento, i servizi connessi e le infrastrutture per la mobilità”23.
Il PI, che quindi conforma la proprietà dei suoli producendo diretti effetti giuridici su
di essa, viene attuato o attraverso interventi diretti o per mezzo di piani urbanistici attuativi
(PUA) (art. 17, comma 1).
Il PUA è adottato dalla giunta comunale e definisce l’organizzazione urbanistica,
infrastrutturale ed architettonica di un insediamento. Esso può essere d’iniziativa pubblica
o privata24, oppure congiuntamente di iniziativa pubblica e privata (art.19). Esso assorbe
21 Art. 12, comma 2, legge Reg. Veneto n. 11/2004. In particolare, l’art. 13 codifica e definisce gli svariati
contenuti del PAT. La legge introduce e disciplina anche il piano di assetto del territorio intercomunale (PATI)
quale strumento di pianificazione finalizzato al coordinamento fra più comuni che può disciplinare in tutto o in
parte il territorio di comuni interessati o affrontare singoli tematismi (art. 16).
22 La rilevanza programmatoria e non esecutivo-giuridica del PAT è alla base di una delle tante problematiche
di “coordinamento” con la nozione tributaria di area edificabile; vedasi i successivi paragrafi 1.6 e 3.1.
23 Art. 12, comma 3, legge Reg. Veneto n. 11/2004. L’art. 17 disciplina i contenuti del PI, tra i quali vanno
annoverati la zonizzazione, l’individuazione delle aree in cui gli interventi sono subordinati alla predisposizione
di PUA o di comparti urbanistici (vedasi infra), l’individuazione delle unità minime di intervento, le destinazioni
d’uso e gli indici edilizi, la definizione le modalità di intervento sul patrimonio edilizio esistente da salvaguardare
e per l’attuazione degli interventi di trasformazione e di conservazione, eccetera.
24 Nel qual caso esso è redatto e presentato dagli aventi diritto che rappresentino almeno il 51% del valore
degli immobili ricompresi nel suo ambito, in base al relativo imponibile catastale, e che comunque rappresentino
almeno il 75% delle aree inserite nell’ambito medesimo: art. 20, comma 6, legge reg. 11/2004.
19
sostanzialmente tutti i numerosi strumenti attuativi previsti dalla precedente legislazione
statale e regionale, assumendo i contenuti e gli effetti dei piani particolareggiati e dei piani
di lottizzazione (legge 1150/1942), dei PEEP (legge 167/1962), dei piani di recupero (legge
457/1978), dei programmi integrati (legge 179/1992) e di altri. I PUA possono essere attuati
anche mediante un comparto urbanistico, definito dall’art. 21 legge reg. 11/2004 come
l’insieme degli immobili da trasformare appartenenti a più proprietari o soggetti aventi titolo
ad edificare e costituenti una unità minima di intervento e per la realizzazione del quale la
legge prevede la costituzione di un consorzio tra i soggetti interessati25 per la presentazione di
un unico titolo abilitativo, previa stipula di una apposita convenzione.
25 20
Nella misura di cui alla nota che precede.
1.6. Alcuni concetti giuridici in materia di procedimenti amministrativo-urbanistici
rilevanti ai fini della legislazione tributaria.
Effettuata una breve disamina della legislazione statale e regionale in materia
urbanistico-edilizia, è opportuno ora procedere all’esame di alcuni concetti giuridici che si
manifestano nell’ambito dei procedimenti amministrativo-urbanistici sopra descritti e che
presentano importanti punti di contatto con la disciplina fiscale. Ciò consente di fornire al
tributarista gli indispensabili supporti logico-cognitivi finalizzati ad una corretta interpretazione
ed applicazione della normativa impositiva in subiecta materia.
Il concetto di adozione dello strumento urbanistico generale.
In relazione all’art. 36, comma 2, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella
Legge 4 agosto 2006, n. 248 (secondo cui “…un’area è da considerare fabbricabile se
utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal
Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti
attuativi del medesimo”)26, devesi porre particolare attenzione al concetto di “adozione dello
strumento urbanistico generale” del Comune, quale momento che segna la qualificabilità di
un’area come fabbricabile ai fini tributari, ed alla sua differenziazione dal diverso concetto
di “approvazione della Regione”, che invece costituisce il momento perfezionativo del
procedimento amministrativo del piano stesso e ne determina la vigenza.
La normativa nazionale al riguardo è contenuta negli artt. 8, 9 e 10 della L. 17 agosto
1942, n. 1150, che disciplinano rispettivamente la “formazione del piano regolatore generale”,
la “pubblicazione del progetto di piano generale” e la “approvazione del piano regolatore”.
In particolare, la fattispecie dell’adozione del piano si articola nei seguenti momenti: a)
delibera del Consiglio comunale di adozione del piano (art. 8); b) deposito presso la segreteria
comunale per consentire ai soggetti legittimati la presentazione di osservazioni dopo la presa
visione del piano (art. 9); c) eventuale delibera del Consiglio comunale di accoglimento delle
osservazioni presentate al piano (art. 10, comma secondo, ultima parte).
Ai fini che qui interessano, quindi, per “adozione dello strumento urbanistico generale”
deve intendersi il momento in cui il Consiglio comunale procede alla delibera di cui al sopra
citato art. 8, ovvero, nel caso in cui la vocazione edificabile di una certa area risulti solo
a seguito del successivo accoglimento da parte del Consiglio comunale delle osservazioni
presentate ai sensi dell’art. 9, dalla data di quest’ultima delibera27.
26 Il punto costituisce oggetto delle argomentazioni di cui al successivo paragrafo 3.1.
27 La soluzione esposta nel testo nasconde in realtà alcune problematiche di non poco momento, che si ritiene
opportuno relegare in nota al fine di non appesantire la lettura, ma delle quali è ovviamente necessario dare conto.
21
È però necessario, attese le osservazioni svolte ai punti di cui sopra, procedere anche (e
soprattutto) all’esame della normativa della Regione Veneto in materia, ove ci si imbatte subito
nel problema della duplicazione del piano regolatore generale in piano di livello strutturale
(PAT) e piano di livello operativo (PI). La dottrina si è già divisa, per la determinazione del
concetto di “adozione dello strumento urbanistico generale” di cui al citato art. 36, D.L.
223/06, tra chi ritiene che debba farsi riferimento alla previsione del piano a livello strutturale,
rimarcandosi una sostanziale assimilabilità di questo con il tradizionale piano regolatore (e
del piano operativo con il tradizionale programma pluriennale di attuazione)28 e chi invece
opta per il livello operativo di pianificazione urbanistica29.
Si ritiene di poter condividere quest’ultima posizione, anche alla luce del rapporto che
la L.R. Veneto 23 aprile 2004, n. 11, pone tra i due livelli di piani in ordine alla vocazione
edificabile o meno di una determinata area, che pare potersi configurare esclusivamente in
senso negativo (come inedificabilità assoluta) a livello del piano strutturale, mentre solo a
livello del piano operativo questa vocazione è determinabile in senso concretamente positivo
(come area effettivamente edificabile)30.
Invero, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, nel procedimento di formazione dei piani
regolatori generali la pubblicazione prevista dall’art. 9, L. 1150/42, (e dalle corrispondenti norme regionali) è
finalizzata esclusivamente alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di
piano adottato dal Comune, ma non è richiesta, di regola, per le successive fasi del procedimento, anche se il
piano originario risulti modificato a seguito dell’accoglimento di alcune osservazioni o di modifiche introdotte
in sede di approvazione regionale (vedasi ad es. Cons. Stato, sez. IV, n. 4980 del 5 settembre 2003; sez. IV, 4
marzo 2003, n. 1197; sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6178; 20 febbraio 1998, n. 301, etc.). Lo stesso Consiglio
di Stato (v. Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2297) registra però talune eccezioni: “in una prima ipotesi,
dall’accoglimento delle osservazioni formulate dai privati, comportanti una profonda deviazione dai criteri posti
a base del piano adottato, si fa discendere una modifica immediata del testo del piano stesso; nel qual caso
si dovrà fare luogo a nuova pubblicazione ed alla conseguente raccolta delle ulteriori osservazioni (cfr. ex
plurimis, sez. IV, n. 4980 del 5 settembre 2003; sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6178). In altre ipotesi, la delibera
comunale di controdeduzioni può non implicare volontà di modifica immediata del piano regolatore, ma solo
accettazione delle richieste e proposta di modifiche d’ufficio rivolta alla regione; per cui non occorrerà nuova
pubblicazione, con la conseguenza che il testo del piano agli effetti di salvaguardia, sarà quello adottato con la
prima deliberazione, ancorchè destinato ad essere modificato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 1998, n. 301).
Viceversa, se il comune, controdeducendo alle proposte di modifica regionali, introduce variazioni rilevanti al
piano adottato, la delibera si presenta come una sostanziale nuova adozione che necessita di pubblicazione (cfr.
sez. IV, n. 4980 del 5 settembre 2003; sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6178; sez. IV, 20 febbraio 1998, n. 301 cit.;
27 marzo 1995, n. 206)”. Come si vede, la questione delle modifiche apportate al piano regolatore in sede di
recepimento delle osservazioni dovrebbe essere decisa solo a seguito di una specifica ed approfondita analisi del
testo della delibera di accoglimento delle osservazioni stesse.
28 ZANETTI E., Risoluzione n. 395/E del 22 ottobre 2008: le nuove incertezze ‘regalate’ dall’Agenzia delle
Entrate sulla nozione di area edificabile, in Il Fisco, 2008-1, pag. 8223.
29 BUSANI A., Per l’area edificabile il PRG non basta più, in Il Sole 24 Ore del lunedì, Norme & Tributi,
17 novembre 2008, pag. 3.
30 22
D’altronde, l’art. 17 della LR 11/04 introduce la zonizzazione a livello del piano operativo. Sono pertanto
Premesso allora che si debba guardare al Piano degli Interventi, va detto, da un lato,
che l’art. 18 della legge urbanistico-edilizia della Regione Veneto disciplina il procedimento
di adozione dei P.I. sulla falsariga della struttura procedimentale del piano regolatore generale
della legge 1150/41. In particolare, il sindaco predispone un documento che viene dallo
stesso illustrato in una apposita seduta del Consiglio comunale, che lo adotta e lo approva,
previe consultazioni e concertazioni con enti ed associazioni interessati. Entro otto giorni
dall’adozione il piano è depositato a disposizione del pubblico per trenta giorni presso la sede
del comune, decorsi i quali chiunque può formulare osservazioni nei trenta giorni successivi,
sulle quali il Consiglio comunale decide ed approva il piano31.
Dall’altro, la soluzione sopra adottata conduce ad una curiosa singolarità, rappresentata
dal fatto che, pur trasmesso alla Provincia, il Piano degli Interventi non necessita di una
specifica approvazione e ratifica della Provincia medesima, come invece avviene per il PAT32.
La norma di cui all’art. 36, D.L. 223/06, che distingue tra adozione ed approvazione, è stata
ovviamente tarata sulla legge nazionale in materia, ma rischia, proprio per questo motivo, di
risultare poco flessibile laddove si tenti di calarla nell’ambito della variegata e multiforme
normativa regionale in subiecta materia33.
pienamente condivisibili, sul punto, le affermazioni di BUSANI A., Per l’area edificabile, op. cit., il quale
sostiene come sia “assai diffìcile che la risposta possa essere nel primo senso: il piano strutturale, infatti,
stabilisce nel territorio comunale il perimetro delle zone in cui l’edificabilità potrebbe essere disposta dal piano
operativo, e con ciò le separa dalle zone in cui l’edificabilità non potrà mai realizzarsi. Ma, all’interno di queste
zone perimetrate, fino a che non vi sia appunto una specifica previsione del piano operativo, non si può sapere
quale sarà, in concreto, l’area che ospiterà una costruzione e quella nella quale, nonostante la sua ubicazione
all’interno del perimetro delle zone urbanizzabili, non sarà possibile svolgere attività edilizia. Un indizio nel
senso di questa interpretazione lo forniscono anche i Comuni, sotto un duplice profilo: a) da un lato, quando gli
uffici comunali rilasciano il certificato di destinazione urbanistica di un’area compresa nel piano strutturale,
ma non contemplata nel piano operativo, la definiscono “agricola” e non “edificabile”; b) d’altro lato, l’avviso
che il Comune è obbligato a fornire al proprietario del terreno, sull’attribuzione allo stesso della qualifica di
area edificabile (articolo 31, comma 20, legge 289/2002), non viene mandato in occasione dell’approvazione del
piano strutturale, ma solo in occasione dell’approvazione del piano operativo”.
31 Vedasi la precedente nota 2 per le osservazioni in ordine al rapporto tra adozione del piano ed osservazioni
accolte dal Comune.
32 Per il PAT, l’art. 15, comma 7, L.R. 11/2004 prevede: “il piano diventa efficace quindici giorni dopo la sua
pubblicazione nel BUR” del provvedimento di approvazione e del relativo atto di ratifica della giunta provinciale
da effettuarsi “a cura della provincia ed ha validità a tempo indeterminato”. Ovviamente il riferimento contenuto
nel D.L. 223/2006 all’approvazione regionale va letto in questo caso come approvazione provinciale. Per il PI v.
l’art. 18, commi 5 e 6: “copia integrale del piano approvato è trasmessa alla provincia ed è depositata presso la
sede del comune per la libera consultazione”. “Il piano diventa efficace quindici giorni dopo la pubblicazione nel
BUR dell’avviso della avvenuta approvazione da effettuarsi a cura del comune”.
33 Né il D.L. 223/2006 può servire a spingere l’interprete verso la tesi della rilevanza del livello strutturale
in merito al concetto di adozione dello strumento urbanistico generale, non potendosi ritenere che il legislatore
nazionale abbia considerato lo stato della variegata legislazione regionale in materia.
23
Problemi applicativi di non poco momento sono altresì rappresentati dalle conseguenze
che possono derivare dalle situazioni, fisiologiche o patologiche, riguardanti lo strumento
urbanistico generale, quali la mancata approvazione da parte della Regione, un eventuale
annullamento da parte della giustizia amministrativa, eccetera.
Quanto all’annullamento giudiziale del piano, vanno sottolineati gli effetti temporali
e soggettivi della pronuncia del giudice. In particolare, quanto agli effetti temporali, è pacifico
che l’annullamento opera ex tunc e fa pertanto rivivere la situazione modificata dal capo del
piano regolatore annullato34. Quanto invece ai limiti soggettivi l’annullamento giudiziale di
un provvedimento a carattere generale, quale è il piano regolatore, se risulta generalmente
possedere efficacia erga omnes35, cioè a dire che esso opera non solo nei confronti delle parti
che sono state in giudizio, ma anche di coloro che, sebbene rimasti estranei al processo, si
trovino nelle stesse condizioni dei ricorrenti36, non sempre e necessariamente produce questi
effetti, ben potendo la sentenza di annullamento essere circoscritta alle aree individuate o a
parti specifiche del territorio comunale, pertinenti alle posizioni del ricorrente37.
In particolare, secondo consolidata giurisprudenza, l’annullamento produce senz’altro
effetti oggettivi più ampi della proprietà dei soli originari ricorrenti nel caso in cui esso sia
pronunciato per vizi del procedimento di formazione del piano ovvero afferisca ad un vincolo
34 Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 1997, n. 1110.
35 Cons. Stato sez. V, 26 luglio 1984, n. 538; Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 1990, n. 561; Cons. Stato sez. IV,
2 agosto 2000, n. 4253, etc.
36 Vedasi Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2003, n. 4977: “tale regola generale deriva dall’esatta individuazione
della sfera di efficacia soggettiva della sentenza amministrativa di annullamento a seconda che si abbia riguardo
alla sua parte dispositiva (cassatoria dell’atto), ovvero a quella ordinatoria (prescrittiva); in ordine alla prima
la pronuncia non può che fare stato erga omnes, mentre in ordine alla seconda la pronuncia fa stato unicamente
inter partes”.
37 La recente giurisprudenza amministrativa riconosce che l’annullamento degli strumenti urbanistici possa
essere espressamente limitato alle parti del giudizio, ovvero, sotto il profilo oggettivo, ai lotti interessati dalla
disciplina urbanistica contestata: vedasi ad. es. Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253; Cons. Stato, sez. IV, 25
novembre 2003, n. 7771, etc. “Siffatto indirizzo – si legge in parte motiva di Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2003,
n. 4977 – è un corollario del principio giurisprudenziale secondo cui sono inammissibili per carenza di interesse
le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente giacché le
prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili, ai fini del loro eventuale annullamento in
sede giurisdizionale (cfr. sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253; sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2934; 8 maggio 2000, n.
2639; 15 ottobre 1999, n. 1586; 18 marzo 1980, n. 270); rimanendo salva la possibilità di proporre impugnativa
allorquando la nuova destinazione urbanistica, pur concernendo un’area non appartenente al ricorrente, incida
direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell’area stessa, o comunque su interessi propri e specifici
del medesimo esponente (cfr. sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253; sez. IV, 15 ottobre 1999, n. 1581; 31 gennaio 1995,
n. 38; 21 novembre 1990, n. 912)”.
24
di zona o di area ai fini pubblici38.
Tutto ciò significa che per risolvere i problemi tributari connessi al cambiamento ex tunc
della vocazione edificatoria di una o più aree per effetto dell’annullamento giudiziale del (o di
parte del) piano regolatore generale, sarà necessario, volta per volta, analizzare la sentenza di
annullamento, al fine di apprezzarne appieno l’estensione oggettiva e soggettiva.
Natura della convenzione di lottizzazione e” beneficio pubblico”
La convenzione di lottizzazione rappresenta un istituto la cui natura è stata oggetto di
numerosi contrasti giurisprudenziali e dottrinali a cagione della presenza di profili di stampo
giuspubblicistico che si accompagnano ad uno strumento dichiaratamente contrattuale.
La Corte di Cassazione ha più volte posto in luce la natura ibrida dell’istituto, la cui
peculiarità sta nel fatto di inserirsi nell’ambito del procedimento amministrativo che si conclude
con l’approvazione del piano di lottizzazione ed il rilascio delle relative autorizzazioni edilizie39,
in particolare ricomprendendo la convenzione di lottizzazione nell’ambito della categoria dei cd.
“accordi sostitutivi del provvedimento” di cui all’art.11, L. 241/199040.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha recentemente accolto l’impostazione offerta
dalla Corte di Cassazione41, non rinunziando a volte ad una impostazione autonoma della questione,
sia pure ricondotta comunque nell’ambito dell’autonomia negoziale retta dal codice civile42.
In particolare, la rilevanza pubblicistica della convenzione ha sempre consentito alla
giurisprudenza di legittimare l’exit della Pubblica Amministrazione dall’accordo con il privato
in caso di modifiche del piano regolatore, tali da influenzare l’assetto negoziale risultante dalla
convenzione, mediante il riconoscimento di una sorta di clausola rebus sic stantibus alla quale
sarebbe soggetta la convenzione stessa. In presenza di un interesse pubblico sopravvenuto, la
Pubblica Amministrazione ha la facoltà di introdurre nuove previsioni del piano regolatore, in
attuazione di uno jus variandi liberamente esercitabile senza le preclusioni derivanti dal contenuto
di una convenzione urbanistica stipulata con il privato43.
Su questa situazione si innestano i contributi offerti dalla normativa tributaria, e
segnatamente dall’art. 51, L. 342/2000, con il quale il legislatore esclude la rilevanza a fini Iva
delle cessioni nei confronti dei comuni di aree o opere di urbanizzazione a scomputo di contributi
di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione; la norma, infatti, per la sua
struttura e la sua ratio legittima un’interpretazione più vicina allo schema autoritativo rispetto a
quello puramente o semplicisticamente “negoziale”44.
Il fenomeno dell’edilizia convenzionata, di cui sono stati tratteggiati i fondamentali
caratteri nelle pagine precedenti, ha rappresentato anche lo strumento mediante il quale gli
enti pubblici hanno realizzato, negli ultimi anni, interventi di interesse pubblico sul tessuto
urbanistico ed ambientale, talvolta di notevole consistenza.
38 Cons. Stato Sez. IV, 2 agosto 2000 n. 4253; Cons. Stato Sez. IV, 5 settembre 2003, n. 4977.
39 Vedasi Cass.: 2567/84; 307/87; 9792/90; 11034/91; 7773/1992; 2669/93; etc.
40 Vedasi Cass. SS.UU. 15 dicembre 2000, n.1262; 8953/98, etc.
41 Vedasi Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 534; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 2008 n. 3255; etc.
42 Vedasi Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2005 n. 4015.
43 Vedasi Cons. Stato, Sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4073; Cass. 436/88; 9792/90; 2669/93; 6941/94; etc.
44 Vedasi anche il successivo paragrafo 3.2.
25
In particolare, come già ricordato, con l’art. 16, Legge 17 febbraio 1992, n. 179,
il legislatore statale introduceva i cd. “programmi integrati di intervento”, forme di
strumentazione urbanistica di livello attuativo coordinata pubblico-privato, aventi la
fondamentale funzione di riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale e
caratterizzati “dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie
di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere
sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie
pubbliche e private”45.
La legislazione della Regione Veneto dava specificazione alla normativa statale con
la L.R. 1° giugno 1999, n. 23, la quale, dopo aver precisato le finalità di riqualificazione
urbanistica, edilizia ed ambientale di parti del territorio comunale da attuarsi attraverso
“a) il riordino degli insediamenti esistenti e il ripristino della qualità ambientale anche
attraverso l’ammodernamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie e dell’arredo
urbano; b) il riuso di aree dismesse, degradate, inutilizzate, a forte polarizzazione urbana,
anche mediante il completamento dell’edificato” (art. 1, comma 2), riprendeva la definizione
statale degli interventi integrati, dotandoli dei caratteri di pluralità di funzioni, integrazione
delle tipologie o modalità di intervento, concorso di risorse pubbliche e private, dimensioni
adeguate a perseguire finalità di riqualificazione (art.2) ed assegnando agli stessi valore di
piano urbanistico attuativo dei piani regolatori generali (art.2 u.c.)46.
45 La definizione migliore di piani integrati si trova nella L.R. 11/2004 (v. infra in testo), che li definisce
come lo “strumento di attuazione della pianificazione urbanistica per la realizzazione coordinata, tra soggetti
pubblici e privati, degli interventi di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale. La riqualificazione si
attua mediante il riordino degli insediamenti esistenti e il ripristino della qualità ambientale anche attraverso
l’ammodernamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie e dell’arredo urbano, il riuso di aree dismesse,
degradate, inutilizzate, a forte polarizzazione urbana, anche con il completamento dell’edificato” (v. art.
19, comma 1, lett. f). La giurisprudenza amministrativa ha definito i programmi integrati di intervento come
“strumenti urbanistici di secondo livello, rispetto al piano regolatore generale, hanno le finalità di riqualificare
il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale del territorio, e sono caratterizzati dalla presenza di una pluralità
funzioni, dall’integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una
dimensione capace di incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di risorse finanziarie
pubbliche o private. Pertanto, l’ampiezza di funzioni e di contenuti ne connota la peculiarità rispetto ad altri
strumenti di pianificazione ad orientamento settoriale, mirando ad obiettivi di riqualificazione dei tessuti urbani,
anche con riguardo all’aspetto ambientale, mediante un insieme coordinato di interventi e risorse, pubblici
e privati, incidenti anche sulle opere urbanizzative e la dotazione degli standards, che ai sensi dell’art. 16
comma 2, l. cit., possono riguardare sia zone in tutto o in parte edificate, sia zone da destinare ad una nuova
edificazione” (così T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 15-10-2002, n. 3943; v. anche T.A.R. Lombardia Milano,
Sez. II, 28-03-2007, n. 1241, etc.).
46 La caratteristica che distingueva maggiormente i programmi integrati dagli strumenti ordinari di attuazione
del piano regolatore generale era la facoltà concessa dalla L.R. 23/99 di modificare le previsioni del piano
regolatore vigente (vedasi art. 6). Era una facoltà che interessava sia i Comuni, in quanto permetteva di superare
certe rigidità proprie dei piani regolatori generali tradizionali, sia gli operatori di settore attratti da nuove
opportunità di investimento.
26
La L.R. 23/99 disciplinava le modalità di formazione ed il contenuto dei programmi
integrati, disponendo che esso dovesse contenere, tra l’altro, anche “la relazione illustrativa
che deve precisare in particolare: 1) la rappresentazione del programma in termini economici
sintetici con particolare riguardo ai benefici derivanti ai soggetti pubblici e agli altri soggetti
attuatori” (art. 4, comma 1, lett. d). In altri termini, il “beneficio pubblico” era considerato un
elemento essenziale dei programmi integrati di intervento proprio in considerazione del fatto
che questo strumento urbanistico attuativo era destinato anche alla realizzazione da parte
dell’ente pubblico, in integrazione sinergica con il privato, di interventi urbanistico-edilizi
finalizzati al perseguimento di interessi pubblicistici volti alla riqualificazione del tessuto
urbanistico, edilizio ed ambientale.
Questi stessi caratteri dei programmi integrati sono stati trasfusi nella disciplina
degli strumenti attuativi dei nuovi PUA, disciplinati dagli artt. 19 e segg. della L.R. 23 aprile
2004, n. 11. In particolare, come già esaminato al precedente paragrafo 1.5, l’art. 19, nel
ribadire l’iniziativa pubblica o privata dei piani, dispone che i P.U.A. assumano il contenuto e
l’efficacia di tutti quegli strumenti urbanistici di livello attuativo precedentemente disciplinati
dalla legislazione statale e ragionale (piani di lottizzazione, PEEP, piani di recupero, etc.), ivi
compresi anche i programmi integrati di cui alla legge 179/92 (art.19, comma 1, lett. f). Il
successivo comma secondo della norma, nel disciplinare il contenuto dei PUA, ribadisce che
essi debbono contenere, tra l’altro, anche “la relazione illustrativa che, nel caso dei programmi
integrati, precisa la rappresentazione del programma in termini economico-sintetici con
particolare riguardo ai benefici derivanti ai soggetti pubblici e agli altri soggetti attuatori,
nonché il piano finanziario di attuazione” (lett. j), manifestando l’evidente continuità della
disciplina dei programmi integrati dalla vecchia alla nuova normativa regionale e, in particolare,
del cd. “beneficio pubblico” che ancor oggi, quindi, caratterizza in modo determinante e
qualificante il versante pubblicistico di tali strumenti urbanistici.
Il concetto di “beneficio pubblico” che si rinviene nelle norme regionali esaminate,
pertanto, riflette quegli interventi pubblicistici che costituiscono parte essenziale dei
programmi integrati ed il cui perseguimento coordinato con quello degli interessi del privato
rappresenta parte dell’essenza dei programmi medesimi.
La natura di questo “beneficio pubblico” va ricondotta alla più ampia tematica della
natura delle convenzioni di lottizzazione, nel cui archetipo (v. art. 28, L. 1150/1942) rientrano
indubbiamente anche i programmi integrati di intervento, ove l’accordo pubblico-privato:
−
sotto un profilo “statico-contenutistico” realizza sostanzialmente uno “scambio di
prestazioni”47, atteso che a fronte del riconoscimento al soggetto privato di diritti
47 La riconduzione tassonomica dei programmi integrati al fenomeno delle convenzioni di lottizzazione
determina, al pari di queste ultime (vedasi quanto sopra esposto in merito), l’origine negoziale e la qualificazione di
obbligazione contrattuale della prestazione del privato, peraltro ribadita recentemente anche da fonti amministrative;
27
edificatori, eventualmente anche in deroga al piano regolatore generale vigente (v.
sopra), vengono cedute dallo stesso privato aree e/o realizzate opere di adeguamento
infrastrutturale e di trasformazione del territorio di pubblico interesse;
−
mentre sotto un profilo “dinamico-procedimentale” costituisce di per sé stesso, proprio
in forza dello specifico e analitico suggello normativo, un “onere” inquadrabile e
definibile in una logica impositivo-pubblicistica, avente le caratteristiche tipiche della
nozione costituzionale di “prestazione patrimoniale imposta”48.
il riferimento è alla Determinazione n. 4/2008 del 2 aprile 2008 dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture, con la quale si è fornita una chiara risposta in merito alle procedure da seguire per
la realizzazione di opere pubbliche nell’ambito di accordi convenzionali stipulati con la PA e, in particolare,
nell’ambito della disciplina dei piani integrati di intervento. L’Autorità, dopo aver ricostruito la posizione della
giurisprudenza, anche comunitaria (v. sentenza della Corte di Giustizia CE del 12 luglio 2001 in causa C39998) in materia, ritiene che anche la realizzazione di opere di urbanizzazione “a scomputo” sia riconducibile
giuridicamente alla figura dell’appalto pubblico di lavori nell’ambito di quel complesso rapporto di indubbia natura
contrattuale a prestazioni corrispettive che è la convenzione di lottizzazione. In particolare, l’Autorità afferma
che “il carattere oneroso della prestazione deve ritenersi sussistere in qualunque caso in cui, a fronte di una
prestazione, vi sia il riconoscimento di un corrispettivo che può essere, a titolo esemplificativo, in denaro, ovvero
nel riconoscimento del diritto di sfruttamento dell’opera (concessione) o ancora mediante la cessione in proprietà
o in godimento di beni. In altri termini, il vantaggio economico in cui consiste la causa del negozio non deve
obbligatoriamente essere limitato ad una corresponsione in denaro, ma ben può consistere in un riconoscimento
di diritti suscettibili di valutazione economica. Ne consegue, quindi, che le convenzioni urbanistiche mediante le
quali i privati si obbligano a realizzare opere pubbliche presentano elementi e natura tali da essere riconducibili,
sul piano tassonomico, allo stesso genus dei piani di lottizzazione, ancorché si configurino come tipi differenti di
piani attuativi (i cosiddetti programmi complessi)”.
48 La nozione di prestazione patrimoniale imposta “è fondata sull’accoglimento di un concetto di coattività
che trae spunto dalla natura complessiva (anche di fatto) del rapporto che disciplina le singole entrate e non
tanto, o comunque non solo, dalla sua struttura; in tal senso la nozione di prestazione patrimoniale imposta, pur
formatasi e sviluppatasi intorno al nucleo delle “prestazioni tributarie”, si pone, rispetto a quest’ultime, in un
rapporto tra genere e specie, non esaurendo i tributi medesimi la totalità delle prestazioni che un soggetto può
essere coattivamente tenuto ad eseguire nei confronti di un determinato ente” AA.VV., La capacità contributiva,
Padova, 1993, pag. 55. È noto come l’evoluzione interpretativa del concetto costituzionale di “prestazioni
patrimoniali imposte” ne abbia esteso a dismisura l’ambito di applicazione, fino a ricomprendervi anche
prestazioni sicuramente non tributarie (cfr. la datata, ma pur sempre valida sentenza C. cost. 9 aprile 1969, n. 72,
in Giur. cost., 1969, 1970 in materia di canoni di abbonamento al telefono, allora sottoposti a monopolio).
La presenza di una “prestazione imposta”, nel senso previsto dall’art. 23, Cost., è compatibile sia con un assetto
autoritativo dei rapporti, sia con l’esistenza di un tipico schema contrattuale; essa, infatti, “prescinde dalla
qualificazione della natura che la prestazione stessa assume in concreto sotto il profilo dello schema giuridico in
forza del quale l’attribuzione patrimoniale viene effettuata “ (POTITO, L’ordinamento tributario italiano, 1978,
pag. 14).
In questo senso quindi non è da escludere che certe prestazioni patrimoniali (ad esempio: a favore di un soggetto
monopolista) indipendentemente dalla loro effettiva natura di prezzi o tributi, presentino caratteri tali da poter
essere qualificate come “coattivamente imposte”, e che quindi rispetto ad esse, per il verificarsi congiunto di certe
condizioni (ad esempio, “essenzialità del bisogno” e “condizioni imposte dal monopolista”; cfr. C. cost. 9 aprile
1969, n. 72, cit.), debba essere esteso il principio di riserva relativa di legge, previsto dall’art. 23, Cost.
È altrettanto chiaro, però, che in una prospettiva di analisi globale, la concreta applicabilità della predetta
disposizione costituzionale debba essere rimessa all’esame del caso concreto, non essendo giuridicamente
fondata qualsiasi conclusione “generica”.
28
2
L’IMPOSIZIONE INDIRETTA
SUI TRASFERIMENTI IMMOBILIARI
2.1.Nozioni e principi generali: premessa
L’economia del presente lavoro impone di passare in rapida rassegna alcuni principi
e riferimenti di base relativi al vasto panorama dell’imposizione indiretta sui trasferimenti
immobiliari, allo scopo di delimitare il terreno giuridico sul quale sarà in seguito sviluppata
la parte concernente le problematiche applicative ed operative dei trasferimenti immobiliari49,
con specifico riferimento alle diverse fattispecie degli strumenti urbanistici.
Nozione di “Immobile”
Secondo l’art. 812 del codice civile “sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi
d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio,
ed in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”. Sono inoltre
considerati immobili “i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti, quando sono saldamente
assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro
utilizzazione”.
Laddove la qualificazione di un bene sia incerta, assume particolare rilievo la norma
di carattere residuale, recata dall’ultimo comma dell’art. 812, codice civile, secondo cui “sono
mobili tutti gli altri beni”. In base al prevalente orientamento interpretativo, il citato articolo
812 è da definirsi come “norma inderogabile”, cosicché, ad esempio, la giurisprudenza
ha considerato nulla la pattuizione secondo cui un impianto incorporato al suolo era stato
qualificato come bene mobile, anziché immobile50.
49 Vedasi il capitolo 3.
50 Cass. n. 679/68; il caso concreto riguardava un’area con distributori di carburanti, in cui questi ultimi
erano stati qualificati come beni mobili. La problematica della distinzione tra beni mobili ed immobili è
alquanto diffusa nella prassi operativa; per un intervento recente si richiama TOGNOLO, Rivalutazione impianti
‘guidata’ dal Catasto,in Il Sole 24 Ore del 3 aprile 2009, pag. 34, secondo il quale, in materia di rivalutazione
ex art. 15 D.L. 185/2008, “può essere utile ricordare che alcune sentenze della Corte di Cassazione (679/68,
1109/80, 2798/62, 146/63, 396/66) hanno fornito spunti interessanti in merito alla distinzione tra beni mobili e
immobili, prevista dall’articolo 812 del Codice Civile: la qualificazione di bene immobile dipende dall’unione o
dall’incorporazione, anche transitorie, dei beni al suolo, diventando beni mobili nel momento in cui si distaccano
dal suolo. I beni immobili non sono necessariamente individuati da dati catastali, tuttavia tale risultanza offre
29
Particolarmente rilevante in ambito fiscale, risulta essere, inoltre, il concetto di
“fabbricato o edificio”, relativamente al quale la legislazione civilistica fornisce una
precisazione all’ultimo comma dell’art. 2645 bis del Codice Civile, seppur limitata ai
fini dell’applicazione delle disposizioni del comma 5 dello stesso articolo. Trattando,
infatti, di trascrizione di contratti preliminari, la norma in parola intende esistente
“…l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali
delle singole unità, e sia stata completata la copertura”51. A tale concetto è conforme
il criterio giurisprudenziale ormai da tempo consolidato52 e del resto anticipato anche
dal legislatore con l’art. 31, comma 2, della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (articolo
non abrogato dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 380), in materia di controllo dell’attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, che dispone:
“si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la
copertura …”.
Nozione di “trasferimento”
La nozione di trasferimento a cui si fa riferimento nel presente lavoro è orientata
alla definizione dell’oggetto di alcuni dei contratti direttamente produttivi di effetti reali di
cui all’art. 1376 c.c. – la vendita, la permuta, il conferimento in società, ecc. – , ossia il
trasferimento del diritto di proprietà e la costituzione o il trasferimento di un diritto reale di
un dato di prova presuntiva. I serbatoi, comunque incorporati al suolo, sono da classificare tra i beni immobili.
Infine, l’Oic n. 16, alla lettera C (Classificazioni) include nella voce Fabbricati industriali fabbricati e stabilimenti
con destinazione industriale, opere idrauliche fisse, silos, piazzali e recinzioni, autorimesse, officine, oleodotti,
opere di urbanizzazione, fabbricati a uso amministrativo, commerciale, uffici, negozi, esposizioni magazzini
e altre opere murarie” L’autore richiama altresì la circolare dell’Agenzia delle Entrate 19 gennaio 2007, n. 1
secondo cui le disposizioni introdotte dai commi 7, 7 bis e 8 dell’art. 36 del d.l. 223/2006 “si applicano agli
immobili strumentali che rientrano nella nozione di fabbricato, ai sensi dell’art. 25 del TUIR, ossia agli immobili
situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto edilizio
urbano, nonché a quelli situati fuori del territorio dello Stato aventi carattere similare. A tal fine dovrà farsi
riferimento agli immobili a destinazione ordinaria, speciale e particolare, secondo la classificazione rilevante
per l’attribuzione delle rendite catastali dei fabbricati. Dette disposizioni sono applicabili, pertanto, anche agli
impianti e ai macchinari infissi al suolo nel caso in cui questi realizzino una struttura che nel suo complesso
costituisca una unità immobiliare iscrivibile nel catasto urbano in quanto rientrante nelle categorie catastali di
cui sopra”.
51 Per il concetto di fabbricato o edificio non ultimato v. par. 2.2.
52 Vedasi per tutte Cass. 8118/91; la nozione di costruzione “esistente” riferita dalla norma, tuttavia, non
coincide con quella di edificio o fabbricato “ultimato”, ossia per il quale sussistono le condizioni di sicurezza,
igiene e salubrità che, ai sensi del citato D.P.R. n. 380/2001, consentono il rilascio del certificato di agibilità
(vedasi PETRELLI, Gli acquisti di immobili da costruire, p. 34 e ss.)
30
godimento su cosa altrui (usufrutto, uso, abitazione, servitù, superficie, enfiteusi). 53
L’analisi, pertanto, è concentrata su alcuni dei possibili modi di acquisto della proprietà
o diritti reali di godimento, con esclusione, ad esempio, della tematica relativa ai trasferimenti
coattivi.
Nozione di “ imposte indirette”
Senza pretesa di esaustività, considerata sia la rilevante mole di contributi dottrinali
volti a definire dal punto di vista giuridico le imposte indirette, sia la specifica finalità
del presente lavoro, sembra ragionevole rifarsi ad una definizione “puntuale” di imposte
indirette, quali tributi che colpiscono i trasferimenti di ricchezza ed i consumi, in quanto
manifestazioni mediate della ricchezza stessa; nell’ambito di questo studio vengono quindi
fatte specificatamente rientrare nella categoria delle imposte indirette l’Iva e le imposte di
registro, ipotecarie e catastali.
53 Sulla qualificazione dei contratti di locazione con clausole di riserva di proprietà, ai fini dell’applicazione
dell’art. 109, c. 1,TUIR, vedasi la recente Ris. 9 gennaio 2009 n. 11/E.
31
2.2.Nozioni e principi generali: l’imposizione indiretta sulle varie tipologie di immobili
–
Cessioni di terreni
Terreni edificabili
L’art. 36, comma 2, del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito nella legge 4 agosto
2006, n. 248 (c.d. “Manovra Visco-Bersani”) ha stabilito che ai fini dell’Iva, delle imposte sui
redditi, dell’imposta di registro e dell’Ici, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile
a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune,
indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del
medesimo54.
L’intervento si inserisce in un dibattito dottrinale e giurisprudenziale che dura da
decenni55 e che comunque non può ad oggi considerarsi concluso56.
Cessione di terreni edificabili da parte di soggetti Iva
A norma dell’art. 2, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, non sono considerate
cessioni di beni (e quindi fuori campo Iva per mancanza del presupposto oggettivo) “le
cessioni che hanno per oggetto terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria a norma
delle vigenti disposizioni”. La norma è poi integrata dalla precisazione secondo cui non
costituisce utilizzo edificatorio la costruzione delle opere di urbanizzazione definite all’art. 9,
lett. a), della Legge n. 10/7757, le quali, pertanto, anche se concretamente realizzate, non sono
sufficienti a qualificare il terreno come edificabile.
Partendo dalla nozione di terreno edificabile sopra richiamata, la cessione, posta in
essere nell’esercizio di impresa o di arti o professioni, di un terreno sul territorio italiano,
54 Sui concetti di strumento urbanistico “generale” ed “attuativo”, nonché di “adozione” da parte del Comune,
vedasi il precedente par. 1.6.
55 2 Si vedano, tra le altre le sentenze della Corte di Cassazione: 3 febbraio 2006, n. 2387; 4 settembre 2001,
n. 11356; 15 gennaio 2003, n. 467; 27 dicembre 2001, n. 16202; 12 novembre 2001, n. 13969; 8 agosto 2003, n.
11997; si vedano altresì i riferimenti dottrinali richiamati alla nota 1 del paragrafo 3.1.
56 Come dimostrano le problematiche esaminate e riproposte al successivo par. 3.1.
57 Sono le opere da realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze
dell’imprenditore agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, Legge 9 maggio 1975, n. 153; il riferimento
all’art. 9, lettera a), della L. 10/77 deve ora intendersi all’art. 17, comma 3, lett. a) del D.P.R. 6 giugno 2001, n.
380 (per effetto dell’intervenuta abrogazione espressa ex art. 136, c. 1 e 2 lett. c), del D.P.R. 380/01). Sulla
assoggettabilità ad IVA della cessione di terreni edificabili da parte di un imprenditore agricolo si veda la risposta
del sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’interrogazione parlamentare n. 5-01278 in
data 8 aprile 2009.
32
una volta definita la sua edificabilità, è operazione che costituisce presupposto impositivo ai
fini IVA, mentre le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa, in
ossequio al noto principio di alternatività tra Iva e imposta di registro sancito dall’art. 40 del
D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Vale la pena evidenziare che la cessione di terreni non situati
in Italia, pur se posta in essere da soggetti Iva, costituisce operazione fuori campo Iva per
mancanza del requisito di territorialità ex art. 7, comma 2, del D.P.R. n. 633/72.
Cessione di terreni edificabili da parte di “soggetti non IVA”
Le cessione di terreni edificabili da parte di soggetti privati, intendendosi per tali anche
soggetti Iva che pongono in essere cessioni di beni che fanno parte del proprio patrimonio
personale o che hanno una destinazione extra-imprenditoriale (ad esempio i beni appartenenti
alla sfera istituzionale degli enti non commerciali), in mancanza del presupposto soggettivo,
non interessano la disciplina Iva, ma l’ambito delle imposte di registro ed ipocatastali.
Terreni non edificabili
Le cessioni di terreni non edificabili effettuate nell’esercizio di imprese o di arti o
professioni sono operazioni fuori campo per mancanza del presupposto oggettivo sancito
dall’art. 2, comma 3, decreto Iva, con la conseguente applicazione delle imposte proporzionali
di registro ed ipotecarie e catastali. Analogo trattamento è riservato anche alla cessione di
terreni non edificabili effettuate da privati.
–
Cessioni di fabbricati da parte di soggetti Iva
Inquadramento generale
Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni nella legge 4 agosto
2006, n. 248, ha riformulato il testo dell’art. 10, comma 1, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633,
recante la disciplina delle operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto, modificandone
i numeri 8) e 8-bis) ed aggiungendo il n. 8-ter).
Come ben noto, a norma dell’art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, rientrano nel
campo di applicazione dell’IVA tutte le operazioni per le quali sussistono contemporaneamente
i requisiti soggettivo, oggettivo e territoriale. Il requisito soggettivo sussiste nei casi in cui si
svolga un’attività agricola o commerciale per professione abituale ancorché non esclusiva58
58 Tale condizione, in particolare, si verifica quando un soggetto compie con regolarità, sistematicità o
ripetitività una pluralità di atti economici coordinati e finalizzati al raggiungimento di uno scopo (cfr. R.M. n.
550326 del 24 novembre 1988).
33
e richiede inoltre, ai fini della concreta applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, che le
cessioni siano poste in essere “nell’esercizio di imprese” ovvero di “arti e professioni”.
Le condizioni di cui sopra sono requisiti essenziali al fine dell’applicazione dell’IVA
alle predette cessioni, ma una volta ciò constatato, il contribuente dovrà altresì verificare se
le stesse rientrino tra le operazioni imponibili o tra quelle esenti analiticamente previste dalla
disciplina Iva; ad esempio l’art. 10, comma 1, n. 27-quinquies), del D.P.R. n. 633/1972
stabilisce che sono esenti “le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati
senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli articoli 19, 19bis1 e 19-bis2”; in tal caso, quindi, si applica l’esenzione se sussistono entrambe le seguenti
condizioni:
a)
l’acquisto originario abbia costituito un’operazione assoggettata ad IVA;
b)
l’imposta non sia stata detratta per l’espressa previsione normativa recata in tal senso
dagli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2.
A parere di chi scrive, in caso di concreta problematica applicativa, è necessario dare
priorità alla previsione di cui al richiamato n. 27-quinquies) rispetto ad altre previsioni dello
stesso articolo 10 D.P.R. n. 633/1972 in quanto l’esenzione dell’operazione è subordinata
ad un “fatto”, cioè il diritto alla detrazione totale della relativa imposta, che si verifica al
momento dell’acquisto del bene oggetto di cessione e quindi in un momento precedente
rispetto all’operazione in sé e per sé. Al contrario le ipotesi di esenzione di cui ai citati nn.
8-bis) e 8-ter) del medesimo articolo si riferiscono esclusivamente alle caratteristiche oggettive
proprie dell’operazione59.
I fabbricati di cui ai nn. 8-bis e 8-ter (manovra cd. Visco-Bersani)
I nn. 8-bis) e 8-ter) cit. riguardano esclusivamente le cessioni aventi ad oggetto i
fabbricati; pertanto le cessioni di aree edificabili esulano dalla “riforma”.
L’accento è posto sulla distinzione tra fabbricati strumentali per natura e fabbricati
diversi da questi ultimi.
L’oggetto della norma di cui al n. 8-bis) è rappresentato dalle “cessioni di fabbricati o
di porzioni di fabbricato diversi da quelli di cui al n. 8-ter)”, ed i fabbricati di cui al n. 8-ter)
sono i “fabbricati o porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono
59 Pertanto nei casi di un bene ricevuto in eredità o acquistato con dante causa un privato, la norma citata
non troverà applicazione in quanto non si è verificata la prima condizione. La cessione effettuata da un’impresa
di un immobile ad uso abitativo ed acquistato con dante causa un privato non realizza un’operazione esente ai
sensi dell’art. 10, n. 27-quinquies) del D.P.R. n. 633/72; tuttavia tale esclusione non darà luogo all’imponibilità
dell’operazione trovando in questo caso applicazione la diversa ipotesi di esenzione prevista dall’art. 10, n. 8-bis)
del medesimo Decreto Iva (vedasi infra).
34
suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni”60.
Sotto un profilo sistematico, pertanto, il n. 8-bis) non si riferisce espressamente ed
esclusivamente ai fabbricati aventi destinazione abitativa (come invece prevedeva il testo
vigente anteriormente al 4 luglio 2006), ma individua la tipologia degli immobili in via residuale,
definendoli “fabbricati diversi da quelli strumentali per natura”. L’ambito applicativo della
disposizione citata è quindi più ampio rispetto ai soli immobili di tipo abitativo61.
Le cessioni di fabbricati di cui al n. 8-bis)
Approfondendo la disciplina, si rileva che per le cessioni dei fabbricati di cui al n.
8-bis) la regola è l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto, con l’eccezione di quelle
effettuate entro quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento,
dalle imprese costruttrici degli stessi62 o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite
imprese appaltatrici, gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’art. 31 lett. c),
d), e) della L. 457/1978.
La legge finanziaria per il 2007 (L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 330, lett.
b), modificando ancora una volta il testo del n. 8-bis citato ha introdotto un’altra ipotesi di
imponibilità IVA delle cessioni dei fabbricati in esame, riguardante le cessioni effettuate, dalle
60 Quest’ultima nozione, che ha conosciuto storicamente un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale, è
stata comunemente intesa in senso oggettivo (cfr. circ. 21 luglio 1989, n. 36; circ. 19 marzo 1990, n. 30; Ris. 19
aprile 1991, n. 430182; G. MANDÒ - D. MANDÒ, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, Milano, 2007,
pag. 229; M. LEO – F. MONACCHI – M. SCHIAVO, Le imposte sui redditi nel testo unico, tomo I, Milano,
1999, pag. 545), nel senso cioè che sono considerati tali i fabbricati rientranti nelle categorie catastali B (immobili
aventi destinazione ad alloggi collettivi, quali case di cura, uffici pubblici, …), C (immobili aventi destinazione
ordinaria commerciale o varia, quali negozi, magazzini, …), D (immobili aventi destinazione speciale, quali opifici
industriali), E (immobili aventi destinazione particolare, non raggruppabili in altre classi) e A/10 (immobili
destinati ad uffici privati). S’intende quindi una strumentalità correlata alle caratteristiche strutturali, oggettive e
proprie dell’immobile, a prescindere dall’effettivo utilizzo dello stesso; in definitiva si sostiene che strumentali
per natura devono essere considerati tutti gli immobili che per le loro caratteristiche costruttive non possono
essere destinati ad uso di abitazione senza radicali trasformazioni. Tale tesi è stata accolta anche dall’Agenzia
delle Entrate, nonostante la prospettiva da cui muovono le norme attualmente vigenti sia opposta rispetto a quella
adottata dall’Agenzia sulla scorta della pregressa normativa.
61 Il rapporto tra le due tipologie di immobili è, allora, a ben vedere, “rovesciato” rispetto a quello indicato
dall’Agenzia, non apparendo più in linea con il dato normativo definire i fabbricati strumentali per natura come
una sorta di categoria “residuale” individuabile per contrapposizione con i soli fabbricati aventi destinazione
abitativa.
62 La fattispecie prevista dalla norma, considera impresa costruttrice non solo l’impresa che realizza il
fabbricato con mezzi propri, pur se occasionalmente ed a prescindere dal suo oggetto sociale, ma anche quella
che si avvale di imprese “terze” per l’esecuzione dei lavori. Vedasi Agenzia Entrate, circ. 4 agosto 2006, n.
27/E. Cfr., altresì, R. PRAVISANO, Le cessioni di fabbricati abitativi: aspetti applicativi. IVA ed altre imposte
indirette, in Il Fisco 2006-1, pagg. 6944 ss.
35
imprese costruttrici o di ristrutturazione, anche successivamente ai quattro anni dalla data di
ultimazione della costruzione o dell’intervento, a condizione che i fabbricati siano stati locati
entro il predetto termine per un periodo non inferiore a quattro anni in attuazione di programmi
di edilizia residenziale convenzionata; in altri termini, fermi restando i requisiti soggettivi in
capo al cedente, la locazione del bene determina l’irrilevanza, ai fini dell’applicazione del
regime IVA, dell’effettuazione della cessione oltre i quattro anni dall’ultimazione dei lavori,
purché la locazione venga effettuata:
a) nei quattro anni dall’ultimazione dei lavori;
b) per un periodo non inferiore a quattro anni;
c) in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata.
Si tratta, quindi, di condizioni che devono ricorrere congiuntamente63.
Poiché l’art. 40, D.P.R. n. 131/1986, menziona il n. 8-bis) dell’art. 10, D.P.R. n.
633/1972, tra le eccezioni al principio di alternatività, in caso di cessioni esenti IVA si applica
l’imposta di registro secondo la rispettiva ordinaria disciplina e quindi in misura proporzionale
o in misura fissa, tenuto conto della previsione di specifiche fattispecie; la stessa conclusione
vale per le imposte ipotecaria e catastale.
63 Al fine di determinare l’ambito applicativo di questa ulteriore ipotesi di imponibilità, occorre, in primo
luogo, stabilire cosa si intenda per programmi di edilizia residenziale convenzionata e l’espressione “siano stati
locati per un periodo non inferiore a quattro anni”.
Sembra potersi ritenere che la norma non faccia riferimento ai soli programmi di edilizia residenziale pubblica
tipici, cioè disciplinati dalla legge n. 865 del 1971, e successive modifiche, data l’assenza di un riferimento esplicito
in tal senso, ma sia applicabile anche con riguardo a locazioni poste in essere in attuazione di pianificazione
“privata”, non necessariamente finalizzata a interventi edilizi a favore dei ceti meno abbienti o più in generale a
tutela o in attuazione solo di un pubblico interesse.
In ogni caso, però, deve essere presente una convenzione tra il soggetto che realizza gli alloggi e la pubblica
amministrazione. Si noti che l’Agenzia delle Entrate (Ris. 11 luglio 2007, n. 163/E), nel definire cosa debba
intendersi per “edilizia residenziale convenzionata”, richiama espressamente i soli programmi edilizi abitativi
di cui all’art. 17, comma 1, T.U. n. 380/2001 (nel dettaglio, tale norma prevede la stipula di una convenzione tra
Comune ed il titolare del permesso di costruire per la riduzione alla sola quota degli oneri di urbanizzazione del
contributo di costruzione a condizione che il titolare stesso “si impegni … ad applicare prezzi di vendita e canoni
di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dall’articolo 18” del medesimo T.U.” Peraltro
nei lavori parlamentari, con riferimento alla modifica in esame al regime introdotto dal d.l. n. 223/2006, si legge
un riferimento proprio ai “piani di edilizia residenziale convenzionata ai sensi degli articoli 17 e 18 del decreto
legislativo n. 380 del 2001”.
La circolare n. 12/E cit., nell’individuare l’ambito di applicazione del regime di esenzione dall’IVA secondo la
normativa attualmente vigente, fa riferimento alle “cessioni di immobili abitativi effettuate da imprese costruttrici
o di ristrutturazione dopo il termine … calcolato senza tenere conto del periodo in cui l’immobile è stato locato,
con contratto di durata non inferiore a quattro anni ed in attuazione di programmi di edilizia residenziale
convenzionata”.
Sembrerebbe, dunque, in assenza di ulteriori specifici chiarimenti, che l’Agenzia delle Entrate interpreti la norma
nel senso di ritenere il termine dei quattro anni dall’ultimazione dei lavori sospeso dalla locazione avente una
durata contrattuale minima di quattro anni. Ne dovrebbe derivare, allora, che la cessione successiva resta in
regime di imponibilità IVA solo se effettuata entro il tempo residuo.
36
Nel caso invece le cessioni dei fabbricati in oggetto rientrino nell’ambito di applicazione
dell’imposta sul valore aggiunto, le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute
nella misura fissa, per il principio di alternatività di cui all’art. 40 D.P.R. n. 131/1986.
Le cessioni di fabbricati strumentali per natura di cui al n. 8-ter)
La ricostruzione della disciplina applicabile alle cessioni di fabbricati strumentali per
natura di cui al n. 8-ter) richiede una maggiore articolazione delle fattispecie.
L’ambito delle eccezioni alla regola dell’esenzione dall’IVA è, infatti, più ampio
rispetto a quello previsto dal n. 8-bis), perché il n. 8-ter), alle lettere a), b), c) e d), stabilisce
alcune condizioni, tra loro alternative, al cui verificarsi l’operazione diventa imponibile ai fini
IVA; con approccio “a contrario”, pertanto, affinché le cessioni dei fabbricati strumentali per
natura siano esenti occorre verificare la non ricorrenza delle suddette condizioni.
Sono esenti da IVA, purché nel relativo atto il cedente non abbia espressamente
manifestato l’opzione per l’imposizione, le cessioni di fabbricati strumentali per natura:
−
effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi fabbricati o dalle imprese che vi hanno
effettuato interventi di ristrutturazione, ove siano decorsi quattro anni dalla data di
ultimazione della costruzione o dell’intervento di ristrutturazione;
−
effettuate nei confronti dei cessionari soggetti passivi di imposta che svolgono, in via
esclusiva o prevalente, attività che conferiscono il diritto alla detrazione in misura
superiore al 25 per cento.
Nell’ipotesi in cui la cessione del fabbricato strumentale per natura sia esente IVA,
l’imposta di registro si applica in misura fissa, perché l’art. 40 D.P.R. n. 131/1986 non
menziona il n. 8-ter) fra le eccezioni al principio di alternatività; ciò in applicazione della
regola generale, nella fattispecie non derogata, secondo la quale si considerano soggette ad
IVA anche le operazioni esenti.
Quanto invece alle imposte ipotecaria e catastale, il legislatore è intervenuto con una
disciplina specifica e in chiara deroga al principio dell’alternatività; l’imposta ipotecaria e
quella catastale64 si applicano sia nell’ipotesi di cessione di fabbricato strumentale esente
dall’imposta sul valore aggiunto sia nell’ipotesi di cessione imponibile ai fini IVA.
Presupposto per l’applicazione di questa specifica e particolare disciplina è che si
tratti, in ogni caso, di una cessione di fabbricato strumentale per natura rientrante nel campo
64 Nelle rispettive misure del 3% e dell’1%.
37
di applicazione dell’IVA, e cioè posta in essere da un soggetto passivo IVA65; l’art. 1-bis della
tariffa del testo unico, approvato dal D. Lgs. n. 347/1990, prevede, infatti, l’applicazione
dell’imposta ipotecaria con l’aliquota proporzionale del 3 per cento alle «trascrizioni di atti
e sentenze che importano trasferimento di proprietà di beni immobili strumentali, di cui
all’articolo 10, primo comma, numero 8-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 26
ottobre 1972, n. 633, anche se assoggettati all’imposta sul valore aggiunto, o costituzione o
trasferimenti di diritti immobiliari sugli stessi».
Ne consegue che, allo scopo dell’applicazione dell’imposta proporzionale di cui
trattasi, la fattispecie del trasferimento, per poter essere qualificata come operazione esente
ai sensi del citato art. 10 n. 8-ter, va preliminarmente inquadrata tra le operazioni rilevanti
agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto; deve quindi ricorrere, oltre al requisito oggettivo
ed alla territorialità, anche il requisito soggettivo, cioè deve trattarsi di operazione effettuata
nell’esercizio di impresa o di arti e professioni.
La precisazione “anche se assoggettati all’imposta sul valore aggiunto” rende
l’imposta applicabile, oltre che alle operazioni esenti, anche alle operazioni imponibili, o
meglio alle eccezioni all’esenzione da IVA di cui al n. 8-ter.
Le medesime considerazioni valgono con riferimento all’applicazione dell’imposta
catastale nella misura proporzionale dell’1 per cento, posto che l’art. 10, comma 1, del medesimo
D. Lgs. n. 347 dispone, analogamente, che «le volture catastali sono soggette all’imposta del
10 per mille sul valore dei beni immobili o dei diritti reali immobiliari determinato a norma
dell’art. 2, anche se relative a immobili strumentali, ancorché assoggettati all’imposta sul
valore aggiunto, di cui all’art. 10, primo comma, numero 8-ter), del decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633»66.
65 Vedasi Assonime, circolare 3 agosto 2006 n. 36.
66 Norme specifiche sono dettate per l’acquisto ed il riscatto di fabbricati strumentali per natura concessi
in leasing; più precisamente, l’art. 35, comma 10-ter, D.L. 233/2006, conv. in Legge n. 248/2006 prevede (a
decorrere dal 1° ottobre 2006), limitatamente all’acquisto (da parte del concedente) ed al riscatto (da parte
dell’utilizzatore) di fabbricati strumentali per natura da concedere o concessi in leasing, una riduzione a metà
delle aliquote delle imposte ipotecaria e catastale. La specifica disposizione fa espresso riferimento alle cessioni
di beni immobili strumentali di cui all’art. 10 n. 1, 8-ter, D.P.R. 633/1972 e dispone la riduzione a metà delle
aliquote delle imposte ipotecaria e catastale, nel presupposto che queste siano dovute nella misura complessiva
del 4 per cento. Ne deriva che la riduzione si applica solo nel caso in cui sia un soggetto passivo IVA a cedere il
bene – ossia il fabbricato strumentale per natura – da concedere in leasing. La riduzione è disposta per le cessioni
di cui siano parte fondi immobiliari chiusi, ovvero imprese di locazione finanziaria o banche e intermediari
finanziari, limitatamente all’acquisto ed al riscatto dei beni da concedere o concessi in locazione finanziaria.
Con riguardo al riscatto è anche previsto che, per evitare una doppia imposizione, l’imposta proporzionale
di registro dell’1 per cento pagata sui canoni di locazione possa essere scomputata dalle imposte ipotecaria e
catastale dovute in relazione al riscatto stesso (art. 35, comma 10-sexies, D.L. n. 233/2006, conv. in Legge n.
248/2006). Quanto alla determinazione della base imponibile del riscatto, l’Agenzia delle Entrate, con la già
citata circ. 12/E, ha evidenziato come il legislatore, anche se ha ricondotto le locazioni finanziarie nel regime
38
Quanto alle cessioni dei fabbricati strumentali per natura imponibili IVA, esse sono
individuabili come segue:
−
cessioni effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi fabbricati o dalle imprese che
vi hanno effettuato interventi di ristrutturazione, ove non siano decorsi quattro anni
dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento;
−
cessioni effettuate nei confronti di cessionari che non agiscono nell’esercizio di
imprese, arti o professioni, cioè in pratica nei confronti di privati o enti non commerciali
che destinino i fabbricati esclusivamente all’attività istituzionale;
−
cessioni effettuate nei confronti di cessionari soggetti passivi IVA che svolgono in via
esclusiva o prevalente attività che conferiscono il diritto alla detrazione di imposta in
misura pari o inferiore al 25 per cento;
−
cessioni di per sé esenti ma per le quali il cedente abbia manifestato espressamente
l’opzione per l’imposizione IVA67.
di tassazione indiretta previsto per le locazioni, ha tuttavia voluto dare rilievo, in sede di riscatto del bene, alla
sostanza economica e quindi alla causa di finanziamento tipica del contratto di leasing; pertanto la stessa viene
individuata in una particolare definizione di valore venale in comune commercio, costituita dal prezzo di riscatto
del bene aumentato dei canoni, depurati dalla componente finanziaria; in tale ammontare si può, infatti, ravvisare,
secondo l’Agenzia delle Entrate, l’effettivo valore di scambio attribuibile all’immobile, tenuto conto dei vincoli
contrattuali che gravano su di esso. I canoni di locazione finanziaria, come ben noto, sono composti da una
quota capitale, la quale attiene direttamente al bene rappresentandone il corrispettivo della cessione e da una
quota interessi, che attiene invece all’attività finanziaria, rappresentandone la remunerazione. Cfr., al proposito:
Agenzia delle Entrate, Ris. 12 agosto 2003, n. 175/E, secondo cui “attesa la natura finanziaria dell’operazione,
il pagamento del canone è considerato non proprio come corrispettivo per la locazione del bene ma piuttosto
come modalità per la restituzione di un finanziamento che è pari al costo del bene (e delle spese accessorie)
aumentato del compenso per l’attività del finanziatore (sotto forma d’interesse sul capitale investito)”. Per una
metodologia di calcolo della “quota capitale” inclusa nel canone di locazione finanziaria si veda, altresì, Agenzia
delle Entrate, circ. 19 gennaio 2007 n. 1/E, con riferimento alla previsione di cui all’art. 36, comma 7-bis, D.L.
n. 223/2006. Tali considerazioni valgono anche per le imposte ipotecaria e catastale applicabili in sede di riscatto
dell’immobile, atteso il rinvio del decreto legislativo n. 347 del 31 ottobre 1990 all’articolo 51, comma 2, del
DPR n. 131 del 1986.
67 A seguito del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 25 maggio 2007 (in Gazzetta
Ufficiale n. 152 del 3 luglio 2007), sono state previste, a partire dalle operazioni poste in essere dal 1° ottobre
2007, particolari modalità di assolvimento dell’IVA concernenti esclusivamente le cessioni di cui al richiamato
art. 10, comma 1, n. 8-ter): il cosiddetto meccanismo reverse charge ai sensi dell’art. 17, comma 6, del D.P.R.
633/72. Inizialmente, il predetto meccanismo era previsto esclusivamente per le operazioni di cui al n. 8-ter, lett.
d); il legislatore è intervenuto successivamente con l’art. 1, comma 156, lett. a), Legge 24 dicembre 2007, n. 244,
modificando direttamente il testo dell’art. 17, sesto comma del D.P.R. n. 633/1972 ed aggiungendo un’ulteriore
fattispecie sotto la lett. a-bis); la nuova ipotesi riguarda le cessioni di beni immobili strumentali per natura
(categoria A/10 e categorie B, C, D ed E) “effettuate nei confronti di cessionari soggetti passivi d’imposta che
svolgono in via esclusiva o prevalente attività che conferiscono il diritto alla detrazione d’imposta in percentuale
pari o inferiore al 25 per cento”. La novità è entrata in vigore a partire dalle cessioni effettuate dal 1° marzo 2008.
Le anzidette operazioni di cessione, in virtù della specifica situazione in cui si trova il cessionario, fuoriescono
dall’ambito delle operazioni esenti di cui all’art. 10, n. 8-ter) del D.P.R. n. 633/1972 e determinano la naturale
applicazione dell’Iva con l’applicazione del reverse charge. Il reverse charge, ovvero inversione contabile, si
39
Al riguardo l’Agenzia delle Entrate68 ha osservato come nell’atto di cessione debba
essere riportata la menzione della dichiarazione, resa dal cessionario, attestante che egli non
agisce nell’esercizio di impresa, arte o professione, oppure, nel caso di ente che svolge sia
un’attività rilevante IVA sia un’attività esclusa dal relativo ambito di applicazione, che effettua
l’acquisto in relazione allo svolgimento dell’attività non commerciale.
Anche l’altra condizione rilevante in capo al cessionario ai fini dell’imponibilità IVA
(cioè che si tratti di soggetto passivo esercente attività che conferisce il diritto alla detrazione
del suddetto tributo in misura non superiore al 25 per cento) deve essere oggetto, secondo
l’Amministrazione finanziaria, di dichiarazione in atto da parte del cessionario medesimo69.
Per quanto riguarda l’opzione per l’imposizione IVA (che deve essere oggetto di
apposita dichiarazione del cedente70 nell’atto di cessione) la relativa possibilità riguarda
esclusivamente i fabbricati strumentali per natura; con riferimento al profilo soggettivo va
rilevato come la portata della disposizione sia particolarmente ampia, in quanto applicabile
a qualsiasi soggetto passivo IVA che effettui il trasferimento del fabbricato (sia o meno
qualificabile come impresa costruttrice).
sostanzia in un particolare meccanismo con finalità anti-frode che prevede il trasferimento in capo all’acquirente
di una serie di obblighi, relativi alle modalità con cui viene assolta l’IVA dovuta e solitamente gravanti sul
cedente, impedendo che l’acquirente eserciti (correttamente) il diritto alla detrazione e il cedente addebiti l’IVA
senza effettuare il relativo versamento.
68 Circ. 4 agosto 2006, n. 27/E, cit.
69 Con riferimento a questa dichiarazione è opportuno tenere presente che al momento della cessione il
cessionario non è in grado di conoscere la percentuale di detrazione IVA definitiva (il cd. pro-rata), perché
questa può essere stabilita solo alla chiusura del periodo di imposta; quindi, in pratica, la dichiarazione da
inserire nell’atto di cessione fa riferimento ad una percentuale di detrazione determinata in via provvisoria sulla
base del pro-rata dell’anno precedente. Qualora poi, al termine del periodo di imposta, emerga una variazione
della percentuale di detrazione determinata in via definitiva, potrebbe verificarsi che una cessione considerata al
momento del rogito quale operazione esente, per effetto della predetta variazione, diventi imponibile. In detto
caso, il cessionario è tenuto a comunicare al cedente, al termine del periodo di imposta, che la propria percentuale
di detraibilità è risultata non superiore al 25%, per l’assoggettamento dell’operazione ad IVA (cfr. al riguardo i
chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, circ. n. 27/E cit.). Contra, vedasi A. ZOCCALI, Manovra bis: la
riforma dell’imposizione indiretta sugli immobili, in Dir. e prat. trib., 2006, 961; S. CHIRICHIGNO, Immobili
strumentali tra simmetrie IVA, fissità del registro e variazioni del “pro rata”, in Dialoghi, 2007, 273 ss..
70 L’opzione è una facoltà del cedente, rispetto alla quale l’acquirente si trova in una situazione passiva, di
soggezione ad un diritto potestativo della controparte. È evidente, però, che l’esercizio dell’opzione, determinando
l’imponibilità IVA dell’operazione, potrebbe incidere sull’aspetto economico dell’operazione stessa dal punto di
vista dell’acquirente. Pertanto, in sede di contratto preliminare, l’acquirente potrebbe richiedere l’inserimento
di una clausola nella quale sia prefigurato il regime fiscale del contratto definitivo. Tuttavia, poiché l’opzione
deve essere manifestata, ai sensi del citato n. 8-ter, espressamente nell’atto di cessione definitivo, la pattuizione
inserita nel contratto preliminare non potrebbe essere opposta al fisco, rilevando solo nei rapporti interni fra le
parti.
40
Le pertinenze
Il regime fiscale delle cessioni dei fabbricati richiede giocoforza una precisazione
anche del concetto di “pertinenze”.
L’art. 817 del codice civile stabilisce che sono pertinenze “le cose destinate in
modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”, individuando così un rapporto
di complementarietà economico-giuridica nell’ambito del quale la pertinenza non perde la
propria individualità per il suo essere a servizio della cosa principale.
Sotto un profilo civilistico, il vincolo pertinenziale sorge quando sussistono le seguenti
condizioni: la destinazione durevole al servizio o all’ornamento (elemento oggettivo) e la
volontà del titolare del diritto reale sulla cosa principale (elemento soggettivo)71.
Dal vincolo pertinenziale, l’art. 818 del codice civile fa dedurre la conseguenza secondo
cui “gli atti ed i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono
anche le pertinenze, se non è diversamente disposto”; le stesse, tuttavia, “possono formare
oggetto di separati atti o rapporti giuridici”.
La definizione civilistica di pertinenza viene spesso richiamata dalla giurisprudenza
tributaria di legittimità, laddove l’elemento caratterizzante del concetto stesso di pertinenza
viene fatto dipendere dall’effettivo utilizzo a cui la stessa viene assoggettata; ad esempio,
laddove un’area circostante un fabbricato sia oggettivamente utilizzata quale pertinenza dello
stesso, l’area deve essere considerata tale anche dal punto di vista fiscale, a prescindere dal
fatto che fabbricato e terreno risultino essere unità immobiliari autonome iscritte l’uno al
Catasto Fabbricati e l’altra al Catasto Terreni, con autonoma attribuzione di rendita72.
Devesi peraltro rilevare, proprio in materia di pertinenze immobiliari, che secondo
un certo orientamento giurisprudenziale “la nozione di pertinenza urbanistica, ha peculiarità
specifiche, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un’opera – che
abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale
– preordinata ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed
71 Per un’ampia disamina dell’argomento, vedasi GERLA, ICI: aree edificabili. Trattamento delle pertinenze,
in Il Fisco, 2005-1, pagg. 7207 e segg., nonché GHISELLI, L’estensione di misure agevolative delle imposte
(indirette) all’acquisto di terreni pertinenziali di unità residenziali, in Il Fisco 2008-1, pagg. 5219 e segg..
72 Vedasi per tutte le sentenze della Cassazione n. 19375 del 17 dicembre 2003, n. 17035 del 26 agosto 2004
e n. 5755 del 16 marzo 2005; in particolare la sentenza n. 17035/2004 ha evidenziato che “in tema di Ici nella
applicazione dell’art. 2 del D. Lgs n. 504/1992, che esclude l’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali,
la nozione di pertinenza deve essere valutata in riferimento alla disposizione di carattere generale contenuta
nell’art. 817 del codice civile”; pertanto, “non costituisce un ostacolo al riconoscimento del vincolo il fatto che
l’area pertinenziale e la costruzione principale siano censite catastalmente in modo distinto”. Sostanzialmente,
secondo tale orientamento, l’accertamento della sussistenza o meno di un vincolo di pertinenzialità costituisce
apprezzamento di fatto, dal punto di vista giurisprudenziale riservato al giudice di merito, incensurabile in sede
di legittimità.
41
oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato,
non valutabile in termini di cubatura o dotata di un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede. La strumentalità rispetto all’immobile
principale deve essere in ogni caso “oggettiva”, cioè connaturale alla struttura dell’opera, e
non può desumersi esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario
o dal possessore” 73; un concetto di pertinenza, quindi, ancora diverso ed ulteriore, che pone
l’accento sui requisiti oggettivi e rende marginale, o comunque non decisivo, il carattere di
“destinazione” soggettiva.
Di ulteriore diverso avviso si è talvolta dichiarata l’Amministrazione Finanziaria74,
nell’assumere un concetto di pertinenza estremamente formalistico, laddove il vincolo
pertinenziale viene riconosciuto esclusivamente nei casi in cui le risultanze catastali lo
individuino in maniera non equivoca; quindi, ad esempio, un terreno viene ad essere
considerato pertinenza del fabbricato a cui è asservito, solo quando esiste la c.d. “graffatura”,
che rende le due unità immobiliari un unico immobile dal punto di vista catastale, dotate
di un’unica rendita catastale (quella del fabbricato censito al Catasto Fabbricati) la quale
esprime anche la redditività del terreno asservito75.
Vi è da dire che più recentemente e in più occasioni le considerazioni svolte dall’Agenzia
73 Cass. pen. 21 maggio 1997, n. 4056, richiamata nella sentenza della Comm. Trib. Reg. Veneto, n. 49/34/05,
del 9 giugno 2005.
74 A partire dalla C.M. n. 7/1106 del 10 giugno 1993, nella quale con riferimento all’ICI, si rilevava come
“il terreno che sia effettivamente pertinenza di un edificio costituisce parte integrante dell’edificio stesso e,
quindi, le rendite catastali delle singole unità immobiliari formanti l’edificio comprendono anche la quota parte
attribuibile al terreno pertinenziale”, seguita dalla C.M. n. 38/E/2005, in tema di agevolazioni “prima casa”, la
quale riferisce che “… ai fini dell’agevolazione fiscale in questione, un’area che sia autonomamente censita al
Catasto Terreni non può considerarsi “pertinenza” di un fabbricato urbano, anche se durevolmente destinata
al servizio dello stesso” e dalla Ris. n. 32/E/2006, nella quale viene ribadito che è pertinenza solo il terreno che
risulta essere congiuntamente accatastato con il bene principale, mentre il fatto che sia censito separatamente,
indipendentemente al Catasto Terreni ovvero al Catasto Fabbricati, comporta che esso sia da considerarsi bene
autonomo.
75 Dal punto di vista catastale, un’area di pertinenza del fabbricato, indipendentemente dall’avere un proprio
mappale, partecipa congiuntamente allo stesso fabbricato alla determinazione della rendita catastale, per cui non
è suscettibile di rendita autonoma, purché sia “graffata” al fabbricato stesso. Non ci sono limiti dimensionali
all’estensione dell’area di pertinenza del fabbricato, ma per poter sostenere l’asservimento dell’area, occorre
dimostrare, in caso di sproporzionata estensione, che lo sia di fatto. Si ricordi che a mente dell’art. 5 del Decreto
del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, quando l’area di pertinenza supera di sei volte l’area coperta
dal fabbricato, il medesimo è considerato di lusso. Dal punto di vista della corretta tecnica catastale, in casi simili
è necessario stralciare dall’area pertinenziale quella che è carente di tale prerogativa, a mezzo del frazionamento.
In tal caso, se detta area fosse originariamente censita al Catasto Terreni, rimarrà tale, mentre nel caso fosse
censita diversamente si provvederà, a mezzo della procedura Docfa con la classifica F1, senza rendita, alla sua
individuazione come area urbana.
42
delle Entrate appaiono meno formalistiche laddove viene riconosciuto che “… effettivamente,
ai fini fiscali, non esiste una nozione di pertinenza divergente da quella di cui agli articoli
817 e seguenti del codice civile …”76; secondo lo stesso concetto, l’Agenzia riconosce il
principio per cui un bene posto in rapporto pertinenziale è sì assoggettato in modo permanente
a servizio o ornamento di un’altra cosa “per renderne possibile una migliore utilizzazione
ovvero per aumentarne il decoro”, “pur conservando la propria natura e individualità
fisica”77; o ancora “il rapporto tra cosa principale ed accessoria è preso in considerazione
dalla legge non come rapporto di connessione materiale e strutturale, ma come rapporto
economico-giuridico di strumentalità e complementarietà funzionale”78, nonché l’espressione
secondo cui “l’accertamento della sussistenza o meno di un vincolo pertinenziale comporta
un ‘giudizio di fatto’ costituito dalla destinazione concreta ed effettiva della pertinenza a
servizio o ornamento della cosa principale ‘dimostrabile’ dal richiedente”79; tutte espressioni
che lasciano intendere una conclusione non univocamente dipendente dalle rappresentazioni
meramente cartolari.
Così considerato e succintamente richiamato il complesso concetto di pertinenza, si
ricordano ora le relative principali disposizioni in materia di imposte indirette.
L’art. 23, comma 3, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in materia di imposta di registro,
dispone che le pertinenze sono in ogni caso soggette alla disciplina prevista per il bene al cui
servizio od ornamento sono destinate.
Tale principio appare accolto anche dalla normativa in materia di Iva, laddove l’art.
12 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che le cessioni accessorie ad una cessione di
beni non sono soggette autonomamente all’imposta80 .
76 Ris. 11 aprile 2008, n. 149/E.
77 Ris. 26 giugno 2008, n. 265/E.
78 Ris. 265/E cit., che richiama un’argomentazione già svolta dalla Cassazione, nella sentenza 11 novembre
1990, n. 2278.
79 Ris. 265/E cit..
80 Vedasi, fra l’altro, la Risoluzione della Direzione Generale Tasse n. 240230 del 25 ottobre 1983, la circolare
2 marzo 1994 n. 1/Ee la circolare 12 agosto 2005 n. 38/E. La condizione richiamata dalla circolare 1° marzo 2007
n. 12 e cioè “che il vincolo stesso sia evidenziato nell’atto di cessione”, ha senso soprattutto nel caso in cui la
pertinenza viene acquistata con atto separato, mentre in caso di acquisto contestuale a quello del bene principale,
il vincolo risulta implicito nell’operazione stessa. Quanto detto sul rapporto pertinenziale vale anche nella
situazione inversa, in cui, in caso di cessione di un immobile strumentale per natura, unitamente, per esempio,
all’abitazione del portiere, quest’ultima costituisce pertinenza dell’immobile strumentale e viene assoggettata ad
imposizione con l’immobile cui inerisce.
43
Il fabbricato non ultimato
La rilevanza attribuita dalla disciplina in esame al momento dell’ultimazione della
costruzione del fabbricato (o dell’intervento di recupero di cui all’art. 31, lett. c), d), ed e)
della legge n. 457/1978), ha determinato un non indifferente problema applicativo in ordine
all’individuazione del regime fiscale applicabile alle cessioni aventi ad oggetto fabbricati non
ancora ultimati.
La questione è stata espressamente risolta dall’Agenzia delle Entrate, nel senso di
ritenere che – poiché l’art. 10. nn. 8-bis) e 8-ter) cit., nell’individuare il regime IVA applicabile
alla cessione di fabbricati, non tratta specificamente anche dei fabbricati “non ultimati”
(diversamente da quanto invece previsto in altre normative, come ad esempio quella relativa
alle “agevolazioni prima casa”) – “la cessione di un fabbricato effettuata da un soggetto
passivo d’imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione del medesimo … sia
esclusa dall’ambito applicativo dei richiamati nn. 8-bis) e 8-ter) dell’articolo 10 del DPR n.
633 del 1972 trattandosi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione, pertanto,
deve essere in ogni caso assoggettata ad IVA”.81
Quanto all’individuazione della data di ultimazione della costruzione che, ad avviso
dell’Agenzia delle Entrate rappresenta il momento determinante al fine della qualificazione
del fabbricato82 ai sensi dell’art. 10, nn. 8-bis e 8-ter, l’Agenzia fa riferimento al momento in
cui l’immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato
al consumo; pertanto si deve considerare ultimato l’immobile per il quale sia intervenuta
da parte del direttore dei lavori l’attestazione della ultimazione degli stessi, che di norma
coincide con la dichiarazione da rendere in catasto ai sensi degli articoli 23 e 24 del D.P.R.
6 giugno 2001, n. 380. Inoltre, si deve ritenere ‘ultimato’ anche il fabbricato concesso in uso
a terzi, con i fisiologici contratti relativi all’utilizzo dell’immobile, poiché lo stesso, pur in
assenza della formale attestazione di ultimazione rilasciata dal tecnico competente si presume
che, essendo idoneo ad essere immesso in consumo, presenti tutte le caratteristiche fisiche
idonee a far ritenere l’opera di costruzione o di ristrutturazione completata. 83
81 Circ. 12/E, cit.
82 Il fabbricato, ancorchè non ultimato ovvero allo stato rustico, si considera esistente quando presenta i
requisiti di cui all’art. 2426-bis c.c. (deve quindi esistere almeno un rustico comprensivo delle mura perimetrali
delle singole unità e deve esser completata la copertura). Vedasi anche la recente Ris. 28 gennaio 2009 n. 23/E.
83 Vedasi al riguardo la circolare 12 agosto 2005 n. 38/E.
44
2.3.Nozioni e principi generali: la permuta, il conferimento in società ed altre
operazioni straordinarie.
Qualche breve appunto di promemoria meritano alcune fattispecie che non
costituiscono ordinarie cessioni, ma il cui effetto è comunque rappresentato dal trasferimento
di diritti reali.
La permuta
Ai sensi dell’art. 1552 c.c., è il contratto avente per oggetto “il reciproco trasferimento
della proprietà di cose, o di altri diritti, da un contraente all’altro”. Si ha permuta quando il
corrispettivo della cessione di beni e delle prestazioni di servizi è diverso dal denaro, potendo
consistere nella cessione di altro bene o nella prestazione di altro servizio84.
In tali ipotesi la disciplina Iva, prescindendo dall’unitarietà del contratto, considera
distintamente i corrispettivi del contratto medesimo85. Le reciproche cessioni di beni o
prestazioni di servizi, semprechè naturalmente siano per loro natura tassabili ai fini Iva, sono
oggetto di separata tassazione in base al valore normale. Se la permuta avviene tra soggetto
Iva e soggetto non Iva, l’Iva deve corrispondersi solamente con riferimento al trasferimento
attuato dal soggetto d’imposta.
Nel caso di permuta di beni e/o servizi, l’uno soggetto a Iva e l’altro a imposta di
registro, l’imposta di registro e le imposte ipocatastali si applicano in misura proporzionale
solo sulla cessione o prestazione non soggetta a Iva86, in applicazione del principio di
alternatività tra le due imposte di cui all’art. 40 del T.U. sull’imposta di registro87. Nel caso,
invece, di permuta di beni e/o servizi entrambi soggetti ad imposta di registro, l’imposta di
registro e le imposte ipocatastali si applicano su un’unica base imponibile pari al valore del
bene che da luogo all’applicazione della maggiore imposta88.
84 Diversa concettualmente dalla permuta, pur essendo identico il trattamento fiscale, è la dazione in pagamento,
ossia la cessione di beni e/o prestazioni di servizi che viene fatta dal debitore ad estinzione di una o più precedenti
obbligazioni, sempre che il creditore vi consenta.
85 Art. 11, D.P.R. 633/72.
86 Commissione Tributaria Centrale, Sezioni Unite, 9 settembre 1986, n. 6898; Cassazione, sez. I, 10 settembre
1997, n. 9036 e sez. trib. 22 novembre 2001, n. 14777.
87 Art. 40, comma 2, D.P.R. 131/1986.
88 Art. 43, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 131/1986.
45
Conferimento in società ed altre operazioni straordinarie.
Il conferimento e la cessione d’azienda o di rami d’azienda in società o altri enti
ed il trasferimento di beni a seguito di altre operazioni straordinarie (fusioni, scissioni,
trasformazioni) sono operazioni da tenere distinte rispetto al conferimento di beni in società
o altri enti. Ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 633/72. le cessioni e i conferimenti
d’azienda o rami d’azienda in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre
organizzazioni, non sono considerate cessioni di beni e pertanto in mancanza del presupposto
oggettivo, fuoriescono dal campo di applicazione Iva. Medesimo trattamento è riservato
dalla lettera f) dello stesso articolo, ai passaggi di beni in dipendenza di fusioni, scissioni
o trasformazioni di società o di analoghe operazioni poste in essere da altri enti. Anche se
l’azienda o il ramo d’azienda contiene immobili, o se i trasferimenti di operazioni straordinarie
hanno per oggetto beni immobili, per tali fattispecie è prevista l’applicazione dell’imposta di
registro e delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa.
Restano invece soggetti ad Iva i conferimenti in società di beni immobili singoli o
complessi di beni non qualificabili come azienda, contenenti immobili o eventuali diritti reali
relativi agli stessi89, i quali scontano l’Iva, le imposte di registro e ipocatastali secondo le
regole esposte nei paragrafi relativi alla cessione, se il conferente è soggetto Iva; in caso
contrario, di soggetto conferente che non opera nell’esercizio di imprese, arti o professione,
la disciplina Iva non troverà ovviamente applicazione, mentre ai fini dell’imposta di registro,
ipotecaria e catastale si avrà il medesimo trattamento esposto in tema di cessioni poste in
essere da privati.
89 Si richiamano brevemente in questa sede le problematiche applicative in materia di definizione di “azienda”;
secondo la Corte di Cassazione (sentenza 1° aprile 2003, n. 4974) la cessione di un marchio, anche contestuale
alla cessione di un’azienda, è un’operazione autonoma rispetto al complesso aziendale cui inerisce e pertanto
è soggetta ad IVA; vedasi al proposito anche la norma di comportamento n. 158 dell’Associazione Dottori
Commercialisti di Milano e la Ris. 3 aprile 2006, n. 48/E. Ai sensi dell’art. 8, D.L. 20 settembre 2001, n. 351, c.
1-bis, si considerano conferimenti di azienda, e quindi esclusi IVA, gli apporti ai fondi immobiliari (disciplinati
dall’art. 37 del Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazioni finanziarie di cui al D. Lgs. 58/98)
costituiti da una pluralità di immobili prevalentemente locati .
46
2.4.Alcune normative speciali
Si riportano di seguito alcuni sintetici richiami alle norme speciali di frequente
riscontro nell’ambito delle problematiche in materia di imposizione indiretta immobiliare.
Fabbricati “Tupini” (Legge 2 luglio 1949, n. 408)
La voce 127 undecies, Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. n. 633/72, prevede
l’assoggettamento ad aliquota ridotta IVA del 10% alla cessione, da parte di imprese costruttrici,
di fabbricati o porzioni di fabbricato aventi le caratteristiche di cui all’art. 13 della legge 2
luglio 1949, n. 408; trattasi degli immobili composti da unità abitative (appartamenti), negozi
e uffici, in determinate proporzioni.
La cessione deve essere effettuata da un’impresa costruttrice, ovvero da un’impresa
che svolge, anche occasionalmente, attività di costruzione, in proprio o anche mediante
contratti di appalto a terzi, di immobili per destinarli alla successiva vendita.
L’art. 1 della legge 6 ottobre 1962, n. 1493, integrato dalla legge 2 dicembre 1967, n.
1212, dispone che le agevolazioni fiscali per le case di abitazione non di lusso previste dalla
legge 2 luglio 1949, n. 408, si rendono applicabili a quei fabbricati costituiti da uffici e/o
negozi nelle seguenti proporzioni:
−
più del 50% della superficie totale dei piani sopra terra sia destinata ad uso abitativo;
−
non più del 25% della superficie totale dei piani sopra terra sia destinata a negozi o
uffici.
Nel calcolo della prevista proporzionalità si computa nella superficie totale dei piani
sopra terra, anche quella di terrazze e balconi90. Le condizioni di cui sopra devono ricorrere
congiuntamente, pena la perdita dell’agevolazione per l’intero fabbricato.
In assenza dei requisiti delineati si applica l’aliquota ordinaria. Non sono previste
particolari aliquote relativamente all’imposta di registro e ipocatastale.
Parcheggi “Legge “Tognoli” (Legge 24 marzo 1989, n. 122)
L’art. 9, c. 1, Legge 24 marzo 1989, n. 122 (“Legge Tognoli”, da cui l’uso del termine
“parcheggi Tognoli”), consente ai proprietari di immobili già esistenti di realizzare, nei locali
al piano terreno o nel sottosuolo dell’edificio, parcheggi da destinare a pertinenze delle
singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi
vigenti, nel rispetto dei vincoli paesaggistici e ambientali (nonché, ovviamente, dei vincoli
90 R.M. 9 febbraio 1982 n. 370924.
47
idrogeologici e di quelli previsti per le zone sismiche).
Tali parcheggi, a norma dell’art. 17, comma 90, L. 127/1997, “possono essere
realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo, di aree pertinenziali esterne al
fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della
superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici”.
La Legge 122/1989 prevede la possibilità di concessione di suolo pubblico per
parcheggi di veicoli privati; in particolare il comma 4 dell’art. 9 consente ai Comuni, previa
determinazione dei criteri di cessione del diritto di superficie e su richiesta dei privati
interessati o di società anche cooperative appositamente costituite tra gli stessi, di prevedere,
nell’ambito di un programma urbano dei parcheggi, la realizzazione di parcheggi da destinare
a pertinenza di immobili privati su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse91.
Con riferimento alla fiscalità indiretta, l’art. 11 della Legge 122/89 stabilisce che: “1.
Le opere e gli interventi previsti dalla presente legge costituiscono opere di urbanizzazione
anche ai sensi dell’articolo 9, primo comma, lettera f), della legge 28 gennaio 1977, n. 10.
2. Le prestazioni derivanti da contratti aventi per oggetto la realizzazione delle opere e degli
interventi previsti dalla presente legge sono soggette all’imposta sul valore aggiunto con
l’aliquota del 2 per cento. La stessa aliquota si applica ai trasferimenti degli immobili o di
porzioni degli stessi anche in diritto di superficie.
3. L’atto di cessione del diritto di superficie è soggetto all’imposta di registro in misura
fissa.”
Si segnala da ultimo che l’aliquota Iva di cui al comma 2 del predetto articolo è
attualmente il 10%.
“Legge Bucalossi” (legge 28 gennaio 1977, n. 10): trattamento fiscale della cessione
“gratuita” ai Comuni di aree ed opere di urbanizzazione e redistribuzione di aree tra colottizzanti.
L’art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (c.d.”legge Bucalossi”), disciplina il
principio in forza del quale “ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è
subordinata a concessione da parte del sindaco ai sensi della presente legge”.
91 La costituzione del diritto di superficie è subordinata alla stipula di una convenzione nella quale siano previsti:
la durata della concessione del diritto di superficie per un periodo non superiore a 90 anni; il dimensionamento
dell’opera ed il piano economico-finanziario previsti per la sua realizzazione; i tempi previsti per la progettazione
esecutiva, la messa a disposizione delle aree necessarie e l’esecuzione dei lavori; i tempi e le modalità per la
verifica dello stato di attuazione, nonché le sanzioni previste per gli eventuali inadempimenti.
48
L’articolo 3 della citata legge, prevede altresì che “la concessione
comporta la corresponsione di un contributo commisurato alla incidenza
delle
spese
di
urbanizzazione
nonché
al
costo
di
costruzione”92.
Il contributo concessorio è quindi formato da due componenti:
−
una parte è commisurata all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e valorizza il
cosiddetto “peso insediativo”, cioè rappresenta la partecipazione del concessionario
alle spese d’infrastrutture urbanizzatorie che l’amministrazione comunale deve
affrontare in conseguenza della realizzazione dell’intervento;
−
l’altra parte è invece rapportata al costo della costruzione determinata all’atto del
rilascio del permesso di costruire93.
Ai sensi degli artt. 16, commi 7, 7-bis, e 8, del T.U. dell’edilizia (D.P.R. 380/2001)
sono opere di urbanizzazione primaria le strade residenziali, gli spazi di sosta o di parcheggio,
le fognature, la rete idrica, la rete di distribuzione dell’energia elettrica e gas, la pubblica
illuminazione, gli spazi di verde attrezzato (comma 7) oltre, ai cavedi multiservizi ed i
cavidotti per i passaggi di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai Comuni
sulla base dei criteri definiti dalle regioni (comma 7-bis).
Le opere di urbanizzazione secondaria, invece, sono gli asili nido e le scuole materne,
le scuole dell’obbligo nonché le strutture ed i complessi per l’istruzione superiore all’obbligo,
i mercati di quartiere, le delegazioni comunali, le chiese ed altri edifici religiosi, gli impianti
sportivi di quartiere, le aree verdi di quartiere, i centri sociali e le attrezzature culturali e
sanitarie, comprendendovi in queste ultime opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo
smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e
liquidi, alla bonifica di aree inquinate (comma 8)94.
In presenza di convenzioni di lottizzazione e simili ed a scomputo totale o parziale degli
oneri di urbanizzazione dovuti, il titolare del “permesso di costruire”, può essere chiamato
a realizzare direttamente a proprie spese le opere di urbanizzazione, con le modalità e le
garanzie stabilite dal Comune, nonché a cedere al Comune, senza corrispettivo, la proprietà
di aree ove sono situate le opere di urbanizzazione secondaria, con conseguente acquisizione
delle opere realizzate al patrimonio del Comune.
92 Allo stato, la materia risulta disciplinata dal nuovo testo unico dell’edilizia contenuto nel D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380.
93 Sulla natura “tributaria” del contributo, vedasi, tra gli altri, LORENZON, Tributi Locali, in Enciclopedia
del Diritto, vol. XLV, pag. 147.
94 Sotto il profilo urbanistico, vedasi anche il precedente paragrafo 1.3.
49
Con riferimento alle predette forme di cessione “gratuita”95 ai Comuni, in passato
sono sorte numerose e complesse incertezze interpretative e orientamenti contrastanti di
prassi giurisprudenziali in merito al trattamento ai fini Iva delle menzionate operazioni96.
Sulla questione è intervenuto l’art. 51 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (c.d.
Collegato fiscale alla finanziaria 2001), che testualmente ora dispone: “Non è da intendere
rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, neppure agli effetti delle limitazione del
diritto alla detrazione, la cessione nei confronti dei comuni di aree o opere di urbanizzazione,
a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione”.
L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che “… la cessione ai Comuni di aree ed
opere di urbanizzazione da parte dell’impresa titolare della concessione ad edificare, a
scomputo del contributo di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione,
costituisce una operazione non rilevante agli effetti dell’IVA, alla stregua del trattamento
fiscale applicabile al versamento in denaro del predetto contributo effettuato alternativamente
dalla stessa impresa”97.
95 La cessione in parola non è connotata dall’animus donandi tipico delle donazioni, ma è effettuata a fronte
e nell’ambito del complesso rapporto con il Comune inerente gli oneri di urbanizzazione a carico del titolare del
permesso di costruire.
96 Vedasi la nota n. 3 al successivo paragrafo 3.2 ed i riferimenti ivi riportati.
97 Circ. 16 novembre 2000, n. 207/E; nella Ris 14 gennaio 2003, n. 6/E, l’Amministrazione Finanziaria rileva
come il legislatore abbia voluto equiparare, ai fini Iva, il versamento in denaro del contributo di urbanizzazione
di cui agli artt. 5 e 11 della legge “Bucalossi” alla cessione di opere di urbanizzazione e delle aree necessarie alla
loro realizzazione.
Già prima della L. 342/2000, la Ris. n. 363292 del 16 gennaio 1978 evidenziava che la fattispecie non rientra
nel campo di applicazione Iva, mancando, nel rapporto tra Comune e titolare del permesso di costruire, la natura
sinallagmatica, essendo il rapporto stesso, invece, intriso delle “innegabili caratteristiche di generalità, tipiche
del rapporto di natura tributaria”.
Per le cessioni gratuite che non rientrano nell’ambito dell’art. 51, L. 342/2000, si è riflettuto sull’eventuale
applicabilità della norma generale di cui all’art. 10, n. 12, del D.P.R. n. 633/72, che prevede l’esenzione Iva
per le “cessioni di cui al n. 4) dell’art. 2 fatte ad enti pubblici, associazioni riconosciute o fondazioni aventi
esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica e alle
ONLUS”. Nonostante l’infelice formulazione della norma, la migliore dottrina ritiene che l’esenzione Iva per le
cessioni gratuite fatte agli enti pubblici non sia subordinata alla circostanza che tali enti abbiano esclusivamente
finalità di assistenza, beneficienza …, in quanto tale specificazione pare riferita solo alle associazioni e fondazioni
ivi indicate; vedasi G. MANDÒ – D. MANDÒ, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, op. cit., Cap. VI, par.
II. In tal senso sembra orientata anche la R.M. 30 marzo 1998, n. 23/E. Diventa, pertanto, fondamentale chiarire
il concetto di cessioni gratuite ivi indicate con riferimento al n. 4) dell’art. 2 del D.P.R. n. 633/1972. Innanzitutto,
con riguardo all’oggetto, quest’ultime ricomprendono esclusivamente i beni la cui produzione od il cui commercio
rientra nell’attività propria dell’impresa – ogni attività ricompresa nell’ordinario campo di azione dell’impresa,
con la sola esclusione di quelle svolte non in via principale (G. MANDÒ – D. MANDÒ., op.cit., Cap. I, par.
III, lett. C), che sconterebbero l’Iva in quanto assolta e detratta a monte, anche se non con rivalsa obbligatoria
(le cessioni gratuite di beni che non rientrano nella produzione o commercio dell’impresa se di costo unitario
non superiore a Euro 25,82 e quelli per i quali non si sia operata la detrazione ex art. 19, non sono considerati
cessioni di beni e pertanto sono comunque fuori campo Iva). In secondo luogo, l’assenza del corrispettivo del
50
Le cessioni “gratuite” in parola, pertanto, non rientrando nel campo di applicazione
dell’Iva, per il noto principio di alternatività di cui all’art. 40 del D.P.R. n. 131/1986, vanno
assoggettate ad imposta di registro ed alle imposte ipo-catastali; quanto alla misura, tuttavia,
al posto di quella proporzionale, ai sensi dell’art. 20 della legge “Bucalossi”, è prevista
l’applicazione del trattamento tributario agevolato di cui all’art. 32, secondo comma, del
D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 601, che dispone l’applicazione dell’imposta di registro in
misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali.
Ai sensi dell’art. 20 della legge “Bucalossi” “ai provvedimenti, alle convenzioni ed
agli atti d’obbligo previsti dalla legge stessa si applica il trattamento tributario di cui all’art.
32, secondo comma, del D.P.R. n. 601/1973”, il quale, a sua volta, dispone che “agli atti di
trasferimento della proprietà delle aree”98 previste al titolo III della L. 22 ottobre 1971, n. 865,
e “gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all’imposta
di registro in misura fissa e sono esenti dalle imposte ipotecarie e catastali. Le medesime
agevolazioni si applicano agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni
o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di
edilizia residenziale di cui al titolo IV” della medesima L. 865/1971.99
La lettura integrata di tali disposizioni, unitamente alle disposizioni del più recente
T.U. n. 380/2001, fa ritenere applicabili le agevolazioni alle seguenti fattispecie:
a)
scomputo in tutto o in parte degli oneri di urbanizzazione a fronte dell’obbligo di
realizzare direttamente le opere di urbanizzazione e di cederle gratuitamente all’ente
stesso – atti, anche unilaterali, ex art. 11 della legge “Bucalossi” (ora art. 16, comma
trasferimento del diritto di proprietà sul bene – gratuità –, cui fa riferimento l’art. 2, n. 4), del D.P.R. n. 633/1972,
va valutata o quale liberalità d’uso (che non è donazione ex art. 769 c.c. mancando dell’animus donandi, e
soddisfacendo, perciò, un interesse patrimoniale di chi pone in essere la liberalità; in caso di presenza dell’animus
donandi, invece, uscendo all’ambito applicativo dell’art. 10, n. 12 del D.P.R. n. 633/72, si potrà più correttamente
parlare di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa o di autoconsumo cd. esterno, per ciò stesso
rilevante ai fini Iva) oppure quale peculiarità tipica di un rapporto imperativo/pubblicistico. Ne consegue che
le cessioni gratuite delle aree a scomputo degli oneri di urbanizzazione, fatte a enti diversi dei comuni e perciò
fuori dell’art. 51, L. 342/2000, non possono prescindere dalla individuazione della natura della convenzione
urbanistica come “contratto” o come “prestazione patrimoniale imposta”, argomento sul quale vedasi la parte
finale del paragrafo 3.2.
98 La stessa agevolazione si applica al trasferimento di aree che rientrano nel perimetro di piani comunali per
insediamenti produttivi (PIP). L’Agenzia delle Entrate, con ris. 72/E del 23 marzo 2009, ha sottolineato che il
riferimento normativo dell’agevolazione è specifico per i soli trasferimenti di “aree” e pertanto non si applica ai
trasferimenti di fabbricati già costruiti sulle aree PIP.
99 Il titolo IV della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è rubricato “Programmi pubblici di edilizia residenziale”
e contiene un’articolata disciplina delle modalità di attuazione dei programmi stessi – artt. 48-71 – a mezzo di
opere “a tutti gli effetti … di pubblica utilità” e con lavori “dichiarati urgenti e indifferibili”. Si tratta, in generale,
di norme emanate al fine di soddisfare o di favorire il soddisfacimento di bisogni di classi sociali disagiate
rispetto al bene primario dell’abitazione.
51
1, del T.U. sull’edilizia) -;
b)
convenzioni nell’edilizia abitativa convenzionata, con cui il richiedente il permesso a
costruire si impegni nei confronti del comune ad applicare prezzi di vendita e canoni
di locazione determinati, ai fini della riduzione del contributo di costruzione alla sola
quota degli oneri di urbanizzazione – convenzioni ex art. 7 della legge “Bucalossi”
(ora art. 17, comma 1, del T.U. sull’edilizia) –;
c)
convenzioni comunali, nonché atti d’obbligo in generale nell’ambito dell’edilizia
abitativa convenzionata, in conformità alla convenzione tipo approvata dalla Regione
ai sensi dell’art. 18 del T.U. sull’edilizia100;
d)
atti di esproprio ex art. 13 della legge “Bucalossi” per la realizzazione dei programmi
pluriennali di attuazione;
e)
acquisizione gratuita al patrimonio del Comune di opere del tutto abusive ex art. 15
della legge “Bucalossi” (ora art. 31 del T.U. sull’edilizia)101.
L’interpretazione logico-sistematica dell’art. 20 della legge “Bucalossi”, nonché
la prassi in materia dell’Amministrazione Finanziaria102, pertanto, individuano l’ambito
operativo del medesimo non solo con riferimento agli atti ed alle convenzioni letteralmente
previste dalla norma, bensì anche con riferimento ad ogni atto che comporti attuazione e
pieno, puntuale e completo compimento delle convenzioni medesime103.
Sotto un ulteriore e diverso profilo, il concetto di convenzioni di cui alla citata legge
n. 10/1977 ricomprende sia quelle disciplinate in materia di interventi di edilizia abitativa
convenzionata ai fini del rilascio del permesso di costruire, sia quelle volte alla miglior
attuazione possibile degli strumenti urbanistici, quali il piano regolatore generale, i piani
100 Nella convenzione tipo vengono stabilite le caratteristiche tipologiche e costruttive degli alloggi; i criteri
di fissazione dei prezzi di cessione degli stessi, in base al costo delle aree; i criteri di determinazione della
costruzione e delle opere di urbanizzazione; la fissazione dei canoni di locazione in percentuale del valore desunto
dai prezzi fissati per la cessione degli alloggi; la durata di validità della convezione non superiore a trenta e non
inferiore a venti anni.
101 Per opere del tutto abusive s’intendono quelle realizzate in assenza del permesso di costruire o in totale
difformità dal medesimo o con variazioni essenziali e sempre che non siano state rimosse o demolite. L’art. 31
del T.U. prevede per il responsabile dell’abuso che non demolisca e ripristini lo stato dei luoghi entro novanta
giorni dall’ingiunzione, l’acquisizione gratuita di diritto al patrimonio comunale del bene, dell’area di sedime e
di quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive.
102 Vedasi Ris. Min. 16 dicembre 1986, n. 220210, e Ris. Min. del 3 gennaio 1983, n. 250666, secondo le quali
“l’art. 20…, per aver menzionato genericamente le ‘convenzioni’ tra gli atti destinatari del regime di favore, ha
inteso comprendere in tale regime anche gli atti … che rappresentano l’attuazione della stessa convenzione”.
103 52
Per un’applicazione concreta di tale normativa, vedasi il successivo paragrafo 3.3.
particolareggiati d’iniziativa pubblica o privata, i piani convenzionati di lottizzazione, ecc.104;
attuazione che coinvolge l’esatta ubicazione dei lotti edificabili, le modalità di esecuzione
delle opere di urbanizzazione, la cessione gratuita all’ente delle aree destinate, in base agli
standard urbanistici previsti, alla realizzazione delle opere stesse (parcheggio, verde pubblico,
servizi in genere).
La materiale esecuzione delle opere di urbanizzazione e la cessione gratuita delle
aree previste può comportare uno squilibrio tra i vari soggetti partecipanti all’iniziativa
lottizzatoria, dovuto al diverso grado con cui le aree di proprietà originaria (aree territoriali)
vengono incise dalle aree destinate alle opere di urbanizzazione in attuazione delle previsioni
progettuali; in pratica le cessioni gratuite possono riguardare superfici la cui quantificazione
può non essere (e normalmente non lo è) proporzionale rispetto alle superfici e relativa
capacità edificatorie di ciascuna area in proprietà ante lottizzazione.
È necessario, pertanto, individuare sistemi che riconducano ad equità le diverse
perdite subite dai lottizzanti in termini di superficie e capacità edificatoria.
I sistemi conosciuti nella prassi e volti a tal fine sono molteplici, con le relative
complesse problematiche, anche fiscali, al cui esame è dedicato il paragrafo 3.3.
Trasferimenti di immobili inseriti in piani particolareggiati: riferimenti normativi, tecnica
legislativa, concetti e requisiti
Una normativa speciale in materia riguarda il trattamento fiscale dei trasferimenti di
immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati. Da ultimo l’art. 1, commi 25-27,
della Legge 24 dicembre 2007, n. 244. così dispone:
“25. Nel testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, all’art. 1 della Tariffa, parte I, è aggiunto,
in fine, il seguente periodo: “Se il trasferimento ha per oggetto immobili compresi in piani
urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale
comunque denominati, a condizione che l’intervento cui è finalizzato il trasferimento venga
completato entro cinque anni dalla stipula dell’atto: 1 per cento.”
26. All’art. 1-bis della Tariffa annessa al testo unico delle disposizioni concernenti le imposte
ipotecaria e catastale, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347, sono aggiunte, in
fine, le seguenti parole: “, ovvero che importano il trasferimento di proprietà, la costituzione o
il trasferimento di diritti attinenti ad immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati
diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale comunque denominati.”
104 Sui concetti qui richiamati, vedasi il precedente capitolo 1.
53
27. All’articolo 36 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 e successive modificazioni, il comma 15 è abrogato” .
Pertanto, gli atti che prevedono il trasferimento105 dei predetti immobili posti in
essere dal 1° gennaio 2008 scontano l’imposta di registro all’1% (in luogo dell’8% o del
7%, rispettivamente in caso di terreni e di fabbricati), l’imposta ipotecaria al 3% e l’imposta
catastale all’1%, salvo che l’operazione non rientri nel campo di applicazione dell’Iva;
altrimenti, troveranno applicazione l’Iva secondo le regole ordinarie e, per il principio di
alternatività ex art. 40 del D.P.R. n. 131/1986, le imposte di registro, ipotecaria e catastale in
misura fissa.
L’intervento è significativo non solo da un punto di vista meramente fiscale, ma
anche sotto il profilo della tecnica legislativa utilizzata; tecnicamente, infatti, non si tratta
più di un’agevolazione106 come sostanzialmente risultavano configurati i noti precedenti
interventi in materia, ma di una diversa tassazione, nell’ambito della disciplina ordinaria
di un determinato tributo, riservata ad una particolare fattispecie traslativa rispetto a quella
generale dei trasferimenti immobiliari.
Il precedente più significativo in materia era rappresentato dal’art. 33, comma 3, della
legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria 2001); prima ancora107 il favor del legislatore verso
analoghe operazioni immobiliari era stato espresso con la disposizione, attualmente ancora
vigente, contenuta nell’art. 5 della legge 22 aprile 1982, n. 168, secondo cui: “Nell’ambito
dei piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati, di
cui agli articoli 27 e seguenti della legge 5 agosto 1978, n. 457, ai trasferimenti di immobili
nei confronti dei soggetti che attuano il recupero, si applicano le imposte di registro, catastali
105 Per “trasferimento” si intendono, ex art. 1 della Tariffa, Parte I, primo periodo, del D.P.R. n. 131/1986, gli
“atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi e costitutivi di diritti reali
immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per
pubblica utilità e i trasferimenti coattivi.”.
106 Prima dell’intervento della L. n. 244/07, il trattamento di favore per l’acquisto dei predetti immobili, pur
non essendo collocato all’interno del testo unico dell’imposta di registro, era comunque previsto “a regime”, in
quanto l’art. 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria 2001), prevedeva la sua applicazione
senza limiti temporali.
107 Tra le norme, oramai non più in vigore, si segnalano l’art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408 (c.d. Legge
Tupini), e l’art. 44 del D.L. 15 marzo 1965, n. 124, convertito nella legge 13 maggio 1965, n. 431. La prima
prevedeva “il beneficio dell’imposta fissa di registro e di quello della riduzione al quarto dell’imposta ipotecaria
per gli acquisti di aree edificabili” purché i medesimi avessero per oggetto la costruzione di case di abitazione
non di lusso (anche se comprendenti uffici e negozi, entro determinate percentuali) e purché la costruzione
iniziasse e venisse ultimata entro un dato termine. La seconda prevedeva la riduzione al 4% dell’imposta di
registro “per i trasferimenti a titolo oneroso e per i conferimenti in società di fabbricati e di aree destinati alla
costruzione edilizia, situati nel territorio nazionale”. Ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.L. 11 dicembre 1967,
n. 1150, convertito in legge 7 febbraio 1968 n. 26, la relativa costruzione doveva avvenire entro un certo termine
a pena di decadenza.
54
ed ipotecarie in misura fissa. Nello stesso ambito le permute sono esenti dall’imposta
sull’incremento di valore degli immobili, e sono soggette all’imposta di registro ipotecaria e
catastale in misura fissa”108.
L’evoluzione normativa in materia è contraddistinta da numerosi e ripetuti interventi
anche di portata interpretativa e/o di semplice adeguamento operativo109.
Da un punto di vista tecnico-formale è interessante notare come la previsione del
già richiamato comma 27 dell’art. 1 della legge 244/2007 si sia sviluppata utilizzando la
tecnica dell’ “abrogazione dell’abrogazione”, cosicché parrebbe sostenibile il ripristino
della vigenza dell’originaria previsione abrogata, contestualmente alla specifica nuova
previsione normativa; a tal proposito si osserva che la Suprema Corte a Sezioni Unite110, non
mettendo in discussione la tesi generale della reviviscenza della norma abrogata per effetto
dell’abrogazione della norma abrogante, se ed in quanto quest’ultima si limita ad abrogare
la precedente, ha sostenuto che tale tesi non è applicabile nel caso in cui la norma abrogante
modifichi la disciplina della fattispecie; ciò in quanto l’abrogazione non renderebbe esplicita
ed inequivocabile la voluntas del legislatore di far rivivere la disciplina originaria essendo nel
frattempo intervenuta una disciplina ispirata a diversa ratio.
Quanto al riferimento al concetto di piano particolareggiato, questo è inteso, almeno
in senso generale, come uno strumento urbanistico attuativo ed esecutivo del piano regolatore
generale, sia che l’iniziativa del procedimento amministrativo volto alla sua formazione venga
posta in essere dal privato che dall’amministrazione pubblica; rientrano, in tale concetto,
pertanto, il piano particolareggiato – in senso stretto – ad iniziativa pubblica, il piano di
lottizzazione, il piano per l’edilizia economica e popolare, il piano per gli insediamenti
produttivi ed il piano di recupero111.
Il piano regolatore generale del comune è stato configurato dal legislatore del 1942 come
uno strumento urbanistico che contiene normalmente indicazioni di carattere programmatico,
da sviluppare in piani esecutivi, di guisa che l’esistenza di piani particolareggiati, intesi nella
loro accezione generale, diventa indispensabile per il rilascio della concessione edilizia112.
108 Per l’approfondimento anche in termini di relazione tra la norma speciale di cui alla Legge n. 168/1982 e
la norma generale di cui alla Legge n. 388/2000, si veda lo specifico approfondimento di cui al paragrafo 3.4.
109 Vedasi anche l’ampio esame di cui alla nota 1 del successivo paragrafo 3.4.
110 Sent. n. 25551 del 23 ottobre 2007.
111 Non sono mancate, tuttavia, interpretazioni più restrittive, in particolare con rinvio al solo strumento
urbanistico di iniziativa pubblica ex art. 13 e ss. L. 1150/42; vedasi i riferimenti citati alla nota 1 del paragrafo
3.4.
112 Vedasi, analiticamente, il precedente cap. 1.
55
Ciò, tuttavia, come è stato rilevato in dottrina, non esclude che il piano regolatore generale
possa contenere nella pratica “anche prescrizioni categoriche immediatamente impegnative
ed obbligatorie, come tali costitutive di vincoli indipendentemente dalla formazione di uno
strumento particolareggiato”113.
L’originario art. 33, comma 3, della Legge n. 388/2000, faceva propendere per la
nozione di piano particolareggiato nell’accezione generale, anche se un’interpretazione
logico-sistematica, doveva far ritenere escluse dall’ambito di applicazione della norma le
aree comprese nei piani di zona (cd. Piani PEEP – piani per l’edilizia economica e popolare)
e nei piani per insediamenti produttivi (cd. Piani PIP), in quanto assoggettati ad un regime
fiscale più favorevole ex art. 32, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (imposta di
registro in misura fissa ed esenzione da imposte ipo-catastali); altrettanto valeva per le aree
inserite nei piani di recupero ad iniziativa sia privata che pubblica, di cui agli articoli 27 e ss.
della legge 5 agosto 1978, n. 457 (imposte di registro ed ipo-catastali in misura fissa e, per le
permute, esenzione da Invim)114.
La normativa vigente dal 2008, invece, precisa che il piano particolareggiato deve
essere diretto “all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale”, escludendo, pertanto,
quelli destinati a realizzare insediamenti produttivi, industriali, commerciali ed artigianali115.
Sotto il profilo oggettivo il trasferimento deve aver per oggetto immobili, il cui
concetto giuridico si ricava dall’art. 812 del codice civile ed è assolutamente pacifico116;
comprende, pertanto, sia le aree nude edificabili, sia gli edifici sui quali venga programmato
ed attuato un intervento edificatorio. Con riferimento alla normativa precedente, vale la pena
di osservare, che non è più richiesta l’utilizzazione edificatoria dell’area, per cui anche il
trasferimento di un fabbricato esistente, ancorché non ultimato, usufruisce del trattamento
favorevole, così come l’acquisto di un fabbricato ultimato, ma non residenziale, rispetto al
quale un piano particolareggiato preveda una diversa destinazione di zona e ne consenta il
trasferimento ai fini della trasformazione in edificio residenziale nel termine di decadenza di
cinque anni dall’acquisto.
Sotto il profilo soggettivo non è previsto alcun requisito in capo alla parte acquirente,
a nulla rilevando, pertanto, la natura giuridica della medesima, né l’attività imprenditoriale
113 BERGONZINI, Piano regolatore particolareggiato, in Digesto discipline pubblicistiche, XI, Torino 1996,
p. 232.
114 Vedasi i richiami di cui al successivo paragrafo 3.4.
115 Sul requisito dei “programmi di edilizia residenziale”, vedasi anche i riferimenti di cui alla nota 7 del
paragrafo 3.4.
116 Vedasi il precedente paragrafo 2.1.
56
o meno concretamente esercitata. Si osserva, peraltro, che il trattamento tributario previsto
è applicabile a prescindere dalla presenza nell’atto di acquisto di richieste o dichiarazioni di
voler profittare della medesima da parte del contraente117. Il soggetto acquirente, inoltre, può
documentare l’inclusione dell’immobile nel piano particolareggiato con apposita dichiarazione
da menzionarsi nell’atto o a mezzo dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
Quanto ai riferimenti temporali, il vigente art. 1 della Tariffa, parte I, ultimo periodo,
del D.P.R. n. 131/1986, a seguito della modifica operata con la legge Finanziaria per
l’anno 2008, prevede una specifica ipotesi di decadenza del trattamento agevolato qualora
l’intervento cui è finalizzato il trasferimento non venga completato entro cinque anni dalla
stipula dell’atto. La formulazione della norma qualifica in senso soggettivo l’obbligo previsto,
facendolo sorgere nei confronti del soggetto che pone in essere l’acquisto, diversamente dalla
precedente disciplina che operava in senso sostanzialmente oggettivo; obbligato è, quindi, chi
ha goduto del trattamento di favore; ne consegue che il trasferimento dell’immobile prima
dell’ultimazione è causa di decadenza del trattamento di favore, non trovando nella fattispecie
applicazione gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali espressi durante la precedente
normativa, che seppur non univoci, propendevano per un reiterarsi del beneficio in capo agli
eventuali diversi acquirenti successivi nel quinquennio118.
Con riferimento alle conseguenze del mancato completamento dell’intervento entro
il quinquennio dall’acquisto, è interessante riflettere sul fatto che tale fatto negativo debba
essere o meno oggetto di denuncia così come previsto dall’art. 19, comma 1, del D.P.R. n.
131/1986, secondo cui: “… il verificarsi di eventi che, a norma del presente testo unico, diano
117 Con riferimento alla precedente disciplina, allorché la condizione di decadenza riguardava l’utilizzazione
edificatoria dell’area, era opportuno, volendo usufruire dell’agevolazione in sede di applicazione dell’imposta
principale, dichiarare tale intenzione nell’atto stesso o con altro documento, non potendo l’ufficio presumere tale
intenzione del contribuente.
118 Si segnala, peraltro, il parere difforme dell’Agenzia delle Entrate espresso nella Ris. n. 40/E del 31 marzo
2005. Con tale risoluzione, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la vendita dell’area edificabile acquistata
con l’agevolazione, in assenza di utilizzazione edificatoria, comporta la decadenza dai benefici.
Il caso riguardava l’acquisto delle aree in regime agevolato da parte di un Consorzio e la successiva cessione dei
singoli lotti inedificati alle imprese consorziate, per consentire poi la realizzazione dell’intervento edificatorio.
L’Agenzia ha ritenuto che il Consorzio fosse obbligato ad utilizzare direttamente l’area acquistata con il regime
agevolativo, a pena di decadenza dai benefici medesimi.
La soluzione fornita dall’Agenzia delle Entrate ha sollevato notevoli perplessità in merito alle condizioni da
soddisfare al fine di poter usufruire dell’agevolazione fiscale; infatti, la condizione prevista dalla norma risulta
quella dell’utilizzazione edificatoria entro cinque anni dall’acquisto agevolato, senza precludere espressamente la
possibilità di trasferire l’area totalmente o parzialmente inedificata, fermo restando la necessità che l’utilizzazione
avvenga entro cinque anni dal primo acquisto (in tal senso: vedasi Commissione Tributaria Provinciale di Treviso
n. 99 del 12 settembre 2007, Commissione Tributaria Regionale Emilia Romagna n. 156 del 25 ottobre 2006 e
Studio del Notariato n. 2/2001/T). Le perplessità erano ancora più giustificate in considerazione del testo letterale
di cui ad un’agevolazione molto simile, quella prevista all’art. 5 Legge 168 del 1982, che nel suo contesto
prevede effettivamente una caratterizzazione soggettiva (a “favore” dei soggetti che attuano il recupero).
57
luogo ad ulteriore liquidazione di imposta devono essere denunciati entro venti giorni, a cura
delle parti contraenti o dei loro aventi causa e di coloro nel cui interesse è stata chiesta la
registrazione, all’ufficio che ha registrato l’atto al quale si riferiscono”.
Verificandosi la decadenza, quindi, l’ufficio deve emettere atto di accertamento e di
liquidazione dell’imposta complementare di registro dovuta119, comprensiva degli interessi
di mora120 che decorrono dalla data di registrazione dell’atto121. Inoltre, ai sensi dell’art. 57,
comma 4, del D.P.R. n. 131/1986, l’imposta complementare dovuta per un fatto imputabile
esclusivamente ad una delle parti contraenti, in deroga al principio di solidarietà passiva,
rimane a carico soltanto della parte responsabile.
Qualora si sia dato seguito alla denuncia ex art. 19, le sanzioni non saranno
applicabili, in virtù del principio di tassatività di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997 (nessuna
sanzione può essere comminata in assenza di una precisa norma di legge). Nell’ipotesi di
mancata presentazione della denuncia ex art. 19, troverà, invece, applicazione la sanzione
amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta ex art. 69
del D.P.R. n. 131/1986.
Infine, il termine entro cui l’ufficio deve provvedere al recupero dell’imposta
complementare in presenza della denuncia ex art. 19 è di tre anni decorrenti dalla presentazione
della stessa; nel caso in cui la decadenza sia determinata dall’alienazione dell’area in mancanza
di completamento dell’intervento, il termine triennale decorrerà dalla data di registrazione
dell’atto di trasferimento122.
119 La decadenza di agevolazione determina la liquidazione dell’imposta complementare; vedasi: Cass. 29
settembre 1999, n. 10796; Cass. 21 maggio 1999, n. 4944; Comm. trib. reg. Napoli 18 novembre 1998; Cass. 19
febbraio 1997, n. 26; Cass. 13 novembre 1991, n. 12127; Circ. Dir. Reg. Entrate Lombardia 14 luglio 2000, n.
24/60661; Ris. Min. Fin. 1 giugno 1979, n. 251347; Ris. Min. Fin. 20 dicembre 1990, n. 260211; Ris. Min. Fin.
10 marzo 1989, n. 310650; Ris. Min. Fin. 11 luglio 1986, n. 43/3153.
120 Vedasi per tutte: Circ. Min. Fin. 24 febbraio 1988, n. 19/250617; Ris. Min. Fin. 24 giugno 1988, n.
400533; Comm. Trib. Centr. 3 dicembre 1999, n. 7257.
121 Non sembra dubitabile la circostanza che, rispetto alla previgente disciplina, con riferimento alla quale si
poteva discutere a riguardo di decadenza parziale nel caso in cui l’utilizzo edificatorio non fosse totale, la vigente
disciplina non prevede una decadenza proporzionata alla percentuale dell’intervento non completata, facendo
esclusivo riferimento al completamento dell’intervento nel quinquennio.
122 V. Comm. Trib. Centr. 7 ottobre 1992, n. 5363, in Comm. Trib. Centr., 1992, I, p. 752; Cass. S.U. 21
novembre 2000, n. 1196.
58
3
IMPOSTE INDIRETTE E URBANISTICA:
ESAME DI ALCUNE PROBLEMATICHE
OPERATIVE
ED APPLICATIVE
L’esame delle problematiche operative ed applicative nel rapporto tra imposte indirette
e strumenti urbanistici ci porta a focalizzare l’attenzione su alcune fattispecie:
−
la nozione di “area fabbricabile” o “edificabile”, variamente richiamata dalle specifiche
discipline dei singoli tributi e altresì oggetto di recenti interventi legislativi;
−
la nozione di opere di urbanizzazione richiamata dalla disciplina IVA;
−
l’istituto della ricomposizione fondiaria ed i tributi sui “trasferimenti”;
−
i trasferimenti di immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati e/o
nell’ambito di piani di recupero.
3.1. La nozione di area “fabbricabile” ai fini tributari: evoluzione normativa e
problemi irrisolti
Il dibattito giurisprudenziale e dottrinale svoltosi negli ultimi anni intorno al variegato
concetto di area edificabile ai fini dell’applicazione di vari tributi è stato particolarmente
acceso e oggetto delle più disparate determinazioni tendenti a dare di volta in volta rilievo
a concetti “fattuali” o “giuridici” e, tra quest’ultimi, al compimento delle diverse fasi dei
complessi procedimenti amministrativo-urbanistici123.
Sulle innumerevoli difformità di interpretazioni, è intervenuto l’art. 36, comma
2, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223124, secondo cui “ai fini dell’applicazione del decreto del
123 Vedasi l’ampio esame, con relativi riferimenti, condotto da GIOVAGNOLI, RE, REBECCA, Terreni
e Fisco, Milano, 2006, pagg. 15 e seguenti; vedasi altresì: PURI, La nuova nozione di terreno edificabile fra
interventi giurisprudenziali e legislativi in Rivista di diritto tributario, 2007, II, pag. 80 e seguenti; LUNELLI,
La diversa valenza della nuova definizione di aree edificabili, in Il Fisco 2008-1, pag. 6263; GAVELLI, Nozione
univoca (ma discutibile) di area edificabile, in Corriere Tributario, 2006, pag. 2584 e seguenti.
Per un elenco di pronunce della giurisprudenza sul rapporto tra area edificabile e strumento urbanistico non
ancora perfezionati, vedasi CONIGLIARO, Osservazioni sulla giurisprudenza tributaria: aree edificabili e
strumenti urbanistici, in Guida ai controlli fiscali, 2009, pagg. 70 e seguenti.
124 Convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248.
59
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del decreto del Presidente della
Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare
fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale
adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione
di strumenti attuativi del medesimo”; la disposizione si caratterizza per il rinvio a nozioni di
diritto amministrativo e urbanistico, quali la definizione di “strumento urbanistico generale”
e di “strumenti attuativi”125, oltre che per il richiamo ai momenti dell’ “adozione” e dell’
“approvazione” tipici degli istituti di diritto “procedurale”126.
Senza voler entrare in questa sede nella complessa e dibattutissima questione sulla
natura di norma di interpretazione autentica o meno127 attribuibile al citato art. 36, comma 2, il
125 Si vedano i precedenti paragrafi 1.3, 1.4 e 1.5.
126 Sui concetti di “adozione” e “approvazione”, nonché sulle norme procedimentali in genere in materia
urbanistica, vedasi il precedente capitolo 1 ed in particolare il paragrafo 1.6.
127 Questione da cui si fa derivare l’efficacia retroattiva o meno della disposizione stessa; per la natura
interpretativa si è fin da subito espressa l’Agenzia delle Entrate con la circolare 28/E del 4 agosto 2006; così pure
la Corte di Cassazione, SS.UU., con la sentenza 30 novembre 2006, n. 25506, in materia di Ici (vedasi anche il
commento di GLENDI, Sezioni Unite della Cassazione e legislatore pro fisco – a proposito di edificabilità dei suoli
ai fini impositivi- in GT Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 2006, pag. 6 e seguenti). La Corte Costituzionale,
con le ordinanze nn. 41, 266 e 394 rispettivamente del 27 febbraio 2008, 10 luglio 2008 e 28 novembre 2008, ha
dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 36, comma 2, D.L.
223/06, seppur non esprimendosi sulla predetta questione in termini generali, ma rispetto alla specifica previsione
ai fini Ici. In dottrina vedasi LUNELLI, La diversa valenza della nuova definizione di aree edificabili, op.cit.,
pag. 6261 e seguenti, secondo il quale la natura interpretativa non può riguardare il settore delle imposte dirette
e dell’Iva, “non solo perché si porrebbe in conflitto con le previsioni dello Statuto dei diritti del contribuente e
contrasterebbe con una lettura sistematica della disposizione nell’ambito dello stesso decreto, ma, soprattutto,
perché violerebbe la disposizione dell’art. 53 della Costituzione: verrebbe, infatti, introdotto (surrettiziamente)
un presupposto impositivo, prima inesistente, attraverso una (pretesa) interpretazione autentica che non è
compatibile (e, anzi, è contraria) rispetto alle disposizioni che si vorrebbe farle interpretare e che sono contenute
– rispettivamente – nell’art. 67, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 917/1986 e nell’art. 2, comma 3, lettera c), del
D.P.R. n. 633/1972 (le cui disposizioni sono rimaste immutate)”; tanto più, che in assenza di un vero e proprio
contrasto interpretativo verificatosi nei comparti sopra citati, l’autore rileva che “la stessa Corte Costituzionale
ha più volte affermato che il legislatore “non può” valersi dello strumento della “interpretazione autentica”
in assenza di un reale contrasto sull’interpretazione e sull’applicazione di specifici provvedimenti normativi, a
maggior ragione se tale strumento è utilizzato per mascherare norme effettivamente innovative”. Sull’argomento,
vedasi anche GAVELLI, Nessuna plusvalenza tassabile se lo strumento regionale sancisce l’inedificabilità, in
Corriere Tributario 2009, pag. 199, nonché ATTARDI, La nozione di area fabbricabile ai fini delle imposte sul
reddito, in Il Fisco, 2009 – 1, pag. 1502.
Sull’ampio dibattito in materia, vedasi anche GAVELLI, VIANELLI, Area edificabile, i giudici non sciolgono il
rebus, in Il Sole 24 Ore del 2 febbraio 2009, a commento del contrasto interpretativo sorto tra due sezioni della
Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna. L’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione
della norma tributaria in materia di edificabilità ha portato la Cassazione, con la sentenza n. 25928 del 29 ottobre
2008, a ritenere non dovute le sanzioni in sede di accertamento sul valore ai fini ICI.
In generale, sui temi di legittimità costituzionale dell’interpretazione autentica retroattiva, vedasi FALSITTA,
Abuso di interpretazione autentica, obiter dictum e rispetto della parità delle parti sancita dai principi del giusto
60
nuovo “aggancio” tra la normativa urbanistica da una parte e quella tributaria dall’altra porta a
concludere che la scelta del legislatore fiscale sia stata quella di “anticipare” il riconoscimento
della sussistenza dei richiamati connotati tecnici (l’utilizzabilità a scopo edificatorio) alla
“prima” fase deliberativa del complesso procedimento, a “formazione progressiva”, che porta
alla qualificazione di edificabilità “urbanistica” di un’area128; scelta che si manifesta quindi
chiaramente a favore del titolo del presupposto in sé e per sé129, a prescindere dalla liceità e
dal perfezionamento dello stesso sotto il profilo amministrativo-urbanistico130.
Ciò non toglie, evidentemente, che le norme fiscali non possano non tener conto
dello stato di avanzamento del complesso iter amministrativo previsto dalla normativa
urbanistica, se non altro laddove le norme stesse fanno riferimento al “valore” delle aree
processo, in Rivista Diritto Tributario, 2006, II, pag. 900 e seguenti.
128 Su tali diversi momenti del procedimento amministrativo, si contrapponevano le due diverse tesi a favore
rispettivamente del concetto di “edificabilità potenziale” (deducibile dall’aspetto anche solo formale degli
strumenti urbanistici generali) e di “edificabilità effettiva” (deducibile dalla possibilità pratico-sostanziale di
richiedere ed ottenere il titolo abilitativo alla costruzione).
129 In verità l’evoluzione normativa ha già reso problematico il riferimento voluto dal legislatore al momento
di adozione del PRG; nelle Regioni in cui è stato adottato il modello della pianificazione generale su due livelli
(piano strutturale e piano operativo), infatti, tale riferimento parrebbe poter essere applicato al piano operativo in
quanto il piano strutturale ha caratteri di genericità decisamente marcati (individuazione dei soli perimetri delle
aree in cui il secondo piano potrà prevedere l’edificabilità); vedasi a tal riguardo BUSANI, Per l’area edificabile
il PRG non basta più, in Il Sole 24 Ore del lunedì, Norme e tributi, 17 novembre 2008, pag. 3 (già citata alla
nota 4 del precedente paragrafo 1.6) nonché ATTARDI, La nozione di area fabbricabile ai fini delle imposte sul
reddito, op.cit.. La tesi prevalente sembra orientata al concetto di edificabilità legata al piano operativo e non a
quello strutturale, in ciò “assistita” sotto il profilo operativo, dalla prassi dei Comuni secondo cui un’area viene
certificata (nei certificati di destinazione urbanistica) come edificabile se ricompresa nel piano operativo, così
come solo in sede di adozione del piano operativo vengono notificati gli avvisi ai fini ICI.
Sull’argomento, in generale, vedasi quanto già riportato al precedente paragrafo 1.6.
130 È interessante richiamare la relazione governativa al D.L. 223/06 nella parte in cui viene precisato che
la disposizione di cui agli art. 36, comma 2, “mira a omogeneizzare la nozione di terreno o area edificabile, in
relazione all’applicazione dei diversi tributi che a tale categoria di beni riservano trattamenti peculiari (IVA,
imposta di registro, imposte sui redditi e ICI)”. La Relazione continua affermando che “in particolare, viene
chiarito che l’edificabilità si riconnette all’esistenza del piano regolatore generale che qualifica il terreno come
fabbricabile, non essendo quindi necessario che sussista anche il piano di attuazione dello strumento urbanistico
generale. La norma chiarisce, altresì, che ai fini della qualificabilità dell’area, come terreno edificabile,
è sufficiente che il piano regolatore generale sia stato adottato dal comune competente, anche se l’iter di
approvazione del predetto piano non si è ancora concluso con la prescritta approvazione regionale”. La circolare
dell’Agenzia delle Entrate n. 28 del 4 agosto 2006, emanata a chiarimento delle nuove disposizioni, evidenzia che
“in sostanza, la disposizione sopra richiamata estende alle imposte sui redditi, all’IVA e al registro, il concetto
di “area fabbricabile” contenuto nell’articolo 11-quaterdecies, comma 16, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203,
convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, il cui ambito applicativo era riservato alla
sola imposta comunale sugli immobili di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504”. Secondo GIOVAGNOLI, RE,
REBECCA, in Terreni e Fisco, op. cit., pag. 14, tale affermazione dell’Agenzia, non è condivisibile in quanto, il
nuovo D.L. 223/06 collega l’edificabilità al momento dell’adozione del P.R.G. mentre il D.L. 203/05 sanciva che
l’edificabilità di un terreno ai fini Ici era indipendente dall’adozione degli interventi attuativi del P.R.G.
61
quale “parametro” dell’imposizione131; la “scala” dei valori, infatti, non può prescindere dalle
caratteristiche e dallo stato del procedimento urbanistico, cosicché due terreni identici in
termini di destinazione urbanistica e di superficie, entrambi “edificabili” per il legislatore
fiscale132, avranno trattamenti diversi (in ragione dell’effettiva e rispettiva diversità dei valori
commerciali) se ed in quanto interessati da due diversi “stadi” nell’ambito del relativo
procedimento amministrativo133.
Un’annotazione sull’argomento in esame riguarda le problematiche insite nella
definizione di “edificabilità”, non tanto dal punto di vista procedurale (che, per quanto sopra,
il D.L. 223/06, sembra aver risolto, fatti salvi i nuovi problemi recati dal doppio livello della
pianificazione generale), quanto “contenutistico”; l’aggettivazione di “utilizzabilità a scopo
edificatorio” rinvia letteralmente a connotazioni che ne sottolineano i caratteri di potenzialità
“fattuale” in sé e per sé (in senso oggettivo), slegata da ulteriori requisiti di finalità (usi
e destinazioni) o tipologici (edifici, opere minime, interventi, ecc.); così, se effettivamente
la ratio del legislatore è stata quella di risolvere i tanti problemi legati alla nozione di
edificabilità di un terreno, la portata dell’intervento ha una sua effettiva valenza solo in
termine di “individuazione temporale” sul ciclo di formazione progressiva del procedimento
amministrativo, ma non apporta alcun contributo innovativo in ordine alla qualificazione dei
terreni la cui destinazione urbanistica non sia propriamente né fabbricabile né agricola, come
tipicamente e diffusamente accade per quelle superfici che le norme urbanistiche usualmente
definiscono “zone a verde attrezzato”, “zone agricole”, “zone di rispetto” (stradale, cimiteriale,
aeroportuale, ecc..) o “per attrezzature o opere di pubblico interesse”, ma con attribuzione di
specifici, condizionati e/o vincolati volumi edificatori, spesso quantificati in modo “fisso” e/o
per “indice”134.
131 Ciò vale per tutti i tributi: imposte dirette, Iva, registro e accessorie, ICI; secondo la Cassazione, SS.UU.,
nella sentenza 25506 del 28 settembre 2006 “non bisogna confondere lo ius edificandi con lo ius valutandi, che
poggiano su differenti presupposti. Il primo sul perfezionamento delle relative procedure, il secondo sull’avvio
di tali procedure. Non si può costruire se prima non sono definite tutte le norme di riferimento. Invece, si
può valutare un suolo considerato “a vocazione edificatoria”, anche prima del completamento delle relative
procedure. Anche perché i tempi ancora necessari per il perfezionamento delle procedure, con tutte le incertezze
riferite anche a quelli che potranno essere i futuri contenuti prescrittivi, entrano in gioco come elementi di
valutazione al ribasso”.
132 In quanto per entrambi è avvenuta l’ “adozione” del P.R.G, nel senso voluto dal legislatore e sopra
richiamato.
133 Ad esempio: solo adottato il P.R.G. in un caso; approvato anche lo strumento attuativo (es. lottizzazione)
in un altro; vedasi GIOVAGNOLI, RE, REBECCA, Terreni e fisco, op. cit., pag. 11 e seguenti.
134 Secondo il Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 28 giugno 2002, n. 3570, “la destinazione di zona a
parco pubblico non è suscettibile di edificazione”; così altresì Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 17 luglio
2002, n. 3999; vedasi anche le sentenze della Cassazione nn. 7258/2001, n. 2272/1999 e 4921/1998. Analoghe
problematiche si presentano per le aree classificate come edificabili, ma di fatto prive di capacità volumetrica (es:
62
Sul punto alcune note ministeriali135, anche se datate, espongono l’orientamento di non
considerare edificabili tali aree “grigie” a condizione che l’assenza di possibilità edificatoria
risulti in modo inequivocabile dalle certificazioni di natura urbanistica.
La giurisprudenza stessa ha più volte sottolineato la rilevanza della nozione tecnicogiuridica di “costruzione” per la qualificazione di edificabilità, cosicché un’area diviene tale se
il piano regolatore generale ne prevede la destinazione esclusiva e vincolata alla realizzazione
di un insediamento non abitativo, né industriale o direzionale, ma di “attrezzature ricreative
speciali”136.
aree asservite a favore di un lotto adiacente), oppure per le aree a destinazione urbanistica agricola, ma coltivate
a cava o miniera.
135 Risoluzione 27 novembre 1989, n. 400756; Risoluzione 10 settembre 1991, n. 430065; Circolare 3 agosto
1979 n. 25/364695; Risoluzione 18 febbraio 1983, n. 354968.
136 Commissione Tributaria Centrale, 7 maggio 1996, n. 1687; Cassazione 25 maggio 2002, n. 7676; Cassazione
27 novembre 2000, n. 15255; Cassazione 29 novembre 2000, n. 15312; Commissione Tributaria Centrale 30
settembre 1983, n. 2632. Secondo la Corte Costituzionale, sentenza n. 179 del 5 ottobre 1999, “sono al di fuori
dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con
l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto
specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente
espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e
senza necessità di previa ablazione del bene”; inoltre secondo la Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 172
del 23 aprile 2001 “la destinazione (di zona) non esclude la vocazione edificatoria. Atteso che l’edificabilità non
si identifica né si esaurisce in quella residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione
del suolo – in via di principio non precluse all’iniziativa privata – che siano riconducibili alla nozione tecnica
di edificazione e che siano, come tali, soggette al regime autorizzatorio ex art. 1 legge n. 10/1977”; secondo la
Cassazione “ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, un’area è da considerare edificabile
per il solo fatto che risulti classificata come tale dallo strumento urbanistico; la vocazione edificatoria non può
essere desunta come tale dallo strumento urbanistico”, e quindi la relativa connotazione di edificabilità non può
derivare solo da tale parametro, considerato che la destinazione ad infrastrutture o parcheggi, ad esempio, è
indice di una capacità edilizia esercitabile anche da privati ed assoggettata alle regole urbanistiche generali.
Con la recente sentenza 24 ottobre 2008, n. 25672, la Corte di Cassazione si è espressa per l’inapplicabilità
dell’ICI ad un’area destinata a verde pubblico, in quanto tale previsione amministrativa impedisce ai privati “la
trasformazione del suolo riconducibile alla nozione tecnica di edificazione”.
Diversamente, con la sentenza 12 settembre 2007, n. 19131, la medesima Corte, in materia di ICI su un terreno
qualificato da PRG a “standard” (e quindi vincolato a esproprio), aveva rilevato che “deve escludersi che
un’area edificabile assoggettata a vincolo urbanistico che la destini all’espropriazione, sia, per ciò stesso, esente
dall’imposta”. Infine, con la sentenza 14 giugno 2007, n. 13917, la Cassazione richiamava il principio secondo
cui, ove la zona sia stata “concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico,
attrezzature pubbliche, ecc..), la classificazione apporta un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte
quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione”.
La stessa Corte, con sentenza 23 settembre 2004, n. 19161, aveva espresso il principio secondo cui, “la
destinazione attribuita all’area dalla classificazione in zona F/1 comporta l’attribuzione alla stessa di una
vocazione edificatoria, sia pure specifica, essendo consentito ai privati proprietari di realizzare le opere previste
e, quindi, di sfruttare economicamente il loro diritto dominicale”, nonché avvallato l’indirizzo già espresso
dalla Corte Costituzionale con la richiamata sentenza n. 179 del 1999 secondo cui “sono al di fuori dello
schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con
l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto
63
Non si può quindi mancare di sottolineare, al riguardo, l’importanza, ai fini tributari,
di una corretta preliminare e preventiva qualificazione urbanistica della destinazione di
un’area137, in particolare se ed in quanto l’area stessa costituisca parte di un piano più generale
la cui capacità edificatoria sia legata al perimetro del più ampio ambito del piano stesso,
secondo criteri redistributivi di volumetria e vincoli di dettaglio all’interno del piano e a
prescindere dalle rispettive titolarità soggettive; così un terreno per il quale il PRG preveda la
destinazione a verde pubblico, ma all’interno di una zona la cui edificazione è condizionata
all’approvazione di idoneo strumento urbanistico attuativo, potrà essere definito di per sé
“utilizzabile a scopo edificatorio” se ed in quanto quella specifica destinazione e collocazione
costituisca condizione necessaria per l’approvazione dell’intero comparto lottizzatorio e
la sua superficie concorra, a mezzo indice, alla determinazione della volumetria spettante
all’intero comparto; a diversa conclusione, invece, dovrebbe giungersi nel caso in cui a quel
medesimo terreno uno strumento urbanistico strutturato in modo diverso assegni sì la stessa
destinazione a verde pubblico, ma la relativa superficie non concorra, a mezzo indice tecnico,
alla determinazione della volumetria spettante all’intero comparto138.
Analoga e connessa problematica sull’aspetto “contenutistico” del concetto di area
edificabile è rappresentata dalla qualificazione delle caratteristiche di pertinenzialità di un
terreno rispetto ad un fabbricato; qualificazione in cui si intrecciano valutazioni di ordine
civilistico139 ed urbanistico-catastali140; dal punto di vista adottato nell’elaborazione di questo
specifico) astrattamente realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino
necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal
soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene”.
137 L’importanza di tale qualificazione è stata rilevata anche dalla recente Risoluzione n. 6/E del 7 gennaio
2009, laddove l’Agenzia ha definito “agricolo” un terreno, sia pure con sovrastante distributore di carburanti,
ma così definito dal PRG; in senso critico vedasi GAVELLI, “Con il distributore il fondo è agricolo”, in Il Sole
24 Ore del 9 febbraio 2009, il quale richiama la pronuncia della Corte di Cassazione n. 9131/2006 secondo cui
l’edificabilità va valutata anche al di fuori di una previsione programmatica urbanistica in base ad una serie di
“fatti indice” (“edificabilità di fatto”).
138 Secondo PURI, La nuova nozione di terreno edificabile fra interventi giurisprudenziali e legislativi, op. cit.,
pag. 100, le valutazioni in ordine all’estensibilità della definizione di edificabilità di un terreno anche alle predette
zone “possono essere applicate solo ai fini dell’imposta ICI” considerato che “l’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992
... è preordinato allo specifico scopo di individuare i criteri per la determinazione dell’indennità d’esproprio,
mentre, al contrario, le altre disposizioni in materia tributaria si ricollegano esclusivamente alle disposizioni in
materia urbanistica, ovvero, ai soli strumenti urbanistici adottati”. Stante il carattere generale della definizione
giuridico-urbanistica, si ritiene di non poter condividere tale settoriale impostazione, non fosse altro perchè
l’art. 2 citato richiama in ogni caso il concetto di edificabilità in base agli strumenti urbanistici, integrato, nella
fattispecie (“ovvero”) dal criterio di edificabilità di fatto (“possibilità effettive di edificazione”).
139 Vedasi le definizioni giuridiche e relative problematiche analizzate al precedente paragrafo 2.2.
140 64
Richiamando espressamente quanto già riportato al precedete paragrafo 2.2, secondo l’Agenzia delle
lavoro è evidente come la caratterizzazione e definizione di un’area possa essere determinata
e/o resa determinante dalle specifiche previsioni su di essa estese da uno strumento
urbanistico attuativo; in tal senso appare rilevante il percorso logico-giuridico condotto
dall’Amministrazione Finanziaria in una recente pronuncia141 secondo cui – seppur a fini
diversi da quelli dell’imposizione indiretta – si è affermato che in ipotesi di trasferimento di
fabbricati ricadenti in un piano di recupero, oggetto della compravendita “non possano essere
più considerati i fabbricati, oramai privi di effettivo valore economico, ma, diversamente,
l’area su cui gli stessi insistono, riqualificata in relazione alla potenzialità edificatoria in
corso di definizione…”.
Seppur la pronuncia appaia criticabile sotto il profilo dei fini per i quali la stessa
è stata formulata142, è innegabile l’esistenza di un filone di pensiero che – in presenza di
determinati e ben definiti strumenti di diritto urbanistico – tende a definire il rapporto tra
norme fiscali e norme urbanistiche in senso di dipendenza assoluta delle prime rispetto alle
seconde; così, quindi, per ipotesi, se un “giardino”, seppur edificabile da PRG, ma avente tutti
i requisiti di pertinenzialità civilistica rispetto ad un’abitazione, può in linea generale essere
definito effettiva pertinenza (con tutte le conseguenze in termini fiscali derivanti dal fatto che
oggetto della relativa ipotetica cessione è un fabbricato e non un’area), così non si potrebbe
concludere se lo stesso “giardino” fosse compreso nell’ambito di uno strumento attuativo che,
in forza della relativa progettualità e normativa tecnica, ne qualifichi e valorizzi le specifiche
caratteristiche di volumetria, assetto e destinazione urbanistica143.
Entrate (vedasi circolare n. 38/E del 12 agosto 2005, in materia di agevolazioni “prima casa”) le aree scoperte
pertinenziali, per essere così classificabili ai sensi dell’art. 817 del codice civile, “devono risultare altresì censite
al catasto urbano unitamente al bene principale”. In pratica, secondo l’Agenzia delle Entrate, un terreno può
definirsi pertinenziale solo se “graffato” all’immobile principale. Così anche nella Risoluzione n. 32/E del 16
febbraio 2006. Secondo la Circolare Ministeriale n. 7/1106 del 10 giugno 1993 – risposta 5.17 – “il terreno che
sia effettivamente pertinenza di un edificio costituisce parte integrante dell’edificio stesso e, quindi, le rendite
catastali delle singole unità immobiliari formanti l’edificio comprendono anche la quota parte attribuibile al
terreno pertinenziale”.
141 Risoluzione n. 395/E del 22 ottobre 2008.
142 Vedasi il commento di BUSANI, Trasformazione fiscale da fabbricato a terreno, in Il Sole 24 ore dell’8
novembre 2008, pag. 31 secondo il quale il presupposto impositivo (cessione di area anziché di fabbricato) “non
può che essere la natura del bene venduto, ma non certo l’intenzione dell’acquirente”.
143 Sulla distinzione tra area e fabbricato, con tutte le relative conseguenze fiscali, si veda anche l’interessante
caso di cui alla sentenza n. 377/3/08 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano e richiamata da
CHIAMETTI, Il piano di recupero sfugge al fisco, in Il Sole 24 Ore del lunedì del 9 marzo 2009; nella fattispecie,
il collegio giudicante ha fatto leva sulla finalità del piano urbanistico mirato a “riqualificare il tessuto urbanistico
edilizio, ambientale” e quindi inteso a valorizzare i fabbricati già esistenti, per giungere alla conclusione che non
si trattava di un’area destinata ad essere edificata ex-novo, ma di un fabbricato il cui possesso ultraquinquennale
ha fatto dedurre ulteriormente l’insussistenza del presupposto impositivo della plusvalenza.
65
Altri aspetti di problematicità sull’argomento in oggetto discendono dal carattere
di riferimento puntuale (“fotografico”) del concetto di edificabilità fiscale rispetto a quello
“procedimentale” del diritto urbanistico; si pensi all’ipotesi in cui l’adozione del piano
urbanistico generale non sia seguito, o lo sia solo parzialmente, dalla definitiva approvazione;
in tal caso una lettura ragionata e sistematica della norma, unitamente al richiamo del
principio tempus regit actum, ci porta a concludere che il presupposto previsto dal legislatore
fiscale (l’edificabilità) non sussista in modo temporalmente indefinito, bensì limitatamente al
periodo necessario per dare definitività e suggello al procedimento amministrativo avviato
con l’adozione144.
A conclusioni diverse si deve giungere nell’ipotesi in cui la mancata definizione
del procedimento dipenda non tanto da determinazioni “ordinarie” degli organi ed enti di
competenza145, quanto da eventi che incidano ex tunc sull’esistenza stessa dell’adozione;
tipicamente una sentenza che dichiari la nullità dell’atto iniziale del procedimento urbanistico,
144 Vedasi, incidentalmente, la sentenza Cassazione, SS.UU., 30 novembre 2006, n. 25506, secondo cui, nella
specifica materia ICI, “possono verificarsi variazioni al rialzo, che comportano un maggior prelievo nel periodo
di imposta, o variazioni al ribasso (ad esempio, a causa della mancata approvazione del piano regolatore
generale), che attenuano il prelievo, senza che questo comporti, ex se, il diritto al rimborso per gli anni
pregressi [salvo che i comuni non ritengano, sul piano dell’equità, di riconoscere il diritto al rimborso, ex
art. 59, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 446/1997], durante i quali, comunque, l’imposta è stata commisurata
al valore venale di mercato. E non rileva, ai fini dell’Ici, che l’incremento di valore non sia stato monetizzato,
attraverso un atto di trasferimento oneroso, che, eventualmente, ricorrendone i presupposti di legge, avrebbe
potuto dar luogo ad una plusvalenza, soggetta ad imposta sul reddito. D’altra parte, anche un piano regolatore
generale approvato e vigente è soggetto a modifiche che possono portare a una diversa classificazione dei
suoli con conseguenti sensibili oscillazioni di valore. Per ragioni di equità, come già accennato, il legislatore
ha previsto espressamente che i comuni possano “prevedere il diritto al rimborso dell’imposta pagata per le
aree successivamente divenute inedificabili, stabilendone termini, limiti temporali e condizioni, avuto anche
riguardo alle modalità ed alla frequenza delle varianti apportate agli strumenti urbanistici” [art. 59, comma
1, lettera f), del D.Lgs. n. 446/199)]”.
Vedasi anche PURI, La nuova nozione di terreno edificabile fra interventi giurisprudenziali e legislativi, op. cit.,
pag. 103, secondo il quale il terreno rimane edificabile “fino a quando il Comune non recepisca le modifiche
richieste dalla Regione in un nuovo PRG adottato”. Secondo ATTARDI, “La nozione di area fabbricabile ai fini
delle imposte sul reddito”,op. cit., pag. 1505, “occorre, infatti, assegnare un trattamento tributario omogeneo a
fattispecie concrete assimilabili, pena la violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza, e
capacità contributiva. Se la cessione di un terreno agricolo, ereditato o posseduto da oltre un quinquennio, non
genera plusvalenza, non si vede perché debba, invece, essere tassata la plusvalenza generata dalla cessione di
un terreno che è definitivamente acclarato dalla Regione come non edificabile (sempre che siano già trascorsi
cinque anni dall’acquisto)”. Per una chiara qualificazione di “non edificabilità” ai fini tributari si è espressa
anche l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 460/E del 2 dicembre 2008 relativamente ad un terreno
rispetto al quale la Regione aveva rettificato l’iniziale adozione di PRG da parte del Comune.
145 Ad esempio, la mancata o parziale approvazione da parte degli organi regionali; cfr. CESTOFANTI,
Diritto a costruire – pianificazione urbanistica - espropriazione, Milano, 2005, Tomo I, p. 457 e seguenti, dove
si legge che “il provvedimento amministrativo di adozione della variante può essere censurato secondo i principi
generali laddove si riscontri un vizio di legittimità causato da eccesso di potere sia per carenza di motivazione
sia per contraddittorietà con precedenti provvedimenti o motivazioni addotte dall’amministrazione”.
66
ripristinando di fatto la situazione giuridica ante adozione146; la lettera della norma voluta
dal legislatore fiscale come “scelta” della rilevanza di un “momento” all’interno di un
procedimento che ha un “momento iniziale” ed uno “finale”, ci induce a ritenere che, se e
nella misura in cui l’atto iniziale non esiste, la norma stessa, relativamente a quell’atto di
adozione, non trova possibilità di applicazione, con le relative conseguenze in termini di
diverse tassazioni e possibile “reviviscenza” degli ambiti operativi delle vecchie disposizioni,
tuttora a sistema e non abrogate, disciplinanti i vari tributi147; disposizioni, queste, storicamente
oggetto di innumerevoli, complesse e diverse interpretazioni148, ma che, letteralmente, non
fanno riferimento ai “momenti” valorizzati come tali dal D.L. 223/06.
146 Vedasi quanto espressamente riportato sull’argomento al precedente paragrafo 1.6.
147 Nei casi e per le fattispecie in cui alla nuova norma non possa essere assegnata efficacia retroattiva; vedasi
la precedente nota 5.
148 Vedasi la precedente nota 1; tali controverse interpretazioni sono alla base della motivazione addotta dalla
Cassazione, nella sentenza n. 25928 del 29 ottobre 2008, secondo cui le incertezze sulla portata e sull’ambito di
applicazione della norma tributaria sulle aree edificabili ai fini ICI, consentono di ritenere non dovute le sanzioni
in sede di accertamento.
67
3.2.Le opere di urbanizzazione nell’ “urbanistica convenzionata”: definizioni,
disciplina e problematiche applicative
Come ampiamente richiamato nella prima parte del presente lavoro149, lo sviluppo
normativo in materia urbanistica, tendente a distinguere sempre più nettamente i rispettivi
livelli di pianificazione generale e specifico-attuativo, fa sì che gli interventi di riconversione,
ristrutturazione, ricomposizione o anche più semplicemente di nuovo utilizzo edificatorio,
siano sempre più frequentemente interessati da operazioni che si possono genericamente
definire di “urbanistica convenzionata”; con tali operazioni, il soggetto attuatore dell’intervento
urbanistico/edilizio assume obbligazioni aventi ad oggetto la realizzazione e/o la cessione
gratuita all’ente concedente e/o ad altri enti di aree ed opere di pubblico interesse150.
Su questo terreno è intervenuto in modo “deciso” il legislatore fiscale con l’art. 51
della L. 21 novembre 2000, n. 342151, il cui scopo è stato quello di superare le incertezze
interpretative sorte per i contrastanti orientamenti manifestatisi fino ad allora nella prassi
ministeriale ed in giurisprudenza circa il trattamento fiscale, agli effetti dell’IVA, applicabile
alle predette operazioni152.
Prima del richiamato intervento, infatti, prassi e giurisprudenza, oltre che dottrina,
discutevano sulla assoggettabilità o meno ai fini IVA di tali cessioni, di volta in volta adducendo
l’applicabilità di norme speciali agevolative o di norme generali IVA, fino ad arrivare ai
principi generalissimi sulla natura impositiva o meno degli atti urbanistici di riferimento153.
La nuova norma ha utilizzato non tanto il meccanismo di “esenzione”, quanto quello
149 In particolare, vedasi il paragrafo 1.4.
150 Vedasi la parte del precedente paragrafo 2.4 dedicato alla “Legge Bucalossi”.
151 Secondo il quale “Non è da intendere rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, neppure agli
effetti delle limitazioni del diritto alla detrazione, la cessione nei confronti dei comuni di aree o di opere di
urbanizzazione, a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione”.
152 2.4.
In tal senso si è espressa la circolare del 16 novembre 2000, n. 207/E, par. 2.1.11; vedasi il paragrafo
153 Relativamente alle cessioni gratuite delle aree a favore del Comune, ad esempio, non si riteneva applicabile
la norma sull’esenzione prevista al n. 12 dell’art. 10 D.P.R. 633/72 in quanto il Comune non veniva fatto rientrare
tra i soggetti ivi previsti (“enti con esclusiva finalità di assistenza, beneficenza, educazione, ecc.”). Le opere di
urbanizzazione realizzate “a scomputo” di contributi, venivano qualificate come prestazioni di servizi imponibili
ai fini Iva, con corrispettivo pari agli importi scomputati. La giurisprudenza, invece, era prevalentemente a favore
dell’esclusione, valorizzando l’assenza di corrispettivo.
Sull’evoluzione della problematica e le varie soluzioni adottate, si veda l’ampia casistica citata da DEL
FEDERICO, Rilevanza ai fini Iva della cessione di immobili a scomputo di oneri di urbanizzazione, in Il Fisco
2003-1 p. 1436 e seguenti, nonché Trattamento fiscale delle aree cedute gratuitamente ai comuni, in Il Fisco,
1998, pag. 10368.
68
più radicale dell’ “esclusione” dall’ambito di applicazione del tributo, disponendo altresì,
molto opportunamente da un punto di vista tecnico-operativo, che l’esclusione stessa non
rileva ai fini dei complessi meccanismi regolanti il diritto alla detrazione dell’imposta154.
L’utilizzo dello schema dell’ “esclusione” porta a qualificare l’intervento del legislatore
come finalizzato ad una definizione della natura “non sinallagmatica” delle operazioni in
oggetto; in sostanza, le obbligazioni che il soggetto operatore assume non hanno il carattere
di corrispettività insito nelle nozioni di “cessione di beni” o “prestazioni di servizi” così come
definite all’art. 1 del D.P.R. 633/72.
Tale natura è indotta e definita in modo palesemente causale e coordinata rispetto alla
normativa urbanistica di livello esecutivo che, come già esaminato nel precedente capitolo
1, attribuisce ai vari “strumenti attuativi” la funzione di dare concreta attuazione alla scelta
pianificata di assetto del territorio; nell’ambito quindi di tali strumenti attuativi, la previsione
delle opere, la cui esecuzione viene posta a carico del soggetto attuatore, assume una rilevanza
fondamentale quale espressione esecutiva del potere assegnato dalla norma urbanistica
all’ente competente in materia di assetto del territorio e di edilizia in particolare.
Tali considerazioni portano a concludere per la natura impositiva e non negoziale della
“convenzione urbanistica”155, la cui essenza giuridica, al di là della sua definizione formale
che richiama caratteri contrattuali, è assimilabile a quella di un “onere” quale prestazione
avente le caratteristiche di obbligatorietà tipiche della nozione costituzionale di “prestazione
patrimoniale imposta”156.
Tutto ciò premesso, la prassi applicativa della disposizione ha in realtà presentato
diverse problematiche, concentratesi particolarmente sulle interpretazioni strettamente
letterali fornite in più occasioni dall’Amministrazione Finanziaria relativamente al concetto
di “opere di urbanizzazione primaria e secondaria”; secondo l’Agenzia delle Entrate, infatti,
il regime di esclusione dell’art. 51 L. 342/2000157 deve intendersi operante solamente ed
154 Prevenendo ulteriori e legittimi dubbi e derogando all’art. 19 del D.P.R. 633/1972, l’art. 51 della citata
legge aggiunge che le predette cessioni non rilevano neppure agli effetti delle limitazioni del diritto alla detrazione,
per cui le imprese che le pongono in essere hanno titolo a recuperare l’imposta a “monte”, ancorché afferente
operazioni “a valle” non soggette al tributo.
155 Sulla predetta natura, vedasi le argomentazioni svolte al precedente paragrafo 1.6, nonché la sentenza della
Commissione Tributaria di I° grado di Alessandria, 26 giugno 1986 n. 380, in Bollettino Tributario n. 3/1987 pag.
253, e la sentenza della Commissione Tributaria di II° grado di Alessandria, 27 ottobre 1998, n. 505.
156 Sulla definizione di tale nozione, vedasi il precedente paragrafo 1.6.
157 Risoluzione n. 6/E del 14 gennaio 2003; nel caso specifico l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto
l’applicabilità dell’art. 51 L. 342/2000 unicamente alla cessione al Comune di un’area con annessa scuola
materna, mentre è stata esclusa per l’area con sovrastante fabbricato ad uso circolo ricreativo, in quanto non
costituente opera di urbanizzazione. Analoga determinazione forma oggetto della Risoluzione n. 37/E del 21
69
esclusivamente per quelle opere che possano qualificarsi come tali in quanto comprese
negli elenchi tassativi di cui alle leggi n. 847/1964 e 865/1971158 e successive modifiche
ed integrazioni, ora ripresi all’art. 16, comma 7, 7-bis e 8, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
(“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”).
Tali specifiche indicazioni di problematicità meritano diversi ordini di riflessioni.
febbraio 2003, in forza della quale non è stato qualificato opera di urbanizzazione un immobile destinato a
“centro civico”. Sempre in materia di definizione di opere di urbanizzazione, sia pure ai fini dell’applicazione
dell’aliquota Iva 10%, anziché della norma in questione, si veda anche la risoluzione n. 394/E del 28 dicembre
2007; con la predetta nota l’Agenzia, “attesa la tassabilità dell’elenco di cui al citato art. 4 della Legge n. 847
del 1964 …”, ha demandato l’applicabilità dell’aliquota agevolata alla qualificazione dell’immobile oggetto del
quesito (sede del Corpo di Polizia Municipale) come “delegazione comunale” nel senso di sede decentrata di
uffici al servizio diretto della collettività. Sullo stesso tema vedasi anche la Risoluzione n. 291/E del 12 ottobre
2007, laddove il problema di qualificazione riguardava la costruzione di quattro edifici a struttura prefabbricata
destinata ad accogliere laboratori, studi di ricerca, attività didattica e formativa del CNR.
158 Vedasi i precedenti paragrafi 2.4 e 1.3.
Secondo l’art. 4 della Legge 29 settembre 1964, n. 847, integrato dall’art. 44 della Legge 22 ottobre 1971, n. 865,
sono “opere di urbanizzazione primaria”:
a) strade residenziali;
b) spazi di sosta o di parcheggio;
c) fognature;
d) rete idrica;
e) rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas;
f) pubblica illuminazione;
g) spazi di verde attrezzato.
(Ai sensi dell’art. 26-bis decreto-legge n. 415 del 1989 convertito dalla legge n. 38 del 1990 gli impianti cimiteriali
sono stati equiparati alle opere di urbanizzazione primaria).
(Il Ministero dei lavori pubblici, con circolare 31 marzo 1972, n. 2015, ha ritenuto che anche le reti telefoniche
rientrino tra le opere di urbanizzazione primaria).
(Tra le opere di urbanizzazione primaria sono incluse le infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti
radioelettrici e le opere relative, in forza dell’articolo 86, comma 3, del decreto legislativo n. 259 del 2003; ai
sensi dell’art. 40, comma 8, della Legge 166/2002, tra gli interventi di urbanizzazione primaria rientrano anche
i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai
comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni).
Sono invece “opere di urbanizzazione secondaria”:
a) asili nido e scuole materne;
b) scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo;
c) mercati di quartiere;
d) delegazioni comunali;
e) chiese ed altri edifici religiosi;
f) impianti sportivi di quartiere;
g) centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie; nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le
costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali,
pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate;
(nelle attrezzature sanitarie sono comprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al
riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate,
ai sensi dell’articolo 266, comma 1, decreto legislativo n. 152 del 2006)
h) aree verdi di quartiere”.
Lo stesso elenco viene espressamente richiamato dal n. 127 quinquies della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R.
633/72 ai fini dell’individuazione dei beni e servizi assoggettati all’Iva 10%.
70
Sotto il profilo tecnico-operativo, emerge ancora una volta l’opportunità, se non la
necessità, che il contenuto tecnico-progettuale e giuridico degli strumenti urbanistici attuativi
(e quindi l’operato “tecnico” e “legale”) venga qualificato e coordinato anche da un punto
di vista meramente tributario al fine di un suo corretto inquadramento e valutazioni di tipo
giuridico-economico159.
Sotto un secondo profilo, devesi sottolineare come, al di là delle specifiche osservazioni
e misure concretamente applicabili di volta in volta per le singole fattispecie, la qualificazione
e la definizione sopra riportata della effettiva natura giuridica delle convenzioni urbanistiche,
consente di dare una portata alla norma fiscale (che prevede l’esclusione IVA) diversa da
quella propriamente letterale prospettata dall’Amministrazione Finanziaria, nel senso che
laddove il legislatore, con il citato art. 51 L. 342/2000, ha richiamato “le aree o le opere
di urbanizzazione da cedere al Comune a scomputo …. o in esecuzione ….” abbia inteso
riferirsi genericamente alle “prestazioni patrimoniali imposte” al soggetto attuatore e non
tanto ad un rigido e per di più alquanto datato elenco di opere che l’evoluzione temporale
dell’urbanistica convenzionata ha inevitabilmente reso di fatto inadeguate a rappresentare
l’effettiva e complessa realtà su cui opera il livello attuativo delle scelte di pianificazione
territoriale.
Sempre a tale riguardo merita altresì rilevare come il meccanismo di “esclusione”
voluto dal legislatore, in quanto fattispecie a configurazione altamente specialistica, riguardi
le cessioni:
−
nei confronti dei soli Comuni e non anche di altri enti pubblici territoriali e non160;
−
di “aree” o “di opere di urbanizzazione”, con le riflessioni sopra formulate in ordine
alla “opinabile” letterale interpretazione datane dall’Amministrazione finanziaria;
−
a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di
lottizzazione; la congiunzione “o” è in linea con i principi dell’urbanistica convenzionata
che può prescindere dal tecnicismo dello scomputo puro e semplice161; in più, il
159 Si pensi all’incidenza dell’Iva (“comunemente” a carico del soggetto attuatore) nel quadro economico
complessivo dell’intervento laddove l’ “esclusione” o meno dipende (o possa essere fatta dipendere) da una
corretta qualificazione e denominazione nel progetto e/o in convenzione.
160 La prassi operativa presenta molto spesso dei casi in cui determinate opere vengono cedute ad enti diversi
dal Comune, quali l’Enel, i Consorzi di Bonifica, società di capitali affidatarie di pubblici servizi, la Provincia, la
Regione, ecc..; è da ritenere che in tali casi l’art. 51 non si applichi e quindi la relativa cessione debba seguire le
regole ordinarie quali l’ “esclusione” Iva se relative a terreni non edificabili o l’ “imponibilità” Iva dei fabbricati
o dei terreni edificabili. La risoluzione dell’Agenzia n. 50/E del 22 aprile 2005 ha evidenziato la non applicabilità
dell’art. 51, L. 342/2000, all’ipotesi “rovesciata” della cessione di un’area da parte di un Comune a favore del
soggetto attuatore degli interventi previsti dalla convenzione urbanistica.
161 Si pensi ai principi del “beneficio pubblico” nelle più recenti norme relative alla pianificazione urbanistica
71
riferimento letterale alla “lottizzazione”, nel contesto e nella ratio della normativa,
non pare possa in alcun modo escludere l’atto esecutivo di strumenti urbanistici non
propriamente di lottizzazione, quali, ad esempio, i piani di recupero162.
Altra e diversa valutazione, assai rilevante sotto l’aspetto pratico-operativo, va fatta
in merito al meccanismo della rivalsa Iva nell’ipotesi in cui alla “cessione gratuita” non si
possa applicare il regime di esclusione di cui art. 51, L. 342/2000163; l’art. 18 del D.P.R.
633/72 dispone in linea generale l’obbligatorietà della rivalsa, salvo escluderla e prevederne
la facoltà in talune specifiche ipotesi, fra le quali “la cessione gratuita di beni”164; in tali casi,
quindi, il legislatore fiscale, fermo il debito per l’Iva dovuta, lascia al cedente la scelta se
addebitare o meno l’Iva al cessionario.
Nella fattispecie delle convenzioni urbanistiche, tale facoltà può ben essere
regolamentata nel relativo contesto negoziale, ritenendo peraltro che, in assenza di specifici
riferimenti, l’esercizio o meno dalla facoltà non possa che essere lasciato alla discrezionalità
del cedente al momento di effettuazione dell’operazione, con le relative conseguenze in termini
di incidenza economica e/o finanziaria per i soggetti interessati (ad esempio il Comune).
Un’ulteriore problematica simmetrica, o comunque connessa alla fattispecie in
oggetto, riguarda l’applicabilità o meno dell’esenzione Iva per le cessioni gratuite – che non
rientrino nell’ambito dell’art. 51 L. 342/2000 – eseguite a favore dei Comuni e/o altri enti
pubblici.
L’art. 10, n. 12, del D.P.R. 633/72165 prevede infatti il regime di esenzione per le
“cessioni di cui al n. 4) dell’art. 2 fatte ad enti pubblici, associazioni riconosciute o
generale, così come richiamato al precedente paragrafo 1.6.
162 In tal senso vedasi anche la citata Risoluzione n. 6/E del 14 gennaio 2003 che si riferisce ad un’ipotesi di
convenzione esecutiva di un “piano di recupero”.
163 Per carenze soggettive e/o oggettive, si pensi proprio al caso della cessione gratuita del circolo ricreativo
per il quale la Risoluzione n. 6/E del 14 gennaio 2003 ha ritenuto non sussistenti i requisiti oggettivi.
164 L’art. 18 D.P.R. 633/72 così dispone:
al primo comma “Il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare
la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente”;
al terzo comma “la rivalsa non è obbligatoria per le cessioni di cui ai numeri 4) e 5) del secondo comma
dell’articolo 2 e per le prestazioni di servizi di cui al terzo comma, primo periodo, dell’articolo 3”.
Secondo l’art. 2, comma 2, n. 4, costituiscono cessioni di beni “le cessioni gratuite di beni ad esclusione di
quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa se di costo unitario
non superiore a lire cinquantamila (€ 25,82) e di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o
dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’articolo 19, anche se per effetto dell’opzione di cui
all’articolo 36-bis”.
165 72
Sulle problematiche di tale specifica fattispecie normativa, vedasi anche il precedente paragrafo 2.4.
fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione,
studio o ricerca scientifica e alle ONLUS”.
Nel vasto panorama delle cessioni gratuite da convenzioni urbanistiche, l’Agenzia
delle Entrate, con due recenti interventi166, è giunta alla conclusione di escludere l’applicazione
della norma citata laddove le cessioni stesse, risultando solo apparentemente prive di
corrispettivo, si inseriscano in un rapporto giuridico complesso a natura sinallagmatica, che
impone adempimenti e oneri per ciascuna delle parti interessate.
L’Agenzia si è soffermata, in particolare, proprio sull’aspetto della gratuità rilevando
che le cessioni in esame non rispondevano ad un mero intento di liberalità, ma rappresentavano
piuttosto una modalità di estinzione di una obbligazione assunta nell’ambito del complesso
procedimento amministrativo. Tale interpretazione dell’Agenzia delle Entrate appare il
corollario di una qualificazione della convenzione urbanistica come “istituto contrattuale”;
laddove, invece, come in precedenza esaminato, si addivenga – molto più realisticamente
secondo un approccio di valutazione disciplinare complessiva – ad una collocazione della
stessa in un ambito pubblicistico anziché in quello privatistico-contrattuale, la conclusione
avrebbe potuto e dovuto essere alquanto diversa, giacché se è vero che l’esenzione spetta per
le “cessioni gratuite” solo in quanto non sinallagmatiche167 allora le operazioni in oggetto
vi rientrano in quanto prestazioni patrimoniali aventi titolo in un atto autoritativo e non già
negoziale168.
Analoga valutazione avrebbe potuto essere formulata in un altro caso in cui l’Agenzia
166 Risoluzioni n. 349/E e n. 350/E, entrambe del 7 agosto 2008; nella prima risoluzione, la cessione gratuita
di una unità immobiliare operata da una società cooperativa a vantaggio di un Comune è stata considerata “non
esente” in quanto motivata non da mero spirito di liberalità, ma per estinguere una precedente obbligazione
assunta nei confronti dell’ente locale, inserendosi, in un rapporto di natura sinallagmatica.
Nella seconda risoluzione, la cessione di immobili fatta da una società nei confronti di un ente pubblico non é stata
configurata quale cessione gratuita agli effetti dell’Iva, con conseguente inapplicabilità del regime di esenzione
di cui al n. 12 dell’articolo 10, D.P.R. 633/72, in quanto la stessa, pur apparendo carente di una immediata e
specifica controprestazione, trovava giustificazione e assumeva carattere oneroso nell’ambito di un’operazione
complessa rilevante economicamente, inserita in un rapporto giuridico che prevedeva adempimenti e oneri per
ciascuna delle parti interessate.
167 A tal proposito vedasi la medesima definizione adottata a supporto delle conclusioni assunte al successivo
capitolo 3.3.
168 Una particolare problematica operativa è rappresentata anche dall’inquadramento del rapporto tra Comune
e soggetto attuatore relativamente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione; se a tale rapporto vengono
assegnate le caratteristiche di appalto, da ciò discendono ovviamente determinate conseguenze, fra le quali anche
l’applicazione del meccanismo del reverse-charge; sull’argomento vedasi DEL FEDERICO, Scomputo degli
oneri di costruzione mediante cessione delle opere di urbanizzazione ed applicazione del sistema del reversecharge, in Il Fisco, 2007-1, pag. 5154.
73
delle Entrate169 ha negato l’applicabilità della norma di esenzione sopra richiamata in sede di
permuta immobiliare tra due S.p.A., con trasferimento gratuito a favore di un Comune, terzo
beneficiario, di un’area oggetto di uno dei due trasferimenti. In tal caso secondo l’Agenzia
delle Entrate, ciò che “rileva è il rapporto sinallagmatico esistente tra il promittente e lo
stipulante, vale a dire la sussistenza di un nesso di interdipendenza tra le obbligazioni assunte
dalle parti contraenti, a prescindere dalla circostanza che dalla predetta cessione nessun
arricchimento patrimoniale è espressamente ravvisabile in capo allo stipulante medesimo.
Tale nesso di interdipendenza non viene infranto dalla deviazione degli effetti a favore del
terzo”; la presa di posizione appare caratterizzata da eccesso di formalismo, in quanto se è
vero che il trasferimento avviene in una logica economica di competitività tra le due S.p.A., è
altrettanto vero che la causa giuridica e l’elemento teleologico fondamentale, ai fini giuridici,
del trasferimento stesso è costituito dalla cessione a favore del Comune, rispetto al quale, al
contrario e proprio in applicazione dei principi in altri casi richiamati dalla stessa Agenzia,
manca decisamente il carattere di sinallagmaticità.
169 74
Risoluzione n. 373/E del 14 dicembre 2007.
3.3.La ricomposizione urbanistica per il riequilibrio della capacità edificatoria nei
comparti o ambiti di intervento con più proprietari: il complesso rapporto tra
norme in materia civilistica, urbanistica e fiscale
Un interessantissimo caso di applicazione di principi generali in materia di imposizione
sui trasferimenti e della necessità di coordinamento tra normativa urbanistica e fiscale, è
rappresentato dalle operazioni con cui più soggetti definiscono ed attuano la redistribuzione
della capacità edificatoria all’interno di un ambito territoriale oggetto delle previsioni
progettuali ed esecutive di uno strumento urbanistico.
Le finalità proprie di quest’ultimo, infatti, riguardano l’assetto del territorio in un’ottica
meramente ed esclusivamente urbanistica, cosicché le rispettive previsioni in termini di
individuazione qualitativa e di collocazione, sia degli standard urbanistici che dello sviluppo
dello jus aedificandi, non possono che prescindere dall’assetto soggettivo delle rispettive
proprietà originarie comprese nell’ambito del piano stesso170.
Tale rilevanza meramente urbanistica del comparto, fa sì che i soggetti interessati
possano e debbano intervenire nell’iniziativa in senso e modalità di “apporto” delle rispettive
proprietà originarie, subordinatamente e con scopo di attuazione del disegno generale di
interesse urbanistico.
Ciò comporta che l’effettiva realizzazione delle opere di urbanizzazione, normalmente
e comunque “per definizione”, prescinde dalla collocazione “fisica” e di sedime delle
proprietà originarie dei soggetti interessati, sollevando la necessità “pratica”, prima ancora
che giuridica, di riequilibrare, mediante idonea assegnazione redistributiva, le unità tra i vari
operatori variamente e casualmente incisi dalle previsioni dello strumento urbanistico171.
La logica sottostante tale redistribuzione non è quindi realizzativa, ma meramente ed
esclusivamente risarcitoria o meglio ancora “di ripristino” o di ricollocamento equitativo tra
soggetti e rispettivi patrimoni originari172.
170 “In conclusione la ricomposizione fondiaria delle aree del comparto tra i co-lottizzanti ha come uniche
finalità la eliminazione degli effetti distorsivi della convenzione di attuazione del piano particolareggiato e la
possibilità di attuazione del piano stesso ed i relativi trasferimenti all’uopo necessari sono effettuati senza intenti
speculativi e sono inscindibilmente connessi con la convenzione di piano particolareggiato, per consentire la
trasformazione urbanistica dei beni”: Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato,
Sul trattamento tributario delle convenzioni di redistribuzione fondiaria delle aree tra co-lottizzanti, Studio n.
60/2003/T del 21 novembre 2003.
171 Vedasi il precedente paragrafo 2.4.
172 “Può anche avvenire che la capacità edificatoria di ciascuno dei lotti del piano di lottizzazione, che
vengono ridistribuiti tra i co-lottizzanti, non corrisponda esattamente, per ciascun assegnatario, alla “quota
di diritto” che allo stesso competerebbe in base al rapporto tra la superficie della sua proprietà originaria e la
superficie territoriale complessiva del comparto e che, pertanto, si debba far luogo a “conguagli” in denaro,
75
Come evidenziato in precisi e circostanziati contributi in materia173, l’esperienza
pratico-professionale ha tradotto tali determinazioni mediante una pluralità di soluzioni
tecniche174: dal conferimento proindiviso in un consorzio di urbanizzazione175, alla costituzione
di comunioni, alle permute plurime, alle cessioni senza corrispettivo, fino alla forma, senza
dubbio più consona ed articolata, degli atti complessi di redistribuzione per ricomposizione
fondiaria.
Quest’ultima soluzione si basa sull’applicazione della nozione civilistica di “negozio
complesso”176, laddove, come noto, le disposizioni convenzionali si legano e si giustificano
inscindibilmente le une con le altre, sotto il profilo causale e teleologico; nella fattispecie,
l’effetto finale dell’atto (l’assegnazione delle diverse aree ai diversi soggetti proprietari) trova
per compensare tali squilibri patrimoniali”. Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato,
Sul trattamento tributario delle convenzioni di redistribuzione fondiaria delle aree tra co-lottizzanti, Studio n.
60/2003/T, op. cit.
173 Vedasi PISCHETOLA, Atto di redistribuzione di aree tra co-lottizzanti non consorziati e relativo trattamento
fiscale, Studio n. 28-2006-T della Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato.
174 Tali soluzioni hanno formato oggetto di specifiche analisi da parte dello Studio n. 590 della Commissione
Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato, approvato il 19 ottobre 1993.
175 Su tali consorzi, vedasi: GALGANO, Autodisciplina urbanistica, in Contratto e Impresa, Padova 1985,
2, pagg. 573 e seguenti; CASTELLANO, Sulla natura giuridica dei consorzi di urbanizzazione, in Corriere
giuridico, 1997, p. 844; vedasi Cass. Civ., Sezione I, n. 2877, del 9 febbraio 2007, secondo cui la Corte stessa ha
da ultimo più volte ribadito che “i consorzi di urbanizzazione (enti di diritto privato, costituiti da una pluralità
di persone che, avendo in comune determinati bisogni o interessi, si aggregano fra loro allo scopo di soddisfarli
mediante un’organizzazione sovraordinata), finalizzati alla sistemazione ed al miglior godimento di uno specifico
comprensorio attraverso la realizzazione e la fornitura di opere o servizi, costituiscono figure atipiche, le quali,
essendo caratterizzate dall’esistenza di una stabile organizzazione di soggetti, funzionale al raggiungimento di
uno scopo non lucrativo, presentano i caratteri delle associazioni non riconosciute”.
“Il problema della normativa ad essi applicabile va, peraltro, risolto alla luce della considerazione che, accanto
all’innegabile connotato associativo, essi si caratterizzano anche per un forte profilo di realità - in quanto
il singolo associato, inserendosi, al momento dell’acquisto dell’immobile, nel sodalizio, onde beneficiare dei
vantaggi offertigli, assume una serie di obblighi ricollegati in via immediata e diretta alla proprietà dei singoli
cespiti e di quelli eventualmente comuni, legittimamente qualificabili in termini di obligationes propter rem
con riferimento non solo alla gestione delle cose e dei servizi consortili, ma anche alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione primaria e secondaria”. Ne consegue che appaiono insoddisfacenti “tanto le teorie
che propugnano l’applicazione generalizzata delle norme sulle associazioni, quanto quelle che propendono per
il ricorso alle sole disposizioni in tema di comunione e condominio, occorrendo invece rivolgere l’attenzione,
in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, soltanto ove questo nulla disponga al riguardo,
passare all’individuazione della normativa più confacente alla regolamentazione degli interessi implicati dalla
controversia” (così Cass., n. 4125 del 21 marzo 2003; Cass. n. 28492 del 22 dicembre 2005). Fonte primaria di
disciplina di siffatti consorzi, specie per quel che riguarda l’ordinamento interno e l’amministrazione, è dunque
l’accordo delle parti sancito nell’atto costitutivo (Cass., n. 3341 del 6 marzo 2003).
176 Così richiamato da PISCHETOLA, Studio CNN n. 28-2006/T, op. cit.; vedasi anche CASCIO-ARGIROFFI,
Contratti misti e contratti collegati, in Enciclopedia Giuridica Treccani, IX; SCOGNAMIGLIO, Collegamento
negoziale, in Enciclopedia del diritto, VII, p. 375.
76
ragione e causa unicamente ed esclusivamente quale momento esecutivo ed attuativo delle
previsioni dello strumento urbanistico di riferimento177.
Su tali “speciali caratteristiche” giuridico-urbanistiche, si innesta lo specifico
trattamento tributario agevolato previsto dall’art. 20, comma 1, della Legge 28 gennaio 1977,
n. 10, in materia di imposte di registro ed ipocatastali178.
La formula usata dal legislatore (“ai provvedimenti, alle convenzioni e agli atti
d’obbligo previsti dalla presente legge si applica il trattamento tributario di cui all’art. 32,
secondo comma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601”)179 sottolinea il profilo di scopo e quindi
teleologico della fattispecie considerata meritevole dell’agevolazione; in sostanza, lo speciale
trattamento tributario viene fatto dipendere dal determinante collegamento “a sistema” tra
tutte le disposizioni contenute nella concreta fattispecie negoziale (l’atto) e la relativa finalità
causale di redistribuzione per attuazione delle previsioni dello strumento urbanistico180.
177 La figura del negozio complesso è contrassegnata dall’esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso
intercorrente tra le varie prestazioni con una intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni
possa essere rapportata a una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro
organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico. Le
parti nell’esplicazione della loro autonomia negoziale, infatti, possono – con manifestazioni di volontà espresse
in uno stesso contesto – dare vita a più negozi distinti e indipendenti, ovvero a più negozi tra loro collegati. Le
varie fattispecie in cui può configurarsi un negozio giuridico composto possono così distinguersi in contratti
misti, quando la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali
elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente, contratti complessi e contratti collegati:
vedasi Cass. civ. Sez. II, 7 luglio 2004, n. 12454.
178 Il predetto articolo ha formato oggetto di altri approfondimenti da parte della Commissione Studi Tributari
del Consiglio Nazionale del Notariato; si veda lo Studio n. 114/2005/T nel quale alla disposizione citata viene
assegnata “valenza di normativa di cornice … rispetto ad altre normative portate dalla legislazione nazionale e/o
regionale e dalla particolare funzione di disciplina generale delle procedure legali finalizzate alla utilizzazione
edificatoria dei suoli, e ciò sia pure ad onta della formulazione meramente letterale del citato art. 20”.
179 L’art. 32, comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, così recita “Gli atti di trasferimento della proprietà
delle aree previste al Titolo III della legge indicata nel comma precedente [L. 22 ottobre 1971, n. 865] e gli atti
di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa e
sono esenti dalle imposte ipotecarie e catastali . Le stesse agevolazioni si applicano agli atti di cessione a titolo
gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei
programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al Titolo IV della legge indicata nel primo comma”. Vedasi
quanto analiticamente riportato anche al precedente paragrafo 2.4.
180 Così il citato Studio CNN n. 28-2006/T conclude a favore dell’applicabilità del trattamento fiscale ex
art. 32 D.P.R. 601/73, anche in assenza della preventiva costituzione di un ente consortile tra lottizzanti (vedasi
infra); vedasi, altresì, PISCHETOLA, Il trattamento fiscale delle convenzioni di redistribuzione di aree tra colottizzanti, in Immobili e Proprietà, 2005, pag. 204 e seguenti. Nella Risoluzione n. 156/E del 17 dicembre 2004,
invece, l’Agenzia delle Entrate ritiene che l’agevolazione di cui all’articolo 20, L. 10/77, “trovi applicazione
nel caso di atti di redistribuzione immobiliare tra i proprietari di aree che si siano riuniti in consorzio, così
come previsto dall’art. 13 della legge, come lottizzazione obbligatoria per evitare l’espropriazione per pubblica
utilità…”.
77
Così diviene corretto e logicamente coerente dedurre che il predetto trattamento non
trova applicazione laddove la concreta attuazione della redistribuzione preveda assegnazioni
dal carattere non propriamente o coerentemente “di ripristino”181 o si estenda ad immobili
non compresi nell’ambito dello strumento urbanistico182 o non comprenda tutte le proprietà
inserite nello strumento stesso183.
Con alcune pronunce ormai datate184, l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto
l’applicabilità del richiamato trattamento tributario ex art. 32, D.P.R. 601/73, non tanto sulla
base delle argomentazioni appena svolte, quanto in forza della valorizzazione dell’istituto del
consorzio di urbanizzazione185 quale alternativa alla espropriazione coattiva da parte della
pubblica autorità; secondo tale impostazione, quindi, con la presenza dell’ente consortile
si può prescindere dalla natura dell’atto di redistribuzione in sé e per sé per sottolinearne
unicamente il carattere di atto dovuto e “strumento” attuativo della convenzione di lottizzazione
tra lottizzanti e Comune.
Sotto un profilo generale, è evidente che l’ “aggancio” a norme specifiche dei vari
tributi è condizione essenziale per l’applicazione di un certo trattamento fiscale; e così se il
già citato riferimento all’art. 20, L. 10/77, ha consentito di rendere applicabile l’art. 32, D.P.R.
601/73, sia argomentando sulla base della presenza dello strumento del “consorzio urbanistico”
sia richiamando a motivazione il concetto di “negozio complesso”186, in materia di IVA il
collegamento con le specifiche disposizioni normative appare molto più “complicato”.
Premesso l’ovvio requisito soggettivo per la relativa applicazione ai fini
dell’assoggettamento o meno al tributo IVA, appare decisivo considerare se l’atto di
redistribuzione costituisca o meno “operazione imponibile” ai sensi dell’art. 1 del D.P.R.
633/72. L’ambito IVA comprende le cessioni di beni e definisce come tali “gli atti a titolo
181 Tipicamente quando le assegnazioni non avvengono in modo rigorosamente proporzionale rispetto alle
proprietà originarie dei singoli lottizzanti.
182 Ad esempio, laddove la redistribuzione coinvolga terreni o fabbricati la cui superficie o volumetria non
abbia concorso alla formazione dei dati territoriali dello strumento attuativo.
183 Condizione, quest’ultima, evidentemente necessaria per dare completa attuazione al piano e comunque per
evitare l’intervento espropriativo della pubblica autorità.
184 Risoluzioni n. 250666 del 3 gennaio 1983 e n. 220210 del 16 dicembre 1986.
185 Previsto dall’art. 13 della L. 10/77; vedasi altresì la precedente nota 5.
186 Nella stessa Risoluzione 250666/83 è richiamato il “favor” del legislatore “su tutti i trasferimenti posti in
essere per la realizzazione dei diversi strumenti previsti dalla normativa vigente”; proprio l’applicazione di tale
principio motiva sia la non necessità della formale presenza di un ente consortile, sia l’irrilevanza del carattere
pubblico o privato dell’iniziativa lottizzatoria; argomento, quest’ultimo, che pare proprio ispirare la conclusione
della Risoluzione 156/E del 17 dicembre 2004, citata alla precedente nota 9.
78
oneroso che importano trasferimento della proprietà …”, con estensione dell’ambito, pur in
carenza di onerosità, a determinate fattispecie previste dall’art. 2, comma 2, D.P.R. 633/72.
L’esame rigoroso e asettico della funzione di ristabilimento del rapporto di originaria
proporzionalità tra la capacità edificatoria “complessiva” dell’intero comparto e “specifica”
dell’unità di proprietà di ciascuno dei partecipanti e quindi la sottolineatura della mera funzione
ripartitoria/distributiva, porta a considerare l’effetto traslativo tipico dell’atto in oggetto solo
in via nominale/formale, tanto da farlo definire come strumento in forza del quale “non vi
sono trasferimenti di diritti e/o situazioni giuridiche attive già di titolarità esclusiva di alcuni
soggetti (disponenti) prima e di altri soggetti (accipienti/beneficiari) poi che l’assumano ex
novo, ma si attua solo una più equa allocazione all’interno di un medesimo comparto delle
relative capacità edificatorie …”187; sulla base di tale profilo quindi emerge l’inesistenza di
una vera e propria “cessione” secondo la definizione giuridica di tipico contratto a prestazioni
corrispettive, il cui oggetto è il trasferimento di proprietà di una cosa o il trasferimento di un
altro diritto.
La lettura critica e sistematica delle disposizioni in materia di IVA ci porta ad individuare
il presupposto del predetto tributo (la cessione di beni, appunto) non tanto o comunque non
solo mediante semplice rinvio alle connesse e relative definizioni civilistiche188, ma alla
luce del criterio di specialità voluto dal legislatore fiscale nel momento in cui, all’art. 2 del
citato D.P.R. 633/72, ha inteso individuare, nel proprio contesto e ai propri fini, una specifica
nozione di “cessione di beni”; secondo tale disposizione (c. 1) “costituiscono cessioni di beni
gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà …” e (c. 4) “costituiscono
inoltre cessioni di beni: …4) le cessioni gratuite di beni ...”.
Il legislatore IVA, quindi, avendo interessi e finalità tecnico-applicative, valorizza in
sé e per sé l’elemento concreto dell’effetto (“atti … che importano trasferimento …”)189, in
ciò comprendendo, ad esempio gli atti autoritativi della pubblica amministrazione, quali gli
espropri, le requisizioni e gli atti giurisdizionali come le vendite forzate, le vendite giudiziarie
o le sentenze che comportano trasferimento della proprietà o costituzione di diritti reali di
godimento190.
187 PISCHETOLA, Studio CNN n. 28-2006/T, op. cit..
188 L’art. 1470 c.c. definisce la vendita come “il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà
di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”.
189 Secondo la giurisprudenza comunitaria “la nozione di cessione di un bene non si riferisce al trasferimento
del diritto di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente, bensì comprende qualsiasi operazione
di trasferimento di un bene effettuata da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di tale bene come se ne
fosse il proprietario” (Corte di Giustizia CE, 6 febbraio 2003, n. C185-01).
190 Cfr., Risoluzione 26 novembre 2001, n. 193/E e 31 ottobre 2000, n. 160/E, nonché Corte di Cassazione
79
Sotto questo profilo, la redistribuzione per ricomposizione fondiaria può avere,
quale effetto giuridico, oltre che pratico-sostanziale, l’effettivo trasferimento di proprietà per
quelle unità o loro porzioni oggetto di assegnazioni la cui proprietà originaria non spettava
all’assegnatario stesso; laddove e nella misura in cui la redistribuzione abbia come effetto il
“cambio di proprietà” tra i vari soggetti partecipanti, a nostro parere è giocoforza ritenere che
il presupposto voluto dal legislatore IVA si verifichi, con i conseguenti obblighi e adempimenti
voluti dalla legge in materia (fatturazione e rivalsa in primis)191.
Un’ultima osservazione riguarda l’aspetto dell’onerosità che, sia pure richiamato nel
concetto definitorio di cessione di beni, il sistema IVA non eleva a requisito essenziale, in forza
delle specifiche previsioni dettate sia per le cessioni di beni che per le prestazioni di servizi;
in ogni caso ed a ogni buon conto, la dissertazione sulla natura onerosa o meno dell’atto di
ricomposizione non può incidere sulla conclusione a favore della sussistenza del requisito
oggettivo IVA, in ragione del fatto che, nel sistema IVA, la norma di qualificazione come
operazione imponibile delle cessioni gratuite ha la chiara funzione di “norma di chiusura”
in estensione verso le operazioni la cui causa non sia prettamente di liberalità, ma più in
generale di operazioni senza specifico corrispettivo192.
12 agosto 1997, n. 7528.
191 Secondo PISCHETOLA, Studio CNN n. 28-2006/T, op. cit., invece, le operazioni di ricomposizione
fondiaria non costituiscono “cessione” imponibile ai fini Iva, in quanto non vi sarebbero “trasferimenti di diritti
e/o situazioni giuridiche attive”.
192 Vedasi per i medesimi riferimenti le argomentazioni svolte alla fine del capitolo 3.2; per la definizione di
cessione gratuita come “cessione senza corrispettivo” vedasi anche la Risoluzione n. 83/E del 3 aprile 2003.
80
3.4.
I piani particolareggiati e le imposte di registro, ipotecaria e catastale; evoluzione
normativa e stato attuale della disciplina
Dopo un intenso ed articolato processo normativo, di prassi dottrinale e giurisprudenziale
– fatto di previsioni originarie, interpretazioni autentiche, pronunce dell’Amministrazione
Finanziaria, della dottrina, della giurisprudenza e poi ancora di revisioni, modifiche e
assestamenti legislativi193 –, il regime tributario dei trasferimenti di immobili compresi in
193 Vedasi i richiami operati al precedente paragrafo 2.4. L’ “esordio” nella materia è recato dall’art. 33, comma
3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, secondo cui “ i trasferimenti di beni immobili in aree soggette a piani
urbanistici particolareggiati, comunque denominati, regolarmente approvati ai sensi della normativa statale o
regionale, sono soggetti all’imposta di registro dell’1 per cento e alle imposte ipotecarie e catastali in misura
fissa, a condizione che l’utilizzazione edificatoria dell’area avvenga entro cinque anni dal trasferimento”.
Con le circolari n. 1/E e n. 6/E, rispettivamente del 3 e 26 gennaio 2001, l’Agenzia delle Entrate era intervenuta
con una interpretazione della norma in senso alquanto restrittivo; si precisava, infatti, che le imposte ridotte
potevano applicarsi ai soli trasferimenti di “immobili funzionali all’utilizzazione edificatoria dell’area stessa”
già in possesso dell’acquirente, per i quali potevano sussistere delle cause ostative all’edificazione, quale ad
esempio “la superficie minima richiesta dal piano particolareggiato per la costruzione”.
Superando il dettato normativo, l’Agenzia delle Entrate aveva di fatto limitato l’ambito applicativo della
disposizione ai soli casi in cui un soggetto, già in possesso di un’area, ne avesse acquistata un’altra al fine
di raggiungere complessivamente quantomeno il “lotto minimo” di edificabilità stabilito dal provvedimento
urbanistico.
Per porre fine ai contrasti sorti a seguito del suddetto pronunciamento dell’Amministrazione finanziaria, è
intervenuto lo stesso legislatore che, con l’art. 76 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, ad efficacia interpretativa,
ha specificato come il regime fiscale agevolato doveva trovare applicazione “anche nel caso in cui l’acquirente
non disponesse in precedenza di altro immobile compreso nello stesso piano urbanistico”. In altre parole, per
poter fruire del beneficio fiscale si era finalmente chiarito che non occorreva che l’immobile acquistato fosse
finalizzato a rendere possibile lo sfruttamento edificatorio di un’area già posseduta dall’acquirente.
Importanti chiarimenti sulle problematiche applicative della norma sono stati forniti con la circolare 9/E del 30
gennaio 2002; l’Agenzia delle Entrate ha formulato il proprio parere, sotto forma di risposta a specifici quesiti,
con riguardo al mero significato di “piano urbanistico regolarmente approvato”.
Nel primo dei due quesiti proposti, si chiedeva, in ipotesi che il piano urbanistico particolareggiato fosse stato
rappresentato da una convenzione tra comune e soggetto attuatore, se il regime fiscale agevolato spettasse con la
convenzione semplicemente approvata dall’organo comunale o, al contrario, firmata dal comune e dall’attuatore.
L’Agenzia si è espressa per la necessità della convenzione firmata, a conferma che il procedimento amministrativo
sia eseguito e completato secondo la normativa statale o regionale.
Il secondo quesito riguardava la possibilità di applicare l’agevolazione fiscale nel caso di un’area soggetta a piano
particolareggiato da PRG ma non ancora sussistente. L’Agenzia delle Entrate ha stabilito che il piano regolatore
generale è condizione necessaria ma non sufficiente per l’ottenimento dell’agevolazione, in quanto occorre “che
il trasferimento si compia all’interno di aree individuate da appositi piani che siano espressamente attuativi ed
esecutivi del piano regolatore generale medesimo”.
Con la circolare n. 11/E del 31 gennaio 2002, l’Agenzia ha riconosciuto la natura interpretativa della disposizione
del citato art. 76, L. 448/2001, e, quindi, la sua efficacia retroattiva a partire dal 1° gennaio 2001.
Nel medesimo pronunciamento, inoltre, l’Amministrazione ha fornito chiarimenti sul concetto di “utilizzazione
edificatoria dell’area” e sull’accezione di “piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati,
regolarmente approvati”.
Per quanto riguarda il concetto di “utilizzazione edificatoria dell’area” che, secondo le prescrizioni dell’art. 33
deve avvenire, pena la decadenza dai benefici fiscali, “entro cinque anni dal trasferimento”, è stato precisato
che, quando l’acquisto riguardi un’area, la condizione di cui sopra viene soddisfatta attraverso la realizzazione,
entro lo stesso termine temporale, di un “edificio significativo dal punto di vista urbanistico”, intendendosi come
tale, secondo l’art. 2645-bis, comma 6 del Codice Civile, il “rustico comprensivo delle mura perimetrali delle
singole unità e della copertura” (ai sensi dell’art. 31, comma 2, della legge 47/1985 “si intendono ultimati gli
81
edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura”). Sulla decadenza delle agevolazioni in
caso di cessione del terreno prima del termine di cinque anni dall’acquisto, ma in presenza di utilizzo edificatorio
(da parte dell’avente causa o comunque da un terzo) si registrano accesi dibattiti dottrinali e diversi orientamenti
giurisprudenziali: vedasi TESTA, Cessioni di aree soggette a piani particolareggiati. Ipotesi di decadenza dalle
agevolazioni fiscali, in Il Fisco 2008-1, pag. 2502, con numerosi ulteriori riferimenti, nonché tra le numerose
pronunce in materia le sentenze: Comm. Trib. di Ravenna, n. 222 del 14 dicembre 2005, e Comm. Trib. di
Treviso, n. 99/01/07 del 12 settembre 2007 (a favore della tesi della non decadenza), Comm. Trib. di Verona, n.
74 del 22 maggio 2007 (a favore della decadenza).
Nel caso in cui, invece, il trasferimento agevolato abbia ad oggetto “l’acquisto di un fabbricato”, la condizione
“dell’utilizzazione edificatoria dell’area” deve intendersi estesa, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, “all’area di
sedime del fabbricato”, comportando la necessità che l’intervento da realizzare entro i cinque anni dal trasferimento
consista nella “demolizione e successiva integrale ricostruzione dell’immobile”. L’interpretazione dell’Agenzia
delle Entrate appare indubbiamente restrittiva, in quanto limita la fruibilità del regime fiscale agevolato ai soli
casi di acquisto di un fabbricato che, secondo le prescrizioni urbanistiche contenute nei piani attuativi del piano
regolatore generale, debba essere demolito e poi ricostruito, escludendo in tal modo l’applicabilità del beneficio
fiscale agli acquisti di fabbricati che risultino, ad esempio, solo da ristrutturare, seppure integralmente.
Con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto lo Studio n. 2/2001/T della Commissione Studi Tributari del
Consiglio Nazionale del Notariato ha precisato che: “Vi rientrano certamente gli interventi di cui alle lettere d)
ed e) dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457 (ristrutturazione edilizia e urbanistica), mentre è da ritenersi
escluso quello previsto dalla lettera c) (restauro o risanamento conservativo), ed ovviamente – a maggior ragione
– quelli di cui alle lettere a) e b) (manutenzione ordinaria e straordinaria)”.
Nell’ambito della stessa circolare l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che sotto l’accezione “piani urbanistici
particolareggiati, comunque denominati, regolarmente approvati” rientrano sia i piani ad iniziativa pubblica,
sia quelli ad iniziativa privata attuativi del piano regolatore generale, quali ad esempio i piani di lottizzazione.
Su tale concetto meritano di essere richiamati gli ampi riferimenti riportati nel già citato Studio del Notariato
n. 2/2001/T, secondo cui i piani di lottizzazione, alla luce della giurisprudenza amministrativa, sono equiparati
ai piani particolareggiati, mentre, la giurisprudenza della Cassazione tende a far prevalere l’aspetto contrattuale
della convenzione di lottizzazione. Sotto tale aspetto, sia la migliore dottrina sia l’Amministrazione finanziaria
hanno qualificato i piani di lottizzazione come strumenti idonei al verificarsi del presupposto dell’agevolazione
in oggetto; non sono mancate, in ogni caso, contrarie pronunce, peraltro isolate, della giurisprudenza tributaria
che hanno ritenuto di limitare l’applicazione dell’agevolazione ai piani di iniziativa pubblica sulla base di un
presunto principio di unicità dell’ordinamento che, nella fattispecie, impedirebbe il ricorso all’analogia in
quanto il favor legis sarebbe limitato ai predetti piani (vedi sentenza della Commissione Tributaria Regionale di
Venezia n. 17/33/05 del 26 aprile 2005, citata da REBECCA, in Piani particolareggiati, aree lottizzate e aree già
urbanizzate: agevolazione dell’imposta di registro, in Il Fisco, 2008-1, p. 2877 e seguenti).
L’interpretazione contenuta nelle varie circolari emanate dall’Agenzia delle Entrate è stata, poi, confermata a
livello normativo dall’art. 2, comma 30, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, con il quale è stato stabilito che
“nell’ipotesi di piani di iniziativa privata, comunque denominati, le agevolazioni fiscali di cui all’articolo 33,
comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, si applicano, in ogni caso, a seguito della sottoscrizione della
convenzione con il soggetto attuatore”.
Il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, all’art. 36, comma 15, nella sua originaria versione, aveva soppresso l’art. 33
comma 3, della L. n. 388/2000. In sede di conversione in legge (L. 4 agosto 2006, n. 248), l’agevolazione è
stata ripristinata limitatamente ai trasferimenti di immobili inseriti “in piani urbanistici particolareggiati diretti
all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata pubblica, comunque
denominati, realizzati in accordo con le amministrazioni comunali per la definizione dei prezzi di cessione e dei
canoni di locazione …”.
Con il predetto provvedimento l’ambito di applicazione dell’imposta di registro agevolata dell’1% era stato
notevolmente ridotto, limitandolo alle seguenti fattispecie:
trasferimenti di immobili inseriti in piani urbanistici particolareggiati;
tali piani particolareggiati dovevano essere diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia
residenziale convenzionata pubblica;
tali programmi dovevano essere realizzati in accordo con le amministrazioni comunali per la definizione dei
prezzi di cessione e dei canoni di locazione.
Il regime agevolato di cui al punto precedente è stato poi ulteriormente modificato dalla L. 27 dicembre 2006,
n. 296.
L’art. 1, comma 306, ha sostituito, con decorrenza 1° gennaio 2007, le parole “edilizia residenziale convenzionata
82
piani urbanistici particolareggiati, con la novella introdotta dalla Finanziaria 2008, è stato
inserito “a regime194” sia ai fini dell’imposta di registro, sia ai fini dell’imposta ipotecaria195 .
Il lungo e complesso processo che ha portato alle citate disposizioni di cui alla
Finanziaria 2008 ha evidenziato notevoli problematiche e motivi di rinvio interpretativo e
applicativo dalla normativa tributaria a quella urbanistica196.
Fin dall’introduzione di tali disposizioni, il principio ispiratore dell’intervento
del legislatore è stato individuato nell’utilizzo della leva fiscale a fini di incentivo alla
realizzazione delle previsioni dei piani urbanistici attuativi in generale, mediante l’attenuazione
dell’incidenza del peso fiscale nel momento di acquisizione degli immobili oggetto degli
interventi197.
Il punto focale della disciplina, già agevolativa ed ora a regime, è senz’altro l’ambito
oggettivo, che l’evoluzione normativa ha inizialmente individuato nei “… beni immobili
in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati, regolarmente
pubblica”, dell’art. 36, comma 15, del D.L. n. 223/2006, con le parole “edilizia residenziale convenzionata”.
Un importante requisito richiesto dalla “manovra estiva” al fine di fruire dell’agevolazione era stato l’inserimento
dei programmi nell’ambito dell’edilizia residenziale convenzionata pubblica. Successivamente, l’aggettivazione
“pubblica” è stata soppressa; così facendo, sono rientrate “nell’ambito applicativo della norma agevolativa anche
le ipotesi traslative di immobili siti in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, attuativi di politiche
di espansione dell’edilizia residenziale anche privata, ma sottoposte a convenzionamento con la pubblica
amministrazione” (Il Notariato, Commissione Studi tributari, Studio n. 64/2007/T).
Ulteriore requisito necessario era l’accordo con l’amministrazione comunale in ordine alla definizione dei prezzi
di cessione e dei canoni locativi degli immobili oggetto di intervento edilizio. A tal riguardo si segnala come
“attraverso il convenzionamento si realizza un controllo pubblico sui prezzi di vendita e di locazione degli
immobili, al fine di pervenire allo sganciamento dell’attività imprenditoriale edilizia dalla rendita fondiaria:
…non si ha pertanto una semplice edilizia libera agevolata, bensì un’edilizia privata condizionata dalla p.a.
attraverso forme di controllo della produzione…,della gestione… e dei prezzi (prezzi di vendita e canoni locativi)”
(Fiale, Diritto Urbanistico, Napoli, p. 667-668).
194 Sulla significatività della tecnica legislativa utilizzata, vedasi anche il precedente paragrafo 2.4.
195 Vedasi i riferimenti normativi estensivamente riportati al precedente paragrafo 2.4.
196 Richiamando la precedente nota 1, si pensi alle problematiche in materia di definizione di piani urbanistici
particolareggiati, comunque denominati, e del concetto di utilizzazione edificatoria dell’area.
197 Così MUCCARI, I trasferimenti di immobili in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, in
Corriere Tributario n. 16/2001, pag. 1178, nonché DEL FEDERICO, Agevolazioni per l’acquisto di immobili a
fini edificatori e rivendita degli stessi prima dell’edificazione entro il quinquennio successivo al trasferimento, in
Il Fisco n. 10/2005-1, pag. 1456.
Per un esame del convulso iter parlamentare che ha portato all’approvazione della norma originaria si veda la
nota 2 dello Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 2/2001/T.
83
approvati ai sensi della normativa statale o regionale…”198, per poi precisare che “nell’ipotesi
di piani attuativi di iniziativa privata, comunque denominati, le agevolazioni fiscali … si
applicano, in ogni caso, a seguito della sottoscrizione della convenzione con il soggetto
attuatore….”199; successivamente ancora, l’ambito, pur rimanendo riferito ai piani urbanistici
particolareggiati, è stato circoscritto in funzione della destinazione degli stessi (“piani
diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata
pubblica”, poi solo “convenzionata” e non più “pubblica”200); ora il più recente riferimento
normativo (a regime) è “agli immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti
all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale comunque denominati”201, rispetto al
quale le riflessioni di tipo giuridico–operativo nell’ambito di questo lavoro riguardano:
a)
l’ampia definizione di “piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati”;
b)
l’assenza di specifiche indicazioni in merito al momento procedurale rilevante ai fini
del trattamento tributario in questione.
Quanto alla definizione di piano urbanistico particolareggiato, l’Amministrazione
Finanziaria202 e la dottrina più autorevole203, pur riconoscendone la non agevole interpretazione,
hanno evidenziato i riferimenti sia ai piani di iniziativa pubblica, previsti dall’art. 13 e
seguenti della “vecchia” legge urbanistica 1150/1942, sia a quelli di iniziativa privata aventi
caratteristiche di attuazione ed esecutività del piano regolatore generale (quali, tipicamente,
i piani di lottizzazione, i piani di zona, i piani per l’edilizia economica e popolare, i piani di
recupero)204.
Risulta pertanto doveroso, ancora una volta, richiamarsi alle nozioni di diritto
198 Art. 33, c. 3, Legge 388/2000; vedi precedente nota 1.
199 Art. 2, c. 30, Legge 350/2003; vedi precedente nota 1.
200 Art. 1, c. 306, Legge 296/2006.
201 Art. 1, c. 25, Legge 244/2007; vedi precedente nota 1; sul requisito dei programmi di edilizia residenziale,
comunque denominati, si è pronunciata anche Assonime, con circolare n. 5 del 24 gennaio 2008, secondo cui la
previsione deve essere letta nel senso che la condizione va riferita all’attuazione dei piani nei quali la costruzione
di abitazioni sia almeno “prevalente” rispetto ad altra tipologia di immobili. Devono ritenersi esclusi, invece,
i piani destinati, esclusivamente o prevalentemente, alla realizzazione di insediamenti produttivi, industriali,
commerciali o artigianali. Nel senso del concetto di “prevalenza” si veda anche la relazione accompagnatoria
della Legge Finanziaria 2008.
202 Circolare 30 gennaio 2002 n. 9/Ee Risoluzione 22 dicembre 2005 n. 175/E.
203 PETRELLI, Agevolazioni per l’acquisto di immobili a fini di utilizzo edificatorio, in Studio n. 2/2001/T,
Consiglio Nazionale del Notariato.
204 Vedasi, in tal senso, quanto già riportato al precedente paragrafo 2.4.
84
urbanistico, con l’annotazione – di assoluto rilievo – che nel processo interpretativo ai fini
fiscali è sempre stata valorizzata e sottolineata l’idoneità degli strumenti stessi, variamente
denominati, a perseguire interessi pubblici, in quanto espressione e frutto di una partecipazione
attiva dell’ente al procedimento di loro formazione; partecipazione che si concretizza o
nell’iniziativa diretta del piano o nella stipula della convenzione. Così molto significativa
appare, ai fini che qui ci interessano, una nota formulata dall’Agenzia delle Entrate205 a favore
della non assimilazione di un “piano di intervento per lo sviluppo di un comparto edificabile”
rispetto ad uno strumento urbanistico, nel senso voluto dalla normativa in esame, in quanto
perfezionatosi con un mero atto d’obbligo unilaterale sottoscritto da più comproprietari
di un’area al solo fine di ottenere il rilascio di un unico permesso di costruire per l’intero
comparto; in altri termini, e qui sta la rilevanza, il predetto piano non è stato considerato
come piano particolareggiato, nel senso fatto proprio e voluto del legislatore fiscale, in quanto
la relativa procedura amministrativa di formazione ne ha fatto dedurre la connotazione di
strumento finalizzato alla regolamentazione dell’esercizio del diritto ad edificare, anziché del
potere di governo del territorio.
Sempre in tal senso, peraltro, la prassi operativa di molti uffici testimonia
dell’applicazione dei benefici fiscali per trasferimenti di immobili compresi anche in semplici
“comparti” con modesti interventi di riassetto e urbanizzazione, purché convenzionati, mentre
analoghe richieste di agevolazioni non vengono accettate pur in presenza di analoghi o anche
più consistenti interventi della medesima natura oggettiva, ma dovuti per effetto di iniziative
giuridicamente unilaterali e pertanto prive del suggello procedurale sopra richiamato.
Il secondo ordine di riflessioni ci porta a dover qualificare l’evoluzione normativa
dall’originario riferimento agli strumenti “regolarmente approvati ai sensi della normativa
statale o regionale”206, al successivo richiamo all’ ”edilizia convenzionata”207, fino all’attuale
completa assenza di specifiche indicazioni relativamente al momento di rilevanza procedurale
ai fini fiscali208.
Sotto questo profilo la chiara e letterale condizione originaria dell’“approvazione”
del piano escludeva alla radice la possibilità che l’agevolazione potesse applicarsi fin dalla
semplice adozione del piano stesso209; tanto più che i riferimenti normativi ed interpretativi
205 Risoluzione n. 175/E del 22 dicembre 2005.
206 Art. 33, c. 3, Legge 388/2000.
207 Art. 36, c. 15, D.L. n. 223 del 4 luglio 2006, convertito in Legge 4 agosto 2006, n. 248.
208 Si parla, infatti, di “immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati … ”.
209 Così GIUNCHI, MASTROIACOVO, PODETTI, Il regime tributario dei trasferimenti di immobili
85
successivi210 avevano dato rilevanza al momento della “convenzione”, tipico atto finale o
comunque esecutivo/attuativo nell’ambito dell’iter procedurale in materia211.
Al contrario, dall’assenza di specifici attuali riferimenti normativi letterali, autorevole
dottrina ha assegnato l’idoneità di presupposto agevolativo alla semplice “adozione” del
piano, rilevando altresì la non necessità dell’apposita convenzione (laddove prevista).
212
La focalizzazione sul momento dell’adozione del piano è evidentemente “figlia” della
nuova definizione di area fabbricabile introdotta dal D.L. 223/06213.
Sotto un profilo generale, però, non si può mancare di sottolineare come la richiamata
norma di interpretazione autentica abbia ambiti e finalità di applicazione decisamente diversi
rispetto a quelli della normativa sui piani particolareggiati; potrebbe, invero, richiamarsi il
concetto di simmetria dell’una rispetto all’altra, ma è evidente la disparità di riferimenti: nel
primo caso lo stato del procedimento (l’adozione) rileva per la maturazione di un presupposto
impositivo (la destinazione urbanistica) in quanto di per sé elemento costitutivo e/o espressivo
di una determinata capacità contributiva; nel secondo caso, invece, la ricerca del “momento
rilevante” assume importanza ai “soli” fini dell’individuazione di una fattispecie impositiva
che, seppur a regime, è comunque espressione di un favor legislativo214; una caratterizzazione,
compresi in piani urbanistici particolareggiati, in Studio n. 18/2008/T del Consiglio Nazionale del Notariato.
210 Vedasi le precedenti note 1 e 5.
211 Secondo la Commissione Provinciale di Pescara (sentenza n. 3 del 15 aprile 2008, in Il Fisco n. 24-2008/1,
pag. 4355, con nota di DEL FEDERICO), l’applicazione dei benefici ex art. 33, c. 3, richiedeva che l’immobile
fosse compreso in aree facenti parte di piani urbanistici particolareggiati, debitamente approvati in base alle leggi
statali e regionali e che l’utilizzazione edificatoria avvenisse entro 5 anni; non venivano richiesti, quali ulteriori
condizioni, né il rilascio del permesso di costruire né la stipula della convenzione con il Comune stesso.
Così anche la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con sentenza n. 9 del 1° aprile 2005.
Sempre sul medesimo tema, si segnala altresì la problematica inerente la spettanza o meno dell’agevolazione
in presenza di una convenzione di lottizzazione stipulata oltre i dieci anni precedenti dall’atto di trasferimento
e sul quale comunemente l’Agenzia invoca la decadenza per intervenuta decorrenza del termine decennale; la
Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con sentenza n. 57 del 19 ottobre 2005, ha ritenuto ammissibile
l’agevolazione anche in tale ipotesi.
212 Si veda lo Studio n. 18-2008/T citato alla precedente nota n. 14; così anche DEL FEDERICO, nella nota
a sentenza richiamata nella precedente nota n. 16 e AMENDOLA, L’imposta ipotecaria nei trasferimenti di
immobili strumentali effettuati da soggetti passivi IVA, in Il Fisco 2009-1, pag. 1525, nota n. 39.
213 Si veda il precedente capitolo 1.1.
214 L’impostazione strutturale “a regime” voluta dal legislatore non sembra infatti contraddire il carattere di
agevolazione fiscale in senso tecnico della norma in oggetto; in tal senso si possono richiamare le varie casistiche
– soprattutto in materia di Iva – nelle quali l’adozione di un tale schema legislativo comporta l’introduzione di
regimi sostanzialmente agevolativi nell’ambito della disciplina base del tributo; vedi LA ROSA, Le agevolazioni
tributarie, in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, I, 1, 1994, p. 401.
86
pertanto, da leggersi in termini di norma “speciale”, rispetto alla quale mal si prestano concetti
generali come quello voluto dalla richiamata norma di interpretazione autentica215.
Un’ulteriore riflessione in materia viene indotta dall’analisi dell’evoluzione storicointerpretativa sulla rilevanza, ai fini fiscali, del procedimento amministrativo in materia
urbanistica, laddove si è richiamato il concetto di strumento urbanistico “perfezionato”216.
La stessa norma che pone la condizione di definitiva spettanza dell’aliquota ridotta, nel
letterale riferimento al “completamento dell’intervento cui è finalizzato il trasferimento”217,
porta a valorizzare il collegamento biunivoco tra, da una parte, l’atto in sé e per sé e, dall’altra,
non tanto il piano quanto l’intervento previsto da quel piano; in altri termini il trattamento
voluto dal legislatore sembra legato allo scopo dello strumento urbanistico (tant’è che la
decadenza è legata al mancato completamento dell’intervento) e non già alla forma del piano
215 Devesi comunque rilevare un certo orientamento dottrinale critico verso il principio (prevalente in
giurisprudenza) dell’inapplicabilità per analogia delle agevolazioni fiscali: vedasi, in particolare, MOSCHETTIZENNARO, Agevolazioni fiscali, in Digesto, IV ed., 1988, I, p. 84; LA ROSA, Le agevolazioni, op. cit., p. 405.
Sotto il profilo funzionale, si ha un’agevolazione fiscale e non una minore tassazione nell’ambito della disciplina
ordinaria di un dato tributo, quando il trattamento di favore è motivato da ragioni extrafiscali, ossia che
prescindono dai criteri di ripartizione e di concorso alla spesa pubblica cui ogni cittadino è tenuto ex art. 53 della
Costituzione (vedasi LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, op. cit., p. 401 ss.). Su tale carattere si fonda la critica
di quell’orientamento giurisprudenziale (vedasi Cass, 8 ottobre 1997, n. 9760, in Comm. Trib., 1998, II, p. 95;
Cass. 27 febbraio 1997, n. 1763, in Mass. Foro it., 1997; Cass, 9 agosto 1990, n. 8111, in Foro it., 1990, I, c. 3419;
Cass. 24 luglio 1989, n. 3496, in Foro it., 1990, I, c. 1626), secondo il quale le norme che prevedono agevolazioni
tributarie, qualificandosi come in deroga al principio di capacità contributiva, sono suscettibili esclusivamente
di interpretazione estensiva e non di applicazione analogica. Sotto il profilo strutturale, si ritengono indici
dell’esistenza di un’agevolazione fiscale in senso tecnico, la presenza di limiti temporali o territoriali di efficacia,
la collocazione della norma in testi unici dedicati ad agevolazioni fiscali – ad es. il D.P.R. n. 601/73, n.d.r. -, la
configurazione della disciplina come derogatoria e l’interessamento dal punto di vista agevolativo di più tributi
contemporaneamente.
216 Argomento trattato al precedente paragrafo 1.6.
217 Art. 1, c. 25, Legge 244/2007. Secondo Assonime, con circolare n. 5 del 24 gennaio 2008, questo momento
si riferisce all’ultimazione dei lavori e non già – come invece ritenuto dall’Agenzia delle Entrate con circolare
11/E/2002 in merito all’art. 33, c. 3, Legge 388/2000 – ad un edificio “significativo” dal punto di vista urbanistico.
Per inciso, l’attuale formulazione della norma (che, come già rilevato, non contiene più alcun riferimento
all’utilizzo edificatorio dell’area, ma pone come condizione “il completamento dell’intervento”) sembra poter
estendere il suo ambito “non soltanto ai fabbricati non ultimati ma anche a quelli oggetto di successiva integrale
ristrutturazione” (così SMALDINI, Immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati. Trasferimento, in
La settimana fiscale, n. 24/2008, pag. 19). Quanto al concetto di completamento dell’intervento, in assenza di
specifiche indicazioni sulla norma, l’Agenzia delle Entrate, sia pure in merito ad argomenti diversi, si è già
espressa con circolare n. 12/E del 1° marzo 2007, par. 10, secondo cui:
l’intervento di costruzione o ristrutturazione si deve ritenere ultimato “con riferimento al momento in cui
l’immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo”;
nel caso di costruzione si deve ritenere “ultimato l’immobile per il quale sia intervenuta da parte del direttore
dei lavori l’attestazione dell’ultimazione degli stessi, che di norma coincide con la dichiarazione da rendere
in Catasto”; in assenza di formale attestazione di fine lavori si deve comunque ritenere ultimato l’intervento
laddove il fabbricato sia concesso in uso a terzi.
87
stesso, cosicché sembra più plausibile ritenere che il monitoraggio successivo al trasferimento
non possa che avere ad oggetto un piano perfezionato e non solo adottato.
Sul concetto di perfezionamento, poi, si aprono degli ulteriori scenari di possibili
definizioni che coinvolgono i momenti dell’approvazione definitiva fino a quello della stipula
della convenzione218, laddove evidentemente prevista.
La lettera della legge, anche e soprattutto in assenza di una specifica disposizione
come quella di cui all’art. 2, comma 10, L. 350/2003, non pare avvalorare l’orientamento già
emerso con il vecchio regime di considerare la convenzione come elemento indispensabile,
concentrando invece l’attenzione sulla previsione oggettiva del piano e del suo contenuto,
rispetto al quale la convenzione stessa appare un elemento più esecutivo che deliberativo per
la formazione di un titolo giuridico.
Un’ultima ulteriore riflessione viene indotta da una lettura sistematica, complessiva
e relazionale delle due nuove disposizioni a regime in materia, rispettivamente, di imposta di
registro (il comma 25 dell’art. 1, L. 244/2007) e di imposta ipotecaria (il successivo comma
26); da tale lettura si deduce che la “condizione” del completamento dell’intervento (con
i relativi aspetti di rilevanza oggettiva dello stesso) è stata pensata e voluta dal legislatore
unicamente ed esclusivamente per l’imposta di registro (il comma 25) e non anche per
l’imposta ipotecaria (il comma 26)219.
218 Si vedano il precedente paragrafo 3.1 e la nota 1 del presente paragrafo 3.4.
219 Vedasi così anche AMENDOLA, L’imposta ipotecaria nei trasferimenti di immobili strumentali, op. cit.,
pag. 1526.
88
3.5.Piani di recupero e agevolazioni in materia di imposta di registro: il difficile
rapporto tra la “statica” normativa speciale tributaria e la “dinamica” normativa
urbanistica.
Nell’ambito del rapporto di interdipendenza tra norme fiscali da una parte e norme
urbanistiche dall’altra, assume frequentemente rilievo la diversa dinamica evolutiva delle
due discipline; così, se è notorio considerare l’ordinamento tributario in sistematico sviluppo,
appare quanto meno inusuale affrontare delle problematiche in cui è proprio la norma fiscale a
dover essere letta, interpretata ed applicata su istituti e fattispecie di nuova previsione evolutiva
in un diverso campo (nella fattispecie quello urbanistico) dell’ordinamento giuridico.
Questa esigenza di coordinamento porta con sé la necessità di individuare ambiti,
definizioni e caratteristiche delle nuove previsioni urbanistiche al fine di consentire l’
“aggancio” applicativo con altre norme, rimaste temporalmente legate a diversi e più datati
riferimenti.
Un esempio di tali complesse problematiche è rappresentato dal rapporto tra le
previsioni di cui all’art. 5 della L. 168/82220 ed i nuovi istituti urbanistici frutto dell’incessante
evoluzione normativa in materia; l’esperienza applicativa ha reso complesso il collegamento
tra, da una parte, “i piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché
convenzionati, di cui agli articoli 27 e seguenti della legge 5 agosto 1978, n. 457” (così
letteralmente richiamati dal citato art. 5 L. 168/82) e, dall’altra, gli strumenti compresi tra le
numerose forme di piani particolareggiati previste dalla sopravvenuta normativa urbanistica il
cui ambito spesso si sovrappone, per finalità e caratteristiche, ai piani di recupero medesimi.
Sotto il profilo fiscale, il rapporto tra le due fattispecie di strumenti attuativi risulta
evidentemente decisivo ai fini dell’applicazione o meno della norma di favore del predetto
art. 5 L. 168/82 in luogo della norma più generale che, salva la presenza anche degli altri
presupposti, richiama i piani particolareggiati221.
Con un significativo intervento sulla specifica questione222, l’Agenzia delle Entrate
ha sviluppato le proprie determinazioni sulla base di valutazioni ed argomentazioni di tipo
220 L’art. 5 della legge 22 aprile 1982, n. 168 prevede che “nell’ambito dei piani di recupero di iniziativa
pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati, di cui agli artt. 27 e seguenti della L. 5 agosto 1978, n. 457,
ai trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti che attuano il recupero, si applicano le imposte di registro,
catastali e ipotecarie in misura fissa. Nello stesso ambito le permute sono esenti dall’imposta sull’incremento
del valore degli immobili e sono soggette alle imposte di registro, catastale e ipotecaria in misura fissa”; sullo
specifico argomento si veda lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato (estensore MONTELEONE),
Imposte di registro, ipotecarie e catastali: agevolazioni concernenti il recupero del patrimonio edilizio esistente,
in C.N.N. Strumenti, voce 1910, p. 13.1.
221 Cfr. i precedenti paragrafi 2.4 e 3.4.
222 Risoluzione n. 383 dell’11 dicembre 2002.
89
eminentemente urbanistico, valorizzando gli ambiti e le finalità specifiche degli strumenti
attuativi richiamati dalla norma fiscale; così il “piano di recupero” di cui alla L. 168/82
è stato definito “strumento più complesso rispetto al piano particolareggiato dovendo, a
differenza di quest’ultimo, valutare la compatibilità del tessuto preesistente con le nuove
esigenze urbanistiche e potendo rivedere, quindi, l’assetto urbanistico con ad esempio
differente distribuzione dei lotti, reperimento di aree di interesse pubblico, riassetto delle vie
di comunicazione. Tali caratteristiche del piano di recupero emergono in modo chiaro dagli
articoli dal 27 al 31 della più volte citata legge n. 457, ove è ripetutamente sottolineata la
relazione tra piano di recupero, patrimonio edilizio e interventi preordinati alla conservazione,
al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso”; inoltre,
pur riconoscendone la natura di piano particolareggiato, “il piano di recupero opera su
specifici fronti, diversi da quelli interessati dagli altri piani particolareggiati. Infatti, il primo
riguarda zone in cui esiste già un tessuto urbanistico – edilizio che deve essere recuperato,
mentre gli altri si riferiscono ad aree di espansione urbanistica”.
Nel caso specifico, l’Amministrazione Finanziaria ha concluso per l’applicabilità
della norma sui piani di recupero in quanto “costituisce, per la particolare finalità, norma
speciale rispetto a quella di regime …” relativa ai piani particolareggiati.
Da questi principi generali, sotto il profilo pratico-operativo, deriva molto spesso la
necessità/opportunità di individuare, all’interno di determinati strumenti urbanistici attuativi,
variamente denominati e comunemente complessi, l’assimilabilità o meno, totale o parziale,
agli interventi di recupero di cui agli artt. 27 e 28, L. 457/78223; ciò in ragione e al fine
223 L’art. 27 della legge 5 agosto 1978 n. 457 così recita: “I comuni individuano, nell’ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado,
si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla
conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. Dette
zone possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad
attrezzature. Le zone sono individuate in sede di formazione dello strumento urbanistico generale ovvero, per i
comuni che, alla data di entrata in vigore della presente legge, ne sono dotati, con deliberazione del consiglio
comunale sottoposta al controllo di cui all’articolo 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Nell’ambito delle
zone, con la deliberazione di cui al precedente comma o successivamente con le stesse modalità di approvazione,
possono essere individuati gli immobili, i complessi edilizi, gli isolati e le aree per i quali il rilascio della
concessione è subordinato alla formazione dei piani di recupero di cui al successivo articolo 28. Per le aree e gli
immobili non assoggettati al piano di recupero e comunque non compresi in questo si attuano gli interventi edilizi
che non siano in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici generali. Ove gli strumenti urbanistici
generali subordinino i rilascio della concessione alla formazione degli strumenti attuativi, ovvero nell’ambito
delle zone destinate a servizi i cui vincoli risultano scaduti, sono sempre consentiti, in attesa di tali strumenti
urbanistici attuativi, gli interventi previsti dalle lettera a), b), c) e d) del primo comma dell’articolo 31 che
riguardino singole unità immobiliari o parti di esse. Inoltre sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del
primo comma dell’articolo 31 che riguardino globalmente uno o più edifici anche se modifichino fino al 25 per
cento delle destinazioni preesistenti purché il concessionario si impegni, con atto trascritto a favore del comune e
a cura e spese dell’interessato, a praticare , limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, prezzi
di vendita e canoni di locazione concordati con il Comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione ai sensi
della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e successive modificazioni.
90
dell’applicabilità del particolare regime di favore di cui all’art. 5, L. 168/82, in presenza
di strumenti urbanistici che presentano caratteristiche e finalità non solo o comunque non
perfettamente inquadrabili tra quelle tipiche dei “piani di recupero”.
Tale valutazione necessita, evidentemente, del compimento di un esame concreto delle
fattispecie progettuali previste dai rispettivi piani secondo una logica giuridico-normativa.
Richiamandoci, ad esempio, alla fattispecie complessa e significativa dei P.I.R.U.E.A.,
in relazione alla normativa urbanistica regionale del Veneto224, devesi segnalare che,
ancorché la normativa stessa (art. 19, comma 1, L.R. 11/2004) definisca e faccia rientrare
nell’elencazione dei “Piani Urbanistici Attuativi” sia, sub d), il “piano di recupero di cui
all’articolo 28 della legge 5 agosto 1978 n. 457 …”, sia, sub f), il “programma integrato”
(e quindi il P.I.R.U.E.A.), non c’è dubbio che il contenuto del P.I.R.U.E.A. sia estremamente
più vasto e complesso di quello del “Piano di Recupero”, in quanto mentre quest’ultimo ha
Secondo l’art. 28 della medesima legge “I piani di recupero prevedono la disciplina per il recupero degli immobili,
dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree di cui al terzo comma del precedente art. 27, anche attraverso
interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando le unità minime di intervento.
I piani di recupero sono approvati con la deliberazione del consiglio comunale con la quale vengono decise
le opposizioni presentate al piano, ed hanno efficacia dal momento in cui questa abbia riportato il visto di
legittimità di cui all’art. 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62.
Ove la deliberazione del consiglio comunale di cui al comma precedente non sia assunta, per ciascun piano di
recupero, entro tre anni dalla individuazione cui al terzo comma del precedente art. 27, ovvero non sia divenuta
esecutiva entro il termine di un anno dalla predetta scadenza, l’individuazione stessa decade ad ogni effetto. In
tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal quarto e quinto comma del precedente art. 27.
Per quanto non stabilito dal presente titolo si applicano ai piani di recupero le disposizioni previste per i piani
particolareggiati dalla vigente legislazione regionale e, in mancanza, da quella statale.
I piani di recupero sono attuati:
a) dai proprietari singoli o riuniti in consorzio o dalle cooperative edilizie di cui siano soci, dalle imprese di
costruzione o dalle cooperative edilizie cui i proprietari o i soci abbiano conferito il mandato all’esecuzione delle
opere, dai condomini o loro consorzi, dai consorzi fra i primi ed i secondi, nonché dagli IACP o loro consorzi, da
imprese di costruzione o loro associazioni temporanee o consorzi e da cooperative o loro consorzi;
b) dai comuni, direttamente ovvero mediante apposite convenzioni con i soggetti di cui alla lettera a) nei seguenti
casi:
1) per gli interventi che essi intendono eseguire direttamente per il recupero del patrimonio edilizio esistente
nonché, limitatamente agli interventi di rilevante interesse pubblico, con interventi diretti;
2) per l’adeguamento delle urbanizzazioni;
3) per gli interventi da attuare mediante cessione volontaria, espropriazione od occupazione temporanea, previa
diffida nei confronti dei proprietari delle unità minime di intervento, in caso di inerzia dei medesimi, o in
sostituzione dei medesimi nell’ipotesi di interventi assistiti da contributo, La diffida può essere effettuata anche
prima della decorrenza del termine di scadenza del programma pluriennale di attuazione nel quale il piano di
recupero sia stato eventualmente incluso.
I Comuni, sempre previa diffida, possono provvedere all’esecuzione delle opere previste dal piano di recupero,
anche mediante occupazione temporanea, con diritto di rivalsa, nei confronti dei proprietari, delle spese
sostenute.
I Comuni possono affidare la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria ai proprietari
singoli o riuniti in consorzio che eseguono gli interventi previsti dal piano di recupero.
224 Vedasi il precedente paragrafo 1.5.
91
finalità esclusivamente urbanistico-edilizia, il programma integrato ha finalità ben più vasta,
essendo stato concepito come strumento di politica programmatoria in materia urbanistica.
In tal senso: “il programma integrato d’intervento ex art. 16, L. 17 febbraio 1992, n. 179,
va distinto dal piano di recupero di cui all’art. 28, L. 5 agosto 1978, n. 457, avendo come
finalità primaria quella di convogliare l’iniziativa pubblica e quella privata verso obiettivi
di riqualificazione ambientale attraverso forme miste di finanziamento privato, regionale e
statale, che trascendono i limiti della scelta urbanistica”225.
Del resto, non a caso, nel testo dell’art. 19, c. 1, lettera f) il legislatore veneto della
L.R. 11/2004 ha ritenuto opportuno specificare, proprio a significare la particolare e diversa
natura e portata del “programma” rispetto agli strumenti attuativi sopra ricordati nello stesso
articolo 19, ai punti a), b), c), d) ed e), quanto segue: “… in particolare il programma integrato
è lo strumento di attuazione della pianificazione urbanistica per la realizzazione coordinata,
tra soggetti pubblici e privati, degli interventi di riqualificazione urbanistica, edilizia ed
ambientale. La riqualificazione si attua mediante il riordino degli insediamenti esistenti e il
ripristino della qualità ambientale anche attraverso l’ammodernamento delle urbanizzazioni
primarie e secondarie e dell’arredo urbano, il riuso di aree dismesse, degradate, inutilizzate,
a forte polarizzazione urbana, anche con il completamento dell’edificato”.
La novità dei contenuti del “programma integrato” rispetto al più datato strumento del
“piano urbanistico” è quindi evidente.
Avendo ben presente il paradigma legale dell’art. 28, L. 457/78 (norma che peraltro
non può essere letta se non in combinato disposto con quella del precedente art. 27), volto
essenzialmente al recupero o riutilizzo di immobili esistenti e le concrete fattispecie progettuali
dei P.I.R.U.E.A. pensati per prevedere interventi ben più complessi a livello urbanistico226,
non vi è dubbio che solo determinati interventi potrebbero essere ritenuti oggetto di un
“piano di recupero” ai sensi della L. 457/1978. Ed invero, non a caso, la giurisprudenza è
concorde nel ritenere “… illegittimo il piano di recupero che, in sostanziale sostituzione di
un piano particolareggiato, riguardi un’area quasi completamente inedificata e non immobili
degradati”227.
Tutto ciò premesso, si deve concludere che l’assimilazione ad un “Piano di Recupero”,
con il conseguente trattamento tributario di favore, può essere effettivamente riconosciuta
225 TAR del Lazio, Sez. I, 11 marzo 1998, n. 1000; sulla qualificazione del piano di recupero come strumento
urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte del P.R.G. e quindi equivalente al piano particolareggiato,
vedasi la nota 3 del paragrafo 1.4.
226 A volte comprendenti anche la creazione di nuove zone edificabili, mediante specifiche varianti al PRG.
227 92
Cfr., ex multis, Cons. St., Sez. IV, 31 maggio 1999, n. 925.
anche nella singola fattispecie operativa di strumenti attuativi complessi e disciplinati da
norme sopravvenute, purché i relativi concreti interventi presentino caratteristiche tecnicoprogettuali e urbanistico-normative tali da poter formare oggetto di un vero e proprio Piano
di Recupero.
Quindi, concretamente, il regime di favore previsto dal “vecchio” art. 5, L. 168/1982,
può e deve applicarsi anche in presenza di strumenti attuativi non propriamente e formalmente
definibili come Piani di Recupero, a condizione che gli organi e soggetti aventi competenza
e qualificazione “tecnica” possano ravvisare e attestare le condizioni progettuali-normative
sopra richiamate228.
È evidente, in tal caso, l’intreccio tra normativa fiscale e normativa urbanistica, reso
particolarmente complesso dall’evoluzione di quest’ultima verso forme ed ambiti diversi
da quelli a cui in origine si era riferito e si ispirava il legislatore fiscale; ma è proprio in
quest’ultimo ambito, reso ancora più complesso ed articolato dallo “scollamento temporale”,
che emerge la rilevanza, non solo formale, ma anche e soprattutto operativa, di un approccio
alla concreta fattispecie con criteri e principi di interdisciplinarietà.
228 Ad esempio tramite apposite certificazioni e/o attestazioni che costituiscano parte integrante degli atti
soggetti a registrazione.
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Finito di stampare nel mese di aprile 2009
presso Graficart Arti Grafiche - Resana (TV)
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