Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Treviso Imposte sui trasferimenti immobiliari e strumenti urbanistici A cura della COMMISSIONE DI STUDIO DI DIRITTO TRIBUTARIO NAZIONALE ED INTERNAZIONALE 1 2 Indice Prefazione pag. 5 Premessa pag. 7 1. Profilo giuridico degli “strumenti urbanistici” secondo la normativa statale e della regione veneto pag. 9 1.1. Le competenze legislative ed amministrative in materia urbanistico-edilizia. Cenni generali pag. 9 1.2. I principi fondamentali della legislazione statale. La legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 pag. 11 1.3. I principi fondamentali della legislazione statale. Il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (d.P.R. 6 Giugno 2001, n. 380) pag. 13 1.4. La crisi degli strumenti autoritativi unilaterali e lo sviluppo dell’urbanistica convenzionata pag. 15 1.5. La legislazione urbanistico-edilizia della regione veneto: la legge 23 Aprile 2004 n. 11, Recante “norme per il governo del territorio” pag. 18 1.6. Alcuni concetti giuridici in materia di procedimenti amministrativo-urbanistici rilevanti ai fini della legislazione tributaria pag. 21 2. L’imposizione indiretta sui trasferimenti immobiliari pag. 29 2.1. Nozioni e principi generali: premessa pag. 29 3 4 2.2. Nozioni e principi generali: l’imposizione indiretta sulle varie tipologie di immobili pag. 32 2.3. Nozioni e principi generali: la permuta, il conferimento in società ed altre operazioni straordinarie pag. 45 2.4. Alcune normative speciali pag. 47 3. Imposte indirette e urbanistica: esame di alcune problematiche operative ed applicative pag. 59 3.1. La nozione di area “fabbricabile” ai fini tributari: evoluzione normativa e problemi irrisolti pag. 59 3.2. Le opere di urbanizzazione nell’”urbanistica convenzionata”: definizioni, disciplina e problematiche applicative pag. 68 3.3. La ricomposizione urbanistica per il riequilibrio della capacità edificatoria nei comparti o ambiti di intervento con più proprietari: il complesso rapporto tra norme in materia civilistica, urbanistica e fiscale pag. 75 3.4. I piani particolareggiati e le imposte di registro, ipotecaria e catastale; evoluzione normativa e stato attuale della disciplina pag. 81 3.5. Piani di recupero e agevolazioni in materia di imposta di registro: il difficile rapporto tra la “statica” normativa speciale tributaria e la “dinamica” normativa urbanistica pag. 89 PREFAZIONE Quello che presentiamo è il primo Quaderno di approfondimento frutto del lavoro della Commissione di studio di diritto tributario nazionale ed internazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Treviso. E’ la prima tappa di un percorso che dovrebbe condurci a toccare altre tematiche fiscali di particolare delicatezza o di elevato tecnicismo, senza mai dimenticare l’obiettivo principale della nostra attività: quello di fornire in primis ai nostri colleghi, ma anche agli altri operatori professionali, strumenti in grado di coniugare il rigore scientifico con l’attenzione all’aspetto pratico derivante dall’esercizio quotidiano della professione. Un ringraziamento speciale, per la realizzazione di questo primo Quaderno, va all’avv. Marco Francescon, al dott. Gianfranco Lorenzon e al dott. Luca Girotto, fermo restando che la responsabilità del suo contenuto e delle opinioni in esso espresse è dell’intera Commissione di studio. Vogliamo infine dedicare questo lavoro al collega dott. Paolo Spigariol, anch’egli componente della Commissione, prematuramente scomparso lo scorso anno. Treviso, lì 14 aprile 2009 Roberto Baggio 5 6 PREMESSA Molte norme dell’ordinamento tributario hanno ad oggetto gli immobili, per di più con carattere tipicamente evolutivo e di sistema; il legislatore fiscale d’altra parte ha da sempre dedicato particolare attenzione a fabbricati e terreni, sia da un punto di vista statico–possessorio (come “cespiti” idonei a produrre reddito), sia da un punto di vista dinamico-transattivo (come oggetto di attività produttrici di ricchezza e/o di trasferimento della ricchezza stessa). L’immobile in sé e per sé è un “agevole” indicatore di capacità economica, nonché un evidente e storicamente radicato centro di interessi economici e non solo, privati e/o pubblici; per questo non può che essere oggetto di articolate e complesse determinazioni che coinvolgono più aspetti disciplinari: dalla politica ambientale di assetto del territorio, all’incentivazione economica in senso lato, alla promozione e alla valorizzazione di politiche sociali, per arrivare, da ultimo, ma non certo quale argomento di minor importanza, alla relativa qualificazione come strumento di politica fiscale. La traduzione in termini tecnico-operativi di tali e tante attenzioni è ben rappresentata dalle variegate “regole” che hanno ad oggetto o che comunque riguardano il settore immobiliare; regole comunemente “settoriali”, ma la cui valenza ed efficacia inevitabilmente non può essere considerata a “compartimenti stagni”; l’assetto territoriale e ambientale non può non considerare quello della sicurezza e della socialità, così come, per i fini che qui ci interessano, le regole sullo jus aedificandi non possono non avere ripercussioni sulle regole della fiscalità. Corollario di tali riflessioni è l’acceso e pressoché ineguagliabile carattere di “interdisciplinarietà strutturale” che le iniziative e le operazioni del settore immobiliare presentano nella prassi e nell’operatività quotidiana. Un approfondimento tematico e sistemico di tali generali argomentazioni ci porta ad individuare il focus del presente lavoro nei rapporti di dipendenza ed interconnessione tra nozioni e regole di diritto amministrativo/urbanistico da una parte e norme di diritto tributario dall’altra, con particolare riferimento alla fiscalità indiretta; argomentazioni tematiche che notoriamente coinvolgono le competenze di soggetti normalmente operanti su campi ed ambiti disciplinari molto diversi tra loro ed il cui coordinato contributo, nella fattispecie, risulta il più delle volte determinante e decisivo non solo sotto l’aspetto formale-giuridico, ma anche e soprattutto sotto un profilo sostanziale-economico. 7 In epoche temporali in cui le regole urbanistiche, nel distinguere nettamente le fasi di pianificazione e di attuazione, lasciano sempre maggior spazio alle determinazioni ed iniziative “convenzionali” tra enti ed operatori economici, assume determinante rilievo la funzione di coordinamento e concertazione tra l’aspetto prettamente tecnico-progettuale ed esecutivo (tipico delle professioni tecniche), quello giuridico-amministrativo (tipico della professione forense), quello giuridico-tributario (tipico della professione commercialistica) e quello giuridico-contrattuale formale (tipico della professione notarile). Il presente lavoro trova quindi il suo spunto originario e la sua finalizzazione proprio in tale quadro di interdisciplinarietà, intendendo fornire un contributo in termini di riflessioni “giuridico–operative” su argomenti verso i quali l’approccio è molto spesso e pregiudizialmente condizionato da un eccesso di “tecnicismo”. Tali riflessioni partono dall’esame preliminare di alcuni concetti di base in materia sia di diritto urbanistico che di diritto tributario, per poi coniugare ed utilizzare i relativi spunti nella sintesi delle relative problematiche operative ed applicative oggetto dell’esperienza professionale. Nella prima parte vengono sinteticamente esaminati i profili giuridici degli strumenti urbanistici ed edilizi statali e regionali del Veneto, con evidenza di alcuni riferimenti a principi costituzionali e legislativi, nonché del processo di sviluppo verso gli istituti dell’”urbanistica convenzionata”. Nella seconda parte sono richiamati alcuni principi e riferimenti di base validi per la definizione dell’imposizione indiretta nei trasferimenti immobiliari, con evidenza di alcune riflessioni sulla normativa generale e su talune disposizioni “speciali” in materia. La terza parte espone ed affronta alcune problematiche operative le cui soluzioni richiedono riflessioni ed argomentazioni su tematiche e nozioni ad elevata caratterizzazione “pluridisciplinare”. 8 1 PROFILO GIURIDICO DEGLI “STRUMENTI URBANISTICI” SECONDO LA NORMATIVA STATALE E DELLA REGIONE VENETO 1.1.Le competenze legislative ed amministrative in materia urbanistico-edilizia. Cenni generali. A seguito delle recenti modifiche apportate all’art. 117 della Costituzione1 l’urbanistica rientra nel novero delle materie per le quali sussiste la competenza legislativa concorrente StatoRegioni2, che assegna alle Regioni la potestà normativa, salva la riserva alla legislazione statale relativamente alla determinazione dei principi fondamentali. In realtà, la materia urbanistica non appare più nel testo dell’art. 117 Cost., il quale adotta, invece, nell’ambito dell’elenco contenente le materie devolute alla legislazione concorrente Stato-Regioni, il termine più ampio di “governo del territorio”, idoneo a rendersi capiente, oltre che della materia stricto sensu urbanistica, anche di quella edilizia3. 1 Completamente sostituito dall’art. 3 L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3 (vedasi anche le disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento alla predetta legge costituzionale contenute nella legge 5 giugno 2003 n. 131). 2 L’art. 117 Cost. disciplina un criterio di distribuzione che prevede tre diversi ambiti di materie: a) quello della legislazione statale esclusiva (art. 117, comma 2); b) quello della legislazione concorrente (art. 117, comma 3), nell’ambito del quale spetta alle Regioni la potestà normativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione delle Stato; c) quello, generale, della competenza legislativa regionale (art. 117, comma 4), che opera per ogni materia non espressamente riservata allo Stato e per il quale valgono, in base al comma 1, i soli limiti derivanti dalla Costituzione, dall’ordinamento comunitario e dagli impegni internazionali. 3 La giurisprudenza della Corte Costituzionale successiva alla riforma dell’art. 117 Cost. è chiara sul punto. V. ad es. C.Cost., 19 dicembre 2003, n. 362: “anche l’ambito di materia costituito dall’edilizia va ricondotto al «governo del territorio». Del resto la formula adoperata dal legislatore della revisione costituzionale del 2001 riecheggia significativamente quelle con le quali, nella più recente evoluzione della legislazione ordinaria, l’urbanistica e l’edilizia sono state considerate unitariamente (v. art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione sulle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, modificato dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, Disposizioni in materia di giustizia amministrativa)”. Più problematico, invece, è il rapporto con la materia della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, inserita tra le competenze legislative statali esclusive di cui al secondo comma dell’art. 117 Cost., lett. s). La Corte Costituzionale, a questo riguardo, ha avuto modo di precisare con la sentenza 26 luglio 2002, n. 407, che “non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell’art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come “materie” in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (cfr. sentenza n. 282 del 2002). In questo senso l’evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere 9 Quanto alle funzioni amministrative, che si possono suddividere in programmatorie e di disciplina generale da un lato e di autorizzazione, controllo e sanzionatorie dall’altro, esse risultano per la maggior parte assegnate ai Comuni, ai quali spettano sia le scelte di pianificazione urbanistico-edilizia più importanti (ad esempio: la redazione del piano regolatore generale, l’approvazione del regolamento edilizio e delle norme tecniche di attuazione dei piani), sia l’attività di controllo specifico sulle attività edilizie (ad esempio: il rilascio dei titoli abilitanti)4. Le Province normalmente svolgono compiti di pianificazione intermedia (ad esempio: il piano territoriale di coordinamento provinciale) o di delega regionale (ad esempio: approvazione in luogo della Regione dei piani comunali), mentre alle Regioni sono assegnate funzioni di indirizzo della programmazione (ad esempio: il piano territoriale regionale) e di controllo sulla pianificazione locale, oltreché di identificazione delle esigenze di localizzazione delle infrastrutture di rilievo ed interesse regionale. Il titolo III del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 53 e segg., infine, individua i compiti amministrativi riservati allo Stato in materia di “territorio ambiente e infrastrutture”, compiti che si limitano sostanzialmente, nella specifica materia che ci interessa (v. capo II: “territorio e urbanistica”), alle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale (art. 52), con particolare incisività di intervento nella delicata materia dell’edilizia residenziale pubblica (art. 59) ed alla localizzazione delle opere di interesse statale (art. 55). che possa identificarsi una “materia” in senso tecnico, qualificabile come “tutela dell’ambiente”, dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998)”. 4 L’art. 118 Cost. prevede infatti che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. 10 1.2. I principi fondamentali della legislazione statale. La legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150. Alla luce della normativa cui si è fatto sopra breve cenno, attualmente la disciplina dei piani urbanistici e degli strumenti abilitativi all’edificazione, oggetto di riparto concorrente Stato-Regione, seppur si deve mantenere rispettosa dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale (legge 17 agosto 1942, n. 1150, in materia urbanistica e D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in materia edilizia), presenta un florilegio di tipi, contenuti ed effetti estremamente variegati e differenziati regione per regione. Prima di esaminare la normativa della Regione Veneto è pertanto opportuno premettere un breve panorama riguardante la legge urbanistica statale 1942 ed il più recente Testo Unico delle disposizioni in materia edilizia del 2001. La legge 1150/1942 individua tre livelli di pianificazione, strutturati in un sistema di tipo gerarchico, ove le previsioni del livello più alto si impongono al piano del livello inferiore. Al vertice del sistema sta il piano territoriale di coordinamento (artt. 5 e 6), con il quale la Regione ha la facoltà di orientare e coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio, con particolare riferimento alle zone da riservare a speciali destinazioni o da sottoporre a vincoli speciali, alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi, alla rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie, eccetera. Ovviamente, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni del 19725, lo Stato si è riservato la più generale “funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle Regioni a statuto ordinario che attengono ad esigenze di carattere unitario”6. Ad un livello immediatamente inferiore si posiziona il piano regolatore generale (artt. 7 e segg. della legge 1150/1942), che deve considerare la totalità del territorio comunale e che 5 Originariamente la competenza per il piano territoriale di coordinamento era del Governo statale (Ministero dei Lavori Pubblici, su parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici), mentre ora essa è radicata nelle Regioni a seguito dell’art. 1, comma 2, lett. a) del D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, recante “Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici”. 6 Art. 9, D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8. Prosegue la norma, al comma sesto, precisando che detta funzione di indirizzo e coordinamento “si esercita al fine di assicurare anche unitarietà e coordinamento all’attività di pianificazione urbanistica ai vari livelli di circoscrizione territoriale. In particolare, mediante l’esercizio della suddetta funzione, su proposta del Ministro per i lavori pubblici: 1) sono identificate le linee fondamentali dall’assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento alla articolazione territoriale degli interventi statali o di rilevanza nazionale, alla tutela paesistica, ambientale ed ecologica del territorio ed alla difesa e conservazione del suolo; viene verificata periodicamente la coerenza di tali linee con gli obiettivi della programmazione economica nazionale; 2) sono definiti gli aspetti metodologici e procedurali da osservare nella formazione dei piani territoriali regionali nonché gli standard urbanistici ed edilizi, quali minimi o massimi inderogabili da osservare ai fini della formazione dei piani urbanistici”. 11 viene redatto dal Comune ed approvato dalla Regione7 o, ove sia previsto, dalla Provincia su delega. Esso, tra l’altro, deve prevedere la suddivisione in zone del territorio comunale, con indicazione dei vincoli e dei caratteri di ogni zona, con particolare riguardo all’individuazione delle aree destinate agli spazi di uso pubblico ed agli edifici pubblici ed ai vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico8. Ad un livello ancor più basso si situano i piani regolatori particolareggiati (artt. 13 e segg. della legge 1150/1942), la cui funzione è quella di cernierare il piano regolatore generale con il singolo provvedimento amministrativo contenente la specifica abilitazione ad edificare, prevedendo disposizioni di dettaglio concernenti le reti stradali, i principali dati altimetrici, le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze, gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico, gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione, ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia, eccetera. La particolare rigidità dei piani particolareggiati9 ne ha decretato la progressiva sostituzione nella pratica con altri strumenti attuativi del piano regolatore generale, di cui si dirà. 7 Anche qui l’originaria competenza statale è stata trasferita alle Regioni (vedasi art. 1, comma 2, lett. d, D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8). 8 Non va tralasciata menzione sia dei piani regolatori generali intercomunali, che vengono redatti da due o più Comuni contermini nel caso in cui, per le caratteristiche di sviluppo degli aggregati edilizi degli enti locali medesimi, si riconosca opportuno il coordinamento delle direttive riguardanti l’assetto urbanistico dei Comuni stessi (art. 12 legge 1150/1942), sia dei programmi di fabbricazione, che i Comuni sprovvisti di piano regolatore debbono inserire nel loro regolamento edilizio e che contiene l’indicazione dei limiti di ciascuna zona, secondo le delimitazioni in atto o da adottarsi, nonché la precisazione dei tipi edilizi propri di ciascuna zona, con possibilità di indicare le eventuali direttrici di espansione (art. 34 legge 1150/1942). 9 L’art. 17 della legge 1150/1942 prevede, infatti, che decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato questo diventi inefficace per la parte che non abbia avuto esecuzione, ma al contempo dispone che rimane fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso. 12 1.3. I principi fondamentali della legislazione statale. Il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). Anche la materia dell’edilizia, come si è visto, possiede la sua legge statale contenente i principi fondamentali ai quali deve attenersi la legislazione regionale ex art. 117 Cost., rappresentata dal Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 380/2001). In particolare, e limitata l’indagine all’attività edilizia privata10, il T.U. prevede anzitutto alcune attività edilizie “libere” in quanto eseguibili senza titolo abilitativo (e salva la eventuale normativa più restrittiva delle Regioni e dei piani). Essi sono gli interventi di manutenzione ordinaria, gli interventi volti all’eliminazione delle barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio, nonché le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico o siano eseguite in aree esterne al centro abitato (art. 6 D.P.R. 380/2001). Gli artt. 10 e segg. disciplinano il primo titolo abilitativo previsto dal Testo Unico, denominato “permesso di costruire”, subordinando ad esso gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia rappresentati dagli interventi di: a) nuova costruzione; b) ristrutturazione urbanistica; c) ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso. Di particolare importanza è la norma di cui all’art. 16, D.P.R. 380/2001, ove si prevede che, salve le eccezioni previste11, il rilascio del permesso a costruire comporta la corresponsione di un contributo determinato con delibera del consiglio comunale, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione12 ed al costo di costruzione, secondo modalità dettagliatamente 10 L’art. 7, D.P.R. 380/2001, prevede, infatti, l’inapplicabilità della norme in esso contenute alle opere ed interventi delle Pubbliche Amministrazioni, il cui iter per la verifica di conformità agli strumenti urbanistici segue le strade delle procedure d’intesa tra le amministrazioni interessate. 11 Dall’art. 17, comma terzo, il quale esenta dal pagamento del contributo di costruzione, tra gli altri, gli interventi da realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo, quelli di ristrutturazione ed ampliamento in misura non superiore al 20% di edifici unifamiliari, le opere di urbanizzazione eseguite da privati in attuazione di strumenti urbanistici, i nuovi impianti relativi alle fonti rinnovabili di energia, eccetera. 12 Si distinguono gli oneri di urbanizzazione primaria (relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione e spazi di verde attrezzato, cavedi multiservizi e cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni: art. 16, commi 7 e 7 bis) e quelli di urbanizzazione secondaria (relativi ai seguenti interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell’obbligo, nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi 13 indicate dalla norma medesima. Il secondo titolo abilitativo è rappresentato dalla “denuncia di inizio attività” (cd. “DIA”: artt. 22 e segg., D.P.R. 380/2001), frutto di una scelta legislativa di semplificazione e parziale liberalizzazione degli interventi edilizi minori, che sono così abilitati senza un preventivo ed espresso provvedimento amministrativo di assenso. L’intervento edilizio è infatti consentito all’esito di un procedimento che origina con la presentazione da parte dell’interessato della DIA (corredata da una relazione con la quale un progettista abilitato assevera la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, oltre che alle norme di sicurezza e a quelle igienico-sanitarie) almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dell’intervento medesimo e che termina con il silenzioaccoglimento serbato dalla Pubblica Amministrazione, la quale ha la possibilità, entro questo termine, di ordinare la non effettuazione dell’intervento nel caso in cui sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite (art. 23). In particolare, gli interventi soggetti alla disciplina della DIA sono individuati attraverso un criterio residuale, essendo rappresentati da quegli interventi che non sono riconducibili all’elenco degli interventi di edilizia “libera” di cui all’art. 6 ed a quello degli interventi subordinati al rilascio del permesso a costruire di cui all’art. 10, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente13. La legge, infine, prevede (art. 22, comma 4) che le Regioni possano legislativamente ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle procedura abilitativa della DIA. di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie: art. 16, comma 8). Per le costruzioni o gli impianti destinati ad attività industriali o artigianali, il contributo è commisurato all’incidenza, oltre che delle opere di urbanizzazione, anche di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche (art. 19). 13 Sono soggetti al regime della “DIA” anche le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso a costruire. La legge, peraltro, consente che, in alternativa al permesso a costruire, possano essere realizzati con la procedura della “DIA” anche gli interventi di ristrutturazione di cui alla lett. c) del regime del permesso a costruire (vedasi sopra), gli interventi di nuova costruzione o ristrutturazione urbanistica che siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati e gli interventi di nuova costruzione che siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici recanti precise disposizioni plano-volumetriche (art. 22, comma terzo). 14 1.4.La crisi degli strumenti autoritativi unilaterali e lo sviluppo dell’urbanistica convenzionata. La legge urbanistica è del 1942 e pertanto essa, figlia della sua epoca, è segnata da un modello legislativo caratterizzato da una forte dominanza del dirigismo e del potere amministrativo sulla proprietà. Ciò nondimeno, essa già prevedeva una prima forma di partecipazione dei privati, consistente nell’istituto “dei piani di lottizzazione” (art. 28, legge 1150/1942), il cui significato nell’impianto originario della legge assumeva la limitata portata di “operazione di frazionamento di un terreno preordinata ad agevolarne l’utilizzazione a scopo edilizio” 14. Una più idonea disciplina della materia è stata introdotta dall’art. 8 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (c.d. “legge ponte”) che ha modificato l’art. 28 della legge n. 1150/1942, il quale ora prevede che nei Comuni forniti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione e fino a quando non sia stato approvato il piano particolareggiato, la lottizzazione di terreni a scopo edilizio può essere autorizzata dai Comuni stessi subordinatamente alla stipula di una “convenzione di lottizzazione” con il privato che preveda, tra l’altro, la cessione gratuita al Comune delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e l’assunzione degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte di quelli relativi alle opere di urbanizzazione secondaria15. Il piano di lottizzazione si configura pertanto, in questo assetto normativo, come uno strumento urbanistico di pari grado rispetto al piano particolareggiato e ad esso alternativo, nel senso che assolve alla medesima funzione attuativa del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione. Accanto ad ulteriori strumenti urbanistici di stampo unilaterale-autoritativo, introdotti soprattutto in ambiti particolarmente delicati sotto il profilo sociale e, come tali, ritenuti di competenza esclusivamente pubblica (è il caso ad esempio dei piani per l’edilizia economica e popolare – PEEP – introdotti e disciplinati dalla legge 18 aprile 1962, n. 167), veniva così ad assumere sempre più fortuna il filone parallelo dei piani di lottizzazione e, in un secondo momento, degli altri strumenti basati sulla partecipazione del privato nell’attività della pianificazione 14 Cass. Pen., sez. III, 12 ottobre 2005, n. 36940. La legge 1150/1942, dopo aver previsto che i piani particolareggiati di esecuzione del piano regolatore generale dovessero determinare “la suddivisione degli isolati in lotti fabbricabili” secondo la tipologia indicata nei piani medesimi (art. 13), disponeva che il Sindaco avesse la facoltà di invitare i proprietari di aree fabbricabili esistenti nei singoli isolati, che non fossero stati già lottizzati nello stesso piano particolareggiato, a presentare entro un congruo termine un progetto di lottizzazione, tra loro concordato, che assicurasse la razionale utilizzazione delle aree. Il progetto veniva approvato dal Comune, che poteva anche apportarvi modifiche e che provvedeva d’ufficio in caso di inerzia degli intimati. 15 L’assunzione, da parte del proprietario del fondo, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte di quelle di urbanizzazione secondaria (cui è subordinata l’autorizzazione per la lottizzazione) costituisce, per giurisprudenza costante, una obbligazione propter rem nei rapporti tra comune e soggetto proprietario dell’area; vedasi Cass. Civ., Sez. III, n. 11196 del 15 maggio 2007. 15 urbanistica a livello attuativo che il legislatore iniziava con molta fatica a disciplinare, come i “piani di recupero” di cui agli artt. 27 e segg. della legge 5 agosto 1978, n. 457, recante norme per l’edilizia residenziale, ovvero i “programmi integrati” disciplinati dall’art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, sull’edilizia residenziale pubblica. Per quanto riguarda i “piani di recupero”, essi rappresentano lo strumento attuativo alla cui adozione il Comune subordina il rilascio del permesso a costruire in quelle zone, individuate dal Comune stesso nell’ambito degli strumenti urbanistici generali, ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente (che può consistere in singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature) mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso (art. 27 legge 457/1978)16. Il coinvolgimento dei privati deriva dal fatto che l’iniziativa per l’adozione e la definizione dei concreti contenuti del piano, oltre che al Comune stesso, è riconosciuta anche ai privati proprietari di immobili e di aree compresi nelle zone di recupero e rappresentanti almeno i tre quarti del valore degli immobili stessi (art. 30), i quali possono, per l’appunto, sottoporre all’approvazione del Comune le relative proposte. Anche i “programmi integrati”, finalizzati alla riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale e che sono caratterizzati dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubbliche e private, possono essere presentati da soggetti pubblici e privati, singolarmente o riuniti in consorzio o associati fra di loro (art. 16 legge 179/1992). Questa prassi, che ha trovato adeguato terreno di sviluppo nelle esperienze legislative ed amministrative poste in essere dalle Regioni (vedasi sopra) e che si è nutrita della crisi della pratica dello “zoning” urbanistico, caratterizzato da eccessiva generalità di previsioni e da numerosi profili di rigidità degli strumenti autoritativi, ha determinato la necessità di superare la tradizionale impostazione fondata sulla zonizzazione e di elaborare nuovi sistemi di pianificazione. Sin dal 199517 alcune Regioni hanno pertanto costruito un diverso sistema di pianificazione comunale, caratterizzato non più dalla presenza di un unico piano regolatore generale, ma da uno sdoppiamento del vecchio piano in un “piano strutturale” ed un “piano operativo”. Nel primo sono contenuti gli indirizzi generali di sviluppo del territorio, disegnate 16 L’art. 31 della legge 457/1978 definisce con precisione cosa debba intendersi per: a) interventi di manutenzione ordinaria; b) interventi di manutenzione straordinaria; c) interventi di restauro e risanamento conservativo; d) interventi di ristrutturazione edilizia; e) interventi di ristrutturazione urbanistica. Secondo il Cons. Stato, sentenza n. 922 del 5 marzo 2008, “sotto il profilo giuridico, il piano di recupero si deve considerare uno strumento urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche primarie contenute nel piano regolatore generale ed è quindi equivalente al piano particolareggiato (dal quale si differenzia in quanto finalizzato più che alla complessiva trasformazione del territorio, al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente con interventi rivolti alla conservazione, ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso); ne consegue che in sede di sua modifica non possono essere introdotti vincoli nuovi ed ulteriori rispetto a quelli esistenti nello strumento urbanistico generale in vigore, neppure nell’ipotesi in cui tale modifica trovi la sua giustificazione in una richiesta del privato. 17 La Regione Toscana fece da battistrada con la legge regionale n. 5 del 16 gennaio 1995, poi seguita da Umbria, Liguria, Basilicata, e così via. La scissione del vecchio piano regolatore generale in due piani, uno strutturale ed uno operativo, è contenuta anche nelle proposte di legge pendenti in Parlamento per la determinazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio. 16 alcune limitate aree di rispetto assoluto e posta una disciplina minima per tutto il territorio comunale; lo scopo del secondo è invece quello di dettare la disciplina sostanziale nell’ambito e nel rispetto degli indirizzi del piano strutturale, facendo abbondante ricorso ai meccanismi di accordo con i privati. In tal modo questi ultimi non partecipano più solamente alla formazione di un piano di lottizzazione che deve risultare rigidamente conforme alla disciplina autoritativamente posta dalla Pubblica Amministrazione nel piano regolatore generale, ma contribuiscono ad elaborare la specifica disciplina sostanziale volta per volta attinente al recupero di una porzione di centro storico piuttosto che alla trasformazione di un quartiere di periferia, negoziando con il Comune svariati elementi sostanziali, ovviamente nel rispetto del piano strutturale, quale ad esempio il rapporto tra le diverse funzioni (es. residenziale-uffici) che l’area da edificare è destinata a recepire. 17 1.5. La legislazione urbanistico-edilizia della Regione Veneto: la legge 23 aprile 2004 n. 11, recante “norme per il governo del territorio”. Come si è fatto cenno, il criterio della legislazione concorrente Stato-Regione fa sì che la materia urbanistico-edilizia sia sostanzialmente diversa da Regione a Regione, salvi ovviamente i principi fondamentali. Il diritto urbanistico-edilizio del Veneto è contenuto nella legge n. 11 del 23 aprile 2004, ove trovano sede le precedenti esperienze legislative elaborate da altre Regioni e le ultime tendenze in materia. Anche in precedenza la Regione Veneto aveva dimostrato interesse legislativo nei confronti della partecipazione del privato nei procedimenti di formazione di alcuni strumenti urbanistici di livello attuativo, ad esempio provvedendo ad attuare ed integrare la disciplina statale inerente i programmi integrati di cui all’art. 16 legge 179/1992 attraverso la legge regionale 1° giugno 1999, n. 23, sui “programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale (PIRUEA)”. La normativa regionale sui PIRUEA, che sono attualmente superati, come si vedrà, dai nuovi strumenti attuativi introdotti dalla legge regionale 11/2004, continua ad applicarsi ai programmi adottati entro il 28 febbraio 200518. In particolare, accanto ai tradizionali livelli di pianificazione regionale (PTRC: piano territoriale regionale di coordinamento)19 e provinciale (PTCP: piano territoriale di coordinamento provinciale)20, viene compiutamente disciplinato il livello comunale, ove il piano regolatore generale si sdoppia per l’appunto in disposizioni strutturali, contenute nel 18 La legge regionale 23/1999 è stata abrogata dalla lett. h), comma 1, dell’ art. 49 della legge regionale 11/2004, con decorrenza dall’adozione da parte della Giunta regionale e pubblicazione nel BUR dei provvedimenti previsti dall’art. 50, comma 1, della medesima legge regionale; detti provvedimenti sono stati adottati con un’unica deliberazione della Giunta regionale n. 3178/2004 pubblicata nel BUR n. 105 del 22 ottobre 2004. L’applicazione della legge é stata comunque prorogata grazie alle modifiche introdotte ai suoi artt. 48 e 49 dagli articoli 1 e 2 della legge regionale 21 ottobre 2004, n. 20, per tutte le fattispecie ivi previste. In particolare, la legge è rimasta applicabile ai PIRUEA adottati entro il 28 febbraio 2005, per i quali il termine di trasmissione alla Regione è stato fissato al 30 giugno 2006. 19 Esso “indica gli obiettivi e le linee principali di organizzazione e di assetto del territorio regionale, nonché le strategie e le azioni volte alla loro realizzazione”, indicando in particolare le zone e i beni da destinare a particolare tutela per ragioni naturali, storiche e monumentali, i criteri per la conservazione del beni culturali, architettonici e archeologici, il sistema delle aree naturali protette di interesse regionale, i criteri per l’individuazione delle aree per insediamenti industriali, artigianali, delle grandi strutture di vendita e turistico-ricettivi (art. 24). 20 Il quale “delinea gli obiettivi e gli elementi fondamentali dell’assetto del territorio provinciale in coerenza con gli indirizzi per lo sviluppo socio-economico provinciale, con riguardo alle prevalenti vocazioni, alle sue caratteristiche geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche, paesaggistiche ed ambientali” e si occupa di numerosi aspetti, tra i quali, oltre all’indicazione ed alla tutela delle aree agro-forestali e naturali di rilevanza provinciale, vanno menzionati la perimetrazione dei centri storici e l’individuazione dei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti che possono dotarsi dello strumento urbanistico comunale in forma semplificata (art. 22). 18 piano di assetto del territorio (PAT), ed in disposizioni operative, contenute nel piano degli interventi (PI). Il PAT è “lo strumento di pianificazione che delinea le scelte strategiche di assetto e di sviluppo per il governo del territorio comunale, individuando le specifiche vocazioni e le invarianti di natura geologica, geomorfologica, idrogeologica, paesaggistica, ambientale, storico-monumentale e architettonica, in conformità agli obiettivi ed indirizzi espressi nella pianificazione territoriale di livello superiore ed alle esigenze della comunità locale”21. In altri termini, il PAT, redatto sulla base di previsioni decennali, conforma alle sue indicazioni il territorio comunale, ma non la proprietà privata dei suoli, nel senso che esso non produce effetti immediati sul regime giuridico degli stessi; esso è uno strumento di natura programmatica che contiene una sorta di piano delle idee e degli scenari e che prefigura la forma urbis auspicata dagli organi che lo redigono e lo approvano22. Il PI, che si coordina tra l’altro con il programma triennale delle opere pubbliche, è invece “lo strumento urbanistico che, in coerenza e in attuazione del PAT, individua e disciplina gli interventi di tutela e valorizzazione, di organizzazione e di trasformazione del territorio programmando in modo contestuale la realizzazione di tali interventi, il loro completamento, i servizi connessi e le infrastrutture per la mobilità”23. Il PI, che quindi conforma la proprietà dei suoli producendo diretti effetti giuridici su di essa, viene attuato o attraverso interventi diretti o per mezzo di piani urbanistici attuativi (PUA) (art. 17, comma 1). Il PUA è adottato dalla giunta comunale e definisce l’organizzazione urbanistica, infrastrutturale ed architettonica di un insediamento. Esso può essere d’iniziativa pubblica o privata24, oppure congiuntamente di iniziativa pubblica e privata (art.19). Esso assorbe 21 Art. 12, comma 2, legge Reg. Veneto n. 11/2004. In particolare, l’art. 13 codifica e definisce gli svariati contenuti del PAT. La legge introduce e disciplina anche il piano di assetto del territorio intercomunale (PATI) quale strumento di pianificazione finalizzato al coordinamento fra più comuni che può disciplinare in tutto o in parte il territorio di comuni interessati o affrontare singoli tematismi (art. 16). 22 La rilevanza programmatoria e non esecutivo-giuridica del PAT è alla base di una delle tante problematiche di “coordinamento” con la nozione tributaria di area edificabile; vedasi i successivi paragrafi 1.6 e 3.1. 23 Art. 12, comma 3, legge Reg. Veneto n. 11/2004. L’art. 17 disciplina i contenuti del PI, tra i quali vanno annoverati la zonizzazione, l’individuazione delle aree in cui gli interventi sono subordinati alla predisposizione di PUA o di comparti urbanistici (vedasi infra), l’individuazione delle unità minime di intervento, le destinazioni d’uso e gli indici edilizi, la definizione le modalità di intervento sul patrimonio edilizio esistente da salvaguardare e per l’attuazione degli interventi di trasformazione e di conservazione, eccetera. 24 Nel qual caso esso è redatto e presentato dagli aventi diritto che rappresentino almeno il 51% del valore degli immobili ricompresi nel suo ambito, in base al relativo imponibile catastale, e che comunque rappresentino almeno il 75% delle aree inserite nell’ambito medesimo: art. 20, comma 6, legge reg. 11/2004. 19 sostanzialmente tutti i numerosi strumenti attuativi previsti dalla precedente legislazione statale e regionale, assumendo i contenuti e gli effetti dei piani particolareggiati e dei piani di lottizzazione (legge 1150/1942), dei PEEP (legge 167/1962), dei piani di recupero (legge 457/1978), dei programmi integrati (legge 179/1992) e di altri. I PUA possono essere attuati anche mediante un comparto urbanistico, definito dall’art. 21 legge reg. 11/2004 come l’insieme degli immobili da trasformare appartenenti a più proprietari o soggetti aventi titolo ad edificare e costituenti una unità minima di intervento e per la realizzazione del quale la legge prevede la costituzione di un consorzio tra i soggetti interessati25 per la presentazione di un unico titolo abilitativo, previa stipula di una apposita convenzione. 25 20 Nella misura di cui alla nota che precede. 1.6. Alcuni concetti giuridici in materia di procedimenti amministrativo-urbanistici rilevanti ai fini della legislazione tributaria. Effettuata una breve disamina della legislazione statale e regionale in materia urbanistico-edilizia, è opportuno ora procedere all’esame di alcuni concetti giuridici che si manifestano nell’ambito dei procedimenti amministrativo-urbanistici sopra descritti e che presentano importanti punti di contatto con la disciplina fiscale. Ciò consente di fornire al tributarista gli indispensabili supporti logico-cognitivi finalizzati ad una corretta interpretazione ed applicazione della normativa impositiva in subiecta materia. Il concetto di adozione dello strumento urbanistico generale. In relazione all’art. 36, comma 2, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella Legge 4 agosto 2006, n. 248 (secondo cui “…un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”)26, devesi porre particolare attenzione al concetto di “adozione dello strumento urbanistico generale” del Comune, quale momento che segna la qualificabilità di un’area come fabbricabile ai fini tributari, ed alla sua differenziazione dal diverso concetto di “approvazione della Regione”, che invece costituisce il momento perfezionativo del procedimento amministrativo del piano stesso e ne determina la vigenza. La normativa nazionale al riguardo è contenuta negli artt. 8, 9 e 10 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, che disciplinano rispettivamente la “formazione del piano regolatore generale”, la “pubblicazione del progetto di piano generale” e la “approvazione del piano regolatore”. In particolare, la fattispecie dell’adozione del piano si articola nei seguenti momenti: a) delibera del Consiglio comunale di adozione del piano (art. 8); b) deposito presso la segreteria comunale per consentire ai soggetti legittimati la presentazione di osservazioni dopo la presa visione del piano (art. 9); c) eventuale delibera del Consiglio comunale di accoglimento delle osservazioni presentate al piano (art. 10, comma secondo, ultima parte). Ai fini che qui interessano, quindi, per “adozione dello strumento urbanistico generale” deve intendersi il momento in cui il Consiglio comunale procede alla delibera di cui al sopra citato art. 8, ovvero, nel caso in cui la vocazione edificabile di una certa area risulti solo a seguito del successivo accoglimento da parte del Consiglio comunale delle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 9, dalla data di quest’ultima delibera27. 26 Il punto costituisce oggetto delle argomentazioni di cui al successivo paragrafo 3.1. 27 La soluzione esposta nel testo nasconde in realtà alcune problematiche di non poco momento, che si ritiene opportuno relegare in nota al fine di non appesantire la lettura, ma delle quali è ovviamente necessario dare conto. 21 È però necessario, attese le osservazioni svolte ai punti di cui sopra, procedere anche (e soprattutto) all’esame della normativa della Regione Veneto in materia, ove ci si imbatte subito nel problema della duplicazione del piano regolatore generale in piano di livello strutturale (PAT) e piano di livello operativo (PI). La dottrina si è già divisa, per la determinazione del concetto di “adozione dello strumento urbanistico generale” di cui al citato art. 36, D.L. 223/06, tra chi ritiene che debba farsi riferimento alla previsione del piano a livello strutturale, rimarcandosi una sostanziale assimilabilità di questo con il tradizionale piano regolatore (e del piano operativo con il tradizionale programma pluriennale di attuazione)28 e chi invece opta per il livello operativo di pianificazione urbanistica29. Si ritiene di poter condividere quest’ultima posizione, anche alla luce del rapporto che la L.R. Veneto 23 aprile 2004, n. 11, pone tra i due livelli di piani in ordine alla vocazione edificabile o meno di una determinata area, che pare potersi configurare esclusivamente in senso negativo (come inedificabilità assoluta) a livello del piano strutturale, mentre solo a livello del piano operativo questa vocazione è determinabile in senso concretamente positivo (come area effettivamente edificabile)30. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, nel procedimento di formazione dei piani regolatori generali la pubblicazione prevista dall’art. 9, L. 1150/42, (e dalle corrispondenti norme regionali) è finalizzata esclusivamente alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal Comune, ma non è richiesta, di regola, per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell’accoglimento di alcune osservazioni o di modifiche introdotte in sede di approvazione regionale (vedasi ad es. Cons. Stato, sez. IV, n. 4980 del 5 settembre 2003; sez. IV, 4 marzo 2003, n. 1197; sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6178; 20 febbraio 1998, n. 301, etc.). Lo stesso Consiglio di Stato (v. Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2297) registra però talune eccezioni: “in una prima ipotesi, dall’accoglimento delle osservazioni formulate dai privati, comportanti una profonda deviazione dai criteri posti a base del piano adottato, si fa discendere una modifica immediata del testo del piano stesso; nel qual caso si dovrà fare luogo a nuova pubblicazione ed alla conseguente raccolta delle ulteriori osservazioni (cfr. ex plurimis, sez. IV, n. 4980 del 5 settembre 2003; sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6178). In altre ipotesi, la delibera comunale di controdeduzioni può non implicare volontà di modifica immediata del piano regolatore, ma solo accettazione delle richieste e proposta di modifiche d’ufficio rivolta alla regione; per cui non occorrerà nuova pubblicazione, con la conseguenza che il testo del piano agli effetti di salvaguardia, sarà quello adottato con la prima deliberazione, ancorchè destinato ad essere modificato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 1998, n. 301). Viceversa, se il comune, controdeducendo alle proposte di modifica regionali, introduce variazioni rilevanti al piano adottato, la delibera si presenta come una sostanziale nuova adozione che necessita di pubblicazione (cfr. sez. IV, n. 4980 del 5 settembre 2003; sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6178; sez. IV, 20 febbraio 1998, n. 301 cit.; 27 marzo 1995, n. 206)”. Come si vede, la questione delle modifiche apportate al piano regolatore in sede di recepimento delle osservazioni dovrebbe essere decisa solo a seguito di una specifica ed approfondita analisi del testo della delibera di accoglimento delle osservazioni stesse. 28 ZANETTI E., Risoluzione n. 395/E del 22 ottobre 2008: le nuove incertezze ‘regalate’ dall’Agenzia delle Entrate sulla nozione di area edificabile, in Il Fisco, 2008-1, pag. 8223. 29 BUSANI A., Per l’area edificabile il PRG non basta più, in Il Sole 24 Ore del lunedì, Norme & Tributi, 17 novembre 2008, pag. 3. 30 22 D’altronde, l’art. 17 della LR 11/04 introduce la zonizzazione a livello del piano operativo. Sono pertanto Premesso allora che si debba guardare al Piano degli Interventi, va detto, da un lato, che l’art. 18 della legge urbanistico-edilizia della Regione Veneto disciplina il procedimento di adozione dei P.I. sulla falsariga della struttura procedimentale del piano regolatore generale della legge 1150/41. In particolare, il sindaco predispone un documento che viene dallo stesso illustrato in una apposita seduta del Consiglio comunale, che lo adotta e lo approva, previe consultazioni e concertazioni con enti ed associazioni interessati. Entro otto giorni dall’adozione il piano è depositato a disposizione del pubblico per trenta giorni presso la sede del comune, decorsi i quali chiunque può formulare osservazioni nei trenta giorni successivi, sulle quali il Consiglio comunale decide ed approva il piano31. Dall’altro, la soluzione sopra adottata conduce ad una curiosa singolarità, rappresentata dal fatto che, pur trasmesso alla Provincia, il Piano degli Interventi non necessita di una specifica approvazione e ratifica della Provincia medesima, come invece avviene per il PAT32. La norma di cui all’art. 36, D.L. 223/06, che distingue tra adozione ed approvazione, è stata ovviamente tarata sulla legge nazionale in materia, ma rischia, proprio per questo motivo, di risultare poco flessibile laddove si tenti di calarla nell’ambito della variegata e multiforme normativa regionale in subiecta materia33. pienamente condivisibili, sul punto, le affermazioni di BUSANI A., Per l’area edificabile, op. cit., il quale sostiene come sia “assai diffìcile che la risposta possa essere nel primo senso: il piano strutturale, infatti, stabilisce nel territorio comunale il perimetro delle zone in cui l’edificabilità potrebbe essere disposta dal piano operativo, e con ciò le separa dalle zone in cui l’edificabilità non potrà mai realizzarsi. Ma, all’interno di queste zone perimetrate, fino a che non vi sia appunto una specifica previsione del piano operativo, non si può sapere quale sarà, in concreto, l’area che ospiterà una costruzione e quella nella quale, nonostante la sua ubicazione all’interno del perimetro delle zone urbanizzabili, non sarà possibile svolgere attività edilizia. Un indizio nel senso di questa interpretazione lo forniscono anche i Comuni, sotto un duplice profilo: a) da un lato, quando gli uffici comunali rilasciano il certificato di destinazione urbanistica di un’area compresa nel piano strutturale, ma non contemplata nel piano operativo, la definiscono “agricola” e non “edificabile”; b) d’altro lato, l’avviso che il Comune è obbligato a fornire al proprietario del terreno, sull’attribuzione allo stesso della qualifica di area edificabile (articolo 31, comma 20, legge 289/2002), non viene mandato in occasione dell’approvazione del piano strutturale, ma solo in occasione dell’approvazione del piano operativo”. 31 Vedasi la precedente nota 2 per le osservazioni in ordine al rapporto tra adozione del piano ed osservazioni accolte dal Comune. 32 Per il PAT, l’art. 15, comma 7, L.R. 11/2004 prevede: “il piano diventa efficace quindici giorni dopo la sua pubblicazione nel BUR” del provvedimento di approvazione e del relativo atto di ratifica della giunta provinciale da effettuarsi “a cura della provincia ed ha validità a tempo indeterminato”. Ovviamente il riferimento contenuto nel D.L. 223/2006 all’approvazione regionale va letto in questo caso come approvazione provinciale. Per il PI v. l’art. 18, commi 5 e 6: “copia integrale del piano approvato è trasmessa alla provincia ed è depositata presso la sede del comune per la libera consultazione”. “Il piano diventa efficace quindici giorni dopo la pubblicazione nel BUR dell’avviso della avvenuta approvazione da effettuarsi a cura del comune”. 33 Né il D.L. 223/2006 può servire a spingere l’interprete verso la tesi della rilevanza del livello strutturale in merito al concetto di adozione dello strumento urbanistico generale, non potendosi ritenere che il legislatore nazionale abbia considerato lo stato della variegata legislazione regionale in materia. 23 Problemi applicativi di non poco momento sono altresì rappresentati dalle conseguenze che possono derivare dalle situazioni, fisiologiche o patologiche, riguardanti lo strumento urbanistico generale, quali la mancata approvazione da parte della Regione, un eventuale annullamento da parte della giustizia amministrativa, eccetera. Quanto all’annullamento giudiziale del piano, vanno sottolineati gli effetti temporali e soggettivi della pronuncia del giudice. In particolare, quanto agli effetti temporali, è pacifico che l’annullamento opera ex tunc e fa pertanto rivivere la situazione modificata dal capo del piano regolatore annullato34. Quanto invece ai limiti soggettivi l’annullamento giudiziale di un provvedimento a carattere generale, quale è il piano regolatore, se risulta generalmente possedere efficacia erga omnes35, cioè a dire che esso opera non solo nei confronti delle parti che sono state in giudizio, ma anche di coloro che, sebbene rimasti estranei al processo, si trovino nelle stesse condizioni dei ricorrenti36, non sempre e necessariamente produce questi effetti, ben potendo la sentenza di annullamento essere circoscritta alle aree individuate o a parti specifiche del territorio comunale, pertinenti alle posizioni del ricorrente37. In particolare, secondo consolidata giurisprudenza, l’annullamento produce senz’altro effetti oggettivi più ampi della proprietà dei soli originari ricorrenti nel caso in cui esso sia pronunciato per vizi del procedimento di formazione del piano ovvero afferisca ad un vincolo 34 Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 1997, n. 1110. 35 Cons. Stato sez. V, 26 luglio 1984, n. 538; Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 1990, n. 561; Cons. Stato sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253, etc. 36 Vedasi Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2003, n. 4977: “tale regola generale deriva dall’esatta individuazione della sfera di efficacia soggettiva della sentenza amministrativa di annullamento a seconda che si abbia riguardo alla sua parte dispositiva (cassatoria dell’atto), ovvero a quella ordinatoria (prescrittiva); in ordine alla prima la pronuncia non può che fare stato erga omnes, mentre in ordine alla seconda la pronuncia fa stato unicamente inter partes”. 37 La recente giurisprudenza amministrativa riconosce che l’annullamento degli strumenti urbanistici possa essere espressamente limitato alle parti del giudizio, ovvero, sotto il profilo oggettivo, ai lotti interessati dalla disciplina urbanistica contestata: vedasi ad. es. Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253; Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7771, etc. “Siffatto indirizzo – si legge in parte motiva di Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2003, n. 4977 – è un corollario del principio giurisprudenziale secondo cui sono inammissibili per carenza di interesse le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente giacché le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili, ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale (cfr. sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253; sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2934; 8 maggio 2000, n. 2639; 15 ottobre 1999, n. 1586; 18 marzo 1980, n. 270); rimanendo salva la possibilità di proporre impugnativa allorquando la nuova destinazione urbanistica, pur concernendo un’area non appartenente al ricorrente, incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell’area stessa, o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente (cfr. sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253; sez. IV, 15 ottobre 1999, n. 1581; 31 gennaio 1995, n. 38; 21 novembre 1990, n. 912)”. 24 di zona o di area ai fini pubblici38. Tutto ciò significa che per risolvere i problemi tributari connessi al cambiamento ex tunc della vocazione edificatoria di una o più aree per effetto dell’annullamento giudiziale del (o di parte del) piano regolatore generale, sarà necessario, volta per volta, analizzare la sentenza di annullamento, al fine di apprezzarne appieno l’estensione oggettiva e soggettiva. Natura della convenzione di lottizzazione e” beneficio pubblico” La convenzione di lottizzazione rappresenta un istituto la cui natura è stata oggetto di numerosi contrasti giurisprudenziali e dottrinali a cagione della presenza di profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano ad uno strumento dichiaratamente contrattuale. La Corte di Cassazione ha più volte posto in luce la natura ibrida dell’istituto, la cui peculiarità sta nel fatto di inserirsi nell’ambito del procedimento amministrativo che si conclude con l’approvazione del piano di lottizzazione ed il rilascio delle relative autorizzazioni edilizie39, in particolare ricomprendendo la convenzione di lottizzazione nell’ambito della categoria dei cd. “accordi sostitutivi del provvedimento” di cui all’art.11, L. 241/199040. Anche la giurisprudenza amministrativa ha recentemente accolto l’impostazione offerta dalla Corte di Cassazione41, non rinunziando a volte ad una impostazione autonoma della questione, sia pure ricondotta comunque nell’ambito dell’autonomia negoziale retta dal codice civile42. In particolare, la rilevanza pubblicistica della convenzione ha sempre consentito alla giurisprudenza di legittimare l’exit della Pubblica Amministrazione dall’accordo con il privato in caso di modifiche del piano regolatore, tali da influenzare l’assetto negoziale risultante dalla convenzione, mediante il riconoscimento di una sorta di clausola rebus sic stantibus alla quale sarebbe soggetta la convenzione stessa. In presenza di un interesse pubblico sopravvenuto, la Pubblica Amministrazione ha la facoltà di introdurre nuove previsioni del piano regolatore, in attuazione di uno jus variandi liberamente esercitabile senza le preclusioni derivanti dal contenuto di una convenzione urbanistica stipulata con il privato43. Su questa situazione si innestano i contributi offerti dalla normativa tributaria, e segnatamente dall’art. 51, L. 342/2000, con il quale il legislatore esclude la rilevanza a fini Iva delle cessioni nei confronti dei comuni di aree o opere di urbanizzazione a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione; la norma, infatti, per la sua struttura e la sua ratio legittima un’interpretazione più vicina allo schema autoritativo rispetto a quello puramente o semplicisticamente “negoziale”44. Il fenomeno dell’edilizia convenzionata, di cui sono stati tratteggiati i fondamentali caratteri nelle pagine precedenti, ha rappresentato anche lo strumento mediante il quale gli enti pubblici hanno realizzato, negli ultimi anni, interventi di interesse pubblico sul tessuto urbanistico ed ambientale, talvolta di notevole consistenza. 38 Cons. Stato Sez. IV, 2 agosto 2000 n. 4253; Cons. Stato Sez. IV, 5 settembre 2003, n. 4977. 39 Vedasi Cass.: 2567/84; 307/87; 9792/90; 11034/91; 7773/1992; 2669/93; etc. 40 Vedasi Cass. SS.UU. 15 dicembre 2000, n.1262; 8953/98, etc. 41 Vedasi Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 534; Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 2008 n. 3255; etc. 42 Vedasi Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2005 n. 4015. 43 Vedasi Cons. Stato, Sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4073; Cass. 436/88; 9792/90; 2669/93; 6941/94; etc. 44 Vedasi anche il successivo paragrafo 3.2. 25 In particolare, come già ricordato, con l’art. 16, Legge 17 febbraio 1992, n. 179, il legislatore statale introduceva i cd. “programmi integrati di intervento”, forme di strumentazione urbanistica di livello attuativo coordinata pubblico-privato, aventi la fondamentale funzione di riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale e caratterizzati “dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubbliche e private”45. La legislazione della Regione Veneto dava specificazione alla normativa statale con la L.R. 1° giugno 1999, n. 23, la quale, dopo aver precisato le finalità di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale di parti del territorio comunale da attuarsi attraverso “a) il riordino degli insediamenti esistenti e il ripristino della qualità ambientale anche attraverso l’ammodernamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie e dell’arredo urbano; b) il riuso di aree dismesse, degradate, inutilizzate, a forte polarizzazione urbana, anche mediante il completamento dell’edificato” (art. 1, comma 2), riprendeva la definizione statale degli interventi integrati, dotandoli dei caratteri di pluralità di funzioni, integrazione delle tipologie o modalità di intervento, concorso di risorse pubbliche e private, dimensioni adeguate a perseguire finalità di riqualificazione (art.2) ed assegnando agli stessi valore di piano urbanistico attuativo dei piani regolatori generali (art.2 u.c.)46. 45 La definizione migliore di piani integrati si trova nella L.R. 11/2004 (v. infra in testo), che li definisce come lo “strumento di attuazione della pianificazione urbanistica per la realizzazione coordinata, tra soggetti pubblici e privati, degli interventi di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale. La riqualificazione si attua mediante il riordino degli insediamenti esistenti e il ripristino della qualità ambientale anche attraverso l’ammodernamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie e dell’arredo urbano, il riuso di aree dismesse, degradate, inutilizzate, a forte polarizzazione urbana, anche con il completamento dell’edificato” (v. art. 19, comma 1, lett. f). La giurisprudenza amministrativa ha definito i programmi integrati di intervento come “strumenti urbanistici di secondo livello, rispetto al piano regolatore generale, hanno le finalità di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale del territorio, e sono caratterizzati dalla presenza di una pluralità funzioni, dall’integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione capace di incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di risorse finanziarie pubbliche o private. Pertanto, l’ampiezza di funzioni e di contenuti ne connota la peculiarità rispetto ad altri strumenti di pianificazione ad orientamento settoriale, mirando ad obiettivi di riqualificazione dei tessuti urbani, anche con riguardo all’aspetto ambientale, mediante un insieme coordinato di interventi e risorse, pubblici e privati, incidenti anche sulle opere urbanizzative e la dotazione degli standards, che ai sensi dell’art. 16 comma 2, l. cit., possono riguardare sia zone in tutto o in parte edificate, sia zone da destinare ad una nuova edificazione” (così T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 15-10-2002, n. 3943; v. anche T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 28-03-2007, n. 1241, etc.). 46 La caratteristica che distingueva maggiormente i programmi integrati dagli strumenti ordinari di attuazione del piano regolatore generale era la facoltà concessa dalla L.R. 23/99 di modificare le previsioni del piano regolatore vigente (vedasi art. 6). Era una facoltà che interessava sia i Comuni, in quanto permetteva di superare certe rigidità proprie dei piani regolatori generali tradizionali, sia gli operatori di settore attratti da nuove opportunità di investimento. 26 La L.R. 23/99 disciplinava le modalità di formazione ed il contenuto dei programmi integrati, disponendo che esso dovesse contenere, tra l’altro, anche “la relazione illustrativa che deve precisare in particolare: 1) la rappresentazione del programma in termini economici sintetici con particolare riguardo ai benefici derivanti ai soggetti pubblici e agli altri soggetti attuatori” (art. 4, comma 1, lett. d). In altri termini, il “beneficio pubblico” era considerato un elemento essenziale dei programmi integrati di intervento proprio in considerazione del fatto che questo strumento urbanistico attuativo era destinato anche alla realizzazione da parte dell’ente pubblico, in integrazione sinergica con il privato, di interventi urbanistico-edilizi finalizzati al perseguimento di interessi pubblicistici volti alla riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale. Questi stessi caratteri dei programmi integrati sono stati trasfusi nella disciplina degli strumenti attuativi dei nuovi PUA, disciplinati dagli artt. 19 e segg. della L.R. 23 aprile 2004, n. 11. In particolare, come già esaminato al precedente paragrafo 1.5, l’art. 19, nel ribadire l’iniziativa pubblica o privata dei piani, dispone che i P.U.A. assumano il contenuto e l’efficacia di tutti quegli strumenti urbanistici di livello attuativo precedentemente disciplinati dalla legislazione statale e ragionale (piani di lottizzazione, PEEP, piani di recupero, etc.), ivi compresi anche i programmi integrati di cui alla legge 179/92 (art.19, comma 1, lett. f). Il successivo comma secondo della norma, nel disciplinare il contenuto dei PUA, ribadisce che essi debbono contenere, tra l’altro, anche “la relazione illustrativa che, nel caso dei programmi integrati, precisa la rappresentazione del programma in termini economico-sintetici con particolare riguardo ai benefici derivanti ai soggetti pubblici e agli altri soggetti attuatori, nonché il piano finanziario di attuazione” (lett. j), manifestando l’evidente continuità della disciplina dei programmi integrati dalla vecchia alla nuova normativa regionale e, in particolare, del cd. “beneficio pubblico” che ancor oggi, quindi, caratterizza in modo determinante e qualificante il versante pubblicistico di tali strumenti urbanistici. Il concetto di “beneficio pubblico” che si rinviene nelle norme regionali esaminate, pertanto, riflette quegli interventi pubblicistici che costituiscono parte essenziale dei programmi integrati ed il cui perseguimento coordinato con quello degli interessi del privato rappresenta parte dell’essenza dei programmi medesimi. La natura di questo “beneficio pubblico” va ricondotta alla più ampia tematica della natura delle convenzioni di lottizzazione, nel cui archetipo (v. art. 28, L. 1150/1942) rientrano indubbiamente anche i programmi integrati di intervento, ove l’accordo pubblico-privato: − sotto un profilo “statico-contenutistico” realizza sostanzialmente uno “scambio di prestazioni”47, atteso che a fronte del riconoscimento al soggetto privato di diritti 47 La riconduzione tassonomica dei programmi integrati al fenomeno delle convenzioni di lottizzazione determina, al pari di queste ultime (vedasi quanto sopra esposto in merito), l’origine negoziale e la qualificazione di obbligazione contrattuale della prestazione del privato, peraltro ribadita recentemente anche da fonti amministrative; 27 edificatori, eventualmente anche in deroga al piano regolatore generale vigente (v. sopra), vengono cedute dallo stesso privato aree e/o realizzate opere di adeguamento infrastrutturale e di trasformazione del territorio di pubblico interesse; − mentre sotto un profilo “dinamico-procedimentale” costituisce di per sé stesso, proprio in forza dello specifico e analitico suggello normativo, un “onere” inquadrabile e definibile in una logica impositivo-pubblicistica, avente le caratteristiche tipiche della nozione costituzionale di “prestazione patrimoniale imposta”48. il riferimento è alla Determinazione n. 4/2008 del 2 aprile 2008 dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con la quale si è fornita una chiara risposta in merito alle procedure da seguire per la realizzazione di opere pubbliche nell’ambito di accordi convenzionali stipulati con la PA e, in particolare, nell’ambito della disciplina dei piani integrati di intervento. L’Autorità, dopo aver ricostruito la posizione della giurisprudenza, anche comunitaria (v. sentenza della Corte di Giustizia CE del 12 luglio 2001 in causa C39998) in materia, ritiene che anche la realizzazione di opere di urbanizzazione “a scomputo” sia riconducibile giuridicamente alla figura dell’appalto pubblico di lavori nell’ambito di quel complesso rapporto di indubbia natura contrattuale a prestazioni corrispettive che è la convenzione di lottizzazione. In particolare, l’Autorità afferma che “il carattere oneroso della prestazione deve ritenersi sussistere in qualunque caso in cui, a fronte di una prestazione, vi sia il riconoscimento di un corrispettivo che può essere, a titolo esemplificativo, in denaro, ovvero nel riconoscimento del diritto di sfruttamento dell’opera (concessione) o ancora mediante la cessione in proprietà o in godimento di beni. In altri termini, il vantaggio economico in cui consiste la causa del negozio non deve obbligatoriamente essere limitato ad una corresponsione in denaro, ma ben può consistere in un riconoscimento di diritti suscettibili di valutazione economica. Ne consegue, quindi, che le convenzioni urbanistiche mediante le quali i privati si obbligano a realizzare opere pubbliche presentano elementi e natura tali da essere riconducibili, sul piano tassonomico, allo stesso genus dei piani di lottizzazione, ancorché si configurino come tipi differenti di piani attuativi (i cosiddetti programmi complessi)”. 48 La nozione di prestazione patrimoniale imposta “è fondata sull’accoglimento di un concetto di coattività che trae spunto dalla natura complessiva (anche di fatto) del rapporto che disciplina le singole entrate e non tanto, o comunque non solo, dalla sua struttura; in tal senso la nozione di prestazione patrimoniale imposta, pur formatasi e sviluppatasi intorno al nucleo delle “prestazioni tributarie”, si pone, rispetto a quest’ultime, in un rapporto tra genere e specie, non esaurendo i tributi medesimi la totalità delle prestazioni che un soggetto può essere coattivamente tenuto ad eseguire nei confronti di un determinato ente” AA.VV., La capacità contributiva, Padova, 1993, pag. 55. È noto come l’evoluzione interpretativa del concetto costituzionale di “prestazioni patrimoniali imposte” ne abbia esteso a dismisura l’ambito di applicazione, fino a ricomprendervi anche prestazioni sicuramente non tributarie (cfr. la datata, ma pur sempre valida sentenza C. cost. 9 aprile 1969, n. 72, in Giur. cost., 1969, 1970 in materia di canoni di abbonamento al telefono, allora sottoposti a monopolio). La presenza di una “prestazione imposta”, nel senso previsto dall’art. 23, Cost., è compatibile sia con un assetto autoritativo dei rapporti, sia con l’esistenza di un tipico schema contrattuale; essa, infatti, “prescinde dalla qualificazione della natura che la prestazione stessa assume in concreto sotto il profilo dello schema giuridico in forza del quale l’attribuzione patrimoniale viene effettuata “ (POTITO, L’ordinamento tributario italiano, 1978, pag. 14). In questo senso quindi non è da escludere che certe prestazioni patrimoniali (ad esempio: a favore di un soggetto monopolista) indipendentemente dalla loro effettiva natura di prezzi o tributi, presentino caratteri tali da poter essere qualificate come “coattivamente imposte”, e che quindi rispetto ad esse, per il verificarsi congiunto di certe condizioni (ad esempio, “essenzialità del bisogno” e “condizioni imposte dal monopolista”; cfr. C. cost. 9 aprile 1969, n. 72, cit.), debba essere esteso il principio di riserva relativa di legge, previsto dall’art. 23, Cost. È altrettanto chiaro, però, che in una prospettiva di analisi globale, la concreta applicabilità della predetta disposizione costituzionale debba essere rimessa all’esame del caso concreto, non essendo giuridicamente fondata qualsiasi conclusione “generica”. 28 2 L’IMPOSIZIONE INDIRETTA SUI TRASFERIMENTI IMMOBILIARI 2.1.Nozioni e principi generali: premessa L’economia del presente lavoro impone di passare in rapida rassegna alcuni principi e riferimenti di base relativi al vasto panorama dell’imposizione indiretta sui trasferimenti immobiliari, allo scopo di delimitare il terreno giuridico sul quale sarà in seguito sviluppata la parte concernente le problematiche applicative ed operative dei trasferimenti immobiliari49, con specifico riferimento alle diverse fattispecie degli strumenti urbanistici. Nozione di “Immobile” Secondo l’art. 812 del codice civile “sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, ed in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”. Sono inoltre considerati immobili “i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti, quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione”. Laddove la qualificazione di un bene sia incerta, assume particolare rilievo la norma di carattere residuale, recata dall’ultimo comma dell’art. 812, codice civile, secondo cui “sono mobili tutti gli altri beni”. In base al prevalente orientamento interpretativo, il citato articolo 812 è da definirsi come “norma inderogabile”, cosicché, ad esempio, la giurisprudenza ha considerato nulla la pattuizione secondo cui un impianto incorporato al suolo era stato qualificato come bene mobile, anziché immobile50. 49 Vedasi il capitolo 3. 50 Cass. n. 679/68; il caso concreto riguardava un’area con distributori di carburanti, in cui questi ultimi erano stati qualificati come beni mobili. La problematica della distinzione tra beni mobili ed immobili è alquanto diffusa nella prassi operativa; per un intervento recente si richiama TOGNOLO, Rivalutazione impianti ‘guidata’ dal Catasto,in Il Sole 24 Ore del 3 aprile 2009, pag. 34, secondo il quale, in materia di rivalutazione ex art. 15 D.L. 185/2008, “può essere utile ricordare che alcune sentenze della Corte di Cassazione (679/68, 1109/80, 2798/62, 146/63, 396/66) hanno fornito spunti interessanti in merito alla distinzione tra beni mobili e immobili, prevista dall’articolo 812 del Codice Civile: la qualificazione di bene immobile dipende dall’unione o dall’incorporazione, anche transitorie, dei beni al suolo, diventando beni mobili nel momento in cui si distaccano dal suolo. I beni immobili non sono necessariamente individuati da dati catastali, tuttavia tale risultanza offre 29 Particolarmente rilevante in ambito fiscale, risulta essere, inoltre, il concetto di “fabbricato o edificio”, relativamente al quale la legislazione civilistica fornisce una precisazione all’ultimo comma dell’art. 2645 bis del Codice Civile, seppur limitata ai fini dell’applicazione delle disposizioni del comma 5 dello stesso articolo. Trattando, infatti, di trascrizione di contratti preliminari, la norma in parola intende esistente “…l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, e sia stata completata la copertura”51. A tale concetto è conforme il criterio giurisprudenziale ormai da tempo consolidato52 e del resto anticipato anche dal legislatore con l’art. 31, comma 2, della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (articolo non abrogato dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 380), in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, che dispone: “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura …”. Nozione di “trasferimento” La nozione di trasferimento a cui si fa riferimento nel presente lavoro è orientata alla definizione dell’oggetto di alcuni dei contratti direttamente produttivi di effetti reali di cui all’art. 1376 c.c. – la vendita, la permuta, il conferimento in società, ecc. – , ossia il trasferimento del diritto di proprietà e la costituzione o il trasferimento di un diritto reale di un dato di prova presuntiva. I serbatoi, comunque incorporati al suolo, sono da classificare tra i beni immobili. Infine, l’Oic n. 16, alla lettera C (Classificazioni) include nella voce Fabbricati industriali fabbricati e stabilimenti con destinazione industriale, opere idrauliche fisse, silos, piazzali e recinzioni, autorimesse, officine, oleodotti, opere di urbanizzazione, fabbricati a uso amministrativo, commerciale, uffici, negozi, esposizioni magazzini e altre opere murarie” L’autore richiama altresì la circolare dell’Agenzia delle Entrate 19 gennaio 2007, n. 1 secondo cui le disposizioni introdotte dai commi 7, 7 bis e 8 dell’art. 36 del d.l. 223/2006 “si applicano agli immobili strumentali che rientrano nella nozione di fabbricato, ai sensi dell’art. 25 del TUIR, ossia agli immobili situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto edilizio urbano, nonché a quelli situati fuori del territorio dello Stato aventi carattere similare. A tal fine dovrà farsi riferimento agli immobili a destinazione ordinaria, speciale e particolare, secondo la classificazione rilevante per l’attribuzione delle rendite catastali dei fabbricati. Dette disposizioni sono applicabili, pertanto, anche agli impianti e ai macchinari infissi al suolo nel caso in cui questi realizzino una struttura che nel suo complesso costituisca una unità immobiliare iscrivibile nel catasto urbano in quanto rientrante nelle categorie catastali di cui sopra”. 51 Per il concetto di fabbricato o edificio non ultimato v. par. 2.2. 52 Vedasi per tutte Cass. 8118/91; la nozione di costruzione “esistente” riferita dalla norma, tuttavia, non coincide con quella di edificio o fabbricato “ultimato”, ossia per il quale sussistono le condizioni di sicurezza, igiene e salubrità che, ai sensi del citato D.P.R. n. 380/2001, consentono il rilascio del certificato di agibilità (vedasi PETRELLI, Gli acquisti di immobili da costruire, p. 34 e ss.) 30 godimento su cosa altrui (usufrutto, uso, abitazione, servitù, superficie, enfiteusi). 53 L’analisi, pertanto, è concentrata su alcuni dei possibili modi di acquisto della proprietà o diritti reali di godimento, con esclusione, ad esempio, della tematica relativa ai trasferimenti coattivi. Nozione di “ imposte indirette” Senza pretesa di esaustività, considerata sia la rilevante mole di contributi dottrinali volti a definire dal punto di vista giuridico le imposte indirette, sia la specifica finalità del presente lavoro, sembra ragionevole rifarsi ad una definizione “puntuale” di imposte indirette, quali tributi che colpiscono i trasferimenti di ricchezza ed i consumi, in quanto manifestazioni mediate della ricchezza stessa; nell’ambito di questo studio vengono quindi fatte specificatamente rientrare nella categoria delle imposte indirette l’Iva e le imposte di registro, ipotecarie e catastali. 53 Sulla qualificazione dei contratti di locazione con clausole di riserva di proprietà, ai fini dell’applicazione dell’art. 109, c. 1,TUIR, vedasi la recente Ris. 9 gennaio 2009 n. 11/E. 31 2.2.Nozioni e principi generali: l’imposizione indiretta sulle varie tipologie di immobili – Cessioni di terreni Terreni edificabili L’art. 36, comma 2, del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 (c.d. “Manovra Visco-Bersani”) ha stabilito che ai fini dell’Iva, delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’Ici, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo54. L’intervento si inserisce in un dibattito dottrinale e giurisprudenziale che dura da decenni55 e che comunque non può ad oggi considerarsi concluso56. Cessione di terreni edificabili da parte di soggetti Iva A norma dell’art. 2, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, non sono considerate cessioni di beni (e quindi fuori campo Iva per mancanza del presupposto oggettivo) “le cessioni che hanno per oggetto terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria a norma delle vigenti disposizioni”. La norma è poi integrata dalla precisazione secondo cui non costituisce utilizzo edificatorio la costruzione delle opere di urbanizzazione definite all’art. 9, lett. a), della Legge n. 10/7757, le quali, pertanto, anche se concretamente realizzate, non sono sufficienti a qualificare il terreno come edificabile. Partendo dalla nozione di terreno edificabile sopra richiamata, la cessione, posta in essere nell’esercizio di impresa o di arti o professioni, di un terreno sul territorio italiano, 54 Sui concetti di strumento urbanistico “generale” ed “attuativo”, nonché di “adozione” da parte del Comune, vedasi il precedente par. 1.6. 55 2 Si vedano, tra le altre le sentenze della Corte di Cassazione: 3 febbraio 2006, n. 2387; 4 settembre 2001, n. 11356; 15 gennaio 2003, n. 467; 27 dicembre 2001, n. 16202; 12 novembre 2001, n. 13969; 8 agosto 2003, n. 11997; si vedano altresì i riferimenti dottrinali richiamati alla nota 1 del paragrafo 3.1. 56 Come dimostrano le problematiche esaminate e riproposte al successivo par. 3.1. 57 Sono le opere da realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, Legge 9 maggio 1975, n. 153; il riferimento all’art. 9, lettera a), della L. 10/77 deve ora intendersi all’art. 17, comma 3, lett. a) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (per effetto dell’intervenuta abrogazione espressa ex art. 136, c. 1 e 2 lett. c), del D.P.R. 380/01). Sulla assoggettabilità ad IVA della cessione di terreni edificabili da parte di un imprenditore agricolo si veda la risposta del sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’interrogazione parlamentare n. 5-01278 in data 8 aprile 2009. 32 una volta definita la sua edificabilità, è operazione che costituisce presupposto impositivo ai fini IVA, mentre le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa, in ossequio al noto principio di alternatività tra Iva e imposta di registro sancito dall’art. 40 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Vale la pena evidenziare che la cessione di terreni non situati in Italia, pur se posta in essere da soggetti Iva, costituisce operazione fuori campo Iva per mancanza del requisito di territorialità ex art. 7, comma 2, del D.P.R. n. 633/72. Cessione di terreni edificabili da parte di “soggetti non IVA” Le cessione di terreni edificabili da parte di soggetti privati, intendendosi per tali anche soggetti Iva che pongono in essere cessioni di beni che fanno parte del proprio patrimonio personale o che hanno una destinazione extra-imprenditoriale (ad esempio i beni appartenenti alla sfera istituzionale degli enti non commerciali), in mancanza del presupposto soggettivo, non interessano la disciplina Iva, ma l’ambito delle imposte di registro ed ipocatastali. Terreni non edificabili Le cessioni di terreni non edificabili effettuate nell’esercizio di imprese o di arti o professioni sono operazioni fuori campo per mancanza del presupposto oggettivo sancito dall’art. 2, comma 3, decreto Iva, con la conseguente applicazione delle imposte proporzionali di registro ed ipotecarie e catastali. Analogo trattamento è riservato anche alla cessione di terreni non edificabili effettuate da privati. – Cessioni di fabbricati da parte di soggetti Iva Inquadramento generale Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni nella legge 4 agosto 2006, n. 248, ha riformulato il testo dell’art. 10, comma 1, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante la disciplina delle operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto, modificandone i numeri 8) e 8-bis) ed aggiungendo il n. 8-ter). Come ben noto, a norma dell’art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, rientrano nel campo di applicazione dell’IVA tutte le operazioni per le quali sussistono contemporaneamente i requisiti soggettivo, oggettivo e territoriale. Il requisito soggettivo sussiste nei casi in cui si svolga un’attività agricola o commerciale per professione abituale ancorché non esclusiva58 58 Tale condizione, in particolare, si verifica quando un soggetto compie con regolarità, sistematicità o ripetitività una pluralità di atti economici coordinati e finalizzati al raggiungimento di uno scopo (cfr. R.M. n. 550326 del 24 novembre 1988). 33 e richiede inoltre, ai fini della concreta applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, che le cessioni siano poste in essere “nell’esercizio di imprese” ovvero di “arti e professioni”. Le condizioni di cui sopra sono requisiti essenziali al fine dell’applicazione dell’IVA alle predette cessioni, ma una volta ciò constatato, il contribuente dovrà altresì verificare se le stesse rientrino tra le operazioni imponibili o tra quelle esenti analiticamente previste dalla disciplina Iva; ad esempio l’art. 10, comma 1, n. 27-quinquies), del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che sono esenti “le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli articoli 19, 19bis1 e 19-bis2”; in tal caso, quindi, si applica l’esenzione se sussistono entrambe le seguenti condizioni: a) l’acquisto originario abbia costituito un’operazione assoggettata ad IVA; b) l’imposta non sia stata detratta per l’espressa previsione normativa recata in tal senso dagli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2. A parere di chi scrive, in caso di concreta problematica applicativa, è necessario dare priorità alla previsione di cui al richiamato n. 27-quinquies) rispetto ad altre previsioni dello stesso articolo 10 D.P.R. n. 633/1972 in quanto l’esenzione dell’operazione è subordinata ad un “fatto”, cioè il diritto alla detrazione totale della relativa imposta, che si verifica al momento dell’acquisto del bene oggetto di cessione e quindi in un momento precedente rispetto all’operazione in sé e per sé. Al contrario le ipotesi di esenzione di cui ai citati nn. 8-bis) e 8-ter) del medesimo articolo si riferiscono esclusivamente alle caratteristiche oggettive proprie dell’operazione59. I fabbricati di cui ai nn. 8-bis e 8-ter (manovra cd. Visco-Bersani) I nn. 8-bis) e 8-ter) cit. riguardano esclusivamente le cessioni aventi ad oggetto i fabbricati; pertanto le cessioni di aree edificabili esulano dalla “riforma”. L’accento è posto sulla distinzione tra fabbricati strumentali per natura e fabbricati diversi da questi ultimi. L’oggetto della norma di cui al n. 8-bis) è rappresentato dalle “cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli di cui al n. 8-ter)”, ed i fabbricati di cui al n. 8-ter) sono i “fabbricati o porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono 59 Pertanto nei casi di un bene ricevuto in eredità o acquistato con dante causa un privato, la norma citata non troverà applicazione in quanto non si è verificata la prima condizione. La cessione effettuata da un’impresa di un immobile ad uso abitativo ed acquistato con dante causa un privato non realizza un’operazione esente ai sensi dell’art. 10, n. 27-quinquies) del D.P.R. n. 633/72; tuttavia tale esclusione non darà luogo all’imponibilità dell’operazione trovando in questo caso applicazione la diversa ipotesi di esenzione prevista dall’art. 10, n. 8-bis) del medesimo Decreto Iva (vedasi infra). 34 suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni”60. Sotto un profilo sistematico, pertanto, il n. 8-bis) non si riferisce espressamente ed esclusivamente ai fabbricati aventi destinazione abitativa (come invece prevedeva il testo vigente anteriormente al 4 luglio 2006), ma individua la tipologia degli immobili in via residuale, definendoli “fabbricati diversi da quelli strumentali per natura”. L’ambito applicativo della disposizione citata è quindi più ampio rispetto ai soli immobili di tipo abitativo61. Le cessioni di fabbricati di cui al n. 8-bis) Approfondendo la disciplina, si rileva che per le cessioni dei fabbricati di cui al n. 8-bis) la regola è l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto, con l’eccezione di quelle effettuate entro quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento, dalle imprese costruttrici degli stessi62 o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’art. 31 lett. c), d), e) della L. 457/1978. La legge finanziaria per il 2007 (L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 330, lett. b), modificando ancora una volta il testo del n. 8-bis citato ha introdotto un’altra ipotesi di imponibilità IVA delle cessioni dei fabbricati in esame, riguardante le cessioni effettuate, dalle 60 Quest’ultima nozione, che ha conosciuto storicamente un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale, è stata comunemente intesa in senso oggettivo (cfr. circ. 21 luglio 1989, n. 36; circ. 19 marzo 1990, n. 30; Ris. 19 aprile 1991, n. 430182; G. MANDÒ - D. MANDÒ, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, Milano, 2007, pag. 229; M. LEO – F. MONACCHI – M. SCHIAVO, Le imposte sui redditi nel testo unico, tomo I, Milano, 1999, pag. 545), nel senso cioè che sono considerati tali i fabbricati rientranti nelle categorie catastali B (immobili aventi destinazione ad alloggi collettivi, quali case di cura, uffici pubblici, ), C (immobili aventi destinazione ordinaria commerciale o varia, quali negozi, magazzini, ), D (immobili aventi destinazione speciale, quali opifici industriali), E (immobili aventi destinazione particolare, non raggruppabili in altre classi) e A/10 (immobili destinati ad uffici privati). S’intende quindi una strumentalità correlata alle caratteristiche strutturali, oggettive e proprie dell’immobile, a prescindere dall’effettivo utilizzo dello stesso; in definitiva si sostiene che strumentali per natura devono essere considerati tutti gli immobili che per le loro caratteristiche costruttive non possono essere destinati ad uso di abitazione senza radicali trasformazioni. Tale tesi è stata accolta anche dall’Agenzia delle Entrate, nonostante la prospettiva da cui muovono le norme attualmente vigenti sia opposta rispetto a quella adottata dall’Agenzia sulla scorta della pregressa normativa. 61 Il rapporto tra le due tipologie di immobili è, allora, a ben vedere, “rovesciato” rispetto a quello indicato dall’Agenzia, non apparendo più in linea con il dato normativo definire i fabbricati strumentali per natura come una sorta di categoria “residuale” individuabile per contrapposizione con i soli fabbricati aventi destinazione abitativa. 62 La fattispecie prevista dalla norma, considera impresa costruttrice non solo l’impresa che realizza il fabbricato con mezzi propri, pur se occasionalmente ed a prescindere dal suo oggetto sociale, ma anche quella che si avvale di imprese “terze” per l’esecuzione dei lavori. Vedasi Agenzia Entrate, circ. 4 agosto 2006, n. 27/E. Cfr., altresì, R. PRAVISANO, Le cessioni di fabbricati abitativi: aspetti applicativi. IVA ed altre imposte indirette, in Il Fisco 2006-1, pagg. 6944 ss. 35 imprese costruttrici o di ristrutturazione, anche successivamente ai quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento, a condizione che i fabbricati siano stati locati entro il predetto termine per un periodo non inferiore a quattro anni in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata; in altri termini, fermi restando i requisiti soggettivi in capo al cedente, la locazione del bene determina l’irrilevanza, ai fini dell’applicazione del regime IVA, dell’effettuazione della cessione oltre i quattro anni dall’ultimazione dei lavori, purché la locazione venga effettuata: a) nei quattro anni dall’ultimazione dei lavori; b) per un periodo non inferiore a quattro anni; c) in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata. Si tratta, quindi, di condizioni che devono ricorrere congiuntamente63. Poiché l’art. 40, D.P.R. n. 131/1986, menziona il n. 8-bis) dell’art. 10, D.P.R. n. 633/1972, tra le eccezioni al principio di alternatività, in caso di cessioni esenti IVA si applica l’imposta di registro secondo la rispettiva ordinaria disciplina e quindi in misura proporzionale o in misura fissa, tenuto conto della previsione di specifiche fattispecie; la stessa conclusione vale per le imposte ipotecaria e catastale. 63 Al fine di determinare l’ambito applicativo di questa ulteriore ipotesi di imponibilità, occorre, in primo luogo, stabilire cosa si intenda per programmi di edilizia residenziale convenzionata e l’espressione “siano stati locati per un periodo non inferiore a quattro anni”. Sembra potersi ritenere che la norma non faccia riferimento ai soli programmi di edilizia residenziale pubblica tipici, cioè disciplinati dalla legge n. 865 del 1971, e successive modifiche, data l’assenza di un riferimento esplicito in tal senso, ma sia applicabile anche con riguardo a locazioni poste in essere in attuazione di pianificazione “privata”, non necessariamente finalizzata a interventi edilizi a favore dei ceti meno abbienti o più in generale a tutela o in attuazione solo di un pubblico interesse. In ogni caso, però, deve essere presente una convenzione tra il soggetto che realizza gli alloggi e la pubblica amministrazione. Si noti che l’Agenzia delle Entrate (Ris. 11 luglio 2007, n. 163/E), nel definire cosa debba intendersi per “edilizia residenziale convenzionata”, richiama espressamente i soli programmi edilizi abitativi di cui all’art. 17, comma 1, T.U. n. 380/2001 (nel dettaglio, tale norma prevede la stipula di una convenzione tra Comune ed il titolare del permesso di costruire per la riduzione alla sola quota degli oneri di urbanizzazione del contributo di costruzione a condizione che il titolare stesso “si impegni … ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dall’articolo 18” del medesimo T.U.” Peraltro nei lavori parlamentari, con riferimento alla modifica in esame al regime introdotto dal d.l. n. 223/2006, si legge un riferimento proprio ai “piani di edilizia residenziale convenzionata ai sensi degli articoli 17 e 18 del decreto legislativo n. 380 del 2001”. La circolare n. 12/E cit., nell’individuare l’ambito di applicazione del regime di esenzione dall’IVA secondo la normativa attualmente vigente, fa riferimento alle “cessioni di immobili abitativi effettuate da imprese costruttrici o di ristrutturazione dopo il termine calcolato senza tenere conto del periodo in cui l’immobile è stato locato, con contratto di durata non inferiore a quattro anni ed in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata”. Sembrerebbe, dunque, in assenza di ulteriori specifici chiarimenti, che l’Agenzia delle Entrate interpreti la norma nel senso di ritenere il termine dei quattro anni dall’ultimazione dei lavori sospeso dalla locazione avente una durata contrattuale minima di quattro anni. Ne dovrebbe derivare, allora, che la cessione successiva resta in regime di imponibilità IVA solo se effettuata entro il tempo residuo. 36 Nel caso invece le cessioni dei fabbricati in oggetto rientrino nell’ambito di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute nella misura fissa, per il principio di alternatività di cui all’art. 40 D.P.R. n. 131/1986. Le cessioni di fabbricati strumentali per natura di cui al n. 8-ter) La ricostruzione della disciplina applicabile alle cessioni di fabbricati strumentali per natura di cui al n. 8-ter) richiede una maggiore articolazione delle fattispecie. L’ambito delle eccezioni alla regola dell’esenzione dall’IVA è, infatti, più ampio rispetto a quello previsto dal n. 8-bis), perché il n. 8-ter), alle lettere a), b), c) e d), stabilisce alcune condizioni, tra loro alternative, al cui verificarsi l’operazione diventa imponibile ai fini IVA; con approccio “a contrario”, pertanto, affinché le cessioni dei fabbricati strumentali per natura siano esenti occorre verificare la non ricorrenza delle suddette condizioni. Sono esenti da IVA, purché nel relativo atto il cedente non abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione, le cessioni di fabbricati strumentali per natura: − effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi fabbricati o dalle imprese che vi hanno effettuato interventi di ristrutturazione, ove siano decorsi quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento di ristrutturazione; − effettuate nei confronti dei cessionari soggetti passivi di imposta che svolgono, in via esclusiva o prevalente, attività che conferiscono il diritto alla detrazione in misura superiore al 25 per cento. Nell’ipotesi in cui la cessione del fabbricato strumentale per natura sia esente IVA, l’imposta di registro si applica in misura fissa, perché l’art. 40 D.P.R. n. 131/1986 non menziona il n. 8-ter) fra le eccezioni al principio di alternatività; ciò in applicazione della regola generale, nella fattispecie non derogata, secondo la quale si considerano soggette ad IVA anche le operazioni esenti. Quanto invece alle imposte ipotecaria e catastale, il legislatore è intervenuto con una disciplina specifica e in chiara deroga al principio dell’alternatività; l’imposta ipotecaria e quella catastale64 si applicano sia nell’ipotesi di cessione di fabbricato strumentale esente dall’imposta sul valore aggiunto sia nell’ipotesi di cessione imponibile ai fini IVA. Presupposto per l’applicazione di questa specifica e particolare disciplina è che si tratti, in ogni caso, di una cessione di fabbricato strumentale per natura rientrante nel campo 64 Nelle rispettive misure del 3% e dell’1%. 37 di applicazione dell’IVA, e cioè posta in essere da un soggetto passivo IVA65; l’art. 1-bis della tariffa del testo unico, approvato dal D. Lgs. n. 347/1990, prevede, infatti, l’applicazione dell’imposta ipotecaria con l’aliquota proporzionale del 3 per cento alle «trascrizioni di atti e sentenze che importano trasferimento di proprietà di beni immobili strumentali, di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, anche se assoggettati all’imposta sul valore aggiunto, o costituzione o trasferimenti di diritti immobiliari sugli stessi». Ne consegue che, allo scopo dell’applicazione dell’imposta proporzionale di cui trattasi, la fattispecie del trasferimento, per poter essere qualificata come operazione esente ai sensi del citato art. 10 n. 8-ter, va preliminarmente inquadrata tra le operazioni rilevanti agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto; deve quindi ricorrere, oltre al requisito oggettivo ed alla territorialità, anche il requisito soggettivo, cioè deve trattarsi di operazione effettuata nell’esercizio di impresa o di arti e professioni. La precisazione “anche se assoggettati all’imposta sul valore aggiunto” rende l’imposta applicabile, oltre che alle operazioni esenti, anche alle operazioni imponibili, o meglio alle eccezioni all’esenzione da IVA di cui al n. 8-ter. Le medesime considerazioni valgono con riferimento all’applicazione dell’imposta catastale nella misura proporzionale dell’1 per cento, posto che l’art. 10, comma 1, del medesimo D. Lgs. n. 347 dispone, analogamente, che «le volture catastali sono soggette all’imposta del 10 per mille sul valore dei beni immobili o dei diritti reali immobiliari determinato a norma dell’art. 2, anche se relative a immobili strumentali, ancorché assoggettati all’imposta sul valore aggiunto, di cui all’art. 10, primo comma, numero 8-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633»66. 65 Vedasi Assonime, circolare 3 agosto 2006 n. 36. 66 Norme specifiche sono dettate per l’acquisto ed il riscatto di fabbricati strumentali per natura concessi in leasing; più precisamente, l’art. 35, comma 10-ter, D.L. 233/2006, conv. in Legge n. 248/2006 prevede (a decorrere dal 1° ottobre 2006), limitatamente all’acquisto (da parte del concedente) ed al riscatto (da parte dell’utilizzatore) di fabbricati strumentali per natura da concedere o concessi in leasing, una riduzione a metà delle aliquote delle imposte ipotecaria e catastale. La specifica disposizione fa espresso riferimento alle cessioni di beni immobili strumentali di cui all’art. 10 n. 1, 8-ter, D.P.R. 633/1972 e dispone la riduzione a metà delle aliquote delle imposte ipotecaria e catastale, nel presupposto che queste siano dovute nella misura complessiva del 4 per cento. Ne deriva che la riduzione si applica solo nel caso in cui sia un soggetto passivo IVA a cedere il bene – ossia il fabbricato strumentale per natura – da concedere in leasing. La riduzione è disposta per le cessioni di cui siano parte fondi immobiliari chiusi, ovvero imprese di locazione finanziaria o banche e intermediari finanziari, limitatamente all’acquisto ed al riscatto dei beni da concedere o concessi in locazione finanziaria. Con riguardo al riscatto è anche previsto che, per evitare una doppia imposizione, l’imposta proporzionale di registro dell’1 per cento pagata sui canoni di locazione possa essere scomputata dalle imposte ipotecaria e catastale dovute in relazione al riscatto stesso (art. 35, comma 10-sexies, D.L. n. 233/2006, conv. in Legge n. 248/2006). Quanto alla determinazione della base imponibile del riscatto, l’Agenzia delle Entrate, con la già citata circ. 12/E, ha evidenziato come il legislatore, anche se ha ricondotto le locazioni finanziarie nel regime 38 Quanto alle cessioni dei fabbricati strumentali per natura imponibili IVA, esse sono individuabili come segue: − cessioni effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi fabbricati o dalle imprese che vi hanno effettuato interventi di ristrutturazione, ove non siano decorsi quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento; − cessioni effettuate nei confronti di cessionari che non agiscono nell’esercizio di imprese, arti o professioni, cioè in pratica nei confronti di privati o enti non commerciali che destinino i fabbricati esclusivamente all’attività istituzionale; − cessioni effettuate nei confronti di cessionari soggetti passivi IVA che svolgono in via esclusiva o prevalente attività che conferiscono il diritto alla detrazione di imposta in misura pari o inferiore al 25 per cento; − cessioni di per sé esenti ma per le quali il cedente abbia manifestato espressamente l’opzione per l’imposizione IVA67. di tassazione indiretta previsto per le locazioni, ha tuttavia voluto dare rilievo, in sede di riscatto del bene, alla sostanza economica e quindi alla causa di finanziamento tipica del contratto di leasing; pertanto la stessa viene individuata in una particolare definizione di valore venale in comune commercio, costituita dal prezzo di riscatto del bene aumentato dei canoni, depurati dalla componente finanziaria; in tale ammontare si può, infatti, ravvisare, secondo l’Agenzia delle Entrate, l’effettivo valore di scambio attribuibile all’immobile, tenuto conto dei vincoli contrattuali che gravano su di esso. I canoni di locazione finanziaria, come ben noto, sono composti da una quota capitale, la quale attiene direttamente al bene rappresentandone il corrispettivo della cessione e da una quota interessi, che attiene invece all’attività finanziaria, rappresentandone la remunerazione. Cfr., al proposito: Agenzia delle Entrate, Ris. 12 agosto 2003, n. 175/E, secondo cui “attesa la natura finanziaria dell’operazione, il pagamento del canone è considerato non proprio come corrispettivo per la locazione del bene ma piuttosto come modalità per la restituzione di un finanziamento che è pari al costo del bene (e delle spese accessorie) aumentato del compenso per l’attività del finanziatore (sotto forma d’interesse sul capitale investito)”. Per una metodologia di calcolo della “quota capitale” inclusa nel canone di locazione finanziaria si veda, altresì, Agenzia delle Entrate, circ. 19 gennaio 2007 n. 1/E, con riferimento alla previsione di cui all’art. 36, comma 7-bis, D.L. n. 223/2006. Tali considerazioni valgono anche per le imposte ipotecaria e catastale applicabili in sede di riscatto dell’immobile, atteso il rinvio del decreto legislativo n. 347 del 31 ottobre 1990 all’articolo 51, comma 2, del DPR n. 131 del 1986. 67 A seguito del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 25 maggio 2007 (in Gazzetta Ufficiale n. 152 del 3 luglio 2007), sono state previste, a partire dalle operazioni poste in essere dal 1° ottobre 2007, particolari modalità di assolvimento dell’IVA concernenti esclusivamente le cessioni di cui al richiamato art. 10, comma 1, n. 8-ter): il cosiddetto meccanismo reverse charge ai sensi dell’art. 17, comma 6, del D.P.R. 633/72. Inizialmente, il predetto meccanismo era previsto esclusivamente per le operazioni di cui al n. 8-ter, lett. d); il legislatore è intervenuto successivamente con l’art. 1, comma 156, lett. a), Legge 24 dicembre 2007, n. 244, modificando direttamente il testo dell’art. 17, sesto comma del D.P.R. n. 633/1972 ed aggiungendo un’ulteriore fattispecie sotto la lett. a-bis); la nuova ipotesi riguarda le cessioni di beni immobili strumentali per natura (categoria A/10 e categorie B, C, D ed E) “effettuate nei confronti di cessionari soggetti passivi d’imposta che svolgono in via esclusiva o prevalente attività che conferiscono il diritto alla detrazione d’imposta in percentuale pari o inferiore al 25 per cento”. La novità è entrata in vigore a partire dalle cessioni effettuate dal 1° marzo 2008. Le anzidette operazioni di cessione, in virtù della specifica situazione in cui si trova il cessionario, fuoriescono dall’ambito delle operazioni esenti di cui all’art. 10, n. 8-ter) del D.P.R. n. 633/1972 e determinano la naturale applicazione dell’Iva con l’applicazione del reverse charge. Il reverse charge, ovvero inversione contabile, si 39 Al riguardo l’Agenzia delle Entrate68 ha osservato come nell’atto di cessione debba essere riportata la menzione della dichiarazione, resa dal cessionario, attestante che egli non agisce nell’esercizio di impresa, arte o professione, oppure, nel caso di ente che svolge sia un’attività rilevante IVA sia un’attività esclusa dal relativo ambito di applicazione, che effettua l’acquisto in relazione allo svolgimento dell’attività non commerciale. Anche l’altra condizione rilevante in capo al cessionario ai fini dell’imponibilità IVA (cioè che si tratti di soggetto passivo esercente attività che conferisce il diritto alla detrazione del suddetto tributo in misura non superiore al 25 per cento) deve essere oggetto, secondo l’Amministrazione finanziaria, di dichiarazione in atto da parte del cessionario medesimo69. Per quanto riguarda l’opzione per l’imposizione IVA (che deve essere oggetto di apposita dichiarazione del cedente70 nell’atto di cessione) la relativa possibilità riguarda esclusivamente i fabbricati strumentali per natura; con riferimento al profilo soggettivo va rilevato come la portata della disposizione sia particolarmente ampia, in quanto applicabile a qualsiasi soggetto passivo IVA che effettui il trasferimento del fabbricato (sia o meno qualificabile come impresa costruttrice). sostanzia in un particolare meccanismo con finalità anti-frode che prevede il trasferimento in capo all’acquirente di una serie di obblighi, relativi alle modalità con cui viene assolta l’IVA dovuta e solitamente gravanti sul cedente, impedendo che l’acquirente eserciti (correttamente) il diritto alla detrazione e il cedente addebiti l’IVA senza effettuare il relativo versamento. 68 Circ. 4 agosto 2006, n. 27/E, cit. 69 Con riferimento a questa dichiarazione è opportuno tenere presente che al momento della cessione il cessionario non è in grado di conoscere la percentuale di detrazione IVA definitiva (il cd. pro-rata), perché questa può essere stabilita solo alla chiusura del periodo di imposta; quindi, in pratica, la dichiarazione da inserire nell’atto di cessione fa riferimento ad una percentuale di detrazione determinata in via provvisoria sulla base del pro-rata dell’anno precedente. Qualora poi, al termine del periodo di imposta, emerga una variazione della percentuale di detrazione determinata in via definitiva, potrebbe verificarsi che una cessione considerata al momento del rogito quale operazione esente, per effetto della predetta variazione, diventi imponibile. In detto caso, il cessionario è tenuto a comunicare al cedente, al termine del periodo di imposta, che la propria percentuale di detraibilità è risultata non superiore al 25%, per l’assoggettamento dell’operazione ad IVA (cfr. al riguardo i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, circ. n. 27/E cit.). Contra, vedasi A. ZOCCALI, Manovra bis: la riforma dell’imposizione indiretta sugli immobili, in Dir. e prat. trib., 2006, 961; S. CHIRICHIGNO, Immobili strumentali tra simmetrie IVA, fissità del registro e variazioni del “pro rata”, in Dialoghi, 2007, 273 ss.. 70 L’opzione è una facoltà del cedente, rispetto alla quale l’acquirente si trova in una situazione passiva, di soggezione ad un diritto potestativo della controparte. È evidente, però, che l’esercizio dell’opzione, determinando l’imponibilità IVA dell’operazione, potrebbe incidere sull’aspetto economico dell’operazione stessa dal punto di vista dell’acquirente. Pertanto, in sede di contratto preliminare, l’acquirente potrebbe richiedere l’inserimento di una clausola nella quale sia prefigurato il regime fiscale del contratto definitivo. Tuttavia, poiché l’opzione deve essere manifestata, ai sensi del citato n. 8-ter, espressamente nell’atto di cessione definitivo, la pattuizione inserita nel contratto preliminare non potrebbe essere opposta al fisco, rilevando solo nei rapporti interni fra le parti. 40 Le pertinenze Il regime fiscale delle cessioni dei fabbricati richiede giocoforza una precisazione anche del concetto di “pertinenze”. L’art. 817 del codice civile stabilisce che sono pertinenze “le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”, individuando così un rapporto di complementarietà economico-giuridica nell’ambito del quale la pertinenza non perde la propria individualità per il suo essere a servizio della cosa principale. Sotto un profilo civilistico, il vincolo pertinenziale sorge quando sussistono le seguenti condizioni: la destinazione durevole al servizio o all’ornamento (elemento oggettivo) e la volontà del titolare del diritto reale sulla cosa principale (elemento soggettivo)71. Dal vincolo pertinenziale, l’art. 818 del codice civile fa dedurre la conseguenza secondo cui “gli atti ed i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto”; le stesse, tuttavia, “possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici”. La definizione civilistica di pertinenza viene spesso richiamata dalla giurisprudenza tributaria di legittimità, laddove l’elemento caratterizzante del concetto stesso di pertinenza viene fatto dipendere dall’effettivo utilizzo a cui la stessa viene assoggettata; ad esempio, laddove un’area circostante un fabbricato sia oggettivamente utilizzata quale pertinenza dello stesso, l’area deve essere considerata tale anche dal punto di vista fiscale, a prescindere dal fatto che fabbricato e terreno risultino essere unità immobiliari autonome iscritte l’uno al Catasto Fabbricati e l’altra al Catasto Terreni, con autonoma attribuzione di rendita72. Devesi peraltro rilevare, proprio in materia di pertinenze immobiliari, che secondo un certo orientamento giurisprudenziale “la nozione di pertinenza urbanistica, ha peculiarità specifiche, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un’opera – che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale – preordinata ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed 71 Per un’ampia disamina dell’argomento, vedasi GERLA, ICI: aree edificabili. Trattamento delle pertinenze, in Il Fisco, 2005-1, pagg. 7207 e segg., nonché GHISELLI, L’estensione di misure agevolative delle imposte (indirette) all’acquisto di terreni pertinenziali di unità residenziali, in Il Fisco 2008-1, pagg. 5219 e segg.. 72 Vedasi per tutte le sentenze della Cassazione n. 19375 del 17 dicembre 2003, n. 17035 del 26 agosto 2004 e n. 5755 del 16 marzo 2005; in particolare la sentenza n. 17035/2004 ha evidenziato che “in tema di Ici nella applicazione dell’art. 2 del D. Lgs n. 504/1992, che esclude l’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, la nozione di pertinenza deve essere valutata in riferimento alla disposizione di carattere generale contenuta nell’art. 817 del codice civile”; pertanto, “non costituisce un ostacolo al riconoscimento del vincolo il fatto che l’area pertinenziale e la costruzione principale siano censite catastalmente in modo distinto”. Sostanzialmente, secondo tale orientamento, l’accertamento della sussistenza o meno di un vincolo di pertinenzialità costituisce apprezzamento di fatto, dal punto di vista giurisprudenziale riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità. 41 oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede. La strumentalità rispetto all’immobile principale deve essere in ogni caso “oggettiva”, cioè connaturale alla struttura dell’opera, e non può desumersi esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario o dal possessore” 73; un concetto di pertinenza, quindi, ancora diverso ed ulteriore, che pone l’accento sui requisiti oggettivi e rende marginale, o comunque non decisivo, il carattere di “destinazione” soggettiva. Di ulteriore diverso avviso si è talvolta dichiarata l’Amministrazione Finanziaria74, nell’assumere un concetto di pertinenza estremamente formalistico, laddove il vincolo pertinenziale viene riconosciuto esclusivamente nei casi in cui le risultanze catastali lo individuino in maniera non equivoca; quindi, ad esempio, un terreno viene ad essere considerato pertinenza del fabbricato a cui è asservito, solo quando esiste la c.d. “graffatura”, che rende le due unità immobiliari un unico immobile dal punto di vista catastale, dotate di un’unica rendita catastale (quella del fabbricato censito al Catasto Fabbricati) la quale esprime anche la redditività del terreno asservito75. Vi è da dire che più recentemente e in più occasioni le considerazioni svolte dall’Agenzia 73 Cass. pen. 21 maggio 1997, n. 4056, richiamata nella sentenza della Comm. Trib. Reg. Veneto, n. 49/34/05, del 9 giugno 2005. 74 A partire dalla C.M. n. 7/1106 del 10 giugno 1993, nella quale con riferimento all’ICI, si rilevava come “il terreno che sia effettivamente pertinenza di un edificio costituisce parte integrante dell’edificio stesso e, quindi, le rendite catastali delle singole unità immobiliari formanti l’edificio comprendono anche la quota parte attribuibile al terreno pertinenziale”, seguita dalla C.M. n. 38/E/2005, in tema di agevolazioni “prima casa”, la quale riferisce che “… ai fini dell’agevolazione fiscale in questione, un’area che sia autonomamente censita al Catasto Terreni non può considerarsi “pertinenza” di un fabbricato urbano, anche se durevolmente destinata al servizio dello stesso” e dalla Ris. n. 32/E/2006, nella quale viene ribadito che è pertinenza solo il terreno che risulta essere congiuntamente accatastato con il bene principale, mentre il fatto che sia censito separatamente, indipendentemente al Catasto Terreni ovvero al Catasto Fabbricati, comporta che esso sia da considerarsi bene autonomo. 75 Dal punto di vista catastale, un’area di pertinenza del fabbricato, indipendentemente dall’avere un proprio mappale, partecipa congiuntamente allo stesso fabbricato alla determinazione della rendita catastale, per cui non è suscettibile di rendita autonoma, purché sia “graffata” al fabbricato stesso. Non ci sono limiti dimensionali all’estensione dell’area di pertinenza del fabbricato, ma per poter sostenere l’asservimento dell’area, occorre dimostrare, in caso di sproporzionata estensione, che lo sia di fatto. Si ricordi che a mente dell’art. 5 del Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, quando l’area di pertinenza supera di sei volte l’area coperta dal fabbricato, il medesimo è considerato di lusso. Dal punto di vista della corretta tecnica catastale, in casi simili è necessario stralciare dall’area pertinenziale quella che è carente di tale prerogativa, a mezzo del frazionamento. In tal caso, se detta area fosse originariamente censita al Catasto Terreni, rimarrà tale, mentre nel caso fosse censita diversamente si provvederà, a mezzo della procedura Docfa con la classifica F1, senza rendita, alla sua individuazione come area urbana. 42 delle Entrate appaiono meno formalistiche laddove viene riconosciuto che “ effettivamente, ai fini fiscali, non esiste una nozione di pertinenza divergente da quella di cui agli articoli 817 e seguenti del codice civile …”76; secondo lo stesso concetto, l’Agenzia riconosce il principio per cui un bene posto in rapporto pertinenziale è sì assoggettato in modo permanente a servizio o ornamento di un’altra cosa “per renderne possibile una migliore utilizzazione ovvero per aumentarne il decoro”, “pur conservando la propria natura e individualità fisica”77; o ancora “il rapporto tra cosa principale ed accessoria è preso in considerazione dalla legge non come rapporto di connessione materiale e strutturale, ma come rapporto economico-giuridico di strumentalità e complementarietà funzionale”78, nonché l’espressione secondo cui “l’accertamento della sussistenza o meno di un vincolo pertinenziale comporta un ‘giudizio di fatto’ costituito dalla destinazione concreta ed effettiva della pertinenza a servizio o ornamento della cosa principale ‘dimostrabile’ dal richiedente”79; tutte espressioni che lasciano intendere una conclusione non univocamente dipendente dalle rappresentazioni meramente cartolari. Così considerato e succintamente richiamato il complesso concetto di pertinenza, si ricordano ora le relative principali disposizioni in materia di imposte indirette. L’art. 23, comma 3, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in materia di imposta di registro, dispone che le pertinenze sono in ogni caso soggette alla disciplina prevista per il bene al cui servizio od ornamento sono destinate. Tale principio appare accolto anche dalla normativa in materia di Iva, laddove l’art. 12 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che le cessioni accessorie ad una cessione di beni non sono soggette autonomamente all’imposta80 . 76 Ris. 11 aprile 2008, n. 149/E. 77 Ris. 26 giugno 2008, n. 265/E. 78 Ris. 265/E cit., che richiama un’argomentazione già svolta dalla Cassazione, nella sentenza 11 novembre 1990, n. 2278. 79 Ris. 265/E cit.. 80 Vedasi, fra l’altro, la Risoluzione della Direzione Generale Tasse n. 240230 del 25 ottobre 1983, la circolare 2 marzo 1994 n. 1/Ee la circolare 12 agosto 2005 n. 38/E. La condizione richiamata dalla circolare 1° marzo 2007 n. 12 e cioè “che il vincolo stesso sia evidenziato nell’atto di cessione”, ha senso soprattutto nel caso in cui la pertinenza viene acquistata con atto separato, mentre in caso di acquisto contestuale a quello del bene principale, il vincolo risulta implicito nell’operazione stessa. Quanto detto sul rapporto pertinenziale vale anche nella situazione inversa, in cui, in caso di cessione di un immobile strumentale per natura, unitamente, per esempio, all’abitazione del portiere, quest’ultima costituisce pertinenza dell’immobile strumentale e viene assoggettata ad imposizione con l’immobile cui inerisce. 43 Il fabbricato non ultimato La rilevanza attribuita dalla disciplina in esame al momento dell’ultimazione della costruzione del fabbricato (o dell’intervento di recupero di cui all’art. 31, lett. c), d), ed e) della legge n. 457/1978), ha determinato un non indifferente problema applicativo in ordine all’individuazione del regime fiscale applicabile alle cessioni aventi ad oggetto fabbricati non ancora ultimati. La questione è stata espressamente risolta dall’Agenzia delle Entrate, nel senso di ritenere che – poiché l’art. 10. nn. 8-bis) e 8-ter) cit., nell’individuare il regime IVA applicabile alla cessione di fabbricati, non tratta specificamente anche dei fabbricati “non ultimati” (diversamente da quanto invece previsto in altre normative, come ad esempio quella relativa alle “agevolazioni prima casa”) – “la cessione di un fabbricato effettuata da un soggetto passivo d’imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione del medesimo … sia esclusa dall’ambito applicativo dei richiamati nn. 8-bis) e 8-ter) dell’articolo 10 del DPR n. 633 del 1972 trattandosi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione, pertanto, deve essere in ogni caso assoggettata ad IVA”.81 Quanto all’individuazione della data di ultimazione della costruzione che, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate rappresenta il momento determinante al fine della qualificazione del fabbricato82 ai sensi dell’art. 10, nn. 8-bis e 8-ter, l’Agenzia fa riferimento al momento in cui l’immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo; pertanto si deve considerare ultimato l’immobile per il quale sia intervenuta da parte del direttore dei lavori l’attestazione della ultimazione degli stessi, che di norma coincide con la dichiarazione da rendere in catasto ai sensi degli articoli 23 e 24 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Inoltre, si deve ritenere ‘ultimato’ anche il fabbricato concesso in uso a terzi, con i fisiologici contratti relativi all’utilizzo dell’immobile, poiché lo stesso, pur in assenza della formale attestazione di ultimazione rilasciata dal tecnico competente si presume che, essendo idoneo ad essere immesso in consumo, presenti tutte le caratteristiche fisiche idonee a far ritenere l’opera di costruzione o di ristrutturazione completata. 83 81 Circ. 12/E, cit. 82 Il fabbricato, ancorchè non ultimato ovvero allo stato rustico, si considera esistente quando presenta i requisiti di cui all’art. 2426-bis c.c. (deve quindi esistere almeno un rustico comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e deve esser completata la copertura). Vedasi anche la recente Ris. 28 gennaio 2009 n. 23/E. 83 Vedasi al riguardo la circolare 12 agosto 2005 n. 38/E. 44 2.3.Nozioni e principi generali: la permuta, il conferimento in società ed altre operazioni straordinarie. Qualche breve appunto di promemoria meritano alcune fattispecie che non costituiscono ordinarie cessioni, ma il cui effetto è comunque rappresentato dal trasferimento di diritti reali. La permuta Ai sensi dell’art. 1552 c.c., è il contratto avente per oggetto “il reciproco trasferimento della proprietà di cose, o di altri diritti, da un contraente all’altro”. Si ha permuta quando il corrispettivo della cessione di beni e delle prestazioni di servizi è diverso dal denaro, potendo consistere nella cessione di altro bene o nella prestazione di altro servizio84. In tali ipotesi la disciplina Iva, prescindendo dall’unitarietà del contratto, considera distintamente i corrispettivi del contratto medesimo85. Le reciproche cessioni di beni o prestazioni di servizi, semprechè naturalmente siano per loro natura tassabili ai fini Iva, sono oggetto di separata tassazione in base al valore normale. Se la permuta avviene tra soggetto Iva e soggetto non Iva, l’Iva deve corrispondersi solamente con riferimento al trasferimento attuato dal soggetto d’imposta. Nel caso di permuta di beni e/o servizi, l’uno soggetto a Iva e l’altro a imposta di registro, l’imposta di registro e le imposte ipocatastali si applicano in misura proporzionale solo sulla cessione o prestazione non soggetta a Iva86, in applicazione del principio di alternatività tra le due imposte di cui all’art. 40 del T.U. sull’imposta di registro87. Nel caso, invece, di permuta di beni e/o servizi entrambi soggetti ad imposta di registro, l’imposta di registro e le imposte ipocatastali si applicano su un’unica base imponibile pari al valore del bene che da luogo all’applicazione della maggiore imposta88. 84 Diversa concettualmente dalla permuta, pur essendo identico il trattamento fiscale, è la dazione in pagamento, ossia la cessione di beni e/o prestazioni di servizi che viene fatta dal debitore ad estinzione di una o più precedenti obbligazioni, sempre che il creditore vi consenta. 85 Art. 11, D.P.R. 633/72. 86 Commissione Tributaria Centrale, Sezioni Unite, 9 settembre 1986, n. 6898; Cassazione, sez. I, 10 settembre 1997, n. 9036 e sez. trib. 22 novembre 2001, n. 14777. 87 Art. 40, comma 2, D.P.R. 131/1986. 88 Art. 43, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 131/1986. 45 Conferimento in società ed altre operazioni straordinarie. Il conferimento e la cessione d’azienda o di rami d’azienda in società o altri enti ed il trasferimento di beni a seguito di altre operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, trasformazioni) sono operazioni da tenere distinte rispetto al conferimento di beni in società o altri enti. Ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 633/72. le cessioni e i conferimenti d’azienda o rami d’azienda in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, non sono considerate cessioni di beni e pertanto in mancanza del presupposto oggettivo, fuoriescono dal campo di applicazione Iva. Medesimo trattamento è riservato dalla lettera f) dello stesso articolo, ai passaggi di beni in dipendenza di fusioni, scissioni o trasformazioni di società o di analoghe operazioni poste in essere da altri enti. Anche se l’azienda o il ramo d’azienda contiene immobili, o se i trasferimenti di operazioni straordinarie hanno per oggetto beni immobili, per tali fattispecie è prevista l’applicazione dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa. Restano invece soggetti ad Iva i conferimenti in società di beni immobili singoli o complessi di beni non qualificabili come azienda, contenenti immobili o eventuali diritti reali relativi agli stessi89, i quali scontano l’Iva, le imposte di registro e ipocatastali secondo le regole esposte nei paragrafi relativi alla cessione, se il conferente è soggetto Iva; in caso contrario, di soggetto conferente che non opera nell’esercizio di imprese, arti o professione, la disciplina Iva non troverà ovviamente applicazione, mentre ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale si avrà il medesimo trattamento esposto in tema di cessioni poste in essere da privati. 89 Si richiamano brevemente in questa sede le problematiche applicative in materia di definizione di “azienda”; secondo la Corte di Cassazione (sentenza 1° aprile 2003, n. 4974) la cessione di un marchio, anche contestuale alla cessione di un’azienda, è un’operazione autonoma rispetto al complesso aziendale cui inerisce e pertanto è soggetta ad IVA; vedasi al proposito anche la norma di comportamento n. 158 dell’Associazione Dottori Commercialisti di Milano e la Ris. 3 aprile 2006, n. 48/E. Ai sensi dell’art. 8, D.L. 20 settembre 2001, n. 351, c. 1-bis, si considerano conferimenti di azienda, e quindi esclusi IVA, gli apporti ai fondi immobiliari (disciplinati dall’art. 37 del Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazioni finanziarie di cui al D. Lgs. 58/98) costituiti da una pluralità di immobili prevalentemente locati . 46 2.4.Alcune normative speciali Si riportano di seguito alcuni sintetici richiami alle norme speciali di frequente riscontro nell’ambito delle problematiche in materia di imposizione indiretta immobiliare. Fabbricati “Tupini” (Legge 2 luglio 1949, n. 408) La voce 127 undecies, Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. n. 633/72, prevede l’assoggettamento ad aliquota ridotta IVA del 10% alla cessione, da parte di imprese costruttrici, di fabbricati o porzioni di fabbricato aventi le caratteristiche di cui all’art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408; trattasi degli immobili composti da unità abitative (appartamenti), negozi e uffici, in determinate proporzioni. La cessione deve essere effettuata da un’impresa costruttrice, ovvero da un’impresa che svolge, anche occasionalmente, attività di costruzione, in proprio o anche mediante contratti di appalto a terzi, di immobili per destinarli alla successiva vendita. L’art. 1 della legge 6 ottobre 1962, n. 1493, integrato dalla legge 2 dicembre 1967, n. 1212, dispone che le agevolazioni fiscali per le case di abitazione non di lusso previste dalla legge 2 luglio 1949, n. 408, si rendono applicabili a quei fabbricati costituiti da uffici e/o negozi nelle seguenti proporzioni: − più del 50% della superficie totale dei piani sopra terra sia destinata ad uso abitativo; − non più del 25% della superficie totale dei piani sopra terra sia destinata a negozi o uffici. Nel calcolo della prevista proporzionalità si computa nella superficie totale dei piani sopra terra, anche quella di terrazze e balconi90. Le condizioni di cui sopra devono ricorrere congiuntamente, pena la perdita dell’agevolazione per l’intero fabbricato. In assenza dei requisiti delineati si applica l’aliquota ordinaria. Non sono previste particolari aliquote relativamente all’imposta di registro e ipocatastale. Parcheggi “Legge “Tognoli” (Legge 24 marzo 1989, n. 122) L’art. 9, c. 1, Legge 24 marzo 1989, n. 122 (“Legge Tognoli”, da cui l’uso del termine “parcheggi Tognoli”), consente ai proprietari di immobili già esistenti di realizzare, nei locali al piano terreno o nel sottosuolo dell’edificio, parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti, nel rispetto dei vincoli paesaggistici e ambientali (nonché, ovviamente, dei vincoli 90 R.M. 9 febbraio 1982 n. 370924. 47 idrogeologici e di quelli previsti per le zone sismiche). Tali parcheggi, a norma dell’art. 17, comma 90, L. 127/1997, “possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo, di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici”. La Legge 122/1989 prevede la possibilità di concessione di suolo pubblico per parcheggi di veicoli privati; in particolare il comma 4 dell’art. 9 consente ai Comuni, previa determinazione dei criteri di cessione del diritto di superficie e su richiesta dei privati interessati o di società anche cooperative appositamente costituite tra gli stessi, di prevedere, nell’ambito di un programma urbano dei parcheggi, la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse91. Con riferimento alla fiscalità indiretta, l’art. 11 della Legge 122/89 stabilisce che: “1. Le opere e gli interventi previsti dalla presente legge costituiscono opere di urbanizzazione anche ai sensi dell’articolo 9, primo comma, lettera f), della legge 28 gennaio 1977, n. 10. 2. Le prestazioni derivanti da contratti aventi per oggetto la realizzazione delle opere e degli interventi previsti dalla presente legge sono soggette all’imposta sul valore aggiunto con l’aliquota del 2 per cento. La stessa aliquota si applica ai trasferimenti degli immobili o di porzioni degli stessi anche in diritto di superficie. 3. L’atto di cessione del diritto di superficie è soggetto all’imposta di registro in misura fissa.” Si segnala da ultimo che l’aliquota Iva di cui al comma 2 del predetto articolo è attualmente il 10%. “Legge Bucalossi” (legge 28 gennaio 1977, n. 10): trattamento fiscale della cessione “gratuita” ai Comuni di aree ed opere di urbanizzazione e redistribuzione di aree tra colottizzanti. L’art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (c.d.”legge Bucalossi”), disciplina il principio in forza del quale “ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco ai sensi della presente legge”. 91 La costituzione del diritto di superficie è subordinata alla stipula di una convenzione nella quale siano previsti: la durata della concessione del diritto di superficie per un periodo non superiore a 90 anni; il dimensionamento dell’opera ed il piano economico-finanziario previsti per la sua realizzazione; i tempi previsti per la progettazione esecutiva, la messa a disposizione delle aree necessarie e l’esecuzione dei lavori; i tempi e le modalità per la verifica dello stato di attuazione, nonché le sanzioni previste per gli eventuali inadempimenti. 48 L’articolo 3 della citata legge, prevede altresì che “la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato alla incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”92. Il contributo concessorio è quindi formato da due componenti: − una parte è commisurata all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e valorizza il cosiddetto “peso insediativo”, cioè rappresenta la partecipazione del concessionario alle spese d’infrastrutture urbanizzatorie che l’amministrazione comunale deve affrontare in conseguenza della realizzazione dell’intervento; − l’altra parte è invece rapportata al costo della costruzione determinata all’atto del rilascio del permesso di costruire93. Ai sensi degli artt. 16, commi 7, 7-bis, e 8, del T.U. dell’edilizia (D.P.R. 380/2001) sono opere di urbanizzazione primaria le strade residenziali, gli spazi di sosta o di parcheggio, le fognature, la rete idrica, la rete di distribuzione dell’energia elettrica e gas, la pubblica illuminazione, gli spazi di verde attrezzato (comma 7) oltre, ai cavedi multiservizi ed i cavidotti per i passaggi di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai Comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni (comma 7-bis). Le opere di urbanizzazione secondaria, invece, sono gli asili nido e le scuole materne, le scuole dell’obbligo nonché le strutture ed i complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, i mercati di quartiere, le delegazioni comunali, le chiese ed altri edifici religiosi, gli impianti sportivi di quartiere, le aree verdi di quartiere, i centri sociali e le attrezzature culturali e sanitarie, comprendendovi in queste ultime opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate (comma 8)94. In presenza di convenzioni di lottizzazione e simili ed a scomputo totale o parziale degli oneri di urbanizzazione dovuti, il titolare del “permesso di costruire”, può essere chiamato a realizzare direttamente a proprie spese le opere di urbanizzazione, con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune, nonché a cedere al Comune, senza corrispettivo, la proprietà di aree ove sono situate le opere di urbanizzazione secondaria, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio del Comune. 92 Allo stato, la materia risulta disciplinata dal nuovo testo unico dell’edilizia contenuto nel D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 93 Sulla natura “tributaria” del contributo, vedasi, tra gli altri, LORENZON, Tributi Locali, in Enciclopedia del Diritto, vol. XLV, pag. 147. 94 Sotto il profilo urbanistico, vedasi anche il precedente paragrafo 1.3. 49 Con riferimento alle predette forme di cessione “gratuita”95 ai Comuni, in passato sono sorte numerose e complesse incertezze interpretative e orientamenti contrastanti di prassi giurisprudenziali in merito al trattamento ai fini Iva delle menzionate operazioni96. Sulla questione è intervenuto l’art. 51 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (c.d. Collegato fiscale alla finanziaria 2001), che testualmente ora dispone: “Non è da intendere rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, neppure agli effetti delle limitazione del diritto alla detrazione, la cessione nei confronti dei comuni di aree o opere di urbanizzazione, a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione”. L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che “… la cessione ai Comuni di aree ed opere di urbanizzazione da parte dell’impresa titolare della concessione ad edificare, a scomputo del contributo di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione, costituisce una operazione non rilevante agli effetti dell’IVA, alla stregua del trattamento fiscale applicabile al versamento in denaro del predetto contributo effettuato alternativamente dalla stessa impresa”97. 95 La cessione in parola non è connotata dall’animus donandi tipico delle donazioni, ma è effettuata a fronte e nell’ambito del complesso rapporto con il Comune inerente gli oneri di urbanizzazione a carico del titolare del permesso di costruire. 96 Vedasi la nota n. 3 al successivo paragrafo 3.2 ed i riferimenti ivi riportati. 97 Circ. 16 novembre 2000, n. 207/E; nella Ris 14 gennaio 2003, n. 6/E, l’Amministrazione Finanziaria rileva come il legislatore abbia voluto equiparare, ai fini Iva, il versamento in denaro del contributo di urbanizzazione di cui agli artt. 5 e 11 della legge “Bucalossi” alla cessione di opere di urbanizzazione e delle aree necessarie alla loro realizzazione. Già prima della L. 342/2000, la Ris. n. 363292 del 16 gennaio 1978 evidenziava che la fattispecie non rientra nel campo di applicazione Iva, mancando, nel rapporto tra Comune e titolare del permesso di costruire, la natura sinallagmatica, essendo il rapporto stesso, invece, intriso delle “innegabili caratteristiche di generalità, tipiche del rapporto di natura tributaria”. Per le cessioni gratuite che non rientrano nell’ambito dell’art. 51, L. 342/2000, si è riflettuto sull’eventuale applicabilità della norma generale di cui all’art. 10, n. 12, del D.P.R. n. 633/72, che prevede l’esenzione Iva per le “cessioni di cui al n. 4) dell’art. 2 fatte ad enti pubblici, associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica e alle ONLUS”. Nonostante l’infelice formulazione della norma, la migliore dottrina ritiene che l’esenzione Iva per le cessioni gratuite fatte agli enti pubblici non sia subordinata alla circostanza che tali enti abbiano esclusivamente finalità di assistenza, beneficienza , in quanto tale specificazione pare riferita solo alle associazioni e fondazioni ivi indicate; vedasi G. MANDÒ – D. MANDÒ, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, op. cit., Cap. VI, par. II. In tal senso sembra orientata anche la R.M. 30 marzo 1998, n. 23/E. Diventa, pertanto, fondamentale chiarire il concetto di cessioni gratuite ivi indicate con riferimento al n. 4) dell’art. 2 del D.P.R. n. 633/1972. Innanzitutto, con riguardo all’oggetto, quest’ultime ricomprendono esclusivamente i beni la cui produzione od il cui commercio rientra nell’attività propria dell’impresa – ogni attività ricompresa nell’ordinario campo di azione dell’impresa, con la sola esclusione di quelle svolte non in via principale (G. MANDÒ – D. MANDÒ., op.cit., Cap. I, par. III, lett. C), che sconterebbero l’Iva in quanto assolta e detratta a monte, anche se non con rivalsa obbligatoria (le cessioni gratuite di beni che non rientrano nella produzione o commercio dell’impresa se di costo unitario non superiore a Euro 25,82 e quelli per i quali non si sia operata la detrazione ex art. 19, non sono considerati cessioni di beni e pertanto sono comunque fuori campo Iva). In secondo luogo, l’assenza del corrispettivo del 50 Le cessioni “gratuite” in parola, pertanto, non rientrando nel campo di applicazione dell’Iva, per il noto principio di alternatività di cui all’art. 40 del D.P.R. n. 131/1986, vanno assoggettate ad imposta di registro ed alle imposte ipo-catastali; quanto alla misura, tuttavia, al posto di quella proporzionale, ai sensi dell’art. 20 della legge “Bucalossi”, è prevista l’applicazione del trattamento tributario agevolato di cui all’art. 32, secondo comma, del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 601, che dispone l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali. Ai sensi dell’art. 20 della legge “Bucalossi” “ai provvedimenti, alle convenzioni ed agli atti d’obbligo previsti dalla legge stessa si applica il trattamento tributario di cui all’art. 32, secondo comma, del D.P.R. n. 601/1973”, il quale, a sua volta, dispone che “agli atti di trasferimento della proprietà delle aree”98 previste al titolo III della L. 22 ottobre 1971, n. 865, e “gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa e sono esenti dalle imposte ipotecarie e catastali. Le medesime agevolazioni si applicano agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al titolo IV” della medesima L. 865/1971.99 La lettura integrata di tali disposizioni, unitamente alle disposizioni del più recente T.U. n. 380/2001, fa ritenere applicabili le agevolazioni alle seguenti fattispecie: a) scomputo in tutto o in parte degli oneri di urbanizzazione a fronte dell’obbligo di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione e di cederle gratuitamente all’ente stesso – atti, anche unilaterali, ex art. 11 della legge “Bucalossi” (ora art. 16, comma trasferimento del diritto di proprietà sul bene – gratuità –, cui fa riferimento l’art. 2, n. 4), del D.P.R. n. 633/1972, va valutata o quale liberalità d’uso (che non è donazione ex art. 769 c.c. mancando dell’animus donandi, e soddisfacendo, perciò, un interesse patrimoniale di chi pone in essere la liberalità; in caso di presenza dell’animus donandi, invece, uscendo all’ambito applicativo dell’art. 10, n. 12 del D.P.R. n. 633/72, si potrà più correttamente parlare di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa o di autoconsumo cd. esterno, per ciò stesso rilevante ai fini Iva) oppure quale peculiarità tipica di un rapporto imperativo/pubblicistico. Ne consegue che le cessioni gratuite delle aree a scomputo degli oneri di urbanizzazione, fatte a enti diversi dei comuni e perciò fuori dell’art. 51, L. 342/2000, non possono prescindere dalla individuazione della natura della convenzione urbanistica come “contratto” o come “prestazione patrimoniale imposta”, argomento sul quale vedasi la parte finale del paragrafo 3.2. 98 La stessa agevolazione si applica al trasferimento di aree che rientrano nel perimetro di piani comunali per insediamenti produttivi (PIP). L’Agenzia delle Entrate, con ris. 72/E del 23 marzo 2009, ha sottolineato che il riferimento normativo dell’agevolazione è specifico per i soli trasferimenti di “aree” e pertanto non si applica ai trasferimenti di fabbricati già costruiti sulle aree PIP. 99 Il titolo IV della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è rubricato “Programmi pubblici di edilizia residenziale” e contiene un’articolata disciplina delle modalità di attuazione dei programmi stessi – artt. 48-71 – a mezzo di opere “a tutti gli effetti di pubblica utilità” e con lavori “dichiarati urgenti e indifferibili”. Si tratta, in generale, di norme emanate al fine di soddisfare o di favorire il soddisfacimento di bisogni di classi sociali disagiate rispetto al bene primario dell’abitazione. 51 1, del T.U. sull’edilizia) -; b) convenzioni nell’edilizia abitativa convenzionata, con cui il richiedente il permesso a costruire si impegni nei confronti del comune ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati, ai fini della riduzione del contributo di costruzione alla sola quota degli oneri di urbanizzazione – convenzioni ex art. 7 della legge “Bucalossi” (ora art. 17, comma 1, del T.U. sull’edilizia) –; c) convenzioni comunali, nonché atti d’obbligo in generale nell’ambito dell’edilizia abitativa convenzionata, in conformità alla convenzione tipo approvata dalla Regione ai sensi dell’art. 18 del T.U. sull’edilizia100; d) atti di esproprio ex art. 13 della legge “Bucalossi” per la realizzazione dei programmi pluriennali di attuazione; e) acquisizione gratuita al patrimonio del Comune di opere del tutto abusive ex art. 15 della legge “Bucalossi” (ora art. 31 del T.U. sull’edilizia)101. L’interpretazione logico-sistematica dell’art. 20 della legge “Bucalossi”, nonché la prassi in materia dell’Amministrazione Finanziaria102, pertanto, individuano l’ambito operativo del medesimo non solo con riferimento agli atti ed alle convenzioni letteralmente previste dalla norma, bensì anche con riferimento ad ogni atto che comporti attuazione e pieno, puntuale e completo compimento delle convenzioni medesime103. Sotto un ulteriore e diverso profilo, il concetto di convenzioni di cui alla citata legge n. 10/1977 ricomprende sia quelle disciplinate in materia di interventi di edilizia abitativa convenzionata ai fini del rilascio del permesso di costruire, sia quelle volte alla miglior attuazione possibile degli strumenti urbanistici, quali il piano regolatore generale, i piani 100 Nella convenzione tipo vengono stabilite le caratteristiche tipologiche e costruttive degli alloggi; i criteri di fissazione dei prezzi di cessione degli stessi, in base al costo delle aree; i criteri di determinazione della costruzione e delle opere di urbanizzazione; la fissazione dei canoni di locazione in percentuale del valore desunto dai prezzi fissati per la cessione degli alloggi; la durata di validità della convezione non superiore a trenta e non inferiore a venti anni. 101 Per opere del tutto abusive s’intendono quelle realizzate in assenza del permesso di costruire o in totale difformità dal medesimo o con variazioni essenziali e sempre che non siano state rimosse o demolite. L’art. 31 del T.U. prevede per il responsabile dell’abuso che non demolisca e ripristini lo stato dei luoghi entro novanta giorni dall’ingiunzione, l’acquisizione gratuita di diritto al patrimonio comunale del bene, dell’area di sedime e di quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive. 102 Vedasi Ris. Min. 16 dicembre 1986, n. 220210, e Ris. Min. del 3 gennaio 1983, n. 250666, secondo le quali “l’art. 20…, per aver menzionato genericamente le ‘convenzioni’ tra gli atti destinatari del regime di favore, ha inteso comprendere in tale regime anche gli atti … che rappresentano l’attuazione della stessa convenzione”. 103 52 Per un’applicazione concreta di tale normativa, vedasi il successivo paragrafo 3.3. particolareggiati d’iniziativa pubblica o privata, i piani convenzionati di lottizzazione, ecc.104; attuazione che coinvolge l’esatta ubicazione dei lotti edificabili, le modalità di esecuzione delle opere di urbanizzazione, la cessione gratuita all’ente delle aree destinate, in base agli standard urbanistici previsti, alla realizzazione delle opere stesse (parcheggio, verde pubblico, servizi in genere). La materiale esecuzione delle opere di urbanizzazione e la cessione gratuita delle aree previste può comportare uno squilibrio tra i vari soggetti partecipanti all’iniziativa lottizzatoria, dovuto al diverso grado con cui le aree di proprietà originaria (aree territoriali) vengono incise dalle aree destinate alle opere di urbanizzazione in attuazione delle previsioni progettuali; in pratica le cessioni gratuite possono riguardare superfici la cui quantificazione può non essere (e normalmente non lo è) proporzionale rispetto alle superfici e relativa capacità edificatorie di ciascuna area in proprietà ante lottizzazione. È necessario, pertanto, individuare sistemi che riconducano ad equità le diverse perdite subite dai lottizzanti in termini di superficie e capacità edificatoria. I sistemi conosciuti nella prassi e volti a tal fine sono molteplici, con le relative complesse problematiche, anche fiscali, al cui esame è dedicato il paragrafo 3.3. Trasferimenti di immobili inseriti in piani particolareggiati: riferimenti normativi, tecnica legislativa, concetti e requisiti Una normativa speciale in materia riguarda il trattamento fiscale dei trasferimenti di immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati. Da ultimo l’art. 1, commi 25-27, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244. così dispone: “25. Nel testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, all’art. 1 della Tariffa, parte I, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se il trasferimento ha per oggetto immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale comunque denominati, a condizione che l’intervento cui è finalizzato il trasferimento venga completato entro cinque anni dalla stipula dell’atto: 1 per cento.” 26. All’art. 1-bis della Tariffa annessa al testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “, ovvero che importano il trasferimento di proprietà, la costituzione o il trasferimento di diritti attinenti ad immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale comunque denominati.” 104 Sui concetti qui richiamati, vedasi il precedente capitolo 1. 53 27. All’articolo 36 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 e successive modificazioni, il comma 15 è abrogato” . Pertanto, gli atti che prevedono il trasferimento105 dei predetti immobili posti in essere dal 1° gennaio 2008 scontano l’imposta di registro all’1% (in luogo dell’8% o del 7%, rispettivamente in caso di terreni e di fabbricati), l’imposta ipotecaria al 3% e l’imposta catastale all’1%, salvo che l’operazione non rientri nel campo di applicazione dell’Iva; altrimenti, troveranno applicazione l’Iva secondo le regole ordinarie e, per il principio di alternatività ex art. 40 del D.P.R. n. 131/1986, le imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa. L’intervento è significativo non solo da un punto di vista meramente fiscale, ma anche sotto il profilo della tecnica legislativa utilizzata; tecnicamente, infatti, non si tratta più di un’agevolazione106 come sostanzialmente risultavano configurati i noti precedenti interventi in materia, ma di una diversa tassazione, nell’ambito della disciplina ordinaria di un determinato tributo, riservata ad una particolare fattispecie traslativa rispetto a quella generale dei trasferimenti immobiliari. Il precedente più significativo in materia era rappresentato dal’art. 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria 2001); prima ancora107 il favor del legislatore verso analoghe operazioni immobiliari era stato espresso con la disposizione, attualmente ancora vigente, contenuta nell’art. 5 della legge 22 aprile 1982, n. 168, secondo cui: “Nell’ambito dei piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati, di cui agli articoli 27 e seguenti della legge 5 agosto 1978, n. 457, ai trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti che attuano il recupero, si applicano le imposte di registro, catastali 105 Per “trasferimento” si intendono, ex art. 1 della Tariffa, Parte I, primo periodo, del D.P.R. n. 131/1986, gli “atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi e costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi.”. 106 Prima dell’intervento della L. n. 244/07, il trattamento di favore per l’acquisto dei predetti immobili, pur non essendo collocato all’interno del testo unico dell’imposta di registro, era comunque previsto “a regime”, in quanto l’art. 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria 2001), prevedeva la sua applicazione senza limiti temporali. 107 Tra le norme, oramai non più in vigore, si segnalano l’art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408 (c.d. Legge Tupini), e l’art. 44 del D.L. 15 marzo 1965, n. 124, convertito nella legge 13 maggio 1965, n. 431. La prima prevedeva “il beneficio dell’imposta fissa di registro e di quello della riduzione al quarto dell’imposta ipotecaria per gli acquisti di aree edificabili” purché i medesimi avessero per oggetto la costruzione di case di abitazione non di lusso (anche se comprendenti uffici e negozi, entro determinate percentuali) e purché la costruzione iniziasse e venisse ultimata entro un dato termine. La seconda prevedeva la riduzione al 4% dell’imposta di registro “per i trasferimenti a titolo oneroso e per i conferimenti in società di fabbricati e di aree destinati alla costruzione edilizia, situati nel territorio nazionale”. Ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.L. 11 dicembre 1967, n. 1150, convertito in legge 7 febbraio 1968 n. 26, la relativa costruzione doveva avvenire entro un certo termine a pena di decadenza. 54 ed ipotecarie in misura fissa. Nello stesso ambito le permute sono esenti dall’imposta sull’incremento di valore degli immobili, e sono soggette all’imposta di registro ipotecaria e catastale in misura fissa”108. L’evoluzione normativa in materia è contraddistinta da numerosi e ripetuti interventi anche di portata interpretativa e/o di semplice adeguamento operativo109. Da un punto di vista tecnico-formale è interessante notare come la previsione del già richiamato comma 27 dell’art. 1 della legge 244/2007 si sia sviluppata utilizzando la tecnica dell’ “abrogazione dell’abrogazione”, cosicché parrebbe sostenibile il ripristino della vigenza dell’originaria previsione abrogata, contestualmente alla specifica nuova previsione normativa; a tal proposito si osserva che la Suprema Corte a Sezioni Unite110, non mettendo in discussione la tesi generale della reviviscenza della norma abrogata per effetto dell’abrogazione della norma abrogante, se ed in quanto quest’ultima si limita ad abrogare la precedente, ha sostenuto che tale tesi non è applicabile nel caso in cui la norma abrogante modifichi la disciplina della fattispecie; ciò in quanto l’abrogazione non renderebbe esplicita ed inequivocabile la voluntas del legislatore di far rivivere la disciplina originaria essendo nel frattempo intervenuta una disciplina ispirata a diversa ratio. Quanto al riferimento al concetto di piano particolareggiato, questo è inteso, almeno in senso generale, come uno strumento urbanistico attuativo ed esecutivo del piano regolatore generale, sia che l’iniziativa del procedimento amministrativo volto alla sua formazione venga posta in essere dal privato che dall’amministrazione pubblica; rientrano, in tale concetto, pertanto, il piano particolareggiato – in senso stretto – ad iniziativa pubblica, il piano di lottizzazione, il piano per l’edilizia economica e popolare, il piano per gli insediamenti produttivi ed il piano di recupero111. Il piano regolatore generale del comune è stato configurato dal legislatore del 1942 come uno strumento urbanistico che contiene normalmente indicazioni di carattere programmatico, da sviluppare in piani esecutivi, di guisa che l’esistenza di piani particolareggiati, intesi nella loro accezione generale, diventa indispensabile per il rilascio della concessione edilizia112. 108 Per l’approfondimento anche in termini di relazione tra la norma speciale di cui alla Legge n. 168/1982 e la norma generale di cui alla Legge n. 388/2000, si veda lo specifico approfondimento di cui al paragrafo 3.4. 109 Vedasi anche l’ampio esame di cui alla nota 1 del successivo paragrafo 3.4. 110 Sent. n. 25551 del 23 ottobre 2007. 111 Non sono mancate, tuttavia, interpretazioni più restrittive, in particolare con rinvio al solo strumento urbanistico di iniziativa pubblica ex art. 13 e ss. L. 1150/42; vedasi i riferimenti citati alla nota 1 del paragrafo 3.4. 112 Vedasi, analiticamente, il precedente cap. 1. 55 Ciò, tuttavia, come è stato rilevato in dottrina, non esclude che il piano regolatore generale possa contenere nella pratica “anche prescrizioni categoriche immediatamente impegnative ed obbligatorie, come tali costitutive di vincoli indipendentemente dalla formazione di uno strumento particolareggiato”113. L’originario art. 33, comma 3, della Legge n. 388/2000, faceva propendere per la nozione di piano particolareggiato nell’accezione generale, anche se un’interpretazione logico-sistematica, doveva far ritenere escluse dall’ambito di applicazione della norma le aree comprese nei piani di zona (cd. Piani PEEP – piani per l’edilizia economica e popolare) e nei piani per insediamenti produttivi (cd. Piani PIP), in quanto assoggettati ad un regime fiscale più favorevole ex art. 32, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (imposta di registro in misura fissa ed esenzione da imposte ipo-catastali); altrettanto valeva per le aree inserite nei piani di recupero ad iniziativa sia privata che pubblica, di cui agli articoli 27 e ss. della legge 5 agosto 1978, n. 457 (imposte di registro ed ipo-catastali in misura fissa e, per le permute, esenzione da Invim)114. La normativa vigente dal 2008, invece, precisa che il piano particolareggiato deve essere diretto “all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale”, escludendo, pertanto, quelli destinati a realizzare insediamenti produttivi, industriali, commerciali ed artigianali115. Sotto il profilo oggettivo il trasferimento deve aver per oggetto immobili, il cui concetto giuridico si ricava dall’art. 812 del codice civile ed è assolutamente pacifico116; comprende, pertanto, sia le aree nude edificabili, sia gli edifici sui quali venga programmato ed attuato un intervento edificatorio. Con riferimento alla normativa precedente, vale la pena di osservare, che non è più richiesta l’utilizzazione edificatoria dell’area, per cui anche il trasferimento di un fabbricato esistente, ancorché non ultimato, usufruisce del trattamento favorevole, così come l’acquisto di un fabbricato ultimato, ma non residenziale, rispetto al quale un piano particolareggiato preveda una diversa destinazione di zona e ne consenta il trasferimento ai fini della trasformazione in edificio residenziale nel termine di decadenza di cinque anni dall’acquisto. Sotto il profilo soggettivo non è previsto alcun requisito in capo alla parte acquirente, a nulla rilevando, pertanto, la natura giuridica della medesima, né l’attività imprenditoriale 113 BERGONZINI, Piano regolatore particolareggiato, in Digesto discipline pubblicistiche, XI, Torino 1996, p. 232. 114 Vedasi i richiami di cui al successivo paragrafo 3.4. 115 Sul requisito dei “programmi di edilizia residenziale”, vedasi anche i riferimenti di cui alla nota 7 del paragrafo 3.4. 116 Vedasi il precedente paragrafo 2.1. 56 o meno concretamente esercitata. Si osserva, peraltro, che il trattamento tributario previsto è applicabile a prescindere dalla presenza nell’atto di acquisto di richieste o dichiarazioni di voler profittare della medesima da parte del contraente117. Il soggetto acquirente, inoltre, può documentare l’inclusione dell’immobile nel piano particolareggiato con apposita dichiarazione da menzionarsi nell’atto o a mezzo dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Quanto ai riferimenti temporali, il vigente art. 1 della Tariffa, parte I, ultimo periodo, del D.P.R. n. 131/1986, a seguito della modifica operata con la legge Finanziaria per l’anno 2008, prevede una specifica ipotesi di decadenza del trattamento agevolato qualora l’intervento cui è finalizzato il trasferimento non venga completato entro cinque anni dalla stipula dell’atto. La formulazione della norma qualifica in senso soggettivo l’obbligo previsto, facendolo sorgere nei confronti del soggetto che pone in essere l’acquisto, diversamente dalla precedente disciplina che operava in senso sostanzialmente oggettivo; obbligato è, quindi, chi ha goduto del trattamento di favore; ne consegue che il trasferimento dell’immobile prima dell’ultimazione è causa di decadenza del trattamento di favore, non trovando nella fattispecie applicazione gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali espressi durante la precedente normativa, che seppur non univoci, propendevano per un reiterarsi del beneficio in capo agli eventuali diversi acquirenti successivi nel quinquennio118. Con riferimento alle conseguenze del mancato completamento dell’intervento entro il quinquennio dall’acquisto, è interessante riflettere sul fatto che tale fatto negativo debba essere o meno oggetto di denuncia così come previsto dall’art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, secondo cui: “ il verificarsi di eventi che, a norma del presente testo unico, diano 117 Con riferimento alla precedente disciplina, allorché la condizione di decadenza riguardava l’utilizzazione edificatoria dell’area, era opportuno, volendo usufruire dell’agevolazione in sede di applicazione dell’imposta principale, dichiarare tale intenzione nell’atto stesso o con altro documento, non potendo l’ufficio presumere tale intenzione del contribuente. 118 Si segnala, peraltro, il parere difforme dell’Agenzia delle Entrate espresso nella Ris. n. 40/E del 31 marzo 2005. Con tale risoluzione, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la vendita dell’area edificabile acquistata con l’agevolazione, in assenza di utilizzazione edificatoria, comporta la decadenza dai benefici. Il caso riguardava l’acquisto delle aree in regime agevolato da parte di un Consorzio e la successiva cessione dei singoli lotti inedificati alle imprese consorziate, per consentire poi la realizzazione dell’intervento edificatorio. L’Agenzia ha ritenuto che il Consorzio fosse obbligato ad utilizzare direttamente l’area acquistata con il regime agevolativo, a pena di decadenza dai benefici medesimi. La soluzione fornita dall’Agenzia delle Entrate ha sollevato notevoli perplessità in merito alle condizioni da soddisfare al fine di poter usufruire dell’agevolazione fiscale; infatti, la condizione prevista dalla norma risulta quella dell’utilizzazione edificatoria entro cinque anni dall’acquisto agevolato, senza precludere espressamente la possibilità di trasferire l’area totalmente o parzialmente inedificata, fermo restando la necessità che l’utilizzazione avvenga entro cinque anni dal primo acquisto (in tal senso: vedasi Commissione Tributaria Provinciale di Treviso n. 99 del 12 settembre 2007, Commissione Tributaria Regionale Emilia Romagna n. 156 del 25 ottobre 2006 e Studio del Notariato n. 2/2001/T). Le perplessità erano ancora più giustificate in considerazione del testo letterale di cui ad un’agevolazione molto simile, quella prevista all’art. 5 Legge 168 del 1982, che nel suo contesto prevede effettivamente una caratterizzazione soggettiva (a “favore” dei soggetti che attuano il recupero). 57 luogo ad ulteriore liquidazione di imposta devono essere denunciati entro venti giorni, a cura delle parti contraenti o dei loro aventi causa e di coloro nel cui interesse è stata chiesta la registrazione, all’ufficio che ha registrato l’atto al quale si riferiscono”. Verificandosi la decadenza, quindi, l’ufficio deve emettere atto di accertamento e di liquidazione dell’imposta complementare di registro dovuta119, comprensiva degli interessi di mora120 che decorrono dalla data di registrazione dell’atto121. Inoltre, ai sensi dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 131/1986, l’imposta complementare dovuta per un fatto imputabile esclusivamente ad una delle parti contraenti, in deroga al principio di solidarietà passiva, rimane a carico soltanto della parte responsabile. Qualora si sia dato seguito alla denuncia ex art. 19, le sanzioni non saranno applicabili, in virtù del principio di tassatività di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997 (nessuna sanzione può essere comminata in assenza di una precisa norma di legge). Nell’ipotesi di mancata presentazione della denuncia ex art. 19, troverà, invece, applicazione la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta ex art. 69 del D.P.R. n. 131/1986. Infine, il termine entro cui l’ufficio deve provvedere al recupero dell’imposta complementare in presenza della denuncia ex art. 19 è di tre anni decorrenti dalla presentazione della stessa; nel caso in cui la decadenza sia determinata dall’alienazione dell’area in mancanza di completamento dell’intervento, il termine triennale decorrerà dalla data di registrazione dell’atto di trasferimento122. 119 La decadenza di agevolazione determina la liquidazione dell’imposta complementare; vedasi: Cass. 29 settembre 1999, n. 10796; Cass. 21 maggio 1999, n. 4944; Comm. trib. reg. Napoli 18 novembre 1998; Cass. 19 febbraio 1997, n. 26; Cass. 13 novembre 1991, n. 12127; Circ. Dir. Reg. Entrate Lombardia 14 luglio 2000, n. 24/60661; Ris. Min. Fin. 1 giugno 1979, n. 251347; Ris. Min. Fin. 20 dicembre 1990, n. 260211; Ris. Min. Fin. 10 marzo 1989, n. 310650; Ris. Min. Fin. 11 luglio 1986, n. 43/3153. 120 Vedasi per tutte: Circ. Min. Fin. 24 febbraio 1988, n. 19/250617; Ris. Min. Fin. 24 giugno 1988, n. 400533; Comm. Trib. Centr. 3 dicembre 1999, n. 7257. 121 Non sembra dubitabile la circostanza che, rispetto alla previgente disciplina, con riferimento alla quale si poteva discutere a riguardo di decadenza parziale nel caso in cui l’utilizzo edificatorio non fosse totale, la vigente disciplina non prevede una decadenza proporzionata alla percentuale dell’intervento non completata, facendo esclusivo riferimento al completamento dell’intervento nel quinquennio. 122 V. Comm. Trib. Centr. 7 ottobre 1992, n. 5363, in Comm. Trib. Centr., 1992, I, p. 752; Cass. S.U. 21 novembre 2000, n. 1196. 58 3 IMPOSTE INDIRETTE E URBANISTICA: ESAME DI ALCUNE PROBLEMATICHE OPERATIVE ED APPLICATIVE L’esame delle problematiche operative ed applicative nel rapporto tra imposte indirette e strumenti urbanistici ci porta a focalizzare l’attenzione su alcune fattispecie: − la nozione di “area fabbricabile” o “edificabile”, variamente richiamata dalle specifiche discipline dei singoli tributi e altresì oggetto di recenti interventi legislativi; − la nozione di opere di urbanizzazione richiamata dalla disciplina IVA; − l’istituto della ricomposizione fondiaria ed i tributi sui “trasferimenti”; − i trasferimenti di immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati e/o nell’ambito di piani di recupero. 3.1. La nozione di area “fabbricabile” ai fini tributari: evoluzione normativa e problemi irrisolti Il dibattito giurisprudenziale e dottrinale svoltosi negli ultimi anni intorno al variegato concetto di area edificabile ai fini dell’applicazione di vari tributi è stato particolarmente acceso e oggetto delle più disparate determinazioni tendenti a dare di volta in volta rilievo a concetti “fattuali” o “giuridici” e, tra quest’ultimi, al compimento delle diverse fasi dei complessi procedimenti amministrativo-urbanistici123. Sulle innumerevoli difformità di interpretazioni, è intervenuto l’art. 36, comma 2, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223124, secondo cui “ai fini dell’applicazione del decreto del 123 Vedasi l’ampio esame, con relativi riferimenti, condotto da GIOVAGNOLI, RE, REBECCA, Terreni e Fisco, Milano, 2006, pagg. 15 e seguenti; vedasi altresì: PURI, La nuova nozione di terreno edificabile fra interventi giurisprudenziali e legislativi in Rivista di diritto tributario, 2007, II, pag. 80 e seguenti; LUNELLI, La diversa valenza della nuova definizione di aree edificabili, in Il Fisco 2008-1, pag. 6263; GAVELLI, Nozione univoca (ma discutibile) di area edificabile, in Corriere Tributario, 2006, pag. 2584 e seguenti. Per un elenco di pronunce della giurisprudenza sul rapporto tra area edificabile e strumento urbanistico non ancora perfezionati, vedasi CONIGLIARO, Osservazioni sulla giurisprudenza tributaria: aree edificabili e strumenti urbanistici, in Guida ai controlli fiscali, 2009, pagg. 70 e seguenti. 124 Convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248. 59 Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”; la disposizione si caratterizza per il rinvio a nozioni di diritto amministrativo e urbanistico, quali la definizione di “strumento urbanistico generale” e di “strumenti attuativi”125, oltre che per il richiamo ai momenti dell’ “adozione” e dell’ “approvazione” tipici degli istituti di diritto “procedurale”126. Senza voler entrare in questa sede nella complessa e dibattutissima questione sulla natura di norma di interpretazione autentica o meno127 attribuibile al citato art. 36, comma 2, il 125 Si vedano i precedenti paragrafi 1.3, 1.4 e 1.5. 126 Sui concetti di “adozione” e “approvazione”, nonché sulle norme procedimentali in genere in materia urbanistica, vedasi il precedente capitolo 1 ed in particolare il paragrafo 1.6. 127 Questione da cui si fa derivare l’efficacia retroattiva o meno della disposizione stessa; per la natura interpretativa si è fin da subito espressa l’Agenzia delle Entrate con la circolare 28/E del 4 agosto 2006; così pure la Corte di Cassazione, SS.UU., con la sentenza 30 novembre 2006, n. 25506, in materia di Ici (vedasi anche il commento di GLENDI, Sezioni Unite della Cassazione e legislatore pro fisco – a proposito di edificabilità dei suoli ai fini impositivi- in GT Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 2006, pag. 6 e seguenti). La Corte Costituzionale, con le ordinanze nn. 41, 266 e 394 rispettivamente del 27 febbraio 2008, 10 luglio 2008 e 28 novembre 2008, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 36, comma 2, D.L. 223/06, seppur non esprimendosi sulla predetta questione in termini generali, ma rispetto alla specifica previsione ai fini Ici. In dottrina vedasi LUNELLI, La diversa valenza della nuova definizione di aree edificabili, op.cit., pag. 6261 e seguenti, secondo il quale la natura interpretativa non può riguardare il settore delle imposte dirette e dell’Iva, “non solo perché si porrebbe in conflitto con le previsioni dello Statuto dei diritti del contribuente e contrasterebbe con una lettura sistematica della disposizione nell’ambito dello stesso decreto, ma, soprattutto, perché violerebbe la disposizione dell’art. 53 della Costituzione: verrebbe, infatti, introdotto (surrettiziamente) un presupposto impositivo, prima inesistente, attraverso una (pretesa) interpretazione autentica che non è compatibile (e, anzi, è contraria) rispetto alle disposizioni che si vorrebbe farle interpretare e che sono contenute – rispettivamente – nell’art. 67, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 917/1986 e nell’art. 2, comma 3, lettera c), del D.P.R. n. 633/1972 (le cui disposizioni sono rimaste immutate)”; tanto più, che in assenza di un vero e proprio contrasto interpretativo verificatosi nei comparti sopra citati, l’autore rileva che “la stessa Corte Costituzionale ha più volte affermato che il legislatore “non può” valersi dello strumento della “interpretazione autentica” in assenza di un reale contrasto sull’interpretazione e sull’applicazione di specifici provvedimenti normativi, a maggior ragione se tale strumento è utilizzato per mascherare norme effettivamente innovative”. Sull’argomento, vedasi anche GAVELLI, Nessuna plusvalenza tassabile se lo strumento regionale sancisce l’inedificabilità, in Corriere Tributario 2009, pag. 199, nonché ATTARDI, La nozione di area fabbricabile ai fini delle imposte sul reddito, in Il Fisco, 2009 – 1, pag. 1502. Sull’ampio dibattito in materia, vedasi anche GAVELLI, VIANELLI, Area edificabile, i giudici non sciolgono il rebus, in Il Sole 24 Ore del 2 febbraio 2009, a commento del contrasto interpretativo sorto tra due sezioni della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna. L’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria in materia di edificabilità ha portato la Cassazione, con la sentenza n. 25928 del 29 ottobre 2008, a ritenere non dovute le sanzioni in sede di accertamento sul valore ai fini ICI. In generale, sui temi di legittimità costituzionale dell’interpretazione autentica retroattiva, vedasi FALSITTA, Abuso di interpretazione autentica, obiter dictum e rispetto della parità delle parti sancita dai principi del giusto 60 nuovo “aggancio” tra la normativa urbanistica da una parte e quella tributaria dall’altra porta a concludere che la scelta del legislatore fiscale sia stata quella di “anticipare” il riconoscimento della sussistenza dei richiamati connotati tecnici (l’utilizzabilità a scopo edificatorio) alla “prima” fase deliberativa del complesso procedimento, a “formazione progressiva”, che porta alla qualificazione di edificabilità “urbanistica” di un’area128; scelta che si manifesta quindi chiaramente a favore del titolo del presupposto in sé e per sé129, a prescindere dalla liceità e dal perfezionamento dello stesso sotto il profilo amministrativo-urbanistico130. Ciò non toglie, evidentemente, che le norme fiscali non possano non tener conto dello stato di avanzamento del complesso iter amministrativo previsto dalla normativa urbanistica, se non altro laddove le norme stesse fanno riferimento al “valore” delle aree processo, in Rivista Diritto Tributario, 2006, II, pag. 900 e seguenti. 128 Su tali diversi momenti del procedimento amministrativo, si contrapponevano le due diverse tesi a favore rispettivamente del concetto di “edificabilità potenziale” (deducibile dall’aspetto anche solo formale degli strumenti urbanistici generali) e di “edificabilità effettiva” (deducibile dalla possibilità pratico-sostanziale di richiedere ed ottenere il titolo abilitativo alla costruzione). 129 In verità l’evoluzione normativa ha già reso problematico il riferimento voluto dal legislatore al momento di adozione del PRG; nelle Regioni in cui è stato adottato il modello della pianificazione generale su due livelli (piano strutturale e piano operativo), infatti, tale riferimento parrebbe poter essere applicato al piano operativo in quanto il piano strutturale ha caratteri di genericità decisamente marcati (individuazione dei soli perimetri delle aree in cui il secondo piano potrà prevedere l’edificabilità); vedasi a tal riguardo BUSANI, Per l’area edificabile il PRG non basta più, in Il Sole 24 Ore del lunedì, Norme e tributi, 17 novembre 2008, pag. 3 (già citata alla nota 4 del precedente paragrafo 1.6) nonché ATTARDI, La nozione di area fabbricabile ai fini delle imposte sul reddito, op.cit.. La tesi prevalente sembra orientata al concetto di edificabilità legata al piano operativo e non a quello strutturale, in ciò “assistita” sotto il profilo operativo, dalla prassi dei Comuni secondo cui un’area viene certificata (nei certificati di destinazione urbanistica) come edificabile se ricompresa nel piano operativo, così come solo in sede di adozione del piano operativo vengono notificati gli avvisi ai fini ICI. Sull’argomento, in generale, vedasi quanto già riportato al precedente paragrafo 1.6. 130 È interessante richiamare la relazione governativa al D.L. 223/06 nella parte in cui viene precisato che la disposizione di cui agli art. 36, comma 2, “mira a omogeneizzare la nozione di terreno o area edificabile, in relazione all’applicazione dei diversi tributi che a tale categoria di beni riservano trattamenti peculiari (IVA, imposta di registro, imposte sui redditi e ICI)”. La Relazione continua affermando che “in particolare, viene chiarito che l’edificabilità si riconnette all’esistenza del piano regolatore generale che qualifica il terreno come fabbricabile, non essendo quindi necessario che sussista anche il piano di attuazione dello strumento urbanistico generale. La norma chiarisce, altresì, che ai fini della qualificabilità dell’area, come terreno edificabile, è sufficiente che il piano regolatore generale sia stato adottato dal comune competente, anche se l’iter di approvazione del predetto piano non si è ancora concluso con la prescritta approvazione regionale”. La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28 del 4 agosto 2006, emanata a chiarimento delle nuove disposizioni, evidenzia che “in sostanza, la disposizione sopra richiamata estende alle imposte sui redditi, all’IVA e al registro, il concetto di “area fabbricabile” contenuto nell’articolo 11-quaterdecies, comma 16, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, il cui ambito applicativo era riservato alla sola imposta comunale sugli immobili di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504”. Secondo GIOVAGNOLI, RE, REBECCA, in Terreni e Fisco, op. cit., pag. 14, tale affermazione dell’Agenzia, non è condivisibile in quanto, il nuovo D.L. 223/06 collega l’edificabilità al momento dell’adozione del P.R.G. mentre il D.L. 203/05 sanciva che l’edificabilità di un terreno ai fini Ici era indipendente dall’adozione degli interventi attuativi del P.R.G. 61 quale “parametro” dell’imposizione131; la “scala” dei valori, infatti, non può prescindere dalle caratteristiche e dallo stato del procedimento urbanistico, cosicché due terreni identici in termini di destinazione urbanistica e di superficie, entrambi “edificabili” per il legislatore fiscale132, avranno trattamenti diversi (in ragione dell’effettiva e rispettiva diversità dei valori commerciali) se ed in quanto interessati da due diversi “stadi” nell’ambito del relativo procedimento amministrativo133. Un’annotazione sull’argomento in esame riguarda le problematiche insite nella definizione di “edificabilità”, non tanto dal punto di vista procedurale (che, per quanto sopra, il D.L. 223/06, sembra aver risolto, fatti salvi i nuovi problemi recati dal doppio livello della pianificazione generale), quanto “contenutistico”; l’aggettivazione di “utilizzabilità a scopo edificatorio” rinvia letteralmente a connotazioni che ne sottolineano i caratteri di potenzialità “fattuale” in sé e per sé (in senso oggettivo), slegata da ulteriori requisiti di finalità (usi e destinazioni) o tipologici (edifici, opere minime, interventi, ecc.); così, se effettivamente la ratio del legislatore è stata quella di risolvere i tanti problemi legati alla nozione di edificabilità di un terreno, la portata dell’intervento ha una sua effettiva valenza solo in termine di “individuazione temporale” sul ciclo di formazione progressiva del procedimento amministrativo, ma non apporta alcun contributo innovativo in ordine alla qualificazione dei terreni la cui destinazione urbanistica non sia propriamente né fabbricabile né agricola, come tipicamente e diffusamente accade per quelle superfici che le norme urbanistiche usualmente definiscono “zone a verde attrezzato”, “zone agricole”, “zone di rispetto” (stradale, cimiteriale, aeroportuale, ecc..) o “per attrezzature o opere di pubblico interesse”, ma con attribuzione di specifici, condizionati e/o vincolati volumi edificatori, spesso quantificati in modo “fisso” e/o per “indice”134. 131 Ciò vale per tutti i tributi: imposte dirette, Iva, registro e accessorie, ICI; secondo la Cassazione, SS.UU., nella sentenza 25506 del 28 settembre 2006 “non bisogna confondere lo ius edificandi con lo ius valutandi, che poggiano su differenti presupposti. Il primo sul perfezionamento delle relative procedure, il secondo sull’avvio di tali procedure. Non si può costruire se prima non sono definite tutte le norme di riferimento. Invece, si può valutare un suolo considerato “a vocazione edificatoria”, anche prima del completamento delle relative procedure. Anche perché i tempi ancora necessari per il perfezionamento delle procedure, con tutte le incertezze riferite anche a quelli che potranno essere i futuri contenuti prescrittivi, entrano in gioco come elementi di valutazione al ribasso”. 132 In quanto per entrambi è avvenuta l’ “adozione” del P.R.G, nel senso voluto dal legislatore e sopra richiamato. 133 Ad esempio: solo adottato il P.R.G. in un caso; approvato anche lo strumento attuativo (es. lottizzazione) in un altro; vedasi GIOVAGNOLI, RE, REBECCA, Terreni e fisco, op. cit., pag. 11 e seguenti. 134 Secondo il Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 28 giugno 2002, n. 3570, “la destinazione di zona a parco pubblico non è suscettibile di edificazione”; così altresì Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 17 luglio 2002, n. 3999; vedasi anche le sentenze della Cassazione nn. 7258/2001, n. 2272/1999 e 4921/1998. Analoghe problematiche si presentano per le aree classificate come edificabili, ma di fatto prive di capacità volumetrica (es: 62 Sul punto alcune note ministeriali135, anche se datate, espongono l’orientamento di non considerare edificabili tali aree “grigie” a condizione che l’assenza di possibilità edificatoria risulti in modo inequivocabile dalle certificazioni di natura urbanistica. La giurisprudenza stessa ha più volte sottolineato la rilevanza della nozione tecnicogiuridica di “costruzione” per la qualificazione di edificabilità, cosicché un’area diviene tale se il piano regolatore generale ne prevede la destinazione esclusiva e vincolata alla realizzazione di un insediamento non abitativo, né industriale o direzionale, ma di “attrezzature ricreative speciali”136. aree asservite a favore di un lotto adiacente), oppure per le aree a destinazione urbanistica agricola, ma coltivate a cava o miniera. 135 Risoluzione 27 novembre 1989, n. 400756; Risoluzione 10 settembre 1991, n. 430065; Circolare 3 agosto 1979 n. 25/364695; Risoluzione 18 febbraio 1983, n. 354968. 136 Commissione Tributaria Centrale, 7 maggio 1996, n. 1687; Cassazione 25 maggio 2002, n. 7676; Cassazione 27 novembre 2000, n. 15255; Cassazione 29 novembre 2000, n. 15312; Commissione Tributaria Centrale 30 settembre 1983, n. 2632. Secondo la Corte Costituzionale, sentenza n. 179 del 5 ottobre 1999, “sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene”; inoltre secondo la Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 172 del 23 aprile 2001 “la destinazione (di zona) non esclude la vocazione edificatoria. Atteso che l’edificabilità non si identifica né si esaurisce in quella residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo – in via di principio non precluse all’iniziativa privata – che siano riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che siano, come tali, soggette al regime autorizzatorio ex art. 1 legge n. 10/1977”; secondo la Cassazione “ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, un’area è da considerare edificabile per il solo fatto che risulti classificata come tale dallo strumento urbanistico; la vocazione edificatoria non può essere desunta come tale dallo strumento urbanistico”, e quindi la relativa connotazione di edificabilità non può derivare solo da tale parametro, considerato che la destinazione ad infrastrutture o parcheggi, ad esempio, è indice di una capacità edilizia esercitabile anche da privati ed assoggettata alle regole urbanistiche generali. Con la recente sentenza 24 ottobre 2008, n. 25672, la Corte di Cassazione si è espressa per l’inapplicabilità dell’ICI ad un’area destinata a verde pubblico, in quanto tale previsione amministrativa impedisce ai privati “la trasformazione del suolo riconducibile alla nozione tecnica di edificazione”. Diversamente, con la sentenza 12 settembre 2007, n. 19131, la medesima Corte, in materia di ICI su un terreno qualificato da PRG a “standard” (e quindi vincolato a esproprio), aveva rilevato che “deve escludersi che un’area edificabile assoggettata a vincolo urbanistico che la destini all’espropriazione, sia, per ciò stesso, esente dall’imposta”. Infine, con la sentenza 14 giugno 2007, n. 13917, la Cassazione richiamava il principio secondo cui, ove la zona sia stata “concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, ecc..), la classificazione apporta un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione”. La stessa Corte, con sentenza 23 settembre 2004, n. 19161, aveva espresso il principio secondo cui, “la destinazione attribuita all’area dalla classificazione in zona F/1 comporta l’attribuzione alla stessa di una vocazione edificatoria, sia pure specifica, essendo consentito ai privati proprietari di realizzare le opere previste e, quindi, di sfruttare economicamente il loro diritto dominicale”, nonché avvallato l’indirizzo già espresso dalla Corte Costituzionale con la richiamata sentenza n. 179 del 1999 secondo cui “sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto 63 Non si può quindi mancare di sottolineare, al riguardo, l’importanza, ai fini tributari, di una corretta preliminare e preventiva qualificazione urbanistica della destinazione di un’area137, in particolare se ed in quanto l’area stessa costituisca parte di un piano più generale la cui capacità edificatoria sia legata al perimetro del più ampio ambito del piano stesso, secondo criteri redistributivi di volumetria e vincoli di dettaglio all’interno del piano e a prescindere dalle rispettive titolarità soggettive; così un terreno per il quale il PRG preveda la destinazione a verde pubblico, ma all’interno di una zona la cui edificazione è condizionata all’approvazione di idoneo strumento urbanistico attuativo, potrà essere definito di per sé “utilizzabile a scopo edificatorio” se ed in quanto quella specifica destinazione e collocazione costituisca condizione necessaria per l’approvazione dell’intero comparto lottizzatorio e la sua superficie concorra, a mezzo indice, alla determinazione della volumetria spettante all’intero comparto; a diversa conclusione, invece, dovrebbe giungersi nel caso in cui a quel medesimo terreno uno strumento urbanistico strutturato in modo diverso assegni sì la stessa destinazione a verde pubblico, ma la relativa superficie non concorra, a mezzo indice tecnico, alla determinazione della volumetria spettante all’intero comparto138. Analoga e connessa problematica sull’aspetto “contenutistico” del concetto di area edificabile è rappresentata dalla qualificazione delle caratteristiche di pertinenzialità di un terreno rispetto ad un fabbricato; qualificazione in cui si intrecciano valutazioni di ordine civilistico139 ed urbanistico-catastali140; dal punto di vista adottato nell’elaborazione di questo specifico) astrattamente realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene”. 137 L’importanza di tale qualificazione è stata rilevata anche dalla recente Risoluzione n. 6/E del 7 gennaio 2009, laddove l’Agenzia ha definito “agricolo” un terreno, sia pure con sovrastante distributore di carburanti, ma così definito dal PRG; in senso critico vedasi GAVELLI, “Con il distributore il fondo è agricolo”, in Il Sole 24 Ore del 9 febbraio 2009, il quale richiama la pronuncia della Corte di Cassazione n. 9131/2006 secondo cui l’edificabilità va valutata anche al di fuori di una previsione programmatica urbanistica in base ad una serie di “fatti indice” (“edificabilità di fatto”). 138 Secondo PURI, La nuova nozione di terreno edificabile fra interventi giurisprudenziali e legislativi, op. cit., pag. 100, le valutazioni in ordine all’estensibilità della definizione di edificabilità di un terreno anche alle predette zone “possono essere applicate solo ai fini dell’imposta ICI” considerato che “l’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992 ... è preordinato allo specifico scopo di individuare i criteri per la determinazione dell’indennità d’esproprio, mentre, al contrario, le altre disposizioni in materia tributaria si ricollegano esclusivamente alle disposizioni in materia urbanistica, ovvero, ai soli strumenti urbanistici adottati”. Stante il carattere generale della definizione giuridico-urbanistica, si ritiene di non poter condividere tale settoriale impostazione, non fosse altro perchè l’art. 2 citato richiama in ogni caso il concetto di edificabilità in base agli strumenti urbanistici, integrato, nella fattispecie (“ovvero”) dal criterio di edificabilità di fatto (“possibilità effettive di edificazione”). 139 Vedasi le definizioni giuridiche e relative problematiche analizzate al precedente paragrafo 2.2. 140 64 Richiamando espressamente quanto già riportato al precedete paragrafo 2.2, secondo l’Agenzia delle lavoro è evidente come la caratterizzazione e definizione di un’area possa essere determinata e/o resa determinante dalle specifiche previsioni su di essa estese da uno strumento urbanistico attuativo; in tal senso appare rilevante il percorso logico-giuridico condotto dall’Amministrazione Finanziaria in una recente pronuncia141 secondo cui – seppur a fini diversi da quelli dell’imposizione indiretta – si è affermato che in ipotesi di trasferimento di fabbricati ricadenti in un piano di recupero, oggetto della compravendita “non possano essere più considerati i fabbricati, oramai privi di effettivo valore economico, ma, diversamente, l’area su cui gli stessi insistono, riqualificata in relazione alla potenzialità edificatoria in corso di definizione…”. Seppur la pronuncia appaia criticabile sotto il profilo dei fini per i quali la stessa è stata formulata142, è innegabile l’esistenza di un filone di pensiero che – in presenza di determinati e ben definiti strumenti di diritto urbanistico – tende a definire il rapporto tra norme fiscali e norme urbanistiche in senso di dipendenza assoluta delle prime rispetto alle seconde; così, quindi, per ipotesi, se un “giardino”, seppur edificabile da PRG, ma avente tutti i requisiti di pertinenzialità civilistica rispetto ad un’abitazione, può in linea generale essere definito effettiva pertinenza (con tutte le conseguenze in termini fiscali derivanti dal fatto che oggetto della relativa ipotetica cessione è un fabbricato e non un’area), così non si potrebbe concludere se lo stesso “giardino” fosse compreso nell’ambito di uno strumento attuativo che, in forza della relativa progettualità e normativa tecnica, ne qualifichi e valorizzi le specifiche caratteristiche di volumetria, assetto e destinazione urbanistica143. Entrate (vedasi circolare n. 38/E del 12 agosto 2005, in materia di agevolazioni “prima casa”) le aree scoperte pertinenziali, per essere così classificabili ai sensi dell’art. 817 del codice civile, “devono risultare altresì censite al catasto urbano unitamente al bene principale”. In pratica, secondo l’Agenzia delle Entrate, un terreno può definirsi pertinenziale solo se “graffato” all’immobile principale. Così anche nella Risoluzione n. 32/E del 16 febbraio 2006. Secondo la Circolare Ministeriale n. 7/1106 del 10 giugno 1993 – risposta 5.17 – “il terreno che sia effettivamente pertinenza di un edificio costituisce parte integrante dell’edificio stesso e, quindi, le rendite catastali delle singole unità immobiliari formanti l’edificio comprendono anche la quota parte attribuibile al terreno pertinenziale”. 141 Risoluzione n. 395/E del 22 ottobre 2008. 142 Vedasi il commento di BUSANI, Trasformazione fiscale da fabbricato a terreno, in Il Sole 24 ore dell’8 novembre 2008, pag. 31 secondo il quale il presupposto impositivo (cessione di area anziché di fabbricato) “non può che essere la natura del bene venduto, ma non certo l’intenzione dell’acquirente”. 143 Sulla distinzione tra area e fabbricato, con tutte le relative conseguenze fiscali, si veda anche l’interessante caso di cui alla sentenza n. 377/3/08 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano e richiamata da CHIAMETTI, Il piano di recupero sfugge al fisco, in Il Sole 24 Ore del lunedì del 9 marzo 2009; nella fattispecie, il collegio giudicante ha fatto leva sulla finalità del piano urbanistico mirato a “riqualificare il tessuto urbanistico edilizio, ambientale” e quindi inteso a valorizzare i fabbricati già esistenti, per giungere alla conclusione che non si trattava di un’area destinata ad essere edificata ex-novo, ma di un fabbricato il cui possesso ultraquinquennale ha fatto dedurre ulteriormente l’insussistenza del presupposto impositivo della plusvalenza. 65 Altri aspetti di problematicità sull’argomento in oggetto discendono dal carattere di riferimento puntuale (“fotografico”) del concetto di edificabilità fiscale rispetto a quello “procedimentale” del diritto urbanistico; si pensi all’ipotesi in cui l’adozione del piano urbanistico generale non sia seguito, o lo sia solo parzialmente, dalla definitiva approvazione; in tal caso una lettura ragionata e sistematica della norma, unitamente al richiamo del principio tempus regit actum, ci porta a concludere che il presupposto previsto dal legislatore fiscale (l’edificabilità) non sussista in modo temporalmente indefinito, bensì limitatamente al periodo necessario per dare definitività e suggello al procedimento amministrativo avviato con l’adozione144. A conclusioni diverse si deve giungere nell’ipotesi in cui la mancata definizione del procedimento dipenda non tanto da determinazioni “ordinarie” degli organi ed enti di competenza145, quanto da eventi che incidano ex tunc sull’esistenza stessa dell’adozione; tipicamente una sentenza che dichiari la nullità dell’atto iniziale del procedimento urbanistico, 144 Vedasi, incidentalmente, la sentenza Cassazione, SS.UU., 30 novembre 2006, n. 25506, secondo cui, nella specifica materia ICI, “possono verificarsi variazioni al rialzo, che comportano un maggior prelievo nel periodo di imposta, o variazioni al ribasso (ad esempio, a causa della mancata approvazione del piano regolatore generale), che attenuano il prelievo, senza che questo comporti, ex se, il diritto al rimborso per gli anni pregressi [salvo che i comuni non ritengano, sul piano dell’equità, di riconoscere il diritto al rimborso, ex art. 59, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 446/1997], durante i quali, comunque, l’imposta è stata commisurata al valore venale di mercato. E non rileva, ai fini dell’Ici, che l’incremento di valore non sia stato monetizzato, attraverso un atto di trasferimento oneroso, che, eventualmente, ricorrendone i presupposti di legge, avrebbe potuto dar luogo ad una plusvalenza, soggetta ad imposta sul reddito. D’altra parte, anche un piano regolatore generale approvato e vigente è soggetto a modifiche che possono portare a una diversa classificazione dei suoli con conseguenti sensibili oscillazioni di valore. Per ragioni di equità, come già accennato, il legislatore ha previsto espressamente che i comuni possano “prevedere il diritto al rimborso dell’imposta pagata per le aree successivamente divenute inedificabili, stabilendone termini, limiti temporali e condizioni, avuto anche riguardo alle modalità ed alla frequenza delle varianti apportate agli strumenti urbanistici” [art. 59, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 446/199)]”. Vedasi anche PURI, La nuova nozione di terreno edificabile fra interventi giurisprudenziali e legislativi, op. cit., pag. 103, secondo il quale il terreno rimane edificabile “fino a quando il Comune non recepisca le modifiche richieste dalla Regione in un nuovo PRG adottato”. Secondo ATTARDI, “La nozione di area fabbricabile ai fini delle imposte sul reddito”,op. cit., pag. 1505, “occorre, infatti, assegnare un trattamento tributario omogeneo a fattispecie concrete assimilabili, pena la violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza, e capacità contributiva. Se la cessione di un terreno agricolo, ereditato o posseduto da oltre un quinquennio, non genera plusvalenza, non si vede perché debba, invece, essere tassata la plusvalenza generata dalla cessione di un terreno che è definitivamente acclarato dalla Regione come non edificabile (sempre che siano già trascorsi cinque anni dall’acquisto)”. Per una chiara qualificazione di “non edificabilità” ai fini tributari si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 460/E del 2 dicembre 2008 relativamente ad un terreno rispetto al quale la Regione aveva rettificato l’iniziale adozione di PRG da parte del Comune. 145 Ad esempio, la mancata o parziale approvazione da parte degli organi regionali; cfr. CESTOFANTI, Diritto a costruire – pianificazione urbanistica - espropriazione, Milano, 2005, Tomo I, p. 457 e seguenti, dove si legge che “il provvedimento amministrativo di adozione della variante può essere censurato secondo i principi generali laddove si riscontri un vizio di legittimità causato da eccesso di potere sia per carenza di motivazione sia per contraddittorietà con precedenti provvedimenti o motivazioni addotte dall’amministrazione”. 66 ripristinando di fatto la situazione giuridica ante adozione146; la lettera della norma voluta dal legislatore fiscale come “scelta” della rilevanza di un “momento” all’interno di un procedimento che ha un “momento iniziale” ed uno “finale”, ci induce a ritenere che, se e nella misura in cui l’atto iniziale non esiste, la norma stessa, relativamente a quell’atto di adozione, non trova possibilità di applicazione, con le relative conseguenze in termini di diverse tassazioni e possibile “reviviscenza” degli ambiti operativi delle vecchie disposizioni, tuttora a sistema e non abrogate, disciplinanti i vari tributi147; disposizioni, queste, storicamente oggetto di innumerevoli, complesse e diverse interpretazioni148, ma che, letteralmente, non fanno riferimento ai “momenti” valorizzati come tali dal D.L. 223/06. 146 Vedasi quanto espressamente riportato sull’argomento al precedente paragrafo 1.6. 147 Nei casi e per le fattispecie in cui alla nuova norma non possa essere assegnata efficacia retroattiva; vedasi la precedente nota 5. 148 Vedasi la precedente nota 1; tali controverse interpretazioni sono alla base della motivazione addotta dalla Cassazione, nella sentenza n. 25928 del 29 ottobre 2008, secondo cui le incertezze sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria sulle aree edificabili ai fini ICI, consentono di ritenere non dovute le sanzioni in sede di accertamento. 67 3.2.Le opere di urbanizzazione nell’ “urbanistica convenzionata”: definizioni, disciplina e problematiche applicative Come ampiamente richiamato nella prima parte del presente lavoro149, lo sviluppo normativo in materia urbanistica, tendente a distinguere sempre più nettamente i rispettivi livelli di pianificazione generale e specifico-attuativo, fa sì che gli interventi di riconversione, ristrutturazione, ricomposizione o anche più semplicemente di nuovo utilizzo edificatorio, siano sempre più frequentemente interessati da operazioni che si possono genericamente definire di “urbanistica convenzionata”; con tali operazioni, il soggetto attuatore dell’intervento urbanistico/edilizio assume obbligazioni aventi ad oggetto la realizzazione e/o la cessione gratuita all’ente concedente e/o ad altri enti di aree ed opere di pubblico interesse150. Su questo terreno è intervenuto in modo “deciso” il legislatore fiscale con l’art. 51 della L. 21 novembre 2000, n. 342151, il cui scopo è stato quello di superare le incertezze interpretative sorte per i contrastanti orientamenti manifestatisi fino ad allora nella prassi ministeriale ed in giurisprudenza circa il trattamento fiscale, agli effetti dell’IVA, applicabile alle predette operazioni152. Prima del richiamato intervento, infatti, prassi e giurisprudenza, oltre che dottrina, discutevano sulla assoggettabilità o meno ai fini IVA di tali cessioni, di volta in volta adducendo l’applicabilità di norme speciali agevolative o di norme generali IVA, fino ad arrivare ai principi generalissimi sulla natura impositiva o meno degli atti urbanistici di riferimento153. La nuova norma ha utilizzato non tanto il meccanismo di “esenzione”, quanto quello 149 In particolare, vedasi il paragrafo 1.4. 150 Vedasi la parte del precedente paragrafo 2.4 dedicato alla “Legge Bucalossi”. 151 Secondo il quale “Non è da intendere rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, neppure agli effetti delle limitazioni del diritto alla detrazione, la cessione nei confronti dei comuni di aree o di opere di urbanizzazione, a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione”. 152 2.4. In tal senso si è espressa la circolare del 16 novembre 2000, n. 207/E, par. 2.1.11; vedasi il paragrafo 153 Relativamente alle cessioni gratuite delle aree a favore del Comune, ad esempio, non si riteneva applicabile la norma sull’esenzione prevista al n. 12 dell’art. 10 D.P.R. 633/72 in quanto il Comune non veniva fatto rientrare tra i soggetti ivi previsti (“enti con esclusiva finalità di assistenza, beneficenza, educazione, ecc.”). Le opere di urbanizzazione realizzate “a scomputo” di contributi, venivano qualificate come prestazioni di servizi imponibili ai fini Iva, con corrispettivo pari agli importi scomputati. La giurisprudenza, invece, era prevalentemente a favore dell’esclusione, valorizzando l’assenza di corrispettivo. Sull’evoluzione della problematica e le varie soluzioni adottate, si veda l’ampia casistica citata da DEL FEDERICO, Rilevanza ai fini Iva della cessione di immobili a scomputo di oneri di urbanizzazione, in Il Fisco 2003-1 p. 1436 e seguenti, nonché Trattamento fiscale delle aree cedute gratuitamente ai comuni, in Il Fisco, 1998, pag. 10368. 68 più radicale dell’ “esclusione” dall’ambito di applicazione del tributo, disponendo altresì, molto opportunamente da un punto di vista tecnico-operativo, che l’esclusione stessa non rileva ai fini dei complessi meccanismi regolanti il diritto alla detrazione dell’imposta154. L’utilizzo dello schema dell’ “esclusione” porta a qualificare l’intervento del legislatore come finalizzato ad una definizione della natura “non sinallagmatica” delle operazioni in oggetto; in sostanza, le obbligazioni che il soggetto operatore assume non hanno il carattere di corrispettività insito nelle nozioni di “cessione di beni” o “prestazioni di servizi” così come definite all’art. 1 del D.P.R. 633/72. Tale natura è indotta e definita in modo palesemente causale e coordinata rispetto alla normativa urbanistica di livello esecutivo che, come già esaminato nel precedente capitolo 1, attribuisce ai vari “strumenti attuativi” la funzione di dare concreta attuazione alla scelta pianificata di assetto del territorio; nell’ambito quindi di tali strumenti attuativi, la previsione delle opere, la cui esecuzione viene posta a carico del soggetto attuatore, assume una rilevanza fondamentale quale espressione esecutiva del potere assegnato dalla norma urbanistica all’ente competente in materia di assetto del territorio e di edilizia in particolare. Tali considerazioni portano a concludere per la natura impositiva e non negoziale della “convenzione urbanistica”155, la cui essenza giuridica, al di là della sua definizione formale che richiama caratteri contrattuali, è assimilabile a quella di un “onere” quale prestazione avente le caratteristiche di obbligatorietà tipiche della nozione costituzionale di “prestazione patrimoniale imposta”156. Tutto ciò premesso, la prassi applicativa della disposizione ha in realtà presentato diverse problematiche, concentratesi particolarmente sulle interpretazioni strettamente letterali fornite in più occasioni dall’Amministrazione Finanziaria relativamente al concetto di “opere di urbanizzazione primaria e secondaria”; secondo l’Agenzia delle Entrate, infatti, il regime di esclusione dell’art. 51 L. 342/2000157 deve intendersi operante solamente ed 154 Prevenendo ulteriori e legittimi dubbi e derogando all’art. 19 del D.P.R. 633/1972, l’art. 51 della citata legge aggiunge che le predette cessioni non rilevano neppure agli effetti delle limitazioni del diritto alla detrazione, per cui le imprese che le pongono in essere hanno titolo a recuperare l’imposta a “monte”, ancorché afferente operazioni “a valle” non soggette al tributo. 155 Sulla predetta natura, vedasi le argomentazioni svolte al precedente paragrafo 1.6, nonché la sentenza della Commissione Tributaria di I° grado di Alessandria, 26 giugno 1986 n. 380, in Bollettino Tributario n. 3/1987 pag. 253, e la sentenza della Commissione Tributaria di II° grado di Alessandria, 27 ottobre 1998, n. 505. 156 Sulla definizione di tale nozione, vedasi il precedente paragrafo 1.6. 157 Risoluzione n. 6/E del 14 gennaio 2003; nel caso specifico l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 51 L. 342/2000 unicamente alla cessione al Comune di un’area con annessa scuola materna, mentre è stata esclusa per l’area con sovrastante fabbricato ad uso circolo ricreativo, in quanto non costituente opera di urbanizzazione. Analoga determinazione forma oggetto della Risoluzione n. 37/E del 21 69 esclusivamente per quelle opere che possano qualificarsi come tali in quanto comprese negli elenchi tassativi di cui alle leggi n. 847/1964 e 865/1971158 e successive modifiche ed integrazioni, ora ripresi all’art. 16, comma 7, 7-bis e 8, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”). Tali specifiche indicazioni di problematicità meritano diversi ordini di riflessioni. febbraio 2003, in forza della quale non è stato qualificato opera di urbanizzazione un immobile destinato a “centro civico”. Sempre in materia di definizione di opere di urbanizzazione, sia pure ai fini dell’applicazione dell’aliquota Iva 10%, anziché della norma in questione, si veda anche la risoluzione n. 394/E del 28 dicembre 2007; con la predetta nota l’Agenzia, “attesa la tassabilità dell’elenco di cui al citato art. 4 della Legge n. 847 del 1964 ”, ha demandato l’applicabilità dell’aliquota agevolata alla qualificazione dell’immobile oggetto del quesito (sede del Corpo di Polizia Municipale) come “delegazione comunale” nel senso di sede decentrata di uffici al servizio diretto della collettività. Sullo stesso tema vedasi anche la Risoluzione n. 291/E del 12 ottobre 2007, laddove il problema di qualificazione riguardava la costruzione di quattro edifici a struttura prefabbricata destinata ad accogliere laboratori, studi di ricerca, attività didattica e formativa del CNR. 158 Vedasi i precedenti paragrafi 2.4 e 1.3. Secondo l’art. 4 della Legge 29 settembre 1964, n. 847, integrato dall’art. 44 della Legge 22 ottobre 1971, n. 865, sono “opere di urbanizzazione primaria”: a) strade residenziali; b) spazi di sosta o di parcheggio; c) fognature; d) rete idrica; e) rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas; f) pubblica illuminazione; g) spazi di verde attrezzato. (Ai sensi dell’art. 26-bis decreto-legge n. 415 del 1989 convertito dalla legge n. 38 del 1990 gli impianti cimiteriali sono stati equiparati alle opere di urbanizzazione primaria). (Il Ministero dei lavori pubblici, con circolare 31 marzo 1972, n. 2015, ha ritenuto che anche le reti telefoniche rientrino tra le opere di urbanizzazione primaria). (Tra le opere di urbanizzazione primaria sono incluse le infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici e le opere relative, in forza dell’articolo 86, comma 3, del decreto legislativo n. 259 del 2003; ai sensi dell’art. 40, comma 8, della Legge 166/2002, tra gli interventi di urbanizzazione primaria rientrano anche i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni). Sono invece “opere di urbanizzazione secondaria”: a) asili nido e scuole materne; b) scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo; c) mercati di quartiere; d) delegazioni comunali; e) chiese ed altri edifici religiosi; f) impianti sportivi di quartiere; g) centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie; nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate; (nelle attrezzature sanitarie sono comprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate, ai sensi dell’articolo 266, comma 1, decreto legislativo n. 152 del 2006) h) aree verdi di quartiere”. Lo stesso elenco viene espressamente richiamato dal n. 127 quinquies della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. 633/72 ai fini dell’individuazione dei beni e servizi assoggettati all’Iva 10%. 70 Sotto il profilo tecnico-operativo, emerge ancora una volta l’opportunità, se non la necessità, che il contenuto tecnico-progettuale e giuridico degli strumenti urbanistici attuativi (e quindi l’operato “tecnico” e “legale”) venga qualificato e coordinato anche da un punto di vista meramente tributario al fine di un suo corretto inquadramento e valutazioni di tipo giuridico-economico159. Sotto un secondo profilo, devesi sottolineare come, al di là delle specifiche osservazioni e misure concretamente applicabili di volta in volta per le singole fattispecie, la qualificazione e la definizione sopra riportata della effettiva natura giuridica delle convenzioni urbanistiche, consente di dare una portata alla norma fiscale (che prevede l’esclusione IVA) diversa da quella propriamente letterale prospettata dall’Amministrazione Finanziaria, nel senso che laddove il legislatore, con il citato art. 51 L. 342/2000, ha richiamato “le aree o le opere di urbanizzazione da cedere al Comune a scomputo …. o in esecuzione ….” abbia inteso riferirsi genericamente alle “prestazioni patrimoniali imposte” al soggetto attuatore e non tanto ad un rigido e per di più alquanto datato elenco di opere che l’evoluzione temporale dell’urbanistica convenzionata ha inevitabilmente reso di fatto inadeguate a rappresentare l’effettiva e complessa realtà su cui opera il livello attuativo delle scelte di pianificazione territoriale. Sempre a tale riguardo merita altresì rilevare come il meccanismo di “esclusione” voluto dal legislatore, in quanto fattispecie a configurazione altamente specialistica, riguardi le cessioni: − nei confronti dei soli Comuni e non anche di altri enti pubblici territoriali e non160; − di “aree” o “di opere di urbanizzazione”, con le riflessioni sopra formulate in ordine alla “opinabile” letterale interpretazione datane dall’Amministrazione finanziaria; − a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione; la congiunzione “o” è in linea con i principi dell’urbanistica convenzionata che può prescindere dal tecnicismo dello scomputo puro e semplice161; in più, il 159 Si pensi all’incidenza dell’Iva (“comunemente” a carico del soggetto attuatore) nel quadro economico complessivo dell’intervento laddove l’ “esclusione” o meno dipende (o possa essere fatta dipendere) da una corretta qualificazione e denominazione nel progetto e/o in convenzione. 160 La prassi operativa presenta molto spesso dei casi in cui determinate opere vengono cedute ad enti diversi dal Comune, quali l’Enel, i Consorzi di Bonifica, società di capitali affidatarie di pubblici servizi, la Provincia, la Regione, ecc..; è da ritenere che in tali casi l’art. 51 non si applichi e quindi la relativa cessione debba seguire le regole ordinarie quali l’ “esclusione” Iva se relative a terreni non edificabili o l’ “imponibilità” Iva dei fabbricati o dei terreni edificabili. La risoluzione dell’Agenzia n. 50/E del 22 aprile 2005 ha evidenziato la non applicabilità dell’art. 51, L. 342/2000, all’ipotesi “rovesciata” della cessione di un’area da parte di un Comune a favore del soggetto attuatore degli interventi previsti dalla convenzione urbanistica. 161 Si pensi ai principi del “beneficio pubblico” nelle più recenti norme relative alla pianificazione urbanistica 71 riferimento letterale alla “lottizzazione”, nel contesto e nella ratio della normativa, non pare possa in alcun modo escludere l’atto esecutivo di strumenti urbanistici non propriamente di lottizzazione, quali, ad esempio, i piani di recupero162. Altra e diversa valutazione, assai rilevante sotto l’aspetto pratico-operativo, va fatta in merito al meccanismo della rivalsa Iva nell’ipotesi in cui alla “cessione gratuita” non si possa applicare il regime di esclusione di cui art. 51, L. 342/2000163; l’art. 18 del D.P.R. 633/72 dispone in linea generale l’obbligatorietà della rivalsa, salvo escluderla e prevederne la facoltà in talune specifiche ipotesi, fra le quali “la cessione gratuita di beni”164; in tali casi, quindi, il legislatore fiscale, fermo il debito per l’Iva dovuta, lascia al cedente la scelta se addebitare o meno l’Iva al cessionario. Nella fattispecie delle convenzioni urbanistiche, tale facoltà può ben essere regolamentata nel relativo contesto negoziale, ritenendo peraltro che, in assenza di specifici riferimenti, l’esercizio o meno dalla facoltà non possa che essere lasciato alla discrezionalità del cedente al momento di effettuazione dell’operazione, con le relative conseguenze in termini di incidenza economica e/o finanziaria per i soggetti interessati (ad esempio il Comune). Un’ulteriore problematica simmetrica, o comunque connessa alla fattispecie in oggetto, riguarda l’applicabilità o meno dell’esenzione Iva per le cessioni gratuite – che non rientrino nell’ambito dell’art. 51 L. 342/2000 – eseguite a favore dei Comuni e/o altri enti pubblici. L’art. 10, n. 12, del D.P.R. 633/72165 prevede infatti il regime di esenzione per le “cessioni di cui al n. 4) dell’art. 2 fatte ad enti pubblici, associazioni riconosciute o generale, così come richiamato al precedente paragrafo 1.6. 162 In tal senso vedasi anche la citata Risoluzione n. 6/E del 14 gennaio 2003 che si riferisce ad un’ipotesi di convenzione esecutiva di un “piano di recupero”. 163 Per carenze soggettive e/o oggettive, si pensi proprio al caso della cessione gratuita del circolo ricreativo per il quale la Risoluzione n. 6/E del 14 gennaio 2003 ha ritenuto non sussistenti i requisiti oggettivi. 164 L’art. 18 D.P.R. 633/72 così dispone: al primo comma “Il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente”; al terzo comma “la rivalsa non è obbligatoria per le cessioni di cui ai numeri 4) e 5) del secondo comma dell’articolo 2 e per le prestazioni di servizi di cui al terzo comma, primo periodo, dell’articolo 3”. Secondo l’art. 2, comma 2, n. 4, costituiscono cessioni di beni “le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa se di costo unitario non superiore a lire cinquantamila (€ 25,82) e di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’articolo 19, anche se per effetto dell’opzione di cui all’articolo 36-bis”. 165 72 Sulle problematiche di tale specifica fattispecie normativa, vedasi anche il precedente paragrafo 2.4. fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica e alle ONLUS”. Nel vasto panorama delle cessioni gratuite da convenzioni urbanistiche, l’Agenzia delle Entrate, con due recenti interventi166, è giunta alla conclusione di escludere l’applicazione della norma citata laddove le cessioni stesse, risultando solo apparentemente prive di corrispettivo, si inseriscano in un rapporto giuridico complesso a natura sinallagmatica, che impone adempimenti e oneri per ciascuna delle parti interessate. L’Agenzia si è soffermata, in particolare, proprio sull’aspetto della gratuità rilevando che le cessioni in esame non rispondevano ad un mero intento di liberalità, ma rappresentavano piuttosto una modalità di estinzione di una obbligazione assunta nell’ambito del complesso procedimento amministrativo. Tale interpretazione dell’Agenzia delle Entrate appare il corollario di una qualificazione della convenzione urbanistica come “istituto contrattuale”; laddove, invece, come in precedenza esaminato, si addivenga – molto più realisticamente secondo un approccio di valutazione disciplinare complessiva – ad una collocazione della stessa in un ambito pubblicistico anziché in quello privatistico-contrattuale, la conclusione avrebbe potuto e dovuto essere alquanto diversa, giacché se è vero che l’esenzione spetta per le “cessioni gratuite” solo in quanto non sinallagmatiche167 allora le operazioni in oggetto vi rientrano in quanto prestazioni patrimoniali aventi titolo in un atto autoritativo e non già negoziale168. Analoga valutazione avrebbe potuto essere formulata in un altro caso in cui l’Agenzia 166 Risoluzioni n. 349/E e n. 350/E, entrambe del 7 agosto 2008; nella prima risoluzione, la cessione gratuita di una unità immobiliare operata da una società cooperativa a vantaggio di un Comune è stata considerata “non esente” in quanto motivata non da mero spirito di liberalità, ma per estinguere una precedente obbligazione assunta nei confronti dell’ente locale, inserendosi, in un rapporto di natura sinallagmatica. Nella seconda risoluzione, la cessione di immobili fatta da una società nei confronti di un ente pubblico non é stata configurata quale cessione gratuita agli effetti dell’Iva, con conseguente inapplicabilità del regime di esenzione di cui al n. 12 dell’articolo 10, D.P.R. 633/72, in quanto la stessa, pur apparendo carente di una immediata e specifica controprestazione, trovava giustificazione e assumeva carattere oneroso nell’ambito di un’operazione complessa rilevante economicamente, inserita in un rapporto giuridico che prevedeva adempimenti e oneri per ciascuna delle parti interessate. 167 A tal proposito vedasi la medesima definizione adottata a supporto delle conclusioni assunte al successivo capitolo 3.3. 168 Una particolare problematica operativa è rappresentata anche dall’inquadramento del rapporto tra Comune e soggetto attuatore relativamente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione; se a tale rapporto vengono assegnate le caratteristiche di appalto, da ciò discendono ovviamente determinate conseguenze, fra le quali anche l’applicazione del meccanismo del reverse-charge; sull’argomento vedasi DEL FEDERICO, Scomputo degli oneri di costruzione mediante cessione delle opere di urbanizzazione ed applicazione del sistema del reversecharge, in Il Fisco, 2007-1, pag. 5154. 73 delle Entrate169 ha negato l’applicabilità della norma di esenzione sopra richiamata in sede di permuta immobiliare tra due S.p.A., con trasferimento gratuito a favore di un Comune, terzo beneficiario, di un’area oggetto di uno dei due trasferimenti. In tal caso secondo l’Agenzia delle Entrate, ciò che “rileva è il rapporto sinallagmatico esistente tra il promittente e lo stipulante, vale a dire la sussistenza di un nesso di interdipendenza tra le obbligazioni assunte dalle parti contraenti, a prescindere dalla circostanza che dalla predetta cessione nessun arricchimento patrimoniale è espressamente ravvisabile in capo allo stipulante medesimo. Tale nesso di interdipendenza non viene infranto dalla deviazione degli effetti a favore del terzo”; la presa di posizione appare caratterizzata da eccesso di formalismo, in quanto se è vero che il trasferimento avviene in una logica economica di competitività tra le due S.p.A., è altrettanto vero che la causa giuridica e l’elemento teleologico fondamentale, ai fini giuridici, del trasferimento stesso è costituito dalla cessione a favore del Comune, rispetto al quale, al contrario e proprio in applicazione dei principi in altri casi richiamati dalla stessa Agenzia, manca decisamente il carattere di sinallagmaticità. 169 74 Risoluzione n. 373/E del 14 dicembre 2007. 3.3.La ricomposizione urbanistica per il riequilibrio della capacità edificatoria nei comparti o ambiti di intervento con più proprietari: il complesso rapporto tra norme in materia civilistica, urbanistica e fiscale Un interessantissimo caso di applicazione di principi generali in materia di imposizione sui trasferimenti e della necessità di coordinamento tra normativa urbanistica e fiscale, è rappresentato dalle operazioni con cui più soggetti definiscono ed attuano la redistribuzione della capacità edificatoria all’interno di un ambito territoriale oggetto delle previsioni progettuali ed esecutive di uno strumento urbanistico. Le finalità proprie di quest’ultimo, infatti, riguardano l’assetto del territorio in un’ottica meramente ed esclusivamente urbanistica, cosicché le rispettive previsioni in termini di individuazione qualitativa e di collocazione, sia degli standard urbanistici che dello sviluppo dello jus aedificandi, non possono che prescindere dall’assetto soggettivo delle rispettive proprietà originarie comprese nell’ambito del piano stesso170. Tale rilevanza meramente urbanistica del comparto, fa sì che i soggetti interessati possano e debbano intervenire nell’iniziativa in senso e modalità di “apporto” delle rispettive proprietà originarie, subordinatamente e con scopo di attuazione del disegno generale di interesse urbanistico. Ciò comporta che l’effettiva realizzazione delle opere di urbanizzazione, normalmente e comunque “per definizione”, prescinde dalla collocazione “fisica” e di sedime delle proprietà originarie dei soggetti interessati, sollevando la necessità “pratica”, prima ancora che giuridica, di riequilibrare, mediante idonea assegnazione redistributiva, le unità tra i vari operatori variamente e casualmente incisi dalle previsioni dello strumento urbanistico171. La logica sottostante tale redistribuzione non è quindi realizzativa, ma meramente ed esclusivamente risarcitoria o meglio ancora “di ripristino” o di ricollocamento equitativo tra soggetti e rispettivi patrimoni originari172. 170 “In conclusione la ricomposizione fondiaria delle aree del comparto tra i co-lottizzanti ha come uniche finalità la eliminazione degli effetti distorsivi della convenzione di attuazione del piano particolareggiato e la possibilità di attuazione del piano stesso ed i relativi trasferimenti all’uopo necessari sono effettuati senza intenti speculativi e sono inscindibilmente connessi con la convenzione di piano particolareggiato, per consentire la trasformazione urbanistica dei beni”: Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato, Sul trattamento tributario delle convenzioni di redistribuzione fondiaria delle aree tra co-lottizzanti, Studio n. 60/2003/T del 21 novembre 2003. 171 Vedasi il precedente paragrafo 2.4. 172 “Può anche avvenire che la capacità edificatoria di ciascuno dei lotti del piano di lottizzazione, che vengono ridistribuiti tra i co-lottizzanti, non corrisponda esattamente, per ciascun assegnatario, alla “quota di diritto” che allo stesso competerebbe in base al rapporto tra la superficie della sua proprietà originaria e la superficie territoriale complessiva del comparto e che, pertanto, si debba far luogo a “conguagli” in denaro, 75 Come evidenziato in precisi e circostanziati contributi in materia173, l’esperienza pratico-professionale ha tradotto tali determinazioni mediante una pluralità di soluzioni tecniche174: dal conferimento proindiviso in un consorzio di urbanizzazione175, alla costituzione di comunioni, alle permute plurime, alle cessioni senza corrispettivo, fino alla forma, senza dubbio più consona ed articolata, degli atti complessi di redistribuzione per ricomposizione fondiaria. Quest’ultima soluzione si basa sull’applicazione della nozione civilistica di “negozio complesso”176, laddove, come noto, le disposizioni convenzionali si legano e si giustificano inscindibilmente le une con le altre, sotto il profilo causale e teleologico; nella fattispecie, l’effetto finale dell’atto (l’assegnazione delle diverse aree ai diversi soggetti proprietari) trova per compensare tali squilibri patrimoniali”. Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato, Sul trattamento tributario delle convenzioni di redistribuzione fondiaria delle aree tra co-lottizzanti, Studio n. 60/2003/T, op. cit. 173 Vedasi PISCHETOLA, Atto di redistribuzione di aree tra co-lottizzanti non consorziati e relativo trattamento fiscale, Studio n. 28-2006-T della Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato. 174 Tali soluzioni hanno formato oggetto di specifiche analisi da parte dello Studio n. 590 della Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato, approvato il 19 ottobre 1993. 175 Su tali consorzi, vedasi: GALGANO, Autodisciplina urbanistica, in Contratto e Impresa, Padova 1985, 2, pagg. 573 e seguenti; CASTELLANO, Sulla natura giuridica dei consorzi di urbanizzazione, in Corriere giuridico, 1997, p. 844; vedasi Cass. Civ., Sezione I, n. 2877, del 9 febbraio 2007, secondo cui la Corte stessa ha da ultimo più volte ribadito che “i consorzi di urbanizzazione (enti di diritto privato, costituiti da una pluralità di persone che, avendo in comune determinati bisogni o interessi, si aggregano fra loro allo scopo di soddisfarli mediante un’organizzazione sovraordinata), finalizzati alla sistemazione ed al miglior godimento di uno specifico comprensorio attraverso la realizzazione e la fornitura di opere o servizi, costituiscono figure atipiche, le quali, essendo caratterizzate dall’esistenza di una stabile organizzazione di soggetti, funzionale al raggiungimento di uno scopo non lucrativo, presentano i caratteri delle associazioni non riconosciute”. “Il problema della normativa ad essi applicabile va, peraltro, risolto alla luce della considerazione che, accanto all’innegabile connotato associativo, essi si caratterizzano anche per un forte profilo di realità - in quanto il singolo associato, inserendosi, al momento dell’acquisto dell’immobile, nel sodalizio, onde beneficiare dei vantaggi offertigli, assume una serie di obblighi ricollegati in via immediata e diretta alla proprietà dei singoli cespiti e di quelli eventualmente comuni, legittimamente qualificabili in termini di obligationes propter rem con riferimento non solo alla gestione delle cose e dei servizi consortili, ma anche alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria”. Ne consegue che appaiono insoddisfacenti “tanto le teorie che propugnano l’applicazione generalizzata delle norme sulle associazioni, quanto quelle che propendono per il ricorso alle sole disposizioni in tema di comunione e condominio, occorrendo invece rivolgere l’attenzione, in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, soltanto ove questo nulla disponga al riguardo, passare all’individuazione della normativa più confacente alla regolamentazione degli interessi implicati dalla controversia” (così Cass., n. 4125 del 21 marzo 2003; Cass. n. 28492 del 22 dicembre 2005). Fonte primaria di disciplina di siffatti consorzi, specie per quel che riguarda l’ordinamento interno e l’amministrazione, è dunque l’accordo delle parti sancito nell’atto costitutivo (Cass., n. 3341 del 6 marzo 2003). 176 Così richiamato da PISCHETOLA, Studio CNN n. 28-2006/T, op. cit.; vedasi anche CASCIO-ARGIROFFI, Contratti misti e contratti collegati, in Enciclopedia Giuridica Treccani, IX; SCOGNAMIGLIO, Collegamento negoziale, in Enciclopedia del diritto, VII, p. 375. 76 ragione e causa unicamente ed esclusivamente quale momento esecutivo ed attuativo delle previsioni dello strumento urbanistico di riferimento177. Su tali “speciali caratteristiche” giuridico-urbanistiche, si innesta lo specifico trattamento tributario agevolato previsto dall’art. 20, comma 1, della Legge 28 gennaio 1977, n. 10, in materia di imposte di registro ed ipocatastali178. La formula usata dal legislatore (“ai provvedimenti, alle convenzioni e agli atti d’obbligo previsti dalla presente legge si applica il trattamento tributario di cui all’art. 32, secondo comma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601”)179 sottolinea il profilo di scopo e quindi teleologico della fattispecie considerata meritevole dell’agevolazione; in sostanza, lo speciale trattamento tributario viene fatto dipendere dal determinante collegamento “a sistema” tra tutte le disposizioni contenute nella concreta fattispecie negoziale (l’atto) e la relativa finalità causale di redistribuzione per attuazione delle previsioni dello strumento urbanistico180. 177 La figura del negozio complesso è contrassegnata dall’esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con una intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata a una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico. Le parti nell’esplicazione della loro autonomia negoziale, infatti, possono – con manifestazioni di volontà espresse in uno stesso contesto – dare vita a più negozi distinti e indipendenti, ovvero a più negozi tra loro collegati. Le varie fattispecie in cui può configurarsi un negozio giuridico composto possono così distinguersi in contratti misti, quando la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente, contratti complessi e contratti collegati: vedasi Cass. civ. Sez. II, 7 luglio 2004, n. 12454. 178 Il predetto articolo ha formato oggetto di altri approfondimenti da parte della Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato; si veda lo Studio n. 114/2005/T nel quale alla disposizione citata viene assegnata “valenza di normativa di cornice rispetto ad altre normative portate dalla legislazione nazionale e/o regionale e dalla particolare funzione di disciplina generale delle procedure legali finalizzate alla utilizzazione edificatoria dei suoli, e ciò sia pure ad onta della formulazione meramente letterale del citato art. 20”. 179 L’art. 32, comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, così recita “Gli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al Titolo III della legge indicata nel comma precedente [L. 22 ottobre 1971, n. 865] e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa e sono esenti dalle imposte ipotecarie e catastali . Le stesse agevolazioni si applicano agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al Titolo IV della legge indicata nel primo comma”. Vedasi quanto analiticamente riportato anche al precedente paragrafo 2.4. 180 Così il citato Studio CNN n. 28-2006/T conclude a favore dell’applicabilità del trattamento fiscale ex art. 32 D.P.R. 601/73, anche in assenza della preventiva costituzione di un ente consortile tra lottizzanti (vedasi infra); vedasi, altresì, PISCHETOLA, Il trattamento fiscale delle convenzioni di redistribuzione di aree tra colottizzanti, in Immobili e Proprietà, 2005, pag. 204 e seguenti. Nella Risoluzione n. 156/E del 17 dicembre 2004, invece, l’Agenzia delle Entrate ritiene che l’agevolazione di cui all’articolo 20, L. 10/77, “trovi applicazione nel caso di atti di redistribuzione immobiliare tra i proprietari di aree che si siano riuniti in consorzio, così come previsto dall’art. 13 della legge, come lottizzazione obbligatoria per evitare l’espropriazione per pubblica utilità ”. 77 Così diviene corretto e logicamente coerente dedurre che il predetto trattamento non trova applicazione laddove la concreta attuazione della redistribuzione preveda assegnazioni dal carattere non propriamente o coerentemente “di ripristino”181 o si estenda ad immobili non compresi nell’ambito dello strumento urbanistico182 o non comprenda tutte le proprietà inserite nello strumento stesso183. Con alcune pronunce ormai datate184, l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto l’applicabilità del richiamato trattamento tributario ex art. 32, D.P.R. 601/73, non tanto sulla base delle argomentazioni appena svolte, quanto in forza della valorizzazione dell’istituto del consorzio di urbanizzazione185 quale alternativa alla espropriazione coattiva da parte della pubblica autorità; secondo tale impostazione, quindi, con la presenza dell’ente consortile si può prescindere dalla natura dell’atto di redistribuzione in sé e per sé per sottolinearne unicamente il carattere di atto dovuto e “strumento” attuativo della convenzione di lottizzazione tra lottizzanti e Comune. Sotto un profilo generale, è evidente che l’ “aggancio” a norme specifiche dei vari tributi è condizione essenziale per l’applicazione di un certo trattamento fiscale; e così se il già citato riferimento all’art. 20, L. 10/77, ha consentito di rendere applicabile l’art. 32, D.P.R. 601/73, sia argomentando sulla base della presenza dello strumento del “consorzio urbanistico” sia richiamando a motivazione il concetto di “negozio complesso”186, in materia di IVA il collegamento con le specifiche disposizioni normative appare molto più “complicato”. Premesso l’ovvio requisito soggettivo per la relativa applicazione ai fini dell’assoggettamento o meno al tributo IVA, appare decisivo considerare se l’atto di redistribuzione costituisca o meno “operazione imponibile” ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 633/72. L’ambito IVA comprende le cessioni di beni e definisce come tali “gli atti a titolo 181 Tipicamente quando le assegnazioni non avvengono in modo rigorosamente proporzionale rispetto alle proprietà originarie dei singoli lottizzanti. 182 Ad esempio, laddove la redistribuzione coinvolga terreni o fabbricati la cui superficie o volumetria non abbia concorso alla formazione dei dati territoriali dello strumento attuativo. 183 Condizione, quest’ultima, evidentemente necessaria per dare completa attuazione al piano e comunque per evitare l’intervento espropriativo della pubblica autorità. 184 Risoluzioni n. 250666 del 3 gennaio 1983 e n. 220210 del 16 dicembre 1986. 185 Previsto dall’art. 13 della L. 10/77; vedasi altresì la precedente nota 5. 186 Nella stessa Risoluzione 250666/83 è richiamato il “favor” del legislatore “su tutti i trasferimenti posti in essere per la realizzazione dei diversi strumenti previsti dalla normativa vigente”; proprio l’applicazione di tale principio motiva sia la non necessità della formale presenza di un ente consortile, sia l’irrilevanza del carattere pubblico o privato dell’iniziativa lottizzatoria; argomento, quest’ultimo, che pare proprio ispirare la conclusione della Risoluzione 156/E del 17 dicembre 2004, citata alla precedente nota 9. 78 oneroso che importano trasferimento della proprietà ”, con estensione dell’ambito, pur in carenza di onerosità, a determinate fattispecie previste dall’art. 2, comma 2, D.P.R. 633/72. L’esame rigoroso e asettico della funzione di ristabilimento del rapporto di originaria proporzionalità tra la capacità edificatoria “complessiva” dell’intero comparto e “specifica” dell’unità di proprietà di ciascuno dei partecipanti e quindi la sottolineatura della mera funzione ripartitoria/distributiva, porta a considerare l’effetto traslativo tipico dell’atto in oggetto solo in via nominale/formale, tanto da farlo definire come strumento in forza del quale “non vi sono trasferimenti di diritti e/o situazioni giuridiche attive già di titolarità esclusiva di alcuni soggetti (disponenti) prima e di altri soggetti (accipienti/beneficiari) poi che l’assumano ex novo, ma si attua solo una più equa allocazione all’interno di un medesimo comparto delle relative capacità edificatorie ”187; sulla base di tale profilo quindi emerge l’inesistenza di una vera e propria “cessione” secondo la definizione giuridica di tipico contratto a prestazioni corrispettive, il cui oggetto è il trasferimento di proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto. La lettura critica e sistematica delle disposizioni in materia di IVA ci porta ad individuare il presupposto del predetto tributo (la cessione di beni, appunto) non tanto o comunque non solo mediante semplice rinvio alle connesse e relative definizioni civilistiche188, ma alla luce del criterio di specialità voluto dal legislatore fiscale nel momento in cui, all’art. 2 del citato D.P.R. 633/72, ha inteso individuare, nel proprio contesto e ai propri fini, una specifica nozione di “cessione di beni”; secondo tale disposizione (c. 1) “costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ” e (c. 4) “costituiscono inoltre cessioni di beni: …4) le cessioni gratuite di beni ...”. Il legislatore IVA, quindi, avendo interessi e finalità tecnico-applicative, valorizza in sé e per sé l’elemento concreto dell’effetto (“atti … che importano trasferimento …”)189, in ciò comprendendo, ad esempio gli atti autoritativi della pubblica amministrazione, quali gli espropri, le requisizioni e gli atti giurisdizionali come le vendite forzate, le vendite giudiziarie o le sentenze che comportano trasferimento della proprietà o costituzione di diritti reali di godimento190. 187 PISCHETOLA, Studio CNN n. 28-2006/T, op. cit.. 188 L’art. 1470 c.c. definisce la vendita come “il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”. 189 Secondo la giurisprudenza comunitaria “la nozione di cessione di un bene non si riferisce al trasferimento del diritto di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente, bensì comprende qualsiasi operazione di trasferimento di un bene effettuata da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di tale bene come se ne fosse il proprietario” (Corte di Giustizia CE, 6 febbraio 2003, n. C185-01). 190 Cfr., Risoluzione 26 novembre 2001, n. 193/E e 31 ottobre 2000, n. 160/E, nonché Corte di Cassazione 79 Sotto questo profilo, la redistribuzione per ricomposizione fondiaria può avere, quale effetto giuridico, oltre che pratico-sostanziale, l’effettivo trasferimento di proprietà per quelle unità o loro porzioni oggetto di assegnazioni la cui proprietà originaria non spettava all’assegnatario stesso; laddove e nella misura in cui la redistribuzione abbia come effetto il “cambio di proprietà” tra i vari soggetti partecipanti, a nostro parere è giocoforza ritenere che il presupposto voluto dal legislatore IVA si verifichi, con i conseguenti obblighi e adempimenti voluti dalla legge in materia (fatturazione e rivalsa in primis)191. Un’ultima osservazione riguarda l’aspetto dell’onerosità che, sia pure richiamato nel concetto definitorio di cessione di beni, il sistema IVA non eleva a requisito essenziale, in forza delle specifiche previsioni dettate sia per le cessioni di beni che per le prestazioni di servizi; in ogni caso ed a ogni buon conto, la dissertazione sulla natura onerosa o meno dell’atto di ricomposizione non può incidere sulla conclusione a favore della sussistenza del requisito oggettivo IVA, in ragione del fatto che, nel sistema IVA, la norma di qualificazione come operazione imponibile delle cessioni gratuite ha la chiara funzione di “norma di chiusura” in estensione verso le operazioni la cui causa non sia prettamente di liberalità, ma più in generale di operazioni senza specifico corrispettivo192. 12 agosto 1997, n. 7528. 191 Secondo PISCHETOLA, Studio CNN n. 28-2006/T, op. cit., invece, le operazioni di ricomposizione fondiaria non costituiscono “cessione” imponibile ai fini Iva, in quanto non vi sarebbero “trasferimenti di diritti e/o situazioni giuridiche attive”. 192 Vedasi per i medesimi riferimenti le argomentazioni svolte alla fine del capitolo 3.2; per la definizione di cessione gratuita come “cessione senza corrispettivo” vedasi anche la Risoluzione n. 83/E del 3 aprile 2003. 80 3.4. I piani particolareggiati e le imposte di registro, ipotecaria e catastale; evoluzione normativa e stato attuale della disciplina Dopo un intenso ed articolato processo normativo, di prassi dottrinale e giurisprudenziale – fatto di previsioni originarie, interpretazioni autentiche, pronunce dell’Amministrazione Finanziaria, della dottrina, della giurisprudenza e poi ancora di revisioni, modifiche e assestamenti legislativi193 –, il regime tributario dei trasferimenti di immobili compresi in 193 Vedasi i richiami operati al precedente paragrafo 2.4. L’ “esordio” nella materia è recato dall’art. 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, secondo cui “ i trasferimenti di beni immobili in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati, regolarmente approvati ai sensi della normativa statale o regionale, sono soggetti all’imposta di registro dell’1 per cento e alle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa, a condizione che l’utilizzazione edificatoria dell’area avvenga entro cinque anni dal trasferimento”. Con le circolari n. 1/E e n. 6/E, rispettivamente del 3 e 26 gennaio 2001, l’Agenzia delle Entrate era intervenuta con una interpretazione della norma in senso alquanto restrittivo; si precisava, infatti, che le imposte ridotte potevano applicarsi ai soli trasferimenti di “immobili funzionali all’utilizzazione edificatoria dell’area stessa” già in possesso dell’acquirente, per i quali potevano sussistere delle cause ostative all’edificazione, quale ad esempio “la superficie minima richiesta dal piano particolareggiato per la costruzione”. Superando il dettato normativo, l’Agenzia delle Entrate aveva di fatto limitato l’ambito applicativo della disposizione ai soli casi in cui un soggetto, già in possesso di un’area, ne avesse acquistata un’altra al fine di raggiungere complessivamente quantomeno il “lotto minimo” di edificabilità stabilito dal provvedimento urbanistico. Per porre fine ai contrasti sorti a seguito del suddetto pronunciamento dell’Amministrazione finanziaria, è intervenuto lo stesso legislatore che, con l’art. 76 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, ad efficacia interpretativa, ha specificato come il regime fiscale agevolato doveva trovare applicazione “anche nel caso in cui l’acquirente non disponesse in precedenza di altro immobile compreso nello stesso piano urbanistico”. In altre parole, per poter fruire del beneficio fiscale si era finalmente chiarito che non occorreva che l’immobile acquistato fosse finalizzato a rendere possibile lo sfruttamento edificatorio di un’area già posseduta dall’acquirente. Importanti chiarimenti sulle problematiche applicative della norma sono stati forniti con la circolare 9/E del 30 gennaio 2002; l’Agenzia delle Entrate ha formulato il proprio parere, sotto forma di risposta a specifici quesiti, con riguardo al mero significato di “piano urbanistico regolarmente approvato”. Nel primo dei due quesiti proposti, si chiedeva, in ipotesi che il piano urbanistico particolareggiato fosse stato rappresentato da una convenzione tra comune e soggetto attuatore, se il regime fiscale agevolato spettasse con la convenzione semplicemente approvata dall’organo comunale o, al contrario, firmata dal comune e dall’attuatore. L’Agenzia si è espressa per la necessità della convenzione firmata, a conferma che il procedimento amministrativo sia eseguito e completato secondo la normativa statale o regionale. Il secondo quesito riguardava la possibilità di applicare l’agevolazione fiscale nel caso di un’area soggetta a piano particolareggiato da PRG ma non ancora sussistente. L’Agenzia delle Entrate ha stabilito che il piano regolatore generale è condizione necessaria ma non sufficiente per l’ottenimento dell’agevolazione, in quanto occorre “che il trasferimento si compia all’interno di aree individuate da appositi piani che siano espressamente attuativi ed esecutivi del piano regolatore generale medesimo”. Con la circolare n. 11/E del 31 gennaio 2002, l’Agenzia ha riconosciuto la natura interpretativa della disposizione del citato art. 76, L. 448/2001, e, quindi, la sua efficacia retroattiva a partire dal 1° gennaio 2001. Nel medesimo pronunciamento, inoltre, l’Amministrazione ha fornito chiarimenti sul concetto di “utilizzazione edificatoria dell’area” e sull’accezione di “piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati, regolarmente approvati”. Per quanto riguarda il concetto di “utilizzazione edificatoria dell’area” che, secondo le prescrizioni dell’art. 33 deve avvenire, pena la decadenza dai benefici fiscali, “entro cinque anni dal trasferimento”, è stato precisato che, quando l’acquisto riguardi un’area, la condizione di cui sopra viene soddisfatta attraverso la realizzazione, entro lo stesso termine temporale, di un “edificio significativo dal punto di vista urbanistico”, intendendosi come tale, secondo l’art. 2645-bis, comma 6 del Codice Civile, il “rustico comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e della copertura” (ai sensi dell’art. 31, comma 2, della legge 47/1985 “si intendono ultimati gli 81 edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura”). Sulla decadenza delle agevolazioni in caso di cessione del terreno prima del termine di cinque anni dall’acquisto, ma in presenza di utilizzo edificatorio (da parte dell’avente causa o comunque da un terzo) si registrano accesi dibattiti dottrinali e diversi orientamenti giurisprudenziali: vedasi TESTA, Cessioni di aree soggette a piani particolareggiati. Ipotesi di decadenza dalle agevolazioni fiscali, in Il Fisco 2008-1, pag. 2502, con numerosi ulteriori riferimenti, nonché tra le numerose pronunce in materia le sentenze: Comm. Trib. di Ravenna, n. 222 del 14 dicembre 2005, e Comm. Trib. di Treviso, n. 99/01/07 del 12 settembre 2007 (a favore della tesi della non decadenza), Comm. Trib. di Verona, n. 74 del 22 maggio 2007 (a favore della decadenza). Nel caso in cui, invece, il trasferimento agevolato abbia ad oggetto “l’acquisto di un fabbricato”, la condizione “dell’utilizzazione edificatoria dell’area” deve intendersi estesa, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, “all’area di sedime del fabbricato”, comportando la necessità che l’intervento da realizzare entro i cinque anni dal trasferimento consista nella “demolizione e successiva integrale ricostruzione dell’immobile”. L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate appare indubbiamente restrittiva, in quanto limita la fruibilità del regime fiscale agevolato ai soli casi di acquisto di un fabbricato che, secondo le prescrizioni urbanistiche contenute nei piani attuativi del piano regolatore generale, debba essere demolito e poi ricostruito, escludendo in tal modo l’applicabilità del beneficio fiscale agli acquisti di fabbricati che risultino, ad esempio, solo da ristrutturare, seppure integralmente. Con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto lo Studio n. 2/2001/T della Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato ha precisato che: “Vi rientrano certamente gli interventi di cui alle lettere d) ed e) dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457 (ristrutturazione edilizia e urbanistica), mentre è da ritenersi escluso quello previsto dalla lettera c) (restauro o risanamento conservativo), ed ovviamente – a maggior ragione – quelli di cui alle lettere a) e b) (manutenzione ordinaria e straordinaria)”. Nell’ambito della stessa circolare l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che sotto l’accezione “piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati, regolarmente approvati” rientrano sia i piani ad iniziativa pubblica, sia quelli ad iniziativa privata attuativi del piano regolatore generale, quali ad esempio i piani di lottizzazione. Su tale concetto meritano di essere richiamati gli ampi riferimenti riportati nel già citato Studio del Notariato n. 2/2001/T, secondo cui i piani di lottizzazione, alla luce della giurisprudenza amministrativa, sono equiparati ai piani particolareggiati, mentre, la giurisprudenza della Cassazione tende a far prevalere l’aspetto contrattuale della convenzione di lottizzazione. Sotto tale aspetto, sia la migliore dottrina sia l’Amministrazione finanziaria hanno qualificato i piani di lottizzazione come strumenti idonei al verificarsi del presupposto dell’agevolazione in oggetto; non sono mancate, in ogni caso, contrarie pronunce, peraltro isolate, della giurisprudenza tributaria che hanno ritenuto di limitare l’applicazione dell’agevolazione ai piani di iniziativa pubblica sulla base di un presunto principio di unicità dell’ordinamento che, nella fattispecie, impedirebbe il ricorso all’analogia in quanto il favor legis sarebbe limitato ai predetti piani (vedi sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Venezia n. 17/33/05 del 26 aprile 2005, citata da REBECCA, in Piani particolareggiati, aree lottizzate e aree già urbanizzate: agevolazione dell’imposta di registro, in Il Fisco, 2008-1, p. 2877 e seguenti). L’interpretazione contenuta nelle varie circolari emanate dall’Agenzia delle Entrate è stata, poi, confermata a livello normativo dall’art. 2, comma 30, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, con il quale è stato stabilito che “nell’ipotesi di piani di iniziativa privata, comunque denominati, le agevolazioni fiscali di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, si applicano, in ogni caso, a seguito della sottoscrizione della convenzione con il soggetto attuatore”. Il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, all’art. 36, comma 15, nella sua originaria versione, aveva soppresso l’art. 33 comma 3, della L. n. 388/2000. In sede di conversione in legge (L. 4 agosto 2006, n. 248), l’agevolazione è stata ripristinata limitatamente ai trasferimenti di immobili inseriti “in piani urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata pubblica, comunque denominati, realizzati in accordo con le amministrazioni comunali per la definizione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione …”. Con il predetto provvedimento l’ambito di applicazione dell’imposta di registro agevolata dell’1% era stato notevolmente ridotto, limitandolo alle seguenti fattispecie: trasferimenti di immobili inseriti in piani urbanistici particolareggiati; tali piani particolareggiati dovevano essere diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata pubblica; tali programmi dovevano essere realizzati in accordo con le amministrazioni comunali per la definizione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione. Il regime agevolato di cui al punto precedente è stato poi ulteriormente modificato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296. L’art. 1, comma 306, ha sostituito, con decorrenza 1° gennaio 2007, le parole “edilizia residenziale convenzionata 82 piani urbanistici particolareggiati, con la novella introdotta dalla Finanziaria 2008, è stato inserito “a regime194” sia ai fini dell’imposta di registro, sia ai fini dell’imposta ipotecaria195 . Il lungo e complesso processo che ha portato alle citate disposizioni di cui alla Finanziaria 2008 ha evidenziato notevoli problematiche e motivi di rinvio interpretativo e applicativo dalla normativa tributaria a quella urbanistica196. Fin dall’introduzione di tali disposizioni, il principio ispiratore dell’intervento del legislatore è stato individuato nell’utilizzo della leva fiscale a fini di incentivo alla realizzazione delle previsioni dei piani urbanistici attuativi in generale, mediante l’attenuazione dell’incidenza del peso fiscale nel momento di acquisizione degli immobili oggetto degli interventi197. Il punto focale della disciplina, già agevolativa ed ora a regime, è senz’altro l’ambito oggettivo, che l’evoluzione normativa ha inizialmente individuato nei “… beni immobili in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati, regolarmente pubblica”, dell’art. 36, comma 15, del D.L. n. 223/2006, con le parole “edilizia residenziale convenzionata”. Un importante requisito richiesto dalla “manovra estiva” al fine di fruire dell’agevolazione era stato l’inserimento dei programmi nell’ambito dell’edilizia residenziale convenzionata pubblica. Successivamente, l’aggettivazione “pubblica” è stata soppressa; così facendo, sono rientrate “nell’ambito applicativo della norma agevolativa anche le ipotesi traslative di immobili siti in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, attuativi di politiche di espansione dell’edilizia residenziale anche privata, ma sottoposte a convenzionamento con la pubblica amministrazione” (Il Notariato, Commissione Studi tributari, Studio n. 64/2007/T). Ulteriore requisito necessario era l’accordo con l’amministrazione comunale in ordine alla definizione dei prezzi di cessione e dei canoni locativi degli immobili oggetto di intervento edilizio. A tal riguardo si segnala come “attraverso il convenzionamento si realizza un controllo pubblico sui prezzi di vendita e di locazione degli immobili, al fine di pervenire allo sganciamento dell’attività imprenditoriale edilizia dalla rendita fondiaria: …non si ha pertanto una semplice edilizia libera agevolata, bensì un’edilizia privata condizionata dalla p.a. attraverso forme di controllo della produzione…,della gestione… e dei prezzi (prezzi di vendita e canoni locativi)” (Fiale, Diritto Urbanistico, Napoli, p. 667-668). 194 Sulla significatività della tecnica legislativa utilizzata, vedasi anche il precedente paragrafo 2.4. 195 Vedasi i riferimenti normativi estensivamente riportati al precedente paragrafo 2.4. 196 Richiamando la precedente nota 1, si pensi alle problematiche in materia di definizione di piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati, e del concetto di utilizzazione edificatoria dell’area. 197 Così MUCCARI, I trasferimenti di immobili in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, in Corriere Tributario n. 16/2001, pag. 1178, nonché DEL FEDERICO, Agevolazioni per l’acquisto di immobili a fini edificatori e rivendita degli stessi prima dell’edificazione entro il quinquennio successivo al trasferimento, in Il Fisco n. 10/2005-1, pag. 1456. Per un esame del convulso iter parlamentare che ha portato all’approvazione della norma originaria si veda la nota 2 dello Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 2/2001/T. 83 approvati ai sensi della normativa statale o regionale…”198, per poi precisare che “nell’ipotesi di piani attuativi di iniziativa privata, comunque denominati, le agevolazioni fiscali … si applicano, in ogni caso, a seguito della sottoscrizione della convenzione con il soggetto attuatore….”199; successivamente ancora, l’ambito, pur rimanendo riferito ai piani urbanistici particolareggiati, è stato circoscritto in funzione della destinazione degli stessi (“piani diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata pubblica”, poi solo “convenzionata” e non più “pubblica”200); ora il più recente riferimento normativo (a regime) è “agli immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale comunque denominati”201, rispetto al quale le riflessioni di tipo giuridico–operativo nell’ambito di questo lavoro riguardano: a) l’ampia definizione di “piani urbanistici particolareggiati, comunque denominati”; b) l’assenza di specifiche indicazioni in merito al momento procedurale rilevante ai fini del trattamento tributario in questione. Quanto alla definizione di piano urbanistico particolareggiato, l’Amministrazione Finanziaria202 e la dottrina più autorevole203, pur riconoscendone la non agevole interpretazione, hanno evidenziato i riferimenti sia ai piani di iniziativa pubblica, previsti dall’art. 13 e seguenti della “vecchia” legge urbanistica 1150/1942, sia a quelli di iniziativa privata aventi caratteristiche di attuazione ed esecutività del piano regolatore generale (quali, tipicamente, i piani di lottizzazione, i piani di zona, i piani per l’edilizia economica e popolare, i piani di recupero)204. Risulta pertanto doveroso, ancora una volta, richiamarsi alle nozioni di diritto 198 Art. 33, c. 3, Legge 388/2000; vedi precedente nota 1. 199 Art. 2, c. 30, Legge 350/2003; vedi precedente nota 1. 200 Art. 1, c. 306, Legge 296/2006. 201 Art. 1, c. 25, Legge 244/2007; vedi precedente nota 1; sul requisito dei programmi di edilizia residenziale, comunque denominati, si è pronunciata anche Assonime, con circolare n. 5 del 24 gennaio 2008, secondo cui la previsione deve essere letta nel senso che la condizione va riferita all’attuazione dei piani nei quali la costruzione di abitazioni sia almeno “prevalente” rispetto ad altra tipologia di immobili. Devono ritenersi esclusi, invece, i piani destinati, esclusivamente o prevalentemente, alla realizzazione di insediamenti produttivi, industriali, commerciali o artigianali. Nel senso del concetto di “prevalenza” si veda anche la relazione accompagnatoria della Legge Finanziaria 2008. 202 Circolare 30 gennaio 2002 n. 9/Ee Risoluzione 22 dicembre 2005 n. 175/E. 203 PETRELLI, Agevolazioni per l’acquisto di immobili a fini di utilizzo edificatorio, in Studio n. 2/2001/T, Consiglio Nazionale del Notariato. 204 Vedasi, in tal senso, quanto già riportato al precedente paragrafo 2.4. 84 urbanistico, con l’annotazione – di assoluto rilievo – che nel processo interpretativo ai fini fiscali è sempre stata valorizzata e sottolineata l’idoneità degli strumenti stessi, variamente denominati, a perseguire interessi pubblici, in quanto espressione e frutto di una partecipazione attiva dell’ente al procedimento di loro formazione; partecipazione che si concretizza o nell’iniziativa diretta del piano o nella stipula della convenzione. Così molto significativa appare, ai fini che qui ci interessano, una nota formulata dall’Agenzia delle Entrate205 a favore della non assimilazione di un “piano di intervento per lo sviluppo di un comparto edificabile” rispetto ad uno strumento urbanistico, nel senso voluto dalla normativa in esame, in quanto perfezionatosi con un mero atto d’obbligo unilaterale sottoscritto da più comproprietari di un’area al solo fine di ottenere il rilascio di un unico permesso di costruire per l’intero comparto; in altri termini, e qui sta la rilevanza, il predetto piano non è stato considerato come piano particolareggiato, nel senso fatto proprio e voluto del legislatore fiscale, in quanto la relativa procedura amministrativa di formazione ne ha fatto dedurre la connotazione di strumento finalizzato alla regolamentazione dell’esercizio del diritto ad edificare, anziché del potere di governo del territorio. Sempre in tal senso, peraltro, la prassi operativa di molti uffici testimonia dell’applicazione dei benefici fiscali per trasferimenti di immobili compresi anche in semplici “comparti” con modesti interventi di riassetto e urbanizzazione, purché convenzionati, mentre analoghe richieste di agevolazioni non vengono accettate pur in presenza di analoghi o anche più consistenti interventi della medesima natura oggettiva, ma dovuti per effetto di iniziative giuridicamente unilaterali e pertanto prive del suggello procedurale sopra richiamato. Il secondo ordine di riflessioni ci porta a dover qualificare l’evoluzione normativa dall’originario riferimento agli strumenti “regolarmente approvati ai sensi della normativa statale o regionale”206, al successivo richiamo all’ ”edilizia convenzionata”207, fino all’attuale completa assenza di specifiche indicazioni relativamente al momento di rilevanza procedurale ai fini fiscali208. Sotto questo profilo la chiara e letterale condizione originaria dell’“approvazione” del piano escludeva alla radice la possibilità che l’agevolazione potesse applicarsi fin dalla semplice adozione del piano stesso209; tanto più che i riferimenti normativi ed interpretativi 205 Risoluzione n. 175/E del 22 dicembre 2005. 206 Art. 33, c. 3, Legge 388/2000. 207 Art. 36, c. 15, D.L. n. 223 del 4 luglio 2006, convertito in Legge 4 agosto 2006, n. 248. 208 Si parla, infatti, di “immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati … ”. 209 Così GIUNCHI, MASTROIACOVO, PODETTI, Il regime tributario dei trasferimenti di immobili 85 successivi210 avevano dato rilevanza al momento della “convenzione”, tipico atto finale o comunque esecutivo/attuativo nell’ambito dell’iter procedurale in materia211. Al contrario, dall’assenza di specifici attuali riferimenti normativi letterali, autorevole dottrina ha assegnato l’idoneità di presupposto agevolativo alla semplice “adozione” del piano, rilevando altresì la non necessità dell’apposita convenzione (laddove prevista). 212 La focalizzazione sul momento dell’adozione del piano è evidentemente “figlia” della nuova definizione di area fabbricabile introdotta dal D.L. 223/06213. Sotto un profilo generale, però, non si può mancare di sottolineare come la richiamata norma di interpretazione autentica abbia ambiti e finalità di applicazione decisamente diversi rispetto a quelli della normativa sui piani particolareggiati; potrebbe, invero, richiamarsi il concetto di simmetria dell’una rispetto all’altra, ma è evidente la disparità di riferimenti: nel primo caso lo stato del procedimento (l’adozione) rileva per la maturazione di un presupposto impositivo (la destinazione urbanistica) in quanto di per sé elemento costitutivo e/o espressivo di una determinata capacità contributiva; nel secondo caso, invece, la ricerca del “momento rilevante” assume importanza ai “soli” fini dell’individuazione di una fattispecie impositiva che, seppur a regime, è comunque espressione di un favor legislativo214; una caratterizzazione, compresi in piani urbanistici particolareggiati, in Studio n. 18/2008/T del Consiglio Nazionale del Notariato. 210 Vedasi le precedenti note 1 e 5. 211 Secondo la Commissione Provinciale di Pescara (sentenza n. 3 del 15 aprile 2008, in Il Fisco n. 24-2008/1, pag. 4355, con nota di DEL FEDERICO), l’applicazione dei benefici ex art. 33, c. 3, richiedeva che l’immobile fosse compreso in aree facenti parte di piani urbanistici particolareggiati, debitamente approvati in base alle leggi statali e regionali e che l’utilizzazione edificatoria avvenisse entro 5 anni; non venivano richiesti, quali ulteriori condizioni, né il rilascio del permesso di costruire né la stipula della convenzione con il Comune stesso. Così anche la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con sentenza n. 9 del 1° aprile 2005. Sempre sul medesimo tema, si segnala altresì la problematica inerente la spettanza o meno dell’agevolazione in presenza di una convenzione di lottizzazione stipulata oltre i dieci anni precedenti dall’atto di trasferimento e sul quale comunemente l’Agenzia invoca la decadenza per intervenuta decorrenza del termine decennale; la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con sentenza n. 57 del 19 ottobre 2005, ha ritenuto ammissibile l’agevolazione anche in tale ipotesi. 212 Si veda lo Studio n. 18-2008/T citato alla precedente nota n. 14; così anche DEL FEDERICO, nella nota a sentenza richiamata nella precedente nota n. 16 e AMENDOLA, L’imposta ipotecaria nei trasferimenti di immobili strumentali effettuati da soggetti passivi IVA, in Il Fisco 2009-1, pag. 1525, nota n. 39. 213 Si veda il precedente capitolo 1.1. 214 L’impostazione strutturale “a regime” voluta dal legislatore non sembra infatti contraddire il carattere di agevolazione fiscale in senso tecnico della norma in oggetto; in tal senso si possono richiamare le varie casistiche – soprattutto in materia di Iva – nelle quali l’adozione di un tale schema legislativo comporta l’introduzione di regimi sostanzialmente agevolativi nell’ambito della disciplina base del tributo; vedi LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, I, 1, 1994, p. 401. 86 pertanto, da leggersi in termini di norma “speciale”, rispetto alla quale mal si prestano concetti generali come quello voluto dalla richiamata norma di interpretazione autentica215. Un’ulteriore riflessione in materia viene indotta dall’analisi dell’evoluzione storicointerpretativa sulla rilevanza, ai fini fiscali, del procedimento amministrativo in materia urbanistica, laddove si è richiamato il concetto di strumento urbanistico “perfezionato”216. La stessa norma che pone la condizione di definitiva spettanza dell’aliquota ridotta, nel letterale riferimento al “completamento dell’intervento cui è finalizzato il trasferimento”217, porta a valorizzare il collegamento biunivoco tra, da una parte, l’atto in sé e per sé e, dall’altra, non tanto il piano quanto l’intervento previsto da quel piano; in altri termini il trattamento voluto dal legislatore sembra legato allo scopo dello strumento urbanistico (tant’è che la decadenza è legata al mancato completamento dell’intervento) e non già alla forma del piano 215 Devesi comunque rilevare un certo orientamento dottrinale critico verso il principio (prevalente in giurisprudenza) dell’inapplicabilità per analogia delle agevolazioni fiscali: vedasi, in particolare, MOSCHETTIZENNARO, Agevolazioni fiscali, in Digesto, IV ed., 1988, I, p. 84; LA ROSA, Le agevolazioni, op. cit., p. 405. Sotto il profilo funzionale, si ha un’agevolazione fiscale e non una minore tassazione nell’ambito della disciplina ordinaria di un dato tributo, quando il trattamento di favore è motivato da ragioni extrafiscali, ossia che prescindono dai criteri di ripartizione e di concorso alla spesa pubblica cui ogni cittadino è tenuto ex art. 53 della Costituzione (vedasi LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, op. cit., p. 401 ss.). Su tale carattere si fonda la critica di quell’orientamento giurisprudenziale (vedasi Cass, 8 ottobre 1997, n. 9760, in Comm. Trib., 1998, II, p. 95; Cass. 27 febbraio 1997, n. 1763, in Mass. Foro it., 1997; Cass, 9 agosto 1990, n. 8111, in Foro it., 1990, I, c. 3419; Cass. 24 luglio 1989, n. 3496, in Foro it., 1990, I, c. 1626), secondo il quale le norme che prevedono agevolazioni tributarie, qualificandosi come in deroga al principio di capacità contributiva, sono suscettibili esclusivamente di interpretazione estensiva e non di applicazione analogica. Sotto il profilo strutturale, si ritengono indici dell’esistenza di un’agevolazione fiscale in senso tecnico, la presenza di limiti temporali o territoriali di efficacia, la collocazione della norma in testi unici dedicati ad agevolazioni fiscali – ad es. il D.P.R. n. 601/73, n.d.r. -, la configurazione della disciplina come derogatoria e l’interessamento dal punto di vista agevolativo di più tributi contemporaneamente. 216 Argomento trattato al precedente paragrafo 1.6. 217 Art. 1, c. 25, Legge 244/2007. Secondo Assonime, con circolare n. 5 del 24 gennaio 2008, questo momento si riferisce all’ultimazione dei lavori e non già – come invece ritenuto dall’Agenzia delle Entrate con circolare 11/E/2002 in merito all’art. 33, c. 3, Legge 388/2000 – ad un edificio “significativo” dal punto di vista urbanistico. Per inciso, l’attuale formulazione della norma (che, come già rilevato, non contiene più alcun riferimento all’utilizzo edificatorio dell’area, ma pone come condizione “il completamento dell’intervento”) sembra poter estendere il suo ambito “non soltanto ai fabbricati non ultimati ma anche a quelli oggetto di successiva integrale ristrutturazione” (così SMALDINI, Immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati. Trasferimento, in La settimana fiscale, n. 24/2008, pag. 19). Quanto al concetto di completamento dell’intervento, in assenza di specifiche indicazioni sulla norma, l’Agenzia delle Entrate, sia pure in merito ad argomenti diversi, si è già espressa con circolare n. 12/E del 1° marzo 2007, par. 10, secondo cui: l’intervento di costruzione o ristrutturazione si deve ritenere ultimato “con riferimento al momento in cui l’immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo”; nel caso di costruzione si deve ritenere “ultimato l’immobile per il quale sia intervenuta da parte del direttore dei lavori l’attestazione dell’ultimazione degli stessi, che di norma coincide con la dichiarazione da rendere in Catasto”; in assenza di formale attestazione di fine lavori si deve comunque ritenere ultimato l’intervento laddove il fabbricato sia concesso in uso a terzi. 87 stesso, cosicché sembra più plausibile ritenere che il monitoraggio successivo al trasferimento non possa che avere ad oggetto un piano perfezionato e non solo adottato. Sul concetto di perfezionamento, poi, si aprono degli ulteriori scenari di possibili definizioni che coinvolgono i momenti dell’approvazione definitiva fino a quello della stipula della convenzione218, laddove evidentemente prevista. La lettera della legge, anche e soprattutto in assenza di una specifica disposizione come quella di cui all’art. 2, comma 10, L. 350/2003, non pare avvalorare l’orientamento già emerso con il vecchio regime di considerare la convenzione come elemento indispensabile, concentrando invece l’attenzione sulla previsione oggettiva del piano e del suo contenuto, rispetto al quale la convenzione stessa appare un elemento più esecutivo che deliberativo per la formazione di un titolo giuridico. Un’ultima ulteriore riflessione viene indotta da una lettura sistematica, complessiva e relazionale delle due nuove disposizioni a regime in materia, rispettivamente, di imposta di registro (il comma 25 dell’art. 1, L. 244/2007) e di imposta ipotecaria (il successivo comma 26); da tale lettura si deduce che la “condizione” del completamento dell’intervento (con i relativi aspetti di rilevanza oggettiva dello stesso) è stata pensata e voluta dal legislatore unicamente ed esclusivamente per l’imposta di registro (il comma 25) e non anche per l’imposta ipotecaria (il comma 26)219. 218 Si vedano il precedente paragrafo 3.1 e la nota 1 del presente paragrafo 3.4. 219 Vedasi così anche AMENDOLA, L’imposta ipotecaria nei trasferimenti di immobili strumentali, op. cit., pag. 1526. 88 3.5.Piani di recupero e agevolazioni in materia di imposta di registro: il difficile rapporto tra la “statica” normativa speciale tributaria e la “dinamica” normativa urbanistica. Nell’ambito del rapporto di interdipendenza tra norme fiscali da una parte e norme urbanistiche dall’altra, assume frequentemente rilievo la diversa dinamica evolutiva delle due discipline; così, se è notorio considerare l’ordinamento tributario in sistematico sviluppo, appare quanto meno inusuale affrontare delle problematiche in cui è proprio la norma fiscale a dover essere letta, interpretata ed applicata su istituti e fattispecie di nuova previsione evolutiva in un diverso campo (nella fattispecie quello urbanistico) dell’ordinamento giuridico. Questa esigenza di coordinamento porta con sé la necessità di individuare ambiti, definizioni e caratteristiche delle nuove previsioni urbanistiche al fine di consentire l’ “aggancio” applicativo con altre norme, rimaste temporalmente legate a diversi e più datati riferimenti. Un esempio di tali complesse problematiche è rappresentato dal rapporto tra le previsioni di cui all’art. 5 della L. 168/82220 ed i nuovi istituti urbanistici frutto dell’incessante evoluzione normativa in materia; l’esperienza applicativa ha reso complesso il collegamento tra, da una parte, “i piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati, di cui agli articoli 27 e seguenti della legge 5 agosto 1978, n. 457” (così letteralmente richiamati dal citato art. 5 L. 168/82) e, dall’altra, gli strumenti compresi tra le numerose forme di piani particolareggiati previste dalla sopravvenuta normativa urbanistica il cui ambito spesso si sovrappone, per finalità e caratteristiche, ai piani di recupero medesimi. Sotto il profilo fiscale, il rapporto tra le due fattispecie di strumenti attuativi risulta evidentemente decisivo ai fini dell’applicazione o meno della norma di favore del predetto art. 5 L. 168/82 in luogo della norma più generale che, salva la presenza anche degli altri presupposti, richiama i piani particolareggiati221. Con un significativo intervento sulla specifica questione222, l’Agenzia delle Entrate ha sviluppato le proprie determinazioni sulla base di valutazioni ed argomentazioni di tipo 220 L’art. 5 della legge 22 aprile 1982, n. 168 prevede che “nell’ambito dei piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati, di cui agli artt. 27 e seguenti della L. 5 agosto 1978, n. 457, ai trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti che attuano il recupero, si applicano le imposte di registro, catastali e ipotecarie in misura fissa. Nello stesso ambito le permute sono esenti dall’imposta sull’incremento del valore degli immobili e sono soggette alle imposte di registro, catastale e ipotecaria in misura fissa”; sullo specifico argomento si veda lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato (estensore MONTELEONE), Imposte di registro, ipotecarie e catastali: agevolazioni concernenti il recupero del patrimonio edilizio esistente, in C.N.N. Strumenti, voce 1910, p. 13.1. 221 Cfr. i precedenti paragrafi 2.4 e 3.4. 222 Risoluzione n. 383 dell’11 dicembre 2002. 89 eminentemente urbanistico, valorizzando gli ambiti e le finalità specifiche degli strumenti attuativi richiamati dalla norma fiscale; così il “piano di recupero” di cui alla L. 168/82 è stato definito “strumento più complesso rispetto al piano particolareggiato dovendo, a differenza di quest’ultimo, valutare la compatibilità del tessuto preesistente con le nuove esigenze urbanistiche e potendo rivedere, quindi, l’assetto urbanistico con ad esempio differente distribuzione dei lotti, reperimento di aree di interesse pubblico, riassetto delle vie di comunicazione. Tali caratteristiche del piano di recupero emergono in modo chiaro dagli articoli dal 27 al 31 della più volte citata legge n. 457, ove è ripetutamente sottolineata la relazione tra piano di recupero, patrimonio edilizio e interventi preordinati alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso”; inoltre, pur riconoscendone la natura di piano particolareggiato, “il piano di recupero opera su specifici fronti, diversi da quelli interessati dagli altri piani particolareggiati. Infatti, il primo riguarda zone in cui esiste già un tessuto urbanistico – edilizio che deve essere recuperato, mentre gli altri si riferiscono ad aree di espansione urbanistica”. Nel caso specifico, l’Amministrazione Finanziaria ha concluso per l’applicabilità della norma sui piani di recupero in quanto “costituisce, per la particolare finalità, norma speciale rispetto a quella di regime ” relativa ai piani particolareggiati. Da questi principi generali, sotto il profilo pratico-operativo, deriva molto spesso la necessità/opportunità di individuare, all’interno di determinati strumenti urbanistici attuativi, variamente denominati e comunemente complessi, l’assimilabilità o meno, totale o parziale, agli interventi di recupero di cui agli artt. 27 e 28, L. 457/78223; ciò in ragione e al fine 223 L’art. 27 della legge 5 agosto 1978 n. 457 così recita: “I comuni individuano, nell’ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. Dette zone possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature. Le zone sono individuate in sede di formazione dello strumento urbanistico generale ovvero, per i comuni che, alla data di entrata in vigore della presente legge, ne sono dotati, con deliberazione del consiglio comunale sottoposta al controllo di cui all’articolo 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Nell’ambito delle zone, con la deliberazione di cui al precedente comma o successivamente con le stesse modalità di approvazione, possono essere individuati gli immobili, i complessi edilizi, gli isolati e le aree per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione dei piani di recupero di cui al successivo articolo 28. Per le aree e gli immobili non assoggettati al piano di recupero e comunque non compresi in questo si attuano gli interventi edilizi che non siano in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici generali. Ove gli strumenti urbanistici generali subordinino i rilascio della concessione alla formazione degli strumenti attuativi, ovvero nell’ambito delle zone destinate a servizi i cui vincoli risultano scaduti, sono sempre consentiti, in attesa di tali strumenti urbanistici attuativi, gli interventi previsti dalle lettera a), b), c) e d) del primo comma dell’articolo 31 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse. Inoltre sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del primo comma dell’articolo 31 che riguardino globalmente uno o più edifici anche se modifichino fino al 25 per cento delle destinazioni preesistenti purché il concessionario si impegni, con atto trascritto a favore del comune e a cura e spese dell’interessato, a praticare , limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati con il Comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e successive modificazioni. 90 dell’applicabilità del particolare regime di favore di cui all’art. 5, L. 168/82, in presenza di strumenti urbanistici che presentano caratteristiche e finalità non solo o comunque non perfettamente inquadrabili tra quelle tipiche dei “piani di recupero”. Tale valutazione necessita, evidentemente, del compimento di un esame concreto delle fattispecie progettuali previste dai rispettivi piani secondo una logica giuridico-normativa. Richiamandoci, ad esempio, alla fattispecie complessa e significativa dei P.I.R.U.E.A., in relazione alla normativa urbanistica regionale del Veneto224, devesi segnalare che, ancorché la normativa stessa (art. 19, comma 1, L.R. 11/2004) definisca e faccia rientrare nell’elencazione dei “Piani Urbanistici Attuativi” sia, sub d), il “piano di recupero di cui all’articolo 28 della legge 5 agosto 1978 n. 457 …”, sia, sub f), il “programma integrato” (e quindi il P.I.R.U.E.A.), non c’è dubbio che il contenuto del P.I.R.U.E.A. sia estremamente più vasto e complesso di quello del “Piano di Recupero”, in quanto mentre quest’ultimo ha Secondo l’art. 28 della medesima legge “I piani di recupero prevedono la disciplina per il recupero degli immobili, dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree di cui al terzo comma del precedente art. 27, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando le unità minime di intervento. I piani di recupero sono approvati con la deliberazione del consiglio comunale con la quale vengono decise le opposizioni presentate al piano, ed hanno efficacia dal momento in cui questa abbia riportato il visto di legittimità di cui all’art. 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Ove la deliberazione del consiglio comunale di cui al comma precedente non sia assunta, per ciascun piano di recupero, entro tre anni dalla individuazione cui al terzo comma del precedente art. 27, ovvero non sia divenuta esecutiva entro il termine di un anno dalla predetta scadenza, l’individuazione stessa decade ad ogni effetto. In tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal quarto e quinto comma del precedente art. 27. Per quanto non stabilito dal presente titolo si applicano ai piani di recupero le disposizioni previste per i piani particolareggiati dalla vigente legislazione regionale e, in mancanza, da quella statale. I piani di recupero sono attuati: a) dai proprietari singoli o riuniti in consorzio o dalle cooperative edilizie di cui siano soci, dalle imprese di costruzione o dalle cooperative edilizie cui i proprietari o i soci abbiano conferito il mandato all’esecuzione delle opere, dai condomini o loro consorzi, dai consorzi fra i primi ed i secondi, nonché dagli IACP o loro consorzi, da imprese di costruzione o loro associazioni temporanee o consorzi e da cooperative o loro consorzi; b) dai comuni, direttamente ovvero mediante apposite convenzioni con i soggetti di cui alla lettera a) nei seguenti casi: 1) per gli interventi che essi intendono eseguire direttamente per il recupero del patrimonio edilizio esistente nonché, limitatamente agli interventi di rilevante interesse pubblico, con interventi diretti; 2) per l’adeguamento delle urbanizzazioni; 3) per gli interventi da attuare mediante cessione volontaria, espropriazione od occupazione temporanea, previa diffida nei confronti dei proprietari delle unità minime di intervento, in caso di inerzia dei medesimi, o in sostituzione dei medesimi nell’ipotesi di interventi assistiti da contributo, La diffida può essere effettuata anche prima della decorrenza del termine di scadenza del programma pluriennale di attuazione nel quale il piano di recupero sia stato eventualmente incluso. I Comuni, sempre previa diffida, possono provvedere all’esecuzione delle opere previste dal piano di recupero, anche mediante occupazione temporanea, con diritto di rivalsa, nei confronti dei proprietari, delle spese sostenute. I Comuni possono affidare la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria ai proprietari singoli o riuniti in consorzio che eseguono gli interventi previsti dal piano di recupero. 224 Vedasi il precedente paragrafo 1.5. 91 finalità esclusivamente urbanistico-edilizia, il programma integrato ha finalità ben più vasta, essendo stato concepito come strumento di politica programmatoria in materia urbanistica. In tal senso: “il programma integrato d’intervento ex art. 16, L. 17 febbraio 1992, n. 179, va distinto dal piano di recupero di cui all’art. 28, L. 5 agosto 1978, n. 457, avendo come finalità primaria quella di convogliare l’iniziativa pubblica e quella privata verso obiettivi di riqualificazione ambientale attraverso forme miste di finanziamento privato, regionale e statale, che trascendono i limiti della scelta urbanistica”225. Del resto, non a caso, nel testo dell’art. 19, c. 1, lettera f) il legislatore veneto della L.R. 11/2004 ha ritenuto opportuno specificare, proprio a significare la particolare e diversa natura e portata del “programma” rispetto agli strumenti attuativi sopra ricordati nello stesso articolo 19, ai punti a), b), c), d) ed e), quanto segue: “… in particolare il programma integrato è lo strumento di attuazione della pianificazione urbanistica per la realizzazione coordinata, tra soggetti pubblici e privati, degli interventi di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale. La riqualificazione si attua mediante il riordino degli insediamenti esistenti e il ripristino della qualità ambientale anche attraverso l’ammodernamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie e dell’arredo urbano, il riuso di aree dismesse, degradate, inutilizzate, a forte polarizzazione urbana, anche con il completamento dell’edificato”. La novità dei contenuti del “programma integrato” rispetto al più datato strumento del “piano urbanistico” è quindi evidente. Avendo ben presente il paradigma legale dell’art. 28, L. 457/78 (norma che peraltro non può essere letta se non in combinato disposto con quella del precedente art. 27), volto essenzialmente al recupero o riutilizzo di immobili esistenti e le concrete fattispecie progettuali dei P.I.R.U.E.A. pensati per prevedere interventi ben più complessi a livello urbanistico226, non vi è dubbio che solo determinati interventi potrebbero essere ritenuti oggetto di un “piano di recupero” ai sensi della L. 457/1978. Ed invero, non a caso, la giurisprudenza è concorde nel ritenere “… illegittimo il piano di recupero che, in sostanziale sostituzione di un piano particolareggiato, riguardi un’area quasi completamente inedificata e non immobili degradati”227. Tutto ciò premesso, si deve concludere che l’assimilazione ad un “Piano di Recupero”, con il conseguente trattamento tributario di favore, può essere effettivamente riconosciuta 225 TAR del Lazio, Sez. I, 11 marzo 1998, n. 1000; sulla qualificazione del piano di recupero come strumento urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte del P.R.G. e quindi equivalente al piano particolareggiato, vedasi la nota 3 del paragrafo 1.4. 226 A volte comprendenti anche la creazione di nuove zone edificabili, mediante specifiche varianti al PRG. 227 92 Cfr., ex multis, Cons. St., Sez. IV, 31 maggio 1999, n. 925. anche nella singola fattispecie operativa di strumenti attuativi complessi e disciplinati da norme sopravvenute, purché i relativi concreti interventi presentino caratteristiche tecnicoprogettuali e urbanistico-normative tali da poter formare oggetto di un vero e proprio Piano di Recupero. Quindi, concretamente, il regime di favore previsto dal “vecchio” art. 5, L. 168/1982, può e deve applicarsi anche in presenza di strumenti attuativi non propriamente e formalmente definibili come Piani di Recupero, a condizione che gli organi e soggetti aventi competenza e qualificazione “tecnica” possano ravvisare e attestare le condizioni progettuali-normative sopra richiamate228. È evidente, in tal caso, l’intreccio tra normativa fiscale e normativa urbanistica, reso particolarmente complesso dall’evoluzione di quest’ultima verso forme ed ambiti diversi da quelli a cui in origine si era riferito e si ispirava il legislatore fiscale; ma è proprio in quest’ultimo ambito, reso ancora più complesso ed articolato dallo “scollamento temporale”, che emerge la rilevanza, non solo formale, ma anche e soprattutto operativa, di un approccio alla concreta fattispecie con criteri e principi di interdisciplinarietà. 228 Ad esempio tramite apposite certificazioni e/o attestazioni che costituiscano parte integrante degli atti soggetti a registrazione. 93 94 Finito di stampare nel mese di aprile 2009 presso Graficart Arti Grafiche - Resana (TV) 95 96